ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
250,  della  legge  della  Regione  Campania  15  marzo  2011,  n.  4
(Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale   2011   e
pluriennale 2011-2013 della  Regione  Campania  -  Legge  finanziaria
regionale 2011); dell'art. 1, commi 5 e 8, della legge della  Regione
Campania 5 maggio 2011, n.  7  (Modifiche  della  legge  regionale  7
gennaio 1983, n. 9,  concernente  il  rischio  sismico,  della  legge
regionale  25  agosto  1989,   n.   15,   concernente   l'ordinamento
amministrativo del consiglio  regionale,  della  legge  regionale  28
marzo 2007, n. 4, concernente la materia della gestione dei  rifiuti,
della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7, concernente l'ordinamento
contabile della regione Campania, della legge regionale  28  novembre
2008, n. 16,  e  della  legge  regionale  3  novembre  1994,  n.  32,
concernenti il riordino del  servizio  sanitario  regionale  e  della
legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria
regionale 2011) e dell'art. 1, commi  19  e  35,  della  legge  della
Regione Campania 4  agosto  2011,  n.  14  (Disposizioni  urgenti  in
materia di finanza regionale), promossi dal Presidente del  Consiglio
dei ministri con ricorsi notificati l'11-18 maggio, il 23-27 giugno e
il 3-7 ottobre 2011, depositati in cancelleria il 17  maggio,  il  30
giugno ed il 7 ottobre 2011 e rispettivamente iscritti ai numeri  45,
62 e 119 del registro ricorsi 2011. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione Campania; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  luglio  2014  il   Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati dello Stato Diego Giordano  e  Barbara  Tidore
per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Beniamino
Caravita di Toritto e Almerina Bove per la Regione Campania. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato l'11-18 maggio 2011  e  depositato  il
successivo 17 maggio 2011 (reg. ric. n. 45 del 2011),  il  Presidente
del Consiglio dei ministri  ha  impugnato  varie  disposizioni  della
legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale 2011 e  pluriennale  2011-2013  della
Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2011),  tra  le  quali
l'art. 1, comma  250.  In  ordine  all'impugnazione  di  quest'ultima
disposizione,  oggetto  del  presente  giudizio,  il  ricorrente   ha
lamentato la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
della Costituzione. 
    1.1.-  In  particolare,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
osservato come il censurato art.  1,  comma  250,  disponga  che  «La
domanda di autorizzazione di cui al comma  7  dell'articolo  124  del
decreto  legislativo  30  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in  materia
ambientale), e' presentata al comune ovvero all'autorita' d'ambito se
lo scarico e' in pubblica fognatura. L'autorita' competente  provvede
entro  sessanta  giorni  dalla  ricezione  della  domanda.  Se  detta
autorita'  risulta   inadempiente   nei   termini   sopra   indicati,
l'autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi
sessanta giorni, salvo revoca.  Per  le  finalita'  delle  richiamate
norme, le Commissioni  consiliari  regionali  Ambiente  e  Territorio
approvano  la  disciplina   degli   scarichi   Categorie   produttive
assimilabili, di cui alla delibera di Giunta regionale 6 agosto 2008,
n. 1350». 
    L'art. 1, comma 250, della legge reg. n. 4  del  2011,  pertanto,
fissa in 60 giorni il termine entro il  quale  l'autorita'  preposta,
individuata nel Comune, puo' negare il  rilascio  dell'autorizzazione
allo scarico, statuendo altresi' che, in caso di inutile  decorso  di
tale termine, l'autorizzazione si  intende  temporaneamente  concessa
per i successivi 60 giorni, salvo revoca. 
    L'art. 124, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile  2006,  n.
152  (Norme  in  materia  ambientale)  fissa,  invece,   il   termine
perentorio di 90 giorni per la concessione dell'autorizzazione. 
    Inoltre, l'art. 20, comma 4, della legge 7 agosto  1990,  n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi), statuisce l'inapplicabilita'
del «silenzio-assenso»  alla  materia  ambientale,  nella  quale,  ad
avviso  del  ricorrente,  andrebbe  compresa  la   disciplina   delle
autorizzazioni allo scarico delle acque reflue. 
    Si ricorda, poi, che l'art. 29 della  stessa  legge  n.  241  del
1990, come sostituito dall'art. 19 della legge 11 febbraio 2005 n. 15
(Modifiche  ed  integrazioni  alla  legge  7  agosto  1990,  n.  241,
concernenti norme generali sull'azione amministrativa), statuisce  al
comma 2  che  «Le  regioni  e  gli  enti  locali,  nell'ambito  delle
rispettive  competenze,  regolano  le  materie   disciplinate   dalla
presente legge  nel  rispetto  del  sistema  costituzionale  e  delle
garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, cosi'
come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». 
    Tale disposizione,  secondo  il  ricorrente,  non  consentirebbe,
quindi, alle Regioni di intervenire diminuendo i  livelli  di  tutela
ambientale, come invece  avverrebbe  con  la  censurata  disposizione
della  legge  reg.  n.  4  del  2011,  in   quanto   l'istituto   del
silenzio-assenso, previsto dalla  legge  campana,  oltre  tutto  alla
scadenza di un termine di decisione  piu'  breve  rispetto  a  quello
previsto dalla legge statale, inciderebbe negativamente sul grado  di
salvaguardia dell'ambiente. 
    In proposito, l'Avvocatura generale  dello  Stato  rammentata  la
giurisprudenza costituzionale secondo cui la previsione di un termine
di decisione piu' breve di quello  fissato  dal  legislatore  statale
costituisce «evidente violazione  di  un  livello  di  tutela  [nella
specie:] dell'ambiente uniforme» che «altera il rapporto  fra  i  due
interessi che il termine stesso e' destinato  a  soddisfare  e  cioe'
quello dell'amministrazione all'esercizio del controllo preventivo  e
quello  dell'interessato  ad  ottenere  l'autorizzazione   in   tempi
ragionevoli, in un modo che risulta  lesivo  dell'interesse  pubblico
alla tutela [nella specie:] dell'ambiente, in violazione dei predetti
parametri» (sentenza n. 315 del 2009). 
    Conclusivamente  la  norma  regionale  oggetto  di  impugnazione,
secondo il ricorrente, pone l'interesse ambientale in  una  posizione
deteriore sotto due diversi profili  che,  quanto  agli  effetti,  si
sommano l'uno all'altro. Il primo e' costituito dal termine inferiore
(60 giorni anziche' 90) previsto dal legislatore regionale rispetto a
quello stabilito dal  legislatore  statale  per  la  decisione  sulla
domanda di autorizzazione allo scarico; il secondo e'  l'effetto  che
consegue  al  decorso  del  termine,  cui  il  legislatore  regionale
riconnette addirittura la temporanea concessione  dell'autorizzazione
per un termine di 60  giorni,  salvo  revoca.  In  definitiva  appare
palese, ad  avviso  del  ricorrente,  la  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., trattandosi di normativa  afferente
alla materia  della  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  in
ordine  alla  quale  sussiste  la  competenza   legislativa   statale
esclusiva, e nella quale il legislatore regionale e' intervenuto  non
per ampliare i livelli di tutela ai sensi dell'art. 29 della legge n.
241 del 1990, ma per diminuirli. 
    1.2.-  Con  atto  depositato  in  data  27  giugno  2011,  si  e'
costituita in giudizio la  Regione  Campania  e  ha  chiesto  che  le
sollevate questioni di legittimita' costituzionale vengano dichiarate
inammissibili o infondate. 
    1.3.- Con  memoria  depositata  in  data  15  febbraio  2012,  la
resistente ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso per genericita'
della delibera di autorizzazione all'impugnazione che  non  conteneva
le specifiche disposizioni della legge regionale da impugnare. 
    1.4.- In data 21 febbraio 2012, l'Avvocatura generale dello Stato
ha depositato la relazione ministeriale richiamata nella delibera  di
impugnazione della Presidenza del Consiglio dei ministri,  contenente
l'indicazione delle specifiche disposizioni della legge regionale  da
impugnare. 
    1.5.- Con memoria depositata in data 30 aprile  2012,  la  difesa
regionale ha ricordato che questa Corte (sentenza n. 234 del 2010) ha
affermato come lo stesso legislatore statale abbia autorizzato  forme
alternative   di   scelta   dell'organo   competente   a   rilasciare
l'autorizzazione allo scarico di acque reflue. Inoltre, ha  rimarcato
che le prescrizioni  della  Regione  Campania,  sul  termine  per  la
decisione sull'istanza di autorizzazione e  sulla  formazione  di  un
provvisorio silenzio-assenso, non potrebbero considerarsi  limitative
del livello di tutela dell'ambiente. 
    2.- Con ricorso notificato il 23-27 giugno 2011 e  depositato  il
successivo 30 giugno (reg. ric. n. 62 del 2011),  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 1,  commi  5  e  8,  della
legge della Regione Campania 5 maggio 2011,  n.  7  (Modifiche  della
legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9, concernente il rischio sismico,
della  legge  regionale  25   agosto   1989,   n.   15,   concernente
l'ordinamento amministrativo del  consiglio  regionale,  della  legge
regionale 28 marzo 2007, n. 4, concernente la materia della  gestione
dei rifiuti, della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7,  concernente
l'ordinamento contabile della regione Campania, della legge regionale
28 novembre 2008, n. 16, e della legge regionale 3 novembre 1994,  n.
32, concernenti il riordino del servizio sanitario regionale e  della
legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria
regionale 2011), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera
s), e terzo comma, Cost. 
    2.1.- In particolare, l'art. 1, comma 5, della legge  reg.  n.  7
del 2011 stabilisce che: «[i]l comma 5 dell'articolo  8  della  legge
regionale  28  novembre  2008,  n.  16   (Misure   straordinarie   di
razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario  regionale
per il rientro dal disavanzo), e' sostituito dal seguente: "5.  Nelle
more dell'accreditamento istituzionale delle  strutture  sanitarie  e
socio-sanitarie, le aziende sanitarie  locali  devono  sottoscrivere,
con le strutture autorizzate ai sensi  della  delibera  della  Giunta
regionale della Campania n. 7301 del 31 dicembre 2001, contratti  per
le attivita' di  cure  palliative  ai  malati  terminali-hospice.  La
Giunta regionale provvede all'approvazione delle tariffe entro trenta
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge."». 
    Ad avviso del ricorrente, la disposizione censurata comporterebbe
oneri, sottesi alla prevista conclusione obbligatoria  dei  contratti
per la fornitura di servizi di cure  palliative,  non  sottoposti  ai
limiti di spesa previsti dall'art. 1, comma 796, lettere a), b) e t),
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  Legge  finanziaria
2007),  che  costituiscono  principi  fondamentali  in   materia   di
«coordinamento della finanza pubblica» ai sensi dell'art. 117,  terzo
comma, Cost. 
    Inoltre, la  prevista  conclusione  dei  contratti  predetti  con
strutture autorizzate ma non accreditate non assicurerebbe i  livelli
minimi di tutela della salute garantiti dagli artt. 8, 8-bis, 8-ter e
8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502  (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della
legge 23 ottobre 1992, n.  421).  Le  citate  disposizioni,  infatti,
prevedono requisiti che le strutture devono  soddisfare  al  fine  di
ottenere  l'accreditamento,   che   potrebbero   non   avere   quelle
autorizzate all'esercizio di attivita' sanitaria, le quali non  hanno
ancora  ottenuto   l'accreditamento   definitivo,   con   conseguente
violazione, anche sotto  questo  ulteriore  profilo,  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. 
    2.2.- L'art. 1, comma 8, della medesima legge reg. n. 7 del  2011
dispone che: «[i] comuni competenti in materia di scarichi  in  corpi
idrici superficiali possono avvalersi  della  provincia,  all'interno
del cui territorio ricadono, ai fini  dell'esercizio  delle  funzioni
trasferite ai  sensi  del  comma  250  dell'articolo  1  della  legge
regionale n. 4 del 2011. I comuni, qualora  intendano  avvalersi  per
l'istruttoria degli uffici e del personale della  provincia,  possono
stipulare con tale ente apposita convenzione». 
    Ad avviso del ricorrente,  tale  disposizione  violerebbe  l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, richiamando  l'art.
1, comma 250, della legge reg. n. 4 del  2011  -  che  stabilisce  un
termine  di  sessanta  giorni  per  la  decisione  sulla  domanda  di
autorizzazione allo scarico, scaduto  il  quale  l'autorizzazione  si
intende provvisoriamente concessa per  sessanta  giorni  -  fissa  un
livello di tutela inferiore a  quello  stabilito  dalla  legislazione
statale in materia di «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  e,
segnatamente, dall'art. 124, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, che
fissa in novanta giorni il termine per provvedere  sulla  domanda  di
autorizzazione allo scarico, e dall'art. 20, comma 4, della legge  n.
241 del 1990,  che  statuisce  l'inapplicabilita'  dell'istituto  del
silenzio-assenso alla materia ambientale. 
    2.3.-  Con  atto  depositato  in  data  29  luglio  2011,  si  e'
costituita  la  Regione  Campania,  rimarcando  l'inammissibilita'  e
l'infondatezza   delle   sollevate    questioni    di    legittimita'
costituzionale. 
    2.4.-  Con  memoria  depositata  in  data  19  gennaio  2012,  la
resistente ha  chiesto  che  venga  dichiarata  la  cessazione  della
materia del contendere  a  seguito  di  sopravvenuti  interventi  del
legislatore regionale sulle disposizioni impugnate.  In  particolare,
ha evidenziato che l'art. 1, comma  35,  della  legge  della  Regione
Campania 4 agosto 2011, n. 14 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di
finanza regionale), ha novellato nuovamente l'art. 8, comma 5,  della
legge reg. n. 16 del 2008. Successivamente l'art. 1, comma  1,  della
legge della Regione Campania 14 dicembre 2011, n. 23 (Modifiche  alla
legge regionale 15 marzo 2011, n. 4 - Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale  2011  e  pluriennale  2011-2013  della  Regione
Campania  -  Legge  finanziaria  regionale  2011),  ha  ulteriormente
modificato l'art. 1, comma 237-octodecies della legge reg. n.  4  del
2011, che a sua volta aveva modificato l'art. 8, comma 5, della legge
reg. n. 16 del 2008. Con quest'ultima modifica, si e' specificato che
le strutture autorizzate  ad  operare  in  regime  di  accreditamento
provvisorio devono essere in possesso  dei  requisiti  ulteriori  per
l'accreditamento istituzionale. 
    2.5.- Con memoria depositata in data 2 febbraio 2012, la  Regione
Campania ha insistito perche' venga dichiarata cessata la materia del
contendere, illustrando ulteriormente le modifiche  intervenute  alle
disposizioni impugnate. In particolare, ha  sottolineato  che  l'art.
52, comma 13, della legge della Regione Campania 27 gennaio 2012,  n.
1 (Disposizioni  per  la  formazione  del  Bilancio  Annuale  2012  e
Pluriennale 2012-2014 della  Regione  Campania  -  Legge  finanziaria
regionale 2012) ha abrogato l'impugnato art. 1, comma 8, della  legge
reg. n. 7 del 2011. 
    2.6.- Con atto depositato in data 27 luglio 2012,  il  Presidente
del   Consiglio   dei   ministri    ha    rinunciato    integralmente
all'impugnazione proposta con il ricorso n. 62 del 2011. 
    2.7.- Con atto depositato in data 20 settembre 2012,  la  Regione
Campania ha accettato la rinuncia. 
    3.- Con ricorso notificato il 3-7 ottobre 2011  e  depositato  il
successivo 7 ottobre (reg. ric. n. 119 del 2011), il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha  impugnato  l'art.  1,  commi  19  e  35  -
quest'ultimo nella parte in cui introduce l'art. 1, commi  237-nonies
e 237-octodecies, della legge reg. Campania n. 4 del 2011 -  ,  della
legge reg. Campania n. 14 del 2011,  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. 
    3.1.- In particolare, l'art. 1, comma 19, della legge reg. n.  14
del 2011  prevede  che:  «[l]a  Giunta  regionale  e'  autorizzata  a
disciplinare con regolamento il calendario  venatorio  della  Regione
Campania e relativo regolamento, sentita  la  Commissione  consiliare
permanente  competente  per  materia,   in   base   alla   competenza
legislativa della Regione nella materia della caccia, in  conformita'
al titolo V della parte seconda della Costituzione ed  in  osservanza
dei seguenti criteri generali: a) validita' triennale del  calendario
venatorio  regionale;  b)  tutela  della  fauna  selvatica  e   delle
produzioni agricole; c) rispetto della vigente normativa nazionale  e
regionale incidente in materia; d) perseguimento degli  obiettivi  di
efficienza, efficacia ed economicita' dell'azione amministrativa». 
    Il ricorrente rammenta come l'art. 18  della  legge  11  febbraio
1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e  per  il  prelievo  venatorio)  preveda  che  le  Regioni   possano
intervenire  nella  regolamentazione   dei   periodi   dell'attivita'
venatoria per determinate  specie  e  in  relazione  alle  situazioni
ambientali  delle  diverse   realta'   territoriali.   Le   modalita'
dell'intervento sono regolate dai commi  2,  3  e  4  della  medesima
disposizione che, tuttavia, non sono espressamente  richiamati  dalla
norma regionale impugnata, la quale invece prevede l'emanazione di un
calendario venatorio secondo cadenze temporali (un triennio) ritenute
incompatibili con le cadenze (annuali)  previste  dalla  legislazione
statale. A parere del ricorrente, quindi, la legge regionale  campana
si  tradurrebbe  in  una  violazione  della  disciplina  statale  che
delimita  il  periodo  entro  il  quale  e'  consentito   l'esercizio
dell'attivita'   venatoria.   In   tal   senso   e'   richiamata   la
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale le norme  statali  di
cui  sopra  rientrano  nella  materia  della  tutela   dell'ambiente,
vincolanti per il legislatore regionale (sentenza n. 191  del  2011),
di tal che il loro mancato rispetto determina la violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    3.2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  impugna  anche
l'art. 1, comma 35, della medesima legge reg. n. 14 del  2011,  nella
parte in cui introduce l'art. 1, commi 237-nonies  e  237-octodecies,
all'art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011. 
    In particolare, il citato comma 237-nonies prevede  che,  ove  il
numero delle domande di accreditamento istituzionale presentate dalle
strutture sanitarie e socio-sanitarie private  ecceda  il  fabbisogno
regionale programmato, si  tenga  conto  dell'ordine  cronologico  di
acquisizione   delle   istanze.   Secondo   il   ricorrente,   simile
disposizione violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto  la
disposizione regionale contrasterebbe con il  principio  fondamentale
stabilito dall'art. 8-quater, comma 8, del d.lgs.  n.  502  del  1992
che, in caso  di  superamento  dei  limiti  di  volume  di  attivita'
prevista dalla programmazione sanitaria nazionale, prevede la  revoca
dell'accreditamento  in  misura  proporzionale  al  concorso  a  tale
superamento apportato da strutture pubbliche, private non lucrative e
private lucrative. 
    Il comma 237-octodecies modifica il testo dell'art. 8,  comma  5,
della legge reg. n. 16 del 2008, prevedendo che, al fine  di  colmare
le carenze regionali di offerta, le  strutture  destinate  a  erogare
prestazioni  di  assistenza  palliativa,   operino   in   regime   di
accreditamento fermo il rispetto della procedura per l'accreditamento
definitivo. 
    Questa disposizione violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto un simile intervento regionale in  materia  di  accreditamento
sanitario esulerebbe dal riparto di competenze  fissato  dalla  norma
costituzionale, poiche'  consentirebbe  l'operativita'  di  strutture
prive dei requisiti necessari per l'accreditamento medesimo. 
    3.3.- Con atto  depositato  in  data  11  novembre  2011,  si  e'
costituita in giudizio la  Regione  Campania  e  ha  chiesto  che  le
sollevate questioni di legittimita' costituzionale vengano dichiarate
inammissibili o infondate. 
    3.4.- Come gia' ricordato, l'art. 1, comma 1, della legge reg. n.
23  del  2011   ha   ulteriormente   modificato   l'art.   1,   comma
237-octodecies citato - che a sua volta aveva  modificato  l'art.  8,
comma 5, della legge reg. n.  16  del  2008  -  specificando  che  le
strutture  autorizzate  ad  operare  in  regime   di   accreditamento
provvisorio devono essere in possesso  dei  requisiti  ulteriori  per
l'accreditamento istituzionale. 
    3.5.- Con memoria depositata in data 30 aprile 2012,  la  Regione
Campania ha chiesto che le  questioni  sollevate  vengano  dichiarate
inammissibili in quanto le doglianze  sarebbero  meramente  assertive
della violazione dei parametri. In ogni caso le  censure,  ad  avviso
della resistente,  sarebbero  comunque  infondate.  In  proposito  la
Regione ha rimarcato che la legislazione statale  non  prefigurerebbe
alcuna  incompatibilita'   con   un'articolazione   pluriennale   del
calendario  venatorio,  sempre   che   sia   assicurata   l'audizione
dell'Istituto superiore per la protezione  e  la  ricerca  ambientale
(d'ora innanzi ISPRA), come e' appunto garantito dalla legge campana. 
    3.6.- Con atto depositato in data 4 luglio  2012,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso  «nei  termini  e
nei  limiti  di  cui  alla  delibera  stessa».  La  delibera  prevede
espressamente la rinuncia «limitatamente all'articolo  1,  comma  35,
nella parte in cui introduce il  comma  237-octodecies,  della  legge
della Regione Campania n. 14 del 4 agosto 2011». 
    3.7.- Con atto depositato in data  26  luglio  2012,  la  Regione
Campania ha accettato la rinuncia. 
    3.8.- Successivamente e' intervenuto l'art. 24,  comma  1,  della
legge della Regione Campania 9 agosto  2012,  n.  26  (Norme  per  la
protezione  della  fauna  selvatica   e   disciplina   dell'attivita'
venatoria in Campania), stabilendo  in  particolare  che  «La  Giunta
regionale, [...]  entro  e  non  oltre  il  15  giugno,  pubblica  il
calendario regionale ed il  regolamento  relativo  all'intera  annata
venatoria per i periodi e per le specie  previste  dall'articolo  15,
con la indicazione del numero  massimo  dei  capi  da  abbattere  per
ciascuna giornata di caccia». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato l'11-18 maggio 2011  e  depositato  il
successivo 17 maggio 2011 (reg. ric. n. 45 del 2011),  il  Presidente
del Consiglio dei ministri  ha  impugnato  varie  disposizioni  della
legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale 2011 e  pluriennale  2011-2013  della
Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2011),  tra  le  quali
l'art. 1, comma 250. 
    In particolare il ricorrente  ha  ritenuto  che  la  disposizione
censurata, stabilendo un termine di sessanta giorni per la  decisione
sulla domanda  di  autorizzazione  allo  scarico,  scaduto  il  quale
l'autorizzazione si intende provvisoriamente  concessa  per  sessanta
giorni, violerebbe l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, in quanto fisserebbe un livello di tutela  inferiore  a
quello stabilito dalla legislazione  statale  in  materia  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, segnatamente dall'art. 124, comma 7,
del decreto legislativo 30 aprile 2006,  n.  152  (Norme  in  materia
ambientale), che fissa in novanta giorni il  termine  per  provvedere
sulla domanda di autorizzazione allo scarico, e dall'art.  20,  comma
4, della legge 7 agosto 1990, n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi), che statuisce l'inapplicabilita'  dell'istituto  del
silenzio-assenso alla materia ambientale. 
    2.- Con ricorso notificato il 23-27 giugno 2011 e  depositato  il
successivo 30 giugno (reg. ric. n. 62 del 2011),  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 1,  commi  5  e  8,  della
legge della Regione Campania 5 maggio 2011,  n.  7  (Modifiche  della
legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9, concernente il rischio sismico,
della  legge  regionale  25   agosto   1989,   n.   15,   concernente
l'ordinamento amministrativo del  consiglio  regionale,  della  legge
regionale 28 marzo 2007, n. 4, concernente la materia della  gestione
dei rifiuti, della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7,  concernente
l'ordinamento contabile della regione Campania, della legge regionale
28 novembre 2008, n. 16, e della legge regionale 3 novembre 1994,  n.
32, concernenti il riordino del servizio sanitario regionale e  della
legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria
regionale 2011), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera
s), e terzo comma, Cost. 
    In particolare, il ricorrente osserva  che  l'art.  1,  comma  8,
della legge reg. n. 7 del 2011, nel consentire ai Comuni di avvalersi
delle  Province  ai   fini   della   decisione   sulle   istanze   di
autorizzazione allo scarico di acque reflue, richiama l'art. 1, comma
250, della legge reg. n. 4 del 2011, disposizione  che,  come  detto,
stabilisce un termine di  sessanta  giorni  per  la  decisione  sulla
domanda  di   autorizzazione   allo   scarico,   scaduto   il   quale
l'autorizzazione si intende provvisoriamente  concessa  per  sessanta
giorni, salvo  revoca.  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
ritiene, quindi, che, attraverso il predetto richiamo  normativo,  si
estenda anche all'impugnato art. 1, comma 8,  il  medesimo  vizio  di
illegittimita'   costituzionale   che   colpisce   la    disposizione
richiamata, la quale fissa un livello di tutela  inferiore  a  quello
stabilito  dalla  legislazione  statale   in   materia   di   «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», segnatamente dall'art.  124,  comma
7, del d.lgs. n. 152 del 2006, che stabilisce in  novanta  giorni  il
termine per provvedere sulla domanda di autorizzazione allo  scarico,
e dall'art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990,  che  statuisce
l'inapplicabilita' dell'istituto del  silenzio-assenso  alla  materia
ambientale. 
    Quanto all'art. 1, comma 5, della legge reg. n. 7  del  2011,  il
ricorrente  ritiene  che  la  prevista  conclusione  obbligatoria  di
contratti, per la fornitura di cure palliative da parte delle aziende
sanitarie locali, abbia introdotto oneri non rispettosi dei limiti di
spesa previsti dall'art. 1, comma 796, lettere a),  b)  e  t),  della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2007),
costituenti principi fondamentali in materia di «coordinamento  della
finanza  pubblica»,  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.
Inoltre, la medesima  disposizione,  prevedendo  la  conclusione  dei
contratti con strutture sanitarie autorizzate,  ma  non  accreditate,
non assicurerebbe i livelli minimi di tutela della  salute  garantiti
dagli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater  del  decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421) attraverso i requisiti,  in  essi  previsti,  per  l'ottenimento
dell'accreditamento, con conseguente ulteriore  violazione  dell'art.
117, terzo comma, Cost. anche sotto questo profilo. 
    3.- Con ricorso notificato il 3-7 ottobre 2011  e  depositato  il
successivo 7 ottobre (reg. ric. n. 119 del 2011), il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha  impugnato  l'art.  1,  commi  19  e  35  -
quest'ultimo nella parte in cui introduce l'art. 1, commi  237-nonies
e 237-octodecies, della legge reg. Campania n. 4  del  2011  -  della
legge della Regione Campania  4  agosto  2011,  n.  14  (Disposizioni
urgenti in materia di finanza regionale),  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. 
    In particolare, l'impugnato art. 1, comma 19, prevede che:  «[l]a
Giunta regionale e' autorizzata a  disciplinare  con  regolamento  il
calendario venatorio della Regione Campania e  relativo  regolamento,
sentita la Commissione consiliare permanente competente per  materia,
in base alla competenza legislativa della Regione nella materia della
caccia,  in  conformita'  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione ed in  osservanza  dei  seguenti  criteri  generali:  a)
validita' triennale del calendario  venatorio  regionale;  b)  tutela
della fauna selvatica e delle produzioni agricole; c) rispetto  della
vigente normativa nazionale e  regionale  incidente  in  materia;  d)
perseguimento   degli   obiettivi   di   efficienza,   efficacia   ed
economicita' dell'azione amministrativa». 
    Il ricorrente  ravvisa  una  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma,  lettera  s),  Cost.,  in  quanto  la  disposizione  censurata
autorizza la Giunta  regionale  a  disciplinare  con  regolamento  il
calendario venatorio della Regione Campania per una durata triennale,
mentre le disposizioni statali di cui all'art. 18, commi  2,  3  e  4
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la  protezione  della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) richiedono che
il calendario venatorio sia approvato con cadenza annuale. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri ha poi  impugnato  anche
l'art. 1, comma 35, della legge reg. Campania n. 14 del  2011,  nella
parte in cui introduce, nell'art. 1 della legge reg. n. 4  del  2011,
il comma 237-nonies, secondo cui,  se  il  numero  delle  domande  di
accreditamento istituzionale presentate dalle strutture  sanitarie  e
socio-sanitarie private eccede il fabbisogno  regionale  programmato,
si deve tener conto dell'ordine  cronologico  di  acquisizione  delle
istanze. La medesima disposizione e' impugnata altresi'  nella  parte
in cui introduce, nell'art. 1 della legge reg.  n.  4  del  2011,  il
comma 237-octodecies che, modificando l'art. 8, comma 5, della  legge
della Regione Campania 28 novembre 2008, n. 16 (Misure  straordinarie
di  razionalizzazione  e  riqualificazione  del   sistema   sanitario
regionale per il rientro dal disavanzo), stabilisce che, al  fine  di
colmare le carenze regionali di offerta,  le  strutture  destinate  a
erogare prestazioni di assistenza palliativa  operano  in  regime  di
accreditamento,   fermo   il    rispetto    della    procedura    per
l'accreditamento definitivo. 
    Quanto al comma 237-nonies, il ricorrente ritiene che esso  violi
il principio fondamentale stabilito dall'art. 8-quater, comma 8,  del
d.lgs. n. 502 del 1992, secondo  cui,  in  caso  di  superamento  dei
limiti di volume di attivita' prevista dalla programmazione sanitaria
nazionale, la  revoca  dell'accreditamento  deve  essere  operata  in
misura proporzionale al concorso  a  tale  superamento  apportato  da
strutture pubbliche, private non lucrative e private lucrative. 
    In ordine al  citato  comma  237-octodecies,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri reputa che esso violi l'art. 117, terzo comma,
Cost., perche' costituirebbe un intervento regionale  in  materia  di
accreditamento  sanitario,  tale  da  contravvenire  al  riparto   di
competenze fissato dall'art. 117, terzo comma, Cost.  in  materia  di
«tutela della salute». 
    4.- Occorre preliminarmente  disporre  la  riunione  dei  giudizi
introdotti con i ricorsi di cui sopra, in quanto tra loro collegati e
implicanti la soluzione di questioni affini. 
    5.- Sempre in via preliminare deve rilevarsi che le  impugnazioni
proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso  n.
62 del 2011, indicato in epigrafe, sono state oggetto di rinuncia  da
parte del ricorrente, con atto depositato in  data  27  luglio  2012.
Poiche' la rinuncia e' stata accettata  dalla  Regione  Campania  con
atto depositato in data 20 settembre 2012, il relativo giudizio  deve
essere dichiarato estinto. 
    In data 4 luglio  2012,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
depositato un ulteriore atto di rinuncia,  relativo  all'impugnazione
proposta con il ricorso n. 119 del 2011, indicato in  epigrafe,  «nei
termini e nei limiti  di  cui  alla  delibera  stessa».  Quest'ultima
prevede espressamente  la  rinuncia  «limitatamente  all'articolo  1,
comma 35, nella parte in cui introduce il comma 237-octodecies  della
legge della regione Campania n. 4 del 15 marzo  2011».  Poiche',  con
atto depositato in data  26  luglio  2012,  la  Regione  Campania  ha
accettato la rinuncia, il relativo  giudizio  deve  parimenti  essere
dichiarato estinto,  limitatamente  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale avente ad oggetto il citato art. 1,  comma  35,  della
legge reg. n. 14 del 2011 nella parte  in  cui  introduce  l'art.  1,
comma 237-octodecies, nella legge reg. n. 4 del 2011. 
    6.- Ancora in via  preliminare  va  osservato,  in  relazione  al
ricorso n. 45 del 2011 indicato in epigrafe, che la Regione  Campania
ne ha eccepito l'inammissibilita', per genericita' della delibera  di
autorizzazione all'impugnazione che  non  conterrebbe  le  specifiche
disposizioni della legge regionale da impugnare. 
    Tuttavia le disposizioni regionali impugnate - compreso l'art. 1,
comma 250, della legge reg.  n.  4  del  2011  oggetto  del  presente
giudizio - e i motivi delle relative censure risultano indicati nella
relazione ministeriale, richiamata nella delibera  di  autorizzazione
all'impugnazione. 
    La citata relazione ministeriale non  era  stata  originariamente
depositata unitamente al ricorso e il deposito  e'  intervenuto  solo
successivamente, in data 21 febbraio 2012, su richiesta del relatore,
insieme alla istanza di discussione in udienza pubblica. 
    Orbene, secondo la giurisprudenza  costituzionale  (ex  plurimis,
sentenza  n.  134  del   2004),   la   delibera   di   autorizzazione
all'impugnazione deve soddisfare, a pena di inammissibilita', l'onere
di indicare le specifiche disposizioni di legge da  impugnare  almeno
quando, come nella specie, la legge abbia un  contenuto  disomogeneo.
La stessa giurisprudenza riconosce, pero',  la  possibilita'  che  la
delibera possa essere integrata per relationem attraverso il richiamo
alla relazione ministeriale, acquisibile anche  d'ufficio  da  questa
Corte, senza che cio' menomi i diritti di difesa. 
    L'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla Regione  Campania
con riferimento al citato  ricorso  n.  45  del  2011,  deve  percio'
considerarsi  non  fondata  all'esito  dell'intervenuta  acquisizione
della relazione ministeriale. In  tal  senso  deve  pure  richiamarsi
quanto questa Corte ha gia' osservato nella sentenza n. 141 del 2014,
con la quale, decidendo su  altre  questioni  proposte  nel  medesimo
ricorso (reg. ric.  n.  45  del  2011),  e'  stata  respinta  analoga
eccezione  di  inammissibilita'.  Piu'  precisamente,  nella   citata
sentenza,  la  Corte  ha  affermato  che  «il  necessario  grado   di
determinatezza della delibera nell'individuazione delle  disposizioni
da impugnare emerge chiaramente dalla delibera stessa, che  indica  i
commi da impugnare, sia pure in taluni casi aggregandoli, e richiama,
seppur in sintesi, la materia disciplinata, nonche' le ragioni  della
pretesa incostituzionalita'  ed  i  parametri  asseritamente  violati
(sentenze n. 220, n. 246 e n. 309 del 2013)». 
    Parimenti  infondate  sono  le  censure  d'inammissibilita'   del
ricorso n. 119 del 2011, indicato in epigrafe, per genericita'  delle
doglianze,  dovendosi  invece  ritenere,  proprio  sulla  base  della
narrativa che precede,  che  le  medesime  siano  supportate  da  una
sufficiente, ancorche' sintetica, esposizione delle  ragioni  per  le
quali il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  ritenuto  che  le
disposizioni  regionali  impugnate  violino   i   plurimi   parametri
costituzionali precisamente indicati. 
    7.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 250, della legge reg. Campania n. 4 del  2011,  e'
fondata. 
    La disposizione censurata,  infatti,  stabilisce  un  termine  di
sessanta giorni per la decisione sulla domanda di autorizzazione allo
scarico di acque reflue in fognatura e prevede altresi' che,  scaduto
detto termine, l'autorizzazione si intende provvisoriamente  concessa
per sessanta giorni, salvo revoca. 
    Questa Corte ha gia' precisato che la disciplina  degli  scarichi
in  fognatura  attiene  alla  materia  dell'ambiente,  di  competenza
esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 187 e n. 44 del 2011). Di
conseguenza, alle Regioni  non  e'  consentito  intervenire  in  tale
ambito, specie se l'effetto e' la diminuzione dei livelli  di  tutela
stabiliti dallo Stato (ex plurimis, sentenza n. 225 del 2009). Questa
Corte ha inoltre gia' avuto occasione di precisare che la  previsione
del silenzio-assenso dell'amministrazione alla scadenza di un termine
piu' breve, rispetto a quello stabilito dalla  legislazione  statale,
per la decisione su  istanze  di  autorizzazione,  determina  livelli
inferiori di tutela in materia ambientale (ex plurimis,  sentenza  n.
315  del  2009),  con  conseguente  illegittimita'   delle   relative
disposizioni regionali. 
    Pertanto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa regionale,
l'art. 1, comma 250, della legge reg. Campania  n.  4  del  2011,  e'
costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.,  in  quanto  determina  livelli  di  tutela
ambientale inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge  statale,
segnatamente dall'art. 124, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 - che
fissa, invece, il termine perentorio di 90 giorni per la  concessione
dell'autorizzazione - e dall'art. 20, comma 4, della legge n. 241 del
1990,  che  esclude  l'applicabilita'  del  «silenzio-assenso»   alla
materia ambientale. 
    8.-  Parimenti  fondata   e'   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 19, della  legge  reg.  n.  14  del
2011. 
    La disposizione censurata prevede, come  detto,  che  la  «Giunta
regionale e' autorizzata a disciplinare con regolamento il calendario
venatorio della Regione Campania e relativo regolamento,  sentita  la
Commissione consiliare permanente competente  per  materia,  in  base
alla competenza legislativa della Regione nella materia della caccia,
in conformita' al titolo V della parte seconda della Costituzione  ed
in osservanza dei seguenti criteri generali: a)  validita'  triennale
del calendario venatorio regionale; b) tutela della fauna selvatica e
delle  produzioni  agricole;  c)  rispetto  della  vigente  normativa
nazionale e regionale incidente in materia;  d)  perseguimento  degli
obiettivi  di  efficienza,  efficacia  ed  economicita'   dell'azione
amministrativa». 
    Le censure si appuntano sulla cadenza triennale anziche'  annuale
del calendario, di tal che, cosi' precisato il thema  decidendum,  si
deve circoscrivere l'oggetto  della  censura  alla  sola  lettera  a)
dell'art. 1, comma 19, della citata legge reg. n. 14 del 2011. 
    Questa Corte si e' gia' ripetutamente occupata di leggi regionali
che consentono  alle  rispettive  Giunte  di  fissare  un  calendario
venatorio con cadenza triennale (ex plurimis,  sentenza  n.  116  del
2012), ravvisando un contrasto con l'art. 18, comma 4, della legge n.
157 del 1992, secondo cui le «Regioni, sentito  l'Istituto  nazionale
per la fauna selvatica [ora Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale, d'ora innanzi «ISPRA»] (...) pubblicano, entro  e
non oltre il 15 giugno, il  calendario  regionale  e  il  regolamento
relativi  all'intera  annata  venatoria  (...)».  Con  tale  formula,
infatti, la disposizione statale «esige che il  calendario  venatorio
sia pubblicato entro il 15 giugno di  ogni  anno,  vale  a  dire  con
cadenza  annuale»  (sentenze  n.  116  e  n.  20  del  2012).   Detta
interpretazione appare coerente, oltre che con  la  ricorrenza  delle
stagioni  di  caccia,  con  l'esigenza  che  la   rilevazione   delle
situazioni ambientali locali, che si pone  alla  base  delle  deroghe
alla generale disciplina statale in tema di specie  cacciabili  e  di
periodi di esercizio  venatorio,  abbia  luogo  -  anche  tramite  il
prescritto parere dell'ISPRA - con cadenze non eccessivamente diluite
nel tempo, cosi' da garantire un costante adeguamento del  calendario
al mutare di tali situazioni. In simile  prospettiva,  la  previsione
dell'efficacia triennale del calendario  venatorio  regionale  viene,
quindi, ad indebolire «il "regime di flessibilita'"  (...)  che  deve
assicurarne  un  pronto   adattamento   alle   sopravvenute   diverse
condizioni di fatto» (sentenza n. 105 del 2012). 
    E' pur vero che, dopo l'impugnazione, il legislatore regionale e'
nuovamente intervenuto in materia, segnatamente con l'art. 24,  comma
1, della legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per
la protezione  della  fauna  selvatica  e  disciplina  dell'attivita'
venatoria in Campania), stabilendo  in  particolare  che  «La  Giunta
regionale, (...)  entro  e  non  oltre  il  15  giugno,  pubblica  il
calendario regionale ed il  regolamento  relativo  all'intera  annata
venatoria per i periodi e per le specie  previste  dall'articolo  15,
con la indicazione del numero  massimo  dei  capi  da  abbattere  per
ciascuna giornata di caccia». Tuttavia, la Regione non  ha  in  alcun
modo  dimostrato  che  la  disposizione  impugnata  non   sia   stata
applicata, di tal che, considerato che la modifica alla disciplina e'
stata adottata piu'  di  un  anno  dopo  l'entrata  in  vigore  della
censurata disposizione, il vulnus, rappresentato dalla previsione del
potere di adottare  un  calendario  triennale,  deve  ritenersi  gia'
verificato, con conseguente impossibilita' di dichiarare cessata, sul
punto, la materia del contendere. 
    L'art. 1, comma 19, lettera a), della legge reg. n. 14  del  2011
deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo,  in
quanto stabilisce la validita'  triennale  del  calendario  venatorio
regionale, anziche' annuale, in  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    9.-  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  concernente
l'art. 1, comma 35, della legge reg. n. 14 del 2011, nella  parte  in
cui introduce il comma 237-nonies all'art. 1 della legge  reg.  n.  4
del 2011 non e' fondata. 
    La disposizione regionale impugnata indica  l'ordine  cronologico
quale criterio di cui tenere conto nella  selezione  delle  strutture
sanitarie private cui  accordare  l'accreditamento  istituzionale  in
caso di domande in numero superiore  al  fabbisogno  sanitario  della
Regione.  Essa  si  applica  alle  sole  strutture  private,  con  la
conseguenza che solo all'interno di tale categoria  di  strutture  ha
rilievo il  criterio  cronologico  di  acquisizione  delle  pregresse
istanze   di    accreditamento    istituzionale,    ferma    restando
l'applicazione del principio generale  stabilito  dalla  legislazione
statale, all'art. 8-quater, comma 8, del  d.lgs.  n.  502  del  1992,
della riduzione delle domande in eccesso, da  effettuarsi  in  misura
proporzionale  tra  strutture  pubbliche,  private  non  lucrative  e
private lucrative. 
    In  base  a  tale  interpretazione  -  che,  invero,  e'  l'unica
percorribile, posto che il criterio cronologico e' previsto, appunto,
per le sole strutture private lucrative e non per quelle pubbliche  o
private non lucrative -  la  norma  non  determina  alcun  vulnus  al
principio fondamentale della materia allegato dal ricorrente. 
    La  sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale  deve,
quindi,  ritenersi  non  fondata  per  erroneita'   del   presupposto
interpretativo.