ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  16  della
legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione,
mobilita', trattamenti di  disoccupazione,  attuazione  di  direttive
della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed  altre  disposizioni
in materia di mercato del lavoro), promosso dalla Corte d'appello  di
Venezia nel  procedimento  civile  vertente  tra  D.S.  e  l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 2 maggio
2012, iscritta al n. 221 del registro  ordinanze  2012  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  41,  prima   serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  giugno  2014  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi l'avvocato Antonietta Coretti per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'appello di Venezia, sezione lavoro, con  ordinanza
depositata il 2 maggio 2012 (r.o. n. 221 del 2012), ha sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  38  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 16 della legge 23 luglio  1991,
n.  223  (Norme  in  materia  di   cassa   integrazione,   mobilita',
trattamenti  di  disoccupazione,  attuazione   di   direttive   della
Comunita' europea, avviamento al  lavoro  ed  altre  disposizioni  in
materia di mercato del lavoro), «nella parte in  cui  esclude  per  i
lavoratori  interinali,  successivamente  assunti  con  contratto  di
lavoro  a  tempo   indeterminato,   la   possibilita'   di   cumulare
nell'anzianita'  aziendale  utile  ai  fini  del  riconoscimento  del
diritto all'indennita' di mobilita'  anche  il  periodo  prestato  in
forza del contratto di lavoro interinale». 
    1.1.- La rimettente premette di essere chiamata a pronunciare nel
giudizio di appello promosso, con ricorso  depositato  il  28  agosto
2008  (r.g.  n.  665/2008),  dalla   signora   D.S.   nei   confronti
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS),  avverso  la
sentenza del Tribunale  ordinario  di  Vicenza,  sezione  lavoro,  30
agosto 2007, n. 219. 
    In punto di fatto, la Corte d'appello espone: che la sig.ra  D.S.
ha  lavorato  presso  la  societa'  Worldgem   spa,   quale   impresa
utilizzatrice, dal 19 giugno al 31 dicembre del  2000,  in  forza  di
contratto di lavoro temporaneo, stipulato ai  sensi  della  legge  24
giugno   1997,   n.   196   (Norme   in   materia    di    promozione
dell'occupazione), sottoscritto con l'agenzia Lavoro Temporaneo  spa;
che il contratto e' stato prorogato  fino  al  31  marzo  2001;  che,
successivamente, e' stato stipulato  un  nuovo  contratto  di  lavoro
temporaneo con scadenza al 31 gennaio 2002, successivamente prorogato
fino al 31 dicembre 2002; che il 2  agosto  2002  la  lavoratrice  e'
stata assunta dalla impresa utilizzatrice con contratto di  lavoro  a
tempo indeterminato,  a  decorrere  dal  2  settembre  2002  fino  al
licenziamento avvenuto in data 30 aprile 2003; che il 2  maggio  2003
la lavoratrice ha chiesto all'INPS l'erogazione della  indennita'  di
mobilita', ma la sua istanza e' stata respinta. 
    La rimettente precisa che la domanda, oggetto  del  giudizio,  si
fonda   sull'applicabilita',   anche   alla    concreta    situazione
dell'appellante, dell'art. 16  della  legge  n.  223  del  1991,  che
riconosce  il  diritto  all'indennita'  di  mobilita'  ai  lavoratori
occupati alle dipendenze della impresa  ammessa  alla  mobilita'  per
almeno dodici mesi,  di  cui  almeno  sei  di  lavoro  effettivamente
prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro  derivanti
da ferie, festivita'  e  infortuni,  con  un  rapporto  di  lavoro  a
carattere continuativo e, comunque, non a termine. 
    La Corte territoriale riferisce che, con  la  sentenza  di  primo
grado, e' stata esclusa la possibilita'  di  computare,  nel  periodo
utile  ai  fini  della  maturazione  del  diritto  all'indennita'  di
mobilita',  quello  lavorato  dalla   ricorrente   presso   l'impresa
utilizzatrice in forza di contratti di lavoro interinale. Il  giudice
a quo osserva che, computando anche il periodo prestato in  forza  di
quest'ultimo tipo di  rapporto,  la  lavoratrice  rientrerebbe  nella
previsione dell'art. 16 della  legge  n.  223  del  1991,  in  quanto
risulterebbe dipendente con contratto di lavoro a tempo indeterminato
alla data della messa in mobilita' ed  avrebbe  prestato  la  propria
attivita'  presso  la  medesima  impresa  da   almeno   dodici   mesi
continuativi. 
    In questa accezione - aggiunge la Corte rimettente - risulterebbe
sussistente anche il requisito della continuita'  del  rapporto,  dal
momento che il passaggio dal contratto di lavoro interinale a  quello
subordinato alle dirette  dipendenze  dell'impresa  sarebbe  avvenuto
«senza soluzione di continuita'». 
    La rimettente rileva  che,  all'epoca  della  formulazione  della
norma in esame, nel  nostro  ordinamento  non  esistevano  figure  di
rapporti di lavoro subordinato diverse  da  quelle  tradizionali  del
contratto a tempo determinato, disciplinato  dalla  legge  18  aprile
1962,  n.  230  (Disciplina  del  contratto   di   lavoro   a   tempo
determinato), la  quale  lo  ammetteva  soltanto  in  alcune  ipotesi
eccezionali,  e  del  contratto  a  tempo  indeterminato,  dato   che
l'utilizzazione di manodopera da parte di soggetto diverso dal datore
di lavoro formale era vietata dalla legge 23 ottobre  1960,  n.  1369
(Divieto di intermediazione ed interposizione  nelle  prestazioni  di
lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli  appalti
di opere e di servizi), e non esistevano forme diverse  riconducibili
all'area,    di    origine    extragiuridica,    della     cosiddetta
"flessibilita'". 
    La  Corte   d'appello   osserva   che,   nel   quadro   normativo
sommariamente richiamato, l'art. 16 della  legge  n.  223  del  1991,
nell'escludere dal proprio  ambito  di  applicazione  i  rapporti  di
lavoro fondati  su  un  contratto  a  tempo  determinato,  mirava  ad
escludere  le  ipotesi  di  ricorso  fraudolento  a  questo  tipo  di
contratto, al solo scopo  di  includere  i  relativi  lavoratori  nei
benefici riconosciuti a seguito della messa in mobilita'. 
    Il  collegio  rimettente  rileva   che   gli   attuali   problemi
applicativi della norma, come quelli prospettati nel giudizio a  quo,
devono essere considerati con riguardo al  mutato  quadro  normativo,
caratterizzato dall'introduzione, a partire dalla legge  n.  197  del
1996 (recte: legge 24 giugno  1997,  n.  196  «Norme  in  materia  di
promozione  dell'occupazione),  di   forme   legittime   di   diversa
imputazione dei rapporti di lavoro subordinato, riferibili sul  piano
formale  ad  un'agenzia  di  lavoro,  e,   sul   piano   sostanziale,
all'effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa. 
    Il rapporto di lavoro tra  l'appellante  e  la  Worldgem  spa  si
sarebbe svolto, nel periodo dal 19 giugno 2000  al  30  agosto  2002,
nell'ambito della disciplina dettata dalla  legge  n.  197  del  1996
(recte: n. 196 del 1997). In  sostanza,  l'appellante  sarebbe  stata
dipendente di Lavoro Temporaneo spa ed utilizzata da Worldgem spa  in
forza di contratto  di  lavoro  temporaneo;  successivamente,  «senza
soluzione di continuita'», a  partire  dal  2  settembre  2002,  essa
sarebbe stata assunta da Worldgem spa in forza di contratto di lavoro
a tempo indeterminato fino alla data del licenziamento,  avvenuto  il
30 aprile 2003. 
    1.2.- Il giudice a quo  ritiene  che  occorra  verificare  se  la
situazione  dell'appellante,   formalmente   fuori   dall'ambito   di
applicazione  della   norma,   sia   compatibile   con   i   principi
costituzionali, in particolare con l'art. 3 Cost. 
    Ad  avviso  della  Corte  d'appello,  si  dovrebbe  valutare   la
peculiarita' della posizione dei lavoratori dipendenti da  un'agenzia
di  lavoro   interinale   nel   mercato   del   lavoro   e,   quindi,
nell'ordinamento giuridico non  solo  nazionale,  ma  anche  europeo,
considerando, al riguardo, la direttiva comunitaria 19 novembre 2008,
n. 2008/104/CE (Direttiva del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio
relativa al  lavoro  tramite  agenzia  interinale),  attuata  con  il
decreto legislativo 2 marzo 2012, n. 24 (Attuazione  della  direttiva
2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale). 
    In particolare - precisa la Corte di merito - tanto la disciplina
comunitaria  che  quella  nazionale  rispondono  al  principio  della
identita' delle condizioni di lavoro e di occupazione tra  lavoratori
interinali e quelli impiegati direttamente dall'utilizzatore. 
    Al riguardo, la rimettente riporta il considerando  n.  14  della
direttiva comunitaria n. 2008/104/CE, secondo cui: «Le condizioni  di
base di lavoro e  d'occupazione  applicabili  ai  lavoratori  tramite
agenzia interinale dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si
applicherebbero a tali lavoratori se fossero  direttamente  impiegati
dalla impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro»,  nonche'
l'art.  23  del  decreto  legislativo  10  settembre  2003,  n.   276
(Attuazione delle deleghe in materia di  occupazione  e  mercato  del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30),  come  modificato
dall'art. 7 del d.lgs. n. 24 del 2012, secondo  cui:  «Per  tutta  la
durata della missione presso un utilizzatore, i lavoratori dipendenti
dal somministratore hanno diritto a condizioni di base  di  lavoro  e
d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei  dipendenti
di pari livello dell'utilizzatore, a parita' di mansioni svolte». 
    La Corte territoriale rileva, inoltre, come  tanto  la  direttiva
comunitaria, che la  normativa  nazionale  di  attuazione  (che,  sul
punto, ha modificato la formulazione dell'art. 23 del d.lgs.  n.  276
del  2003),  prevedano  il  diritto  del  lavoratore   interinale   o
somministrato  di  essere  informato  dall'utilizzatore   dei   posti
vacanti, in modo da potere concorrere, unitamente  ai  dipendenti  di
quest'ultimo, alla copertura di quei posti con contratto di lavoro  a
tempo  indeterminato  (art.  6   della   direttiva   comunitaria   n.
2008/104/CE e art. 23, ultimo comma, del d.lgs. n. 276 del 2003, come
modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 24 del 2012). 
    La rimettente ricorda anche che l'art. 6, comma 2,  della  citata
direttiva comunitaria vieta agli Stati membri di adottare  norme  che
impediscano la  stipulazione  di  un  contratto  di  lavoro  a  tempo
indeterminato tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore  interinale
al termine della missione. 
    La Corte territoriale  ritiene  che  le  norme  richiamate  siano
particolarmente rilevanti nella fattispecie in esame, in  quanto,  da
un lato,  affermano  il  principio  di  parita'  di  trattamento  tra
lavoratori interinali  e  lavoratori  direttamente  dipendenti  dalle
imprese utilizzatrici, non solo nei trattamenti base, ma anche  nelle
forme di accesso ai servizi offerti da queste ultime  e,  dall'altro,
evidenziano  la  tendenza  normativa  a  favorire  quei  percorsi  di
inserimento del lavoratore interinale presso l'azienda utilizzatrice. 
    La vicenda in oggetto sarebbe inquadrabile proprio  nel  percorso
di inserimento del lavoratore interinale  nell'impresa  utilizzatrice
nonche' di stabilizzazione del rapporto  di  lavoro  delineato  dalla
direttiva comunitaria e dalla legge nazionale di attuazione,  essendo
stata l'appellante, al termine della missione,  assunta  dall'impresa
utilizzatrice con contratto di lavoro a tempo indeterminato. 
    Ad avviso della Corte d'appello, le peculiarita' del rapporto  di
lavoro  tra  l'appellante  e  l'impresa  utilizzatrice,  nonche'   la
relativa disciplina dettata  sul  piano  del  diritto  comunitario  e
nazionale, inducono  a  dubitare  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 16 della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui  esclude
dal beneficio della indennita' di mobilita' quei lavoratori che,  pur
potendo vantare un periodo di  attivita'  aziendale  continuativa  di
dodici mesi, si trovino  nella  condizione  di  imputare  formalmente
parte di questo periodo ad un rapporto  con  una  agenzia  di  lavoro
interinale. 
    Il collegio  rimettente  osserva,  al  riguardo,  che  la  stessa
giurisprudenza   di   legittimita',    con    particolare    riguardo
all'applicazione della norma in oggetto ai  lavoratori  a  domicilio,
abbia  sottolineato  la   centralita'   che,   nella   individuazione
dell'ambito di applicazione della stessa, assume il riferimento  alla
anzianita' "aziendale". 
    In particolare, secondo la Corte di cassazione, con la  locuzione
"anzianita' aziendale" la norma in questione farebbe riferimento  non
gia' al dato topografico, costituito dal luogo di  svolgimento  della
prestazione  lavorativa,  ma  al  suo  coordinamento  con  il   ciclo
produttivo   aziendale,   qualificato   tanto   dall'elemento   della
collaborazione che  dall'inserimento  dell'attivita'  lavorativa  nel
contesto dell'organizzazione dell'impresa, attraverso l'esecuzione di
prestazioni analoghe o complementari a  quelle  tipiche  dell'impresa
utilizzatrice (ex multis, Corte di cassazione, prima sezione  civile,
sentenza 16 giugno  2000,  n.  8221;  Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro, sentenza 18 giugno 1999, n. 6150). 
    Questi richiami condurrebbero a ritenere che  la  situazione  del
lavoratore temporaneo, il quale sia stato  stabilizzato  dall'impresa
utilizzatrice attraverso la stipulazione di un contratto di lavoro  a
tempo  indeterminato,  non  possa  essere  equiparata  a  quella  del
lavoratore dipendente in  forza  di  un  contratto  a  carattere  non
continuativo o a termine. 
    La Corte d'appello osserva, in particolare, che la situazione del
lavoratore  interinale,  successivamente  assunto  con  contratto  di
lavoro a  tempo  indeterminato  dall'impresa  utilizzatrice,  sarebbe
caratterizzata   dalla   riconducibilita'    dell'intera    attivita'
lavorativa   alla   stessa   realta'   aziendale,   secondo    quelle
caratteristiche  di  collaborazione  e  di  inserimento   nel   ciclo
produttivo dell'impresa  gia'  valorizzate  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' richiamata.  Peraltro,  la  successiva  assunzione,  con
contratto di lavoro a tempo  indeterminato,  risponderebbe  a  quella
esigenza di stabilizzazione dei rapporti di lavoro interinale che  e'
alla base della legislazione comunitaria e nazionale. 
    1.3.- In questo quadro, la norma censurata  violerebbe  l'art.  3
Cost., creando una situazione irragionevolmente  distinta  da  quella
dei lavoratori subordinati a  tempo  indeterminato  che,  invece,  si
vedrebbero riconosciuto quel beneficio, a parita'  di  anzianita'  di
servizio effettivamente prestato a favore dell'impresa. 
    In sostanza, la situazione dei lavoratori assunti con contratto a
tempo indeterminato a seguito  di  un  periodo  svolto  in  forza  di
contratto di lavoro interinale verrebbe ad essere ingiustificatamente
differenziata rispetto a quella dei lavoratori a tempo indeterminato,
di  pari  anzianita'  lavorativa,   all'interno   dell'azienda,   con
irragionevole esclusione per i primi dal beneficio  della  indennita'
di mobilita', ancorche' sussistano principi  tesi  ad  assicurare  la
parita' di trattamento all'interno  dell'impresa  utilizzatrice  e  a
favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro interinali. 
    La  rimettente  ricorda,  al  riguardo,  che  la   giurisprudenza
costituzionale avrebbe piu' volte affermato il principio  di  parita'
di trattamento in materia previdenziale e assistenziale,  allorquando
le disparita' derivanti dalle leggi ordinarie  siano  state  ritenute
prive di ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 369  del  1985;  n.
108 del 1977 e n. 103 del 1968). 
    La Corte d'appello ricorda, in particolare, che,  nella  sentenza
n. 121 del 2006, relativa alla estensione  ai  lavoratori  a  termine
della indennita' di disoccupazione spettante ai  lavoratori  a  tempo
parziale  verticale,  questa  Corte  ha   sottolineato,   anche   con
riferimento alla tutela di cui all'art. 38 Cost., la centralita'  del
requisito della  persistenza  del  rapporto  di  lavoro  della  prima
categoria, quale elemento sufficiente a fondare una piu' ampia tutela
contro la disoccupazione, evidenziando  la  rilevanza,  sotto  questo
aspetto,  del  requisito  della  continuita'  del  rapporto  e  della
prestazione lavorativa. 
    La rimettente ritiene che la norma censurata contrasti anche  con
l'art. 38 Cost., in quanto, con riguardo ai lavoratori temporanei  il
cui rapporto sia  stato  successivamente  stabilizzato,  escluderebbe
irragionevolmente  la  continuita'  del  rapporto  di  lavoro   quale
elemento fondante il diritto alla indennita' di mobilita'. 
    Inoltre, l'art. 38 Cost. sarebbe violato in quanto il legislatore
non potrebbe privare ingiustificatamente di tutela i  lavoratori  che
si trovino in situazioni simili. 
    Al riguardo, il collegio rimettente richiama la sentenza  n.  285
del 2003, con la quale questa Corte , nell'escludere l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  11  della  legge  n.  223  del  1991,   ha
sottolineato  la  specificita'  della  disciplina   dettata   per   i
lavoratori edili, ponendo in  rilievo  il  carattere  generale  della
prestazione della indennita' di mobilita'. 
    La  rimettente  ritiene,  pertanto,  le  sollevate  questioni  di
costituzionalita' non manifestamente infondate, in quanto,  in  forza
della  formulazione  della  norma  e   dell'assenza   di   specifiche
disposizioni previste dalla disciplina  comunitaria  e  nazionale  in
materia,  non  sarebbe  possibile  sopperire  alla  lacuna  normativa
attraverso un'attivita' interpretativa costituzionalmente orientata. 
    1.4.- Inoltre, essa reputa le questioni rilevanti, in  quanto  il
riconoscimento  del  diritto  azionato   in   giudizio   dipenderebbe
direttamente  dalla  soluzione  della  questione   prospettata,   con
specifico riferimento alla possibilita' di computare nel  periodo  di
anzianita' aziendale, utile per il riconoscimento della indennita' di
mobilita', anche il periodo prestato  in  forza  di  un  rapporto  di
lavoro interinale. 
    La  rimettente  esclude  che  la  rilevanza   delle   prospettate
questioni possa venire meno per la mancanza di  una  previa  verifica
degli  ulteriori  presupposti  necessari  per  la  concessione   alla
ricorrente dell'indennita' di mobilita'. 
    Al riguardo, il giudice a quo richiama la sentenza n. 6 del 1999,
con la quale questa Corte ha affermato,  in  riferimento  all'art.  6
della legge n. 223 del 1991 e alla copertura contributiva,  la  piena
legittimita'  di  un  sistema  che   consentisse   l'accertamento   a
posteriori dei presupposti per il riconoscimento della indennita'  di
mobilita'. 
    2.- Con memoria  depositata  in  data  25  ottobre  2012,  si  e'
costituito  in  giudizio  l'INPS,  chiedendo  che  le  questioni   di
legittimita' costituzionale siano  dichiarate  inammissibili  o,  nel
merito, non fondate. 
    Preliminarmente, l'Istituto precisa che la  vicenda  oggetto  del
giudizio a quo si e' svolta nel vigore della disciplina del  rapporto
di lavoro interinale di cui alla legge n. 196 del 1997. 
    Al  riguardo,  l'Istituto  resistente  ricorda  che,  secondo  la
giurisprudenza di legittimita', il  rapporto  di  lavoro  interinale,
disciplinato dalla legge n. 196 del  1997,  ha  luogo  attraverso  la
stipulazione di  due  distinti  contratti:  quello  di  fornitura  di
prestazioni di lavoro temporaneo, stipulato tra l'impresa  fornitrice
e quella utilizzatrice,  e  quello  tra  il  lavoratore  e  l'impresa
fornitrice, con conseguente scissione  del  rapporto  di  lavoro  fra
gestione  normativa,  che   compete   alla   fornitrice,   e   quella
tecnico-produttiva,   che   compete   all'utilizzatrice   (Corte   di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 10 aprile 2012, n. 5667). 
    L'INPS sottolinea che, secondo la giurisprudenza di legittimita',
il presupposto legittimante della  fattispecie  complessa  risultante
dal contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo e  dal
contratto per prestazioni di lavoro temporaneo  e'  costituito  dalle
«esigenze di carattere temporaneo» di cui all'art. 1, comma 1,  della
legge n. 196 del 1997 (Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenza
12 gennaio 2012, n. 232). 
    L'Istituto resistente richiama anche la sentenza di questa  Corte
n. 58 del 2006, nella quale si e' precisato che, con il contratto per
prestazioni di lavoro  temporaneo,  l'impresa  fornitrice  assume  il
lavoratore a tempo  determinato,  corrispondente  alla  durata  della
prestazione lavorativa presso  l'impresa  utilizzatrice,  o  a  tempo
indeterminato.  Il  prestatore  di  lavoro   temporaneo,   dipendente
dell'impresa fornitrice, svolge,  per  la  durata  della  prestazione
lavorativa presso  l'impresa  utilizzatrice,  la  propria  attivita',
nell'interesse e  sotto  la  direzione  e  il  controllo  di  questa;
nell'ipotesi  di  contratto   a   tempo   indeterminato,   rimane   a
disposizione dell'impresa fornitrice per i periodi in cui non  svolge
la prestazione lavorativa presso un'impresa utilizzatrice. 
    L'INPS ricorda, peraltro, che, nell'ambito della  disciplina  del
lavoro "temporaneo" di cui alla legge  n.  196  del  1997,  rilevante
ratione temporis, e' espressamente previsto  che  «Il  prestatore  di
lavoro temporaneo ha diritto a fruire di tutti i servizi  sociali  ed
assistenziali di cui godono i dipendenti  dell'impresa  utilizzatrice
addetti  alla  stessa  unita'  produttiva,  esclusi  quelli  il   cui
godimento sia condizionato [...] al conseguimento di una  determinata
anzianita' di servizio» (art. 6, comma 4) e  che  «Il  prestatore  di
lavoro  temporaneo  non  e'  computato   nell'organico   dell'impresa
utilizzatrice ai fini dell'applicazione di normative di legge  [...]»
(art. 6,  comma  5).  Inoltre,  e'  anche  previsto  che  «Gli  oneri
contributivi e previdenziali,  previsti  dalle  vigenti  disposizioni
legislative, sono a carico delle imprese fornitrici che, ai  sensi  e
per gli effetti di cui all'articolo 49 della legge 9 marzo  1989,  n.
88 sono inquadrate nel settore terziario» (art.  9,  comma  1,  prima
parte). 
    In  primo  luogo,  l'INPS  eccepisce   l'inammissibilita'   delle
questioni di legittimita' costituzionale per inesatta identificazione
del quadro normativo. 
    Sotto questo aspetto, l'Istituto resistente osserva che, vertendo
il  prospettato   dubbio   di   legittimita'   costituzionale   sulla
impossibilita' di riconoscere il medesimo trattamento previdenziale o
assistenziale  al  lavoratore  interinale  rispetto   ai   lavoratori
dipendenti dell'impresa utilizzatrice, in ragione della necessita' di
considerare una determinata anzianita' di servizio presso  l'azienda,
il collegio rimettente avrebbe dovuto semmai censurare il  richiamato
art. 6, comma 4, della legge n. 196 del 1997. 
    In secondo luogo, l'INPS eccepisce anche  l'inammissibilita'  per
irrilevanza delle questioni nel giudizio a quo. 
    Al riguardo, osserva che l'art. 16, comma 1, della legge  n.  223
del 1991, non solo non ammette, ai fini  della  anzianita'  aziendale
utile per maturare  il  diritto  alla  indennita'  di  mobilita',  la
possibilita' di cumulare i periodi lavorativi svolti presso l'azienda
utilizzatrice, in forza di  un  contratto  di  lavoro  interinale,  a
quelli svolti in virtu'  della  stabilizzazione  presso  la  medesima
azienda, ma prevede espressamente la necessita'  di  una  determinata
anzianita'  aziendale  «con  un  rapporto  di  lavoro   a   carattere
continuativo e comunque non a termine» (Corte di cassazione,  sezione
unite civili, sentenza 21 marzo 2001, n. 106). 
    Pertanto,   l'eventuale   accoglimento   della   questione   come
prospettata - dell'art. 16 della legge n. 223 del 1991, «nella  parte
in cui esclude per i lavoratori interinali,  successivamente  assunti
con contratto di lavoro a tempo  indeterminato,  la  possibilita'  di
cumulare nell'anzianita' aziendale utile ai fini  del  riconoscimento
del diritto all'indennita' di mobilita' anche il periodo prestato  in
forza del contratto  di  lavoro  interinale»  -  non  impedirebbe  il
rigetto della domanda  nel  giudizio  a  quo,  non  potendosi,  nella
specifica fattispecie, maturare la necessaria "anzianita'  aziendale"
in forza di un rapporto di lavoro "continuativo", ma solo  in  virtu'
della «somma di vari periodi di lavoro a termine»  (possibilita'  che
continuerebbe ad essere esclusa dal medesimo art. 16). 
    Nel merito, l'INPS deduce la non fondatezza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    Invero, in ordine alla  dedotta  violazione  dell'art.  3  Cost.,
l'Istituto  resistente   osserva   che   tutti   i   trattamenti   di
disoccupazione diversi  dall'indennita'  ordinaria  richiedono  quale
requisito di accesso una anzianita' lavorativa minima  specificamente
e  differentemente  indicata  dalle   rispettive   norme   di   legge
istitutive. 
    In particolare, l'Istituto osserva che l'indennita' di  mobilita'
e gli altri trattamenti speciali  di  disoccupazione  sono  riservati
soltanto a coloro che, per avere maturato una prestabilita anzianita'
lavorativa  presso  l'impresa  che  ha   intimato   i   licenziamenti
collettivi, per riduzione del personale o  cessazione  dell'attivita'
aziendale, risentono maggiormente delle  conseguenze  pregiudizievoli
della disoccupazione rispetto  ad  altri  lavoratori  inseriti  nella
medesima impresa in forza di contratti di lavoro a termine, stante la
mancata stabilita' di questi ultimi nell'organizzazione produttiva. 
    La ratio sottesa alla norma censurata consisterebbe nel fatto  di
scongiurare assunzioni  fraudolente  e  fittizie  nell'imminenza  dei
licenziamenti al verificarsi dello stato di crisi. 
    Ad avviso dell'INPS, avuto riguardo alla evidenziata ratio legis,
non potrebbe  ravvisarsi  discriminazione  alcuna  tra  i  lavoratori
continuativamente e stabilmente inseriti nell'attivita'  aziendale  e
quelli utilizzati, per  un  certo  periodo  di  tempo,  dalla  stessa
impresa in forza di un contratto (tra l'impresa fornitrice  e  quella
utilizzatrice) di fornitura  di  prestazione  di  lavoro  temporaneo,
trattandosi di situazioni oggettivamente non comparabili, non essendo
peraltro prevedibile, al  momento  della  cosiddetta  stabilizzazione
(trasformazione in rapporto di lavoro a tempo  indeterminato  con  la
impresa utilizzatrice), una protrazione dell'attivita' lavorativa  di
questi  ultimi  per  il  tempo  necessario   ai   fini   dell'accesso
all'indennita' di mobilita'. 
    L'Istituto resistente ritiene,  quindi,  che  la  situazione  del
lavoratore "temporaneo" sia, piuttosto,  assimilabile  a  quella  del
lavoratore a termine per il quale e' espressamente esclusa la  tutela
dell'indennita' di mobilita'. 
    Pertanto,  secondo  l'INPS,   la   mancata   attribuzione   della
indennita' di mobilita' ai lavoratori cosiddetti "temporanei",  anche
a seguito della trasformazione del rapporto di lavoro, non violerebbe
il principio di eguaglianza, stante le  differenti  discipline  delle
categorie di lavoratori considerate nell'ordinanza di rimessione  che
renderebbero «eterogenee  ed  incomparabili  le  situazioni  poste  a
raffronto» (ex plurimis, ordinanza n. 92 del 2009). 
    Al  riguardo,  l'Istituto  sottolinea  i  molteplici  profili  di
differenziazione tra le  diverse  categorie  di  lavoratori  poste  a
confronto. 
    In particolare, il lavoratore "temporaneo"  e'  dipendente  della
societa' fornitrice che eroga la retribuzione e  versa  i  contributi
previdenziali. 
    Inoltre, mentre, ai sensi dell'art.  16,  comma  2,  lettera  a),
della legge n. 223 del 1991, i datori di lavoro di cui  al  comma  1,
sono tenuti al versamento di un contributo nella  misura  dello  0,30
per cento delle retribuzioni assoggettate al  contributo  integrativo
per l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria, gli  oneri
contributivi dei lavoratori "temporanei" sono a  carico  dell'impresa
fornitrice (art. 9, comma 1, prima parte,  della  legge  n.  196  del
1997) che, essendo inquadrata nel settore  terziario,  non  versa  il
contributo per l'erogazione della indennita' di mobilita'. 
    Pertanto, al lavoratore "temporaneo" somministrato  non  potrebbe
riconoscersi il diritto  di  accedere  all'indennita'  di  mobilita',
ancorche' presti attivita' lavorativa presso un'impresa  del  settore
industriale. 
    Infine, l'Istituto resistente ritiene che la  soluzione  invocata
dal   collegio   rimettente   intacchi    l'area    riservata    alla
discrezionalita' del legislatore. 
    L'INPS  sottolinea  l'inconferenza  delle   norme   nazionali   e
comunitarie  richiamate  dalla  Corte  d'appello,  in   quanto   esse
riguarderebbero il  rispetto  del  principio  della  identita'  delle
condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori interinali e  di
quelli impiegati direttamente dall'utilizzatore e non gia' la  tutela
previdenziale degli stessi. 
    Anche con riferimento alla assunta assimilazione nella  ordinanza
di rimessione della condizione dei lavoratori "interinali"  a  quella
dei lavoratori a domicilio, l'INPS  evidenzia  che  il  lavoratore  a
domicilio e' pur sempre un lavoratore subordinato dell'azienda (Corte
di cassazione, sezione lavoro, sentenza 21 ottobre 2010, n.  21625  e
sentenza del 16 ottobre 2006, n. 22129). 
    L'INPS esclude anche la violazione dell'art. 38 Cost., in  quanto
l'anzianita' aziendale maturata presso l'ultima impresa, sebbene  non
possa valere ai fini dell'ottenimento della indennita' di  mobilita',
non  precluderebbe  l'attribuzione  della  indennita'  ordinaria   di
disoccupazione di minore importo ma pur sempre adeguata alle esigenze
di vita del lavoratore rimasto disoccupato. 
    L'Istituto resistente sottolinea, al riguardo,  che  l'indennita'
ordinaria di disoccupazione  e  l'indennita'  di  mobilita'  sono  in
rapporto di genus a species (sentenza n. 234 del 2011) ed,  entrambe,
rientrano nel  novero  delle  prestazioni  contro  la  disoccupazione
involontaria,  apprestando  temporaneamente  all'assicurato  i  mezzi
occorrenti al suo sostentamento. 
    3.- Con atto depositato in data 6 novembre 2012,  e'  intervenuto
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le  questioni  di
legittimita' costituzionale siano  dichiarate  inammissibili  o,  nel
merito, non fondate. 
    In primo luogo, la difesa statale ritiene che la Corte rimettente
non  abbia   sperimentato   la   possibilita'   di   effettuare   una
interpretazione della norma censurata costituzionalmente orientata. 
    In particolare, il giudice a quo avrebbe ritenuto che la norma in
oggetto non possa trovare applicazione con riferimento  alla  ipotesi
di una lavoratrice, dipendente da una societa' di lavoro  interinale,
ma  impiegata  in  un'altra  societa'  utilizzatrice,  in  forza   di
contratti di lavoro a tempo determinato, ancorche'  la  stessa  fosse
stata successivamente assunta con contratto  a  tempo  indeterminato,
nel caso in cui il licenziamento fosse avvenuto prima del decorso del
termine di dodici mesi dalla conclusione di tale ultima tipologia  di
contratto. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il  collegio
rimettente non avrebbe verificato  se,  con  riguardo  alla  concreta
fattispecie in esame,  fosse  possibile  configurare,  in  capo  alla
ricorrente,  il  diritto  alla  corresponsione  della  indennita'  di
mobilita' per essere stati stipulati una serie di contratti di lavoro
temporaneo che, al di la' della  terminologia  utilizzata,  potessero
aver dato luogo ad un rapporto di lavoro "continuativo"  e  non  gia'
puramente "a tempo determinato". 
    Invero,   secondo   la   difesa    erariale,    ferma    restando
l'inapplicabilita' della  indennita'  di  mobilita'  al  rapporto  di
lavoro a tempo determinato ed avuto riguardo alla tutela accordata al
rapporto interinale dalla normativa comunitaria, la  Corte  d'appello
avrebbe  potuto  verificare  se,  nella  fattispecie   concreta,   la
successione di contratti di lavoro stipulati dalla ricorrente potesse
essere interpretata nel senso di un rapporto di tipo  "continuativo",
come tale, rientrante,  comunque,  nella  applicazione  dell'art.  16
della legge n. 223 del 1991. 
    La difesa dello Stato richiama, al riguardo, l'ordinanza  n.  367
del 2003, con la quale questa Corte ha  dichiarato  inammissibile  la
questione di legittimita' costituzionale  sollevata,  in  riferimento
agli artt. 2, 3 e 38 Cost., degli artt.  16,  comma  1,  e  8,  comma
4-bis, della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui non  prevedono
- ai fini dell'integrazione del requisito  dell'anzianita'  aziendale
di almeno dodici mesi quale  presupposto  perche'  i  dipendenti  che
perdono il posto di lavoro  possano  beneficiare  dell'indennita'  di
mobilita' - il cumulo del periodo di lavoro prestato, senza soluzione
di continuita', con passaggio diretto  presso  imprese  dello  stesso
settore di attivita' che abbiano il medesimo assetto proprietario  di
quelle presso le quali  in  precedenza  sia  intercorso  il  rapporto
lavorativo. 
    Nella  richiamata   pronuncia,   questa   Corte   ha   dichiarato
inammissibile  la  questione  per  insufficiente  motivazione   sulla
rilevanza, avendo il giudice rimettente omesso di  verificare  se  la
concreta vicenda societaria dedotta in  giudizio  fosse  inquadrabile
nelle fattispecie della mera  trasformazione  della  societa'  o  del
trasferimento d'azienda, non  comportanti  soluzione  di  continuita'
nell'anzianita' aziendale dei lavoratori dipendenti. 
    In secondo luogo, la difesa statale eccepisce  l'inammissibilita'
delle questioni per non  avere  la  Corte  rimettente  verificato  la
effettiva esistenza di una disparita' di trattamento, per  situazioni
omologhe, tra i lavoratori  cosiddetti  interinali  poi  stabilizzati
(assunti da una societa' interinale ed utilizzati a tempo determinato
da altra societa' e, successivamente, assunti a tempo indeterminato),
i lavoratori assunti direttamente con contratto a tempo indeterminato
ed i  lavoratori  a  tempo  determinato  (per  i  quali  e'  pacifica
l'inapplicabilita' dell'istituto della indennita' di mobilita'). 
    Peraltro - osserva il Presidente del Consiglio -  l'ordinanza  di
rimessione sembrerebbe operare un salto logico perche' avrebbe  quale
conseguenza  quella  di  applicare  l'istituto  della  indennita'  di
mobilita' - prevista per i lavoratori a tempo indeterminato  -  anche
ai lavoratori assunti a tempo determinato. 
    La  difesa  erariale  ritiene,  in  ogni  caso,  nel  merito,  le
questioni non fondate. 
    Infatti,  difetterebbe  il  requisito  della  "continuita'"   del
rapporto, se si ritenessero i ripetuti contratti di lavoro  stipulati
dalla ricorrente come contratti a tempo determinato. 
    La difesa dello Stato sottolinea che il  legislatore,  quando  ha
voluto prevedere norme di favore per situazioni di disagio economico,
ha  introdotto  i  cosiddetti  "ammortizzatori  sociali  in  deroga",
prevedendo, tra le altre misure, la corresponsione  della  indennita'
di mobilita' per tutti i lavoratori licenziati anche se  assunti  con
contratto a tempo determinato (decreto ministeriale 1º febbraio 2012,
n. 64127, per la Regione Abruzzo;  decreto  ministeriale  25  gennaio
2012, n. 63990, per la  Regione  Calabria;  decreto  ministeriale  1º
febbraio  2012,  n.  641218,  per  la   Regione   Campania;   decreto
ministeriale 18 aprile  2012,  n.  65543,  per  la  Regione  Liguria;
decreto ministeriale 24  ottobre  2011,  n.  62516,  per  la  Regione
Marche). 
    Dette  disposizioni  di   agevolazione   sarebbero   di   stretta
interpretazione  e  non  potrebbero  essere  estese  oltre   i   casi
tassativamente stabiliti. 
    Da ultimo, la difesa erariale evidenzia  i  conseguenti  maggiori
oneri  per  la  finanza  pubblica  nel  caso  di  accoglimento  della
questione  di  costituzionalita',  stante  l'anomala  estensione  dei
soggetti beneficiari della  indennita'  di  disoccupazione  ai  sensi
dell'art. 16 della legge n. 223 del 1991. 
    4.-  In  data  15  maggio  2014,  l'INPS  ha  depositato  memoria
illustrativa, insistendo  per  la  declaratoria  di  inammissibilita'
ovvero, in subordine, di non fondatezza delle sollevate questioni  di
legittimita' costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Venezia,  sezione  lavoro,  dubita,  in
riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, della  legittimita'
costituzionale dell'art. 16 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme
in  materia  di  cassa  integrazione,   mobilita',   trattamenti   di
disoccupazione, attuazione  di  direttive  della  Comunita'  europea,
avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato  del
lavoro), «nella parte in cui esclude  per  i  lavoratori  interinali,
successivamente   assunti   con   contratto   di   lavoro   a   tempo
indeterminato, la possibilita' di cumulare nell'anzianita'  aziendale
utile ai  fini  del  riconoscimento  del  diritto  all'indennita'  di
mobilita' anche il periodo prestato in forza del contratto di  lavoro
interinale». 
    La rimettente, chiamata a pronunciare  nel  giudizio  di  appello
promosso dalla sig.ra  D.S.  nei  confronti  dell'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS) avverso  la  sentenza  del  Tribunale
ordinario di  Vicenza,  sezione  lavoro,  30  agosto  2007,  n.  219,
premette che la signora D.S. aveva svolto, dal 19 giugno 2000  al  30
agosto  2002,  la  propria  attivita'  lavorativa  presso   l'impresa
utilizzatrice Worldgem spa, in  forza  di  successivi  contratti  per
prestazioni di lavoro temporaneo stipulati, ai sensi della  legge  24
giugno   1997,   n.   196   (Norme   in   materia    di    promozione
dell'occupazione), con l'impresa fornitrice  Lavoro  Temporaneo  spa;
che la lavoratrice era stata poi assunta direttamente dalla  Wordlgem
spa con contratto a tempo indeterminato, a decorrere dal 2  settembre
2002 fino al licenziamento, avvenuto il 30 aprile 2003; che,  con  la
sentenza appellata,  era  stata  rigettata  la  domanda  di  condanna
dell'ente previdenziale al pagamento  dell'indennita'  di  mobilita',
sul presupposto che la  ricorrente  non  avesse  maturato,  ai  sensi
dell'art. 16 della legge n. 223 del 1991, il periodo  utile  ai  fini
del riconoscimento della detta indennita', per non essere computabile
nell'anzianita' aziendale il periodo  lavorato  dalla  stessa  presso
l'impresa utilizzatrice in forza dei contratti di lavoro interinali. 
    Ad avviso del collegio rimettente, la norma censurata violerebbe: 
    a)  l'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo   della   irragionevole
disparita' di trattamento in materia previdenziale  e  assistenziale,
in quanto l'art. 16 della legge n. 223 del 1991, nell'escludere per i
lavoratori  interinali,  successivamente  assunti  con  contratto  di
lavoro  a  tempo   indeterminato,   la   possibilita'   di   cumulare
nell'anzianita'  aziendale  utile  ai  fini  del  riconoscimento  del
diritto all'indennita' di mobilita'  anche  il  periodo  prestato  in
forza  del   contratto   di   lavoro   interinale,   differenzierebbe
ingiustificatamente  la  situazione  dei   lavoratori   assunti   con
contratto a tempo indeterminato, a seguito di un  periodo  svolto  in
forza di contratto  di  lavoro  interinale,  rispetto  a  quella  dei
lavoratori  a  tempo  indeterminato  di  pari  anzianita'  lavorativa
all'interno dell'azienda, con irragionevole esclusione  per  i  primi
del  beneficio  della  indennita'  di   mobilita'.   Cio'   ancorche'
sussistano principi, sia nella normativa comunitaria  che  nazionale,
tesi ad assicurare la parita' di trattamento all'interno dell'impresa
utilizzatrice e a favorire la stabilizzazione dei rapporti di  lavoro
interinali (sono richiamati  la  direttiva  comunitaria  19  novembre
2008,  n.  2008/104/CE,  «Direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio relativa al lavoro tramite agenzia interinale» e l'art.  23
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, «Attuazione  delle
deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di  cui  alla
legge 14 febbraio 2003, n.  30»,  come  modificato  dall'art.  7  del
decreto legislativo 2 marzo 2012, n. 24 «Attuazione  della  direttiva
2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale»); 
    b) l'art. 38 Cost., in  quanto  la  norma  censurata,  escludendo
irragionevolmente la "continuita'" del rapporto  di  lavoro  -  quale
elemento fondante del diritto alla indennita' di mobilita'  -  per  i
lavoratori interinali  il  cui  rapporto  sia  stato  successivamente
stabilizzato,  priverebbe  ingiustificatamente  della  tutela   della
indennita' di mobilita', quale prestazione assistenziale a  carattere
generale (sentenza n. 285 del 2003), lavoratori  che  si  trovano  in
situazioni  analoghe  a  quelli  assunti  direttamente   dall'impresa
utilizzatrice a tempo indeterminato. 
    Nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale,   con   memoria
depositata in data 25 ottobre 2012, si e' costituito l'INPS chiedendo
che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate. 
    Con atto depositato in data 6 novembre 2012,  e'  intervenuto  il
Presidente   del   Consiglio   dei    ministri,    concludendo    per
l'inammissibilita' o la non fondatezza delle questioni. 
    2.-   Vanno,   preliminarmente,   esaminate   le   eccezioni   di
inammissibilita' sollevate dall'ente previdenziale sotto  un  duplice
profilo: da una parte, e'  eccepita  l'inesatta  identificazione  del
quadro normativo, dovendo, semmai, essere oggetto di  censura  l'art.
6, comma 4, della legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in  materia  di
promozione dell'occupazione), applicabile  alla  fattispecie  ratione
temporis;  dall'altra,  si  deduce  il  difetto  di  rilevanza  della
questione, in quanto l'eventuale accoglimento di essa non impedirebbe
il rigetto della domanda nel giudizio a quo,  potendo,  nel  caso  di
specie, maturare la necessaria «anzianita' aziendale» solo in  virtu'
di  un  cumulo  di  «vari  periodi  di  lavoro  a  termine»,  ipotesi
espressamente  esclusa  dall'ambito  di  applicazione   della   norma
censurata. 
    2.1.- La prima eccezione di inammissibilita' non e' fondata. 
    L'art. 6, comma 4, della  legge  n.  196  del  1997  (applicabile
ratione temporis alla fattispecie de qua) stabiliva:  «Il  prestatore
di lavoro temporaneo ha diritto di fruire di tutti i servizi  sociali
ed  assistenziali   di   cui   godono   i   dipendenti   dell'impresa
utilizzatrice addetti alla stessa unita' produttiva,  esclusi  quelli
il cui godimento sia condizionato all'iscrizione  ad  associazioni  o
societa' cooperative o al conseguimento di una determinata anzianita'
di servizio». Si tratta  di  una  norma  a  carattere  generale  che,
nell'ambito del  rapporto  di  lavoro  temporaneo,  disciplinava  gli
obblighi dell'impresa utilizzatrice. Nel  giudizio  a  quo  viene  in
rilievo, invece, la diversa  fattispecie  del  lavoratore  interinale
successivamente stabilizzato, in ordine al quale, ai sensi  dell'art.
16 della legge n. 223 del 1991, non e' dato computare, ai fini  della
maturazione  della  anzianita'  aziendale  utile  per  fruire   della
indennita' di mobilita', il periodo di  lavoro  svolto  in  forza  di
lavoro interinale. Il quadro normativo, dunque, risulta correttamente
individuato. 
    2.2.- Anche la seconda eccezione  di  inammissibilita'  sollevata
dall'INPS va disattesa. 
    Invero, non si possono sovrapporre sic et simpliciter le  diverse
tipologie di rapporto di lavoro "interinale" e di rapporto di  lavoro
"a termine". Nel caso di specie, e' pacifico  che  la  signora  D.S.,
prima di essere assunta con contratto  a  tempo  indeterminato  dalla
Wordlgem spa, ha svolto l'attivita' lavorativa - alle  dipendenze  di
Lavoro Temporaneo spa e nell'interesse nonche' sotto la direzione  di
Wordlgem spa - in forza  di  contratto  «per  prestazioni  di  lavoro
temporaneo», che trova disciplina nella legge n. 196 del 1997. 
    3.- Vanno, altresi', respinte le  eccezioni  di  inammissibilita'
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.1.- In primo luogo,  la  difesa  dello  Stato  ritiene  che  le
questioni siano inammissibili per non avere  il  collegio  rimettente
sperimentato una interpretazione della  norma  censurata  conforme  a
Costituzione, nel senso  di  potere  includere  nell'applicazione  di
quest'ultima la fattispecie concreta della successione  di  contratti
di lavoro stipulati dalla ricorrente, da qualificarsi in  termini  di
rapporto lavorativo di tipo "continuativo" e non  gia'  puramente  "a
tempo determinato". 
    Sul punto, si deve osservare che la Corte rimettente, dopo  avere
inquadrato  l'attivita'  lavorativa  svolta  della  signora  D.S.  in
termini di rapporto di lavoro interinale successivamente stabilizzato
con l'assunzione,  a  tempo  indeterminato,  da  parte  della  stessa
societa' utilizzatrice, ha escluso  espressamente,  alla  luce  della
formulazione della  norma  censurata  ed  in  assenza  di  specifiche
disposizioni previste dalla disciplina  comunitaria  e  nazionale  in
materia,  la  possibilita'  di  sopperire  alla   carenza   normativa
attraverso un'attivita' ermeneutica costituzionalmente orientata.  Si
tratta di una motivazione non implausibile, che non appare meritevole
di censura. 
    3.2.- Altro profilo di inammissibilita', eccepito dal  Presidente
del Consiglio, concerne la asserita mancata verifica, da parte  della
rimettente,  della  effettiva  esistenza   di   una   disparita'   di
trattamento  tra  i  lavoratori  interinali   poi   stabilizzati,   i
lavoratori assunti direttamente con contratto a tempo indeterminato e
i lavoratori a tempo determinato, nonche' la  mancata  considerazione
della conseguenza dell'accoglimento della questione,  in  termini  di
applicabilita' dell'istituto della indennita' di mobilita'  anche  ai
lavoratori assunti a tempo determinato. 
    Al  riguardo,  si  deve  rilevare   che   -   premessa   la   non
sovrapponibilita' tra le diverse  tipologie  di  rapporto  di  lavoro
"interinale" e di rapporto di  lavoro  "a  tempo  determinato"  -  il
giudice a quo ha sollevato le  questioni,  con  una  motivazione  non
implausibile, proprio ponendo a confronto le categorie di  lavoratori
interinali poi stabilizzati, con assunzione  con  contratto  a  tempo
indeterminato e di lavoratori assunti direttamente  con  contratto  a
tempo indeterminato. 
    4. - Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    Dalla lettura  congiunta  della  motivazione  e  del  dispositivo
emerge che esse sono da ritenere sollevate con  riferimento  all'art.
16, comma 1, della legge n. 223 del 1991, che cosi' stabilisce:  «Nel
caso di disoccupazione derivante da licenziamento  per  riduzione  di
personale ai sensi dell'articolo 24 da parte delle  imprese,  diverse
da  quelle  edili,  rientranti  nel  campo  di   applicazione   della
disciplina dell'intervento straordinario di  integrazione  salariale,
il lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far  valere
una anzianita' aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei  di
lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione
del lavoro  derivanti  da  ferie,  festivita'  e  infortuni,  con  un
rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine,
ha diritto alla indennita' di mobilita' ai sensi dell'articolo 7». 
    Tale norma e' ritenuta dalla Corte rimettente  in  contrasto  con
gli artt. 3 e 38 Cost. «nella parte in cui esclude per  i  lavoratori
interinali, successivamente assunti con contratto di lavoro  a  tempo
indeterminato, la possibilita' di cumulare nell'anzianita'  aziendale
utile ai  fini  del  riconoscimento  del  diritto  all'indennita'  di
mobilita' anche il periodo prestato in forza del contratto di  lavoro
interinale». 
    4.1.- La violazione dell'art. 3 Cost.  e'  prospettata  sotto  il
profilo  della  «irragionevole  disparita'  di  trattamento»  tra   i
lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, a seguito  di
un periodo svolto in forza di contratto di  lavoro  interinale,  e  i
lavoratori  a  tempo  indeterminato  di  pari  anzianita'  lavorativa
all'interno dell'azienda, con irragionevole esclusione  per  i  primi
del beneficio della indennita'  di  mobilita',  ancorche'  sussistano
principi, sia nella normativa  comunitaria  che  nazionale,  tesi  ad
assicurare  la  parita'  di  trattamento   all'interno   dell'impresa
utilizzatrice e a favorire la stabilizzazione dei rapporti di  lavoro
interinali (sono richiamati la direttiva comunitaria  n.  2008/104/CE
nonche' l'art. 23  del  d.lgs.  n.  276  del  2003,  come  modificato
dall'art. 7 del d.lgs. n. 24 del 2012). 
    Questa tesi non puo' essere condivisa. 
    A prescindere dal rilievo che la normazione comunitaria e interna
ora  richiamata  non  risulta  applicabile,  ratione  temporis,  alla
fattispecie, si deve premettere che questa Corte, con  giurisprudenza
costante, ha affermato  il  principio  secondo  cui,  in  materia  di
previdenza  e  assistenza  sociale,  il  legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita'  che,  attraverso  un   bilanciamento   dei   valori
contrapposti, incontra il solo limite del rispetto  dei  principi  di
eguaglianza e ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 120  e  n.  36
del 2012; n. 234 del 2011; n.  234  del  2008  e  n.  202  del  1999;
ordinanza n. 448 del 1999). 
    Nella vicenda in esame, non e' ravvisabile la violazione di  tali
principi, perche' le fattispecie messe a confronto non sono omogenee. 
    Invero, nel caso oggetto del  giudizio  a  quo,  il  rapporto  di
lavoro interinale si e' svolto ai sensi della legge n. 196 del  1997,
all'epoca vigente ratione temporis (gli artt. da 1 a 11 della  citata
legge sono stati abrogati dall'art. 85,  comma  1,  lettera  f),  del
d.lgs. n. 276 del 2003). 
    Orbene, per giurisprudenza costante della  Corte  di  cassazione,
nel rapporto interinale viene in rilievo  un  collegamento  negoziale
tra due contratti: quello  di  fornitura  di  prestazioni  di  lavoro
temporaneo, stipulato tra l'impresa fornitrice e quella utilizzatrice
per il soddisfacimento di specifiche esigenze di carattere temporaneo
(art. 1), e quello tra l'impresa fornitrice e il lavoratore (art. 3),
con scissione tra la gestione normativa, che compete alla fornitrice,
e   quella   tecnico-produttiva   del   lavoratore,    che    compete
all'utilizzatrice (ex multis, Corte di  cassazione,  sezione  lavoro,
sentenze 10 aprile 2012, n. 5667 e 27 febbraio 2003, n. 3020). 
    Il lavoratore temporaneo cosi' assunto svolge per la durata della
prestazione  lavorativa  la  propria   attivita'   presso   l'impresa
utilizzatrice nonche' nell'interesse  e  sotto  la  direzione  ed  il
controllo  della  medesima;  nell'ipotesi  di   contratto   a   tempo
indeterminato  il  lavoratore  rimane  a  disposizione   dell'impresa
fornitrice per i periodi in cui non svolge la prestazione  lavorativa
presso un'impresa utilizzatrice. 
    L'impresa  fornitrice  e'  obbligata  verso  il   lavoratore   al
pagamento  diretto  del  trattamento  economico  e   dei   contributi
previdenziali   e   assistenziali   (con   responsabilita'   solidale
dell'impresa utilizzatrice). 
    La Corte rimettente - nell'asserire che «il  rapporto  di  lavoro
tra l'appellante e la Worldgem spa si e' svolto, dal 19  giugno  2000
al 30 agosto 2002, nell'ambito della disciplina dettata  dalla  legge
n. 197  del  1996  [recte:  n.  196  del  1997];  che,  in  sostanza,
l'appellante  e'  stata  dipendente  di  Lavoro  Temporaneo  spa   ed
utilizzata  da  Worldgem  spa  in  forza  di  contratto   di   lavoro
temporaneo; che, successivamente, senza soluzione di  continuita',  a
partire dal 2  settembre  2002,  l'appellante  e'  stata  assunta  da
Worldgem spa in forza di contratto di lavoro  a  tempo  indeterminato
fino alla data del licenziamento avvenuto in data 30 aprile  2003»  -
confonde i due piani, formale e sostanziale, del rapporto di lavoro. 
    Infatti, nel caso di specie, sono diversi i  titolari,  dal  lato
dei datori di lavoro, dei reiterati  contratti  «per  prestazioni  di
lavoro temporaneo» (dal 19 giugno 2000  al  30  agosto  2002)  e  del
successivo contratto di lavoro a tempo indeterminato (dal 2 settembre
2002 al 30 aprile 2003). In particolare, titolare dei  contratti  per
prestazione  di  lavoro  temporaneo  e'  stata  la  societa'   Lavoro
Temporaneo spa (e utilizzatrice Worldgem spa),  mentre  titolare  del
successivo  contratto  di  lavoro  a  tempo  indeterminato  e'  stata
Worldgem spa. 
    Pertanto, sussisteva una diversita' strutturale dei  rapporti  di
lavoro messi a confronto. 
    Non sono, quindi, comparabili, in quanto eterogenee,  le  diverse
situazioni dei lavoratori assunti da un'impresa con contratto a tempo
indeterminato, dopo un periodo svolto in forza di contratto di lavoro
"interinale", e  dei  lavoratori  assunti  fin  dall'inizio  a  tempo
indeterminato dalla medesima impresa. 
    Inoltre, non puo' ravvisarsi - come, invece, assume  il  collegio
rimettente - una «pari anzianita' lavorativa» tra le due tipologie di
lavoratori messe a confronto. 
    L'art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991,  ai  fini  della
indennita' di mobilita',  richiede  una  anzianita'  di  servizio  di
almeno dodici mesi (di cui almeno sei mesi di  lavoro  effettivamente
prestato), con un rapporto di lavoro a titolo continuativo e comunque
non a termine (ex plurimis,  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,
sentenza 23 marzo 2002, n. 4192; Corte di cassazione,  sezione  unite
civili, sentenza 12 marzo 2001, n. 106), presso la  medesima  impresa
che  poi  abbia  attivato  la  procedura  di  mobilita'   (Corte   di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 maggio 2008, n. 12406). 
    La continuita' del rapporto di lavoro, ai fini del computo  della
anzianita' aziendale utile per fruire della indennita' di  mobilita',
presuppone lo svolgimento dell'attivita' lavorativa  alle  dipendenze
del medesimo datore di lavoro che ha azionato la detta procedura. 
    Tale   interpretazione,   dominante   nella   giurisprudenza   di
legittimita', soffre deroghe nei casi di  mera  trasformazione  della
societa' o di trasferimento di azienda ai sensi  dell'art.  2112  del
codice civile, cioe' in  ipotesi  che  non  comportano  soluzioni  di
continuita'  nell'anzianita'  aziendale  dei  lavoratori   dipendenti
(ordinanza n. 367 del  2003),  ovvero  qualora  specifici  interventi
legislativi riconoscano eccezionali e  transitorie  deroghe  rispetto
alla regola stabilita dal citato art. 16, comma 1, della legge n. 223
del 1991. Tali ipotesi non ricorrono nella vicenda in esame. 
    Un  ulteriore  argomento  per  escludere   la   possibilita'   di
considerare, ai fini della concessione della indennita' di mobilita',
un'anzianita' aziendale anche solo in parte imputabile al rapporto di
lavoro con un'impresa fornitrice o somministratrice,  e'  ravvisabile
nel rilievo che, ai sensi del censurato art.  16,  comma  1,  possono
godere della indennita' di mobilita', al maturarsi di una determinata
anzianita' aziendale, i lavoratori licenziati da  imprese  rientranti
nel  campo   di   applicazione   della   disciplina   dell'intervento
straordinario di  integrazione  salariale  (imprese  industriali  che
occupino piu' di quindici dipendenti, salvo  i  casi  eccezionali  di
prevista estensione della  disciplina  della  integrazione  salariale
straordinaria), mentre le imprese fornitrici o somministratrici  sono
inquadrate nel «settore terziario» ai sensi dell'art. 49 della  legge
9 marzo 1989, n. 88 «Ristrutturazione dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale  e  dell'Istituto  nazionale  per  l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro» (richiamato dall'art. 9 della  legge
n. 196 del 1997 e dall'art. 25  del  d.lgs.  n.  276  del  2003),  e,
dunque, sono fuori dal campo di applicazione della detta normativa. 
    La eterogeneita' delle fattispecie  messe  a  confronto,  dunque,
rende  priva  di  fondamento  la  censura  in  ordine  alla   assunta
violazione del principio  di  «parita'  di  trattamento»  all'interno
dell'impresa utilizzatrice, sicche'  non  risulta  violato  l'art.  3
Cost. (sentenze n. 108 del 2013; n. 234 del 2008; n. 184 del  2000  e
n. 413 del 1995; ordinanza n. 92 del 2009). 
    4.2.- Il contrasto con l'art. 38 Cost. e'  prospettato  sotto  il
profilo  della   irragionevole   esclusione   del   requisito   della
"continuita'" del rapporto di lavoro -  quale  elemento  fondante  il
diritto alla indennita' di mobilita' - per i lavoratori interinali il
cui   rapporto   sia   stato   successivamente   stabilizzato,    con
ingiustificata privazione della tutela della indennita' di mobilita',
quale prestazione assistenziale a carattere generale (sentenza n. 285
del 2003), per i lavoratori che si trovano in situazioni  analoghe  a
quelli assunti  direttamente  dall'impresa  (utilizzatrice)  a  tempo
indeterminato. 
    Neanche  tale  parametro  costituzionale  risulta  essere   stato
violato. 
    Sul punto, si deve osservare che l'art. 38, secondo comma, Cost.,
rimette alla discrezionalita' del legislatore la  determinazione  dei
tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali  sulla  base
di  un  razionale  contemperamento  con  la  soddisfazione  di  altri
diritti, anch'essi costituzionalmente garantiti, e nei  limiti  delle
compatibilita' finanziarie (sentenza n. 426 del 2006). 
    L'art. 38, secondo comma, Cost., che e'  immediatamente  operante
nell'ordinamento giuridico e rilevante, in particolare, ai  fini  del
sindacato di costituzionalita'  sulle  leggi  ordinarie,  attribuendo
valore di principio fondamentale al  diritto  dei  lavoratori  a  che
siano «preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro  esigenze  di
vita in  caso  di  infortunio,  malattia,  invalidita'  e  vecchiaia,
disoccupazione involontaria», impone che, in caso di eventi, i  quali
incidono  sfavorevolmente   sull'attivita'   lavorativa,   siano   ai
lavoratori assicurate provvidenze atte a garantire  la  soddisfazione
delle loro esigenze di vita  (sentenza  n.  22  del  1969).  Ma  tale
disposizione non va intesa in senso letterale e con valore  assoluto.
E' il sistema delle assicurazioni nel suo complesso, infatti, che  e'
chiamato a  far  fronte  e  obbedisce  alle  esigenze  garantite  dal
precetto costituzionale (sentenza n. 80 del 1971). Per cui questo non
risulta violato se, come nell'ipotesi prevista  dalla  norma  oggetto
della denuncia, in maniera specifica siano poste regole, con cui, nel
rispetto  degli  altri  precetti  e  principi  costituzionali,  viene
condizionata l'insorgenza di dati diritti o di questi e' disciplinato
l'esercizio. 
    In particolare, l'indennita' di mobilita' rientra nel piu'  ampio
genus delle assicurazioni sociali contro  la  disoccupazione  ed,  in
particolare,  nell'ambito  dei  cosiddetti  "ammortizzatori  sociali"
(sentenza n. 184 del  2000),  essendo  -  a  differenza  della  Cassa
integrazione guadagni, connessa ad uno  stato  transitorio  di  crisi
dell'impresa  -  finalizzata  a  favorire   il   ricollocamento   del
lavoratore in  altre  imprese  e,  dunque,  collegata  ad  una  crisi
irreversibile del datore di lavoro. Essa, cioe', deve considerarsi un
vero e proprio trattamento di disoccupazione  (sentenza  n.  234  del
2011). 
    La   norma   censurata   rappresenta   una   esplicazione   della
discrezionalita' non irragionevole del legislatore. 
    Infatti,  l'avere  condizionato  l'insorgenza  del  diritto   del
lavoratore disoccupato alla indennita' di mobilita' alla  sussistenza
di una serie di  condizioni  prestabilite  (anzianita'  aziendale  di
almeno dodici mesi,  di  cui  almeno  sei  di  lavoro  effettivamente
prestato, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e non  a
termine),  costituisce  una  regola  non  irragionevole  con  cui  il
legislatore  stesso  ha  contemperato  e  bilanciato  un  trattamento
(speciale) di disoccupazione maggiormente consistente, per importo  e
durata, rispetto  a  quello  ordinario,  con  la  necessita'  di  una
anzianita' lavorativa minima, alle dipendenze del medesimo datore  di
lavoro, specificamente indicata dalle norme di legge. 
    4.3.- In conclusione, la norma censurata costituisce il frutto di
una razionale scelta  discrezionale  del  legislatore,  nel  rispetto
degli artt. 3 e 38 Cost.