ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma
2-quinquies, lettera d), della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione
di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del
processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile)
- comma aggiunto dall'art. 55, comma 1, lettera a),  numero  2),  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 134 - promosso dalla Corte  d'appello  di  Bari  nel  procedimento
vertente tra S.A. e il Ministero della giustizia con ordinanza del  9
luglio 2013,  iscritta  al  n.  10  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  9  luglio  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 9 luglio 2013, la Corte d'appello
di Bari, in  composizione  monocratica,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quinquies,  lettera
d), della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione
in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile)  -  comma  aggiunto
dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero 2),  del  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti  per  la  crescita  del  Paese),
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,  n.  134  -
nella parte in cui non riconosce l'indennizzo per la  violazione  del
termine ragionevole del processo nel caso di estinzione del reato per
intervenuta prescrizione solo se  questa  sia  «connessa  a  condotte
dilatorie della parte», deducendo la violazione dell'art. 117,  primo
comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6, paragrafo 1,  e
35, paragrafo 3, lettera b), della Convenzione  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto
1955, n. 848 (d'ora in avanti: «CEDU»); 
    che il giudice a quo premette di essere  investito  del  ricorso,
depositato il 10 maggio 2013, per l'equa riparazione del  pregiudizio
subito, in ragione dell'eccessiva durata del processo, da una persona
rinviata a giudizio per i reati di sequestro di persona e di  tentata
rapina  aggravata,  dichiarati  prescritti  con   sentenza   divenuta
irrevocabile il 13 novembre 2012; 
    che, in punto di rilevanza, la Corte  rimettente  deduce  che  il
ricorso, tempestivamente depositato,  dovrebbe,  allo  stato,  essere
accolto, risultando superato il termine quinquennale stabilito per la
celebrazione del doppio grado di giudizio ed essendo stata dichiarata
la prescrizione senza che risultino condotte dilatorie della parte; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  a  quo
osserva che la regola posta dall'art. 2, comma  2-quinquies,  lettera
d), della legge n.  89  del  2001  ?  che  esclude  l'indennizzo  per
l'eccessiva durata del processo «nel caso di estinzione del reato per
intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte» -
ha codificato un principio giurisprudenziale consolidato; 
    che detta regola si porrebbe, tuttavia, in contrasto con la  piu'
recente giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
connessa a sopravvenute modifiche della stessa Convenzione; 
    che il 1° giugno 2010 e' entrato, infatti,  in  vigore  il  nuovo
art. 35, paragrafo 3, lettera b), della CEDU, in  base  al  quale  il
ricorso individuale di cui all'art. 34 della medesima Convenzione  e'
dichiarato  irricevibile  o  inammissibile  nel  caso  in   cui   «il
ricorrente non ha subito  alcun  pregiudizio  importante»,  salve  le
ipotesi di mancato esame del caso da parte del giudice nazionale o di
compressione di diritti umani convenzionali (ipotesi non  ravvisabili
nel caso di specie); 
    che, in applicazione della nuova previsione, comunemente definita
«de  minimis  non  curat  praetor»,  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, nella  sentenza  6  marzo  2012,  Gagliano  Giorgi  contro
Italia,  ha  escluso  che  fosse  stato  cagionato  un   «pregiudizio
importante» ad un imputato che, a  causa  dell'eccessiva  durata  del
processo, aveva beneficiato della prescrizione in rapporto ad uno dei
reati ascrittigli, posto  che  quest'ultima,  estinguendo  il  reato,
aveva compensato o grandemente ridotto i pregiudizi  che  normalmente
derivano dalla violazione del principio  di  ragionevole  durata  del
processo; 
    che  l'orientamento  espresso  dalla  citata  pronuncia  dovrebbe
essere considerato ormai «stabile», tenuto conto  del  fatto  che  la
Grande Camera ha rifiutato di riesaminare il caso; 
    che, di conseguenza, la norma interna censurata - la cui  «rigida
dizione letterale» non consentirebbe  interpretazioni  alternative  -
tutelerebbe l'interesse alla ragionevole durata del  processo  penale
nel caso di estinzione del  reato  per  intervenuta  prescrizione  in
assenza di condotte dilatorie della parte, anche  quando  manchi  «un
pregiudizio importante» nella prospettiva della Convenzione; 
    che, in questo modo, la disposizione denunciata  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 117, primo comma,  Cost.,  alla  cui  stregua  -
secondo  il  rimettente  -  il  legislatore  nazionale  dovrebbe  non
soltanto   rispettare   i   vincoli   derivanti   dalle   convenzioni
internazionali,  ma  anche  «evitare  di  modularne  l'attuazione  in
maniera tale da riconoscere, a chi ne deduca la violazione,  un  bene
che il giudice sovranazionale non riconoscerebbe»; 
    che il principio di sussidiarieta', visto con favore dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo e al quale la stessa legge  n.  89  del
2001 si ispira, precluderebbe, in specie, al legislatore nazionale di
soddisfare  una  pretesa  che  la  normativa  e   la   giurisprudenza
convenzionale non ritengono fondata: in tal caso, infatti,  lo  Stato
non eserciterebbe il «margine di apprezzamento» riconosciutogli dalla
Corte di Strasburgo, ma tutelerebbe un  diritto  solo  apparentemente
radicato nel contesto sovranazionale; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  comunque,
manifestamente infondata. 
    Considerato  che  la  Corte  d'appello  di  Bari   dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quinquies,  lettera
d), della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione
in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile)  -  comma  aggiunto
dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero 2),  del  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti  per  la  crescita  del  Paese),
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,  n.  134  -
nella parte in cui esclude l'indennizzo per la violazione del termine
ragionevole del  processo  nel  caso  di  estinzione  del  reato  per
intervenuta prescrizione solo se  questa  sia  «connessa  a  condotte
dilatorie della parte»; 
    che,  ad  avviso  della  Corte  rimettente,  la  norma  censurata
violerebbe l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in  relazione
agli artt. 6, paragrafo 1, e  35,  paragrafo  3,  lettera  b),  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), in  quanto  accorderebbe  all'interesse
alla ragionevole durata del processo un livello di tutela superiore a
quello riconosciuto dalla Convenzione; 
    che, infatti, alla luce della piu' recente  giurisprudenza  della
Corte europea dei  diritti  dell'uomo  -  e,  in  particolare,  della
sentenza 6 marzo 2012, Gagliano Giorgi  contro  Italia  -  quando  il
processo si concluda con la dichiarazione di prescrizione  del  reato
mancherebbe un «pregiudizio importante», tale da superare  la  soglia
minima di indennizzabilita' ai  sensi  della  disposizione  combinata
degli artt. 6, paragrafo 1, e 35,  paragrafo  3,  lettera  b),  della
CEDU: e cio' anche in assenza di «condotte dilatorie della parte»; 
    che l'assunto della Corte rimettente e' privo di fondamento; 
    che, a prescindere da ogni altro rilievo -  sia  in  ordine  alla
lettura della normativa interna operata  del  giudice  a  quo  e,  in
particolare, alla mancata verifica  della  possibilita'  di  ritenere
che, in assenza di manovre dilatorie  dell'interessato,  l'estinzione
del reato per prescrizione, pur non  determinando  l'esclusione  tout
court del diritto all'indennizzo, costituisca  comunque  un  elemento
suscettibile di  valutazione  in  concreto,  al  fine  dell'eventuale
superamento  della  presunzione  di  esistenza  di  un   danno   come
conseguenza dell'eccessiva durata del processo; sia  in  ordine  alla
lettura offerta dallo stesso  rimettente  alla  giurisprudenza  della
Corte di Strasburgo, la quale, nella citata sentenza Gagliano Giorgi,
ha ribadito che la soglia minima di gravita' che la violazione di  un
diritto deve raggiungere per giustificare un esame da  parte  di  una
giurisdizione internazionale «e', per sua natura, relativa e  dipende
dalle  circostanze  del  caso  di   specie»   -   e'   dirimente   la
considerazione che, nella prospettiva dello  stesso  giudice  a  quo,
nessuna   violazione   del   parametro   evocato   sarebbe   comunque
configurabile; 
    che, infatti, i livelli minimi di tutela dei diritti fondamentali
prefigurati dalla CEDU, nell'interpretazione  offertane  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo, costituiscono, ai sensi dell'art. 117,
primo  comma,  Cost.,  un  limite  inderogabile  per  il  legislatore
italiano solo "verso il basso", ma non "verso l'alto"; 
    che, come precisato  da  questa  Corte,  in  materia  di  diritti
fondamentali, il rispetto degli obblighi internazionali non puo'  mai
essere causa di una diminuzione di  tutela  rispetto  a  quelle  gia'
predisposte dall'ordinamento  interno,  ma  puo'  e  deve  costituire
strumento efficace di ampliamento della tutela  stessa  (sentenza  n.
317 del 2009): vale, in altre  parole,  il  principio  della  massima
espansione delle tutele e della conseguente  prevalenza  della  fonte
che conferisce la protezione piu' intensa; 
    che, d'altro  canto,  l'art.  53  della  stessa  CEDU  stabilisce
espressamente che l'interpretazione delle norme della Convenzione non
puo' limitare o pregiudicare i diritti dell'uomo riconosciuti in base
alle leggi di ogni Parte contraente (o ad ogni altro accordo cui essa
partecipi): confermando, con cio', che il sistema di  garanzia  della
Convenzione  mira  a  rinforzare  la  protezione  offerta  a  livello
nazionale, senza mai imporle limitazioni, come  invece  pretenderebbe
il giudice a quo; 
    che, in conclusione,  resta  comunque  escluso  che  disposizioni
maggiormente garantiste di diritto interno  possano  essere  ritenute
costituzionalmente illegittime in nome dell'esigenza di  rispetto  di
norme della CEDU, o della loro interpretazione da parte  della  Corte
di Strasburgo; 
    che  la  questione  va   dichiarata,   pertanto,   manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.