ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  160  e
182-ter del regio decreto 16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso dal
Tribunale ordinario di  Verona,  sezione  fallimentare,  sul  ricorso
proposto da Alkimia srl con ordinanza del 10 aprile 2013, iscritta al
n. 25  del  registro  ordinanze  2014  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 11,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2014  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Verona,  sezione  fallimentare,  ha
sollevato, con ordinanza del 10 aprile 2013, iscritta al  n.  25  del
registro ordinanze 2014, in riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  del  disposto
degli artt. 160 e 182-ter del regio decreto 16  marzo  1942,  n.  267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa),  -  di  seguito,  legge  fallimentare  -  nel  testo
modificato dal decreto-legge  14  marzo  2005,  n.  35  (Disposizioni
urgenti nell'ambito del Piano di azione per  lo  sviluppo  economico,
sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80, dal decreto legislativo 9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80), dal decreto  legislativo  12  settembre  2007,  n.  169
(Disposizioni integrative e correttive  al  regio  decreto  16  marzo
1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in
materia di disciplina del fallimento,  del  concordato  preventivo  e
della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi  dell'articolo  1,
commi 5, 5-bis  e  6,  della  legge  14  maggio  2005,  n.  80),  dal
decreto-legge 29  novembre  2008,  n.  185  (Misure  urgenti  per  il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per  ridisegnare
in funzione anti-crisi il quadro strategico  nazionale),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009,
n. 2, e dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    Ad avviso del rimettente, il disposto normativo denunciato  viola
gli evocati parametri costituzionali nella parte in cui  prevede  che
la proposta di concordato contenente  una  transazione  fiscale,  con
riguardo  all'imposta   sul   valore   aggiunto,   possa   «prevedere
esclusivamente la dilazione del pagamento». 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito del  giudizio
di ammissibilita' della proposta di  concordato  preventivo  avanzata
dalla societa' Alkimia srl, che prevede di far fronte al pagamento di
tutti i creditori  privilegiati  e  delle  spese  di  procedura  (per
complessivi euro 132.034) mediante apporto esterno del socio, con  il
ricavato della vendita di un bene personale. Per il credito IVA (euro
280.000) la proposta riconosce all'Erario l'importo di  euro  106.467
(pari all'intero valore del patrimonio della societa') oltre ad  euro
8.677 (pari al 5% del  residuo  credito  degradato  a  chirografario,
costituente  classe  a  se'),  con  una  presumibile  percentuale  di
soddisfazione del 41,12%. La proposta prevede, infine,  l'inserimento
in due diverse classi  degli  altri  creditori  chirografari,  ed  il
soddisfacimento degli stessi con il ricavato della vendita  del  bene
personale del socio (i fornitori, per un  credito  di  euro  359.222,
soddisfatti al 20%, e la banca, soddisfatta al 99%). 
    Una  proposta  cosi'  congegnata  garantirebbe  la  soddisfazione
dell'Erario per il credito IVA per  un  importo  pari  al  patrimonio
della societa', di gran lunga superiore a quello che la  liquidazione
fallimentare permetterebbe di acquisire, che - dovendosi detrarre dal
ricavato della vendita le spese a carico della  massa  -  sarebbe  di
soli euro 28.603, pari al 10% dell'intero credito. 
    1.2.- Il rimettente osserva che, in base al recente  orientamento
delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n.  1521  del
23 gennaio 2013), il pagamento parziale dell'Erario  per  il  credito
IVA «costituisce questione attinente alla possibilita'  giuridica  di
ammettere  la  societa'  al  concordato»  rimessa  alla   valutazione
esclusiva del Tribunale, e si mostra altresi' consapevole  del  fatto
che alla luce del diritto vivente (richiama in proposito le  pronunce
gemelle della Corte di cassazione, sez. civ., n. 22931 e 22932 del  4
novembre  2011,  e  la  sentenza  n.  7667  del   16   maggio   2012)
l'inammissibilita' del pagamento  parziale  dell'IVA  discende  dalla
natura sostanziale della previsione  dell'art.  182-ter  della  legge
fallimentare,  e  dalla  finalita'  dell'istituto  della  transazione
fiscale, di approntare una soluzione alla crisi aziendale all'interno
della procedura di concordato preventivo. 
    Condividendo il suddetto approccio interpretativo, il  giudice  a
quo reputa non condivisibile la decisione del Tribunale di  Como  del
29 gennaio 2013 «per il quale la previsione del  pagamento  integrale
dell'IVA deve considerarsi operante solo nella transazione fiscale  e
non nel concordato preventivo,  non  solo  perche'  cio'  risulta  in
aperto  contrasto  con  le  citate  decisioni  della  Cassazione   ma
soprattutto   perche'   l'orientamento   della   Suprema   Corte   di
equiparazione tra le due fattispecie trova  fondamento  oggettivo  ed
indiscutibile nel fatto che anche la transazione fiscale persegue  il
fine di trovare soluzione extra fallimentare alla crisi  dell'azienda
all'interno della procedura di concordato preventivo». 
    Conclude, in punto di rilevanza,  affermando  che  la  necessaria
applicazione del disposto degli  artt.  160  e  182-ter  della  legge
fallimentare   condurrebbe   alla   declaratoria    de    plano    di
inammissibilita'  della  proposta  di  concordato  preventivo,   come
articolata nel  caso  in  esame  e  sottoposta  all'approvazione  del
giudice. 
    2.- Su tali premesse, il Tribunale ordinario di  Verona  sostiene
che l'applicazione del disposto normativo impugnato, nella  delineata
interpretazione  del  giudice  di  legittimita',   comporterebbe   la
violazione  del  principio   di   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione sancito dall'art. 97 Cost., in quanto la declaratoria
di inammissibilita' della  proposta  impedirebbe  all'amministrazione
finanziaria di valutare, in relazione al soddisfacimento del  credito
IVA, la convenienza del piano «non su base astratta  con  riferimento
al parametro ipotetico che preveda il  pagamento  integrale»,  ma  in
concreto  e  in  autonomia,  con  il  conseguente   pregiudizio   per
l'economicita' e la massimizzazione delle risorse acquisibili per  lo
svolgimento dei compiti istituzionali dello Stato. 
    2.1.- Ad avviso del  rimettente  si  profilerebbe,  altresi',  la
violazione  dell'art.  3  Cost.,  poiche'  la  disciplina   censurata
riserverebbe alla pubblica amministrazione un  trattamento  deteriore
rispetto agli altri creditori privilegiati, che in base al  novellato
art. 160 della legge fallimentare, possono optare  per  la  soluzione
concordataria quando sia loro attribuito un  grado  di  soddisfazione
non inferiore a quello realizzabile in sede liquidatoria.  Evidenzia,
in proposito,  come  l'interpretazione  della  Corte  di  cassazione,
polarizzata sulla natura  sostanziale  della  disposizione  dell'art.
182-ter della legge  fallimentare,  non  si  sia  infatti  spinta  ad
affermare che anche in sede fallimentare debba  essere  garantito  il
pagamento integrale del credito IVA. 
    3.- Il giudice a quo dimostra di non ignorare  che  la  Corte  di
giustizia  CE,  nella  sentenza  17  luglio  2008,   causa   C-132/06
Commissione delle Comunita' europee contro  Repubblica  italiana,  ha
sancito l'incompatibilita'  con  l'ordinamento  comunitario  di  ogni
rinuncia indiscriminata e  generalizzata  al  credito  IVA:  obietta,
tuttavia, che  la  valutazione,  in  concreto,  dell'opportunita'  di
accettare la proposta - che, nel caso in esame, egli ritiene dovrebbe
essere  di   competenza   dell'amministrazione   finanziaria   -   si
atteggerebbe  alla  stregua  di  una  «massimazione  possibile  della
pretesa» riconosciuta  dalla  stessa  Corte  di  cassazione,  che  ha
ammesso la possibilita' di definire una lite tributaria  pendente  in
materia di IVA con il pagamento  di  una  somma  inferiore  a  quanto
dovuto all'Erario (sentenza 17 febbraio 2010, n.  3676).  Invoca,  in
proposito, anche la decisione della Corte di giustizia  UE  29  marzo
2012, C-500/10 Ufficio IVA di Piacenza contro  Belvedere  Costruzioni
srl. 
    3.1.- Il rimettente esclude la  sussistenza  del  rischio  di  un
sostanziale svuotamento delle pretese dell'Erario ogni volta  che  il
credito IVA fosse inserito  in  una  classe  inidonea  a  determinare
autonomamente l'approvazione della proposta, in  ragione  del  numero
delle altre classi, ovvero  in  relazione  all'entita'  del  credito.
Deduce, infatti, che pur prevedendo, nel caso in  esame,  tre  classi
rispetto alle quali il credito IVA non costituisce, di per se'  solo,
la maggioranza dei crediti, la proposta di concordato,  in  relazione
al  credito  IVA,  attribuisce  all'Erario  l'intero   attivo   della
societa',  rimettendo  la   soddisfazione   degli   altri   creditori
privilegiati agli apporti esterni alla procedura. Sostiene, pertanto,
che stante l'assenza di concorso con altri creditori, nella specie e'
comunque garantito un livello  di  soddisfacimento  del  credito  IVA
«esattamente pari e comunque non inferiore alla piu' favorevole delle
ipotesi immaginabili che potrebbe verificarsi solo se,  ai  fini  del
soddisfacimento   della    sua    pretesa,    l'Erario    promuovesse
espropriazione  individuale  non   concorrendo   con   nessun   altro
creditore». 
    4.- Ad avviso del Tribunale ordinario di Verona  appare,  dunque,
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale del combinato disposto degli artt. 160 e 182-ter della
legge fallimentare con riferimento all'art. 97 Cost. «nella parte  in
cui, rendendo necessariamente inammissibile la proposta concordataria
che non preveda il pagamento integrale dell'Iva,  non  consente  alla
Pubblica amministrazione di valutare in concreto la convenienza della
proposta» che  assicuri  un  grado  di  soddisfacimento  del  credito
erariale pari al valore dell'attivita' del proponente e superiore  al
ricavato  della  liquidazione  fallimentare  «violando  il  principio
costituzionale del buon andamento della Pubblica amministrazione  che
obbliga  la  stessa  a  seguire  criteri  di   economicita'»   e   di
massimizzazione delle risorse, nonche' in relazione all'art. 3  Cost.
«nella parte in  cui  non  consente  alla  Pubblica  amministrazione,
contrariamente a quanto accade per tutti i creditori privilegiati, di
accettare un pagamento inferiore al credito  ma  superiore  a  quello
ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore». 
    5.- Con memoria depositata il 25 marzo 2014,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto in giudizio,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata manifestamente infondata. 
    5.1.- Nel ripercorrere l'evoluzione normativa  dell'istituto,  la
difesa erariale deduce che l'art. 32, comma 5, del d.l.  n.  185  del
2008  -  inserendo  nel  testo   dell'art.   182-ter,   della   legge
fallimentare, l'inciso secondo  cui  «con  riguardo  all'imposta  sul
valore aggiunto [...] la proposta puo'  prevedere  esclusivamente  la
dilazione  del  pagamento»  -  ha  definitivamente  chiarito  che  in
relazione al credito IVA la transazione fiscale puo' avere ad oggetto
unicamente la dilazione del  pagamento.  Anche  prima  del  succitato
intervento legislativo, ad avviso della deducente, non  era  peraltro
ammessa   la   falcidiabilita'    del    credito    IVA    in    base
all'interpretazione adottata  dalla  Agenzia  delle  entrate  con  la
circolare 18 aprile 2008, n.  40/E,  la  quale  richiamava  «l'ottavo
considerando  della  Direttiva  CE  del  28  novembre  2006,  n.  112
(Direttiva CE del Consiglio relativa al sistema comune d'imposta  sul
valore aggiunto) che affermava che «in applicazione  della  decisione
2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre  2000,  relativa
al sistema delle risorse proprie delle Comunita' europee, il bilancio
delle  Comunita'  europee,  salvo  altre  entrate,  e'  integralmente
finanziato  da  risorse  proprie  delle  Comunita'.   Dette   risorse
comprendono,  tra  l'altro,  quelle  provenienti  dall'IVA,  ottenute
applicando un'aliquota comune ad una base imponibile  determinata  in
modo uniforme e secondo regole comunitarie». 
    6.-  L'Avvocatura  dello  Stato  invoca,  dunque,  il   principio
sovranazionale di intangibilita' dell'imposta sul valore  aggiunto  -
tributo disciplinato da  direttive  comunitarie  per  contribuire  al
finanziamento  dell'Unione  europea  -,  al  quale  e'  chiamato   ad
attenersi  il  legislatore  nazionale  in  forza  della  clausola  di
adeguamento scaturente dall'art.  11  Cost.  Aggiunge  che  le  norme
comunitarie  che  disciplinano  il  sistema  delle  risorse   proprie
dell'Unione europea (cita  la  decisione  del  Consiglio  dell'Unione
europea del  7  giugno  2007,  n.  2007/436/CE)  costituiscono  norme
interposte ai fini del  giudizio  di  costituzionalita'  delle  norme
interne, ai sensi dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.  Da  cio'  fa
discendere  la  conformita'  alla  Costituzione  delle   disposizioni
dettate dagli artt. 160 e 182-ter  della  legge  fallimentare,  e  la
conseguente  infondatezza  della  censura  sollevata   in   relazione
all'art. 97 Cost. 
    6.1.- Quanto al contrasto con l'art.  3  Cost.,  prospettato  dal
rimettente sul rilievo che la regola dell'intangibilita' del  credito
IVA varrebbe solo per la procedura concordataria  e  non  per  quella
fallimentare, la difesa erariale  pone  in  luce  che  lo  scopo  del
concordato preventivo e' di consentire all'impresa di  continuare  la
propria attivita' previa approvazione di un piano di ristrutturazione
dei debiti da parte dei creditori: in questo caso, l'indisponibilita'
del credito IVA risponde alla  ratio  di  evitare  che  l'Erario  sia
soggetto all'arbitrio dei creditori. Diversamente,  rappresenta  come
tale rischio non ricorra  nella  procedura  fallimentare  preordinata
alla liquidazione dell'impresa e al soddisfacimento dei creditori con
l'attivo residuo,  in  quanto  il  Tribunale,  una  volta  emessa  la
sentenza che dichiara il fallimento, approva  lo  stato  passivo  con
atto  autoritativo.  Conclude  rimarcando  che  le   differenze   tra
concordato  preventivo   e   fallimento   -   che   giustificano   la
ragionevolezza della diversa  disciplina  in  base  alla  quale  alla
dichiarazione di fallimento consegue inevitabilmente la riduzione del
credito  IVA  -  sono  state  fissate  a  livello  europeo   con   la
raccomandazione n. 2007/C/272/05 della Commissione  europea,  secondo
la   quale   il   fallimento   produce   un'eccezione   alla   regola
dell'integrale recupero degli  aiuti  di  Stato,  affermando  che  la
dichiarazione di fallimento costituisce  «un'esimente  per  lo  Stato
membro che non effettua l'integrale recupero dell'aiuto illegale  nei
confronti del soggetto fallito». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza del 10 aprile 2013, iscritta  al  n.  25  del
registro ordinanze 2014, il Tribunale ordinario  di  Verona,  sezione
fallimentare,  dubita,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
Costituzione, della legittimita'  del  disposto  degli  artt.  160  e
182-ter del regio decreto 16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata  e  della  liquidazione  coatta  amministrativa),  -   di
seguito, legge fallimentare - nel testo modificato dal  decreto-legge
14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del  Piano  di
azione  per  lo  sviluppo   economico,   sociale   e   territoriale),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  14
maggio 2005, n. 80, dal decreto legislativo  9  gennaio  2006,  n.  5
(Riforma organica della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a
norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005,  n.  80),
dal decreto legislativo  12  settembre  2007,  n.  169  (Disposizioni
integrative e correttive al regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267,
nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5,  in  materia  di
disciplina  del  fallimento,  del  concordato  preventivo   e   della
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo  1,  commi
5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80),  dal  decreto-legge
29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a  famiglie,
lavoro,  occupazione  e  impresa  e  per  ridisegnare   in   funzione
anti-crisi  il  quadro   strategico   nazionale),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009,  n.
2, e dal decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    Ad avviso del rimettente, le disposizioni denunciate violano  gli
evocati parametri nella parte in cui prevedono  che  la  proposta  di
concordato  contenente  una   transazione   fiscale,   con   riguardo
all'imposta sul valore aggiunto, possa «prevedere  esclusivamente  la
dilazione del pagamento». 
    1.1.- Prima di esaminare, nel merito, le singole  censure,  giova
evidenziare che il disposto normativo  sospettato  di  illegittimita'
costituzionale delinea  il  quadro  nel  quale  si  innesta:  a)  «il
controllo di legittimita' sul giudizio di fattibilita' della proposta
di concordato» (cosi', espressamente, la  pronuncia  della  Corte  di
cassazione, sezioni unite, n. 1521 del 23 gennaio  2013)  di  cui  il
giudice a quo e' consapevole di essere investito, essendo chiamato  a
verificare la  ricorrenza  dei  «presupposti  per  l'ammissione  alla
procedura», ai sensi dell'art. 160 della legge  fallimentare,  di  un
piano  di  concordato  che  costituisce  strumento  operativo   della
proposta; b) la disciplina sostanziale del  trattamento  dei  crediti
nell'ambito della procedura concorsuale - comprendente l'art. 182-ter
- la quale, come posto in luce dalla giurisprudenza di  legittimita',
«e' dettata  da  motivazioni  che  attengono  alla  peculiarita'  del
credito e prescindono dalle particolari modalita' con cui  si  svolge
la procedura di crisi» (in tal senso le pronunce gemelle della  Corte
di cassazione, sez. civ., n. 22931 e 22932 del 4 novembre  2011);  c)
la transazione  fiscale,  che  costituisce  una  peculiare  procedura
transattiva tra il contribuente e il fisco,  che  puo'  autonomamente
integrare il piano previsto dall'art. 160 della legge fallimentare  e
deve  essere  parimenti  sottoposta  al  sindacato  di   fattibilita'
giuridica  del  Tribunale.  Ricorrendo  a  tale  istituto  -  la  cui
applicazione all'ordinamento tributario e'  del  tutto  innovativa  -
l'imprenditore in crisi puo' proporre alle  agenzie  fiscali  o  agli
enti gestori di forma di previdenza  e  assistenza  obbligatorie,  il
pagamento parziale ovvero dilazionato dei tributi o dei contributi  e
dei  relativi  accessori,  in  deroga  al   principio   generale   di
indisponibilita'   e   irrinunciabilita'   del   credito   da   parte
dell'amministrazione finanziaria. 
    1.2.- Va premesso, altresi', che l'art. 182-ter, comma  1,  della
legge fallimentare - inserito dall'art. 146, comma 1, del d.lgs. n. 5
del 2006, sostituito dall'art. 32, comma 5, lettera a), del  d.l.  n.
185 del 2008, e, successivamente, modificato dall'art. 29,  comma  2,
lettera a), del d.l. n. 78 del 2010 - prevede, in base alla natura ed
alle garanzie che assistono i crediti tributari e  contributivi,  una
triplice  delimitazione  legale  del  contenuto   della   transazione
fiscale. 
    In  particolare:  1)  i  crediti  tributari   (o   contributivi),
«limitatamente alla quota di  debito  avente  natura  chirografaria»,
possono  costituire  oggetto  di   transazione   fiscale   remissoria
(pagamento  parziale)  o  dilatoria  (pagamento   dilazionato),   con
l'eccezione (prevista sin dalla prima introduzione dell'istituto) dei
tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, e purche' il
trattamento non sia  differenziato  rispetto  a  quello  degli  altri
creditori chirografari ovvero, nel caso di  suddivisione  in  classi,
dei creditori rispetto ai  quali  e'  previsto  un  trattamento  piu'
favorevole; 2) per i crediti tributari (o contributivi) assistiti  da
privilegio «la percentuale, i  tempi  di  pagamento  e  le  eventuali
garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti  ai  creditori
che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che  hanno  una
posizione giuridica ed interessi economici omogenei  a  quelli  delle
agenzie e degli enti gestori di  forme  di  previdenza  e  assistenza
obbligatorie»; 3) con riguardo all'imposta sul  valore  aggiunto  (ed
alle ritenute operate e  non  versate)  la  proposta  di  transazione
fiscale «puo' prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento». 
    2.- Sulla base dei suindicati elementi, deve ritenersi  rilevante
la questione. 
    Ed  infatti,  adottando  un'interpretazione  degli  artt.  160  e
182-ter della legge fallimentare, nel quadro del diritto  vivente  in
materia di estensione del  sindacato  giurisdizionale  alla  fase  di
ammissione dell'imprenditore alla procedura di concordato preventivo,
il  giudice  a  quo  e'  consapevole  di  doversi  pronunciare  sulla
«fattibilita' giuridica»  del  concordato,  e  in  particolare  sulla
possibilita' giuridica di ammettervi una societa' in base ad un piano
che contiene, tra l'altro, una proposta di  transazione  fiscale  che
prevede  il  pagamento  parziale  del  tributo   IVA.   Afferma,   di
conseguenza, che la declaratoria di ammissibilita' del concordato non
puo' prescindere dall'esito positivo dello scrutinio di  legittimita'
avente ad oggetto la proposta di transazione fiscale. 
    3.- L'attenzione deve dunque incentrarsi sul credito  dell'Erario
per l'IVA, tributo del quale, nel  caso  in  esame,  la  proposta  di
transazione fiscale prevede la  falcidia,  e  non  la  dilazione  del
pagamento, come espressamente previsto dall'art. 182-ter della  legge
fallimentare. 
    Anche prima della novella del 2008 si sosteneva  che  il  credito
IVA  non  potesse  costituire   oggetto   di   transazione   fiscale,
sull'assunto che si  trattasse  di  un  tributo  costituente  risorsa
propria  dell'Unione  europea.  Oltre   all'Agenzia   delle   entrate
(circolare n. 40/E del 18 aprile 2008) in tal senso si pronunciava la
giurisprudenza di legittimita' (nelle  citate  sentenze  n.  22931  e
22932 del 2011), la quale  rimarcava  l'intangibilita'  dell'IVA  nel
solco   di   un'interpretazione   dell'art.   182-ter   della   legge
fallimentare ante-riforma che intendeva «[...] il richiamo al tributo
come risorsa riferito non gia' al gettito effettivo [...] bensi' alla
specie del tributo individuata quale parametro per  il  trasferimento
di risorse all'Unione e la cui gestione, sia normativa che esecutiva,
e' di interesse comunitario e come tale sottoposta a vincoli». 
    I rilievi che precedono ben sintetizzano la natura dell'IVA  come
imposta  la  cui  disciplina  e'  fortemente  armonizzata  a  livello
comunitario in quanto «risorsa  propria»  dell'Unione  europea.  Cio'
spiega i vincoli derivanti per gli Stati membri  nell'accertamento  e
nella riscossione dell'imposta in esame. 
    3.1.-  In  tale  quadro  si  colloca  la  novellata  formulazione
dell'art. 182-ter della legge fallimentare in materia di  transazione
fiscale, che, nel troncare  ogni  dubbio  sulla  falcidiabilita'  del
credito erariale per l'IVA, ha espressamente chiarito -  come  emerge
dalla Relazione illustrativa al disegno di legge di  conversione  del
d.l. n. 185 del 2008 - che la  disposizione  volta  ad  escludere  il
pagamento parziale dell'IVA  in  sede  di  concordato  preventivo  e'
scaturita dalla  necessita'  di  non  contravvenire  alla  «normativa
comunitaria che vieta allo Stato  membro  di  disporre  una  rinuncia
generale, indiscriminata e preventiva  al  diritto  di  procedere  ad
accertamento e verifica». Dai medesimi lavori preparatori  si  evince
che il riferimento e'  ai  principi  contenuti  nella  direttiva  del
Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, che ha operato la  rifusione
delle norme che costituiscono il sistema comune d'imposta sul  valore
aggiunto, sostituendo, dal 1° gennaio 2007, gli artt. 2  e  22  della
sesta direttiva  del  Consiglio  17  maggio  1977,  1977/388/CEE,  in
materia di  armonizzazione  delle  legislazioni  degli  Stati  membri
relative alle imposte sulla cifra d'affari. 
    4.-   Un   rapido   excursus    dell'evoluzione    normativa    e
giurisprudenziale dell'IVA comunitaria si impone per  focalizzare  il
principio dell'intangibilita' dell'IVA, che in materia di transazione
fiscale ha ispirato le pronunce del  giudice  di  legittimita'  e  ha
connotato  la  disciplina  dettata  dal  legislatore  nazionale,   in
conformita' al rilievo sovranazionale dell'imposta. 
    4.1.- Il sistema comune IVA - riferibile alle cessioni di beni  e
alla  prestazione  di  servizi  da  parte  dei  singoli   nell'ambito
dell'Unione europea, nonche' agli acquisti  intracomunitari  di  beni
tra Stati membri -  si  propone,  attraverso  l'armonizzazione  della
disciplina della base imponibile e la determinazione  di  livelli  di
aliquote  sufficientemente  ravvicinati  tra  gli  Stati  membri,  di
attuare  nel  tempo  la  neutralita'  dell'imposta  ai   fini   della
concorrenza. 
    Con le direttive del Consiglio 11 aprile  1967  -  la  67/227/CEE
(Prima direttiva in  materia  di  armonizzazione  delle  legislazioni
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari)  e  la
67/228/CEE (Seconda direttiva  in  materia  di  armonizzazione  delle
legislazioni degli Stati membri relative  alle  imposte  sulla  cifra
d'affari) - fu stabilito che entro  il  1°  gennaio  1972  i  sistemi
nazionali  di  imposta  sulla   cifra   d'affari   dovessero   essere
gradualmente sostituiti con un sistema comune  basato  sul  principio
della neutralita', in base  al  quale  i  beni  e  i  servizi  simili
dovevano essere assoggettati allo stesso carico fiscale in ogni Stato
membro. 
    Significative modifiche furono apportate con la direttiva del  17
maggio 1977, 1977/388/CEE (Sesta direttiva del Consiglio  in  materia
di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle
imposte sulla cifra d'affari - Sistema comune di imposta  sul  valore
aggiunto: base imponibile uniforme), la quale diede  attuazione  alla
decisione del Consiglio dei Ministri delle Comunita' europee adottata
a Lussemburgo il 21 aprile 1970. Con tale decisione -  essendo  stato
raggiunto l'accordo definitivo per il passaggio dal finanziamento del
bilancio delle Comunita' europee con  i  contributi  nazionali  degli
Stati membri al sistema di risorse proprie, come  previsto  dall'art.
201 del Trattato di Roma (poi art. 269 del Trattato istitutivo  della
Comunita' europea,  e,  dal  1°  dicembre  2009,  dall'art.  311  del
Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea)  -  fu  introdotta,
accanto  alle  risorse  tradizionali  (prelievi   agricoli   e   dazi
doganali), la terza risorsa proveniente dall'IVA riscossa nei singoli
Stati. 
    Con il Trattato firmato a Lussemburgo il 22 aprile 1970  fu  data
esecuzione alla decisione del 21 aprile 1970, attuata in  Italia  con
il decreto legislativo 16  aprile  1971,  n.  321  (Attuazione  della
decisione del Consiglio dei Ministri delle Comunita' europee relativa
alla sostituzione dei contributi finanziari degli  Stati  membri  con
risorse proprie delle Comunita', adottata a Lussemburgo il 21  aprile
1970, e dei regolamenti comunitari relativi  al  finanziamento  della
politica agricola comune, in applicazione dell'art.  3  della  L.  23
dicembre 1970, n. 1185). 
    La direttiva 28 novembre  2006,  2006/112/CE  (Direttiva  CE  del
Consiglio relativa al sistema comune d'imposta sul  valore  aggiunto)
ha infine attuato la  rifusione  delle  norme  che  costituiscono  il
sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto.  Entrata  in  vigore
dal 1° gennaio 2007, essa costituisce una sorta  di  testo  unico  di
tutte le norme in materia, coordinando le modifiche  succedutesi  nel
tempo. In particolare, l'«ottavo  considerando»  della  direttiva  in
parola afferma che  «In  applicazione  della  decisione  2000/597/CE,
Euratom del Consiglio, del 29 settembre  2000,  relativa  al  sistema
delle risorse proprie delle  Comunita'  europee,  il  bilancio  delle
Comunita' europee, salvo altre entrate, e'  integralmente  finanziato
da risorse proprie delle Comunita'. Dette  risorse  comprendono,  tra
l'altro, quelle provenienti dall'IVA, ottenute applicando un'aliquota
comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e  secondo
regole comunitarie». 
    4.2.- La  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  UE  assume
indubbia rilevanza nel delineare la funzione assolta dall'imposta sul
valore aggiunto  nel  sistema  finanziario  dell'Unione  europea,  e,
dunque,  per  il  concreto  inquadramento  dei  limiti   imposti   al
legislatore nazionale dal recepimento della normativa comunitaria  in
materia di IVA. 
    La Corte di Lussemburgo  -  quale  «interprete  qualificato»  del
diritto comunitario, di cui «precisa autoritariamente il  significato
con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina,  in  definitiva
l'ampiezza e il contenuto delle possibilita'  applicative»  (sentenza
n.   389   del   1989)   -   ha   ribadito   che   l'indisponibilita'
dell'applicazione della  disciplina  comunitaria  dell'IVA  da  parte
degli  Stati  membri  impedisce  a  questi   ultimi   di   rinunciare
all'accertamento dell'imposta, in  quanto  cio'  pregiudicherebbe  la
riscossione di una risorsa propria delle Comunita' europee. Ha  cosi'
ritenuto in contrasto con la  Sesta  direttiva  del  1977  il  regime
tributario con cui lo Stato non instaura  modalita'  semplificate  di
imposizione  e  riscossione  dell'imposta,  ma  esenta   le   imprese
dall'obbligo di dichiarazione e  versamento  (sentenza  28  settembre
2006, causa  C-128/05  Commissione  delle  Comunita'  europee  contro
Repubblica d'Austria). 
    Ha  dichiarato,  altresi',   il   contrasto   con   l'ordinamento
comunitario del «condono tombale» in materia di  IVA  (in  tal  senso
anche   la   sentenza   n.   247   del   2011),   ed   ha   rimarcato
l'incompatibilita'  con  la  disciplina  comunitaria  dell'IVA  della
rinuncia generale e indiscriminata all'accertamento delle  operazioni
imponibili effettuate nel corso  di  una  serie  di  periodi  imposta
(sentenza 11 dicembre 2008, causa C-174/07; analogamente, sentenza 17
luglio 2008,  causa  C-132/06  Commissione  delle  Comunita'  europee
contro Repubblica italiana). 
    4.3.- Nel valutare la  latitudine  applicativa  della  disciplina
interna della transazione fiscale avente ad oggetto il pagamento  del
credito IVA - che nella sola modalita' dilatoria prevista dalla legge
pregiudicherebbe,    a    detta    del    rimettente,    il    potere
dell'amministrazione  finanziaria  di  accettare,  pur  subendo   una
falcidia, un importo superiore a quello ricavabile dalla liquidazione
del  patrimonio  del  debitore  -,  questa  Corte  non  puo'   dunque
discostarsi dall'articolato quadro normativo di riferimento  dell'IVA
comunitaria. 
    Come posto in luce dalla Corte di cassazione,  la  cogenza  della
disciplina  sovranazionale  si  esprime   nell'«assorbimento»   degli
obblighi facenti  capo  al  legislatore  nazionale  di  accertamento,
controllo e riscossione dell'imposta e  nell'obbligo  gravante  sullo
Stato membro di assicurare l'effettiva riscossione di quella  che  e'
una risorsa propria delle Comunita' europee: «All'interno  di  questi
limiti rigorosi deve ritenersi legittimo il ricorso del legislatore a
meccanismi agevolativi che  garantiscano  effettivamente  un  maggior
gettito finale senza peraltro indurre in alcun modo i contribuenti  a
dichiarare  una  parte  del  dovuto  e  senza  attribuire   loro   la
possibilita' di sottrarsi al pagamento del dovuto con  il  versamento
di importi forfettari non correlati all'imposta dovuta  e  produttivi
di una quasi esenzione-fiscale» (Corte di cassazione, sez.  civ.,  n.
20068 del 18 settembre 2009). 
    5.- Dalla lettura dell'ordinanza  di  rimessione  emerge  che  il
giudice a quo non dubita del fatto che la  disciplina  censurata  sia
stata ispirata dal diritto comunitario,  dato  che  afferma  che  «la
previsione legislativa  oggetto  di  censura  in  questa  sede  trova
diretto fondamento nella nota  pronuncia  della  Corte  di  Giustizia
Europea 17 luglio 2008 C-132/06 che ha sancito l'incompatibilita' con
l'ordinamento  comunitario  di   ogni   rinuncia   indiscriminata   e
generalizzata» all'accertamento e alla riscossione dell'IVA. 
    La valutazione relativa alla «compatibilita'  comunitaria»  della
disciplina impugnata - che secondo la giurisprudenza di questa  Corte
costituisce  il  «prius  logico  e  giuridico»  della  questione   di
legittimita' costituzionale (tra le tante, sentenza n. 241 del  2010)
- puo' dunque ritenersi correttamente espletata  dal  rimettente  che
non ha, infatti, denunciato a questa Corte la violazione degli  artt.
11  e  117,  primo  comma,  Cost.,  che  costituiscono  i   parametri
costituzionali da attivare  laddove  il  giudice  comune  ravvisi  un
contrasto con una norma comunitaria priva di  efficacia  diretta  (ex
plurimis, ordinanza n. 207 del 2013, sentenze n. 75 del 2012, n.  227
del 2010, n. 102 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007). 
    5.1.- In tale prospettiva, e prima di vagliare,  nel  merito,  le
singole censure di illegittimita' costituzionale,  questa  Corte  non
puo' esimersi dal valutare il tentativo del rimettente  di  veicolare
un'interpretazione della  disciplina  comunitaria  dell'IVA  e  delle
statuizioni della Corte  di  Lussemburgo  idonea,  a  suo  avviso,  a
superare i sollevati dubbi relativi all'assoluta impraticabilita'  di
decisioni  che  determinino  una  riduzione  della  base   imponibile
dell'IVA. 
    Il Tribunale ordinario di Verona asserisce, in  particolare,  che
in base alla pronuncia delle Sezioni unite della Corte di  cassazione
(sentenza n. 3676 del  17  febbraio  2010)  non  sarebbe  lesiva  del
principio  comunitario,  che  vieta   ogni   rinuncia   generalizzata
all'accertamento del credito IVA, «la possibilita' concessa dall'art.
16 della legge 289 del 2002 di definire una lite pendente in  materia
di IVA con il pagamento di una somma inferiore  a  quanto  dovuto  in
funzione del  vantaggio  dipendente  dalla  chiusura  della  lite  in
corso». Sostiene che detta modalita' di definizione  del  contenzioso
tributario in materia di IVA renderebbe praticabile, anche in sede di
transazione  fiscale,  una  razionale   (e   quindi   costituzionale)
ottimizzazione possibile della pretesa erariale. Ritiene pertanto non
implausibile, in  tale  ottica,  un  intervento  sugli  artt.  160  e
182-ter,   della   legge   fallimentare,   che    possa    consentire
all'amministrazione  finanziaria  di  valutare,   in   concreto,   la
convenienza di una proposta di transazione fiscale che  prospetti  il
pagamento parziale del credito IVA. 
    A sostegno del proprio assunto, il  rimettente  invoca  anche  la
giurisprudenza della Corte di Lussemburgo (sentenza  29  marzo  2012,
causa C-500/10 Ufficio IVA di Piacenza contro  Belvedere  Costruzioni
srl). 
    5.2.-  Una  siffatta  lettura  delle  citate  pronunce   non   e'
condivisibile in ragione dell'erronea  premessa  ermeneutica  da  cui
muove il giudice a quo, in base alla quale  la  chiusura  delle  liti
fiscali pendenti, prevista e disciplinata dall'art. 16 della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003),  sarebbe
espressione del riconoscimento, da parte del giudice comunitario, del
potere del  legislatore  statale  di  rinunciare,  in  casi  singoli,
all'accertamento e alla riscossione dell'IVA. 
    Giova, al riguardo, ribadire che sia questa Corte sia il  Giudice
europeo hanno affermato che il «condono tombale»  disciplinato  dagli
artt. 8 e 9 della sopra citata legge n.  289  del  2002  si  pone  in
distonia con il quadro normativo di riferimento dell'IVA comunitaria.
Oltre alla consolidata giurisprudenza della Corte di Lussemburgo,  in
tal senso si e' pronunciata anche questa Corte, che  ha  sottolineato
l'incontestata vigenza del principio dell'«assoluta  irrilevanza  del
condono  (ancorche'  perfezionato)   sui   poteri   di   accertamento
dell'amministrazione finanziaria con riferimento alla sussistenza dei
crediti vantati dal contribuente» (sentenza n. 247 del 2011). 
    5.3.- Erra  dunque  il  rimettente  nel  ritenere  che  lo  Stato
italiano, nel disciplinare la chiusura delle liti fiscali pendenti in
forza  dell'art.  16  della  legge  n.  289  del  2002,  possa   aver
contravvenuto all'obbligo, di  fonte  sovranazionale,  di  assicurare
l'accertamento  e  l'integrale  riscossione  dell'IVA   nel   proprio
territorio. Sotto tale profilo, e contrariamente a  quanto  sostenuto
dal giudice a quo, con la pronuncia del 29 marzo 2012,  la  Corte  di
Lussemburgo ha rimarcato che si  e'  trattato  di  una  «disposizione
nazionale eccezionale» emanata al fine di assicurare il rispetto  del
principio della ragionevole durata  del  giudizio,  con  l'estinzione
automatica  dei  procedimenti  ultradecennali  pendenti  dinanzi   al
giudice  tributario  di  terzo  grado,  nei  quali  l'amministrazione
tributaria era risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio,
misura ritenuta compatibile con il principio di  neutralita'  fiscale
in ragione del carattere contestato, e dunque incerto, del credito di
imposta. 
    Un'identica interpretazione della norma e' stata  adottata  dalla
Corte di cassazione, sul rilievo, dirimente, della diversa  finalita'
della disciplina della  chiusura  delle  liti  fiscali  pendenti,  di
attuare non «la definizione dell'imposta bensi' la definizione di una
lite in corso tra contribuente ed amministrazione, in funzione  della
riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati  allo
stato della lite stessa al  momento  della  domanda  di  definizione,
garantendo la riscossione di un credito tributario incerto sulla base
di un trattamento paritario tra i contribuenti»  (ordinanza  n.  3675
del 2010, e, nello stesso senso, sentenze n. 3676 e 3677 del 2010). 
    6.- Venendo all'esame delle singole censure, con la prima di esse
viene affermato che il disposto degli artt. 160 e 182-ter della legge
fallimentare si porrebbe in contrasto con l'art. 97, Cost.,  poiche',
conducendo alla  declaratoria  de  plano  di  inammissibilita'  della
proposta di concordato contenente una  transazione  fiscale  che  non
preveda   l'integrale   pagamento   dell'IVA,    non    consentirebbe
all'amministrazione  finanziaria  di  valutare,   in   concreto,   la
convenienza del piano che prospetti un  grado  di  soddisfazione  del
credito tributario in misura  pari  al  valore  delle  attivita'  del
debitore e non inferiore a quanto ricavabile dalla vendita in sede di
liquidazione fallimentare, cosi' ledendo il principio  costituzionale
del buon andamento della  pubblica  amministrazione  che  obbliga  la
stessa a seguire criteri di economicita' e di  massimizzazione  delle
risorse. 
    Con la seconda  censura,  il  rimettente  lamenta  la  violazione
dell'art. 3 Cost., deducendo che la disciplina impugnata riserverebbe
all'amministrazione finanziaria  un  trattamento  deteriore  rispetto
agli  altri  creditori  privilegiati,  non  consentendole  di   poter
accettare, in  relazione  al  credito  IVA,  un  pagamento  inferiore
all'importo del  tributo  ma  superiore  a  quanto  ricavabile  dalla
liquidazione del patrimonio del debitore. 
    6.1.-  Va  preliminarmente  rilevato,  alla  luce   dell'excursus
compiuto, come entrambe le censure si fondino su  una  lettura  delle
norme impugnate che si pone contro una disciplina -  qual  e'  quella
della transazione fiscale, come  ridisegnata  nel  2008,  al  culmine
della riforma delle procedure concorsuali - che  per  il  legislatore
nazionale e' stata un'opzione che  non  poteva  non  risentire  degli
obiettivi introdotti con le decisioni e le  direttive  del  Consiglio
dell'Unione  europea  a  partire  dagli  anni   '70,   in   tema   di
armonizzazione dell'IVA comunitaria, e  dei  principi  elaborati,  in
sede applicativa, dalla Corte di giustizia UE e dal  giudice  interno
di legittimita'. 
    Si e' gia'  detto  che  e'  la  natura  dell'IVA  quale  «risorsa
propria» dell'Unione europea a  spiegare  i  vincoli  per  gli  Stati
membri  nella  gestione  e  riscossione   dell'imposta,   come   pure
l'inderogabilita' della  disciplina  interna  del  tributo  e,  nella
specie, la formulazione dell'art. 182-ter della  legge  fallimentare,
che, in ossequio al  principio  dell'indisponibilita'  della  pretesa
tributaria all'infuori  di  specifica  previsione  normativa  che  ne
preveda  la  rideterminazione,  ha  escluso  la  falcidiabilita'  del
credito IVA in sede di transazione fiscale, consentendone soltanto la
dilazione del pagamento. 
    6.2.- Tanto evidenziato, la questione riferita all'art. 97  Cost.
non  e'  fondata,  non  essendo,  in  relazione  a  tale   parametro,
ipotizzabile  il  contrasto  con  la  disciplina  della   transazione
fiscale,  dedotto  dal  rimettente  in  base   al   presupposto   che
dall'inammissibilita' de  plano  della  proposta  di  concordato  che
preveda il pagamento parziale dell'IVA deriverebbe nocumento al  buon
andamento dell'attivita' dell'amministrazione finanziaria. 
    Infatti, la previsione legislativa della sola modalita' dilatoria
in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il  credito
IVA deve essere intesa come il limite  massimo  di  espansione  della
procedura   transattiva   compatibile    con    il    principio    di
indisponibilita'  del  tributo.  E'  pacifico,   altresi',   che   la
disciplina censurata  ha  formalizzato  la  soluzione  accolta  dalla
giurisprudenza  di  legittimita'  e  dalla  normativa  secondaria  di
settore gia'  nel  vigore  della  precedente  formulazione  dell'art.
182-ter  della  legge  fallimentare,   che   escludeva   dall'oggetto
dell'accordo  fiscale   i   tributi   costituenti   risorse   proprie
dell'Unione europea. 
    Giova infine sottolineare  come  il  vulnus  per  i  «criteri  di
economicita'» e di massimizzazione «delle risorse» - che il giudice a
quo  pone  in  relazione  all'impossibilita'  per   l'amministrazione
finanziaria di valutare, in concreto, la convenienza di un  pagamento
parziale dell'IVA  che  realizzi  un  grado  di  soddisfacimento  del
credito  in  misura  non  inferiore  al  valore  della   liquidazione
fallimentare - sia smentito  dalla  ratio  della  vigente  disciplina
della transazione fiscale. La previsione di una deroga  al  principio
di   indisponibilita'   della   pretesa   tributaria   normativamente
circoscritta  alla  sola  dilazione  di  pagamento  dell'IVA  non  e'
irragionevole e si giustifica - sul piano prognostico -  proprio  per
il  persistere,  in  capo  all'amministrazione   finanziaria,   della
possibilita' di riscuotere il tributo in futuro, con  la  contestuale
approvazione di  un  piano  di  concordato  idoneo  a  consentire  il
graduale superamento dello stato di crisi dell'impresa. 
    7.- Le considerazioni che precedono conducono alla non fondatezza
della censura rivolta alla disciplina della  transazione  fiscale  in
relazione all'art. 3 Cost., sollevata in base ad  argomentazioni  che
parimenti     denunciano     la     disparita'     di     trattamento
dell'amministrazione finanziaria rispetto  alle  altre  categorie  di
creditori, i quali, ad avviso del rimettente, in  base  al  novellato
art. 160 della legge fallimentare possono  optare  per  la  soluzione
concordataria quando al loro  credito  sia  attribuito  un  grado  di
soddisfazione non inferiore a quello  realizzabile  sul  ricavato  in
sede di liquidazione. 
    Anche in questo caso, infatti, la  prospettazione  del  Tribunale
rimettente  fa  leva  su  una  simmetria  normativa  con  i   crediti
privilegiati  di  altra  natura,  e  sul  possibile   soddisfacimento
parziale degli stessi «in misura non inferiore a quella realizzabile,
in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso  di
liquidazione» (art. 160, comma 2, della legge fallimentare). 
    Un siffatto ragionamento attua, tuttavia, un accostamento  fra  i
trattamenti  differenziati   che   la   disciplina   del   concordato
fallimentare riserva alle diverse categorie di creditori, e segue  un
approccio ricostruttivo che non e' condivisibile,  in  considerazione
della piu' volte  sottolineata  peculiarita'  della  regolamentazione
della transazione fiscale del credito IVA. 
    In particolare, il tertium comparationis evocato  dal  giudice  a
quo concerne i crediti privilegiati non tributari,  per  i  quali  la
falcidiabilita' in sede  di  concordato  preventivo  e'  ammessa,  in
generale, dal citato art. 160, comma 2, della legge fallimentare. Tra
tale disciplina e quella specificamente dettata per il  credito  IVA,
si frappone, ancora, il regime previsto dalla seconda parte dell'art.
182-ter, comma 1, della legge fallimentare, per i  crediti  tributari
(o  contributivi)  assistiti  da  privilegio  -  per  i   quali   «la
percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono
essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado  di
privilegio  inferiore  [...]»  -  e  per  i  crediti   tributari   (o
contributivi)  aventi  natura  chirografaria,   per   i   quali   «il
trattamento non puo' essere differenziato  rispetto  a  quello  degli
altri creditori chirografari, ovvero, nel  caso  di  suddivisione  in
classi, dei creditori rispetto ai quali e'  previsto  un  trattamento
piu' favorevole». 
    A nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati  e
chirografari e' riconducibile il credito IVA, per il quale esiste una
disciplina eccezionale attributiva di  un  «trattamento  peculiare  e
inderogabile» (Corte di cassazione, sez. civ., n.  22931  del  2011),
che consentendo esclusivamente la transazione dilatoria  e'  tesa  ad
assicurare il pagamento  integrale  di  un'imposta  assistita  da  un
privilegio di grado postergato (qual e' appunto l'IVA), in deroga  al
principio dell'ordine legale delle cause di prelazione. 
    7.1.- La questione,  pertanto,  non  e'  fondata,  non  essendovi
profili di intrinseca irragionevolezza nella disciplina  dettata  dal
disposto degli artt. 160  e  182-ter  della  legge  fallimentare,  la
quale, ai fini dell'ammissibilita' del piano di concordato contenente
una proposta di  transazione  fiscale,  regolamenta  diversamente  il
credito   erariale   IVA,   riservando   ad   esso   un   trattamento
necessariamente  differenziato   non   solo   rispetto   ai   crediti
privilegiati in generale, ma anche nei confronti degli altri  crediti
tributari assistiti da privilegio. 
    Oltre che sull'inammissibile raffronto tra fattispecie  normative
eterogenee  -  che  riflette,  come  si  e'  detto,  un'opzione   del
legislatore interno necessitata dalla peculiare  disciplina  dell'IVA
derivante  dalle  regole  comunitarie  -  la  non  fondatezza   della
questione riposa, altresi', sul  rilievo  che  la  norma  interna  in
materia di transigibilita' del credito IVA e', di per se', disciplina
eccezionale rispetto al principio dell'indisponibilita' della pretesa
erariale. Come affermato da questa Corte «non  costituisce  fonte  di
discriminazione  costituzionalmente  rilevante  il   fatto   che   il
legislatore abbia delimitato l'ambito di applicazione della norma, in
quanto [...] non e' fonte di illegittimita' costituzionale il  limite
alla estensione di norme che, come  quella  in  esame,  costituiscono
deroghe a principi generali» (sentenza n.  112  del  2013,  e,  nello
stesso senso, ordinanza n. 49 del 2013).