ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 445-bis del
codice  di  procedura  civile  e  dell'art.  10,  comma  6-bis,   del
decreto-legge  30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di   contrasto
all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia  tributaria  e
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso dal Tribunale ordinario
di Roma nel procedimento vertente tra R.A. e l'INPS con ordinanza del
18 gennaio 2013, iscritta al n. 204 del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  40,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di costituzione di R.A. e dell'INPS; 
    udito nell'udienza pubblica del  23  settembre  2014  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Maurizio Cinelli e Giulio Cimaglia per R.A.  e
Mauro Ricci per l'INPS. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in  composizione  monocratica
ed in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza  del  18  gennaio
2013, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24, 38 e 111  della
Costituzione - questioni di legittimita' costituzionale  concernenti:
1) l'art. 445-bis del codice di procedura civile,  in  toto,  nonche'
l'art. 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005,  n.  248
[recte:  n.  203],  (Misure  di  contrasto  all'evasione  fiscale   e
disposizioni  urgenti   in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  2
dicembre  2005,  n.  248,  «per   contrasto   con   i   principi   di
ragionevolezza ed in violazione degli artt. 24, 38 e 111  Cost.»;  2)
l'art. 445-bis cod. proc. civ., in toto, per violazione del principio
di   ragionevolezza,   «atteso   che   il    decreto    di    omologa
dell'accertamento del requisito sanitario previsto  dal  comma  5  di
detto art. non attribuisce al decreto medesimo la qualita' di  titolo
esecutivo»; 3) ancora l'art. 445-bis cod. proc. civ.  per  violazione
del diritto di azione e di difesa  di  cui  all'art.  24  Cost.,  del
principio di ragionevolezza e dell'art. 38 Cost.,  in  relazione:  al
termine perentorio di cui al  quarto  comma  dell'art.  445-bis  cod.
proc. civ.; al decreto di omologa «pronunciato fuori udienza» di  cui
al quinto comma dello stesso articolo; al termine perentorio  di  cui
al sesto comma; infine, alla sanzione di inammissibilita' contemplata
al sesto comma della  ripetuta  norma;  4)  l'art.  445-bis,  settimo
comma, cod. proc.  civ.,  introdotto  dall'art.  27  della  legge  12
novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di  stabilita'  2012),  per
contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. 
    2.- Il rimettente premette che, con ricorso proposto ai sensi del
citato art. 445-bis cod. proc. civ., il signor  R.A.  ha  chiesto  al
Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro,  l'accertamento
del requisito sanitario, allo scopo di ottenere  il  pagamento  delle
provvidenze  economiche  per  l'invalidita'  civile  (indennita'   di
accompagnamento),  affermando  di  avere  inutilmente   esperito   il
procedimento  amministrativo   e   di   essere   portatore   di   una
invalidita'/inabilita' di grado tale da giustificare  la  concessione
del  beneficio  richiesto.   Ha   aggiunto   che,   instauratosi   il
contraddittorio, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (d'ora
in avanti, «INPS») ha concluso per il rigetto della domanda. 
    Cio' posto, il  giudice  a  quo  ritiene,  in  primo  luogo,  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'intero art. 445-bis cod.  proc.  civ.,  rubricato  «Accertamento
tecnico preventivo obbligatorio», nonche' dell'art. 10, comma  6-bis,
del d.l. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 248 del 2005 (come, da ultimo, modificato dall'art. 38,  comma  8,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti
per la stabilizzazione finanziaria», convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della  legge  15  luglio  2011,  n.  111),  per
violazione del principio di ragionevolezza, nonche' degli  artt.  24,
38 e 111 Cost. 
    Dopo avere esposto il contenuto  della  normativa  censurata,  il
giudicante osserva che l'art. 445-bis cod. proc.  civ.  concreterebbe
un'ipotesi di "giurisdizione  condizionata",  nella  quale  l'accesso
alla tutela giurisdizionale e' subordinato al previo  adempimento  di
oneri procedurali a carico delle parti. Sulla  base  di  un  costante
principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte  -  prosegue
il rimettente - la previsione di  una  tale  forma  di  giurisdizione
contrasterebbe  con  la  Costituzione  soltanto   qualora   non   sia
giustificata  da  esigenze  di  carattere  generale  o  da  superiori
finalita'  di  giustizia  e  non   sia   ispirata   da   criteri   di
ragionevolezza (sono richiamate, tra le altre, le sentenze n. 296 del
2008, n. 403 del 2007, n. 251  del  2003  e  n.  406  del  1993).  In
effetti, sempre ad avviso del giudice a quo, nel caso  di  specie  si
tratterebbe di una forma atipica di "giurisdizione condizionata",  in
quanto l'accertamento tecnico preventivo  (d'ora  in  avanti  «ATP»),
previsto dalla norma  in  questione,  sarebbe  diretto  ad  acquisire
elementi di prova rilevanti nel successivo ed eventuale  giudizio  di
merito, costituendo una vera e propria "anticipazione" del  tempo  di
espletamento  della  consulenza  tecnica  di  ufficio,   accertamento
istruttorio ineludibile nei giudizi in esame. 
    Secondo il giudicante, la norma censurata  limiterebbe,  fino  ad
impedirlo, il diritto costituzionale di azione e di difesa,  previsto
dall'art. 24 Cost., e darebbe luogo ad una  irragionevole  disparita'
di trattamento tra soggetti uguali (ad esempio i  lavoratori  di  una
stessa fabbrica), in  base  alla  materia  disciplinata  dalle  norme
processuali     (provvedimenti     assistenziali,      previdenziali,
pensionistici gestiti dall'INPS). 
    In   particolare,   la   norma   de   qua   ridurrebbe   l'organo
giurisdizionale a mero organismo sussidiario che svolgerebbe soltanto
un ruolo,  al  piu',  direttivo  ovvero  esecutivo  degli  interventi
normativamente previsti (in pratica:  nomina  il  consulente  tecnico
d'ufficio [d'ora in avanti «CTU»] e fissa l'inizio  delle  operazioni
peritali ai sensi del terzo comma dell'art. 626  cod.  proc.  civ.  -
recte: 696 cod. proc. civ. - richiamato dal comma 1 dell'art. 696-bis
dello  stesso  codice;  qualora  rilevi  che  l'accertamento  tecnico
preventivo non e' stato espletato, oppure che e' iniziato, ma non  si
e' concluso, assegna alle parti i relativi  termini;  in  assenza  di
contestazioni, omologa l'accertamento del  requisito  sanitario).  Si
tratterebbe di atti diretti a disciplinare l'iter  del  procedimento,
ma non decisionali. 
    In sostanza, ancorche' destinato a svolgersi sotto  la  direzione
di un giudice, il procedimento  relativo  all'ATP  avrebbe  natura  e
carattere di attivita'  svolta  da  organo  non  giurisdizionale.  Il
giudice  non  parteciperebbe  alla  consulenza,  ne'  entrerebbe  nel
merito.  Infatti,  quando  omologa   l'accertamento   del   requisito
sanitario, lo dovrebbe fare secondo le risultanze probatorie indicate
nella relazione del CTU. Il che confliggerebbe con l'art. 111,  sesto
comma, Cost., che esige  la  motivazione  di  tutti  i  provvedimenti
giurisdizionali. 
    L'inoppugnabilita' e l'immodificabilita' del decreto  di  omologa
completerebbero il  quadro,  relegando  al  rango  di  spettatore  il
difensore della parte ricorrente, al quale non sarebbe  riservato  un
tempo e un luogo per la discussione del caso. 
    Andrebbe poi considerato che il comma 6-bis dell'art. 10 del d.l.
n. 203 del 2005, come convertito e da ultimo modificato,  produrrebbe
un notevole scompenso del principio del contraddittorio,  attribuendo
al consulente di parte INPS  una  sorta  di  libera  mobilita'  e  di
intervento senza regole, di cui non gode  l'eventuale  consulente  di
parte del lavoratore. La norma in  questione  avrebbe  introdotto  un
onere del CTU  relativo  all'informativa  obbligatoria  al  direttore
dell'INPS circa l'inizio delle operazioni peritali; e cio' al fine di
consentire al medico di parte INPS «di  partecipare  alle  operazioni
peritali in deroga al comma 1 dell'art. 201 del codice  di  procedura
civile». Si tratterebbe di un  privilegio  a  favore  del  consulente
della  parte  processuale  INPS,  peraltro  piu'  forte,  mentre   il
consulente della  parte  ricorrente,  quella  piu'  debole,  dovrebbe
ancora essere nominato con dichiarazione  ricevuta  dal  cancelliere,
come prescritto dal citato art. 201. 
    Tale  costruzione  processuale   violerebbe   il   principio   di
ragionevolezza,  risultando  privo  di  razionalita'  il   fatto   di
obbligare la parte ricorrente a dotarsi di  un  accertamento  tecnico
non costituente frutto di un sereno e "terzo" esame delle  condizioni
sanitarie del soggetto, «ma il frutto delle inevitabili pressioni che
la presenza, libera da vincoli anche formali, del  medico  INPS  puo'
indurre e di fatto induce». 
    In sostanza, non sarebbe dato comprendere perche' il  legislatore
si sia determinato, per un verso, a privilegiare  la  presenza  della
parte INPS nell'ATP, agevolandone la partecipazione; per altro verso,
a limitare il ruolo del giudice ad interventi prestabiliti  e  scevri
di contenuto decisorio; per altro verso  ancora,  ad  eliminare  ogni
presenza attiva del difensore, sicche' spesso il  ricorrente  sarebbe
privo di qualsiasi assistenza. 
    Sarebbe difficile pensare che tale procedimento abbia  dietro  di
se'  una  ragione   giustificatrice   in   quanto,   nella   realta',
introdurrebbe una  modifica  processuale  eccentrica  e  peggiorativa
rispetto a quella previgente, mentre le norme di diritto  sostanziale
(assistenziale e previdenziale) sarebbero sempre uguali  ed  immutate
nel tempo. 
    La normativa censurata avrebbe stravolto l'intera  disciplina  di
cui al Titolo IV, Capo II, del codice di procedura civile,  al  tempo
concepita per agevolare il ricorso al giudice in modo pieno sin dalle
sue prime fasi, proprio in  considerazione  della  delicatezza  della
materia. 
    Inoltre, la normativa in questione si porrebbe in  conflitto  con
l'art. 24 Cost., in quanto la procedura di ATP  creerebbe  condizioni
di sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione  e  di
difesa, sia per l'inesistenza attiva di un difensore tecnico, sia per
la mancata previsione di un  tempus  per  la  discussione  del  caso,
«mentre l'unica verosimile presenza del difensore,  nel  sesto  comma
dell'art.  445-bis  cod.  proc.  civ.,   e'   relativa   al   ricorso
introduttivo del giudizio (ad accertamento tecnico preventivo  oramai
tutto effettuato sotto l'onnipresenza del medico  INPS),  cui  viene,
peraltro,  riservata  la  forca  caudina  dell'inammissibilita'   per
mancata specificazione dei motivi della contestazione». 
    3.- Il rimettente richiama il disposto  dell'art.  445-bis,  alla
stregua del quale il decreto di omologazione va notificato agli  enti
competenti i quali, previa verifica di tutti gli ulteriori  requisiti
della normativa vigente, provvedono entro  120  giorni  al  pagamento
delle  relative  prestazioni.  A  suo  avviso,  la  mancata  espressa
attribuzione della qualita' di titolo esecutivo - necessaria ai sensi
dell'art. 474 cod. proc. civ. per i titoli giudiziali  diversi  dalla
sentenza - porrebbe il problema  se  il  decreto  costituisca  titolo
idoneo, in caso di  mancato  spontaneo  pagamento  entro  il  termine
indicato, a consentire l'accesso all'azione esecutiva. 
    La questione sarebbe tale da travolgere l'intero articolo. 
    Infatti, in base alla formulazione della  norma,  sarebbe  logico
ritenere  che  il  procedimento  in  esame,  nonostante   "l'accordo"
implicito nel mancato deposito delle dichiarazioni di  dissenso,  non
sia idoneo  a  sfociare  in  un  titolo  esecutivo  (con  conseguente
necessita' di dare impulso ad una ulteriore  autonoma  azione,  anche
monitoria);   l'intera   "architettura"   del   nuovo    procedimento
mostrerebbe una irragionevolezza di fondo, tale da mettere in  dubbio
la legittimita' costituzionale dell'intera normativa. 
    Imporre il previo svolgimento della consulenza  tecnica,  con  le
caratteristiche  previste  dalla  normativa  censurata,  starebbe   a
significare  che  il  procedimento  si  conclude  con  una  sorta  di
provvedimento  meramente   "dichiarativo"   della   sussistenza   del
requisito sanitario, limitato  all'an  debeatur.  In  questo  quadro,
sarebbe  lecito  dubitare  che  l'intervento  normativo   abbia   una
finalita' di deflazione, in quanto si risolverebbe  in  un  rilevante
appesantimento   delle   condizioni   di    accesso    alla    tutela
giurisdizionale. Al riguardo, andrebbe richiamato l'art. 38 del  d.l.
n. 98 del 2011 (che ha introdotto l'art. 445-bis cod. proc. civ.), il
quale, nell'indicare gli scopi della legge ammette che, tra i fini da
questa perseguiti, vi e' anche quello di «deflazionare il contenzioso
in materia previdenziale». 
    Resterebbe cosi' confermato che il legislatore ha  inteso  creare
condizioni di accesso  alla  tutela  giurisdizionale  piu'  difficili
rispetto al passato, quando  dalla  fase  amministrativa  si  passava
direttamente a quella giudiziale, diretta da magistrato  pleno  iure,
che disponeva anche  degli  ulteriori  mezzi  di  penetrazione  della
materia  del   contendere   e   di   formazione   del   convincimento
(interrogatorio   libero,   prova   testimoniale,   acquisizione   di
documentazione presso terzi e cosi' via). Pertanto, poiche' di  norma
il ricorso giurisdizionale non puo' non comprendere anche la fase  di
formazione di un titolo di condanna  idoneo  a  consentire  l'accesso
all'azione esecutiva, nel caso in esame il "percorso"  imposto  dalla
legge, per la tutela dei diritti soggettivi in gioco,  contemplerebbe
soltanto la  possibilita'  di  ottenere  un  provvedimento  meramente
dichiarativo, come sarebbe dato desumere anche  dal  tenore  testuale
della formula adottata. 
    Sarebbe   evidente,   dunque,   il   dubbio    di    legittimita'
costituzionale dell'intero art. 445-bis per la non ragionevolezza  di
una ipotesi di giurisdizione condizionata che, pur dando luogo ad  un
sostanziale "accordo", non consentirebbe la formazione  immediata  di
un titolo esecutivo  e  comunque  di  una  statuizione  di  condanna,
costringendo in prospettiva l'invalido  a  rivolgersi  nuovamente  al
giudice. 
    4.- L'art. 445-bis cod.  proc.  civ.  presenterebbe,  poi,  altri
profili di illegittimita' costituzionale, in relazione: a) al termine
perentorio per il deposito della dichiarazione di contestazione delle
conclusioni del CTU  (quarto  comma);  b)  al  decreto  di  "omologa"
dell'accertamento sul requisito  sanitario,  che  non  ammette  alcun
preventivo contraddittorio tra le parti (quinto comma); c) al termine
perentorio per  il  deposito  del  ricorso  introduttivo  della  fase
contenziosa (sesto comma); d) alla sanzione di  inammissibilita'  per
la mancata  specificazione  dei  motivi  della  contestazione  (sesto
comma). 
    Le norme citate mostrerebbero il reiterato ostacolo frapposto dal
legislatore al diritto sancito dall'art. 24  Cost.  Tale  ostacolo  -
coinvolgente anche il principio di ragionevolezza, nonche' l'art.  38
Cost. perche'  si  riverbera  sull'affermato  diritto  all'assistenza
sociale - sarebbe manifestato: dal termine perentorio di cui al comma
4, cui consegue una decadenza dal diritto di azione; dal  decreto  di
omologa che, pronunciato fuori udienza, non prevede  la  possibilita'
di un contraddittorio preventivo; dal termine, ancora perentorio, per
il deposito del  ricorso  introduttivo;  dalla  inammissibilita'  del
ricorso di merito in  difetto  della  specificazione  dei  motivi  di
contestazione. 
    In  particolare,  l'art.  445-bis  stabilisce  che,  concluse  le
operazioni di  consulenza,  con  il  deposito  in  cancelleria  della
relazione, il  giudice  e'  chiamato  a  pronunciare  un  decreto  di
fissazione di un termine perentorio non superiore  a  trenta  giorni,
entro  il  quale  le  parti  devono  dichiarare  con  atto   scritto,
depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del
CTU. 
    La norma, pero', si limita a prevedere un termine massimo, ma non
un termine minimo, e  questa  mancanza,  ad  avviso  del  rimettente,
comporterebbe l'attribuzione al giudice del potere di determinare  la
misura del termine - che,  in  teoria  potrebbe  essere  anche  assai
ridotto - con conseguente possibile lesione delle garanzie  difensive
minime. 
    Ne' gioverebbe obiettare che il nuovo testo  dell'art.  195  cod.
proc. civ., come  modificato  dalla  legge  18  giugno  2009,  n.  69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo civile), prevede che il
CTU debba trasmettere alle parti la relazione ed attendere prima  del
deposito le loro eventuali osservazioni e  che  la  dichiarazione  di
contestazione non ha bisogno di grandi spazi perche' puo'  anche  non
contenere le ragioni del dissenso. L'obiezione non avrebbe pregio  in
quanto la mancata previsione di un termine minimo esporrebbe in  modo
irragionevole il difensore ai rischi connessi al mancato rispetto  di
esso, anche tenuto conto del fatto che la decisione  di  accettare  o
meno  le  conclusioni  del  CTU  deve  essere  assunta  dalla   parte
personalmente, sicche' il difensore ha  necessita'  di  un  tempo  di
riflessione per conferire con il cliente e consentirgli a  sua  volta
di riflettere e, magari, di consultare un medico di fiducia dal quale
raccogliere un parere. Questo tempo non potrebbe essere rimesso  alla
decisione, caso per caso, del singolo giudice. 
    Il quinto comma dell'art.  445-bis  prevede  che  il  decreto  di
omologa  dell'accertamento  sul  requisito  sanitario   puo'   essere
pronunciato sul presupposto della mancanza di  contestazione  con  la
forma del decreto emesso "fuori udienza". La fissazione  di  apposita
udienza e' esclusa in modo espresso dalla norma, che non ammette, del
tutto irragionevolmente, la possibilita' di  contraddittorio  tra  le
parti prima della pronuncia  del  decreto.  Si  pensi  che,  pur  non
contestandosi  la  conclusione   della   consulenza   favorevole   al
ricorrente, ben potrebbe contestarsi la decorrenza della  prestazione
come  differita  dal   CTU   rispetto   alla   data   della   domanda
amministrativa. 
    Anche  questa  previsione   normativa   solleverebbe   dubbi   di
legittimita' costituzionale, in quanto non consentirebbe  l'esercizio
delle garanzie difensive nella fase che precede la  pronunzia  di  un
decreto, dalla stessa norma qualificato come non  impugnabile  e  non
revocabile. La mancata previsione di una previa audizione delle parti
impedirebbe  alle  stesse  di  sottoporre  al  giudice   difese   che
potrebbero incidere sulla decisione. 
    Al sesto comma l'art. 445-bis prevede  l'obbligo,  in  capo  alla
parte  che  ha  depositato  la  dichiarazione  di  contestazione,  di
depositare il ricorso introduttivo della fase  contenziosa  entro  il
termine  perentorio  di  trenta  giorni,  decorrente  dalla  data  di
deposito in cancelleria della dichiarazione di dissenso.  A  pena  di
inammissibilita'  il  ricorso   deve   contenere   i   motivi   della
contestazione. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale - sempre  con  riferimento
all'art. 24 Cost., ma anche al deficit di ragionevolezza -  sarebbero
legati al fatto che, pur in presenza  di  un  mancato  "accordo",  e'
imposto alla parte di  dare  inizio  al  giudizio  entro  un  termine
espressamente  dichiarato  perentorio.  Tale  carattere  del  termine
forzerebbe il comportamento della parte, limitando  la  possibilita',
ad esempio, di  ricerche  volte  all'acquisizione  di  documentazione
probatoria. Peraltro, andrebbe notato che un simile  termine  non  si
rinviene in alcun altro procedimento d'istruzione  preventiva  e,  in
generale, in caso di rigetto della domanda  cautelare  proposta  ante
causam. 
    La  norma   in   questione,   sempre   nel   comma   6,   prevede
l'inammissibilita' del ricorso introduttivo del giudizio  quando  non
siano specificati i motivi della contestazione. Ad avviso del giudice
a quo, risulterebbe evidente l'ulteriore limitazione  al  diritto  di
azione, specialmente considerando che la sanzione  d'inammissibilita'
e' correlata alla specificazione dei motivi di  contestazione  senza,
tuttavia, che la norma indichi quando ricorra l'ipotesi della carenza
dei suddetti motivi, in guisa da  determinare  criteri  obiettivi  di
valutazione che guidino il giudizio sulla inammissibilita'  medesima.
Sussisterebbe,  dunque,  violazione  dell'art.  24  Cost.,  ma  anche
dell'art. 3 della medesima, sotto  il  profilo  della  disparita'  di
trattamento introdotto dall'art.  445-bis  cod.  proc.  civ.  tra  il
cittadino che agisce per la tutela di  un  proprio  diritto  in  sede
ordinaria e chi deve agire per la tutela di un diritto  previdenziale
assistenziale. Inoltre, la normativa censurata renderebbe  impari  il
trattamento, nello stesso ambito processuale previdenziale, tra  chi,
ai sensi  del  citato  art.  445-bis,  deve  preventivamente  dotarsi
dell'accertamento  tecnico  e  chi,  invece,  non   e'   soggetto   a
limitazioni ed oneri preventivi,  perche'  richiede  al  giudice  una
prestazione soltanto  economica  e/o,  comunque,  diversa  da  quelle
ricadenti nella norma denunciata. 
    5.- Infine, il rimettente ritiene costituzionalmente  illegittimo
l'art. 445-bis, settimo comma, cod. proc. civ., introdotto  dall'art.
27 della legge n. 183 del 2011, per contrasto con gli artt. 3,  24  e
111 Cost. 
    Ad avviso del Tribunale di Roma, la previsione d'inappellabilita'
della sentenza, che definisce il giudizio di  cui  all'art.  445-bis,
andrebbe   interpretata   nel   senso   che    non    sono    escluse
dall'appellabilita' le decisioni  pronunciate  nel  giudizio  per  il
riconoscimento di una prestazione d'invalidita' nei casi in  cui  non
sia in discussione la sussistenza del requisito sanitario.  In  altri
termini, l'interpretazione logico-sistematica della norma  indurrebbe
a ritenere  che  il  legislatore,  allo  scopo  di  «deflazionare  il
contenzioso in materia previdenziale» e di «contenere la  durata  dei
processi in materia previdenziale, nei termini di durata  ragionevole
dei processi», abbia assunto come parametro per definire l'area delle
sentenze inappellabili  soltanto  il  caso  in  cui  sia  controverso
l'accertamento della sussistenza del requisito  sanitario,  lasciando
al di fuori i procedimenti nei quali il  mancato  riconoscimento  del
diritto  assistenziale  o  previdenziale  sia  legato,   invece,   al
requisito amministrativo o contributivo o di altra natura. 
    Tale limitazione all'appello si  porrebbe  in  contrasto  con  il
principio di ragionevolezza, desunto dall'art. 3 Cost., non  tanto  e
non solo perche' distinguerebbe tra cittadini  che  si  rivolgono  al
giudice previdenziale e cittadini che si rivolgono al giudice  civile
in genere, ma anche perche' porrebbe una disparita' di trattamento in
relazione a fattispecie  ugualmente  tese  a  conseguire  prestazioni
previdenziali e/o assistenziali  di  invalidita',  non  adeguatamente
giustificata dalle caratteristiche e finalita' del giudizio  e  dalle
proclamate esigenze di celerita'. Due soggetti, entrambi  affetti  da
patologie ugualmente invalidanti, verrebbero a trovarsi in condizioni
disomogenee «a seconda se sia in contestazione il requisito sanitario
utile per l'accesso al beneficio o al contrario quello amministrativo
e/o  contributivo  e  cio'  in  quanto  solamente  nel  secondo  caso
resterebbe salvo il doppio grado di merito». 
    La limitazione ad un unico grado di giudizio  per  l'accertamento
della sussistenza del requisito sanitario  ridurrebbe  di  fatto  per
l'invalido la possibilita' di  contestare  il  merito  del  rapporto,
potendo egli dolersi per esclusivi motivi di legittimita'  dell'unica
pronuncia conseguibile sul punto. 
    La ratio dell'intervento legislativo, data dall'accelerazione del
procedimento  mediante  la  negazione   del   rimedio   dell'appello,
rischierebbe di essere vanificata,  in  quanto  la  parte  ricorrente
sarebbe obbligata a  ricorrere  nuovamente  al  giudice  al  fine  di
ottenere la condanna al pagamento  della  prestazione,  nel  caso  di
mancato spontaneo adempimento da parte  dell'Istituto  previdenziale,
pur nella presenza di tutti  i  requisiti  costitutivi  del  diritto,
attesa  la  natura  dichiarativa  della  statuizione  resa  ai  sensi
dell'art.  445-bis,   sesto   comma,   cod.   proc.   civ.   limitata
all'accertamento della sussistenza del presupposto sanitario. 
    L'intento di deflazionare  il  contenzioso  e  di  abbreviare  la
durata del processo sembrerebbe improbabile da realizzare e  potrebbe
produrre una differenziata considerazione  processuale  del  soggetto
invalido, a seconda del diverso presupposto costitutivo  del  diritto
in  contestazione.  In  sostanza,  la  sentenza  resa  all'esito  del
giudizio di cui all'art. 445-bis, sesto comma,  e  la  celerita'  del
procedimento da cui la stessa ha origine, non renderebbe la posizione
dell'invalido piu' garantita proprio nel momento in cui egli  avrebbe
bisogno di una tutela cognitiva piena avente ad  oggetto  il  proprio
diritto. 
    Infatti, tenuto conto che, per le controversie assistenziali  e/o
previdenziali in cui siano  in  contestazione  requisiti  diversi  da
quello  sanitario,  nonche'  per  le  controversie   concernenti   il
riconoscimento di pensioni di reversibilita' ai figli invalidi, degli
assegni di assistenza personale e continuativa di cui alla legge  del
12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina della  invalidita'
pensionabile) e della pensione di  vecchiaia  anticipata  per  motivi
d'invalidita', il soggetto puo'  esercitare  un'ordinaria  azione  di
cognizione, non sarebbe ragionevole il diverso trattamento  riservato
all'invalido che richieda l'accertamento del requisito sanitario  per
il  godimento   delle   prestazioni,   trattandosi   di   fattispecie
sostanzialmente  identiche  e,  comunque,  di  pronunce   finalizzate
all'accertamento del proprio diritto e all'esistenza del rapporto. 
    L'illegittimita' costituzionale della normativa censurata sarebbe
rilevabile,  altresi',  in  relazione  all'art.  111  Cost.,  nonche'
all'art. 24 Cost.  per  l'accesso  all'azione  giudiziale,  incidendo
sull'esplicazione del diritto di difesa. La preclusione all'appello e
la previsione  di  un  unico  grado  di  merito  non  troverebbe  nel
procedimento  innanzi  evidenziato  un   fondamento   ragionevolmente
commisurato alla entita' della limitazione apportata  al  diritto  di
difesa e ai principi del giusto processo. 
    Inoltre,  la  previsione  di  inappellabilita'   della   sentenza
comporterebbe  la  sua  impugnabilita'  per  cassazione,   ai   sensi
dell'art. 111, settimo comma, Cost., con conseguente  incremento  dei
gia' gravosi carichi di lavoro di quella Corte. 
    6.- Con atto depositato il 17 ottobre 2013 si e'  costituito  nel
giudizio di legittimita'  costituzionale  l'INPS,  chiedendo  che  le
questioni sollevate  dal  Tribunale  di  Roma  siano  dichiarate  non
fondate. 
    7.- Con memoria depositata il 17 ottobre 2013  si  e'  costituito
nel giudizio di legittimita' costituzionale il signor R.A., chiedendo
l'accoglimento  delle  questioni   sollevate   con   l'ordinanza   di
rimessione. 
    La parte privata rileva,  in  primo  luogo,  il  contrasto  della
normativa censurata con  l'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
irragionevole disparita' di trattamento  nei  riguardi  di  tutte  le
altre  controversie  in  materia  di  prestazioni  di  previdenza   e
assistenza obbligatorie, di cui agli artt. 442 e seguenti, cod. proc.
civ., nonche' rispetto  alle  altre  controversie  d'invalidita'  non
richiamate dall'art. 445-bis cod.  proc.  civ.  e  alle  controversie
d'invalidita' comprese nell'ambito applicativo di tale  articolo,  il
diritto alla cui prestazione sia subordinato al  ricorrere  non  solo
del requisito sanitario, ma anche di altri requisiti (ad  esempio  di
quello contributivo  o  reddituale).  Sviluppa,  poi,  una  serie  di
argomentazioni dirette a far ritenere giustificate le  censure  mosse
dall'ordinanza di rimessione del Tribunale di Roma. 
    8.- In data 12 agosto 2014, il signor R.A. ha depositato  memoria
illustrativa con la quale insiste per l'accoglimento delle  sollevate
questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
3, 24, 38 e 111 Cost. 
    Avuto riguardo alla  finalita'  perseguita  dal  legislatore  con
l'introduzione  della  censurata   normativa,   finalita'   volta   a
deflazionare il contenzioso in materia previdenziale ed  a  contenere
la durata dei processi in tale materia  in  termini  ragionevoli,  la
parte privata, nel riportarsi a  quanto  gia'  dedotto  nell'atto  di
costituzione,   svolge   ulteriori   deduzioni   in    ordine    alla
irragionevolezza del procedimento di cui all'art. 445-bis cod.  proc.
civ., nonche' alla scelta della categoria di soggetti  -  destinatari
di   tutele   contro   l'invalidita'   -   tenuta   obbligatoriamente
all'utilizzo del detto strumento processuale. 
    Al fine di un migliore inquadramento della questione,  il  signor
R.A.  richiama  il  recente  orientamento  della  giurisprudenza   di
legittimita' in materia (Corte di cassazione, sesta  sezione  civile,
sentenze 17 marzo 2014, n. 6084 e n. 6085; Corte di cassazione, sesta
sezione civile, sentenza 14 marzo 2014,  n.  6010),  secondo  cui  il
tratto essenziale dell'art. 445-bis cod. proc. civ.  e'  la  disposta
scissione  in  due  diverse  fasi  delle   controversie   intese   al
conseguimento  delle  prestazioni   assistenziali   e   previdenziali
connesse allo stato di invalidita': quella concernente l'accertamento
sanitario,  regolata  da  un   rito   speciale   (a   contraddittorio
posticipato ed eventuale) e quella (non giudiziale, ma  eventualmente
anche  giudiziale)  di  concessione  della  prestazione,  in  cui  va
verificata l'esistenza dei requisiti non sanitari. 
    Per tutte le controversie in cui si intenda far valere il diritto
a prestazioni  assistenziali  e  previdenziali  (invalidita'  civile,
cecita' civile, sordita'  civile,  handicap  e  disabilita',  nonche'
controversie aventi ad oggetto pensioni di inabilita'  e  assegni  di
invalidita',  disciplinati  dalla  legge  n.  222   del   1984),   il
procedimento  obbligatorio  di  ATP  e'  inteso  esclusivamente  alla
verifica delle condizioni sanitarie. 
    Nella  istanza  di  ATP  il  ricorrente  deve   quindi   indicare
esclusivamente la prestazione previdenziale o assistenziale richiesta
e le sue condizioni di salute, quali unici dati rilevanti  in  questa
fase di verifica della invalidita'. 
    Ove nessuna delle parti muova contestazioni  alla  relazione  del
CTU, il giudice "omologa"  l'accertamento  del  requisito  sanitario,
emettendo  un  decreto  «non  impugnabile   ne'   modificabile».   La
sussistenza del requisito sanitario  nei  termini  espressi  dal  CTU
ovvero la sua inesistenza, se non sono mosse  contestazioni,  diventa
quindi  intangibile.  In  questa  fase  la   decisione   e'   rimessa
esclusivamente  al  consulente  medico,  senza  possibilita'  per  il
giudice di discostarsi dal suo parere. Unica facolta' che al  giudice
residua e' quella - prevista dall'art.  196  cod.  proc.  civ.  -  di
disporre  la  rinnovazione  delle  indagini  o   di   sostituire   il
consulente, di talche' l'accertamento delle condizioni sanitarie,  in
questa  fase,  e'  integralmente  sottratto   all'apprezzamento   del
giudice, che e' astretto al parere dell'esperto. Avverso  il  decreto
di omologa (che segue appunto  automaticamente  qualora  non  sorgano
contestazioni), non vi sono rimedi, giacche' questo e'  espressamente
dichiarato "non impugnabile", quindi non soggetto ad appello, ne'  al
ricorso straordinario ex art. 111 Cost. 
    Se, invece, una delle parti contesta le conclusioni del  CTU,  si
apre un procedimento contenzioso, con onere della parte  dissenziente
di proporre ricorso al giudice, in un termine perentorio, ricorso  in
cui essa, a pena di inammissibilita', deve specificare i motivi della
contestazione alle conclusioni del perito. 
    Si apre, cosi',  una  nuova  fase  contenziosa,  ancora  limitata
"solo" alla discussione sulla invalidita', fase peraltro circoscritta
agli elementi di  contestazione  proposti  dalla  parte  dissenziente
(ricorrente). In questa fase contenziosa  si  rimettono,  quindi,  in
discussione le conclusioni  cui  il  CTU  era  pervenuto  nella  fase
anteriore ed il giudice puo' disporre ulteriori accertamenti. 
    Questa fase contenziosa (appunto successiva ed eventuale, che  si
apre solo al cospetto di contestazioni all'ATP)  si  chiude  con  una
sentenza, la quale non e' appellabile. La non appellabilita' e' stata
sancita dall'art. 27, comma 1, lettera f), dalla  legge  n.  183  del
2011, che ha aggiunto il comma 7 all'art. 445-bis cod. proc. civ. 
    Quanto  sopra  esposto  si  riferisce  -  secondo  il  richiamato
orientamento  giurisprudenziale  -  esclusivamente   alla   fase   di
accertamento  dello  stato  invalidante,  ma  non  riguarda  la  fase
successiva, relativa al riconoscimento del diritto  alla  prestazione
assistenziale o previdenziale richiesta. 
    Si  comprende  che  quando  il  procedimento  di  verifica  delle
condizioni sanitarie (con decreto  di  omologa  ovvero  con  sentenza
definitiva del giudizio contenzioso conseguente  alle  contestazioni)
si concluda con l'accertamento della inesistenza  della  invalidita',
il giudizio si chiude, non essendovi piu' nulla da accertare, essendo
evidente che la prestazione richiesta non compete. 
    Quando invece, o attraverso  la  fase  di  omologa  o  attraverso
quella contenziosa, si accerti l'esistenza  di  una  invalidita'  che
conferisce il diritto alla prestazione previdenziale o  assistenziale
richiesta, si apre necessariamente la fase successiva, quella, cioe',
che concerne la verifica delle ulteriori condizioni poste dalla legge
per il suo riconoscimento. 
    La legge  non  descrive  espressamente  i  lineamenti  di  questa
ulteriore  fase,  onerando  semplicemente  l'ente  di  previdenza   a
procedere al pagamento della  prestazione  entro  centoventi  giorni,
previa  verifica,  in  sede  amministrativa,   di   detti   ulteriori
requisiti. 
    A questo punto spettera' all'ente previdenziale di compiere  tale
verifica, ancorche' in molti casi essa debba essere  effettuata  alla
luce di elementi probatori che e' necessariamente onere  della  parte
interessata di fornire (ad esempio limiti reddituali). 
    Ne deriva ancora che, ove l'ente di previdenza non provveda  alla
liquidazione della prestazione,  la  parte  istante  sara'  tenuta  a
proporre un nuovo giudizio, che  e'  a  cognizione  piena,  ancorche'
limitato (essendo ormai intangibile  l'accertamento  sanitario)  alla
verifica della esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti
dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta. 
    Il relativo giudizio si concludera', con  una  sentenza  che,  in
difetto di contrarie indicazioni della  legge,  sara'  soggetta  agli
ordinari mezzi di impugnazione, che dovranno  ovviamente  incentrarsi
solo sulla verifica dei requisiti diversi dall'invalidita'. 
    La parte privata aggiunge che, con la sentenza n. 6010 del  2014,
la Corte di cassazione ha  ritenuto  che  il  giudice  adito  con  la
istanza  di  ATP  e'  esclusivamente  legittimato  a  procedere  alla
consulenza,  senza  potere  operare   preliminari   verifiche   sulla
esistenza degli altri requisiti extra sanitari. 
    Inoltre la parte privata precisa che, con la sentenza n. 6085 del
2014, la Corte ha affermato il principio secondo cui nel  decreto  di
omologa il giudice deve necessariamente  limitarsi  ad  osservare  le
conclusioni  del  CTU,  per  cui  possono  considerarsi   del   tutto
ininfluenti i rilievi, eventualmente errati, svolti dal  giudice  nel
suddetto provvedimento. 
    La  parte  privata  sottolinea   che,   nonostante   l'autorevole
interpretazione dell'art. 445-bis cod. proc. civ. operata dalla Corte
di cassazione, restano aperte una serie  di  questioni  che  lasciano
intravedere ulteriori occasioni  di  un  necessitato  intervento  del
giudice, con sensibile prolungamento del processo nel suo insieme (ad
esempio,  se  la  condizione  di  proponibilita'  dell'ATP   sia   la
dimostrazione del previo esperimento della  procedura  amministrativa
ed, in genere, l'allegazione di quanto necessario  a  documentare  la
sussistenza dell'interesse  ad  agire  del  richiedente;  se  possano
essere indicate due o piu' prestazioni nello stesso ricorso per  ATP;
se  la  proposizione  del  ricorso  per  ATP  interrompa,  oltre   la
prescrizione, anche la decadenza di cui all'art. 42 del decreto-legge
30 settembre 2003, n. 269 -  Disposizioni  urgenti  per  favorire  lo
sviluppo e per  la  correzione  dell'andamento  dei  conti  pubblici,
convertito, con modificazioni dall'art. 1, comma 1,  della  legge  24
novembre  2003,  n.  326;  se,  in  considerazione  delle   finalita'
acceleratorie della norma, il giudice, con il decreto di convocazione
delle  parti,  debba  anche  provvedere  alla  nomina  del  CTU;   se
all'udienza di comparizione, l'INPS  possa  validamente  eccepire  il
difetto dei requisiti per il riconoscimento della  prestazione  e  se
tale eccezione impedisca la nomina del CTU; se la  parte  privata,  a
fronte di una eventuale dichiarazione di inammissibilita' del ricorso
di ATP, possa riproporre detto ricorso, adducendo l'aggravamento o la
sopravvenienza di fatti invalidanti, ai  sensi  dell'art.  149  delle
disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile;  se  la
motivazione  delle  contestazioni  alle  conclusioni  del   CTU   sia
requisito  inderogabile;  se  sia   ammissibile,   a   fronte   della
contestazione  parziale  delle  conclusioni  del  CTU,  una  conforme
omologazione parziale; se il decreto di  omologa  non  conforme  alle
decisioni del CTU sia impugnabile  o  soltanto  modificabile,  previa
istanza di correzione materiale; se il giudizio incardinato ai  sensi
dell'art. 442 cod. proc. civ., senza previa proposizione del  ricorso
per ATP, possa proseguire una  volta  soddisfatta  la  condizione  di
procedibilita'). 
    La parte privata rileva come la stessa Corte  di  cassazione  sia
consapevole  dei  rischi  di  un  possibile  allungamento  dei  tempi
processuali di risoluzione della lite (nella  sentenza  n.  6010  del
2014, la Corte afferma, infatti, che potrebbe «essere  antieconomico,
quanto ai tempi ed al dispendio economico, decidere sulle  condizioni
sanitarie al cospetto di elementi che gia', prima facie, rendano  ben
edotti che la prestazione non sarebbe comunque conseguibile»). 
    Alla luce della suddetta interpretazione della giurisprudenza  di
legittimita', il signor R.A. evidenzia la manifesta  irragionevolezza
della  norma  in  questione,  sia  sotto  il   profilo   strettamente
processuale, che sotto quello dell'inidoneita' del detto procedimento
al raggiungimento dello scopo dichiarato. 
    Molteplici risulterebbero essere - ad avviso della parte  privata
- le situazioni suscettibili di rendere tale procedimento fattore  di
incremento degli incombenti a carico del giudice, di allungamento dei
tempi di risoluzione della lite,  di  aggravio  complessivo  per  gli
oneri  dell'amministrazione  della   giustizia,   di   penalizzazione
eccessiva della posizione della categoria dei soggetti  ai  quali  il
procedimento stesso e' imposto. 
    In   particolare,   la   parte   privata   elenca,    a    titolo
esemplificativo, una serie  di  possibili  ipotesi  che  renderebbero
palese la irragionevolezza della  norma  in  questione,  anche  avuto
riguardo  alle  finalita'  di  garantire  una  maggiore  economicita'
dell'azione amministrativa, di deflazione del contenzioso in  materia
previdenziale, di contenimento della durata dei processi. 
    Il deducente rileva, inoltre,  come  la  inidoneita'  dell'ATP  a
perseguire la velocizzazione del processo risulterebbe evidente  gia'
dalla semplice sommatoria dei tempi tecnici delle varie operazioni  e
fasi di detto procedimento (sei/otto mesi della prima fase, destinati
a prolungarsi nel caso in cui detta fase non si chiuda con l'omologa,
ma prosegua con il procedimento contenzioso  di  contestazione  della
CTU, ai sensi degli artt. 442 e seguenti,  cod.  proc.  civ.;  cinque
mesi  mediamente  per  introdurre  la  seconda  fase  destinata  alla
decisione sui requisiti non sanitari, secondo  i  tempi  attuali  del
processo  previdenziale  ed  assistenziale  di  cui  all'art.  442  e
seguenti, cod. proc. civ.).  Peraltro,  aggiunge  la  parte  privata,
oggetto del giudizio  di  merito  di  detta  seconda  fase  sarebbero
destinate ad essere non solo le questioni relative ai  requisiti  non
sanitari,  ma  anche  eventuali  questioni  di  carattere   sanitario
relative ad aggravamenti o infermita' sopravvenute  (art.  149  disp.
att. cod. proc. civ.). 
    Il deducente sottolinea, dunque, come, nel  caso  di  specie,  il
legislatore,  nell'esercizio  della  sua  discrezionalita',   avrebbe
ecceduto i limiti della non manifesta irragionevolezza (ex  plurimis,
sentenze n. 190 e n. 10 del 2013; n. 144 del 2008). 
    Il signor R.A. ribadisce, in ogni caso, la violazione dell'art. 3
Cost. sotto  il  profilo  della  disparita'  di  trattamento  tra  le
controversie in materia di invalidita' - indicate  espressamente  nel
comma  1  dell'art.  445-bis  cod.  proc.  civ.  -  cui  si   applica
obbligatoriamente il procedimento di  ATP,  e  quelle  cui  il  detto
procedimento non si  applica,  pur  ponendo  le  stesse  esigenze  di
accertamento  delle  condizioni  psicofisiche  (ad  esempio,   quelle
finalizzate all'accertamento dell'inabilita'  che  da'  diritto  alla
pensione  di  reversibilita',  nonche'  del  diritto  all'assegno  di
accompagnamento per l'assistenza ai pensionati, ai sensi dell'art.  5
della legge n. 222 del 1984;  dell'invalidita'  di  cui  all'art.  80
della legge 23 dicembre del  2000,  n.  388  -  Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria  2001;  della  contribuzione  figurativa  per  sordomuti;
dell'invalidita' e della inabilita' da infortunio  sul  lavoro).  Una
disparita' tanto piu' evidente nel caso di invalidita' da  infortunio
sul  lavoro,  atteso  che  la  legge  n.  222  del  1984,  alle   cui
controversie si applica l'ATP,  svolge  una  tutela  surrogatoria  di
quella che si realizza mediante l'assicurazione  obbligatoria  contro
gli infortuni sul  lavoro  e  le  malattie  professionali  (alle  cui
controversie non si  applica  l'ATP)  negli  ambiti  non  coperti  da
quest'ultima assicurazione. 
    Inoltre, ad avviso della parte privata, il  procedimento  di  ATP
comporterebbe   una   irragionevole,    e,    peraltro,    selettiva,
"compressione" della facolta' di esercizio dell'azione giudiziaria in
materia di diritti  soggettivi  perfetti,  nell'ambito  della  tutela
sociale garantita dall'art. 38 Cost. 
    La parte privata deduce, altresi',  la  maggiore  gravosita'  del
procedimento  in  questione  -  quanto  ad  adempimenti  processuali,
condizioni di ammissibilita', aggiuntivi termini di decadenza, costi,
rallentamenti nel conseguimento della prestazione di legge - rispetto
alla disciplina generale valida per tutte le  altre  controversie  di
pari natura di cui all'art. 442 e seguenti, cod. proc. civ. 
    Inoltre,  la  stessa  pone  in  evidenza  come  il   "sacrificio"
dell'interesse privato e, dunque, la penalizzazione "discriminatoria"
che la norma in questione impone alla parte  privata,  potenzialmente
piu'  bisognosa  di  tutela  in  quanto  invalida,  non  risulterebbe
giustificata da un effettivo bilanciamento con  interessi  di  natura
pubblicistica, perche', per quanto sopra  gia'  osservato,  il  detto
procedimento di ATP non risulterebbe idoneo a garantire la deflazione
o velocizzazione del contenzioso nello specifico settore. 
    Infine, in punto di rilevanza della questione, la  parte  privata
sottolinea come la  controversia,  nella  specie,  non  possa  essere
decisa  se  non  attraverso  l'applicazione  delle  norme  di   legge
censurate  nell'ordinanza  di  rimessione.  L'eventuale  accoglimento
delle   questioni,   involgenti   l'intero   istituto    processuale,
comporterebbe una pronuncia di  inammissibilita'  di  esse.  Inoltre,
l'eccezione di illegittimita' costituzionale  in  esame  non  avrebbe
potuto  essere  proposta  nell'ambito  del  giudizio   di   ordinaria
cognizione, stante il rischio per il ricorrente  di  incorrere  nella
decadenza semestrale ai sensi dell'art. 42 del d.l. n. 269 del  2003,
convertito.  Peraltro,  l'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 445-bis cod. proc. civ. non creerebbe  alcun
vuoto di tutela, ne' oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche. 
    9.-  In  data  28  agosto  2014  l'INPS  ha  depositato   memoria
illustrativa  con  la  quale  insiste  per  la  declaratoria  di  non
fondatezza delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    In   ordine   al   condizionamento   all'esercizio    dell'azione
giudiziaria di merito, denunciato dalla parte privata «nonostante che
anche per quanto riguarda le controversie  oggetto  della  disciplina
dettata dall'art. 445-bis cod. proc. civ.  si  verta  in  materia  di
diritti soggettivi perfetti», l'INPS sottolinea che, al  di  la'  del
fatto che il procedimento di ATP, quanto meno nella prima  fase,  non
ha ad oggetto un diritto soggettivo perfetto,  bensi'  l'accertamento
di uno "status", esistono nell'ordinamento giuridico istituti che non
tendono ad attuare  diritti,  ma  ad  integrare  o  a  realizzare  la
fattispecie costitutiva di uno "status" e che  sono  affidati  ad  un
giudice  chiamato  a  svolgere,  in  tale  veste,  un'attivita'   non
giurisdizionale in senso stretto (artt. 706-795 cod.  proc.  civ.  in
materia di volontaria giurisdizione). 
    Quanto alla violazione dell'art. 3 Cost., che  la  parte  privata
prospetta sotto il profilo di un assunto trattamento  discriminatorio
tra il regime speciale (introdotto dall'art. 445-bis cod. proc.  civ.
solo per le controversie disciplinate dal comma 1) e quello ordinario
previgente, di cui all'art. 442 e seguenti, cod. proc. civ.,  rimasto
in  essere  per  le  seguenti  controversie,  sempre  in  materia  di
previdenza  e  assistenza   obbligatorie:   inabilita'   del   figlio
maggiorenne  alla  data  del  decesso  del  dante   causa,   titolare
originario della pensione, e diritto alla pensione di  reversibilita'
ai sensi dell'art. 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n.  636
(Modificazioni delle disposizioni  sulle  assicurazioni  obbligatorie
per l'invalidita' e  la  vecchiaia,  per  la  tubercolosi  e  per  la
disoccupazione involontaria, e sostituzione dell'assicurazione per la
maternita' con l'assicurazione obbligatoria per la  nuzialita'  e  la
natalita'), e dell'art.  22  della  legge  21  luglio  1965,  n.  903
(Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di  pensione
della previdenza sociale); diritto all'assegno di accompagnamento per
l'assistenza ai pensionati, ai sensi dell'art. 5 della legge  n.  222
del 1984; art. 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388  (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge finanziaria 2001), che  prevede  l'accredito  di  due  mesi  di
contributi figurativi per ogni anno di servizio  in  presenza  di  un
grado  di  invalidita'  superiore  al   settantaquattro   per   cento
concomitante al servizio prestato nei detti anni, l'INPS - al di  la'
della certezza sull'effettivo mancato  inserimento  anche  di  queste
ultime fattispecie nell'ambito di operativita' dell'art. 445-bis cod.
proc. civ. - sottolinea la peculiarita', oltre che  l'eccezionalita',
di  tali  previsioni,  che  ne  giustificherebbe  la  diversita'   di
disciplina. 
    In   ordine   alla   assunta   ingiustificata   differenziazione,
nell'ambito della stessa categoria  di  controversie  rientranti  nel
campo di applicazione dell'art. 445-bis cod. proc. civ.,  tra  alcune
prestazioni per le quali sono previsti,  oltre  a  quello  sanitario,
anche altri requisiti (come  quello  reddituale)  e  l'indennita'  di
accompagnamento, l'INPS evidenzia che,  anche  per  quest'ultima,  e'
richiesto, oltre al requisito sanitario, che il beneficiario non  sia
stato ricoverato, per il periodo  di  godimento  dell'indennita',  in
istituti di cura con retta a carico dello Stato, con prova di cio'  a
carico dell'interessato mediante  autocertificazione  (documentazione
ricadente nell'ambito della verifica degli altri  requisiti  previsti
dalla normativa vigente ai sensi dell'art.  445-bis,  comma  5,  cod.
proc. civ.). 
    Quanto alla denunciata maggiore gravosita'  della  disciplina  di
cui  all'art.  445-bis  cod.  proc.  civ.  rispetto  alla  disciplina
generale di cui agli artt. 442 e seguenti, cod.  proc.  civ.,  l'INPS
sottolinea che gli adempimenti sono i medesimi a partire dalle  forme
richieste per il ricorso introduttivo. 
    L'INPS pone in  rilievo  come  le  condizioni  di  ammissibilita'
sarebbero addirittura  di  minore  complessita',  avuto  riguardo  al
recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita' in
materia (Corte di cassazione, sesta sezione civile, sentenze 14 marzo
2014, n. 6010 e 17 marzo 2014,  n.  6085),  secondo  cui  il  giudice
dell'ATP e il giudice competente a conoscere del successivo eventuale
giudizio di merito di cui al comma 6  dell'art.  445-bis  cod.  proc.
civ., conseguente al mancato  accordo  delle  parti  e  alla  mancata
pronuncia del decreto di omologa, dovrebbero  limitarsi  a  conoscere
del requisito  sanitario,  senza  potere  verificare  la  sussistenza
dell'interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 cod. proc.  civ.,  ne'
l'esistenza di  una  domanda  amministrativa  volta  ad  ottenere  la
prestazione cui e' collegato lo  stato  sanitario,  ne'  il  possesso
degli altri requisiti prescritti dalla legge. 
    Ad avviso dell'INPS,  l'interpretazione  dell'art.  445-bis  cod.
proc. civ., come prospettata dalla  giurisprudenza  di  legittimita',
rischia  di  vanificare  le  aspettative  di  semplificazione   della
procedura, di deflazione del contenzioso e di riduzione dei costi. 
    Diversamente, una  interpretazione  costituzionalmente  orientata
della norma in questione, sempre al fine di garantire  la  deflazione
del contenzioso e l'acceleramento della conclusione dei  procedimenti
per   il   riconoscimento   delle   prestazioni   previdenziali    ed
assistenziali, potrebbe consentire la verifica, da parte del  giudice
adito ai sensi dell'art. 445-bis cod. proc. civ.,  della  sussistenza
delle condizioni dell'azione (ad esempio, presentazione della domanda
in sede amministrativa;  mancato  avvenuto  riconoscimento,  in  sede
amministrativa, della prestazione o provvidenza; mancata pendenza  di
un precedente giudizio  sulla  stessa  domanda  o  di  un  precedente
procedimento amministrativo preclusivo  di  quello  di  ATP;  mancato
decorso del termine di decadenza di cui all'art.  42,  comma  3,  del
d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, per  le
provvidenze  di  invalidita'  civile  o  all'art.  47   del   decreto
Presidente della Repubblica del 30 aprile 1970, n. 639  -  Attuazione
delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della  legge
30 aprile 1969,  n.  153,  concernente  revisione  degli  ordinamenti
pensionistici e norme in materia di  sicurezza  sociale;  esperimento
del  procedimento  amministrativo  con  riguardo   alle   prestazioni
previdenziali ai sensi della legge n. 222 del 1984;  mancanza  di  un
previo giudicato afferente il periodo cui si riferisce l'ATP; mancato
superamento da parte dell'assistito dell'eta' di sessantacinque  anni
nelle fattispecie aventi ad oggetto le provvidenze non  riconoscibili
dopo  tale  data)  o  della  palese   insussistenza   dei   requisiti
amministrativi (ad esempio, la mancanza  dei  requisiti  contributivi
per le prestazioni previdenziali ai sensi  della  legge  n.  222  del
1984; il possesso di redditi superiori a quelli previsti dalla  legge
per la quasi totalita' delle provvidenze di  invalidita'  civile;  la
riduzione della capacita' lavorativa  e  il  mancato  svolgimento  di
attivita' lavorativa per l'assegno mensile di  assistenza,  ai  sensi
dell'art.  13  della  legge  30  marzo  del  1971,  n.  118   recante
«Conversione in legge del decreto-legge 30  gennaio  1971,  n.  5,  e
nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili»). 
    In ordine alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost. sotto  il
profilo della  irragionevolezza  della  disciplina  di  cui  all'art.
445-bis cod. proc. civ., in quanto - a detta della  parte  privata  -
per ottenere l'accertamento stabile,  ai  sensi  dell'art.  2909  del
codice  civile,   del   diritto   in   contestazione,   si   dovrebbe
obbligatoriamente fare ricorso alla seconda  fase  che  avrebbe  come
funzione primaria quella di opposizione alle conclusioni  della  CTU,
l'INPS osserva che: a) se la prima fase si conclude con il decreto di
omologa dell'accertamento dello stato sanitario in  senso  favorevole
alla parte privata,  questa  non  ha  motivo  di  passare  alla  fase
successiva,  in  quanto  il   requisito   sanitario   non   e'   piu'
contestabile; b) se, invece, non vi e' l'accordo e si passa alla fase
successiva, il giudizio di merito di cui  al  sesto  comma  dell'art.
445-bis cod. proc. civ.  avra'  la  medesima  funzione  rivestita  in
passato dal giudizio di appello e si  concludera'  con  una  sentenza
avente l'efficacia di cui all'art. 2909 cod. civ. 
    L'INPS ritiene, inoltre, privi di pregio i dubbi di  legittimita'
costituzionale, in riferimento  all'art.  3  Cost.,  sollevati  dalla
parte privata in ordine alla assunta duplicazione del termine per  il
deposito delle osservazioni alla perizia ai sensi dell'art. 195  cod.
proc. civ. e di quello di cui al quarto comma dell'art. 445-bis  cod.
proc. civ. per il  deposito  della  dichiarazione  di  dissenso  (non
richiedente ne' osservazioni ne' motivazioni), alla dedotta  brevita'
del termine di trenta giorni di cui al sesto comma, per  il  deposito
del  ricorso  introduttivo  del  giudizio  di  merito  (tale  termine
apparirebbe,  invece,  congruo,  su  tale  oggetto   del   contendere
essendosi gia' disquisito in sede  di  ATP),  alla  specificita'  dei
motivi  ai  fini  dell'ammissibilita'  del  ricorso  (tale  requisito
condiziona anche l'ammissibilita' dell'appello in materia di lavoro). 
    Del pari non condivisibili sarebbero,  ad  avviso  dell'INPS,  le
deduzioni della parte privata in ordine al possibile  aggravio  degli
adempimenti,  essendo   configurabile,   piuttosto,   una   effettiva
deflazione  del  contenzioso,  soprattutto  se  il  procedimento   di
accertamento sanitario sia avviato dalle parti private solo una volta
accertata l'esistenza dei requisiti  amministrativi  per  beneficiare
delle prestazioni previdenziali e assistenziali. 
    L'INPS insiste, pertanto, affinche' le questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 445-bis cod. proc. civ. siano dichiarate non
fondate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica e
in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 18 gennaio  2013
(r.o. n.  204  del  2013)  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale: 1) dell'art. 445-bis del codice di procedura  civile,
rubricato «Accertamento tecnico preventivo  obbligatorio»,  in  toto,
nonche' dell'art. 10, comma 6-bis,  del  decreto-legge  30  settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005,  n.
248, comma aggiunto dall'art. 20, comma 5-bis, del  decreto-legge  1°
luglio 2009,  n.  78  (Provvedimenti  anticrisi  nonche'  proroga  di
termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3  agosto  2009,
n. 102, e, poi, modificato dall'art. 38, comma 8, del decreto-legge 6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, in riferimento  agli  artt.  3,  24,  38  e  111  della
Costituzione; 2) dell'art. 445-bis  cod.  proc.  civ.,  in  toto,  in
riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.; 3) dell'art.  445-bis,  quarto,
quinto e sesto comma, cod. proc. civ., in riferimento agli  artt.  3,
24 e 38 Cost.; 4) dell'art. 445-bis, settimo comma, cod. proc.  civ.,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. 
    Il rimettente premette di essere chiamato  a  pronunciare  su  un
ricorso per accertamento tecnico preventivo (d'ora in avanti, «ATP»),
ai sensi dell'art. 445-bis cod. proc.  civ.,  proposto  da  R.A.  nei
confronti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (d'ora  in
avanti,  «INPS»),  per  ottenere  il  pagamento   delle   provvidenze
economiche d'invalidita' civile (indennita' di accompagnamento). 
    In punto di fatto il Tribunale espone che, nell'atto introduttivo
del giudizio a quo, il ricorrente ha affermato di  avere  inutilmente
esperito il procedimento amministrativo e di essere portatore di  una
invalidita'  e/o  inabilita'  di  grado  tale  da   giustificare   la
concessione  della  prestazione   richiesta;   che,   instaurato   il
contraddittorio, l'INPS ha resistito al ricorso, concludendo  per  il
suo  rigetto;  che  la  parte  privata  ha  sollevato  questioni   di
legittimita' costituzionale della normativa citata, normativa che  e'
articolata nei seguenti termini. 
    L'art. 445-bis cod. proc. civ. (Accertamento  tecnico  preventivo
obbligatorio), articolo aggiunto dal numero 1 della lettera b), comma
1, dell'art. 38 del d.l.  n.  98  del  2011,  come  modificato  dalla
relativa legge  di  conversione,  con  i  termini  di  applicabilita'
previsti dal comma 2 dello stesso art. 38, mentre il settimo comma e'
stato aggiunto dalla lettera f, comma 1, dell'art. 27 della legge  12
novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2012),  cosi'
dispone: 
    «Nelle controversie in materia  di  invalidita'  civile,  cecita'
civile, sordita' civile, handicap e disabilita', nonche' di  pensione
di inabilita' e di assegno di invalidita', disciplinati  dalla  legge
12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda  per
il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al  giudice
competente ai sensi dell'art. 442 codice di procedura civile,  presso
il  Tribunale  nel  cui  circondario  risiede  l'attore,  istanza  di
accertamento tecnico per  la  verifica  preventiva  delle  condizioni
sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede  a
norma  dell'art.  696-bis  codice  di  procedura  civile,  in  quanto
compatibile nonche' secondo le previsioni  inerenti  all'accertamento
peritale di cui all'articolo 10, comma 6-bis,  del  decreto-legge  30
settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge  2
dicembre 2005, n.248, e all'art. 195. 
    L'espletamento dell'accertamento tecnico  preventivo  costituisce
condizione di procedibilita' della domanda di  cui  al  primo  comma.
L'improcedibilita' deve essere  eccepita  dal  convenuto  a  pena  di
decadenza o rilevata  d'ufficio  dal  giudice,  non  oltre  la  prima
udienza. Il giudice ove rilevi che l'accertamento tecnico  preventivo
non e' stato espletato ovvero che e' iniziato ma non si e'  concluso,
assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione
dell'istanza di accertamento tecnico ovvero  di  completamento  dello
stesso. 
    La richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico interrompe
la prescrizione. 
    Il giudice, terminate le operazioni di  consulenza,  con  decreto
comunicato alle parti, fissa un termine perentorio  non  superiore  a
trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto
scritto  depositato  in  cancelleria,  se  intendono  contestare   le
conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio. 
    In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai  sensi
dell'art. 196, con decreto pronunciato  fuori  udienza  entro  trenta
giorni dalla scadenza  del  termine  previsto  dal  comma  precedente
omologa l'accertamento del requisito sanitario secondo le  risultanze
probatorie  indicate   nella   relazione   del   consulente   tecnico
dell'ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile ne'
modificabile, e' notificato agli  enti  competenti,  che  provvedono,
subordinatamente alla  verifica  di  tutti  gli  ulteriori  requisiti
previsti  dalla  normativa  vigente,  al  pagamento  delle   relative
prestazioni, entro 120 giorni. 
    Nei casi di mancato accordo la  parte  che  abbia  dichiarato  di
contestare le conclusioni del consulente  tecnico  dell'ufficio  deve
depositare, presso il giudice di cui al primo comma, entro il termine
perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di
dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a  pena
di inammissibilita', i motivi della contestazione. 
    La  sentenza  che  definisce  il  giudizio  previsto  dal   comma
precedente e' inappellabile». 
    L'art. 10, comma 6-bis, del d.l. n. 203 del 2005, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005 - comma aggiunto dall'art.
20, comma 5-bis, del d.l. n.  78  del  2009,  come  modificato  dalla
relativa  legge  di  conversione  n.  102  del  2009,  indi  innovato
dall'art. 38, comma 8, del d.l. n. 98 del 2011, come modificato dalla
relativa legge di conversione n. 111 del 2011 - cosi' recita: 
    «Nei procedimenti giurisdizionali civili relativi  a  prestazioni
sanitarie previdenziali ed assistenziali, nel caso in cui il  giudice
nomini un consulente tecnico  d'ufficio,  alle  indagini  assiste  un
medico legale dell'ente, su richiesta  del  consulente  nominato  dal
giudice, il quale provvede ad inviare, entro  15  giorni  antecedenti
l'inizio delle operazioni peritali, anche in via telematica, apposita
comunicazione  al  direttore   della   sede   provinciale   dell'INPS
competente o a suo delegato. Alla relazione peritale e'  allegato,  a
pena  di  nullita',  il  riscontro   di   ricevuta   della   predetta
comunicazione. L'eccezione di nullita' e' rilevabile anche  d'ufficio
dal giudice. Il medico legale dell'ente e' autorizzato a  partecipare
alle operazioni peritali in deroga al comma primo dell'art.  201  del
codice di procedura  civile.  Al  predetto  componente  competono  le
facolta' indicate nel secondo  comma  dell'art.  194  del  codice  di
procedura civile. Nell'ipotesi di sentenze  di  condanna  relative  a
ricorsi depositati a far  data  dal  1°  aprile  2007  a  carico  del
Ministero dell'economia e delle finanze o del medesimo in solido  con
l'INPS, all'onere delle spese legali, di  consulenza  tecnica  o  del
beneficio assistenziale provvede comunque l'INPS». 
    1.1.- In questo quadro, il rimettente dubita che  l'art.  445-bis
cod. proc. civ., in toto, nonche' l'art. 10, comma 6-bis, del d.l. n.
203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  248  del
2005,   violino:   l'art.   3   Cost.,   sotto   il   profilo   della
irragionevolezza e  della  disparita'  di  trattamento  tra  soggetti
uguali (ad esempio, lavoratori di una stessa fabbrica), in base  alla
materia   disciplinata   dalla   norma   processuale   (provvedimenti
assistenziali,  previdenziali,  pensionistici   gestiti   dall'INPS);
l'art. 24 Cost., come diritto di azione e di difesa; l'art. 38 Cost.,
quale diritto alla assistenza sociale, e l'art. 111 Cost. Infatti, il
censurato  art.  445-bis  avrebbe  introdotto  una  nuova  forma   di
«giurisdizione condizionata»  (peraltro  a  carattere  atipico),  non
giustificata da «interessi generali» o da «pericoli di  abusi»  o  da
«interessi sociali» o da «superiori  finalita'  di  giustizia»  (sono
richiamate  diverse  pronunzie  di  questa  Corte).  Inoltre,  l'art.
445-bis cod. proc. civ. finirebbe per ridurre l'organo giudiziario «a
mero organismo sussidiario che  svolge  soltanto  un  ruolo  al  piu'
direttivo ovvero esecutivo degli interventi normativamente  previsti»
e, dunque, allo svolgimento di  attivita'  prestabilite  e  prive  di
contenuto decisorio. A sua volta, il difensore della parte ricorrente
sarebbe ridotto al rango di spettatore,  eliminandone  ogni  presenza
attiva,  anche  per  la  mancata  previsione  di  un  tempus  per  la
discussione del caso. Ancora, in forza dell'art. 10, comma 6-bis, del
d.l. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
248 del 2005, in violazione  del  principio  del  contraddittorio  si
sarebbe attribuito al consulente di parte INPS una  sorta  di  libera
mobilita' e di intervento senza regole, di cui non  gode  l'eventuale
consulente di parte del lavoratore,  sicche'  l'accertamento  tecnico
preventivo, per come costruito, finisce per  essere  il  frutto,  non
gia' di un sereno e "terzo"  esame  delle  condizioni  sanitarie  del
soggetto ricorrente, bensi'  delle  "inevitabili  pressioni"  che  la
presenza, libera da vincoli anche formali, del  medico  dell'INPS  di
fatto induce. 
    1.2.- Il menzionato art. 445-bis cod. proc. civ., in  toto,  poi,
violerebbe gli artt. 3 e 111 Cost., in quanto la mancata attribuzione
della qualita' di titolo esecutivo  al  decreto  di  omologa  sarebbe
indice del carattere irragionevole dell'intera norma, trattandosi  di
un procedimento che, nonostante  "l'accordo"  implicito  nel  mancato
deposito della dichiarazione di dissenso, non consente la  formazione
immediata di un titolo esecutivo e, comunque, di una  statuizione  di
condanna (il  decreto  di  omologa  dell'accertamento  del  requisito
sanitario  sarebbe  un  provvedimento  meramente  dichiarativo  della
sussistenza del detto requisito, limitato all'an debeatur,  lasciando
agli enti competenti il compito di accertare la  sussistenza  o  meno
degli ulteriori presupposti necessari  per  il  riconoscimento  delle
prestazioni,  nonche'  di  quantificare  gli  importi  dovuti  e   di
provvedere al relativo pagamento). 
    1.3.- Il rimettente prosegue osservando che l'art.  445-bis  cod.
proc. civ., nei suoi commi quarto, quinto e  sesto,  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3, 24 e 38 Cost.  In  particolare,  l'art.  3
sarebbe violato sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  e  della
disparita' di trattamento, l'art. 24 come  diritto  di  azione  e  di
difesa per la tutela dei diritti di natura previdenziale e l'art.  38
come diritto all'assistenza sociale. 
    Infatti, la norma censurata  prevede:  1)  ai  sensi  del  quarto
comma, che, una volta concluse le  operazioni  peritali,  il  giudice
fissi il termine perentorio non superiore a trenta giorni,  entro  il
quale le parti devono dichiarare,  a  pena  di  decadenza,  con  atto
scritto  depositato  in  cancelleria,  se  intendono  contestare   le
conclusioni   del   consulente   di   ufficio,    senza    prevedere,
irragionevolmente, un termine minimo,  con  possibile  determinazione
dello stesso da parte del giudice, caso per  caso,  anche  in  misura
molto ridotta e  conseguente  lesione  delle  garanzie  minime  della
parte, non essendo  assicurato  alla  stessa  un  sufficiente  tempus
reflectendi per decidere se accettare o meno le conclusioni del  CTU;
2)  ai  sensi  del  quinto  comma,  che   il   decreto   di   omologa
dell'accertamento del  requisito  sanitario,  emesso  in  difetto  di
contestazione, ha la forma del decreto pronunciato fuori udienza, con
irragionevole esclusione di  una  previa  audizione  delle  parti  e,
dunque, della possibilita' di contraddittorio tra le  stesse;  3)  ai
sensi del sesto comma, che la parte, la  quale  abbia  dichiarato  di
contestare le conclusioni del CTU, e' tenuta a depositare il  ricorso
introduttivo della fase contenziosa entro il  termine  perentorio  di
trenta giorni, decorrente dalla data di deposito in cancelleria della
dichiarazione di dissenso, con cio' imponendo, irragionevolmente e in
violazione del diritto di azione e  di  difesa,  di  dare  inizio  al
giudizio entro un termine espressamente  dichiarato  perentorio,  con
conseguente decadenza nel caso di mancato rispetto dello  stesso;  4)
ancora ai sensi del sesto comma,  che  il  ricorso  introduttivo  del
giudizio di merito deve contenere, a  pena  di  inammissibilita',  la
specificazione  dei  motivi  della  contestazione,  senza  che  siano
indicati i  criteri  obiettivi  di  valutazione  del  giudizio  sulla
inammissibilita'  medesima,  con  introduzione   di   un'ipotesi   di
"giurisdizione condizionata", in violazione degli artt. 24 e 3 Cost. 
    1.4.- Infine, il rimettente ritiene che l'art.  445-bis,  settimo
comma, cod. proc. civ. violi gli artt. 3, 24 e 111 Cost., in  quanto,
nello stabilire che «La sentenza che definisce il  giudizio  previsto
dal   comma    precedente    e'    inappellabile»,    discriminerebbe
irragionevolmente  tra  fattispecie  ugualmente  tese  a   conseguire
prestazioni previdenziali e assistenziali di invalidita',  a  seconda
del diverso presupposto costitutivo  del  diritto  in  contestazione.
L'inappellabilita' delle  sentenze  sarebbe  limitata  a  quelle  che
definiscono controversie assistenziali e/o previdenziali in  cui  sia
in  contestazione  il  solo  requisito  sanitario,  mentre   per   le
controversie  previdenziali  e/o  assistenziali  in  cui   siano   in
contestazione requisiti diversi  da  quello  sanitario  (ad  esempio,
reddituale,  contributivo  o  di  altra  natura),   ovvero   per   le
controversie  assistenziali   o   previdenziali   fuori   dall'ambito
applicativo dell'art. 445-bis cod. proc. civ., sarebbe assicurato  il
doppio grado del giudizio di merito, senza che tale  limitazione  sia
giustificata dalle finalita'  del  legislatore  di  «deflazionare  il
contenzioso in materia previdenziale». La  prevista  inappellabilita'
della  sentenza  di  cui   al   settimo   comma   costituirebbe   una
irragionevole limitazione alla piena realizzabilita' e  tutelabilita'
dei diritti previdenziali e assistenziali, quali  diritti  soggettivi
perfetti ed indisponibili. 
    2.- Quest'ultima questione e' inammissibile. 
    In primo luogo, la garanzia del doppio grado di giurisdizione non
gode, di per se', di copertura costituzionale (ex  multis,  ordinanze
n. 42 del 2014; n. 190 del 2013; n. 410 del 2007 e n. 84  del  2003).
In ogni caso, si verte nella fattispecie  in  tema  di  conformazione
degli istituti processuali,  non  sindacabile  da  questa  Corte  per
l'ampia  discrezionalita'  spettante  al  legislatore   (ex   multis,
sentenze n. 65 del 2014 e n. 216 del 2013; ordinanze n. 48 del 2014 e
n. 190 del 2013). 
    3.- Nel merito, come si e' detto, il rimettente solleva questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 445-bis cod. proc. civ.,  in
toto, nonche' dell'art. 10, comma 6-bis, del d.l. n.  203  del  2005,
convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.  248  del  2005.  La
normativa censurata violerebbe gli artt.  3,  24,  38  e  111  Cost.,
rispettivamente per irragionevolezza e disparita' di trattamento, per
contrasto con il diritto di azione  e  di  difesa  in  giudizio,  per
violazione del diritto all'assistenza sociale ed,  infine,  sotto  il
profilo del principio di parita' e del contraddittorio, nonche' della
motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. 
    Il citato art. 445-bis avrebbe  introdotto  una  nuova  forma  di
giurisdizione   condizionata,   peraltro   "atipica",   «in    quanto
l'accertamento  tecnico  preventivo  e'  qui  diretto  ad   acquisire
elementi di prova direttamente  rilevanti  nel  successivo  eventuale
giudizio di "merito" e, in questo senso, puo' essere considerato  una
vera e  propria  "anticipazione"  del  tempo  di  espletamento  della
consulenza tecnica d'ufficio, che dei giudizi in  esame,  costituisce
accertamento istruttorio ineludibile». 
    Le suddette censure non sono fondate, con riferimento a  tutti  i
parametri evocati. 
    La  normativa   in   questione   non   puo'   affatto   ritenersi
irragionevole.  Invero,  l'espletamento   del   previo   accertamento
tecnico-preventivo e' previsto come condizione  di  procedibilita'  e
non di proponibilita' della domanda di merito volta al riconoscimento
del diritto alla prestazione assistenziale o previdenziale; la tutela
garantita dall'art. 24 Cost.  non  comporta  l'assoluta  immediatezza
dell'esperibilita' del diritto di azione (sentenze n. 251 del 2003  e
n.  276  del   2000);   detta   tutela   giurisdizionale   non   deve
necessariamente porsi in relazione di immediatezza con il sorgere del
diritto, ma la determinazione concreta di modalita' e  di  oneri  non
deve rendere difficile o impossibile l'esercizio di esso (ex  multis,
sentenze n. 67 del 1990 e n. 186 del 1972).  Il  che,  nella  specie,
certamente non si verifica. Infatti, «l'improcedibilita' deve  essere
eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata di ufficio  dal
giudice, non oltre la prima  udienza.  Il  giudice,  ove  rilevi  che
l'accertamento tecnico preventivo non e' stato espletato  ovvero  che
si e' iniziato ma non si e' concluso, assegna alle parti  il  termine
di quindici giorni per la presentazione dell'istanza di  accertamento
tecnico ovvero di completamento dello stesso» (art. 445-bis,  secondo
comma, cod. proc. civ.). Come  si  vede,  si  tratta  di  adempimenti
ordinari, che non comportano alcuna compressione  dei  diritti  della
parte privata. 
    Quanto,   poi,   alla   giurisdizione   condizionata,   ancorche'
"atipica", si deve osservare che la costante giurisprudenza di questa
Corte  ha  collegato  la  legittimita'  di  forme  di  accesso   alla
giurisdizione, subordinate al previo adempimento di oneri finalizzati
al perseguimento di interessi generali, al triplice requisito che  il
legislatore  non  renda  la  tutela  giurisdizionale   eccessivamente
difficoltosa (sentenza n.  406  del  1993),  contenga  l'onere  nella
misura meno gravosa possibile ed operi un congruo  bilanciamento  tra
l'esigenza di assicurare la tutela dei diritti e  le  altre  esigenze
che il  differimento  dell'accesso  alla  stessa  intende  perseguire
(sentenza n. 98 del 2014). 
    Nel caso di specie non si tratta di previo adempimento di  oneri,
nel senso di previo esperimento di rimedi amministrativi,  ma  di  un
procedimento  giurisdizionale  sommario,  sul   modello   di   quelli
d'istruzione preventiva, a carattere contenzioso; in particolare,  il
legislatore ha previsto un procedimento sommario, avente  ad  oggetto
la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti  la  pretesa  che
s'intende far valere in  giudizio,  cui  fa  seguito  un  (eventuale)
giudizio di merito a cognizione piena. 
    In tale ipotesi, gli interessi generali  che  il  legislatore  ha
ritenuto di perseguire si concretano: a) nell'interesse generale alla
riduzione del contenzioso assistenziale e previdenziale nelle ipotesi
in  cui   il   conseguimento   della   prestazione   e'   subordinato
all'accertamento del requisito sanitario; b) nel  contenimento  della
durata dei processi  in  materia  assistenziale  e  previdenziale  in
termini ragionevoli (infatti, il  decreto  di  omologazione  potrebbe
chiudere   il   procedimento   se   l'ente   previdenziale    pagasse
spontaneamente  dopo  aver  verificato  la  sussistenza  degli  altri
requisiti costitutivi del diritto fatto valere); c) nel conseguimento
della certezza giuridica in  ordine  all'accertamento  del  requisito
medico-sanitario. 
    In questo quadro, non e' sostenibile che la  normativa  censurata
limiti, fino ad impedirlo, il diritto costituzionale di azione  e  di
difesa.  Al  contrario,  il  legislatore  ha  effettuato  un  congruo
bilanciamento tra gli interessi generali di cui sopra  e  l'interesse
della parte a far valere il suo diritto di assistenza  o  previdenza,
basato sullo stato di invalidita', nell'ambito  dell'esercizio  della
discrezionalita' che compete al medesimo legislatore. 
    Ne consegue la non fondatezza della questione. 
    4.- Il rimettente censura ancora l'art. 445-bis cod.  proc.  civ.
in relazione ai parametri gia' richiamati (artt.  3,  24,  38  e  111
Cost.), in quanto la procedura prevista dalla norma  avrebbe  ridotto
l'organo giurisdizionale «a mero  organismo  sussidiario  che  svolge
soltanto un ruolo al piu' direttivo ovvero esecutivo degli interventi
normativamente previsti». 
    La questione non e' fondata. 
    Contrariamente  a  quanto  il  rimettente  opina,   il   giudice,
investito dell'istanza di  accertamento  tecnico  preventivo  diretto
alla verifica preventiva delle condizioni sanitarie  legittimanti  la
pretesa fatta valere, dispone di tutti i poteri  all'uopo  necessari.
In particolare, in forza del  richiamo  contenuto  nell'art.  696-bis
cod. proc. civ. (a sua volta richiamato dall'art. 445-bis cod.  proc.
civ.), si applicano gli articoli da 191 a 197 del  detto  codice,  in
quanto compatibili,  sicche'  spettano  al  giudice  tutti  i  poteri
procedimentali previsti dalla citata normativa,  nonche'  il  governo
dei tempi  del  procedimento,  secondo  le  scansioni  stabilite  dal
legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita'. L'affermazione
del  rimettente,  secondo  cui,  «ancorche'  svolgentesi   sotto   la
direzione di un giudice», il procedimento  relativo  all'accertamento
tecnico preventivo avrebbe natura e carattere di attivita' svolta  da
organo non giurisdizionale, si rivela  apodittica  e,  comunque,  non
fondata. 
    Priva di fondamento, poi, e' la tesi secondo la quale il giudice,
quando omologa l'accertamento del requisito sanitario, lo  deve  fare
«secondo  le  risultanze  probatorie  indicate  nella  relazione  del
consulente tecnico dell'ufficio». Il che  sarebbe  in  conflitto  con
l'art. 111, sesto comma, Cost., che esige la motivazione di  tutti  i
provvedimenti  giurisdizionali.  Invero,  si   deve   osservare   che
l'omologazione postula  la  mancanza  di  contestazioni,  sicche'  la
motivazione si rinviene nell' "accordo tacito" tra le parti, salva la
decisione del giudice di procedere ai sensi dell'art. 196 cod.  proc.
civ. (richiamato dall'art. 445-bis, quinto comma, cod. proc. civ.). 
    5.- L'ordinanza di rimessione censura  l'art.445-bis  cod.  proc.
civ. per violazione dei parametri gia' richiamati (artt. 3, 24,  8  e
111 Cost.), in quanto la procedura ivi prevista  avrebbe  ridotto  il
difensore della parte ricorrente al rango di spettatore, eliminandone
ogni presenza attiva, anche per la mancata previsione  di  un  tempus
per la discussione del caso (il  procedimento  si  svolgerebbe  senza
neppure un'udienza dopo avere raccolto la consulenza, mentre  l'unica
presenza del difensore di cui  al  sesto  comma  del  detto  articolo
sarebbe relativa al ricorso introduttivo del giudizio "di merito"). 
    La questione non e' fondata. 
    Ferma,  anche   in   questo   caso,   la   discrezionalita'   non
irragionevole del  legislatore  nella  conformazione  degli  istituti
processuali, va rilevato che il difensore  del  ricorrente  partecipa
attivamente a tutto  il  procedimento  di  ATP,  che  si  svolge  fin
dall'inizio nel contraddittorio delle parti. La stessa nomina del CTU
avviene con ordinanza emessa  in  contraddittorio  (art.  696,  terzo
comma, cod. proc. civ.). Le parti possono fare osservazioni  fino  al
deposito della consulenza (art. 195 cod. proc.  civ.),  che  va  loro
comunicata.  Esse,  dopo  il  deposito   della   relazione,   possono
presentare  nel  termine  perentorio  assegnato  dal   giudice   (non
superiore a trenta giorni) eventuali contestazioni. 
    Non e' esatto, dunque, ritenere  che  il  difensore  della  parte
ricorrente sia  relegato  al  rango  di  spettatore.  In  realta'  la
disciplina  normativa  contempera  le  esigenze   generali   ad   una
ragionevole  durata  dei  procedimenti  in  materia  assistenziale  e
previdenziale con quelle delle  parti,  di  azione  e  di  difesa  in
giudizio. 
    6.- Gli artt. 445-bis cod. proc. civ. e 10, comma 6-bis, del d.l.
n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  248
del 2005, come da  ultimo  ancora  modificato,  avrebbero  violato  i
parametri sopra evocati (artt. 3, 24, 38, 111 Cost.), in  quanto,  in
forza del menzionato art. 10, comma 6-bis, in contrasto col principio
del contraddittorio, si sarebbe attribuita  al  consulente  di  parte
INPS «una sorta di libera mobilita' e di intervento senza regole» (la
norma ha introdotto l'onere per il CTU di informare obbligatoriamente
il direttore dell'INPS circa l'inizio delle operazioni di consulenza,
al fine di consentire al medico di parte  INPS  di  partecipare  alle
stesse «in deroga al comma 1 dell'art. 201 cod. proc. civ.»). Di tali
prerogative  non  godrebbe  l'eventuale  consulente  di   parte   del
lavoratore, sicche' l'ATP, per come concepito e costruito,  finirebbe
per essere  non  il  frutto  di  un  sereno  e  "terzo"  esame  delle
condizioni sanitarie del soggetto ricorrente, ma la conseguenza delle
«inevitabili pressioni» che la  presenza,  libera  da  vincoli  anche
formali, del medico dell'INPS di fatto comporterebbe. 
    La questione non e' fondata. 
    Come risulta dal dettato normativo del citato 10, comma 6-bis, in
deroga a quanto stabilito dall'art.  201,  primo  comma,  cod.  proc.
civ., il giudice non assegna  all'INPS  un  termine  entro  il  quale
nominare un proprio consulente tecnico, ma e' lo stesso CTU  a  dover
chiedere la nomina del medico legale dell'ente e a  dover  comunicare
al direttore della  competente  sede  provinciale  dell'INPS  l'avvio
delle operazioni di consulenza. 
    Attraverso questa modalita' procedurale, rientrante nel legittimo
esercizio della discrezionalita' del legislatore, quest'ultimo non ha
inteso  attribuire  al  consulente  di  parte  INPS   una   posizione
privilegiata in violazione  del  principio  del  contraddittorio,  ma
garantire il contraddittorio  anche  tecnico  fin  dall'inizio  delle
operazioni  processuali.  Cio'  in  considerazione  degli   interessi
pubblici di cui il detto ente e' portatore e dei  quali,  quindi,  va
garantita la tutela, peraltro senza  che  la  realizzazione  di  tale
esigenza incida  sul  libero  espletamento  dell'attivita'  difensiva
della parte privata. 
    7.- Ad avviso del rimettente, l'art. 445-bis cod. proc. civ.,  in
toto, contrasterebbe con l'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
irragionevolezza, e con  l'art.  111  Cost.,  in  quanto  la  mancata
attribuzione della qualita' di titolo esecutivo al decreto di omologa
sarebbe indice della irragionevolezza dell'intera norma,  trattandosi
di un procedimento che, nonostante l'accordo  implicito  nel  mancato
deposito  delle  dichiarazioni  di  dissenso,  non  consentirebbe  la
formazione immediata di un  titolo  esecutivo  e,  comunque,  di  una
statuizione di condanna (il decreto di omologa dell'accertamento  del
requisito  sanitario   e'   un   provvedimento   dichiarativo   della
sussistenza di tale requisito, limitato  all'an  debeatur,  lasciando
agli  enti  competenti  il  compito  di   accertare   gli   ulteriori
presupposti necessari  per  il  riconoscimento  della  prestazione  o
provvidenza,  nonche'  di  quantificare  gli  importi  dovuti  e   di
provvedere al relativo pagamento). 
    La questione non e' fondata. 
    Invero, in difetto  di  contestazioni,  con  il  decreto  di  cui
all'art. 445-bis, quinto comma, cod. proc. civ. il  giudice  «omologa
l'accertamento  del  requisito  sanitario   secondo   le   risultanze
probatorie  indicate  nella  relazione  del  consulente  tecnico   di
ufficio». La mancata attribuzione a tale  decreto  dell'efficacia  di
titolo esecutivo e' coerente con la natura  del  provvedimento,  atto
meramente  dichiarativo  della  sussistenza  o  meno  del   requisito
medico-sanitario.  Il  decreto   di   omologa   rende   inoppugnabile
un'acquisizione probatoria, ma non decide sul merito  della  domanda,
essendo necessaria da parte dell'INPS la verifica anche  degli  altri
requisiti, diversi da quello medico-sanitario, che la  legge  prevede
per  l'attribuzione  di  un  determinato  beneficio  (ad  esempio  il
requisito reddituale, l'eta', il requisito contributivo e cosi' via). 
    Infatti, la norma censurata dispone che il decreto di omologa sia
notificato agli enti competenti, i quali provvedono, subordinatamente
alla verifica  di  tutti  gli  ulteriori  requisiti  stabiliti  dalla
normativa vigente, al  pagamento  delle  relative  prestazioni  entro
centoventi giorni. 
    In tale disciplina non si ravvisa  alcuna  irragionevolezza,  che
sarebbe stata invece ben presente se si  fosse  attribuita  efficacia
esecutiva ad un atto dichiarativo, per di piu' in carenza degli altri
requisiti richiesti dalla legge. 
    Quanto al richiamo all'art. 111 Cost., esso non  e'  sorretto  da
alcuna adeguata motivazione. 
    8.- Infine,  il  rimettente  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 445-bis, quarto, quinto e sesto comma , cod.
proc. civ. per asserita violazione degli artt. 3, 24 e 38 Cost. 
    La norma contrasterebbe con l'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo
della irragionevolezza e della disparita' di trattamento, con  l'art.
24 Cost., come diritto di azione  e  di  difesa  per  la  tutela  dei
diritti di natura previdenziale, e con l'art. 38 Cost.  come  diritto
all'assistenza sociale. 
    In particolare: 1) la norma censurata  dispone  al  quarto  comma
che, concluse le  operazioni  di  consulenza,  il  giudice  fissi  un
termine perentorio non superiore a trenta giorni entro  il  quale  le
parti devono dichiarare, con atto scritto depositato in  cancelleria,
se intendono contestare le conclusioni del CTU. Cio' senza prevedere,
irragionevolmente, un termine minimo,  con  possibile  determinazione
dello stesso da parte del giudice, caso per  caso,  anche  in  misura
molto ridotta,  con  conseguente  lesione  delle  garanzie  difensive
minime della parte, alla quale non sarebbe assicurato un  sufficiente
tempo di riflessione per decidere se accettare o meno le  conclusioni
del CTU; 2) la stessa norma  stabilisce,  al  quinto  comma,  che  il
decreto di omologa dell'accertamento del requisito sanitario,  emesso
«in assenza di contestazione», ha la forma  del  decreto  pronunciato
fuori udienza, con irragionevole esclusione di una  previa  audizione
delle parti e, dunque, della possibilita' di contraddittorio  tra  le
stesse prima della pronuncia del  decreto  -  qualificato  come  "non
impugnabile" e "non revocabile" - con  lesione  dell'esercizio  delle
loro garanzie difensive; 3) la  norma  censurata  dispone,  al  sesto
comma, che la parte, la  quale  abbia  dichiarato  di  contestare  le
conclusioni del CTU, e' tenuta a depositare il  ricorso  introduttivo
della fase contenziosa entro il termine perentorio di trenta  giorni,
decorrente dalla data di deposito in cancelleria della  dichiarazione
di dissenso, con cio' imponendo, irragionevolmente ed  in  violazione
del diritto di azione e di difesa, anche in presenza  di  un  mancato
accordo, di dare inizio  al  giudizio  entro  un  termine  dichiarato
perentorio, con conseguente decadenza nel caso  di  mancato  rispetto
dello stesso; 4) ancora, il sesto comma della citata norma  statuisce
che il ricorso introduttivo del giudizio di merito deve contenere,  a
pena  di  inammissibilita',  la  specificazione  dei   motivi   della
contestazione, senza indicare i criteri obiettivi di valutazione  del
giudizio sulla inammissibilita' medesima,  con  introduzione  di  una
ipotesi di "giurisdizione condizionata", in violazione  dell'art.  24
Cost.,  nonche'  dell'art.  3   Cost.,   sotto   il   profilo   della
irragionevolezza e della disparita' di trattamento tra chi agisce per
la tutela di un proprio diritto in sede ordinaria e chi per la tutela
di un diritto previdenziale-assistenziale e, nello stesso ambito, tra
chi deve dotarsi - ai sensi dell'art. 445-bis cod. proc. civ. - di un
accertamento tecnico preventivo e chi non e'  soggetto  a  limiti  od
oneri preventivi. 
    La questione, nelle sue varie articolazioni, non e' fondata. 
    Infatti, non puo' essere condivisa la tesi secondo la  quale  non
sarebbe conforme a Costituzione l'art. 445-bis,  quarto  comma,  cod.
proc. civ., nel momento in cui si limita a prevedere  la  fissazione,
da parte del giudice, di  un  termine  perentorio,  non  superiore  a
trenta giorni, per  compiere  l'adempimento  prescritto  dalla  norma
medesima, senza stabilire la fissazione anche di  un  termine  minimo
per contestare le conclusioni della consulenza tecnica. 
    Va premesso che i  termini  per  il  compimento  degli  atti  del
processo sono stabiliti dalla legge;  possono  essere  stabiliti  dal
giudice, anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo  permette
espressamente (art. 152, primo comma, cod. proc. civ.). 
    Come gia' si e' osservato, in tema di disciplina del  processo  e
di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di
un'ampia  discrezionalita',  con  il  solo  limite  della   manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte compiute. Nel  caso  di
specie, tale limite non puo' dirsi superato, perche'  il  legislatore
evidentemente ha considerato superflua la fissazione  di  un  termine
minimo per l'attivita' di mera contestazione delle conclusioni  della
CTU, in presenza di  un  termine  massimo  gia'  stabilito  per  tali
contestazioni in trenta giorni. Si  tratta  di  una  valutazione  non
irragionevole ne' arbitraria, a fronte  della  quale  non  ha  pregio
l'argomentazione  del  rimettente,  secondo  la  quale   la   mancata
previsione di un termine minimo esporrebbe  il  difensore  ai  rischi
connessi al mancato rispetto del termine stesso. 
    A prescindere dal carattere meramente ipotetico della censura, si
deve rilevare che, qualora il giudice assegni un termine non  congruo
e la parte dimostri di essere incorsa in decadenza per causa ad  essa
non imputabile, la  stessa  potra'  chiedere  di  essere  rimessa  in
termini (art. 153, secondo comma, cod. proc. civ.). 
    Quanto alla censura relativa al quinto  comma  dell'art.  445-bis
cod. proc. civ., concernente la mancata previsione di  un'udienza  in
contraddittorio  delle  parti  prima  dell'adozione  del  decreto  di
omologa, si deve osservare che  detto  provvedimento  costituisce  il
punto di arrivo di una procedura che si  svolge  nel  contraddittorio
delle parti fin dall'inizio.  Esso  presuppone  un  "tacito  accordo"
delle parti medesime sull'esistenza del requisito sanitario; infatti,
segue l'avvenuta  scadenza  del  termine  fissato  dal  giudice,  non
superiore a trenta giorni, affinche' le parti avanzino  contestazioni
sulle conclusioni della  CTU.  Pertanto  l'adozione  del  decreto  di
omologa "fuori udienza" non concreta alcuna  lesione  delle  garanzie
difensive e del contraddittorio tra le parti. 
    In ordine alla censura relativa al sesto comma dell'art.  445-bis
cod. proc. civ., concernente il deposito del ricorso per il  giudizio
di merito nel termine perentorio di trenta giorni dalla  formulazione
della dichiarazione di dissenso e con la necessaria  indicazione  dei
motivi  della  contestazione,  a  pena  della  inammissibilita'   del
ricorso, questa Corte ha  affermato  che  gli  interventi  diretti  a
comporre le contrapposte esigenze di concedere alla  parte  ulteriori
strumenti di difesa e  di  assicurare  al  processo  una  ragionevole
durata attraverso la  previsione  di  termini  perentori,  richiedono
apprezzamenti rimessi esclusivamente al legislatore (ordinanze n. 305
del 2001 e n. 855 del 1988). 
    Si e' anche precisato che la garanzia costituzionale del  diritto
di difesa non comporta l'illegittimita' di  preclusioni  e  decadenze
processuali (sentenza n.  221  del  2008).  Tale  garanzia  non  puo'
implicare che  sia  contrario  alla  Costituzione,  o  irragionevole,
imporre all'esercizio di facolta' o  poteri  processuali  limitazioni
temporali, senza le quali i processi potrebbero durare per  un  tempo
indefinibile, con grave nocumento delle  esigenze  di  giustizia.  Ed
inerisce alla stessa natura dei termini perentori che essi non  siano
prorogabili e non consentano provvedimenti di sanatoria, proprio  per
motivi di certezza e di uniformita' la cui  ragionevolezza  non  puo'
essere contestata. Anzi,  nel  processo  civile  l'immutabilita'  dei
termini perentori, legali  e  giudiziali,  tende  ad  assicurare  una
effettiva parita' dei diritti delle parti, contemperando  l'esercizio
dei rispettivi diritti di difesa (sentenza n. 106 del 1973). 
    La  prefissione  di  termini,  con  effetti  di  decadenza  o  di
preclusione, e' compatibile con l'art. 24 Cost.,  purche'  i  termini
stessi siano congrui e non tali da rendere  eccessivamente  difficile
per gli interessati la tutela delle proprie ragioni (sentenza n.  106
del 1973 citata). La lesione del diritto alla tutela  giurisdizionale
si ha solo quando la irrazionale brevita' del termine renda meramente
apparente la possibilita' del suo esercizio. 
    Il termine perentorio  di  trenta  giorni  per  il  deposito  del
ricorso, ai sensi dell'art. 445-bis, sesto comma,  cod.  proc.  civ.,
risulta congruo, anche  considerando  che  decorre  dal  deposito  in
cancelleria della dichiarazione di  dissenso  della  parte  medesima.
Esso non e' tale da rendere eccessivamente difficile agli interessati
la tutela delle proprie ragioni, tenendo, altresi', conto che gia' il
ricorso, con il quale si propone l'istanza  di  accertamento  tecnico
preventivo,  contiene  tutti  gli  elementi  propri  di  un   ricorso
giurisdizionale, ai sensi dell'art. 125 cod. proc.  civ.,  o,  quanto
meno, l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali  la
prova e' preordinata (art. 693 cod. proc. civ.) e, quindi, indica  il
diritto  di  cui  il  ricorrente  si  afferma  titolare  e  alla  cui
realizzazione e' finalizzata la detta istanza. Pertanto,  il  termine
indicato contempera le esigenze di tutela del diritto di  difesa  con
quelle di garantire una ragionevole durata del processo. 
    Da cio' consegue anche  la  ragionevolezza  della  previsione  in
ordine alla necessaria specificazione nel detto termine,  a  pena  di
inammissibilita' del ricorso, dei motivi della contestazione. 
    Invero,  non  si  tratta  di  una   ipotesi   di   "giurisdizione
condizionata" - come asserisce il rimettente -  ma  della  necessaria
delimitazione del thema decidendum del giudizio di merito. 
    Il richiamo  all'art.  38  Cost.  non  e'  sorretto  da  adeguata
motivazione.