ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  29,  comma
2, del decreto legislativo 10  settembre  2003,  n.  276  (Attuazione
delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di  cui
alla legge 14 febbraio 2003, n. 30),  come  modificato  dall'art.  1,
comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2007), in  relazione  all'art.  21  del  decreto-legge  9
febbraio  2012,  n.   5   (Disposizioni   urgenti   in   materia   di
semplificazione e di sviluppo), modificato dalla legge di conversione
4 aprile 2012, n. 35; dell'art. 36-bis,  comma  7,  lettera  a),  del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2006,  n.
248, modificativo dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio
2002,  n.  12  (Disposizioni  urgenti  per  il  completamento   delle
operazioni di emersione di attivita' detenute all'estero e di  lavoro
irregolare), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all'art. 4, comma  1,
lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe  al  Governo
in materia di  lavori  usuranti,  di  riorganizzazione  di  enti,  di
congedi,  aspettative  e  permessi,  di  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro), promosso dal Tribunale di  Bologna,  sezione
lavoro,  nel  procedimento  vertente  tra  la  Corticella  Molini   e
Pastifici spa e l'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS)
ed altri, con ordinanza del 28 maggio 2012, iscritta al  n.  289  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di costituzione dell'INPS,  in  proprio  e  n.q.  di
mandatario della Societa' di cartolarizzazione dei crediti INPS, SCCI
spa, nonche' l'atto di intervento del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  7  ottobre  2014  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi l'avvocato Carla d'Aloisio per l'INPS, in proprio e n.q. di
mandatario della Societa' di cartolarizzazione dei crediti INPS, SCCI
spa, e l'avvocato dello Stato Gesualdo d'Elia per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice  del  lavoro,
con ordinanza  del  28  maggio  2012  (r.o.  n.  289  del  2012),  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  29,  comma  2,  del  decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione  delle  deleghe  in
materia di occupazione e mercato del lavoro, di  cui  alla  legge  14
febbraio 2003, n. 30), come modificato dall'art. 1, comma 911,  della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007),
in relazione all'art. 21 del decreto-legge  9  febbraio  2012,  n.  5
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e  di  sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  4
aprile  2012,  n.  35,  «nella  parte   in   cui   prevede   che   la
responsabilita'  solidale  dell'appaltante,   in   caso   di   omesso
versamento da parte dell'appaltatore  dei  contributi  previdenziali,
comprenda anche il debito per le sanzioni civili o somme aggiuntive». 
    Con la medesima ordinanza, il Tribunale di Bologna ha  sollevato,
sempre in riferimento all'art. 3  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  36-bis,   comma   7,   lettera   a),   del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2006,  n.
248, che ha modificato  l'art.  3,  comma  3,  del  decreto-legge  22
febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle
operazioni di emersione di attivita' detenute all'estero e di  lavoro
irregolare), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge del 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all'art. 4, comma
1, lettera a), della legge  4  novembre  2010,  n.  183  (Deleghe  al
Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione  di  enti,
di congedi, aspettative e permessi,  di  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro), «nella parte in cui ha previsto, nel caso di
impiego di lavoratori non  risultanti  dalle  scritture  o  da  altra
documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all'omesso
versamento dei contributi e premi riferita a ciascun  lavoratore  non
inferiore ad  euro  3.000,00  indipendentemente  dalla  durata  della
prestazione lavorativa accertata». 
    Il giudice a quo premette di essere  investito  del  procedimento
civile promosso dalla Corticella Molini Pastifici spa  nei  confronti
dell'Istituto nazionale della previdenza  sociale  (d'ora  in  avanti
INPS)  e  dell'Istituto  nazionale  per  l'assicurazione  contro  gli
infortuni sul lavoro (d'ora in avanti INAIL). 
    La societa' ricorrente - prosegue il Tribunale rimettente - aveva
stipulato  con  la  Societa'  cooperativa  MP  Service  un  contratto
d'appalto per lo  svolgimento  di  diverse  attivita'  inerenti  alla
gestione del suo stabilimento situato a Bologna e, in  seguito  a  un
accertamento ispettivo svoltosi fra il  24  novembre  2009  e  il  18
gennaio 2010 ed afferente al periodo lavorativo compreso  tra  il  1°
maggio 2008 e il  30  novembre  2009,  era  emerso  che  la  societa'
appaltatrice aveva impiegato personale dipendente in  assenza  di  un
regolare  contratto  di  assunzione,  omettendo  il  versamento   dei
relativi contributi. 
    In  particolare,  dall'accertamento   compiuto,   erano   «emerse
omissioni contributive per euro 2.253,00 per l'impiego  di  personale
non in regola, aumentati di euro 45.000,00 a titolo di  sanzione,  ex
art. 116, comma 8 e ss., della legge  n.  388/00  e  36-bis  D.L.  n.
233/06 nonche' omessi versamenti in relazione a quanto dichiarato nei
DM 10 per euro 136.942,00». 
    A causa di cio', la societa' ricorrente aveva ricevuto,  in  data
29 gennaio 2010, la  notificazione  di  un  verbale  di  obbligazione
solidale che, in forza dell'art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003,  come
modificato dall'art. 1, comma 911, della legge n. 296  del  2006,  le
aveva intimato di provvedere entro trenta giorni al  pagamento  delle
somme dovute dalla societa' appaltatrice, responsabile dell'omissione
contributiva. 
    Successivamente, con nota del 1° settembre  2010,  anche  l'INAIL
aveva contestato alla ricorrente «l'omesso versamento  dei  premi  in
relazione ai lavoratori presuntivamente impiegati  "in  nero"  da  MP
Service per euro 460,52 e la debenza della connessa sanzione di  euro
45.000,00 ex art. 36-bis citato». 
    1.1.- Il Tribunale  rimettente  ricorda  come  la  giurisprudenza
della Corte di cassazione abbia  ritenuto  che  le  somme  aggiuntive
dovute dal contribuente in caso di omesso versamento  dei  contributi
previdenziali costituiscono sanzioni  civili  e  non  amministrative,
avendo la funzione, da un lato, di rafforzare l'obbligo contributivo,
dall'altro,   di   predeterminare   il   danno   cagionato   all'ente
previdenziale dal suo inadempimento (Cass. civ., sez. lav., 19 giugno
2009,   n.   14475).   Percio',   nell'ipotesi    di    inadempimento
dell'appaltatore e di responsabilita' solidale  del  committente,  le
obbligazioni del  secondo  dovrebbero  intendersi  riferite  «sia  ai
contributi (credito per capitale) sia alle somme aggiuntive  (credito
per sanzioni civili)». 
    Il quadro normativo di  riferimento  e'  stato  pero'  modificato
dall'art. 21  del  d.l.  n.  5  del  2012,  secondo  il  quale  dalla
responsabilita' solidale  del  committente  resta  escluso  qualsiasi
obbligo per sanzioni civili di  cui  risponde  solo  il  responsabile
dell'inadempimento e, in  conseguenza  di  questa  modificazione,  il
Tribunale  rimettente  dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276  del  2003,  per  violazione
dell'art.  3  Cost.,  in  quanto  «il  regime  della  responsabilita'
solidale del committente in materia previdenziale  resta  soggetto  a
due diverse discipline a  seconda  della  data  in  cui  si  viene  a
collocare l'inadempimento dell'appaltatore». 
    La  medesima  situazione  giuridica,  quindi,   e'   disciplinata
diversamente «senza alcuna giustificazione apparente, che non sia  la
mera casualita' nella quale si colloca la  data  dell'inadempimento»:
«se l'inadempimento si colloca prima dell'entrata in vigore del nuovo
testo  dell'art.  29,  comma  2,  [infatti],  il   committente   deve
rispondere, come nel caso di specie, anche del debito per le sanzioni
civili; mentre, in caso contrario, il medesimo committente e'  tenuto
a versare, in via solidale, soltanto l'importo dei contributi». 
    Inadempimenti del medesimo importo - conclude il giudice a quo  -
«avrebbero un'incidenza economica a carico delle imprese  committenti
ben diversa e difficilmente giustificabile  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza». 
    Un ulteriore profilo di irragionevolezza, secondo l'ordinanza  di
rimessione, sarebbe da ravvisare  nella  circostanza  che  «la  nuova
normativa esprime il  principio  che,  in  materia  contributiva,  le
conseguenze  sanzionatorie  e  risarcitorie  previste  in   caso   di
inadempimento restano a carico del soggetto-datore di lavoro cui puo'
essere  soggettivamente  imputato  l'inadempimento  per   non   avere
provveduto al tempestivo pagamento dei contributi». In tal  modo,  si
e' modificata «la natura giuridica del debito per  sanzioni  civili»,
che non e' piu' posto  «automaticamente  a  carico  del  committente,
cioe' di un soggetto al quale non puo' essere materialmente  imputato
l'inadempimento». 
    1.2.-  Il  Tribunale  rimettente   ritiene   non   manifestamente
infondata, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., anche la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 36-bis, comma 7, lettera a),
del d.l. n. 223 del 2006, che ha modificato l'art. 3,  comma  3,  del
d.l. n. 12 del 2002, «introducendo, nel caso di impiego di lavoratori
non  risultanti   dalle   scritture   o   da   altra   documentazione
obbligatoria, una sanzione civile, connessa all'omesso versamento dei
contributi e premi riferita a ciascun  lavoratore  non  inferiore  ad
euro  3.000,00  indipendentemente  dalla  durata  della   prestazione
lavorativa accertata (c.d. maxi sanzione per lavoro nero)». 
    L'irragionevolezza della norma  censurata  -  che  introduce  una
sanzione     «sproporzionata      alla      gravita'      complessiva
dell'inadempimento,   eccessiva,   irragionevole   e    ingiustamente
vessatoria nei confronti del datore di  lavoro»  -  risulterebbe  con
evidenza dalla circostanza che la modifica successivamente introdotta
dall'art. 4 della legge n. 183 del 2010 «ha abolito la soglia  minima
per le sanzioni di euro 3.000,00 per ciascun lavoratore  occupato  in
nero» e ha «ripristinato la normativa prevista dall'art.  116,  comma
8, lettera b) della legge n. 388/2000, che prevede l'applicazione, in
ragione  d'anno,  della  sanzione  civile   del   30%   all'ammontare
contributivo evaso, maggiorato del 50%». Tuttavia, poiche'  nel  caso
di specie il comportamento illecito dell'appaltatore e' cessato il 12
gennaio 2009 e gli accertamenti  ispettivi  sono  stati  compiuti  in
epoca antecedente, la  nuova  normativa,  entrata  in  vigore  il  24
novembre 2010, non sarebbe applicabile. 
    Cio'   dimostrerebbe,   ad   avviso   del    giudice    a    quo,
«l'irragionevolezza   complessiva    cosi'    venutasi    a    creare
nell'ordinamento», in quanto nelle ipotesi di impiego  di  lavoratori
non risultanti da scritture o da altra  documentazione  obbligatoria,
poste in essere o accertate nel vigore della  precedente  disciplina,
«continua a trovare applicazione una sanzione determinata sulla  base
di una soglia minima, particolarmente afflittiva e, come dimostra  il
caso   concreto,   del    tutto    sproporzionata    alla    gravita'
dell'inadempimento», mentre lo stesso legislatore ha  successivamente
realizzato  «un  sistema  caratterizzato,  allo  stesso   tempo,   da
efficacia dissuasiva e da maggiore equita' perche' la  determinazione
della   sanzione   resta   comunque    agganciata    alla    gravita'
dell'inadempimento». 
    La questione sollevata sarebbe inoltre rilevante nel  giudizio  a
quo, perche' «la responsabilita' solidale del  committente  comprende
le somme  dovute  per  contributi  e  per  sanzioni  civili»,  e,  di
conseguenza,  «la  societa'  ricorrente  e'  tenuta,   altresi',   al
pagamento anche della c.d. "maxi sanzione" per il  lavoro  nero».  In
caso di applicazione della disciplina introdotta  nel  2010,  invece,
«l'importo delle somme aggiuntive da euro 90.000,00  (euro  45.000,00
richiesti da ciascun istituto previdenziale)  si  attesterebbe  sulla
minore cifra di euro 1.221,09». 
    2.- E' intervenuto nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,
con  memoria  depositata  il  22  gennaio  2013,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, e ha chiesto che la  questione  sia  dichiarata
manifestamente infondata. 
    Ad   avviso   della   difesa   dello   Stato,    rientra    nella
discrezionalita' del legislatore «disciplinare in  modo  diverso  gli
stessi oggetti, in momenti diversi nel tempo». La circostanza che  il
regime della responsabilita' del committente in materia previdenziale
resti soggetto a due diverse discipline, a seconda della data in  cui
si viene a collocare l'inadempimento  dell'appaltatore,  quindi,  non
integrerebbe violazione dell'art. 3 Cost., in quanto  si  tratterebbe
«semplicemente degli effetti normali o  addirittura  necessari  della
successione delle leggi nel tempo». 
    Peraltro, secondo la giurisprudenza costituzionale, non contrasta
con  il  principio  di  uguaglianza  un   trattamento   differenziato
applicato in momenti successivi, perche' lo stesso fluire  del  tempo
costituisce di per se' un elemento diversificatore in  rapporto  alle
situazioni che nel tempo si vanno svolgendo. 
    3.- Nel giudizio di costituzionalita' e' intervenuto, con memoria
depositata  il  21  gennaio  2013,  anche  l'INPS,  in  persona   del
Presidente pro-tempore, in proprio e quale procuratore speciale della
Societa' di cartolarizzazione dei crediti INPS, S.C.C.I. spa, che  ha
concluso  per  la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n.  276
del 2003. 
    L'INPS rileva che la norma censurata pone un vincolo solidale tra
committente  e  appaltatore  relativo   al   debito   retributivo   e
contributivo concernente i lavoratori impiegati nell'appalto,  e  che
questo vincolo, essendo posto nell'esclusivo  interesse  di  uno  dei
debitori, cioe' dell'appaltatore, comporta che l'obbligato in  solido
sia «tenuto all'adempimento dell'obbligazione, ma  sullo  stesso  non
grava il debito, potendo recuperare interamente quanto pagato  agendo
nei confronti del debitore principale». 
    Inoltre,  prosegue  l'INPS,  non  vi   sarebbe   «disparita'   di
trattamento fra due situazioni analoghe, cioe' fra la fattispecie che
si e' verificata antecedente[mente]  e  quella  successivamente  alla
riforma dell'art. 29, comma 2, dlgs 276/2003  per  effetto  della  l.
35/2012, essendo ciascuna delle dette specie regolata da una  propria
disciplina, gia' in vigore prima della stipula del relativo contratto
d'appalto da cui scaturisce»,  di  cui  il  committente  ben  avrebbe
potuto tener conto al momento della conclusione del contratto. 
    Peraltro, e' pacifico nella giurisprudenza costituzionale che  il
principio di uguaglianza non risulta violato dal succedersi nel tempo
di discipline differenziate. 
    Rispetto alla questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n.  223  del  2006,  la  difesa
dell'INPS ha concluso per la sua irrilevanza nel giudizio a quo,  nel
quale «si discute dell'obbligo solidale del committente che non e' il
datore di lavoro (che e' l'obbligato principale)».  Sul  committente,
in particolare, non graverebbe il peso delle sanzioni,  ma  solamente
l'obbligo   di   pagarle   ai   fini   dell'adempimento   dell'altrui
obbligazione contributiva: «qualunque sia l'importo pagato  a  titolo
di sanzioni,  egli  potra'  rivalersi  nei  confronti  dell'obbligato
principale». 
    Con  una  successiva  memoria,  l'INPS  ha  ribadito  le  proprie
deduzioni difensive, sostenendo  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003,  e'
inammissibile perche' irrilevante. Nel giudizio a quo, infatti, si fa
questione dell'obbligo di pagamento dei contributi e  delle  sanzioni
da  parte  non  dell'appaltatore-datore   di   lavoro,   bensi'   del
committente. Tuttavia questo e' un mero  obbligato  solidale  insieme
con l'appaltatore-datore di lavoro, che e' il debitore principale nei
cui confronti il committente puo' rivalersi. 
    La  questione,  inoltre,  sarebbe  manifestamente  infondata,  in
quanto la legge n. 35 del 2012 ha  modificato  un  solo  aspetto  del
contratto di appalto di  opere  e  servizi,  relativo  a  un  obbligo
accessorio, ossia all'obbligo solidale avente ad oggetto il pagamento
dei  contributi  e  delle   sanzioni   nei   confronti   degli   enti
previdenziali. 
    Il committente «quando stipula il contratto di appalto, conosce o
potrebbe conoscere la portata del  proprio  obbligo  accessorio  (nei
confronti dell'ente previdenziale)» e puo'  valutare  la  convenienza
del    contratto,    eventualmente     prevedendo,     nell'esercizio
dell'autonomia   privata,   «un   controbilanciamento   della   [sua]
posizione». 
    Anche  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
36-bis, comma 7, lettera a),  del  d.l.  n.  223  del  2006,  sarebbe
irrilevante. 
    In  primo  luogo,  perche'  l'appaltatore,   cioe'   l'«obbligato
principale al  pagamento  delle  sanzioni  [...]  non  e'  parte  del
giudizio in cui e' stata sollevata la questione»;  in  secondo  luogo
perche' «non e' stato evidenziato, nell'ordinanza di rimessione,  che
se nella specie si fosse  applicato  il  criterio  di  computo  delle
sanzioni di cui all'art. 4, comma 1, l. 183/2010, che  ha  modificato
l'art. 3, d.l. 12/2002, conv. con  modificazioni  nella  l.  73/2002,
l'importo delle sanzioni civili dovute dal datore di  lavoro  sarebbe
stato inferiore a quello preteso ora dall'INPS». 
    La questione  sarebbe,  altresi',  manifestamente  infondata,  in
quanto, essendo radicalmente diverse le modalita'  di  calcolo  delle
sanzioni civili previste nella precedente e nella nuova  disposizione
normativa, «non si puo' giungere alla conclusione che in astratto sia
piu' favorevole l'uno anziche' l'altro sistema». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento all'art.
3  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003,  n.
276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30),  come  modificato
dall'art. 1,  comma  911,  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2007), «nella parte  in  cui  prevede
che la responsabilita' solidale dell'appaltante, in  caso  di  omesso
versamento da parte dell'appaltatore  dei  contributi  previdenziali,
comprenda anche il debito per le sanzioni civili o somme aggiuntive». 
    La questione e' stata sollevata  in  relazione  all'art.  21  del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in  materia
di semplificazione e di  sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge  4  aprile  2012,  n.  35,  che  ha
limitato la  responsabilita'  solidale  del  committente,  escludendo
espressamente che essa si estenda alle sanzioni civili e  alle  somme
aggiuntive. 
    La norma censurata sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost.  sotto
il profilo della disparita' di  trattamento,  in  quanto  «il  regime
della   responsabilita'   solidale   del   committente   in   materia
previdenziale  rest[erebbe]  soggetto  a  due  diverse  discipline  a
seconda della data  in  cui  si  viene  a  collocare  l'inadempimento
dell'appaltatore». 
    Il giudice a quo ha censurato, altresi', l'art. 36-bis, comma  7,
lettera a), del decreto-legge 4 luglio  2006,  n.  223  (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2006,  n.
248, che ha modificato  l'art.  3,  comma  3,  del  decreto-legge  22
febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle
operazioni di emersione di attivita' detenute all'estero e di  lavoro
irregolare), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all'art. 4, comma  1,
lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe  al  Governo
in materia di  lavori  usuranti,  di  riorganizzazione  di  enti,  di
congedi,  aspettative  e  permessi,  di  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro), «nella parte in cui ha previsto, nel caso di
impiego di lavoratori non  risultanti  dalle  scritture  o  da  altra
documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all'omesso
versamento dei contributi e premi riferita a ciascun  lavoratore  non
inferiore ad  euro  3.000,00  indipendentemente  dalla  durata  della
prestazione lavorativa accertata». 
    Anche  in  tal  caso  la  questione  sarebbe  non  manifestamente
infondata con riferimento  all'art.  3  Cost.,  in  quanto  la  norma
censurata introdurrebbe una sanzione  «sproporzionata  alla  gravita'
complessiva   dell'inadempimento,    eccessiva,    irragionevole    e
ingiustamente vessatoria nei confronti del datore di lavoro». 
    «L'irragionevolezza   complessiva   cosi'   venutasi   a   creare
nell'ordinamento» risulterebbe con evidenza dalla circostanza che  la
modifica introdotta dall'art. 4 della  legge  n.  183  del  2010  «ha
abolito la soglia minima per le sanzioni di euro 3.000,00 per ciascun
lavoratore occupato in nero» e ha «ripristinato la normativa prevista
dall'art. 116, comma 8, lettera  b)  della  legge  n.  388/2000,  che
prevede l'applicazione, in ragione d'anno, della sanzione civile  del
30% all'ammontare contributivo evaso, maggiorato del 50%». 
    2.- Per entrambe le questioni la difesa  dell'INPS  ha  formulato
eccezioni di inammissibilita' prive di fondamento. 
    2.1.- Secondo l'Ente previdenziale, la questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 29, comma 2, del d.lgs.  n.  276  del  2003,
sarebbe inammissibile perche' irrilevante, in quanto nel  giudizio  a
quo si fa questione dell'obbligo di pagamento dei contributi e  delle
sanzioni non da parte dell'appaltatore, bensi'  del  committente,  il
quale e' un mero obbligato solidale insieme con l'appaltatore, che e'
il debitore principale dell'obbligazione contributiva. 
    Il vincolo solidale  sarebbe  previsto  nell'esclusivo  interesse
dell'appaltatore, su cui grava, e continua a gravare, a seguito della
novella legislativa del 2012, il peso  dell'obbligazione  e  nei  cui
confronti il committente che abbia  pagato  puo'  rivalersi.  Sarebbe
mutato, quindi, solamente l'oggetto del vincolo solidale, ma  non  il
soggetto debitore, che e' pur sempre  l'appaltatore,  il  quale  deve
sopportare per intero il peso dell'obbligazione. 
    L'eccezione e' infondata, perche' cio' che  contesta  il  giudice
rimettente  e'  proprio  la  disciplina  dell'obbligazione   solidale
gravante sul committente e, in particolare, la  sua  estensione  alle
sanzioni  civili,  in  caso  di  omesso  pagamento  dell'obbligazione
contributiva   da    parte    del    debitore    principale,    ossia
dell'appaltatore. E'  pertanto  irrilevante  la  circostanza  che  il
committente sia un mero obbligato in solido  e  possa  rivalersi  nei
confronti dell'appaltatore di quanto versato agli enti previdenziali:
cio'  non  esclude  infatti  che,  quale   obbligato   solidale,   il
committente possa essere chiamato da tali  enti  al  pagamento  degli
importi dovuti dal datore di lavoro e non pagati. 
    2.2.- Ad avviso dell'INPS, anche  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223
del 2006, sarebbe irrilevante,  perche'  l'«obbligato  principale  al
pagamento delle sanzioni (e su cui grava pertanto definitivamente  il
relativo peso) e' il datore di lavoro (id est: appaltatore)  che  non
e' parte del giudizio in cui e' stata sollevata la questione». 
    L'eccezione e'  priva  di  fondamento,  perche',  trattandosi  di
appalto di opere e servizi e  di  lavoratori  impiegati  per  la  sua
esecuzione, il committente, che e'  parte  del  giudizio  a  quo,  e'
obbligato in  solido  con  l'appaltatore  al  pagamento  anche  delle
sanzioni civili, almeno secondo l'interpretazione  da  cui  muove  il
giudice rimettente, ed e' pertanto  irrilevante  la  circostanza  che
l'appaltatore non sia parte di tale giudizio. 
    Secondo l'INPS, la questione sarebbe  priva  di  rilevanza  anche
perche' «non e' stato evidenziato, nell'ordinanza di rimessione,  che
se nella specie si fosse  applicato  il  criterio  di  computo  delle
sanzioni di cui all'art. 4, comma 1, l. 183/2010, che  ha  modificato
l'art. 3, d.l. 12/2002, conv. con  modificazioni  nella  l.  73/2002,
l'importo delle sanzioni civili dovute dal datore di  lavoro  sarebbe
stato inferiore a quello preteso ora dall'INPS». 
    Pure  questa  eccezione  e'  priva  di  fondamento,  in   quanto,
contrariamente a quanto dedotto dall'Ente previdenziale,  il  giudice
rimettente denuncia la diversa incidenza economica che  avrebbero,  a
carico delle imprese, inadempimenti del medesimo  importo,  rilevando
come, in caso di applicazione della disciplina introdotta  nel  2010,
«l'importo delle somme aggiuntive da euro 90.000,00  (euro  45.000,00
richiesti da ciascun istituto previdenziale)  si  attesterebbe  sulla
minore cifra di euro 1.221,09». 
    3.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 29, comma  2,  del  d.lgs.  n.  276  del  2003,  modificato
dall'art. 1, comma 911, della legge n. 296 del 2006, non e' fondata. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti,  non
contrasta, di per se', con il principio di eguaglianza un trattamento
differenziato  applicato  alle  stesse  fattispecie,  ma  in  momenti
diversi nel tempo, poiche' il fluire del  tempo  puo'  costituire  un
valido  elemento  di  diversificazione  delle  situazioni  giuridiche
(ordinanze n. 25 del 2012, n. 224 del 2011, n. 61 del  2010,  n.  170
del 2009, n. 212 e n. 77 del 2008). 
    La circostanza che,  quindi,  la  nuova  disciplina  in  tema  di
responsabilita' solidale del committente e dell'appaltatore,  dettata
dall'art. 21 del d.l. n. 5 del 2012, convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 35 del 2012,  si  applichi  agli
inadempimenti contributivi avvenuti dopo la sua  entrata  in  vigore,
essendo conseguenza dei principi generali in tema di  successione  di
leggi nel tempo, non puo' ritenersi di per se' lesiva  del  parametro
costituzionale evocato. 
    4.- La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36-bis,
comma 7, lettera a), del  d.l.  n.  223  del  2006,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  n.  248  del  2006,
invece, e' fondata. 
    4.1.- E' opportuna una breve ricognizione del quadro normativo di
riferimento. 
    La disciplina delle sanzioni  civili  connesse  all'evasione  dei
contributi e dei premi  e'  dettata  dall'art.  116  della  legge  23
dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), che, nel
prevedere «Misure per favorire l'emersione del lavoro irregolare», al
comma 8, stabilisce: «I soggetti che non provvedono entro il  termine
stabilito al pagamento dei contributi o premi  dovuti  alle  gestioni
previdenziali  ed  assistenziali,  ovvero  vi  provvedono  in  misura
inferiore a quella dovuta, sono tenuti: - a) nel caso  di  mancato  o
ritardato pagamento di  contributi  o  premi,  il  cui  ammontare  e'
rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento
di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di
riferimento maggiorato di 5,5 punti;  la  sanzione  civile  non  puo'
essere superiore al 40 per cento dell'importo dei contributi o  premi
non corrisposti entro la scadenza di legge; - b) in caso di  evasione
connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi
al vero, cioe' nel caso in cui il datore di lavoro, con  l'intenzione
specifica di non versare i contributi o premi,  occulta  rapporti  di
lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di  una
sanzione civile, in ragione d'anno, pari al 30 per cento; la sanzione
civile non puo' essere superiore al 60  per  cento  dell'importo  dei
contributi o premi  non  corrisposti  entro  la  scadenza  di  legge.
Qualora  la  denuncia  della  situazione  debitoria  sia   effettuata
spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti
impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per  il
pagamento dei contributi o  premi  e  sempreche'  il  versamento  dei
contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla  denuncia
stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una  sanzione  civile,
in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento  maggiorato
di 5,5 punti; la sanzione civile non puo' essere superiore al 40  per
cento dell'importo dei contributi o premi non  corrisposti  entro  la
scadenza di legge». 
    L'art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l.  n.  223  del  2006,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
248 del 2006, che ha modificato l'art. 3, comma 3, del d.l. n. 12 del
2002, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n.  73  del  2002,  ha  fortemente  inciso  sul  meccanismo  di
commisurazione delle sanzioni civili, stabilendo che «L'importo delle
sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi
riferiti a ciascun lavoratore [...] non puo' essere inferiore a  euro
3.000, indipendentemente dalla durata  della  prestazione  lavorativa
accertata». 
    Il legislatore del 2006, per rendere piu' rigorosa la  disciplina
sanzionatoria del lavoro non risultante dalle scritture  o  da  altra
documentazione obbligatoria, ha cosi'  introdotto,  per  le  sanzioni
civili di cui all'art. 116, comma 8, della legge n. 388 del 2000, una
soglia minima di 3.000 euro per ogni lavoratore, nell'ipotesi in  cui
la loro quantificazione risulti inferiore. 
    Successivamente,  la  legge  n.  183  del  2010   ha   nuovamente
modificato la misura delle sanzioni civili  applicabili  in  caso  di
impiego di tali lavoratori e ha eliminato il tetto  minimo  di  3.000
euro, prevedendo  unicamente  un  aumento  del  50  per  cento  delle
sanzioni determinate sulla scorta del  criterio  stabilito  dall'art.
116, comma 8, della legge n. 388 del 2000. 
    Pertanto, le sanzioni civili sono oggi calcolate nella misura del
30 per cento in ragione d'anno della contribuzione evasa, fino ad  un
massimo del 60 per cento dell'importo  dei  contributi  o  premi  non
corrisposti entro la scadenza di legge, come previsto dall'art.  116,
comma 8, lettera b), della legge n. 388 del 2010, e  l'importo  cosi'
determinato e' maggiorato del 50 per cento. 
    4.2.- Come si e' visto, la norma  censurata,  nel  modificare  il
sistema di quantificazione delle sanzioni civili connesse  all'omesso
versamento dei contributi e  dei  premi,  ha  introdotto  una  soglia
minima, riferita a ciascun lavoratore  e  indipendente  dalla  durata
della prestazione lavorativa accertata. Cosi' l'importo minimo  della
sanzione civile introdotto dall'art. 36-bis, comma 7, lettera a), del
d.l. n.  223  del  2006,  prescindendo  dalla  durata  effettiva  del
rapporto di lavoro, e' ancorato unicamente al numero  di  «lavoratori
non  risultanti   dalle   scritture   o   da   altra   documentazione
obbligatoria». 
    In  tal  modo,  pero',  la  sanzione  puo'  risultare  del  tutto
sproporzionata rispetto alla gravita' dell'inadempimento  del  datore
di lavoro e incoerente con  la  sua  natura,  se  si  considera  che,
secondo  la  costante  giurisprudenza  della  Corte  di   cassazione,
l'obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di  lavoro  e'
tenuto a  versare  in  caso  di  omesso  o  ritardato  pagamento  dei
contributi  assicurativi  ha  natura  di  sanzione   civile   e   non
amministrativa,    costituendo     una     conseguenza     automatica
dell'inadempimento  o  del  ritardo,  che  e'  posta  allo  scopo  di
rafforzare  l'obbligazione  contributiva  e  risarcire,   in   misura
predeterminata dalla legge, con una presunzione iuris et de iure,  il
danno cagionato all'istituto assicuratore  (ex  multis,  Cass.  civ.,
sez. lav., 19 giugno 2009, n. 14475; Cass. civ., sez. lav., 1  agosto
2008, n. 24358; Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2000,  n.  8323.  In
tal senso, si veda anche la circolare n. 38 del  2010  del  Ministero
del lavoro e delle politiche sociali). 
    In altri termini, poiche' le sanzioni civili connesse  all'omesso
versamento di contributi e premi hanno  una  funzione  essenzialmente
risarcitoria, essendo volte  a  quantificare,  in  via  preventiva  e
forfettaria, il danno subito dall'ente previdenziale,  la  previsione
di una soglia  minima  disancorata  dalla  durata  della  prestazione
lavorativa    accertata,    dalla     quale     dipende     l'entita'
dell'inadempimento   contributivo   e   del   relativo   danno,    e'
irragionevole. 
    Il legislatore infatti, con la norma impugnata, ha predeterminato
in via presuntiva il danno subito  dall'ente  previdenziale  a  causa
dell'omissione contributiva, ma nel far cio' ha escluso la  rilevanza
di  uno  degli  elementi  che  concorrono  a  cagionare  quel  danno,
costituito dalla durata dei rapporti di lavoro non  risultanti  dalle
scritture o da altra documentazione obbligatoria  e  dal  correlativo
inadempimento dell'obbligo contributivo. 
    In  tal  modo,  pero',   la   sanzione   risulta   arbitraria   e
irragionevole, perche', pur avendo  la  funzione  di  «risarcire,  in
misura predeterminata dalla legge, con una presunzione "iuris  et  de
iure", il danno cagionato  all'Istituto  assicuratore»  (Cass.  civ.,
sez. lav., 19 giugno 2000, n. 8323; Cass. civ., sez.  lav.,  8  marzo
1995, n. 2689), e' stabilita con un  criterio  privo  di  riferimento
all'entita' di tale danno, dipendente dalla durata del periodo in cui
i rapporti di lavoro in questione si sono protratti. 
    L'irragionevolezza  della  sanzione  appare  evidente  nel   caso
oggetto del giudizio a quo, in cui  si  e'  verificata,  nel  periodo
compreso tra il 1° maggio 2008 e il  30  novembre  2009,  oggetto  di
accertamento ispettivo da parte  dell'INPS,  l'assunzione,  in  tempi
diversi, di dodici lavoratori per brevi periodi, da un minimo,  nella
maggior parte dei casi, di tre giorni a un massimo, in un solo  caso,
di venti giorni. Percio', come risulta dall'ordinanza di  rimessione,
«un inadempimento contributivo nei confronti dell'INPS pari  ad  euro
2.253,00 ha dato luogo all'applicazione di  una  sanzione  civile  di
euro  45.000,00;  e,  addirittura,  l'inadempimento   nei   confronti
dell'INAIL di  soli  euro  450,62  ha,  analogamente,  comportato  la
sanzione civile di euro 45.000,00». 
    In conclusione, l'art. 36-bis, comma 7, lettera a), del  d.l.  n.
223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 248 del  2006,  nella  parte  relativa  alla  sanzione
civile, risulta, per la denunciata irragionevolezza, in contrasto con
l'art. 3 Cost. 
    5.-   Deve,   pertanto,   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  36-bis,   comma   7,   lettera   a),   del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2006,  n.
248, che ha modificato  l'art.  3,  comma  3,  del  decreto-legge  22
febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle
operazioni di emersione di attivita' detenute all'estero e di  lavoro
irregolare), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 23 aprile 2002, n. 73, nella  parte  in  cui  stabilisce:
«L'importo delle sanzioni civili connesse all'omesso  versamento  dei
contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di  cui  al  periodo
precedente non puo' essere inferiore a euro 3.000,  indipendentemente
dalla durata della prestazione lavorativa accertata».