ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma
1, 10, comma 6, e 11, commi 1 e 2 della legge della Regione Veneto 29
novembre 2013, n.  32  (Nuove  disposizioni  per  il  sostegno  e  la
riqualificazione del settore edilizio e modifica di  leggi  regionali
in materia di urbanistica ed edilizia), promosso dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  29  gennaio  -  3
febbraio 2014, depositato  in  cancelleria  il  4  febbraio  2014  ed
iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  7  ottobre  2014  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella; 
    uditi l'avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Bruno Barel e Andrea Manzi  per
la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notifica in data 29 gennaio  2014,
ricevuto dalla resistente il  3  febbraio  2014  e  depositato  nella
cancelleria di questa Corte il 4 febbraio 2014 (reg. ric.  n.  6  del
2014), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), e  terzo  comma,
della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 7, comma 1, e 10, comma 6,  fra  loro  in  combinato  disposto,
nonche' dell'art. 11, commi 1 e 2, della legge della  Regione  Veneto
29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni  per  il  sostegno  e  la
riqualificazione del settore edilizio e modifica di  leggi  regionali
in materia di urbanistica ed edilizia). 
    Il testo della prima disposizione impugnata (art. 7, comma 1)  e'
il seguente: «Dopo l'articolo 3-ter della legge  regionale  8  luglio
2009  n.14,  cosi'  come  introdotto  dall'art.  6,  e'  inserito  il
seguente: 
    Art. 3-quater (Interventi su edifici in aree dichiarate  ad  alta
pericolosita' idraulica e idrogeologica). 
    1. Per gli  edifici  ricadenti  nelle  aree  dichiarate  ad  alta
pericolosita' idraulica o  idrogeologica  e'  consentita  l'integrale
demolizione  e  la  successiva  ricostruzione  in  zona  territoriale
omogenea  propria  non  dichiarata  di  pericolosita'   idraulica   o
idrogeologica,  anche  in  deroga  ai   parametri   dello   strumento
urbanistico comunale, con un incremento fino  al  50  per  cento  del
volume o della superficie. 
    2. Limitatamente agli edifici  a  destinazione  residenziale,  la
ricostruzione di cui al comma 1 e' consentita anche in zona agricola,
purche'  caratterizzata  dalla  presenza   di   un   edificato   gia'
consolidato e sempre che l'area non sia oggetto di  specifiche  norme
di tutela da parte degli strumenti urbanistici o territoriali che  ne
impediscano l'edificazione. 
    3. La demolizione dell'edificio deve avvenire entro tre mesi  dal
rilascio del certificato di agibilita' per gli  edifici  ricostruiti;
in caso di mancata demolizione trovano applicazione  le  disposizioni
di cui all'art. 31 del D.P.R. 380/2001. 
    4. Agli edifici ricostruiti ai sensi del presente articolo non si
applicano le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4». 
    Il testo  dell'art.10,  comma  6,  della  medesima  legge  e'  il
seguente: «Alla fine della lettera g) del  comma  1  dell'articolo  9
della legge regionale 8 luglio 2009 n.14, sono aggiunte  le  seguenti
parole: "fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 3-quater"». 
    Il testo dell'art. 11, commi 1 e 2, della legge impugnata  e'  il
seguente: 
    «1. Alla  lettera  a)  del  comma  1  dell'art.  10  della  legge
regionale 8 luglio 2009 n.14, le parole "e all'interno  della  sagoma
del fabbricato precedente" sono soppresse. 
    2. Alla lettera b) del comma 1 dell'art. 10 della legge regionale
8 luglio 2009 n.14, le parole "volumi e sagoma" sono  sostituite  con
le parole "i volumi"». 
    1.1.- Premette l'Avvocatura dello Stato che la legge regionale in
esame e' finalizzata a consentire la realizzazione di  interventi  di
ampliamento e delocalizzazione in deroga agli  strumenti  urbanistici
vigenti. In particolare, secondo l'art. 1 della legge impugnata, sono
favoriti gli interventi finalizzati al miglioramento  della  qualita'
abitativa ed all'adeguamento sismico, all'eliminazione delle barriere
architettoniche negli edifici e all'incentivazione della  demolizione
e della ricostruzione, in  area  idonea,  di  edifici  esistenti  che
ricadono in aree dichiarate ad alta pericolosita' idraulica. 
    Dall'esame complessivo, si evince che la legge  regionale  n.  32
del 2013 e' finalizzata a favorire in modo incisivo la  rigenerazione
e messa in sicurezza attraverso  la  delocalizzazione  delle  aree  a
rischio; cio' in sovrapposizione  agli  strumenti  di  pianificazione
urbanistica comunale, risultando espressamente abrogate le norme  che
demandavano  ai  comuni  l'individuazione  di  limiti   e   modalita'
applicative della legge regionale sul proprio territorio. 
    1.2.-  Ritiene  l'Avvocatura  dello  Stato   che   le   censurate
disposizioni siano in contrasto con i principi costituzionali in tema
di tutela dell'ambiente e di governo del territorio. 
    Per quanto concerne l'art. 7, comma 1, e l'art. 10, comma 6, tali
disposizioni, secondo la prospettazione della parte  ricorrente,  pur
incentivando  la  demolizione  di  edifici  siti  in  aree  ad   alta
pericolosita' idraulica ed idrogeologica con  ricostruzione  in  zone
territoriali omogenee non pericolose, introducono una modifica lesiva
della potesta' legislativa statale in materia di tutela dell'ambiente
e  dell'ecosistema,  in  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s) Cost., che attribuisce tali materie in via esclusiva  allo
Stato. Infatti l'art. 9, comma 1, lettera g), della  legge  regionale
n.  14  del  2009,  nell'escludere  gli  interventi  di  ampliamento,
demolizione  e  ricostruzione,  utilizza  il  termine  «pericolosita'
idraulica» e non quello piu' ampio di  «pericolosita'  idrogeologica»
(comprensivo  anche  delle  aree  a  rischio  frana  e  valanga).  In
quest'ottica, mentre in precedenza il testo della norma regionale era
coerente con le prescrizioni del d.P.C.m. 29  settembre  1999  -  che
esclude alcuni interventi per le aree ad alta pericolosita'/  rischio
idrogeologico e differenzia le aree a rischio  idraulico  ed  aree  a
rischio frana - la norma regionale, come modificata, si  porrebbe  in
contrasto con la disciplina statale di riferimento, nella  misura  in
cui e'  idonea  a  consentire  gli  interventi  menzionati  anche  in
violazione delle prescrizioni piu' restrittive contenute  negli  atti
di pianificazione di bacino (di cui all'art. 65, commi 4, 5 e 6,  del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme  in  materia
ambientale», sovraordinati ai  piani  territoriali  ed  ai  programmi
regionali ed aventi carattere vincolante per le amministrazioni). 
    Ritiene la parte ricorrente che  la  Regione  Veneto,  attraverso
l'introduzione delle disposizioni  censurate  aventi  ad  oggetto  la
difesa  dal  rischio  idrogeologico,   abbia   dettato   disposizioni
legislative in materia di  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,
ovvero in materie nelle quali e'  preclusa  la  potesta'  legislativa
regionale. D'altra parte, anche a  voler  ritenere  che  l'intervento
legislativo de quo riguardi il governo  del  territorio,  materia  di
competenza concorrente, sarebbe stato comunque leso il principio  del
riparto di competenza legislativa, in quanto la Regione e'  tenuta  a
rispettare i principi fondamentali dettati  dallo  Stato,  nei  quali
vanno ricomprese le regole di  tutela  del  rischio  idrogeologico  -
ispirate ad esigenze di salvaguardia del territorio, dell'ambiente  e
della pubblica incolumita' - con carattere di uniformita' su tutto il
territorio nazionale. 
    Ne consegue che le disposizioni di cui all'art.  9,  lettera  g),
della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, come modificate dall'art. 10,
comma 6, della legge  reg.  Veneto  n.  32  del  2013,  sarebbero  in
contrasto con l'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  nella
parte in cui non prevedono l'esclusione degli interventi  citati  nei
casi in cui le norme di attuazione dei piani di bacino o la normativa
di salvaguardia non consentono tale tipologia di intervento; piu'  in
generale nelle aree ad alto rischio idrogeologico,  nelle  quali  gli
strumenti di pianificazione non consentono l'edificazione. 
    1.3.- Quanto alle disposizioni di cui all'art. 11, commi 1  e  2,
della medesima legge regionale impugnata,  l'Avvocatura  dello  Stato
osserva che tali previsioni,  nel  modificare  l'art.  10,  comma  1,
lettere a) e b),  della  citata  legge  regionale  n.  14  del  2009,
eliminano l'obbligo, per gli interventi di ristrutturazione edilizia,
di rispettare la sagoma esistente.  Cio'  comporta,  a  parere  della
ricorrente,  un  contrasto  con  il  principio  fondamentale  di  cui
all'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia), che impone, ai  fini  della  qualificazione  degli
interventi di ristrutturazione  edilizia  sottratti  al  permesso  di
costruire ed assoggettati a mera s.c.i.a., il rispetto  della  sagoma
dell'edificio preesistente, qualora si tratti di immobili  sottoposti
ai vincoli di cui al decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137). 
    La richiamata norma di cui al T.U. n. 380 del 2001  sarebbe  solo
formalmente,  per  ragioni  di  collocazione,  una  norma   edilizia;
sostanzialmente, secondo la parte ricorrente, si tratterebbe  di  una
norma di tutela del patrimonio culturale, finalizzata alla tutela dei
beni culturali vincolati, in modo  da  escludere  che  interventi  di
ristrutturazione possano comportare l'alterazione della sagome  degli
edifici soggetti a vincolo. Ne consegue che la disposizione regionale
in esame, incidendo sulla tutela  dei  beni  culturali,  andrebbe  ad
invadere  la  potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato,   cosi'
violando l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    In  ogni  caso,  analogamente  a  quanto  dedotto   per   l'altra
disposizione censurata, seppure volesse  ritenersi  che  l'intervento
legislativo della Regione  incida  solo  su  aspetti  urbanistici  ed
edilizi, si avrebbe la lesione  del  principio  fondamentale  dettato
dallo normativa statale con l'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001,  che
rappresenta un limite per gli apprezzamenti che  la  Regione  fa  del
proprio territorio e non consente la compromissione di  interessi  di
portata  superiore,  tanto  piu'  che   si   tratta   di   interventi
realizzabile con la semplice s.c.i.a. 
    La norma de  qua  contrasterebbe,  quindi,  sia  con  i  principi
fondamentali della legislazione statale in  materia  di  governo  del
territorio che con una disposizione di  tutela  dei  beni  culturali,
vincolante per le Regioni in quanto dettata in materia di  competenza
esclusiva dello Stato. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione del Veneto, chiedendo
che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, infondato. 
    La resistente, previa precisazione  che  la  legge  regionale  in
esame (c.d. "Piano casa ter") proroga una disciplina speciale gia' in
vigore da anni, introdotta con la legge regionale n. 14 del 2009,  ne
evidenzia i riscontri positivi all'esito del monitoraggio avviato sin
dal  2009,  per   l'impatto   concreto   avuto   sul   territorio   e
sull'economia. Sottolinea che i Comuni, lungi dall'essere  esautorati
dalle tradizionali funzioni in materia  di  governo  del  territorio,
hanno potuto, grazie  a  detti  interventi,  adattare  la  disciplina
regionale alle differenti esigenze locali.  Le  modifiche  introdotte
dalla legge n. 32 del 2013 vanno inquadrate  nella  medesima  ottica,
essendo stato previsto solo un diverso strumento di coordinamento: si
sarebbe  circoscritto  l'ambito  di  applicazione  della   disciplina
regionale (art. 9), facendo salve  le  misure  specifiche  di  tutela
previste dagli strumenti  urbanistici  comunali,  sia  per  i  centri
storici (art. 9, comma 1, lettera a)  che  per  le  altre  parti  del
territorio (art. 9, comma 1, lettera c). In questo  modo  si  sarebbe
assicurata in linea  di  principio  l'uguaglianza  tra  i  cittadini,
salvaguardando  contestualmente  le  specifiche  misure   di   tutela
stabilite dai piani regolatori. 
    Per quanto concerne i rapporti con il diritto statale,  la  legge
censurata non lederebbe neanche implicitamente, le competenze proprie
dello Stato; anzi, escluderebbe dal proprio ambito di applicazione  i
beni  culturali  (art.  9,  comma  1,  lettera   b),   le   aree   di
inedificabilita' assoluta (art. 9, comma 1, lettera d) e stabilirebbe
in termini generali, all'art. 1, commi 2 e 3, che «le disposizioni di
cui alla presente legge si applicano anche agli  edifici  soggetti  a
specifiche forme di tutela a condizione che  gli  interventi  possano
essere autorizzati ai sensi  della  normativa  statale,  regionale  o
dagli strumenti urbanistici e territoriali». 
    2.1.- Passando al merito, la Regione Veneto osserva che la  prima
delle censure e' rivolta contro due disposizioni della  legge  n.  32
del 2013 relative alle aree ad elevata  pericolosita'  idrogeologica.
Non sarebbe chiaro, tuttavia, in che modo tali  disposizioni  abbiano
leso la competenza statale, poiche' viene  di  fatto  incentivata  la
demolizione  di  edifici  esistenti  in  aree  classificate  ad  alta
pericolosita' idrogeologica, consentendone la ricostruzione  con  una
diversa volumetria in altro sito  sicuro;  con  cio'  rafforzando  la
tutela delle aree di alta pericolosita' idrogeologica attraverso  una
misura di  natura  urbanistico-edilizia,  in  piena  armonia  con  la
legislazione,  sia  statale  che  regionale,  posta  a  tutela  delle
situazioni eccezionali e di rischio. 
    Quanto alla seconda disposizione impugnata (art. 10, comma 6), la
Regione osserva che la censura ha ad oggetto le parole dalla medesima
aggiunte alla fine della norma modificata (ossia  il  citato  art.  9
della legge regionale n. 14 del  2009),  cioe'  l'espressione  «fatte
salve  le  disposizioni  di  cui  all'articolo  3-quater».  Con  tale
previsione, secondo la  Regione,  si  sarebbe  inteso  assicurare  il
coordinamento  tra  la  disposizione  che  esclude   dall'ambito   di
applicazione della legge gli edifici  esistenti  in  aree  a  vincolo
idrogeologico e la nuova disposizione che consente,  in  relazione  a
quegli  stessi  edifici,   la   possibilita'   di   incentivarne   il
«trasferimento» in  altra  area  sicura.  La  modifica,  dunque,  non
inciderebbe sulla disciplina in vigore (inapplicabilita' della  legge
nelle zone a rischio idrogeologico),  ma  piuttosto  chiarirebbe  che
essa non preclude l'applicabilita' del nuovo art. 3-quater. 
    Anche in questo caso, non sarebbe stato chiarito  dal  ricorrente
in quale modo le parole aggiunte dalla legge regionale n. 32 del 2013
violino l'art. 117  Cost.  In  sostanza,  sembra  che  la  ricorrente
censuri il testo originario dell'art. 9 della legge regionale  n.  14
del 2009  e,  in  particolare,  si  dolga  della  mancata  esclusione
dall'ambito di applicazione della legge  di  altre  aree  ad  elevato
rischio idrogeologico. 
    Ne deriverebbe l'inammissibilita' della censura sotto un  duplice
profilo: da un lato, in quanto diretta ad impugnare una  disposizione
estranea alla legge n. 32 del 2013 e gia' introdotta dalla  legge  n.
14 del 2009; da un altro, in quanto estranea al contenuto  precettivo
e rivolta contro un'asserita omissione, originaria, di una situazione
ritenuta assimilabile a quella espressamente contemplata. 
    Anche volendo superare tale  profilo  preliminare,  la  questione
sarebbe comunque priva di fondamento. A tale conclusione si  perviene
evidenziando che sin dal 2009 il  c.d.  "Piano  casa"  della  Regione
Veneto ha sempre fatto salva la legislazione statale: cosi', all'art.
9, comma 1, lettera g), della legge regionale  n.  14  del  2009,  il
legislatore ha inteso escludere  dall'ambito  di  applicazione  della
medesima tutte le aree a rischio, come si  evince  anche  dal  rinvio
alla disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006  (incluso  l'art.  65  sui
piani di bacino  e  i  piani  stralcio  sull'assetto  idrogeologico),
nonche'  dall'ampia  formulazione  dettata   dall'articolo   3-quater
oggetto di ricorso. 
    2.2.- In riferimento all'impugnazione dell'art. 11, commi 1 e  2,
della legge reg. n. 32 del 2013, osserva la  Regione  Veneto  che  le
modifiche riguardano il primo comma dell'art. 10 della legge reg.  n.
14 del 2009, e consistono  nell'eliminazione  di  alcune  parole  sia
dalla disposizione di cui alla lettera a) che dalla  disposizione  di
cui alla lettera b),  in  particolare  con  riferimento  alla  parola
«sagoma». La disposizione della legge, premesso che gli interventi di
ristrutturazione  edilizia  possono  essere  effettuati   anche   con
integrale sostituzione edilizia, contempla due ipotesi, a seconda che
cio' avvenga con o senza ampliamento del volume originario. 
    In realta', osserva la  Regione  Veneto,  la  norma  statale  che
conterrebbe il principio fondamentale che si assume violato  -  ossia
l'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001 - e'  stata
recentemente modificata  con  legge  statale:  l'art.  30,  comma  1,
lettera a), del decreto-legge 21 giugno  2013,  n.  69  (Disposizioni
urgenti   per   il   rilancio   dell'economia),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  98,  ha  modificato  il
citato  art.  3  proprio  con  l'eliminazione  del   riferimento   al
mantenimento della  «sagoma»  originaria  dell'edificio.  Sicche'  la
censura, in sostanza, si rivolgerebbe contro un solo  profilo,  ossia
quello della eliminazione  del  vincolo  del  rispetto  della  sagoma
dell'edificio preesistente anche in relazione  alle  ristrutturazioni
che hanno per oggetto gli immobili  soggetti  a  vincolo  secondo  il
codice per i beni culturali. 
    La ricorrente,  cioe',  sembrerebbe  dolersi  del  fatto  che  la
modifica  apportata  dalla  legge  regionale  impugnata  -  volta  ad
adeguare l'art. 10 della legge regionale n.  14  del  2009  al  nuovo
testo della disposizione statale, mediante l'eliminazione del  limite
della sagoma originaria  -  non  abbia  riprodotto  la  frase  finale
relativa alla ristrutturazione dei beni culturali.  Se  cosi'  fosse,
osserva la resistente, la censura sarebbe frutto di un  equivoco,  in
quanto l'art. 10  della  legge  regionale  n.  14  del  2009  non  ha
introdotto   una   definizione   regionale   degli   interventi    di
ristrutturazione edilizia  sostitutiva  di  quella  statale,  ne'  e'
ipotizzabile che abbia inteso sopprimere - per il solo fatto  di  non
averla riprodotta  -  la  parte  finale  della  disposizione  statale
relativa alla ristrutturazione dei beni culturali  (con  mantenimento
della sagoma). Cio' in quanto, trattandosi di disposizione avente  ad
oggetto i beni culturali,  questi  non  potevano  essere  oggetto  di
legislazione regionale, ne' puo' la norma regionale essere  censurata
per mancata riproduzione di quella statale. 
    In  conclusione,  le  modifiche  apportate   dalle   disposizione
censurate al dettato originario dell'art. 10 della legge reg.  n.  14
del 2009 sarebbero in piena sintonia con i principi  fondamentali  di
cui all'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    2.3.- In prossimita' dell'udienza la Regione Veneto ha presentato
memoria,  insistendo  per  l'accoglimento   delle   gia'   rassegnate
conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  promosso,  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), e  terzo  comma,
della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 7, comma 1, e 10, comma 6,  fra  loro  in  combinato  disposto,
nonche' dell'art. 11, commi 1 e 2, della legge della  Regione  Veneto
29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni  per  il  sostegno  e  la
riqualificazione del settore edilizio e modifica di  leggi  regionali
in materia di urbanistica ed edilizia). 
    In particolare, la parte ricorrente  ritiene  che  gli  artt.  7,
comma  1,  e  10,  comma  6,  della  legge  regionale   impugnata   -
introducendo, rispettivamente, un nuovo art. 3-quater  e  modificando
l'art. 9, comma 1, lettera g), della legge  della  Regione  Veneto  8
luglio 2009, n. 14 - siano  in  contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma,  lettera  s),  Cost.,  nella  parte  in  cui  consentono   gli
interventi di demolizione e ricostruzione anche in  violazione  delle
prescrizioni piu' restrittive contenute negli atti di  pianificazione
di bacino le quali, ai sensi dell'art.  65,  commi  4,  5  e  6,  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), hanno carattere vincolante e sono sopraordinate ai piani
territoriali ed ai programmi regionali. 
    Quanto alla seconda censura, l'Avvocatura dello Stato ritiene che
l'art. 11, commi 1 e 2, della medesima legge regionale - modificando,
rispettivamente, la lettera a) e la lettera b) dell'art. 10, comma 1,
della legge della Regione  Veneto  n.  14  del  2009,  nel  senso  di
eliminare  il  riferimento,   in   relazione   agli   interventi   di
ristrutturazione  edilizia,  all'obbligo  di  rispetto  della  sagoma
dell'edificio preesistente -  siano  in  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., nella parte  in  cui
consentono, in  relazione  alle  modifiche  aventi  ad  oggetto  beni
immobili sottoposti a vincoli ai sensi  del  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  ai
sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), interventi
di ristrutturazione edilizia  che  non  rispettino  il  limite  della
sagoma dell'edificio preesistente, in tal modo violando  la  potesta'
esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali  ed  il
principio fondamentale di governo del territorio contenuto  nell'art.
3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 «Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  edilizia
(Testo A)». 
    2.- Si osserva innanzitutto che, conformemente a quanto  eccepito
dalla Regione Veneto nel proprio atto di costituzione, la prima delle
due questioni oggetto del ricorso e' inammissibile. 
    Costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di  questa
Corte - recentemente ribadita dalle sentenze n. 41 del 2013 e  n.  36
del 2014 - il principio secondo cui il ricorso in via principale  non
solo deve identificare esattamente  la  questione  nei  suoi  termini
normativi,  indicando  le  norme  costituzionali  e   ordinarie,   la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce  l'oggetto  della  questione  di  costituzionalita'   (ex
plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e  n.  360
del 2005, n. 213 del 2003, n.  384  del  1999),  ma  deve,  altresi',
contenere una argomentazione di merito  a  sostegno  della  richiesta
declaratoria di illegittimita' costituzionale della legge (si vedano,
oltre alle pronunce gia' citate, anche le sentenze n. 261 del 1995  e
n. 85 del  1990),  tenendo  conto  che  l'esigenza  di  una  adeguata
motivazione a supporto della impugnativa si pone in  termini  perfino
piu' pregnanti nei giudizi  diretti  rispetto  a  quelli  incidentali
(sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005). 
    Nel caso di specie,  invece,  il  ricorso  dell'Avvocatura  dello
Stato ha prospettato, in riferimento alla questione in esame, censure
poco chiare e non sufficientemente motivate; in particolare,  non  e'
chiaro, alla luce della stringata motivazione a supporto del ricorso,
in quali termini la possibilita' di demolire edifici ricadenti  nelle
aree dichiarate ad alta pericolosita' idraulica o idrogeologica e  di
ricostruirli in zona territoriale omogenea propria, non dichiarata di
pericolosita' idraulica o idrogeologica, possa ledere  le  previsioni
contenute nei piani di bacino di cui agli artt. 64 e 65 del d.lgs. n.
152 del 2006. 
    Ne consegue l'inammissibilita' di tale  prima  questione  per  le
evidenti carenze della motivazione del ricorso. 
    3.- In riferimento alla seconda prospettata questione, avente  ad
oggetto l'art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione  Veneto  n.
32 del  2013,  osserva  la  Corte  che  e'  necessario  compiere  una
premessa. 
    Tali disposizioni, come si e' visto, modificano le lettere  a)  e
b) dell'art. 10, comma 1, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009,  le
quali regolano gli interventi di ristrutturazione  edilizia  previsti
dall'art. 3 e dall'art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001; e  la  novita'
introdotta dalla  legge  regionale  n.  32  del  2013  sta  nell'aver
eliminato  il  richiamo  obbligatorio  al   rispetto   della   sagoma
dell'edificio   preesistente.   In   altre   parole,   puo'    aversi
ristrutturazione edilizia - senza ampliamento nel caso della  lettera
a) e con ampliamento  nel  caso  della  lettera  b)  -  anche  se  la
costruzione che ne risulta non rispetti piu' la sagoma  dell'edificio
preesistente, bensi' soltanto il volume. 
    La questione sulla quale questa Corte e' chiamata a pronunciarsi,
pertanto, consiste nello stabilire se tale  soppressione  comporti  o
meno la violazione dei criteri di riparto delle  competenze  invocati
dalla parte ricorrente; tenendo presente, a questo proposito, che  la
censura proposta dall'Avvocatura dello  Stato  presenta  due  diversi
profili:  da  un  lato,  quello  della  lesione   di   un   principio
fondamentale in materia di competenza concorrente  (art.  117,  terzo
comma, Cost.) e, dall'altro, quello della  lesione  della  competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali. 
    3.1.- In riferimento alla prima delle due ipotizzate violazioni -
cioe' quella relativa  alla  competenza  concorrente  in  materia  di
governo del territorio - e' necessario  ribadire  che,  per  costante
giurisprudenza  di  questa  Corte,   rientrano   «nell'ambito   della
normativa di principio  in  materia  di  governo  del  territorio  le
disposizioni legislative riguardanti i  titoli  abilitativi  per  gli
interventi  edilizi  (sentenza  n.  303  del  2003,  punto  11.2  del
Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali  della
materia le disposizioni che definiscono le categorie  di  interventi,
perche' e' in conformita' a queste  ultime  che  e'  disciplinato  il
regime dei titoli abilitativi, con riguardo al  procedimento  e  agli
oneri, nonche' agli abusi e alle  relative  sanzioni,  anche  penali»
(cosi' la sentenza n. 309 del 2011),  sicche'  la  definizione  delle
diverse categorie di interventi edilizi spetta allo  Stato  (sentenze
n. 102 e n. 139 del 2013). Piu' specificamente, la  sentenza  n.  309
del 2011, occupandosi di una legge della  Regione  Lombardia,  ne  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale proprio in quanto definiva
come  ristrutturazione   edilizia   interventi   di   demolizione   e
ricostruzione senza il vincolo della  sagoma,  in  contrasto  con  il
principio fondamentale  stabilito  (allora)  dall'art.  3,  comma  1,
lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    Tuttavia, come correttamente rilevato dalla  Regione  Veneto,  il
recente intervento legislativo di cui all'art. 30  del  decreto-legge
21  giugno  2013,  n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il   rilancio
dell'economia), convertito, con  modifiche,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 9  agosto  2013,  n.  98,  nell'apportare  una  serie  di
modifiche al d.P.R. n. 380 del 2001, ha disposto  la  soppressione  -
sia all'interno dell'art. 3, comma 1,  lettera  d),  che  all'interno
dell'art.  10,  comma  1,  lettera  c),  del  d.P.R.  stesso  -   del
riferimento al rispetto della sagoma; in altri termini, la  normativa
statale non  contiene  piu',  in  relazione  alla  definizione  della
ristrutturazione  edilizia,  l'obbligo  di  rispetto   della   sagoma
precedente, ma solo quello di rispetto del volume. 
    Di tale modifica legislativa  il  ricorso  dell'Avvocatura  dello
Stato sembra non tenere conto,  mentre  e'  chiaro  che,  proprio  in
considerazione del riparto di competenze in materia  di  governo  del
territorio, la modifica della norma statale contenente  il  principio
fondamentale, fa si' che le disposizioni della legge reg.  Veneto  n.
32 del 2013, ora in esame, si presentino piuttosto come l'attuazione,
anziche' la violazione, della normativa statale di riferimento.  Cio'
comporta, quindi, che la prospettata questione  non  sia  fondata  in
riferimento alla  dedotta  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost.,  giacche'  la  disposizione  regionale  impugnata  non  si  e'
discostata dal principio fondamentale contenuto nella  norma  statale
cosi' come di recente modificata. 
    3.2.- Rileva la Corte, comunque, che  la  prospettata  violazione
della competenza concorrente  assume,  in  relazione  al  ricorso  in
esame, un ruolo secondario, perche'  esso  fissa  prevalentemente  la
propria  attenzione  sulla  presunta  violazione   della   competenza
esclusiva dello Stato  in  materia  di  tutela  dei  beni  culturali.
L'Avvocatura  dello  Stato,  infatti,  ritiene   che   l'eliminazione
dell'obbligo di rispetto della sagoma in relazione alle attivita'  di
ristrutturazione edilizia comporti una lesione di tale competenza per
cio' che riguarda i beni culturali, vincolati ai sensi del d.lgs.  n.
42 del 2004; e, a questo proposito, il ricorso richiama, fra l'altro,
la particolare situazione della citta'  di  Venezia  i  cui  edifici,
patrimonio dell'umanita', potrebbero essere alterati sulla base della
censurata disposizione. 
    3.3.- Osserva la Corte che tale doglianza  non  e'  fondata,  nei
sensi che saranno ora precisati. 
    Il testo attuale dell'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R.  n.
380 del 2001 - come risultante dalle modifiche apportate  dal  citato
art. 30 del d.l. n. 69 del 2013  -  oltre  ad  aver  eliminato,  come
detto, il riferimento all'obbligo  di  rispetto  della  sagoma  nella
definizione  degli  interventi  di  ristrutturazione   edilizia,   ha
tuttavia  mantenuto  fermo  che,  «con  riferimento   agli   immobili
sottoposti a vincoli ai sensi  del  decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione
e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati  o
demoliti  costituiscono  interventi  di   ristrutturazione   edilizia
soltanto  ove  sia  rispettata  la  medesima   sagoma   dell'edificio
preesistente». Il che corrisponde ad una  scelta  obbligata,  poiche'
sarebbe inimmaginabile la ristrutturazione di un'opera edilizia,  che
sia anche vincolata con l'alterazione della relativa sagoma. 
    Pertanto, interpretando sul punto il ricorso che, come detto, non
contiene alcun espresso riferimento  alla  modifica  legislativa  del
2013,  deve  ritenersi   che   la   censura   realmente   prospettata
dall'Avvocatura dello Stato consista  nella  presunta  illegittimita'
costituzionale dell'omessa previsione, da  parte  della  disposizione
regionale in esame, di una norma  di  contenuto  identico  (o  almeno
analogo) a quella statale. In altre parole,  non  aver  previsto,  da
parte della Regione Veneto, che l'obbligo di  rispetto  della  sagoma
preesistente debba comunque considerarsi vigente  in  relazione  alla
ristrutturazione dei beni assoggettati a vincolo ai sensi del  d.lgs.
n. 42 del 2004, avrebbe comportato il venire meno di tale  vincolo  e
la conseguente illegittimita' costituzionale della disposizione. 
    Tale conclusione, peraltro, non e' condivisibile. 
    Come la  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  gia'  in  passato
chiarito, quando una norma e' riconducibile ad un ambito materiale di
esclusiva competenza statale -  nella  specie,  la  tutela  dei  beni
culturali - le Regioni non possono emanare alcuna normativa,  neppure
meramente riproduttiva di quella statale (sentenze n. 18 del 2013, n.
271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006).  In  altri  termini,  ove  la
Regione Veneto,  nel  rimodellare  il  concetto  di  ristrutturazione
edilizia, avesse esplicitamente aggiunto che  l'obbligo  di  rispetto
della sagoma permane per i beni culturali assoggettati a vincolo,  la
norma regionale sarebbe stata costituzionalmente illegittima, perche'
sarebbe andata ad interferire in un ambito  di  competenza  esclusiva
dello Stato,  come  tale  sottratto  alla  potesta'  normativa  delle
Regioni. 
    Nel caso in esame, invece, il silenzio della legge reg. Veneto n.
32 del 2013 sul  punto  non  puo'  che  essere  interpretato  -  come
correttamente osservato dalla Regione - nel senso della vigenza della
disposizione statale di cui all'art. 3,  comma  1,  lettera  d),  del
d.P.R. n. 380 del 2001; e, quindi,  nel  senso  che  la  disposizione
statale in materia di obbligo di rispetto della  sagoma  preesistente
nelle ristrutturazioni aventi ad oggetto beni culturali vincolati  e'
necessariamente operativa anche nell'ambito regionale. 
    Cosi' interpretata, la disposizione dell'art. 11, commi  1  e  2,
della legge della Regione Veneto n.  32  del  2013  e'  immune  dalle
censure di illegittimita' costituzionale prospettate  in  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.  Il  che
comporta che la relativa questione sia da dichiarare non fondata.