ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  516  del
codice di procedura penale, promosso dalla Corte d'appello  di  Lecce
nel procedimento penale a carico di P.M. ed altro con  ordinanza  del
13 novembre 2013, iscritta al n. 5  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di costituzione di P.M.; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  4  novembre  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    udito l'avvocato Ladislao Massari per P.M. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 novembre 2013,  la  Corte  d'appello  di
Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui  non
prevede  la  facolta'  dell'imputato  di  chiedere  al  giudice   del
dibattimento il giudizio abbreviato relativamente  al  fatto  diverso
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  non  risultava  dagli  atti  di   indagine   al   momento
dell'esercizio dell'azione penale. 
    La Corte rimettente, investita dell'appello avverso una  sentenza
del Tribunale di Brindisi, riferisce che i  due  imputati  appellanti
erano stati tratti  originariamente  a  giudizio  per  rispondere  di
tentata estorsione aggravata continuata, in concorso tra  loro  e  di
altro coimputato. Nel corso del giudizio di primo grado, il  pubblico
ministero aveva modificato l'imputazione ai sensi dell'art. 516  cod.
proc.  pen.,  contestando  -  limitatamente  ad  una  delle  condotte
intimidatorie per  le  quali  si  procedeva  -  la  forma  consumata,
anziche' quella tentata del delitto di estorsione: cio',  sulla  base
delle dichiarazioni rese in dibattimento dal coimputato, stando  alle
quali l'offeso avrebbe nell'occasione ceduto alle pressioni, versando
agli imputati una somma di  denaro.  A  seguito  della  modifica,  lo
stesso pubblico ministero aveva chiesto  l'ammissione  di  una  nuova
prova, rappresentata dall'esame di  un  collaboratore  di  giustizia,
mentre i difensori avevano chiesto ed ottenuto la concessione  di  un
termine a difesa. 
    Alla successiva  udienza,  i  difensori  di  tutti  gli  imputati
avevano  chiesto  che  il  processo  fosse  definito   con   giudizio
abbreviato ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen., interpretato  alla
luce  della  «lettura   combinata»   delle   sentenze   della   Corte
costituzionale n. 333 del 2009 e n. 237 del 2012. In  subordine,  ove
tale interpretazione non fosse ritenuta praticabile, avevano eccepito
l'illegittimita' costituzionale del citato articolo per contrasto con
gli artt. 3 e 24 Cost. 
    Tanto  la  richiesta  di  rito  alternativo  che  l'eccezione  di
illegittimita' costituzionale erano state  disattese  dal  Tribunale,
che aveva quindi condannato il primo degli  attuali  appellanti  alla
pena di cinque anni di reclusione ed euro 2.500 di multa, ritenendolo
responsabile di uno solo degli  episodi  di  estorsione  tentata;  il
secondo alla pena di sette anni e sei  mesi  di  reclusione  ed  euro
3.000 di multa, dichiarandolo colpevole di tutti i fatti  oggetto  di
giudizio, compreso quello di estorsione consumata. 
    Nel giudizio di  appello,  i  difensori  degli  imputati  avevano
riproposto l'eccezione. 
    Cio' premesso, la Corte leccese rileva che la fattispecie oggetto
del  giudizio  a   quo   resta   estranea   alle   dichiarazioni   di
illegittimita' costituzionale di cui alle citate sentenze n. 333  del
2009 e n. 237 del 2012, concernenti  la  preclusione  all'accesso  al
giudizio abbreviato nel caso di nuove  contestazioni  dibattimentali.
La  prima  delle  due   decisioni   attiene,   infatti,   alle   sole
contestazioni cosiddette "tardive" o "patologiche" - relative, cioe',
a fatti che gia'  risultavano  dagli  atti  di  indagine  al  momento
dell'esercizio dell'azione penale - mentre nella specie si discute di
una  modifica  dell'imputazione  "fisiologica",  legata  alle   nuove
risultanze dell'istruzione dibattimentale. La  sentenza  n.  237  del
2012 si riferisce, a sua volta, alla  sola  contestazione  suppletiva
"fisiologica" di un reato concorrente ai  sensi  dell'art.  517  cod.
proc. pen., mentre nella specie si e' di  fronte  alla  contestazione
"fisiologica" di un fatto diverso, ai sensi dell'art. 516 cod.  proc.
pen. 
    La Corte rimettente ritiene conseguentemente di  dover  sollevare
questione   di   legittimita'    costituzionale    di    quest'ultima
disposizione,  nella  parte  in  cui  non  consente  all'imputato  di
chiedere  al  giudice  del  dibattimento  il   giudizio   abbreviato,
relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando  la
nuova contestazione concerna un fatto non risultante  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. 
    Ad avviso del giudice a quo, gli argomenti  posti  a  base  della
citata  sentenza  n.  237  del  2012  -   sinteticamente   ripercorsi
nell'ordinanza di rimessione -  varrebbero  anche  in  rapporto  alla
contestazione dibattimentale "fisiologica" di  un  fatto  diverso:  e
cio' tanto piu' quando - come nella specie  -  quest'ultimo  presenti
«connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione
originaria», tali da rendere necessaria «una  puntualizzazione  nella
ricostruzione degli elementi essenziali del reato». Anche  in  questa
ipotesi, come in quella  della  contestazione  suppletiva  del  reato
concorrente, l'imputato verrebbe a trovarsi in  posizione  diversa  e
deteriore, quanto alla facolta' di accesso al rito alternativo e alla
fruizione della correlata diminuzione di pena, rispetto a  chi  fosse
chiamato a rispondere della stessa imputazione fin dall'inizio. Da un
lato, infatti, sarebbe evidente come, ai fini di una ponderata scelta
riguardo all'accesso al giudizio abbreviato, non sia indifferente  la
contestazione  di  una  fattispecie  di  reato  consumata,   anziche'
tentata. Dall'altro lato, non si potrebbe pretendere  che  l'imputato
valuti la convenienza di  detta  scelta  tenendo  conto  anche  della
possibilita' che, a seguito  del  dibattimento,  l'accusa  originaria
venga diversamente descritta. 
    Sarebbe,  dunque,   fonte   di   ingiustificata   disparita'   di
trattamento  e  di  compromissione  delle   facolta'   difensive   la
circostanza che, a fronte  di  tutte  le  altre  forme  di  esercizio
dell'azione  penale,  l'imputato  possa  liberamente  optare,   senza
condizioni, per il giudizio abbreviato, mentre analoga  facolta'  non
gli sia riconosciuta nel caso di nuove contestazioni,  se  non  nelle
limitate ipotesi oggetto delle sentenze n. 333 del 2009 e n. 237  del
2012. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato  anche  perche',  a  fronte  della
nuova contestazione di cui si discute, l'imputato potrebbe fruire dei
vantaggi connessi ad alcuni riti speciali - quali il patteggiamento e
l'oblazione, sulla base della normativa risultante dalle sentenze  n.
265 del 1994 e n. 530 del 1995 della Corte costituzionale - vedendosi
invece inibito l'accesso al giudizio abbreviato. 
    Una   ulteriore,   ingiustificata   disparita'   di   trattamento
deriverebbe dal fatto  che,  nell'ipotesi  in  questione,  l'imputato
potrebbe recuperare la facolta' di accedere  al  giudizio  abbreviato
per circostanze puramente accidentali che determinino la  regressione
del  procedimento,  come  quando  il  fatto  diverso  contestato   in
dibattimento rientri tra  quelli  per  cui  si  procede  con  udienza
preliminare e questa non si sia tenuta. In tale  evenienza,  infatti,
il giudice - ove  la  relativa  eccezione  sia  stata  sollevata  nei
prescritti termini di decadenza - deve disporre la trasmissione degli
atti al pubblico ministero (artt. 516,  comma  1-ter,  e  521,  comma
1-bis, cod. proc. pen.), con la conseguenza che l'imputato  si  vede,
di fatto, rimesso in termini per proporre la  richiesta  di  giudizio
abbreviato. 
    2.- Si e'  costituito  P.M.,  imputato  appellante  nel  giudizio
principale, il quale ha chiesto che la questione venga accolta. 
    La parte  privata  rimarca  come  il  contenuto  dell'imputazione
costituisca il primo - per quanto non unico - elemento alla luce  del
quale l'imputato si  determina  alla  scelta  del  rito  alternativo,
scelta che rappresenta pacificamente una espressione qualificante del
diritto  di  difesa.   In   questa   prospettiva,   l'«aggiornamento»
dell'imputazione   dovrebbe   sempre   comportare   la   restituzione
all'imputato della facolta' di optare per la  definizione  anticipata
del processo. 
    Conformemente a quanto sostenuto dalla Corte rimettente,  d'altro
canto, le considerazioni  svolte  nella  sentenza  n.  237  del  2012
sarebbero   estensibili   anche   all'ipotesi   della   contestazione
dibattimentale del fatto diverso. Al riguardo, non varrebbe obiettare
che, in tale ipotesi, il  fatto,  pur  variando  nei  suoi  «elementi
descrittivi», resta comunque il medesimo: circostanza che renderebbe,
in assunto, ragionevole il mancato  riconoscimento  all'imputato  del
diritto   di   chiedere   il   giudizio   abbreviato   in   relazione
all'imputazione  modificata.  Un  simile  ragionamento  risulterebbe,
infatti, «semplicistico», finendo per riconoscere  residui  spazi  di
operativita'   al   criterio   della   «prevedibilita'»,   da   parte
dell'imputato,   dell'evoluzione   ("fisiologica")   dell'accusa   in
dibattimento;  criterio,  per  converso,   disatteso   dalla   citata
pronuncia della Corte costituzionale. 
    Sarebbe, inoltre, significativo che - sia pure con riguardo  alla
nuova contestazione cosiddetta "patologica" - la sentenza n. 333  del
2009  abbia  esteso,  in  via  consequenziale,  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 517  cod.  proc.  pen.  anche
alla contestazione del fatto diverso, di cui alla norma censurata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Corte  d'appello  di  Lecce  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 516 del codice di  procedura  penale,  nella
parte in cui non prevede la facolta'  dell'imputato  di  chiedere  al
giudice del dibattimento  il  giudizio  abbreviato  relativamente  al
fatto  diverso  contestato   in   dibattimento,   quando   la   nuova
contestazione concerne un fatto  che  non  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. 
    Ad avviso della Corte rimettente, la norma  censurata  violerebbe
gli artt. 3 e 24, secondo comma, della  Costituzione,  per  contrasto
con i principi di eguaglianza e  di  inviolabilita'  del  diritto  di
difesa,  giacche',  nel  caso  considerato,  l'imputato  verrebbe   a
trovarsi in posizione diversa e deteriore, quanto  alla  facolta'  di
accesso al rito alternativo e alla  correlata  diminuzione  di  pena,
rispetto a chi fosse chiamato a rispondere della  stessa  imputazione
sin dall'inizio. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto due ulteriori profili.
In primo luogo, perche', a fronte della nuova contestazione di cui si
discute, l'imputato potrebbe fruire dei vantaggi connessi  ad  alcuni
riti speciali - quali il patteggiamento e  l'oblazione,  per  effetto
delle sentenze n. 265 del 1994 e n. 530 del 1995 di  questa  Corte  -
vedendosi, invece,  inibito  l'accesso  al  giudizio  abbreviato.  In
secondo  luogo,  perche',  nell'ipotesi  in  discussione,  l'imputato
potrebbe recuperare la facolta' di chiedere  il  giudizio  abbreviato
per  circostanze  casuali  che   determinino   la   regressione   del
procedimento, come quando il fatto diverso contestato in dibattimento
rientri fra quelli per cui  si  procede  con  udienza  preliminare  e
questa non si sia tenuta. 
    2.- La questione e' fondata. 
    Con la sentenza n. 237 del 2012,  questa  Corte  -  superando  il
diverso indirizzo espresso in  precedenti  pronunce,  risalenti  agli
anni immediatamente successivi all'entrata in vigore del nuovo codice
di  rito  -  ha  dichiarato   costituzionalmente   illegittimo,   per
violazione del principio di  eguaglianza  e  del  diritto  di  difesa
(artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.), l'art.  517  cod.  proc.  pen.,
nella parte in cui non consente all'imputato di chiedere il  giudizio
abbreviato  al  giudice  del  dibattimento  in  relazione  al   reato
concorrente   oggetto   di   contestazione   suppletiva    cosiddetta
"fisiologica": volta, cioe', ad  adeguare  l'imputazione  alle  nuove
risultanze dell'istruzione dibattimentale. 
    Le considerazioni poste  a  base  di  detta  decisione  risultano
estensibili, con gli opportuni adattamenti, anche alla  contestazione
"fisiologica" del fatto diverso, operata ai sensi dell'art. 516  cod.
proc. pen.: disposizione che  -  sotto  la  rubrica  «Modifica  della
imputazione»  -  stabilisce,  al  comma  1,   che   «Se   nel   corso
dell'istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso  da  come  e'
descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartiene  alla
competenza di un giudice superiore, il  pubblico  ministero  modifica
l'imputazione e procede alla relativa contestazione». 
    Le fattispecie regolate dagli artt. 516 e  517  cod.  proc.  pen.
sono gia' state, del resto, accomunate da questa Corte nelle analoghe
declaratorie   di   illegittimita'   costituzionale   inerenti   alle
contestazioni dibattimentali cosiddette  "tardive"  o  "patologiche",
relative, cioe', a fatti che gia' risultavano dagli atti di  indagine
al momento dell'esercizio dell'azione penale: contestazioni  che  una
consolidata  giurisprudenza  di  legittimita'   reputa   ammissibili,
malgrado il tenore letterale apparentemente  contrario  delle  citate
disposizioni del codice di rito (sentenze n. 333 del 2009  e  n.  265
del 1994, concernenti, rispettivamente, il giudizio abbreviato  e  il
"patteggiamento"). Altrettanto e' avvenuto - a  prescindere  da  ogni
distinzione fra contestazioni "fisiologiche" e  "patologiche"  -  con
riguardo alla mancata  previsione  della  facolta'  dell'imputato  di
presentare domanda di oblazione in rapporto al  reato  oggetto  della
nuova contestazione (sentenza n. 530 del 1995). 
    3.- E' ben vero che tra la contestazione del reato concorrente  e
la contestazione del fatto diverso vi e' un  elemento  differenziale.
La prima,  concernendo  un  addebito  aggiuntivo  rispetto  a  quello
originario (se pure al medesimo  connesso,  ai  sensi  dell'art.  12,
comma 1, lettera b, cod.  proc.  pen.),  potrebbe  eventualmente  dar
luogo anche ad una imputazione autonoma, oggetto di  un  procedimento
distinto; la seconda no, trattandosi  della  mutata  descrizione  del
fatto per il quale e' gia' stata esercitata l'azione penale (addebito
sostitutivo). Con la conseguenza che, quando emerga la diversita' del
fatto,  la  nuova  contestazione   dibattimentale   rappresenta   una
soluzione obbligata per il pubblico ministero, non potendo  il  novum
affiorato  nell'istruzione  dibattimentale  formare  oggetto  di   un
procedimento separato, stante l'efficacia preclusiva del giudicato. 
    Tale  tratto  distintivo  non  basta,  tuttavia,  a  giustificare
discriminazioni  tra  le  due  ipotesi  sotto  il  profilo  che   qui
specificamente interessa. 
    In entrambi i casi, la contestazione interviene quando il termine
procedimentale perentorio per la richiesta di giudizio abbreviato  e'
gia' scaduto (tale termine coincide,  infatti,  con  la  formulazione
delle conclusioni nell'udienza  preliminare  o,  nei  procedimenti  a
citazione diretta, con la dichiarazione di apertura del dibattimento:
artt. 438, comma 2, e 555,  comma  2,  cod.  proc.  pen.).  Anche  in
rapporto alla contestazione "fisiologica"  del  fatto  diverso  vale,
quindi, il rilievo di fondo, per cui l'imputato che subisce la  nuova
contestazione «viene a trovarsi in posizione diversa  e  deteriore  -
quanto alla facolta' di accesso ai riti alternativi e alla  fruizione
della correlata diminuzione di pena - rispetto a  chi,  della  stessa
imputazione, fosse stato  chiamato  a  rispondere  sin  dall'inizio».
Infatti, «condizione primaria per l'esercizio del diritto  di  difesa
e' che l'imputato abbia ben chiari i termini  dell'accusa  mossa  nei
suoi confronti»: e cio' particolarmente in rapporto alla  «scelta  di
valersi del giudizio abbreviato», la quale «e' certamente  una  delle
piu' delicate, fra quelle tramite le quali si esplicano  le  facolta'
defensionali». Di conseguenza, non solo quando all'accusa  originaria
ne venga aggiunta una connessa, ma anche quando l'accusa  stessa  sia
modificata nei suoi  termini  essenziali,  «non  possono  non  essere
restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie
opzioni» (sentenza n. 237 del 2012). 
    Al riguardo,  giova  evidenziare  come  il  dovere  del  pubblico
ministero  di  modificare  l'imputazione  per  diversita'  del  fatto
risulti  strettamente  collegato  al   principio   della   necessaria
correlazione tra accusa  e  sentenza  (art.  521  cod.  proc.  pen.),
partecipando, quindi, della medesima ratio di garanzia (assicurare il
contraddittorio sull'accusa e,  con  esso,  il  pieno  esercizio  del
diritto  di  difesa  dell'imputato).  In   questa   prospettiva,   la
giurisprudenza di legittimita' e'  costante  nell'affermare  che  non
qualsiasi variazione o puntualizzazione, anche  meramente  marginale,
dell'accusa originaria comporta il suddetto obbligo, ma  solo  quella
che,   implicando   una   trasformazione   dei   tratti    essenziali
dell'addebito, incida sul diritto di difesa dell'imputato:  in  altre
parole, la nozione strutturale di «fatto»,  contenuta  nell'art.  516
cod.  proc.  pen.,  va  coniugata  con  quella  funzionale,   fondata
sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni  delle  facolta'
difensive. Correlativamente, e' di fronte a  simili  situazioni  -  e
solo  ad  esse  -  che  emerge  anche   l'esigenza   di   riconoscere
all'imputato la possibilita' di rivalutare  le  proprie  opzioni  sul
rito. 
    Tale  esigenza  risalta  in  modo  anche  piu'  evidente  ove  si
consideri che la modifica dell'imputazione, oltre ad alterare in modo
significativo la "fisionomia" fattuale del tema d'accusa, puo'  avere
riflessi di rilievo sull'entita' della pena alla quale l'imputato  si
trova  esposto  e,  di  conseguenza,  sulla  incidenza   quantitativa
dell'effetto premiale connesso al rito  speciale  (diminuzione  della
pena di un terzo, nel caso di condanna). La fattispecie  oggetto  del
giudizio a quo e', per questo verso, esemplare: chiamati inizialmente
a rispondere di  estorsione  tentata  -  reato  punito  con  la  pena
detentiva minima di un anno e  otto  mesi  di  reclusione  (oltre  la
multa) - gli imputati si sono visti contestare  in  dibattimento,  in
sua vece, l'estorsione consumata, punita, nel minimo, con pena tripla
(cinque anni di reclusione, oltre la multa). 
    4.- Come rilevato nella sentenza  n.  237  del  2012,  il  regime
censurato non puo' essere  giustificato  ne'  con  gli  obiettivi  di
deflazione processuale propri del giudizio  abbreviato,  ne'  facendo
leva   sulla   «prevedibilita'»   della   variazione   dibattimentale
dell'imputazione in un  sistema  di  tipo  accusatorio,  fondato  sul
principio della formazione della prova in dibattimento. 
    Quanto, infatti, al primo profilo, l'accesso al rito  alternativo
a dibattimento iniziato rimane comunque idoneo a produrre un  effetto
di economia processuale, sia pure attenuato, consentendo - quantomeno
- al giudice di decidere sulla nuova imputazione senza il supplemento
di istruzione previsto dall'art. 519 cod. proc. pen. In ogni caso, le
ragioni della deflazione processuale debbono cedere  di  fronte  alla
necessita' del rispetto degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.: «se
pure e' indubbio, in una prospettiva puramente "economica", che  piu'
si posticipa il termine utile per la rinuncia al dibattimento e  meno
il sistema ne "guadagna", resta comunque assorbente la considerazione
che l'esigenza della  "corrispettivita'"  fra  riduzione  di  pena  e
deflazione processuale non puo' prendere il sopravvento sul principio
di eguaglianza ne' tantomeno sul diritto di difesa» (sentenza n.  237
del 2012). 
    Riguardo, poi, al secondo aspetto, non  si  puo'  pretendere  che
l'imputato valuti la convenienza di un rito  speciale  tenendo  conto
anche  dell'eventualita'  che,  a   seguito   dei   futuri   sviluppi
dell'istruzione dibattimentale, l'accusa  a  lui  mossa  subisca  una
trasformazione, la cui portata resta ancora del tutto imprecisata  al
momento della scadenza del termine utile per  la  formulazione  della
richiesta. E cio',  tanto  piu'  ove  si  consideri  che  la  vigente
disciplina consente  al  pubblico  ministero  di  procedere  a  nuove
contestazioni - sia del fatto diverso, che del reato connesso o della
circostanza aggravante - anche nell'ambito del  giudizio  abbreviato,
in presenza  di  integrazioni  probatorie:  ipotesi  nella  quale  e'
espressamente riconosciuto,  peraltro,  all'imputato  il  diritto  di
rivedere la scelta sul rito, chiedendo che il  procedimento  prosegua
nelle forme ordinarie (art. 441-bis cod. proc. pen.). 
    5.-  Anche  in   rapporto   alla   contestazione   dibattimentale
"fisiologica" del fatto diverso e',  d'altro  canto,  ravvisabile  la
ingiustificata disparita' di trattamento  di  situazioni  analoghe  -
rilevata dalla sentenza n. 237 del 2012 -  conseguente  al  possibile
recupero, da  parte  dell'imputato,  della  facolta'  di  accesso  al
giudizio  abbreviato  per  circostanze  puramente  "occasionali"  che
determinino la regressione del procedimento. 
    Cio' si verifica, in specie, allorche',  a  seguito  delle  nuove
contestazioni, il reato rientri tra quelli per  cui  si  procede  con
udienza preliminare e questa non sia stata tenuta. In  tale  ipotesi,
infatti, il giudice - ove la relativa  eccezione  sia  sollevata  nei
prescritti termini di decadenza - deve disporre la trasmissione degli
atti al pubblico ministero (artt. 516, comma 1-ter,  e  521-bis  cod.
proc. pen.), con la conseguenza che l'imputato  si  vede,  di  fatto,
rimesso in termini per proporre la richiesta di rito alternativo. 
    6.-  Sussiste,  infine,  anche  con   riguardo   all'ipotesi   in
questione, l'ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  giudizio
abbreviato e oblazione, parimenti riscontrata nella sentenza  n.  237
del 2012. 
    In forza dell'art. 141, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. -
che si conforma alla sentenza n. 530 del 1995 di questa Corte  -  nel
caso di modifica dell'originaria imputazione in altra  per  la  quale
sia ammissibile  l'oblazione,  l'imputato  e',  infatti,  rimesso  in
termini per proporre la relativa richiesta. 
    7.-  L'art.  516  cod.  proc.  pen.  va   dichiarato,   pertanto,
costituzionalmente illegittimo, nella parte in  cui  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  il
giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso  nel  corso
dell'istruzione  dibattimentale,  che  forma  oggetto   della   nuova
contestazione.