ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 147,  comma
5 del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata  e  della
liquidazione coatta amministrativa), promosso dal Tribunale  di  Bari
nel procedimento vertente tra  la  curatela  del  Fallimento  Italian
Style Allestiment srl e Usai Giuseppe ed altri, con ordinanza del  20
novembre 2013 iscritta  al  n.  66  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  20,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5 novembre  2014  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale di Bari, con ordinanza in data 20 novembre 2011,
iscritta al n. 66 del registro ordinanze del 2014, ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 5, del Regio decreto
16 marzo 1942, n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa) nella parte in cui non  consente  l'estensione
del  fallimento  originariamente  dichiarato  nei  confronti  di  una
societa' di capitali ad una  societa'  di  fatto  costituita  tra  la
societa' originariamente fallita e altri soci di fatto. 
    Premette in fatto di  essere  chiamato  a  decidere  sul  ricorso
proposto dalla curatela del Fallimento Italian Style Allestiment  srl
(di  seguito  ISA   srl),   con   il   quale,   previo   accertamento
«dell'esistenza e/o  apparenza  di  una  societa'  di  fatto  tra  la
societa' fallita e Usai Giuseppe, Usai Luigi, Usai Antonello  e  Usai
Service srl auto e case sicure» (di seguito  Usai  service  srl),  si
chiede che sia dichiarato, ai sensi  dell'art.  147,  comma  5  della
legge fallimentare, in estensione del fallimento della  ISA  srl,  il
fallimento della predetta societa' di fatto e dei suoi soci in quanto
illimitatamente responsabili. 
    Nel ricorso si richiede, in via subordinata, la dichiarazione  di
fallimento, ai sensi dell'art. 147, comma 1 della legge fallimentare,
della societa' di fatto e dei suoi soci illimitatamente responsabili,
fermo restando il fallimento della ISA srl. 
    Il giudice a quo  riferisce  che  il  curatore  ricorrente  aveva
individuato  diversi  elementi  indicativi  della  esistenza  di  una
societa' di fatto tra la  societa'  fallita  e  Usai  Giuseppe,  Usai
Luigi, Usai Antonello  e  la  Usai  service  srl,  vale  a  dire  una
compagine sociale di fatto attraverso la quale veniva  effettivamente
svolta l'attivita' imprenditoriale. In particolare, il curatore aveva
indicato quali indici rivelatori l'utilizzo, da parte della fallita e
della Usai Service srl della medesima sede legale; la circostanza che
il socio unico e legale rappresentante della  Usai  Service  srl  era
stato socio fino al 2012 della fallita; il fatto che la Usai  Service
srl e la societa' fallita svolgevano la  medesima  attivita'  nonche'
che tutti i beni di proprieta' di quest'ultima erano utilizzati senza
alcun titolo scritto e senza pagamento di alcun  corrispettivo  dalla
Usai Service srl; l'utilizzo da parte di entrambe le  societa'  della
medesima  modulistica;  l'identita'  dei   dipendenti;   infine,   la
commistione di patrimoni e beni tra le societa' e i soci. 
    Cio' posto, il rimettente osserva come la disposizione  censurata
impedisca di accogliere il ricorso. L'art. 147, comma 5  della  legge
fallimentare, infatti, stabilisce che «qualora dopo la  dichiarazione
di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa e'
riferibile ad una societa' di cui il fallito e' socio illimitatamente
responsabile» il fallimento si estende anche alla societa'. 
    Il tenore letterale della disposizione imporrebbe di ritenere che
l'estensione del fallimento alla societa' di fatto e ai suoi soci sia
possibile  unicamente  nel  caso  in  cui  il  fallimento  originario
riguardi un imprenditore individuale e non invece  nel  caso  in  cui
riguardi una societa' commerciale. 
    Il  Tribunale  esclude  che  sia  possibile  pervenire   ad   una
interpretazione estensiva della disposizione, cosi' come  prospettato
da parte della giurisprudenza di merito. A tale risultato sarebbe  di
ostacolo l'esclusivo riferimento, contenuto nell'art.  147,  comma  5
della legge fallimentare, al solo «imprenditore individuale». 
    Per questa ragione tale disposizione contrasterebbe con gli artt.
3 e 24 Cost. 
    In punto di rilevanza della questione, il giudice a  quo  osserva
come la domanda proposta  dalla  curatela  del  fallimento  abbia  ad
oggetto l'estensione del fallimento  originariamente  dichiarato  nei
confronti di una  societa'  a  responsabilita'  limitata,  e  dunque,
proprio l'ipotesi esclusa dalla disposizione censurata. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente da'  conto,
innanzitutto, della circostanza che,  a  seguito  della  riforma  del
diritto societario introdotta  dal  decreto  legislativo  17  gennaio
2003, n. 6 (Riforma  organica  della  disciplina  delle  societa'  di
capitali e societa' cooperative, in attuazione  della  L.  3  ottobre
2001, n. 366), e' ammessa la possibilita' per le societa' di capitali
di partecipare a societa' di  persone,  come  espressamente  previsto
dall'art. 2361,  comma  2,  codice  civile  per  quanto  riguarda  le
societa' per azioni, e dall'art. 111-duodecies disp. att.  cod.  civ.
per le societa' a  responsabilita'  limitata.  Inoltre,  l'art.  147,
comma  1,  legge  fallimentare,  nel  testo   vigente,   prevede   la
fallibilita' delle societa' di capitali ove siano socie  di  societa'
con responsabilita' illimitata. 
    Alla luce di tale quadro normativo,  ad  avviso  del  rimettente,
sarebbe ingiustificata l'esclusione della possibilita'  di  estendere
il fallimento alla societa' di fatto cui partecipi  una  societa'  di
capitali, allorche' il  fallimento  originario  abbia  riguardato  la
societa' di capitali. 
    Ritiene il  Tribunale  che  tale  esclusione  determinerebbe  una
ingiustificata disparita' di trattamento tra societa'  di  fatto,  in
quanto allorche' il fallimento  venga  richiesto  immediatamente  nei
confronti di una societa' di fatto, esso sarebbe ammissibile ai sensi
dell'art. 147, comma 1 della legge fallimentare, mentre nel  caso  in
cui il fallimento originario riguardi una societa' di  capitali  esso
non potrebbe essere esteso alla societa' di fatto. 
    L'art. 3, Cost.  sarebbe,  inoltre,  violato  in  quanto,  mentre
l'art. 147, comma 5 della legge  fallimentare  consente  l'estensione
del fallimento di un imprenditore  individuale  ad  una  societa'  di
fatto con altre persone fisiche o con  altre  societa'  di  capitali,
tale estensione e' esclusa quando il fallimento  originario  riguardi
una societa' di capitali. E cio', nonostante che sia pacifico che  la
societa' di capitali possa essere socia di una societa' di persone. 
    Sarebbe,  altresi',  violato  l'art.  24  Cost.  in   quanto   la
disposizione censurata realizzerebbe una ingiustificata  compressione
del diritto di difesa  dei  creditori.  Costoro,  infatti,  sarebbero
maggiormente  tutelati  nel   caso   in   cui   il   fallimento   sia
originariamente richiesto nei confronti di una societa' di fatto  cui
partecipi anche (o esclusivamente) una societa' di capitali, rispetto
all'ipotesi, pure «identica  dal  punto  di  vista  sostanziale»,  di
estensione del fallimento da una societa' di capitali ad una societa'
di fatto di cui era socia la fallita. 
    Inoltre, godrebbero di maggior tutela i creditori di societa'  di
fatto composte esclusivamente da persone fisiche ovvero  di  societa'
di fatto  dichiarate  fallite  in  estensione  al  fallimento  di  un
imprenditore individuale, rispetto ai creditori di societa' di  fatto
il cui fallimento non potrebbe essere dichiarato  in  estensione  del
fallimento originariamente dichiarato nei confronti  di  societa'  di
capitali socia della societa' di fatto. 
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. 
    L'art. 147 della legge fallimentare, disponendo che  la  sentenza
che dichiara il fallimento di una societa' di persone  produce  anche
il fallimento dei soci  illimitatamente  responsabili,  avrebbe  come
presupposto   la   responsabilita'    illimitata    della    societa'
originariamente fallita e dei soci della societa'. 
    Medesimo sarebbe il presupposto dell'art. 147, comma 5, il  quale
stabilisce che il fallimento dell'imprenditore individuale si estende
ad una societa' in cui il fallito  e'  illimitatamente  responsabile.
Anche in tal caso, infatti, presupposto della estensione  sarebbe  la
comune responsabilita' illimitata dei soci e della societa',  nonche'
la confusione del patrimonio individuale dei soci con  il  patrimonio
societario, di tal che le vicende dell'uno si riflettono sull'altro. 
    Inoltre, la disposizione sull'estensione del  fallimento  sarebbe
una norma eccezionale e dunque di stretta interpretazione. 
    Osserva, ancora, l'Avvocatura che nella fattispecie all'esame del
rimettente, il fallimento della societa' a  responsabilita'  limitata
non potrebbe  essere  esteso  ai  soci  illimitatamente  responsabili
componenti  della  societa'  di  fatto  dal  momento   che   la   srl
risponderebbe nei limiti del capitale sociale e il suo patrimonio non
si  confonderebbe  con  quello  dei  singoli  soci,  i  quali  invece
rispondono illimitatamente. 
    Non  sussisterebbe,  pertanto,   la   lamentata   disparita'   di
trattamento vertendosi  in  due  situazioni  diverse,  caratterizzate
l'una dalla esistenza della responsabilita'  illimitata  dei  soci  e
della societa', e l'altra dalla mancanza di tale  responsabilita'  in
capo alla societa'. 
    Neppure vi sarebbe una perdita di garanzie per i creditori  della
societa' di fatto dal momento  che  sarebbe  necessario  contemperare
l'esigenza di garanzia di costoro con quella di garantire i creditori
particolari della societa' limitatamente responsabile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Bari  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 5, del Regio decreto
16 marzo 1942, n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa) nella parte in cui non  consente  l'estensione
del fallimento,  originariamente  dichiarato  nei  confronti  di  una
societa' di capitali, ad una societa'  di  fatto  costituita  tra  la
societa' fallita e altri soci. 
    La  disposizione  censurata  stabilisce  che  «qualora  dopo   la
dichiarazione di fallimento di un  imprenditore  individuale  risulti
che l'impresa e' riferibile ad una societa'  di  cui  il  fallito  e'
socio  illimitatamente  responsabile»,  il  tribunale   dichiara   il
fallimento della societa'. 
    Il giudice a quo premette  di  essere  chiamato  a  decidere  sul
ricorso proposto dal  curatore  di  una  societa'  a  responsabilita'
limitata dichiarata fallita,  con  cui  si  chiede  l'estensione  del
fallimento, dichiarato nei confronti di detto ente, alla societa'  di
fatto asseritamente esistente tra di  essa  ed  altri  soci,  persone
fisiche e giuridiche. 
    Cio' posto, il Tribunale censura l'art. 147, comma 5 della  legge
fallimentare in  quanto  consentirebbe  l'estensione  del  fallimento
dichiarato  nei  confronti  dell'imprenditore  individuale  il  quale
risulti successivamente essere socio di una societa' di fatto, mentre
una analoga possibilita' non sarebbe prevista nell'ipotesi in cui  il
fallimento  sia  originariamente  dichiarato  nei  confronti  di  una
societa' di capitali, socia della societa' di fatto. 
    A suo avviso, tale disposizione violerebbe l'art. 3  Cost.  sotto
un  duplice  profilo.  Innanzitutto  in  quanto  determinerebbe   una
disparita' di trattamento tra societa' di fatto dal momento che se il
fallimento viene immediatamente chiesto nei  confronti  della  stessa
societa' di fatto esso e' ammissibile ai sensi dell'art.  147,  comma
1, mentre non sarebbe possibile se richiesto in estensione quando  il
fallimento  sia  originariamente  dichiarato  nei  confronti  di  una
societa' di capitali socia  della  societa'  di  fatto.  Inoltre,  la
lamentata violazione  discenderebbe  dalla  circostanza  che,  mentre
l'estensione del fallimento  alla  societa'  di  fatto  e'  possibile
laddove il fallimento originario  abbia  riguardato  un  imprenditore
individuale,  irragionevolmente  sarebbe  esclusa  l'estensione   del
fallimento originariamente dichiarato nei confronti di  una  societa'
di capitali socia di societa' di fatto. 
    Sarebbe,  altresi',  violato  l'art.  24  Cost.,  in  quanto   la
disposizione censurata realizzerebbe una ingiustificata  compressione
del diritto di difesa dei creditori i  quali  sarebbero  maggiormente
tutelati  nel  caso  di  fallimento  originariamente  richiesto   nei
confronti della societa' di fatto con partecipazione di una  societa'
di capitali rispetto  all'ipotesi  -  identica  dal  punto  di  vista
sostanziale -  di  estensione  del  fallimento  da  una  societa'  di
capitali ad una societa' di fatto della quale la societa' fallita sia
socia illimitatamente responsabile. 
    Ulteriore profilo di violazione dell'art.  24  Cost.  sarebbe  da
ravvisare nella maggiore tutela riconosciuta ai creditori di societa'
di  fatto  composte  esclusivamente  da  soci  persone  fisiche,   o,
comunque, di societa' di fatto dichiarate fallite  in  estensione  al
fallimento di un imprenditore individuale, rispetto ai  creditori  di
societa' di fatto  allorche'  l'originario  fallimento  riguardi  una
societa' di capitali socia della societa' di fatto. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura dello Stato, e' intervenuto in giudizio chiedendo che
la questione sia dichiarata manifestamente infondata. 
    2.-  Le  censure  prospettate  dal   Tribunale   di   Bari   sono
inammissibili. 
    Il rimettente muove dal presupposto che, nella fattispecie al suo
esame, la societa' a responsabilita' limitata gia' dichiarata fallita
fosse socia di una societa' di  fatto  costituita  tra  la  medesima,
altra societa' a responsabilita' limitata, e talune persone fisiche. 
    Tuttavia, nel sollevare la questione, il  rimettente  non  si  e'
preliminarmente interrogato sulla possibilita' per  una  societa'  di
capitali di partecipare  ad  una  societa'  di  fatto  a  fronte  del
disposto dell'art. 2361, comma 2, codice civile. Questo, infatti -  a
seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 17 gennaio
2003, n. 6 (Riforma  organica  della  disciplina  delle  societa'  di
capitali e societa' cooperative, in attuazione  della  L.  3  ottobre
2001, n. 366) - nel consentire alle societa' per azioni  di  assumere
partecipazioni in imprese comportanti la responsabilita'  illimitata,
stabilisce che tale assunzione sia deliberata dall'assemblea dei soci
e che gli amministratori ne diano specifica informazione  nella  nota
integrativa del bilancio. 
    Ebbene, il giudice a quo non ha verificato la  compatibilita'  di
tale previsione con la possibilita' per le societa'  di  capitali  di
partecipare a societa' di fatto la cui costituzione avviene per facta
concludentia,  prescindendo,  dunque,  da  qualunque  formalita'.  In
particolare, il Tribunale non  ha  preso  posizione  in  ordine  alla
discussa questione concernente le conseguenze  del  mancato  rispetto
degli adempimenti previsti dall'art. 2361,  comma  2,  cod.civ.,  se,
cioe', l'assunzione di partecipazioni  in  societa'  di  persone  sia
comunque efficace, rilevando eventualmente  solo  sul  piano  interno
alla societa' ai fini della configurabilita' di  una  responsabilita'
degli amministratori, ovvero se  tale  mancanza  precluda  la  stessa
possibilita' per una  societa'  per  azioni  di  partecipare  ad  una
societa' di fatto. Il rimettente  non  ha  nemmeno  accertato  se  la
conclusione valida per le societa' per azioni, cui ha  specificamente
riguardo l'art. 2361 cod.civ., possa estendersi anche alle societa' a
responsabilita' limitata per le quali manca  una  analoga  previsione
espressa. 
    Poiche' le soluzioni a tale questione emerse nella giurisprudenza
di merito, cosi' come in dottrina, non sono univoche, mentre la Corte
di cassazione non si e' ancora  pronunciata,  il  rimettente  avrebbe
dovuto esprimersi su di essa dal momento che  la  soluzione  positiva
costituisce presupposto imprescindibile per l'eventuale  applicazione
della disposizione censurata. 
    La mancanza di ogni argomentazione al riguardo si risolve  in  un
difetto di motivazione sulla rilevanza della  questione  prospettata,
comportandone l'inammissibilita'. 
    3.- Neppure il Tribunale ha motivato in ordine  alla  sussistenza
nella fattispecie al suo esame di una societa' di fatto di cui  fosse
socia la societa' dichiarata fallita. 
    E' ben vero che secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita'  la
mancanza della prova scritta del contratto  di  costituzione  di  una
societa' di fatto o irregolare - la  quale  non  e'  richiesta  dalla
legge ai  fini  della  sua  validita'  -  non  impedisce  al  giudice
l'accertamento aliunde, mediante ogni mezzo di prova, della esistenza
di una  struttura  societaria;  tuttavia  tale  aspetto  deve  essere
oggetto di specifica e rigorosa valutazione da parte del giudice. 
    Proprio tale valutazione non e' stata svolta dal Tribunale. Esso,
infatti, nell'ordinanza di rimessione si e' limitato ad elencare  gli
elementi che sono stati individuati dal  curatore  fallimentare  come
indici della esistenza di una societa' di fatto  alla  quale  sarebbe
riferibile l'attivita'  svolta  dalla  societa'  dichiarata  fallita,
senza, tuttavia, operare alcuna verifica in ordine alla sussistenza e
alla pregnanza dei medesimi, neppure limitandosi  a  far  proprie  le
argomentazioni del curatore. In tal modo il rimettente ha  omesso  di
valutare in concreto se le suddette circostanze  fossero  espressione
di  una  affectio  societatis  la  quale   rivelasse   effettivamente
l'esistenza di una societa' di fatto. 
    Il giudice a quo, infine, ha omesso di verificare se  l'attivita'
imprenditoriale  svolta  dalla  societa'  dichiarata  fallita   fosse
riferibile alla societa' di fatto eventualmente  ritenuta  esistente,
secondo quanto previsto dalla disposizione censurata. 
    L'assenza di  ogni  argomentazione  su  entrambi  i  profili  ora
evidenziati, poiche' non consente di accertare la  sussistenza  delle
condizioni per l'eventuale applicazione dell'art. 147, comma 5, legge
fallimentare, alla fattispecie concreta all'esame del giudice a  quo,
preclude a questa Corte ogni verifica in ordine alla rilevanza  della
questione  prospettata,  comportandone,  anche  sotto  tale  profilo,
l'inammissibilita'.