ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  529  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Brindisi, in composizione monocratica, sezione distaccata di  Fasano,
nel procedimento penale a carico di N.G. ed altro, con ordinanza  del
5 dicembre 2012, iscritta al n. 122 del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  30,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 28 gennaio  2015  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di   Brindisi,   in   composizione
monocratica, sezione  distaccata  di  Fasano,  con  ordinanza  del  5
dicembre 2012 (r.o. n. 122 del 2014), ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 2, 3, 24  e  111  della  Costituzione,  una  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 529  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui non prevede una formula di proscioglimento
per la "particolare tenuita' del fatto", «simmetrica  ed  analoga»  a
quella prevista, per i soli procedimenti  penali  di  competenza  del
giudice di pace, dall'art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). 
    Il Tribunale  rimettente  premette  di  essere  investito  di  un
procedimento penale a carico di  due  persone  imputate  di  furto  e
riferisce che, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, il pubblico
ministero ha concluso chiedendo il «proscioglimento di  entrambi  gli
imputati per "tenuita' del fatto contestato"». 
    Il giudice a quo -  senza  anticipare  alcuna  valutazione  sulla
responsabilita' degli  imputati,  ma  ritenendo  che  il  reato  loro
ascritto, sulla base delle prove raccolte  in  dibattimento,  potesse
oggettivamente ritenersi «di particolare tenuita' e di basso  allarme
sociale», essendo stata sottratta, dagli scaffali di un supermercato,
merce di  modico  valore  economico  -  osserva  che  la  formula  di
proscioglimento richiesta dal pubblico ministero, prevista  dall'art.
34 del d.lgs. n. 274 del 2000 per i reati di competenza  del  giudice
di pace, non e' applicabile ai procedimenti penali  pendenti  davanti
al tribunale, non essendo prevista dall'art. 529 cod. proc. pen., ne'
da altra norma del codice di procedura penale, e non  potendo  essere
estesa in via interpretativa. 
    La  questione  proposta,  pertanto,  sarebbe  non  manifestamente
infondata con riferimento all'art. 3 Cost., sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento, in quanto «se gli odierni imputati fossero
stati giudicati dal Giudice di Pace avrebbero potuto usufruire di una
"rosa" di formule di proscioglimento piu'  ampie  rispetto  a  quelle
che, ex art. 529 c.p.p., vengono ritenute applicabili [...]  in  seno
ai processi celebrati innanzi al Tribunale». 
    Questa disparita' non potrebbe essere giustificata  dalla  natura
bagatellare dei reati di competenza del giudice di pace, in quanto la
formula  in   questione,   «sostanzialmente   assolutoria»,   farebbe
riferimento «alla natura ontologica ed intrinseca della "tenuita' del
fatto"» e dovrebbe valere per  qualunque  tipo  di  reato.  Anche  il
tribunale - prosegue il giudice a quo  -  potrebbe  effettuare,  allo
stesso modo del giudice di pace, la valutazione  degli  elementi  che
consentono  di  stabilire  la  conformita'  del  fatto  storico  alla
fattispecie dell'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, e, quindi, «tale
trattamento diseguale e  disomogeneo  di  situazioni  ontologicamente
eguali» sarebbe in contrasto con gli  artt.  2  e  3  Cost.,  perche'
troverebbe  il  suo  unico  «spartiacque   nella   diversita'   della
competenza   giurisdizionale   del   relativo   procedimento   penale
attribuita capziosamente dal legislatore». 
    La questione  sarebbe  non  manifestamente  infondata  anche  con
riferimento all'art. 24 Cost. 
    Ad avviso del rimettente, infatti, l'imputato «vedrebbe ristretto
l'esercizio  e  la  spendita  del   diritto   di   difesa   (rispetto
all'ipotetico imputato citato a giudizio innanzi al Giudice di  pace)
non potendo  approntare  la  sua  strategia  difensiva  in  relazione
all'obiettivo processuale di riuscire  a  dimostrare  a  mezzo  della
istruttoria dibattimentale la irrisorieta' dei fatti per i  quali  e'
stato  tratto  a  giudizio  e  quindi,  di  poter   usufruire   della
"ulteriore" formula di proscioglimento "per  tenuita'  del  fatto"  e
tutto cio', in ragione della mancata  previsione  normativa  di  tale
formula assolutoria». 
    Infine, la norma censurata - laddove determina una disparita'  di
trattamento e una violazione  del  diritto  di  difesa  dell'imputato
sulla  base  della  sola  diversita'  del  giudice  procedente  -  si
troverebbe in contrasto anche con il principio  del  giusto  processo
sancito dall'art. 111 Cost., perche' non  vi  sarebbero  ragioni  per
considerare «"piu' giusto" o "piu' favorevole" il processo penale  di
competenza del Giudice di Pace rispetto a quello  di  competenza  del
Tribunale tanto da individuare solo nella prima Sede altre formule di
proscioglimento, [come] quella della quale il pubblico  ministero  ha
chiesto applicazione agli odierni prevenuti». 
    2.- E' intervenuto nel giudizio di legittimita' costituzionale il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che  la  questione
sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, con  riferimento  all'art.  3
Cost.,  la  norma  censurata   non   presenterebbe   i   profili   di
irragionevolezza  denunciati  dal  Tribunale  rimettente,  in  quanto
rientrerebbe nella piena discrezionalita' legislativa  la  previsione
di un trattamento differenziato, sia sotto  il  profilo  processuale,
sia sotto quello sanzionatorio, per i reati di  minore  offensivita',
assegnati alla competenza del giudice di pace. 
    Anche con riferimento agli altri parametri invocati dal giudice a
quo la questione sarebbe non fondata, in quanto la previsione  di  un
trattamento differenziato  sul  piano  processuale  per  i  reati  di
competenza del giudice di pace non determinerebbe alcun  vulnus  alle
situazioni giuridiche che trovano tutela negli artt. 24 e 111 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di   Brindisi,   in   composizione
monocratica, sezione distaccata di  Fasano,  dubita,  in  riferimento
agli artt. 2, 3, 24 e  111  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 529 del codice di  procedura  penale,  nella
parte in cui non  prevede  una  formula  di  proscioglimento  per  la
"particolare tenuita' del fatto" «simmetrica  ed  analoga»  a  quella
prevista, per i soli procedimenti penali di competenza del giudice di
pace, dall'art. 34 del decreto legislativo 28  agosto  2000,  n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). 
    Ad avviso  del  giudice  rimettente,  la  questione  sarebbe  non
manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.,  in
quanto «la mancata previsione  in  seno  all'art.  529  c.p.p.  della
medesima formula  di  proscioglimento  prevista  dall'art.  34  Legge
274/2000 (quest'ultima dettata ingiustificatamente e  arbitrariamente
per i soli procedimenti penali di competenza del  Giudice  di  Pace)»
determinerebbe un trattamento diseguale di situazioni ontologicamente
uguali, dato che la tenuita' del fatto puo' sussistere per  qualunque
tipo di reato. La  questione  sarebbe  non  manifestamente  infondata
anche con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. 
    2.-  E'  intervenuto  nel  giudizio   di   costituzionalita'   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale   dello   Stato,   che   ha   chiesto   una
dichiarazione di inammissibilita' o di infondatezza della questione. 
    3.- La questione e' inammissibile  per  mancanza  di  motivazione
sulla sua rilevanza. 
    Il giudice a quo vorrebbe estendere  ai  procedimenti  penali  di
competenza   del   tribunale   la   formula   di   esclusione   della
procedibilita' per la  "particolare  tenuita'  del  fatto",  prevista
dall'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, che detta disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, ma l'ordinanza, che  e'  priva
anche di una esauriente descrizione del fatto oggetto  del  giudizio,
non contiene indicazioni sull'esistenza  delle  condizioni  richieste
dall'art. 34 per l'applicabilita' di tale formula. 
    Secondo l'art. 34 «Il fatto e' di  particolare  tenuita'  quando,
rispetto all'interesse tutelato, l'esiguita' del danno o del pericolo
che ne e' derivato, nonche' la sua occasionalita' e  il  grado  della
colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale,  tenuto
conto altresi' del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento
puo' recare alle esigenze di lavoro, di  studio,  di  famiglia  o  di
salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato». 
    Inoltre, a norma del comma 3 dello stesso articolo, quando,  come
e' avvenuto nel caso in esame, gia'  «e'  stata  esercitata  l'azione
penale, la particolare tenuita' del fatto puo' essere dichiarata  con
sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono». 
    A parere del giudice rimettente, il furto per il quale si procede
dovrebbe «ritenersi  di  particolare  tenuita'  e  di  basso  allarme
sociale trattandosi di apprensione di  merce  di  modicissimo  valore
(peraltro  in  parte  regolarmente  pagata)  dagli  scaffali  di   un
supermercato»,   ma   questo   non   basta   per   giustificare    un
proscioglimento a norma dell'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000.  Per
la configurabilita' di tale causa di esclusione della procedibilita',
infatti, non e' sufficiente l'esiguita' del danno, ma  occorre  anche
valutare  l'occasionalita'  del  fatto,  il  grado  di   colpevolezza
dell'imputato e il pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento
gli puo' arrecare. 
    Di tutti questi elementi l'ordinanza di rimessione non fa  cenno,
cosi' come non fa cenno della  mancanza  di  opposizione,  oltre  che
dell'imputato,  anche  della  persona  offesa,   che   nel   giudizio
costituisce una condizione necessaria della causa di  proscioglimento
per la "particolare tenuita' del fatto". Sotto  questo  aspetto,  ove
fosse  mancata  un'espressa  dichiarazione  di  non  opposizione,  il
giudice rimettente avrebbe dovuto precisare  se  gli  imputati  erano
rimasti contumaci o erano comparsi, se la persona  offesa  era  stata
ritualmente citata, se era presente, se le parti erano state poste in
condizione di interloquire o erano state  espressamente  interpellate
sulla richiesta di proscioglimento per la "particolare  tenuita'  del
fatto", formulata dal pubblico ministero, ovvero da  quali  elementi,
univoci e concludenti, poteva  desumersi  la  loro  volonta'  di  non
opporsi  all'eventuale  declaratoria  di  improcedibilita'  per  tale
causa. 
    Certo,  il  legislatore  ben  puo'  introdurre   una   causa   di
proscioglimento per la "particolare tenuita' del  fatto"  strutturata
diversamente  e  senza  richiedere  tutte  le   condizioni   previste
dall'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, ed e' quello  che  ha  fatto
con la legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia  di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili). Con l'art.  1,  comma
1, lettera m), di tale legge, infatti, il legislatore ha conferito al
Governo  una  delega  per  «escludere  la  punibilita'  di   condotte
sanzionate con la sola pena  pecuniaria  o  con  pene  detentive  non
superiori nel massimo a cinque anni, quando  risulti  la  particolare
tenuita' dell'offesa e la non abitualita' del comportamento». 
    Si tratta di una disposizione  sensibilmente  diversa  da  quella
dell'art. 34 del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  perche'  configura  la
«particolare tenuita' dell'offesa» come una causa di non punibilita',
invece che come una causa di non procedibilita', con una formulazione
che, tra l'altro, non fa riferimento  al  grado  della  colpevolezza,
all'occasionalita' del fatto (sostituita dalla «non  abitualita'  del
comportamento»), alla volonta' della  persona  offesa  e  alle  varie
esigenze dell'imputato. 
    Nella linea  della  delega  il  Consiglio  dei  ministri  ha  poi
approvato, il 1° dicembre 2014, uno  schema  di  decreto  legislativo
recante «Disposizioni in materia di non punibilita'  per  particolare
tenuita' del fatto, a norma dell'art. 1,  comma  1,  lett.  m,  della
legge 28 aprile 2014, n. 67», il cui art. 1 e' diretto ad  introdurre
nel codice penale l'art. 131-bis, che prevede i requisiti e definisce
l'ambito applicativo del nuovo istituto. 
    E' dunque evidente  che  una  causa  di  proscioglimento  per  la
"particolare  tenuita'  del  fatto"  puo'  essere   basata   su   una
fattispecie diversa da quella prevista dall'art. 34 del d.lgs. n. 274
del 2000, ma questa possibilita' nella specie non rileva, perche'  il
giudice rimettente vorrebbe  estendere  al  procedimento  davanti  al
tribunale proprio la fattispecie dell'art. 34. Considerati i  termini
della questione,  il  giudice  pertanto  avrebbe  dovuto  dare  conto
dell'esistenza, nel caso in esame, degli elementi che  normativamente
integrano tale fattispecie, ma non lo ha fatto. 
    La  mancanza  della  motivazione  sul  punto  non   consente   di
riconoscere la rilevanza della questione  e  ne  fa  conseguentemente
escludere l'ammissibilita'.