ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
25, della  legge  6  novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la
prevenzione e la  repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'
nella pubblica  amministrazione),  e  dell'art.  241,  comma  1,  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e  2004/18/CE),  come  sostituito  dall'art.  1,
comma 19,  della  legge  n.  190  del  2012,  promosso  dal  Collegio
arbitrale di Roma nel  procedimento  vertente  tra  la  Seriana  2000
societa' cooperativa sociale Onlus e l'AUSL Roma E, con ordinanza del
16 giugno 2014, iscritta al n. 186  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  45,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 13  maggio  2015  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del  16  giugno  2014,  il  Collegio  arbitrale
costituito in Roma per  la  risoluzione  della  controversia  tra  la
Seriana 2000 societa' cooperativa sociale  Onlus  (d'ora  in  avanti,
«Seriana  2000»)  e  l'AUSL  Roma  E,  ha  sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  25,  della  legge  6
novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e   la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e  111
della Costituzione, nonche'  dell'art.  241,  comma  1,  del  decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle  direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), come  sostituito  dall'art.  1,  comma  19,
della legge n. 190 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41,
97, 102 e 111 Cost. 
    La questione e' sorta nel corso di un giudizio arbitrale relativo
a due contratti d'appalto del 27 marzo 2007, con i quali l'AUSL  Roma
E ha affidato a Seriana 2000 l'espletamento dei servizi di assistenza
ai  disabili  adulti,  a  integrazione  del   personale   dipendente,
necessari alla realizzazione di centri sperimentali di riabilitazione
integrata a carattere semiresidenziale, a favore di utenti disabili e
affetti  da  disabilita'  stabilizzata  a  patologia  complessa   per
soggetti residenti nel territorio della AUSL Roma E. 
    Il giudizio arbitrale e' stato promosso da Seriana 2000,  che  si
e' avvalsa della clausola compromissoria prevista  dall'art.  37  del
capitolato d'oneri per il lotto 1, a tenore del quale "La risoluzione
di eventuali controversie che dovessero  insorgere  nell'applicazione
della convenzione sara' demandata ad un collegio  arbitrale  composto
da un rappresentante per ciascuna delle parti e da un  rappresentante
scelto di comune accordo". 
    Con la domanda d'arbitrato del 13 maggio 2013,  Seriana  2000  ha
chiesto la condanna dell'AUSL Roma E  al  pagamento  dell'importo  di
1.105.634,95 euro, oltre a interessi, a titolo di "adeguamenti ISTAT"
e di "rinnovi" del contratto collettivo nazionale di  lavoro  per  le
cooperative sociali. 
    Il Collegio arbitrale, dopo la  sua  costituzione,  ha  richiesto
alla AUSL Roma E, ritenendolo  "necessario",  una  motivata  conferma
dell'autorizzazione all'arbitrato, e  il  18  marzo  2014  la  stessa
comunicava con una nota "di non  ritenere  di  aderire  all'arbitrato
nell'ottica del contenimento dei costi derivante da tale tipologia di
contenzioso". 
    Con successiva  memoria,  presentata  nel  termine  concesso  dal
Collegio, Seriana 2000 ha  eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 241, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006,  come  sostituito
dall'art. 1, comma 19, della legge n. 190 del 2012. 
    1.1.- Il  rimettente  osserva  che  l'arbitrato  in  oggetto  non
rientra nella sfera di  efficacia  della  norma  transitoria  di  cui
all'art. 1, comma 25, della legge n. 190 del 2012,  ricadendo  invece
nella disciplina del novellato art. 241, comma 1, giacche'  e'  stato
«conferito» dopo l'entrata in vigore della legge  n.  190  del  2012,
malgrado la clausola  arbitrale  sia  stata  pattuita  anteriormente,
atteso che gli arbitri sono stati nominati nel  2013  e  che  non  e'
intervenuta alcuna autorizzazione da parte della  AUSL  Roma  E,  ne'
un'autorizzazione poteva ragionevolmente intervenire  in  precedenza,
trattandosi di un requisito introdotto dalla stessa legge n. 190  del
2012. 
    Ad avviso del rimettente, le norme appena richiamate  determinano
retroattivamente l'inefficacia della clausola  d'arbitrato  anteriore
all'entrata in vigore della legge e riservano alla parte pubblica  il
potere  di  decidere  in  ordine  all'azionabilita'  della   clausola
arbitrale. Cio' solleverebbe dubbi  di  legittimita'  costituzionale,
dando origine a una questione  la  cui  rilevanza  deriva  dalla  sua
pregiudizialita' rispetto alla definizione  nel  merito  della  lite,
riguardando l'ammissibilita'  dell'arbitrato,  a  causa  del  diniego
frapposto dalla AUSL Roma E. 
    In particolare, il rimettente dubita della legittimita' dell'art.
1, comma 25, della legge n. 190 del 2012, per contrasto con gli artt.
3, 24, 25, 41, 108 e 111, Cost., in quanto, consentendo di porre  nel
nulla una clausola compromissoria con effetti retroattivi,  la  norma
disattende il principio della certezza e della stabilita' del diritto
e  dell'ordinamento  giuridico,  che   impone   di   non   introdurre
disposizioni che operano retroattivamente  su  clausole  contrattuali
esistenti e su rapporti giuridici ancora in essere, ledendo  principi
e diritti di rango costituzionale, quali la  liberta'  di  iniziativa
economica e l'autonomia negoziale e di impresa, ai sensi dell'art. 41
Cost. 
    Nel caso di  specie  neppure  sussisterebbero  ragioni  che,  nel
bilanciamento  con   altri   interessi   di   rango   costituzionale,
giustificano la decisione del legislatore di privare retroattivamente
di efficacia le clausole compromissorie. Le finalita' di  prevenzione
della corruzione, alle quali e' ispirata la legge in cui e'  inserita
la norma, non sembrano difatti idonee a  giustificare  il  meccanismo
autorizzatorio introdotto dal legislatore in via retroattiva, a  meno
di non volere attribuire, scorrettamente, un disvalore sociale  a  un
istituto,  quale  l'arbitrato,  tutelato  a  livello  comunitario   e
costituzionale, ai sensi degli artt. 24, 41, 108 e 111 Cost. 
    Ad avviso  del  rimettente,  le  richiamate  finalita'  attengono
esclusivamente alla parte pubblica, l'interesse della quale non  puo'
incidere, in via retroattiva e con il riconoscimento a suo favore del
diritto potestativo di negare il ricorso all'arbitrato, sui  principi
di parita' delle armi e di autonomia negoziale, ai sensi degli  artt.
111 e 41 Cost. 
    Inoltre, la norma non sarebbe solo lesiva dell'affidamento  nella
stabilita' dell'ordinamento giuridico di coloro che  hanno  stipulato
le clausole compromissorie prima dell'entrata in vigore  della  legge
n. 190 del 2012, senza poter prevedere  che  ne  sarebbero  scaturite
conseguenze negative in ordine alle condizioni di accesso al giudizio
arbitrale,   ma   distoglie   le   parti   dal    giudice    naturale
contrattualmente individuato, in violazione degli artt. 24, 25 e  111
Cost. 
    1.2.- L'art. 241, comma 1, del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  come
sostituito dall'art. 1, comma  19,  delle  legge  n.  190  del  2012,
contrasterebbe a sua volta, in primo luogo, con gli  artt.  3  e  111
Cost., perche' attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di
autorizzare il ricorso all'arbitrato, che si risolve  in  un  vero  e
proprio diritto potestativo all'instaurazione del giudizio arbitrale,
tale da pregiudicare  la  parita'  delle  parti  nel  processo  e  da
determinare uno sbilanciamento in favore della parte pubblica, tenuto
altresi' conto della natura giurisdizionale  dell'arbitrato,  che  e'
assistito dalle stesse garanzie di tutela  del  contradditorio  e  di
imparzialita' del giudice proprie della giurisdizione ordinaria. 
    Il giudice a quo  reputa  che  sussista,  in  secondo  luogo,  la
violazione  degli  artt.  3,  24  e  111  Cost.,  per  disparita'  di
trattamento normativo fra  gli  arbitrati  in  materia  di  contratti
pubblici e quelli disciplinati dal codice di rito civile, in mancanza
di valide ragioni che giustificano  la  diversita'  di  accesso  alla
giurisdizione,  solo  per  i  primi  subordinato   all'autorizzazione
motivata della pubblica amministrazione, a pena di nullita' del lodo,
mentre  nei  secondi  il  rifiuto  di  una  delle  parti  di  aderire
all'arbitrato, o  il  suo  mero  silenzio,  consentono  all'altra  di
ricorrere al tribunale per la nomina dell'arbitro non designato,  non
senza considerare che la nullita' del lodo, negli arbitrati in esame,
potrebbe  derivare  anche  da   un   vizio   del   provvedimento   di
autorizzazione (ad esempio, per incompetenza dell'organo  che  lo  ha
emesso), con ulteriore violazione degli artt. 3 e 111 Cost. 
    Infine, la norma si porrebbe in contrasto con  l'art.  97  Cost.,
la' dove attribuisce il potere di autorizzare ogni singolo  arbitrato
all'organo di governo dell'amministrazione anziche'  alla  dirigenza,
pur trattandosi di un atto di gestione connotato da  discrezionalita'
tecnica e non di un atto  di  indirizzo  politico-amministrativo,  da
riservare all'organo di governo, con conseguente vulnus al  principio
di buon andamento e di imparzialita' dell'azione amministrativa,  che
impone una chiara e netta  separazione  tra  attivita'  di  indirizzo
politico-amministrativo e funzioni gestorie. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, che ha concluso per la declaratoria di  infondatezza  della
questione. 
    A sostegno della richiesta, la difesa  dello  Stato  richiama  la
giurisprudenza costituzionale che  ha  escluso  la  violazione  degli
stessi parametri evocati dal rimettente con riferimento  all'art.  3,
comma 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180 (Misure urgenti per
la prevenzione del rischio  idrogeologico  ed  a  favore  delle  zone
colpite da disastri franosi nella regione Campania), convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 3  agosto  1998,  n.
267, che vietano il ricorso  all'arbitrato  per  le  controversie  in
materia di  opere  pubbliche  eseguite  in  attuazione  dell'indicato
decreto, fatti salvi i giudizi arbitrali pendenti alla data della sua
entrata in vigore. 
    In particolare, la  Corte  avrebbe  escluso,  in  quei  casi,  la
violazione  dell'art.  3   Cost.   sia   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza "intrinseca", rientrando  nella  discrezionalita'  del
legislatore la scelta di sottrarre  le  controversie  in  determinate
materie  alla  definizione  arbitrale,  sia  sotto  il  profilo   del
principio di  uguaglianza,  essendo  giustificata  la  diversita'  di
trattamento di situazioni diverse, come sono  quelle  che,  derivando
dalla notifica della domanda d'arbitrato prima o  dopo  l'entrata  in
vigore della legge, vengono selezionate sulla  base  del  fluire  del
tempo.  Ha,  inoltre,  rilevato   che   il   divieto   di   ricorrere
all'arbitrato nelle controversie che non sono incardinate al  momento
di entrata in vigore della legge non configura una norma retroattiva,
bensi' una norma rispettosa della regola di cui all'art. 5 cod. proc.
civ., ai  sensi  del  quale  la  giurisdizione  e  la  competenza  si
determinano con riferimento  alla  legge  vigente  al  momento  della
proposizione della domanda (sentenza n. 376 del 2001). 
    L'intervenuto richiama altresi'  l'orientamento  della  Corte  di
cassazione,  che,  sempre  a  proposito  del   divieto   di   ricorso
all'arbitrato  ai  sensi  del  decreto-legge  n.  180  del  1998,  ha
dichiarato manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale anche in riferimento ai parametri di  cui  agli  artt.
24, 25, 41, 102 e 111  Cost.,  e  contesta  che  siano  pertinenti  i
riferimenti all'art. 97 Cost., giacche' le disposizioni impugnate non
riguardano l'organizzazione dei pubblici  uffici  ma  l'ambito  della
giurisdizione, e all'art. 108 Cost., sulla violazione  del  quale  il
rimettente non spenderebbe alcuna motivazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Collegio arbitrale costituito in Roma per  la  risoluzione
della controversia tra la Seriana 2000 societa'  cooperativa  sociale
Onlus e l'AUSL Roma E dubita della legittimita'  dell'art.  1,  comma
25, della  legge  6  novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la
prevenzione e la  repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'
nella pubblica amministrazione), per contrasto con gli artt.  3,  24,
25, 41, 108 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non  esclude
dall'applicazione delle disposizioni di cui  all'art.  1,  comma  19,
della stessa legge, che  ha  sostituito  l'art.  241,  comma  1,  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), anche  gli  arbitrati  che,  come
quello di cui si tratta, sono stati  «conferiti»  dopo  l'entrata  in
vigore  della  legge  n.  190  del  2012,  sulla  base  di   clausole
compromissorie pattuite anteriormente. 
    In  particolare,   la   norma   consentirebbe   irragionevolmente
l'applicazione retroattiva delle disposizioni  del  richiamato  comma
19, a tenore  del  quale  «Le  controversie  su  diritti  soggettivi,
derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi  a  lavori,
servizi, forniture, concorsi di progettazione  e  di  idee,  comprese
quelle conseguenti al  mancato  raggiungimento  dell'accordo  bonario
previsto dall'articolo  240,  possono  essere  deferite  ad  arbitri,
previa  autorizzazione  motivata  da  parte  dell'organo  di  governo
dell'amministrazione.  L'inclusione  della  clausola  compromissoria,
senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con  cui  e'
indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito,  o
il  ricorso  all'arbitrato,  senza  preventiva  autorizzazione,  sono
nulli». 
    L'inefficacia sopravvenuta, che ne conseguirebbe, delle  clausole
compromissorie pattuite prima dell'entrata in vigore della  legge  n.
190 del 2012, e non autorizzate dalla  pubblica  amministrazione,  si
porrebbe in contrasto con il principio di certezza  e  di  stabilita'
dell'ordinamento giuridico e con la liberta' di iniziativa economica. 
    Ad avviso del rimettente, la norma viola,  sotto  altro  profilo,
gli artt. 41 e 111 Cost., in quanto, riconoscendo retroattivamente  a
favore della parte pubblica  il  diritto  potestativo  di  negare  il
ricorso all'arbitrato, contrasterebbe con i principi di parita' delle
armi e di autonomia negoziale, nonche' con gli artt.  24,  25  e  111
Cost., in quanto distoglierebbe le parti dal giudice naturale da esse
contrattualmente individuato. 
    1.1.- Il  rimettente  dubita  inoltre  della  legittimita'  dello
stesso art. 1, comma  19,  della  legge  n.  190  del  2012,  che  ha
sostituito l'art. 241, comma 1, del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  per
contrasto, in primo luogo, con gli  artt.  3  e  111  Cost.,  perche'
attribuirebbe alla pubblica amministrazione un potere di  autorizzare
il ricorso all'arbitrato, che si risolve in un vero e proprio diritto
potestativo  all'instaurazione  del  giudizio  arbitrale,   tale   da
pregiudicare la parita' delle parti nel processo e da determinare uno
sbilanciamento in favore della parte pubblica. 
    La norma contrasterebbe ulteriormente con gli artt.  3,  24,  25,
102 e 111 Cost., per disparita' di trattamento fra gli  arbitrati  in
materia di contratti pubblici, il ricorso  ai  quali  e'  subordinato
alla    preventiva    autorizzazione    motivata    della    pubblica
amministrazione, a  pena  di  nullita'  del  lodo,  e  gli  arbitrati
disciplinati dal codice di rito civile, in mancanza di valide ragioni
che giustifichino la diversita' di  accesso  alla  giurisdizione.  La
discriminazione riguarderebbe anche il fatto che solo per i primi  la
nullita'  del  lodo  potrebbe  derivare  anche  da   un   vizio   del
provvedimento  di  autorizzazione  (ad  esempio,   per   incompetenza
dell'organo che lo ha emesso). 
    Infine, sarebbe violato anche l'art. 97 Cost., in quanto la norma
attribuisce  il  potere  di  autorizzare   ogni   singolo   arbitrato
all'organo di governo dell'amministrazione anziche'  alla  dirigenza,
pur trattandosi di un atto di gestione connotato da  discrezionalita'
tecnica e non di un atto  di  indirizzo  politico-amministrativo,  da
riservare all'organo di governo, con la conseguenza di un  vulnus  al
principio  di  buon  andamento   e   di   imparzialita'   dell'azione
amministrativa,  che  impone  una  chiara  e  netta  separazione  tra
attivita' di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. 
    2.- Quanto alla censura dell'art. 1, comma 25, della legge n. 190
del 2012, che ha natura di  norma  transitoria,  si  osserva  che  il
rimettente muove dal presupposto  implicito,  ma  evidente,  che  con
l'espressione «Le disposizioni di cui ai commi da  19  a  24  non  si
applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data  di
entrata in vigore della presente legge», il legislatore abbia  inteso
stabilire, riferendosi al comma 19, che esso non si applica a  quelle
clausole compromissorie per le quali l'incarico  arbitrale  e'  stato
conferito o autorizzato prima della data di entrata in  vigore  della
legge. Da cio' trae la conseguenza  che  le  clausole  compromissorie
pattuite, senza autorizzazione, prima dell'entrata  in  vigore  della
legge sarebbero retroattivamente colpite da inefficacia, in  mancanza
di anteriore conferimento dell'incarico agli arbitri o  di  anteriore
autorizzazione dell'arbitrato, rimanendo al di fuori della  sfera  di
applicazione della norma transitoria di  cui  al  comma  25,  che  si
espone cosi' ai sollevati dubbi di legittimita'. 
    La questione non e' fondata. 
    L'art. 1, comma 19, della legge n. 190 del 2012, la' dove prevede
la preventiva autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo
dell'amministrazione,   a   pena   di   nullita'    della    clausola
compromissoria, e' una norma imperativa  che  condiziona  l'autonomia
contrattuale delle parti. Essa si applica,  ai  sensi  del  comma  25
dello stesso art. 1, anche alle clausole compromissorie inserite  nei
contratti pubblici anteriormente all'entrata in vigore della legge n.
190 del 2012, fatti salvi  gli  arbitrati  nei  quali  gli  incarichi
arbitrali siano  stati  conferiti  o  per  i  quali  sia  intervenuta
l'autorizzazione prima di tale data. 
    Un  simile  effetto  si  sottrae  alle  censure   sollevate   dal
rimettente. 
    Lo ius  superveniens  consistente  nel  divieto  di  deferire  le
controversie   ad   arbitri   senza   una   preventiva   e   motivata
autorizzazione non ha l'effetto di rendere nulle in  via  retroattiva
le clausole compromissorie originariamente  inserite  nei  contratti,
bensi'  quello  di  sancirne  l'inefficacia   per   il   futuro,   in
applicazione del principio, espresso dalla costante giurisprudenza di
legittimita', secondo il quale la nullita' di un contratto o  di  una
sua singola clausola, prevista da una norma limitativa dell'autonomia
contrattuale che sopravvenga nel corso di esecuzione di un  rapporto,
incide sul  rapporto  medesimo,  non  consentendo  la  produzione  di
ulteriori effetti, sicche' il contratto o la sua singola clausola  si
devono ritenere non piu' operanti. Non si pone conseguentemente alcun
problema di retroattivita' della norma censurata o di  ragionevolezza
della supposta deroga all'art. 11 delle disposizioni sulla  legge  in
generale. 
    Quanto  esposto  priva  di  fondamento  le  ragioni  addotte  dal
rimettente a sostegno della questione relativa al comma 25  dell'art.
1 della legge n. 190 del 2012, giacche' contraddice  il  presupposto,
comune a tutte le censure, secondo il quale  la  norma  attribuirebbe
efficacia  retroattiva  al  divieto  di  arbitrato  senza  preventiva
autorizzazione. 
    3.- L'infondatezza della questione  con  riferimento  alla  norma
transitoria impone l'esame delle censure mosse all'art. 241, comma 1,
del d.lgs. n. 163 del 2006, come sostituito dall'art.  1,  comma  19,
della legge n. 190 del 2012. 
    Nemmeno tale questione e' fondata. 
    Secondo il rimettente, la norma contrasterebbe in primo luogo con
gli  artt.  3  e  111  Cost.,  perche'  attribuisce   alla   pubblica
amministrazione il potere di autorizzare  il  ricorso  all'arbitrato.
Tale potere si risolverebbe in un vero e proprio diritto  potestativo
all'instaurazione del giudizio arbitrale,  tale  da  pregiudicare  la
parita' delle parti nel processo e da determinare uno  sbilanciamento
in favore della parte pubblica, non tollerabile tenuto altresi' conto
della natura giurisdizionale dell'arbitrato, che e'  assistito  dalle
stesse garanzie di tutela del contradditorio e di  imparzialita'  del
giudice proprie della giurisdizione comune. 
    Nello scrutinare la legittimita' costituzionale  del  divieto  di
arbitrato  nelle  controversie  relative  all'esecuzione   di   opere
pubbliche rientranti nei programmi  di  ricostruzione  dei  territori
colpiti da calamita' naturali, ai sensi dell'art.  3,  comma  2,  del
decreto-legge  11  giugno  1998,  n.  180  (Misure  urgenti  per   la
prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone  colpite
da  disastri  franosi  nella  regione   Campania)   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 3  agosto  1998,  n.
267, questa Corte ha avuto modo di precisare che «la discrezionalita'
di cui il  legislatore  sicuramente  gode  nell'individuazione  delle
materie sottratte alla possibilita' di compromesso incontra  il  solo
limite della manifesta irragionevolezza.  Siffatto  limite  non  puo'
certo dirsi superato nella specie, considerato il rilevante interesse
pubblico di cui risulta permeata la materia relativa  alle  opere  di
ricostruzione dei territori colpiti da calamita' naturali,  anche  in
ragione dell'elevato  valore  delle  relative  controversie  e  della
conseguente  entita'  dei  costi  che   il   ricorso   ad   arbitrato
comporterebbe per le pubbliche amministrazioni interessate» (sentenza
n. 376 del 2001). 
    A maggior ragione, la scelta  discrezionale  del  legislatore  di
subordinare a una preventiva e motivata autorizzazione amministrativa
il   deferimento   ad   arbitri    delle    controversie    derivanti
dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi  a  lavori,  servizi,
forniture, concorsi di progettazione e di idee, non e' manifestamente
irragionevole,  configurandosi  come  un  mero  limite  all'autonomia
contrattuale, la cui garanzia costituzionale non e' incompatibile con
la prefissione di limiti a tutela di interessi generali (ordinanza n.
11 del 2003). 
    Le medesime esigenze di contenimento dei costi delle controversie
e di tutela degli  interessi  pubblici  coinvolti  valgono  anche  in
questa materia, nella quale a tali esigenze si accompagna la generale
finalita' di prevenire l'illegalita' della pubblica  amministrazione.
Ad essa e' dichiaratamente ispirata  la  censurata  previsione  della
legge n. 190 del 2012, che non esprime un irragionevole  sfavore  per
il ricorso all'arbitrato, come sostiene il rimettente, ma si limita a
subordinare il  deferimento  delle  controversie  ad  arbitri  a  una
preventiva autorizzazione amministrativa che  assicuri  la  ponderata
valutazione degli interessi coinvolti e delle  circostanze  del  caso
concreto. 
    Neppure sussiste la denunciata  violazione  del  principio  della
parita' delle parti nel processo, con riferimento agli artt. 3 e  111
Cost., in quanto la prevista autorizzazione non crea alcun privilegio
processuale  della  pubblica  amministrazione,  idoneo  a  ledere  il
principio evocato. Il requisito introdotto dal legislatore, a pena di
nullita' della clausola compromissoria, si inserisce in una fase  che
precede l'instaurazione  del  giudizio  -  e  la  stessa  scelta  del
contraente - e non determina pertanto alcuno squilibrio  di  facolta'
processuali a favore della parte pubblica. Al  contrario,  lo  stesso
art. 241 prevede, nel successivo comma 1-bis, un adeguato  meccanismo
di tutela della liberta' contrattuale  della  parte  privata  qualora
l'autorizzazione sia concessa, stabilendo che l'aggiudicatario  «puo'
ricusare la clausola compromissoria, che in tale caso non e' inserita
nel contratto, comunicandolo alla  stazione  appaltante  entro  venti
giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione». 
    La norma contrasterebbe, altresi', con gli  artt.  3,  24  e  111
Cost. per  disparita'  di  trattamento  normativo  fra  arbitrati  in
materia di contratti pubblici e arbitrati disciplinati dal codice  di
rito civile, in mancanza  di  valide  ragioni  che  giustifichino  la
diversita' di accesso alla giurisdizione arbitrale, solo per i  primi
subordinato    all'autorizzazione     motivata     della     pubblica
amministrazione, a pena di nullita' del lodo, mentre nei  secondi  il
rifiuto di una delle parti di aderire all'arbitrato, o  il  suo  mero
silenzio, consentono all'altra  di  ricorrere  al  tribunale  per  la
nomina dell'arbitro non designato. Negli arbitrati pubblici, inoltre,
la nullita'  del  lodo  potrebbe  derivare  anche  da  un  vizio  del
provvedimento  di  autorizzazione  (ad  esempio,   per   incompetenza
dell'organo che lo ha emesso), con ulteriore violazione degli artt. 3
e 111 Cost. 
    Le  stesse  considerazioni  svolte  sopra   a   proposito   della
discrezionalita'   di   cui   il   legislatore    sicuramente    gode
nell'individuare i limiti del ricorso all'arbitrato nella materia dei
contratti pubblici consentono di escludere che il diverso trattamento
normativo, censurato dal rimettente avendo riguardo agli arbitrati di
diritto comune, presenti caratteri di manifesta irragionevolezza. 
    Va rilevato, inoltre,  come  il  rimettente  ponga  sullo  stesso
piano, per sottolineare l'ingiustificata disparita'  di  trattamento,
il diniego di autorizzazione preventiva della clausola compromissoria
e il  rifiuto  di  una  delle  parti  a  nominare  l'arbitro  di  sua
competenza (o la sua inerzia nel nominarlo), mentre e'  evidente  che
si tratta di situazioni del tutto diverse, inerendo l'una a una  fase
anteriore all'insorgenza stessa della  controversia  e  l'altra  alla
fase, immediatamente successiva all'instaurazione  del  giudizio,  di
costituzione del collegio arbitrale, nella  quale  il  rifiuto  della
pubblica amministrazione a nominare l'arbitro o la sua  inerzia  sono
soggetti alla stessa disciplina del codice di rito  applicabile  alla
parte privata. 
    Nessuna violazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 111  Cost.
deriva poi dalla possibilita' che il lodo sia affetto da nullita' per
un  vizio  del  provvedimento  di  autorizzazione,  in  quanto   tale
eventuale  conseguenza  non   sarebbe   attribuibile   al   contenuto
precettivo della  norma  censurata,  bensi'  alla  sua  non  corretta
applicazione. 
    Le censure riferite agli artt. 24, 25 e 102 Cost. sono  prive  di
specifica motivazione. 
    La norma, infine, si porrebbe in contrasto con l'art.  97  Cost.,
in quanto attribuisce il potere di autorizzare ogni singolo arbitrato
all'organo di governo dell'amministrazione anziche'  alla  dirigenza,
pur trattandosi di un atto di gestione, connotato da discrezionalita'
tecnica, e non di un atto di  indirizzo  politico-amministrativo,  da
riservare all'organo di governo, con conseguente vulnus al  principio
di buon andamento e di imparzialita' dell'azione amministrativa,  che
implica la necessita' della chiara e netta separazione tra  attivita'
di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. 
    Nemmeno questa censura e' fondata. 
    La separazione tra funzioni di indirizzo  politico-amministrativo
e  funzioni  di  gestione  amministrativa  costituisce,  secondo   il
costante orientamento di questa Corte,  «un  principio  di  carattere
generale,  che  trova  il   suo   fondamento   nell'art.   97   Cost.
L'individuazione dell'esatta linea di demarcazione tra  gli  atti  da
ricondurre alle funzioni dell'organo politico e quelli di  competenza
della dirigenza amministrativa, pero', spetta al legislatore.  A  sua
volta, tale potere incontra un limite nello  stesso  art.  97  Cost.:
nell'identificare gli atti di  indirizzo  politico  amministrativo  e
quelli a carattere  gestionale,  il  legislatore  non  puo'  compiere
scelte che, contrastando in modo irragionevole con  il  principio  di
separazione tra politica e  amministrazione,  ledano  l'imparzialita'
della pubblica amministrazione» (ex  plurimis,  sentenza  n.  81  del
2013). 
    La scelta operata dal  legislatore,  di  affidare  all'organo  di
governo  il  compito  di   autorizzare   motivatamente   il   ricorso
all'arbitrato nei contratti pubblici, non e'  irragionevole.  L'ampia
discrezionalita' di cui gode l'amministrazione nel concedere o negare
l'autorizzazione, non solo  non  e'  riducibile  alla  categoria  dei
semplici  apprezzamenti  tecnici,  involgendo  essa  valutazioni   di
carattere politico-amministrativo sulla natura e sul diverso  rilievo
degli  interessi  caso  per  caso  potenzialmente   coinvolti   nelle
controversie derivanti dall'esecuzione di tali contratti, ma, per  il
suo stesso oggetto, si esprime in giudizi  particolarmente  delicati,
in  quanto  connessi  all'esigenza  perseguita   dalla   disposizione
censurata di prevenire e reprimere  corruzione  e  illegalita'  nella
pubblica amministrazione,  e  dunque  non  inopportunamente  affidati
all'organo di governo.