ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,  primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre  1973,
n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme  sulle  prestazioni
previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato),
e  dell'art.  9,  primo  comma,  del  decreto  legislativo  del  Capo
provvisorio dello Stato 4 aprile 1947, n. 207 (Trattamento  giuridico
ed economico del personale civile non  di  ruolo  in  servizio  nelle
Amministrazioni dello Stato), promosso dal  Tribunale  amministrativo
regionale dell'Umbria nel procedimento vertente tra R.G. e l'Istituto
nazionale  di  previdenza  per  i   dipendenti   dell'amministrazione
pubblica  (INPDAP)  ed  altri  con  ordinanza  dell'11  aprile  2013,
iscritta al n. 167 del registro ordinanze  2013  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  29,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2013. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nella  qualita'   di
successore ex lege dell'INPDAP,  nonche'  l'atto  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  28  aprile  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Dario Marinuzzi per l'INPS,  nella  qualita'  di
successore ex lege  dell'INPDAP  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo
Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 aprile 2013, iscritta  al  n.  167  del
registro  ordinanze  2013,  il  Tribunale  amministrativo   regionale
dell'Umbria ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo
comma, della Costituzione, dell'art. 3, primo comma, del decreto  del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n.  1032  (Approvazione
del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a  favore
dei dipendenti civili e militari dello Stato),  nella  parte  in  cui
richiede,  per  la  maturazione   del   diritto   all'indennita'   di
buonuscita, almeno un anno d'iscrizione al Fondo di previdenza per il
personale civile e militare dello Stato, e dell'art. 9, primo  comma,
del decreto legislativo del Capo provvisorio  dello  Stato  4  aprile
1947, n. 207 (Trattamento giuridico ed economico del personale civile
non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni  dello  Stato),  nella
parte in cui subordina il sorgere del diritto all'indennita' di  fine
rapporto alla prestazione di almeno un anno di servizio continuativo. 
    Il  giudice  a  quo  prospetta  la  violazione  dei  principi  di
ragionevolezza,   di   proporzionalita'   della   retribuzione,    di
disponibilita' dei mezzi adeguati alle esigenze della  vecchiaia,  in
quanto la normativa censurata  pregiudica  i  diritti  retributivi  e
previdenziali dei supplenti nominati con incarico  infrannuale  e  ne
discrimina arbitrariamente  il  trattamento  rispetto  a  quello  dei
supplenti con nomina annuale. 
    Il  giudice  amministrativo  premette  di   dover   decidere   la
controversia promossa da R.G., che ha chiesto all'Istituto  nazionale
di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP)
il riconoscimento del diritto all'indennita' di  buonuscita,  per  il
periodo in cui e' stata iscritta al "Fondo opera di previdenza" (nove
anni,  tre  mesi,  tre  giorni),  e  ha  chiesto  all'amministrazione
scolastica, per i periodi restanti, il riconoscimento dell'indennita'
di fine rapporto. 
    A sostegno di tali pretese, la ricorrente ha  dedotto  di  essere
stata collocata in quiescenza il  primo  settembre  1998,  senza  mai
essere stata immessa in ruolo e dopo avere insegnato musica presso le
scuole statali dal primo gennaio 1960 sino al 30 marzo 1973 e dal  20
settembre 1977 fino all'anno scolastico 1997/1998. 
    La controversia,  radicata  innanzi  al  giudice  amministrativo,
prende le mosse dal  diniego  che  l'ufficio  provinciale  INPDAP  di
Perugia, il 26 ottobre  1998,  e  il  Provveditorato  agli  studi  di
Perugia, il 23  agosto  1999,  hanno  opposto  alla  richiesta  della
ricorrente  di  vedersi  computare,  ai   fini   dell'indennita'   di
buonuscita, alcuni periodi in  cui  il  Provveditorato  aveva  omesso
d'iscriverla al "Fondo opera di previdenza". 
    L'INPDAP ha motivato il diniego con il rilievo che, solo  per  il
periodo 10 settembre 1990-9  settembre  1991,  la  ricorrente  avesse
diritto all'iscrizione al Fondo e che, nondimeno, per  tale  periodo,
il diritto, gia' maturato il 10 settembre 1991, fosse  prescritto  in
base all'art. 20 del d.P.R. n. 1032 del 1973. 
    Il Provveditorato, dal canto suo, ha evidenziato che  difetta  il
presupposto dell'anno di servizio continuativo, indispensabile per il
riconoscimento dell'indennita' di fine rapporto, e  che  non  possono
essere valutati i servizi computati e/o riscattati per il trattamento
di quiescenza e quelli che abbiano comportato l'iscrizione  al  Fondo
di previdenza ex lege. 
    Quanto alla rilevanza  della  questione,  il  giudice  rimettente
puntualizza  che  le  disposizioni  impugnate,  nel  condizionare  il
diritto  all'indennita'  di  buonuscita  e  all'indennita'  di   fine
rapporto, rispettivamente,  ad  un  anno  d'iscrizione  al  Fondo  di
previdenza per il personale civile e  militare  dello  Stato  e  alla
prestazione di un anno di servizio continuativo, si riverberano sulla
fondatezza della domanda proposta dalla ricorrente. 
    Il  giudice  rimettente   ricorda   che,   della   questione   di
legittimita'  costituzionale,  la  Corte  e'  stata  gia'  investita,
dichiarandola manifestamente inammissibile con ordinanza  n.  99  del
2011. 
    Tale pronuncia d'inammissibilita' - argomenta il giudice a quo  -
non sarebbe d'ostacolo alla  riproposizione  della  questione,  sulla
scorta di diverse e piu' convincenti argomentazioni. 
    Tali argomentazioni, in  punto  di  non  manifesta  infondatezza,
vertono sulla natura sostanzialmente unitaria del rapporto di  lavoro
dei  docenti  precari,  che  impone  di  salvaguardare   il   diritto
costituzionalmente garantito ad una vita dignitosa e  al  trattamento
economico adeguato al lavoro svolto. 
    Non si potrebbero addurre - come elemento ostativo - le finalita'
pubblicistiche ed il  principio  di  rango  costituzionale  del  buon
andamento della pubblica amministrazione,  che  ispirano  l'indirizzo
restrittivo in tema di progressione in carriera dei supplenti. 
    A suggello di tali notazioni, il giudice  a  quo  rileva  che  la
normativa   contravviene   ai   principi   di   ragionevolezza,    di
proporzionalita'  della  retribuzione,  di  disponibilita'  di  mezzi
adeguati alle esigenze della vecchiaia. 
    Invero, l'innegabile specialita' della disciplina delle supplenze
annuali e temporanee, che inibisce la trasformazione dei rapporti  di
lavoro a termine in rapporti di lavoro  a  tempo  indeterminato,  non
potrebbe compromettere il diritto alle indennita' di  quiescenza  e/o
di fine rapporto. 
    La  disciplina  impugnata,  dal  punto  di  vista   del   giudice
rimettente, determina un ingiustificato arricchimento della  pubblica
amministrazione  e  un  depauperamento  del  lavoratore,  tanto  piu'
censurabile in quanto coincide col momento «particolarmente delicato»
di transizione allo status di pensionato. 
    L'ordinanza di rimessione pone in risalto la  peculiarita'  della
posizione della ricorrente, che si vede pregiudicato il diritto  alle
indennita' di  fine  rapporto  per  il  carattere  infrannuale  della
nomina, benche' le funzioni svolte siano uguali in tutto e per  tutto
a quelle degli insegnanti con nomina annuale. 
    2.-  E'  intervenuto  nel  giudizio  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS),  quale  successore  ex  lege  dell'INPDAP,
concludendo per la manifesta inammissibilita' della questione  e,  in
via gradata, per la sua infondatezza. 
    Quanto all'inammissibilita', la difesa  dell'INPS  specifica  che
l'ordinanza della Corte costituzionale n. 99  del  2011  non  e'  una
pronuncia di mero rito e si addentra anche nella disamina del merito,
rilevando la mancanza di concreti elementi a sostegno delle censure. 
    La questione - soggiunge la  difesa  dell'Istituto  -  si  palesa
infondata  anche  nel  merito,  in   quanto   il   requisito   minimo
d'iscrizione al  Fondo  di  previdenza  per  il  personale  civile  e
militare dello Stato non determina  discriminazioni  di  sorta  e  la
tutela previdenziale dei lavoratori a tempo determinato  e'  affidata
alla discrezionalita' del legislatore. 
    L'INPS specifica che, in quest'ambito, l'art.  1,  comma  9,  del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  20  dicembre  1999
(Trattamento di fine rapporto e istituzione dei  fondi  pensione  dei
pubblici dipendenti), ha dettato, per le situazioni successive al  30
maggio 2000, una disciplina innovativa e compiuta. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha concluso per l'inammissibilita'  e,  in  ogni  caso,  per
l'infondatezza della questione. 
    A tali esiti, secondo la difesa dello Stato, conducono numerosi e
concorrenti rilievi. 
    Anzitutto, il giudice rimettente, pur dando atto che, per  cinque
anni, gli incarichi hanno avuto durata  superiore  all'anno,  non  si
preoccuperebbe di approfondire le implicazioni di tale aspetto  sulla
fondatezza  della  pretesa  azionata   e,   conseguentemente,   sulla
rilevanza della questione. 
    In secondo luogo, l'Avvocatura generale  dello  Stato  imputa  al
giudice   rimettente   di   non   avere   esplorato    una    lettura
costituzionalmente  orientata  della  normativa,  trascurando  quella
giurisprudenza di merito che, per  gli  incarichi  avvicendatisi  nel
tempo,  configura  l'unicita'  dei  rapporti   tra   il   docente   e
l'amministrazione di appartenenza. 
    La difesa dello Stato  si  duole,  inoltre,  che  l'ordinanza  di
rimessione non chiarisca per quale via il principio  di  eguaglianza,
il diritto alla giusta retribuzione e a un  adeguato  trattamento  di
vecchiaia siano pregiudicati dalla normativa impugnata. 
    Anche a  voler  trascurare  tali  rilievi,  l'accoglimento  della
questione   incontrerebbe   un    ostacolo    insormontabile    nella
discrezionalita' del legislatore. 
    Al  prudente  apprezzamento  del  legislatore,  difatti,  sarebbe
demandata  la  scelta  tra  le  molteplici  soluzioni  possibili  con
riguardo  alla  determinazione  dei  criteri  per  l'accesso  a  tali
benefici. 
    Quanto alle pronunce, che  l'ordinanza  di  rimessione  invoca  a
sostegno dei propri asserti, la difesa dello Stato evidenzia che  non
hanno mai censurato la razionalita' complessiva del sistema,  che  ha
uno dei suoi capisaldi nel requisito dell'anno d'iscrizione al  Fondo
di previdenza per il personale civile e  militare  dello  Stato,  per
l'indennita' di buonuscita, e dell'anno di servizio continuativo, per
l'indennita' di fine rapporto. 
    La  previsione  di  requisiti  minimi  di  continuita'   per   la
concessione  di  alcuni  benefici,  pertanto,  non  potrebbe   essere
stigmatizzata come discriminazione illegittima e rappresenterebbe una
soluzione equilibrata e tutt'altro che arbitraria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 aprile 2013, iscritta  al  n.  167  del
registro  ordinanze  2013,  il  Tribunale  amministrativo   regionale
dell'Umbria dubita della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre
1973, n.  1032  (Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sulle
prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili  e  militari
dello Stato), e dell'art. 9, primo comma, del decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato  4  aprile  1947,  n.  207  (Trattamento
giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in  servizio
nelle Amministrazioni dello Stato),  in  riferimento  agli  artt.  3,
primo  comma,  36,  primo  comma,  e   38,   secondo   comma,   della
Costituzione. 
    L'art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 1032 del 1973 richiede,  per
il maturare del diritto all'indennita' di buonuscita, almeno un  anno
d'iscrizione al  Fondo  di  previdenza  per  il  personale  civile  e
militare dello Stato. 
    Quanto all'art. 9, primo comma, del d.lgs.C.p.S. n. 207 del 1947,
la disposizione subordina il sorgere del  diritto  all'indennita'  di
fine  rapporto  alla  prestazione  di  almeno  un  anno  di  servizio
continuativo. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale non investono  il  profilo
della successione degli  incarichi  di  supplenza  infrannuale  e  si
appuntano sulle implicazioni previdenziali di  tali  rapporti  e,  in
particolare, sulla disciplina antecedente alla  novella,  recata  dal
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  20  dicembre  1999
(Trattamento di fine rapporto e istituzione dei  fondi  pensione  dei
pubblici dipendenti), che,  nei  termini  tratteggiati  dall'art.  1,
comma 9, ha accordato il trattamento di fine rapporto (art. 2120  del
codice civile) anche a chi lavora a tempo determinato alle dipendenze
delle  pubbliche  amministrazioni  per  periodi  inferiori   all'anno
solare. 
    Tale normativa, che dispiega i propri effetti dal 30 maggio 2000,
non si applica ratione temporis alla vicenda controversa. 
    Il giudice rimettente assume che le disposizioni  censurate,  con
precipuo  riguardo  alla  posizione  dei  supplenti   con   incarichi
inferiori all'anno, contrastino con gli artt.  3,  primo  comma,  36,
primo comma, e 38, secondo comma, Cost., e configurino una violazione
dei   principi   di   ragionevolezza,   di   proporzionalita'   della
retribuzione e di disponibilita'  di  mezzi  adeguati  alle  esigenze
della vecchiaia. 
    La  disciplina  impugnata,   compromettendo   il   diritto   alle
indennita'  di  quiescenza,  riserverebbe  un  trattamento  deteriore
proprio ai soggetti che, in ragione dell'accentuata  precarieta'  del
rapporto,  sarebbero  piu'   bisognosi   di   tutela   nel   «momento
particolarmente delicato, qual e' il  passaggio  alla  condizione  di
pensionato». 
    Le    disposizioni    censurate,    inoltre,     determinerebbero
un'illegittima  disparita'  di  trattamento  tra  i   supplenti   con
incarichi   annuali,   che   beneficiano   di   un'adeguata    tutela
previdenziale,  e  i  supplenti  con  incarichi  inferiori  all'anno,
pregiudicati benche' svolgano funzioni «uguali in tutto e per tutto a
quelle degli insegnanti con nomina annuale». 
    2.-   Occorre,   in   via   preliminare,   sgombrare   il   campo
dall'eccezione d'inammissibilita', mossa dalla  difesa  dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS). 
    L'INPS ritiene preclusa  la  riproposizione  della  questione  di
legittimita' costituzionale, sulla scorta del rilievo che l'ordinanza
n. 99 del 2011, pur arrestandosi ad  una  declaratoria  di  manifesta
inammissibilita', non abbia  mancato  di  affrontare  taluni  profili
inerenti al merito. 
    L'ordinanza n. 99 del 2011, che racchiude una pronuncia  di  mero
rito, non e' d'ostacolo alla riproposizione dell'odierna questione di
legittimita' costituzionale. 
    L'ordinanza di rimessione, oggi al vaglio  di  questa  Corte,  e'
incentrata su argomentazioni piu' articolate rispetto a quelle  della
precedente  ordinanza,  che  si  limitava  ad  un  mero  rinvio   per
relationem alle deduzioni delle parti. 
    La diversita' delle  argomentazioni  e'  un  elemento  distintivo
sufficiente a tracciare  una  nitida  linea  di  discontinuita'  e  a
scongiurare il rischio di un bis in idem, che si risolverebbe in  una
surrettizia impugnazione della precedente decisione di  questa  Corte
(sentenza n. 113 del 2011). 
    2.1.-  L'ordinanza  di  rimessione,  inoltre,  si  sottrae   alle
ulteriori eccezioni d'inammissibilita', sollevate dalla difesa  dello
Stato con riguardo al difetto di motivazione sulla rilevanza, per  un
verso, e, per altro verso, con riguardo  al  mancato  esperimento  di
un'interpretazione costituzionalmente compatibile. 
    L'ordinanza di rimessione - ad avviso della difesa dello Stato  -
non chiarisce se gli incarichi, conferiti  alla  ricorrente,  abbiano
avuto sempre  durata  inferiore  all'anno  e  se  l'eventuale  durata
superiore all'anno possa  incidere  sulla  fondatezza  della  pretesa
azionata e, specularmente, sulla rilevanza della questione. 
    Tale critica non coglie nel segno, in quanto il giudice a quo, al
punto 1.2. delle Considerazioni in diritto, argomenta che il servizio
della ricorrente, per alcuni periodi, si e' modulato in incarichi  di
durata inferiore all'anno. 
    Per quel che attiene a tali incarichi, dunque,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  normativa,   che   sancisce   il
requisito    dell'anno    di    servizio    continuativo,     riveste
un'indiscutibile rilevanza e tale rilevanza  non  e'  scalfita  dalla
presenza di incarichi protrattisi per un periodo superiore all'anno. 
    2.2.- L'ordinanza di rimessione non presta il fianco neppure alla
critica, di non avere  sperimentato  un'interpretazione  conforme  al
dettato costituzionale. 
    Il giudice rimettente ha mostrato di aderire al diritto  vivente,
inequivocabile nell'escludere un nesso di continuita' tra i disparati
incarichi di supplenze per l'insegnamento,  che,  pur  avvicendandosi
nel tempo, sono  contraddistinti  da  un  carattere  «ontologicamente
precario» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza  21  settembre
2010, n. 6993). 
    Secondo tale  indirizzo,  che  il  giudice  rimettente  addita  a
premessa logica dell'incidente di costituzionalita', ciascun incarico
di supplenza e' autonomo rispetto all'altro. 
    Non si puo' ravvisare, pertanto,  un  nesso  di  continuita'  tra
incarichi che si succedono nel tempo,  allo  scopo  di  sopperire  ad
esigenze temporanee. 
    3.- La questione non sfugge, nondimeno, nei  termini  in  cui  e'
stata delineata, ad ulteriori e dirimenti censure d'inammissibilita'. 
    L'ordinanza di rimessione non illustra in maniera convincente  ed
esaustiva ne'  le  ragioni  del  dedotto  contrasto  della  normativa
impugnata con i precetti della Costituzione ne' il senso e la portata
dell'intervento caducatorio richiesto a questa Corte. 
    4.- Tali lacune ridondano  in  profili  d'inammissibilita'  della
questione. 
    4.1.- Per quel che  attiene  al  primo  dei  profili  denunciati,
l'ordinanza non svolge critiche mirate, che avvalorino la prospettata
violazione dei principi  costituzionali  con  riguardo  al  requisito
dell'anno d'iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile
e  militare  dello  Stato  e  ne  dimostrino  l'irragionevolezza,  la
gravosita' sproporzionata, pregiudizievole per i diritti inerenti  al
rapporto previdenziale. 
    4.2.-  Anche  con  riferimento  alla  paventata  violazione   del
principio  di  eguaglianza,   che   e'   prospettata   esclusivamente
dall'angolo visuale della disparita' di trattamento con  i  supplenti
con incarichi annuali, le argomentazioni del giudice  rimettente  non
si diffondono sulle ragioni del contrasto con l'art. 3  Cost.  (punti
6.2. e 6.2.1. delle Considerazioni in diritto). 
    Per quel che riguarda la valutazione comparativa con i  supplenti
con incarichi annuali, specificamente demandata a  questa  Corte,  il
giudice rimettente si limita a richiamare, senza altri  dettagli,  la
pronuncia,  che   ha   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 18 del d.lgs.C.p.S. n. 207 del 1947,  nella  parte  in  cui
negava agli insegnanti non di ruolo con nomina annuale il  diritto  a
percepire l'indennita' di fine rapporto, discriminandoli  rispetto  a
tutti gli altri dipendenti non di ruolo dello Stato (sentenza n.  518
del 1987). 
    Tale pronuncia ha completato il percorso gia' intrapreso  con  la
sentenza  n.  40  del  1973,  che  ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art.  1  della
legge 6 dicembre 1966, n. 1077 (Estensione ai dipendenti  civili  non
di  ruolo  delle  Amministrazioni  dello  Stato   delle   norme   sul
trattamento di quiescenza e di previdenza vigenti per i dipendenti di
ruolo), nella parte in cui non  contemplava  tra  i  destinatari  del
diritto al trattamento di quiescenza e di previdenza a  carico  dello
Stato anche gli insegnanti non di ruolo con nomina annuale. 
    Questa Corte ha affermato che la differente condizione  riservata
agli insegnanti non di ruolo rispetto agli altri  dipendenti  non  di
ruolo dello Stato era sprovvista di ogni  razionale  giustificazione,
giacche' gli uni  e  gli  altri  sono  assunti  per  un  periodo  non
inferiore all'anno e si trovano quindi in condizioni eguali o tali da
essere considerate equivalenti. 
    Nei precedenti citati veniva dunque in rilievo la discriminazione
tra gli insegnanti non di  ruolo  con  nomina  annuale  e  gli  altri
dipendenti non di  ruolo  dell'amministrazione  dello  Stato  con  un
eguale periodo di servizio continuativo. 
    Le  pronunce,  enfatizzate  dal  giudice   rimettente,   non   si
cimentavano in alcun modo con la diversa  fattispecie  dei  supplenti
con nomina inferiore all'anno. 
    Questa Corte, nello scrutinare l'ammissibilita'  della  questione
in  precedenza  sollevata  dallo  stesso  giudice  rimettente,  aveva
precisato che  «nell'occasione  evocata  dal  rimettente,  veniva  in
rilievo la prevista esclusione degli insegnanti con "nomina  annuale"
dal riconoscimento del  diritto  a  percepire  l'indennita'  di  fine
rapporto, non ponendosi in  alcun  modo  in  discussione  la  diversa
posizione (cosi' considerata nello stesso contesto della  motivazione
della  sentenza  n.  518  del  1987)  degli  insegnanti  con   nomina
infra-annuale (analogamente, si veda anche sentenza n. 40 del  1973)»
(ordinanza n. 99 del 2011 gia' citata). 
    Anche tale precisazione conferma che al caso  di  specie  non  si
attaglia una pronuncia, chiamata  ad  analizzare  un'ipotesi  diversa
(l'indennita' di fine rapporto dei supplenti con  nomina  annuale)  e
ispirata a una diversa ratio decidendi e alla necessita' di rimuovere
le disparita' di trattamento tra supplenti e altri dipendenti non  di
ruolo dell'amministrazione dello Stato, che  possiedano  entrambi  il
requisito dell'anno di servizio continuativo. 
    Tale requisito, qui messo in discussione, non era in  alcun  modo
sospettato d'irragionevolezza nei precedenti citati, che non possono,
pertanto, corroborare le ragioni del rimettente. 
    Le due ipotesi non possono essere assimilate, giacche'  divergono
in un elemento cruciale (la durata dell'incarico), che puo' assurgere
ad elemento distintivo non  irragionevole  anche  con  riguardo  alla
modulazione della tutela previdenziale (ordinanze n. 438 del  2000  e
n. 710 del 1988). 
    4.3.- Anche con riferimento all'anno  di  servizio  continuativo,
che la legge  richiede  per  poter  fruire  dell'indennita'  di  fine
rapporto, le  critiche  non  appaiono  sorrette  da  una  motivazione
persuasiva, idonea a superare il vaglio di ammissibilita' sollecitato
a questa Corte. 
    Il giudice rimettente non revoca in dubbio la razionalita' di  un
requisito  minimo  di  continuita'  del  servizio,  ma  si   prefigge
piuttosto -  per  i  supplenti  -  di  ridefinire  tale  continuita',
disconoscendo ogni rilievo alla cesura tra un incarico di supplenza e
l'altro. 
    E' indicativo, in tal senso, il riferimento  alla  necessita'  di
postulare un «nesso istituzionale di continuita' che lega  i  singoli
contratti (solo formalmente annuali)» e di  considerare  il  rapporto
«nella sua globalita' quantomeno nel momento  in  cui  il  dipendente
giunge al termine dell'attivita'  lavorativa,  con  riferimento  agli
istituti preposti alla previdenza e all'assistenza» (punto 4.3. delle
Considerazioni in diritto dell'ordinanza di rimessione). 
    5.-   Tale   aspetto   introduce   al   secondo    dei    profili
d'inammissibilita' denunciati, concernente la  carenza  d'indicazioni
perspicue e coerenti sul senso  dell'intervento  richiesto  a  questa
Corte. 
    5.1.-  La  caducazione  integrale  del  requisito  dell'anno   di
servizio continuativo mal si accorda con un'ordinanza di  rimessione,
che  non  enuncia   argomenti   per   dimostrare   l'irragionevolezza
intrinseca del  presupposto  della  continuita'  del  servizio  e  si
propone, piuttosto, di calibrare tale requisito  alla  stregua  della
particolarita' degli incarichi di supplenza. 
    Non e' dato comprendere in quali termini  debba  tradursi,  nella
declaratoria d'illegittimita' costituzionale  che  e'  richiesta,  la
necessita' di considerare in maniera globale  i  rapporti  che  hanno
legato i docenti supplenti alle amministrazioni di appartenenza. 
    Da tale necessita', che  certo  non  condurrebbe  alla  pronuncia
ablativa pura e semplice menzionata nel  dispositivo,  scaturisce  la
necessita' di ridefinire  in  radice,  per  i  supplenti,  la  stessa
nozione di continuita' del servizio. 
    Nondimeno, un  tale  intervento  manipolativo,  tanto  penetrante
quanto inafferrabile nelle sue coordinate, rischierebbe  di  invadere
lo spazio riservato alla discrezionalita' legislativa, in difetto  di
soluzioni a rime costituzionalmente obbligate. 
    5.2.-  Anche  le  indicazioni   sulla   portata   dell'intervento
richiesto  a  questa  Corte  risentono  delle   incongruenze   appena
segnalate e delle aporie  tra  le  richieste  finali  di  caducazione
radicale e le argomentazioni  piu'  problematiche  dell'ordinanza  di
rimessione. 
    Il  giudice  rimettente,  nel   dispositivo   dell'ordinanza   di
rimessione, chiede - sic et simpliciter - la caducazione di una norma
sul requisito di continuita'  del  servizio,  che  riguarda  tutti  i
dipendenti non di ruolo dell'amministrazione dello  Stato  e  non  la
sola categoria dei supplenti. 
    L'ordinanza di rimessione, che indugia sul peculiare  regime  dei
supplenti, non offre ragguagli ne' sulle  ragioni  di  un  intervento
caducatorio, destinato a riverberarsi su una disciplina applicabile a
tutti i dipendenti non di ruolo dello Stato, ne' sulle ragioni di una
eventuale diversificazione tra la posizione dei  supplenti  e  quella
degli altri dipendenti non di ruolo. 
    Tale diversificazione, peraltro, sarebbe disarmonica rispetto  ad
una linea  di  tendenza,  che  mira  a  ripristinare  un  trattamento
omogeneo tra le varie categorie dei dipendenti non di ruolo (sentenze
n. 518 del 1987 e n. 40 del 1973 gia' citate). 
    6.- Tutti questi  profili  d'inammissibilita',  indissolubilmente
connessi, si frappongono alla disamina del merito della questione.