ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 7,
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in
caso di violazione del termine ragionevole del  processo  e  modifica
dell'articolo 375 del  codice  di  procedura  civile),  promosso  dal
Consiglio di Stato nel  procedimento  vertente  tra  Ministero  della
giustizia e V.E. ed  altri,  con  ordinanza  del  17  febbraio  2014,
iscritta al n. 94 del registro  ordinanze  2014  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  25,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visti l'atto di costituzione di V.E. ed altri nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  23  giugno  2015  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi l'avvocato Giunio Massa per  V.E.  ed  altri  e  l'avvocato
dello Stato Gabriella D'Avanzo per il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Chiamato a decidere in  ordine  alle  impugnazioni  (riunite)
proposte dal Ministero della giustizia avverso undici  decisioni  del
Tribunale amministrativo  regionale  del  Lazio,  relativamente  alla
parte in cui detto TAR, oltre ad accogliere  altrettanti  ricorsi  in
ottemperanza  a  giudicati  di   condanna   dell'Amministrazione   al
pagamento  di  equo  indennizzo  per  eccessiva  durata  di  processi
presupposti, aveva anche  condannato  la  stessa  amministrazione  al
pagamento della cosiddetta penalita' di mora  di  cui  all'art.  114,
comma 4, lettera e), del decreto legislativo 2 luglio  2010,  n.  104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo),  l'adito  Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta   -
ritenuto, in premessa, che l'applicazione della  suddetta  penalita',
in quanto subordinata  all'assenza  di  "ragioni  ostative",  avrebbe
potuto risultare esclusa dal disposto dell'art.  3,  comma  7,  della
legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di
violazione  del  termine  ragionevole   del   processo   e   modifica
dell'articolo 375 del codice di  procedura  civile)  -  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale di detta ultima  norma,  per
la quale «L'erogazione degli indennizzi agli aventi  diritto  avviene
nei limiti delle risorse disponibili». E cio' per sospetto  contrasto
con  l'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione
all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, parametro,  quest'ultimo,  invocato  come  norma
interposta, in quanto non suscettibile, ad avviso del rimettente,  di
condurre   alla   disapplicazione,   ne'   ad   una   interpretazione
adeguatrice, della disposizione nazionale censurata. 
    2.- Si sono costituite, con un'unica memoria, in questo  giudizio
otto delle parti appellate nel processo a  quo,  svolgendo  argomenti
adesivi  alla  prospettazione  di  incostituzionalita'  della   norma
denunciata, ed  escludendo  che  la  correlativa  declaratoria  possa
trovare ostacolo nell'art. 81 Cost., non invocabile  per  legittimare
l'inadempimento delle istituzioni  agli  obblighi  accertati  in  via
definitiva da un proprio organo giurisdizionale. 
    3.- E' intervenuto, altresi', il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, per il tramite dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la
quale  ha   eccepito,   preliminarmente,   l'inammissibilita'   della
questione in esame  per  non  essere  suscettibile,  la  disposizione
censurata, di una reductio legitimitatem "a rima  obbligata".  E,  in
subordine,  ne  ha   contestato   la   fondatezza,   sostenendo   che
«l'interpretazione dell'art. 6, paragrafo 1,  della  CEDU,  da  parte
della Corte di  Strasburgo  -  secondo  cui  la  carenza  di  risorse
disponibili non costituirebbe ex se idoneo fattore giustificativo del
ritardo dello Stato nel dare esecuzione alle decisioni di condanna in
parola - si pone in contrasto con l'art. 81 Cost. -  come  novellato,
dall'art. 1, della legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 - che
ha introdotto, al comma 1,  la  regola  generale  dell'equilibrio  di
bilancio, alla quale e' possibile derogare, ai sensi  del  successivo
comma, facendo ricorso  all'indebitamento  solo  al  "verificarsi  di
eventi eccezionali"». 
    Con successiva memoria la stessa difesa ha,  altresi',  segnalato
come la giurisprudenza del Consiglio di Stato  si  sia  in  prosieguo
orientata nel ritenere che  «l'art.  114  comma  4  cpa  [codice  del
processo amministrativo] attribuisce al giudice dell'ottemperanza uno
strumento per indurre indirettamente  l'amministrazione  ad  eseguire
tempestivamente  l'ordine  di  pagamento  dallo   stesso   formulato;
strumento  ovviamente  non   utilizzabile   per   gli   inadempimenti
pregressi,   generanti,    piuttosto,    obbligazioni    di    natura
risarcitoria». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il denunciato art. 3, comma 7, della legge 24 marzo 2001,  n.
89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile) - nel testo risultante  dalla  modifica  da  ultimo
introdotta dall'art. 55, comma 1, lettera c),  del  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti  per  la  crescita  del  Paese),
convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.  134  -
stabilisce che  «L'erogazione  degli  indennizzi  [per  irragionevole
durata del processo] agli aventi diritto  avviene  nei  limiti  delle
risorse disponibili». 
    2.- Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l'esaurimento
dei fondi destinati (in bilancio  dell'amministrazione  erogante)  al
pagamento degli indennizzi in questione, escluda  in  via  definitiva
l'adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del  2001,  con
riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili. 
    Comporta bensi' unicamente che, in conseguenza di quella  attuale
indisponibilita', il pagamento degli indennizzi di che  trattasi  sia
differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilita'  delle
correlative risorse, ed avvenga, quindi,  in  ritardo  rispetto  alla
data di intervenuta definitivita' del titolo. 
    3.- A tal riguardo, le sezioni unite della  Corte  di  cassazione
hanno anche da ultimo ribadito, con sentenza 19 marzo 2014, n.  6312,
come il ritardo nel pagamento delle somme dovute  in  base  a  titolo
esecutivo ai sensi della legge n.  89  del  2001  non  possa  trovare
rimedio nella legge medesima, ne' dar quindi diritto ad  un'ulteriore
equa riparazione commisurata all'entita' del ritardo. 
    Le  stesse  sezioni  unite  hanno  contestualmente,  per   altro,
dubitato che la corresponsione degli interessi (dal giorno della mora
debendi a quello del  saldo)  costituisca  rimedio,  al  ritardo  nel
pagamento dell'indennizzo per violazione del termine ragionevole  del
processo, esaustivo e compatibile con il precetto di cui all'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, come interpretato dalla Corte di Strasburgo. Atteso che,  per
quest'ultima,   il   ritardo,   nella   realizzazione   del   diritto
all'indennizzo suddetto, darebbe luogo ad  un  ulteriore  "danno  non
patrimoniale", per violazione dell'autonomo  «diritto  [del  soggetto
creditore] all'esecuzione delle decisioni interne  esecutive»:  danno
che andrebbe, come tale, a sua volta risarcito. 
    Cio' premesso, hanno, pero', poi concluso  quelle  sezioni  unite
che «la scelta - tra le molteplici possibili - del rimedio  effettivo
a tale ritardo» non possa essere demandata alla Corte costituzionale,
ma resti, invece, «attribuita anche dalla stessa Convenzione  europea
all'"ampia discrezionalita' del legislatore"». 
    4.- La questione - dell'eventuale contrasto della disposizione di
cui all'art. 3, comma 7, della legge n. 89 del 2001 con  l'art.  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione alla  norma  interposta
di cui all'art. 6, paragrafo 1, della CEDU - e', pero',  ultronea  ed
eccentrica rispetto all'oggetto del processo a quo. 
    4.1.- Cio' che, infatti, in quel giudizio il Collegio  rimettente
e' chiamato a decidere  e'  se  all'Amministrazione  -  convenuta  in
ottemperanza (per ritardato pagamento di indennizzo ex lege n. 89 del
2001) - sia stata legittimamente o meno  applicata  la  penalita'  di
mora  di  cui  all'art.  114,  comma  4,  lettera  e),  del   decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009 n. 69, recante delega al governo per il riordino
del processo amministrativo), a tenore del quale «Il giudice, in caso
di accoglimento del ricorso [...] e salvo che cio' sia manifestamente
iniquo, e  se  non  sussistono  altre  ragioni  ostative,  fissa,  su
richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente [...]». 
    4.2.- Nel risolvere, in senso affermativo il quesito (oggetto  di
precedente contrasto all'interno della giurisprudenza amministrativa)
sulla applicabilita' della suddetta penalita' anche alle sentenze  di
condanna pecuniaria (in  difformita'  da  quanto  previsto  dall'art.
614-bis del codice di procedura civile)  -  l'Adunanza  plenaria  del
Consiglio di Stato, con sentenza 25 giugno  2014,  n.  15,  ha  anche
ribadito la «peculiare natura giuridica» della suddetta penalita'  di
mora, sottolineando che essa «in virtu' della sua diretta derivazione
dal modello  francese  delle  cc.dd.  "astreintes",  assolve  ad  una
finalita' sanzionatoria e non risarcitoria,  in  quanto  non  mira  a
riparare il pregiudizio cagionato dall'esecuzione della  sentenza  ma
vuole sanzionare la  disobbedienza  alla  statuizione  giudiziaria  e
stimolare  il  debitore  all'adempimento»  (cosi'  testualmente  gia'
Consiglio di Stato, sezione quinta, 20 dicembre 2011, n. 6688). 
    4.3.- Nel processo principale e' propriamente  ed  unicamente  la
penalita' di cui all'art. 114, comma 4, lettera e) del citato  d.lgs.
n. 104 del 2010 a venire, dunque, in rilievo, sia pure in ragione  di
un  (genericamente  prospettato)   "probabile",   e   comunque   solo
indiretto,  effetto  ostativo,  alla  sua  applicabilita'  (nel  caso
specifico), ricondotto alla disposizione di cui all'art. 3, comma  7,
della legge n. 89 del 2001. 
    Di conseguenza, non pertinentemente il Collegio rimettente invece
di assumere ad oggetto della questione  sollevata  il  predetto  art.
114, comma 4, lettera e) del d.lgs. n. 104 del 2010 (da  cui  dipende
la  decisione  da  adottare  nella  fattispecie  al  suo  esame),  ha
viceversa denunciato l'art. 3, comma 7, della legge n. 89  del  2001,
in riferimento,  per  di  piu',  all'evocato  (interposto)  parametro
comunitario sul giusto processo e, quindi, nella parte  in  cui  tale
ultima norma non garantirebbe il "risarcimento" integrale  del  danno
da  irragionevole  durata  del  processo:  tema  questo  estraneo  al
giudizio a quo. 
    4.4.- Da qui, appunto, l'inammissibilita', per  aberratio  ictus,
della riferita questione.