ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  2,
della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai  periti,  ai
consulenti  tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le   operazioni
eseguite a richiesta dell'autorita' giudiziaria),  dell'art.  106-bis
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  2002,  n.  115
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di spese di giustizia - Testo A), come  introdotto  dall'art.
1, comma 606, lettera b),  della  legge  27  dicembre  2013,  n.  147
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2014), e dell'art.  1,  comma  607,
della legge n. 147 del 2013,  promossi  dal  Tribunale  ordinario  di
Grosseto con ordinanza del 14 marzo 2014 e dal Tribunale ordinario di
Lecce con ordinanze del 21 e del 28 maggio  e  del  17  giugno  2014,
rispettivamente iscritte ai nn. 121, 177 e 216 del registro ordinanze
2014 e al n. 14  del  registro  ordinanze  2015  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 30,  44  e  50,  prima  serie
speciale, dell'anno 2014 e n.  8,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2015. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  luglio  2015  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 marzo 2014 (r.o. n.  121  del  2014)  il
Tribunale ordinario di  Grosseto,  in  composizione  monocratica,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  106-bis  del   decreto   del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia - Testo A), come introdotto dall'art. 1, comma 606, lettera
b), della legge  27  dicembre  2013,  n.  147  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2014), nella parte in cui dispone la riduzione di un terzo
dei compensi spettanti all'ausiliario del magistrato. 
    Il rimettente riferisce che, nell'ambito del giudizio a quo,  gli
imputati erano stati  ammessi  al  patrocinio  a  spese  dell'Erario.
Poiche' tuttavia tale ammissione non risultava al momento dagli atti,
il provvedimento di liquidazione dei compensi in favore di un  perito
psichiatra era stato adottato, in data 14 febbraio 2014,  secondo  le
tariffe  ordinarie,  cioe'  senza  tener  conto   della   diminuzione
stabilita dall'art. 106-bis del Testo unico in materia  di  spese  di
giustizia.  Il  giudice  a  quo  ritiene,  di  conseguenza,  che   il
provvedimento di liquidazione dovrebbe essere  modificato,  riducendo
l'entita' del compenso. Prima di procedere in tal senso, tuttavia, il
rimettente  solleva  l'odierna   questione,   sul   presupposto   che
l'obbligatoria riduzione sarebbe prescritta in violazione dell'art. 3
Cost., ed in particolare dei principi di uguaglianza,  ragionevolezza
e proporzionalita'. 
    Data la natura  officiosa  degli  incarichi  loro  affidati,  gli
ausiliari  del  magistrato  non  si  troverebbero  in  una  posizione
assimilabile a quella dei difensori, dei consulenti di parte o  degli
investigatori privati, essendo piuttosto in una condizione analoga  a
quella dei pubblici dipendenti che operano nel processo  (magistrati,
personale di cancelleria, agenti  di  polizia  giudiziaria),  la  cui
retribuzione non e' certo condizionata,  ne'  razionalmente  potrebbe
esserlo, dall'intervento dell'Erario per il pagamento delle spese  di
patrocinio. 
    Una violazione del principio  di  uguaglianza  si  riscontrerebbe
anche  riguardo  al  trattamento   discriminatorio   introdotto   tra
ausiliari chiamati ad identiche prestazioni,  in  base  al  dato  del
tutto  estrinseco  dell'intervenuta  ammissione  di  una  parte   del
processo al patrocinio a spese dello Stato. 
    Vi sarebbe anche un piu'  generale  connotato  di  irrazionalita'
della disciplina, poiche' la riduzione de qua interviene  su  criteri
di  computo  gia'  comunemente  ritenuti  inadeguati,  per   difetto,
all'impegno  richiesto  per  le   prestazioni   di   perizia   o   di
interpretariato. Sarebbe dunque aggravata la difficolta', gia'  molto
seria,  di   coinvolgere   soggetti   professionalmente   affidabili,
nell'interesse della giustizia, al fine di  procurare  le  necessarie
prestazioni di consulenza. 
    Il giudice a quo sostiene che  la  questione  sarebbe  rilevante,
perche'  dall'esito  del  giudizio   incidentale   discenderebbe   la
necessita', o non, del prospettato decreto di riduzione  della  somma
liquidata. Dato  il  tenore  univoco  della  disposizione  censurata,
d'altra parte, non  vi  sarebbero  margini  per  una  interpretazione
adeguatrice che eviti l'effetto lesivo denunciato. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio, con atto depositato il 5  agosto
2014, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    Lo Stato avrebbe valutato nella cifra di circa 10 milioni di euro
il risparmio annuo determinato dalla norma censurata, la quale dunque
sarebbe posta a tutela dell'equilibrio di bilancio, nel rispetto  dei
principi di cui agli artt. 81, primo comma, e 117, terzo comma, Cost.
Inoltre, l'indicata riduzione di  spese  implicherebbe  l'ampliamento
delle  possibilita'  di  accesso  al  patrocinio,   assecondando   il
principio solidaristico fissato all'art. 2 Cost. 
    La Corte costituzionale avrebbe gia' ritenuto infondate questioni
poste  riguardo  ad  una  «fattispecie  sostanzialmente  analoga  per
materia», concernente l'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012,  n.
1  (Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,  lo  sviluppo  delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, con il  quale
e' stata incisa la disciplina dei  compensi  liquidati  ai  difensori
dall'autorita' giudiziaria (ordinanza n. 261 del 2013). 
    D'altra parte - prosegue  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  -
sarebbe  impropria  l'assimilazione,  proposta  dal  rimettente,  tra
procedimenti nei quali vi sia stata ammissione al patrocinio a  spese
dello  Stato  e  procedimenti   diversi,   come   la   giurisprudenza
costituzionale avrebbe stabilito anche con specifico  riferimento  ai
compensi professionali (sono citate le ordinanze n. 270 del 2012,  n.
203 del 2010 e n. 195 del 2009). 
    3.- Con ordinanza del 21 maggio 2014 (r.o. n. 177  del  2014)  il
Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in  composizione   collegiale,   ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  in  rapporto  a
norme che disciplinano la liquidazione degli onorari  spettanti  agli
ausiliari del giudice. 
    In particolare e' dedotta, in riferimento agli artt. 3, 35, 36  e
53 Cost., l'illegittimita' dell'art. 4, comma 2, della legge 8 luglio
1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti,  ai  consulenti  tecnici,
interpreti e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a  richiesta
dell'autorita' giudiziaria) - nella parte in cui  determina  in  euro
14,68 l'importo liquidabile per la prima vacazione, e  in  euro  8,15
l'importo per le vacazioni successive - nonche' dell'art. 106-bis del
d.P.R. n. 115 del 2002 - come  introdotto  dall'art.  1,  comma  606,
lettera b), della legge n. 147 del 2013 - nella parte in cui  dispone
la riduzione di un terzo dei compensi  spettanti  all'ausiliario  del
magistrato. 
    3.1.- A  titolo  di  premessa,  ed  in  punto  di  rilevanza,  il
rimettente informa che deve procedere alla liquidazione dei  compensi
concernenti lo svolgimento di due incarichi di traduzione, e  afferma
che,  nella  specie,  andrebbero  riconosciute  al   traduttore   tre
vacazioni per ognuno degli incarichi  assegnatigli,  per  un  importo
complessivo di euro 61,96. 
    La somma indicata andrebbe ridotta di un terzo, e quindi fino  ad
euro 41,30, in applicazione del nuovo art. 106-bis del d.P.R. n.  115
del 2002. Assume infatti il Tribunale  che  tale  norma  si  applichi
anche ai traduttori ed interpreti, in quanto ausiliari  del  giudice,
ed a prescindere dall'essere o non riferita la loro prestazione ad un
giudizio nel quale sia stata accolta  una  domanda  di  patrocinio  a
spese dello Stato. Nonostante la sua collocazione, infatti, la  norma
de qua avrebbe portata generale, dovendosi altrimenti  attribuire  al
legislatore  la  scelta,  incongrua,  di  modulare  il  compenso  per
prestazioni identiche sulla base di un elemento del tutto estrinseco,
appunto l'intervento dell'Erario per  il  pagamento  delle  spese  di
patrocinio in favore del non abbiente. 
    3.2.- L'art. 4 della legge n. 319 del 1980 e l'art.  106-bis  del
d.P.R. n. 115 del 2002  contrasterebbero,  come  accennato,  con  gli
artt. 3, 35, 36 e 53 Cost. 
    3.2.1.- Il giudice a quo assume che, pur  essendo  il  traduttore
chiamato ad una prestazione obbligatoria di  ufficio  pubblico  (art.
143, comma 4, del  codice  di  procedura  penale),  riconducibile  ai
doveri di solidarieta' sociale evocati  dall'art.  2  Cost.  ed  alla
nozione di prestazione personale che puo' essere imposta dalla  legge
(art. 23 Cost.), la disciplina  censurata  eccederebbe  i  limiti  di
ragionevolezza nella individuazione di prestazioni esigibili in  nome
dell'interesse comune. 
    3.2.2.- La disciplina  censurata,  in  particolare,  creando  una
«classe  di  operatori  economici»  assoggettati  ad  un  sistematico
sfruttamento economico (dannoso anche in  quanto  limita  l'attivita'
libero professionale) - per di piu' posto in essere da  quello  Stato
che dovrebbe assicurare invece una generalizzata tutela  dei  diritti
del lavoro - implicherebbe  anzitutto  il  denunciato  contrasto  con
l'art. 35 Cost. 
    I compensi previsti  dalla  legge,  pur  riscontrando  la  natura
pubblicistica dell'incarico,  dovrebbero  comunque  rapportarsi  alle
tariffe professionali, e sarebbero tanto  piu'  inadeguati  in  forza
della prescritta riduzione di un terzo. 
    3.2.3.- Gli anzidetti fattori di squilibrio  tra  qualita'  della
prestazione  richiesta  e  relativo  compenso  sono  richiamati   dal
Tribunale anche per denunciare la violazione dell'art. 36 Cost. 
    Il  rimettente  afferma   di   non   ignorare   come   la   Corte
costituzionale, con ripetute pronunce (sentenze n. 41 del 1996  e  n.
88 del 1970), abbia escluso il contrasto tra l'art. 4 della legge  n.
319 del 1980 e la norma costituzionale citata, sul presupposto  della
differenza tra prestazione  lavorativa  ed  adempimento  dell'ufficio
pubblico, che in genere e' solo  occasionalmente  conferito,  con  la
conseguenza tra l'altro che non e' possibile  verificare  l'incidenza
della prestazione singolarmente compensata sul reddito nel  complesso
realizzato dal professionista. 
    Il Tribunale ritiene pero' che sussistano le  condizioni  per  un
superamento della giurisprudenza richiamata. L'aumentata richiesta di
assistenza linguistica avrebbe  implicato  un  forte  incremento  del
ricorso ad interpreti e traduttori, molti dei quali,  d'altra  parte,
avrebbero  raggiunto  un  elevato  grado  di   specializzazione,   ed
avrebbero finanche effettuato investimenti utili ad  un  piu'  celere
adempimento dell'ufficio. Gli  incarichi,  dunque,  anche  in  virtu'
delle norme  in  tema  di  incompatibilita',  sarebbero  sempre  meno
saltuari, con riduzione del tempo disponibile per altre attivita', ed
un adeguato compenso per il forte  impegno  richiesto  sarebbe  ormai
essenziale per assicurare una retribuzione compatibile con i  diritti
degli interessati. 
    La legge stessa -  ripete  il  Tribunale  -  farebbe  riferimento
generale alle tariffe professionali per la determinazione delle somme
dovute agli ausiliari,  ed  oltretutto  ne  imporrebbe  un  periodico
adeguamento al costo della vita, mai attuato. Dal canto  proprio,  la
Corte costituzionale, con la  ordinanza  n.  306  del  2012,  avrebbe
espressamente qualificato  i  compensi  dovuti  agli  ausiliari  come
«retribuzione per il lavoro prestato». 
    Insomma,  prevedendo  un  compenso  irrisorio   per   prestazioni
altamente qualificate, le norme censurate  contrasterebbero  con  gli
artt. 35 e 36 Cost. 
    3.2.4.-  Le  norme  in   considerazione   implicherebbero   anche
disparita' di trattamento non giustificate, e quindi  illegittime  ex
art. 3 Cost., non solo tra coloro che  prestano  opera  professionale
sul libero mercato e coloro che svolgono l'identica opera  in  quanto
ausiliari del giudice. Anche all'interno di  quest'ultima  categoria,
infatti,  sarebbero  stati  recentemente  introdotti  trattamenti  di
maggior favore, con vacazioni commisurate sullo spazio di  un'ora,  e
con compensi variabili tra 100 e 400 euro. Il riferimento concerne le
fattispecie regolate dagli artt. 39-quater e seguenti del decreto del
Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (Regolamento  recante
la determinazione dei parametri per la liquidazione da  parte  di  un
organo giurisdizionale dei compensi per le  professioni  regolarmente
vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9  del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27),  come  introdotti  con  l'art.  3,
comma 1, del decreto del Ministro della giustizia 2 agosto  2013,  n.
106. 
    Per quanto voglia riconoscersi alle professionalita'  interessate
dalla nuova normativa un valore particolarmente elevato - osserva  il
rimettente - anche la disciplina risultante dall'art. 4  della  legge
n. 319 del 1980 e dal decreto del Ministro della giustizia 30  maggio
2002  (Adeguamento  dei  compensi  spettanti  ai  periti,  consulenti
tecnici, interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  su
disposizione dell'autorita' giudiziaria in materia civile e  penale),
richiamato dalla legge, e' riferita a prestazioni specialistiche  (ad
esempio,    perizie    grafologiche    e     foniche,     traduzioni,
interpretariato),  che  sarebbero  non  legittimamente   discriminate
rispetto alle altre. 
    Alla  disuguaglianza  non   potrebbe   porsi   rimedio   con   la
disapplicazione  del  risalente  decreto  ministeriale,  direttamente
richiamato dalla legge. Quand'anche poi  si  ritenesse  possibile  il
ricorso  al  criterio  generale  di  liquidazione  dei  compensi  per
prestazioni d'opera o servizi,  fissato  nell'art.  2225  del  codice
civile, la retribuzione resterebbe  incompatibile  col  principio  di
uguaglianza,  perche'  necessariamente  ridotta  di   un   terzo   in
applicazione dell'art. 106-bis del citato d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Il rimettente sostiene che la disciplina  censurata  ostacola  il
buon  andamento   dell'amministrazione   della   giustizia,   poiche'
incentiva i migliori professionisti a sottrarsi  con  ogni  possibile
espediente all'ufficio loro conferito,  e  comunque  spingerebbe  gli
ausiliari ad indicare in eccesso il tempo utilizzato per  la  propria
prestazione, cosi' aggravando gli oneri di controllo  del  giudice  e
determinando un sistema irrazionale, non compatibile con il principio
di ragionevole durata del processo. 
    3.2.5.- La congenita inadeguatezza della disciplina  primaria  di
computo dei compensi - aggravata, come sostiene  il  rimettente,  per
effetto dell'introduzione, nel d.P.R. n. 115 del 2002, del nuovo art.
106-bis, che impone la riduzione di un terzo degli onorari spettanti,
tra l'altro, ai consulenti  nominati  dal  giudice  -  determinerebbe
altresi'  la  violazione  dell'art.  53  Cost.:  verrebbero   infatti
perseguiti obiettivi di bilancio attraverso l'imposizione di oneri ad
una parte soltanto dei contribuenti, senza alcun riguardo per la loro
capacita' contributiva. 
    4.-  E'  intervenuto  nel  giudizio,  con  atto  depositato  l'11
novembre  2014,   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili  ovvero
manifestamente infondate. 
    Sostiene l'Avvocatura generale - in primo luogo - che la  materia
della determinazione dei compensi da corrispondere per le prestazioni
cui sono chiamati gli ausiliari del giudice  sarebbe  riservata  alla
discrezionalita' legislativa, e non sarebbe dunque sindacabile, fuori
del caso della manifesta irrazionalita'. In tal senso si sarebbe piu'
volte gia' pronunciata la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 88
del 1970 e ordinanza n. 128 del 2002). 
    Queste stesse decisioni (cui si aggiunge la sentenza  n.  41  del
1996) smentirebbero l'assunto presupposto alle questioni sollevate ex
artt. 3, 35 e 36  Cost.,  e  cioe'  che  l'attivita'  dell'ausiliario
consista di una  prestazione  di  lavoro.  Sarebbe  dunque  impropria
l'evocazione delle tariffe professionali quale metro  di  riferimento
dei compensi. Resterebbe attuale, d'altra parte, l'impossibilita'  di
valutare l'effettiva incidenza  dei  singoli  contributi  sull'intera
attivita' professionale  degli  interessati,  e  quindi  sui  redditi
complessivamente ricavati dalla medesima attivita'. 
    Anche la presunta violazione  dell'art.  53  Cost.  sarebbe  gia'
stata esclusa dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 2  del
1981), trattandosi di prestazioni di facere prive di  ogni  attinenza
alla capacita' contributiva, e non giustificandosi l'affermazione del
rimettente che la disciplina censurata scaricherebbe solo  su  alcune
categorie di lavoratori i costi delle politiche di bilancio. 
    5.- Con ordinanza del 28 maggio 2014 (r.o. n. 216  del  2014)  il
Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in  composizione   collegiale,   ha
sollevato  plurime  questioni  di  legittimita'   costituzionale   in
rapporto a norme  che  disciplinano  la  liquidazione  degli  onorari
spettanti agli ausiliari del giudice. 
    In particolare, e'  dedotta  l'illegittimita':  1)  dell'art.  4,
comma 2, della legge n. 319 del 1980, nella parte in cui determina in
euro 14,68 l'importo liquidabile per la prima vacazione,  e  in  euro
8,15 l'importo per le vacazioni successive; 2) dell'art. 106-bis  del
d.P.R. n. 115 del 2002,  come  introdotto  dall'art.  1,  comma  606,
lettera b), della legge n. 147 del 2013, nella parte in  cui  dispone
la riduzione di un terzo dei compensi  spettanti  all'ausiliario  del
magistrato; 3) dell'art. 1, comma 607, della citata legge n. 147  del
2013, nella parte in cui stabilisce che la disposizione di  cui  alla
lettera b) del precedente comma  606  si  applica  alle  liquidazioni
successive alla entrata in vigore della stessa legge n. 147 del 2013,
e dunque anche nei casi in cui  la  prestazione  dell'ausiliario  sia
stata completamente espletata in epoca anteriore. 
    La terza delle norme censurate contrasterebbe con l'art. 3 Cost.,
mentre le altre due violerebbero il disposto degli artt. 3, 35, 36  e
53 Cost. 
    5.1.- A  titolo  di  premessa,  ed  in  punto  di  rilevanza,  il
rimettente informa che deve procedere alla liquidazione dei  compensi
concernenti lo svolgimento di dieci incarichi peritali  ad  opera  di
uno stesso soggetto, tutti consistenti in indagini  grafologiche.  La
richiesta del perito e' stata depositata ampiamente oltre il  termine
decadenziale di cui all'art. 71  del  d.P.R.  n.  115  del  2002.  Il
Tribunale, tuttavia, all'esito di una lunga disamina, conclude che il
ritardo sarebbe nella specie dovuto a causa  di  forza  maggiore  (la
malattia e la morte di un familiare dell'interessato), il che,  anche
per effetto di una interpretazione costituzionalmente orientata della
disciplina, dovrebbe escludere l'intervenuta  decadenza  dal  diritto
alla liquidazione, con conseguente necessita' per lo stesso Tribunale
di  valutare  il  merito  della  relativa  domanda,  esercitando  una
funzione   propriamente   giurisdizionale   (idonea    dunque    alla
proposizione dell'incidente di costituzionalita'). 
    Sempre a titolo di premessa,  dopo  aver  ricostruito  il  quadro
normativo  in  materia,  il  rimettente  afferma  che  nella   specie
andrebbero riconosciute al perito 110 vacazioni per ognuno dei  dieci
incarichi assegnatigli, per un  importo  complessivo  che,  al  lordo
della prescritta riduzione di un terzo, assommerebbe a 9.033,00 euro,
cui dovrebbe aggiungersi una piccola somma ulteriore per i  tempi  di
trasferimento e permanenza presso gli uffici giudiziari. 
    Il  compenso,  secondo  il  rimettente,  non   sarebbe   adeguato
all'impegno profuso dal perito per  l'espletamento  degli  incarichi.
D'altra  parte,  pur  essendosi  gli  incarichi  anzidetti   esauriti
(compreso  l'esame  del  perito   in   sede   dibattimentale)   prima
dell'entrata in  vigore  della  legge  n.  147  del  2013,  l'importo
indicato  dovrebbe  essere  ridotto  di   un   terzo,   portando   la
retribuzione oraria per le vacazioni successive alla prima  sotto  la
soglia dei 3 euro. Assume infatti il Tribunale che il menzionato art.
106-bis  del  d.P.R.   n.   115   del   2002   dev'essere   applicato
«retroattivamente», anche ai periti d'ufficio in quanto ausiliari del
giudice, a prescindere dalla circostanza che la loro  prestazione  si
riferisca ad un giudizio nel quale sia stata accolta una  domanda  di
patrocinio a spese  dello  Stato.  Nonostante  la  sua  collocazione,
infatti, la norma de qua dovrebbe essere interpretata nel senso della
sua applicabilita' a qualunque giudizio penale, poiche' altrimenti si
determinerebbe una ingiusta discriminazione  tra  gli  ausiliari  del
magistrato, per prestazioni identiche, sulla base di un elemento  del
tutto estrinseco, appunto l'intervento dell'Erario per  il  pagamento
delle spese di patrocinio in favore del non abbiente. 
    5.2.- L'art. 4 della legge 319 del 1980  contrasterebbe  con  gli
artt. 3, 35, 36 e 53 Cost., per ragioni che il rimettente collega, in
larga parte, anche agli effetti prodotti dalla riduzione dei compensi
prescritta dall'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Riprendendo  gli  argomenti  esposti  nella  propria   precedente
ordinanza (r.o. n. 177 del 2014), il  Tribunale  ordinario  di  Lecce
rileva che l'inadeguatezza strutturale delle tariffe  previste  dalla
legge  sarebbe  aggravata  da  due  fattori  concorrenti.  Il   primo
consisterebbe nell'omissione degli  adeguamenti  periodici  al  costo
della  vita,  che  pur  sono  imposti  dalla  legge  (e  sono   stati
sollecitati dalla stessa Corte  costituzionale).  Il  secondo,  nella
previsione del nuovo art. 106-bis del d.P.R. n.  115  del  2002,  dal
quale discende la necessita' di  ridurre  di  un  terzo  gli  importi
calcolati secondo la gia' deficitaria disciplina della legge  n.  319
del 1980. L'indicata diminuzione non potrebbe  giustificarsi  per  la
natura pubblicistica del rapporto cui accede la prestazione,  poiche'
di tale natura la legge gia' terrebbe conto, ex  art.  50  del  Testo
unico, dettando i criteri di quantificazione  primaria  dei  compensi
dovuti agli ausiliari. 
    Si ribadisce, dunque, dal Tribunale, che la disciplina  censurata
darebbe vita ad una «classe di operatori economici»  assoggettati  ad
un sistematico  sfruttamento,  proprio  da  parte  dello  Stato,  con
violazione concorrente degli artt. 35 e 36 Cost. 
    5.3.- Sempre riprendendo argomenti gia' svolti  nella  precedente
ordinanza, il rimettente denuncia  anche,  e  nuovamente,  violazioni
dell'art. 3 Cost., poiche' l'art. 4, comma 2, della legge n. 319  del
1980 determinerebbe disparita' di trattamento  non  giustificate  tra
coloro che prestano opera professionale sul libero mercato  e  coloro
che prestano  l'identica  opera  in  quanto  ausiliari  del  giudice.
Inoltre, pur essendo  applicabile  anche  a  prestazioni  di  elevato
livello specialistico, la stessa  norma  prevedrebbe  compensi  assai
minori di quelli riconosciuti ad  altri  ausiliari  del  giudice,  ai
quali - secondo il Tribunale - si riferirebbero gli artt. 39-quater e
seguenti del d.m. n. 140 del 2012, come introdotti con  d.m.  n.  106
del 2013. 
    Il rimettente esclude, anche in questo caso, la  possibilita'  di
disapplicare le tariffe previste dal d.m. 30 maggio 2002, e di  nuovo
afferma che, del resto, neppure il  ricorso  ai  criteri  di  computo
dell'art. 2225 cod. civ. garantirebbe agli ausiliari una retribuzione
adeguata, data la necessaria riduzione di un  terzo  in  applicazione
dell'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    5.4.- Il Tribunale insiste  nell'assunto  per  cui  la  congenita
inadeguatezza della  disciplina  primaria  di  computo  dei  compensi
sarebbe stata aggravata dall'introduzione,  nel  d.P.R.  n.  115  del
2002, del nuovo art. 106-bis. Tale ultima norma e' posta  ad  oggetto
di autonoma censura, anch'essa per  il  ritenuto  contrasto  con  gli
artt. 3, 35, 36 e  53  Cost.,  proprio  in  quanto  non  farebbe  che
aggravare  i  profili  di  illegittimita'  costituzionale  che   gia'
connotano l'art. 4 della legge n. 319 del 1980. 
    Con specifico riguardo al denunciato art. 106-bis, il  rimettente
sottolinea  poi  l'asserita  violazione  dell'art.   53   Cost.:   il
legislatore avrebbe perseguito risparmi di bilancio  scaricandone  il
costo su una limitata categoria di lavoratori, senza  alcun  riguardo
alla loro capacita' contributiva. 
    5.5.- Ancora, il Tribunale deduce la violazione dell'art. 3 Cost.
con riguardo al comma 607 dell'art. 1 della legge n.  147  del  2013,
ove  sarebbe  disposta  l'efficacia  retroattiva  della  prescrizione
relativa alla diminuzione degli onorari peritali. 
    La norma infatti provocherebbe una discriminazione tra  i  periti
che abbiano ultimato le proprie prestazioni prima della  sua  entrata
in vigore, a seconda che il  giudice  abbia  o  non  provveduto  alla
valutazione delle relative domande di liquidazione. 
    Inoltre, si tratterebbe di una disciplina sostanziale che produce
effetti retroattivi su rapporti non di  durata,  e  per  cio'  stesso
suscettibile di indurre ingiustificate disparita' di trattamento.  E'
vero - osserva il Tribunale - che il principio  della  produzione  di
effetti solo per il futuro non assume illimitata  valenza  sul  piano
costituzionale, quando si tratti di leggi che incidono su rapporti di
natura civile. Occorre tuttavia che l'effetto retroattivo non produca
conseguenze  irragionevoli,  con  frustrazione  dell'aspettativa  dei
consociati  nella  stabilita'   delle   situazioni   giuridiche.   In
particolare, non sarebbe possibile regolare  sfavorevolmente  per  il
privato rapporti intrattenuti con  la  pubblica  amministrazione  (e'
citata la  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  92  del  2013,
relativa alla decurtazione con  efficacia  retroattiva  dei  compensi
previsti per i custodi giudiziari). E cio' varrebbe a maggior ragione
per i rapporti non di durata, nel cui ambito il  privato  abbia  gia'
svolto per intero la  propria  prestazione,  e  solo  la  controparte
pubblica sia chiamata ad adempiere la propria obbligazione,  che  non
potrebbe essere ridotta senza alcuna razionale giustificazione. 
    L'applicazione     della     giurisprudenza     sulla      tutela
dell'affidamento, secondo il giudice  a  quo,  non  sarebbe  preclusa
dalla natura non negoziale del rapporto tra l'ausiliario del  giudice
e l'amministrazione pubblica. Per quanto obbligatoria, la prestazione
non sarebbe del tutto priva di una  base  volontaristica,  visto  che
deve essere normalmente richiesta a  soggetti  iscritti  in  appositi
albi, nei quali sono stati inseriti su loro domanda: una domanda  che
sarebbe determinata, a sua  volta,  da  una  ragionevole  aspettativa
circa  la  convenienza  economica  dell'effettuazione  di  consulenze
professionali  in  ambito  giurisdizionale.  Da  questa  valutazione,
secondo  il   Tribunale,   scaturirebbe   comunque   un   affidamento
tutelabile, pur nell'assenza di un  negozio  volontario  quale  causa
prossima della prestazione in favore dello Stato. 
    La  denunciata  irragionevolezza  sarebbe   massima   una   volta
riferita, addirittura, a  prestazioni  gia'  completamente  esaurite,
come nella specie, prima della legge retroattiva. 
    6.- E' intervenuto  nel  giudizio,  con  atto  depositato  il  23
dicembre  2014,   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che   le   questioni   siano   dichiarate   manifestamente
inammissibili ovvero infondate. 
    6.1.- In primo luogo. le questioni concernenti i commi 606 e  607
dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013 sarebbero prive di  rilevanza
nel giudizio a quo. Erroneamente si sarebbe sostenuto, dal Tribunale,
che la riduzione (retroattiva) di  un  terzo  dei  compensi  riguardi
anche i procedimenti non interessati da provvedimenti  di  ammissione
al patrocinio a spese dell'Erario.  La  soluzione  contraria  sarebbe
imposta dalla sede nella quale  la  nuova  norma  e'  stata  inserita
(cioe' quella della disciplina del patrocinio per i non abbienti  nel
processo penale) e dalla stessa  ratio  dell'intervento  di  riforma,
mirato a ridurre la spesa pubblica, dunque giustificato nei soli casi
in cui le spese del procedimento, anziche' essere poste a carico  del
condannato, sarebbero comunque sostenute dall'Erario. 
    6.2.- La finalita' appena  indicata  renderebbe  comunque  conto,
secondo  l'Avvocatura  generale,  dell'infondatezza  delle  questioni
sollevate. Sarebbe stato infatti perseguito, riducendo i compensi per
tutti  i  soggetti  che  agiscono  nell'ambito  del  processo  penale
concernente persone non  abbienti,  un  «valore  supremo»,  cioe'  la
necessita' di contenere la spesa pubblica, ed in particolare  quella,
ormai  asseritamente  ingentissima,  per  il   patrocinio   a   spese
dell'Erario,  da  rendere  comunque  compatibile  in  un  quadro   di
complessiva riduzione delle risorse disponibili per l'amministrazione
della giustizia. 
    In tale quadro,  la  clausola  di  retroattivita'  per  la  nuova
riduzione del terzo, relativamente a compensi non  ancora  liquidati,
sarebbe  indispensabile  per  rendere  concreto   ed   immediato   il
necessario risparmio di spesa. Non si  tratterebbe,  quindi,  di  una
deroga irragionevole al principio  di  efficacia  solo  futura  della
legge. 
    Quanto alla pretesa sperequazione tra soggetti che avessero  gia'
presentato richiesta di liquidazione  dei  compensi  nel  momento  di
entrata in vigore della norma censurata, a seconda della  maggiore  o
minore  celerita'   dei   giudici   per   l'adozione   del   relativo
provvedimento, si tratterebbe di un inconveniente di mero fatto,  non
direttamente riconducibile alla disciplina censurata. 
    7.- Con ordinanza del 17 giugno 2014 (r.o. n.  14  del  2015)  il
Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in  composizione  monocratica,   ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  in  rapporto  a
norme che disciplinano la liquidazione degli onorari  spettanti  agli
ausiliari del giudice. 
    In particolare e' dedotta, in riferimento agli artt. 3, 36  e  53
Cost., l'illegittimita' dell'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del  2002
- come introdotto dall'art. 1, comma 606, lettera b), della legge  n.
147 del 2013 - nella parte  in  cui  non  subordina  l'applicabilita'
della  prevista  riduzione  di  un  terzo  dei   compensi   spettanti
all'ausiliario del giudice «all'effettivo adeguamento periodico delle
tabelle relative [...], previsto dall'art. 54 del d.P.R. n.  115  del
2002». 
    E' sollevata, inoltre, in riferimento agli artt. 3  e  53  Cost.,
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  607,
della  legge  n.  147  del  2013,  nella  parte  in  cui,  prevedendo
l'applicazione del comma precedente  per  tutte  le  liquidazioni  da
effettuarsi dopo l'entrata in vigore della medesima legge, impone  la
riduzione  di  un  terzo  anche   con   riferimento   a   prestazioni
professionali in tutto od in parte antecedenti alla legge medesima. 
    7.1.- A  titolo  di  premessa,  ed  in  punto  di  rilevanza,  il
rimettente informa che deve procedere alla liquidazione dei  compensi
concernenti lo svolgimento di una  perizia  sull'imputabilita'  della
persona sottoposta a giudizio. 
    Il rimettente osserva che, nella specie, deve  applicarsi  l'art.
24 del d.m. 30 maggio 2002, e che, valutati i valori minimi e massimi
previsti dalla disciplina, ed il pregio  concreto  dell'opera  svolta
dal perito, andrebbe liquidata la somma  di  240,00  euro,  oltre  ad
altri 205,81 euro  di  rimborso  per  spese  previamente  autorizzate
(somministrazione di test psicologici). Sul  primo  importo  dovrebbe
applicarsi la riduzione di un terzo prevista dal nuovo  art.  106-bis
del d.P.R. n. 115 del 2002, sebbene la prestazione sia  stata  svolta
per  la  gran  parte  (cioe'  con  la   sola   eccezione   dell'esame
dibattimentale) prima dell'entrata in vigore della legge n.  147  del
2013,  poiche'  la  richiesta  di  liquidazione   del   compenso   e'
intervenuta successivamente alla novella, e trova dunque applicazione
il comma 607 dell'art. 1 della stessa legge n. 147 del 2013. 
    Le norme censurate sarebbero senz'altro applicabili nel  caso  di
specie, posto che si procede nei confronti di persona gia' ammessa al
patrocinio a spese dell'Erario. 
    7.2.- Il Tribunale ritiene che la prevista riduzione del compenso
non possa trovare  giustificazione  nella  natura  pubblicistica  del
relativo incarico, posto che di tale natura la legge gia' tiene conto
a livello di  disciplina  primaria  dei  criteri  di  determinazione,
secondo il disposto dell'art. 50 del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    E' motivato dal rimettente, in primo luogo, il  giudizio  di  non
manifesta   infondatezza   del   dubbio    concernente    l'efficacia
"retroattiva" della previsione. E'  vero  -  si  sostiene  -  che  la
giurisprudenza   costituzionale   ha    ritenuto    ammissibile    la
retroattivita' di disposizioni sopravvenute a  regolare  rapporti  di
natura civile; tuttavia, nella  specie,  sarebbe  stato  superato  il
limite   della   ragionevolezza    e    della    necessaria    tutela
dell'affidamento nella  sicurezza  delle  situazioni  giuridiche  (e'
citata, tra l'altro, la sentenza della Corte costituzionale n. 92 del
2013). 
    Non si sarebbe infatti in presenza di un rapporto di  durata,  ma
di una prestazione gia' eseguita, completamente o per la gran  parte,
da un determinato soggetto, a fronte della quale interviene una norma
che riduce la portata della prestazione dovuta dall'altra parte.  Ne'
la riduzione potrebbe essere giustificata nell'ottica di un  recupero
di proporzionalita', poiche' anzi sussisterebbe  l'esigenza  opposta,
visto  che  lo  Stato,  pure  impegnato  dalla  legge  ad  effettuare
adeguamenti triennali delle tabelle per i  compensi  agli  ausiliari,
sarebbe inadempiente in proposito da oltre 12 anni. 
    Non rileva, secondo il Tribunale, la fonte  non  negoziale  della
prestazione, e del resto quest'ultima non  sarebbe  del  tutto  priva
d'un connotato di volontarieta', visto  che  gli  incarichi  peritali
devono di norma essere conferiti a soggetti che siano stati iscritti,
su loro domanda, in appositi albi. 
    7.3.-  Riprendendo  argomenti  gia'   svolti   nelle   precedenti
ordinanze (r.o. n. 177 e n. 216 del 2014), il Tribunale ordinario  di
Lecce assume che la norma con la quale e' imposta la riduzione di  un
terzo dei compensi  per  gli  ausiliari  del  giudice  confligge,  in
particolare, con gli artt. 3  e  36  Cost.,  anzitutto  perche'  tali
compensi diverrebbero inferiori, in misura non ragionevole, a  quelli
spettanti per identiche prestazioni, secondo i  criteri  di  mercato.
D'altra  parte,  sempre  richiamando  argomenti   gia'   svolti,   il
rimettente  sostiene  che  dovrebbe  essere  superata  la   risalente
giurisprudenza costituzionale sull'irrilevanza  della  materia  nella
prospettiva dell'art. 36 Cost.,  poiche',  in  ragione  di  mutamenti
normativi e sociali, molti specialisti (anche  psichiatri)  sarebbero
ormai impegnati in misura esclusiva o prevalente quali ausiliari  del
giudice, da cio' dovendo ricavare una retribuzione proporzionata alla
qualita'  e  quantita'  del  lavoro  prestato,  e  tale  comunque  da
assicurare una esistenza libera e dignitosa. 
    La legge stessa -  ripete  il  Tribunale  -  farebbe  riferimento
generale alle tariffe professionali per la determinazione delle somme
dovute agli ausiliari,  ed  oltretutto  ne  imporrebbe  un  periodico
adeguamento  al  costo  della  vita,  mai   attuato   nonostante   le
sollecitazioni in tal senso della  Corte  costituzionale.  Dal  canto
proprio quest'ultima, con la  ordinanza  n.  306  del  2012,  avrebbe
espressamente qualificato  i  compensi  dovuti  agli  ausiliari  come
«retribuzione per il lavoro prestato». 
    7.4.- Il Tribunale assume infine che, considerate insieme, le due
norme  censurate  violerebbero  anche   l'art.   53   Cost.   perche'
finalizzate al perseguimento  di  obiettivi  di  bilancio  attraverso
l'imposizione di oneri ad una parte soltanto dei contribuenti,  senza
alcun riguardo per la loro capacita' contributiva. 
    8.- E' intervenuto nel giudizio, con atto depositato il 17  marzo
2015, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. 
    La finalita' delle norme censurate sarebbe quella  di  realizzare
un risparmio di spesa nell'ambito di procedimenti ove,  in  linea  di
tendenza,  le  stesse  spese  processuali   si   pongono   a   carico
dell'Erario, invece che dell'eventuale  condannato.  Il  contenimento
della spesa pubblica sarebbe «valore supremo»,  tale  da  legittimare
l'intervento legislativo, anche  data  la  dilatazione  pregressa  ed
incontrollata degli oneri connessi al patrocinio a spese dello Stato. 
    La  retroattivita'  della  previsione   censurata   non   sarebbe
irragionevole, in quanto diretta a provocare un risparmio  immediato.
Il trattamento eventualmente differenziato di ausiliari che  avessero
gia' richiesto la liquidazione dei compensi alla data di  entrata  in
vigore  della  novella,  a  seconda  che  il  giudice  avesse  o  non
provveduto sulle istanze, rappresenterebbe un inconveniente di fatto,
non direttamente riconducibile alla disciplina denunciata (e'  citata
la sentenza della Corte costituzionale n. 362 del 2008). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con quattro distinte ordinanze,  il  Tribunale  ordinario  di
Grosseto in composizione monocratica (r.o. n.  121  del  2014)  e  il
Tribunale ordinario di Lecce in composizione monocratica (r.o. n.  14
del 2015) e collegiale (r.o.  n.  177  e  n.  216  del  2014),  hanno
sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  in  relazione  a
norme che disciplinano, tra l'altro, la  liquidazione  degli  onorari
spettanti agli ausiliari del magistrato. 
    Sono censurate, in particolare, tre distinte disposizioni. 
    Anzitutto, e' in questione l'art.  4,  comma  2,  della  legge  8
luglio 1980, n. 319 (Compensi  spettanti  ai  periti,  ai  consulenti
tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a
richiesta dell'autorita' giudiziaria), nella parte in  cui  determina
in euro 14,68 l'importo liquidabile per la prima vacazione, e in euro
8,15 l'importo per le vacazioni successive. 
    In secondo luogo, e' censurato l'art.  106-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia - Testo A), come introdotto dall'art. 1, comma 606, lettera
b), della legge  27  dicembre  2013,  n.  147  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2014), nella parte in cui dispone la riduzione di un terzo
dei compensi spettanti, tra gli altri, agli ausiliari del magistrato. 
    Infine, e'  proposta  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 607, della legge n. 147 del 2013, nella  parte  in
cui stabilisce che  la  disposizione  di  cui  alla  lettera  b)  del
precedente  comma  606  si  applica  alle   liquidazioni   successive
all'entrata in vigore della stessa legge n. 147 del  2013,  e  dunque
anche nei casi  in  cui  la  prestazione  dell'ausiliario  sia  stata
espletata in epoca anteriore. 
    1.1.- Il Tribunale ordinario di Lecce in composizione collegiale,
con entrambe le proprie ordinanze, censura il citato art. 4, comma 2,
della legge n. 319 del 1980 unitamente al pure  citato  art.  106-bis
del d.P.R. n. 115 del 2002, prospettando  la  violazione  di  diversi
parametri costituzionali. 
    Viene  richiamato,  anzitutto,  l'art.  35  della   Costituzione,
poiche' contrasterebbe con l'obbligo della Repubblica di tutelare  il
lavoro in  tutte  le  sue  forme  ed  applicazioni  l'imposizione  di
prestazioni officiose remunerate con compensi modestissimi e comunque
insufficienti,  anche   in   quanto   non   adeguati   periodicamente
all'aumento del costo della  vita,  ed  anzi,  a  partire  dal  2014,
ridotti nella misura di un terzo. 
    E'  poi  richiamato  l'art.  36  Cost.,  poiche'  la   previsione
censurata  non  assicurerebbe  agli  interessati   una   retribuzione
proporzionata per qualita' e quantita' al lavoro prestato, e in  ogni
caso sufficiente a condurre un'esistenza libera e dignitosa. 
    E' invocato, inoltre, l'art. 3 Cost.,  in  quanto  la  previsione
degli  indicati  compensi   discriminerebbe   irragionevolmente   gli
ausiliari del giudice  rispetto  a  coloro  che  rendano  prestazioni
analoghe in base alle tariffe professionali di mercato, ed  anche  in
quanto, tra gli stessi ausiliari del giudice, discriminerebbe  coloro
ai quali e' applicabile la norma censurata rispetto alle categorie di
consulenti cui si applica invece la disciplina dell'art. 39-quater  e
seguenti del decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012,  n.
140 (Regolamento recante  la  determinazione  dei  parametri  per  la
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei  compensi  per
le professioni regolarmente vigilate dal Ministero  della  giustizia,
ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24  gennaio  2012,  n.  1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24  marzo  2012,  n.  27),
come introdotti con l'art. 3, comma 1, del decreto del Ministro della
giustizia 2 agosto 2013, n. 106. 
    Lo stesso  art.  3  Cost.  sarebbe  violato  sotto  un  ulteriore
profilo, poiche' la previsione di  onorari  gravemente  inadeguati  -
allontanando le migliori professionalita' e  rendendo  nel  complesso
difficoltoso il reperimento di soggetti disponibili  -  intralcerebbe
l'acquisizione  delle  prestazioni  professionali  degli   ausiliari,
prolungando i tempi  di  definizione  dei  processi  e  delle  stesse
procedure  di  liquidazione  dei  compensi   (stante   la   possibile
dilatazione dei tempi indicati per l'espletamento  degli  incarichi),
cosi' determinando una complessiva «irragionevolezza di sistema». 
    E' richiamato, infine, l'art. 53  Cost.,  poiche'  attraverso  la
normativa  censurata  sarebbero  perseguiti  obiettivi  di  bilancio,
mediante  l'imposizione  di  oneri  ad  una  limitata  categoria   di
lavoratori, senza alcun riguardo per la loro capacita' contributiva. 
    1.2.- Il Tribunale ordinario di Grosseto (r.o. n. 121 del  2014),
dal canto suo, censura il citato art. 106-bis del d.P.R. n.  115  del
2002, sempre nella parte in cui prescrive la riduzione  di  un  terzo
dei compensi per gli ausiliari del magistrato, in relazione  all'art.
3 Cost., sotto tre diversi profili: da un primo punto  di  vista,  in
quanto irragionevolmente equiparerebbe gli ausiliari del  giudice  al
difensore e alle parti del processo nella prevista  riduzione  di  un
terzo   dei   compensi;   inoltre,   in   quanto    irragionevolmente
differenzierebbe  il  trattamento  degli  ausiliari,  a  parita'   di
prestazioni, a seconda  che  prestino  o  non  la  propria  opera  in
procedimenti in cui sia stata disposta l'ammissione di una  parte  al
patrocinio a spese dell'Erario; infine, in quanto determinerebbe  una
complessiva irrazionalita' della disciplina delle consulenze tecniche
nel processo  penale,  aggiungendo  una  riduzione  ai  livelli  gia'
inadeguati dei compensi,  e  determinando  quindi  gravi  difficolta'
nell'acquisizione di prestazioni effettuate con scrupolo da  soggetti
professionalmente qualificati. 
    1.3.- Lo stesso art. 106-bis  del  d.P.R.  n.  115  del  2002  e'
censurato anche dal Tribunale  ordinario  di  Lecce  in  composizione
monocratica (r.o. n. 14  del  2015),  per  l'asserito  contrasto  con
l'art. 53 Cost., in quanto sarebbero perseguiti obiettivi di bilancio
attraverso l'imposizione  di  oneri  ad  una  limitata  categoria  di
lavoratori, senza alcun riguardo per la loro capacita' contributiva. 
    Con la medesima ordinanza, la norma in questione e' ulteriormente
sospettata  d'illegittimita'  costituzionale,  nella  parte  in   cui
dispone  la  riduzione   di   un   terzo   dei   compensi   spettanti
all'ausiliario del magistrato  senza  che  la  previsione  di  questa
decurtazione sia  «subordinata  all'effettivo  adeguamento  periodico
delle tabelle relative  ai  compensi  spettanti  agli  ausiliari  del
giudice, previsto  dall'art.  54»  dello  stesso  Testo  unico:  cio'
avverrebbe in asserito contrasto con gli  artt.  3  e  36  Cost.,  in
quanto discriminerebbe,  senza  giustificazione,  gli  ausiliari  del
giudice rispetto a coloro che  effettuano  analoghe  prestazioni  sul
libero mercato professionale, privando gli stessi  ausiliari  di  una
retribuzione proporzionata  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
prestato, e comunque idonea ad assicurare loro un'esistenza libera  e
dignitosa. 
    1.4.- Infine, con due delle gia' citate ordinanze  del  Tribunale
ordinario di Lecce (r.o. n. 216 del  2014  e  n.  14  del  2015),  e'
censurato l'art. 1, comma 607, della legge n.  147  del  2013,  nella
parte in cui stabilisce che le disposizioni del precedente comma 606,
lettera b), si applichino alle liquidazioni successive alla  data  di
entrata in vigore della stessa legge, e dunque con riguardo  anche  a
prestazioni in tutto o in parte eseguite prima della legge medesima. 
    E' qui prospettato, in particolare, un  contrasto  con  l'art.  3
Cost.,  in  quanto   l'efficacia   retroattiva   della   disposizione
sostanziale che incide sul diritto alla remunerazione dei  consulenti
sarebbe disposta in assenza di una  ragionevole  giustificazione.  La
norma, inoltre, distinguerebbe irragionevolmente  tra  gli  ausiliari
che abbiano ultimato la propria prestazione ed avanzato richiesta  di
liquidazione dei compensi prima dell'entrata in vigore della legge n.
147 del 2013, a seconda che il giudice abbia  o  non  tempestivamente
provveduto sulla relativa domanda (r.o. n. 216 del 2014). 
    Infine, vi sarebbe violazione anche dell'art. 53  Cost.,  poiche'
sarebbero perseguiti obiettivi di bilancio  attraverso  l'imposizione
di oneri  ad  una  limitata  categoria  di  lavoratori,  senza  alcun
riguardo per la loro capacita' contributiva (r.o. n. 14 del 2015). 
    2.- La sostanziale comunanza delle norme censurate, dei parametri
costituzionali invocati, nonche' dei profili e  delle  argomentazioni
utilizzate, comporta che i giudizi vengano riuniti e decisi con unica
pronuncia. 
    3.- Tutte le  questioni  sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di
Grosseto (r.o. n. 121 del 2014) vanno dichiarate inammissibili. 
    Come risulta dalla stessa ordinanza di rimessione,  il  Tribunale
aveva gia' provveduto alla liquidazione dell'onorario per  il  perito
psichiatra, dopo l'entrata in vigore della legge  n.  147  del  2013,
senza operare la diminuzione prescritta dal nuovo  art.  106-bis  del
d.P.R. n. 115 del 2002, da quella introdotto. Cio'  sarebbe  avvenuto
per un disguido concernente la formazione del fascicolo  processuale,
per effetto del quale, in sostanza, il Tribunale avrebbe ignorato, al
momento della liquidazione, che nel procedimento in corso  l'imputato
era stato ammesso al patrocinio a spese dell'Erario. 
    Muovendo dal presupposto che  proprio  e  solo  tale  circostanza
implichi l'applicazione necessaria dell'art. 106-bis,  il  rimettente
ritiene di dover procedere ad una revoca o modifica del provvedimento
emesso, che definisce in vario senso, ma che  comunque  dovrebbe  dar
luogo  ad  una  riduzione  della  somma  liquidata.  Dalla   ritenuta
necessita'    dell'intervento,    il    Tribunale    desume    quella
dell'applicazione della norma censurata, che giudica illegittima  per
contrasto con l'art. 3 Cost. 
    E', tuttavia,  manifesto  che  il  provvedimento  ipotizzato  dal
rimettente, quale condizione di rilevanza della questione  sollevata,
sarebbe illegittimo. La giurisprudenza ha da tempo  chiarito  che  il
procedimento di liquidazione dei  compensi  agli  ausiliari  presenta
carattere  giurisdizionale  (il  che,  del   resto,   condiziona   la
possibilita'  stessa  di  sollevare,  in  tale  sede,  questioni   di
legittimita' costituzionale: sentenza  n.  88  del  1970).  Per  tale
ragione, non e' ammessa la revoca  in  autotutela  dei  provvedimenti
considerati  illegittimi  o  infondati,  dovendosi  invece  procedere
all'esperimento dei mezzi di impugnazione previsti  dalla  legge,  ed
altrimenti  prendere  atto  della  formazione  di   una   preclusione
processuale (salva, naturalmente, la eventualita' che sia  la  stessa
legge a prevedere la possibilita' di revoca).  In  altri  termini,  i
provvedimenti di liquidazione non restano  nella  disponibilita'  del
magistrato che li ha emessi,  e  sono  emendabili  solo  in  sede  di
(eventuale) impugnazione. 
    Pur a fronte di una cosi' vistosa preclusione  del  provvedimento
programmato, il  Tribunale  rimettente  ha  omesso  di  proporre  una
qualsiasi motivazione a sostegno del superamento di quest'ultima,  e,
in definitiva, delle ragioni che avrebbero  dovuto  condurlo  a  fare
applicazione della norma sospettata d'illegittimita' costituzionale. 
    Cio' determina l'inammissibilita' delle questioni sollevate,  per
mancata illustrazione dei presupposti interpretativi che implicano la
necessita'  di  applicare  la  disposizione  censurata  (ex   multis,
sentenze n. 18 del 2015 e n. 249 del 2010, ordinanza n. 95 del 2012). 
    4.- Tutte le questioni poste dal Tribunale ordinario di Lecce  in
composizione collegiale (r.o. n. 177 e n. 216 del 2014) sono  a  loro
volta inammissibili, per difetto di rilevanza. 
    Come infatti  risulta  per  tabulas  dalle  stesse  ordinanze  di
rimessione, nei giudizi a quibus non vi e' stata ammissione di alcuna
parte processuale al patrocinio a spese dell'Erario. Per questo,  non
si deve fare applicazione della disposizione introdotta dall'art.  1,
comma 606, lettera b) - cioe' dell'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del
2002,  che  prevede  che  gli  importi  spettanti,  tra  gli   altri,
all'ausiliario del magistrato, siano  ridotti  di  un  terzo  -  ne',
conseguentemente, del successivo comma 607 dell'art. 1 della legge n.
147 del 2013, il quale stabilisce che la  decurtazione  ricordata  si
applichi alle liquidazioni successive alla data di entrata in  vigore
della stessa legge. 
    Sebbene il limite non risulti dal tenore  letterale  della  norma
censurata, la circostanza che l'obbligo  di  riduzione  dei  compensi
operi con riguardo ai soli giudizi con patrocinio a carico  erariale,
come sostiene anche l'Avvocatura generale dello  Stato  nell'atto  di
intervento per il giudizio r.o. n. 216 del 2014, risulta da una serie
univoca di argomenti. 
    In primo luogo, la disposizione censurata e' stata  inserita  nel
Titolo II della Parte III del d.P.R. n. 115 del 2002, che riguarda le
«Disposizioni  generali  sul  patrocinio  a  spese  dello  Stato  nel
processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario»,  ed
in particolare nel capo V, destinato a regolare la  designazione,  ad
opera della parte ammessa, di «Difensori, investigatori e  consulenti
tecnici di parte», e la relativa remunerazione. 
    In secondo  luogo,  il  carattere  peculiare  della  disposizione
assume coerenza solo in rapporto ad una ratio di  contenimento  della
spesa pubblica, che a sua volta si manifesta in  termini  di  massima
cogenza con riguardo ai procedimenti nei quali vi sia  ammissione  al
patrocinio a carico  erariale.  L'ammissione  al  beneficio  comporta
infatti che alcune spese processuali siano gratuite (e che  dunque  i
costi relativi siano direttamente sostenuti dall'Erario), e che altre
siano anticipate dallo Stato (art. 107 del d.P.R. n. 115  del  2002),
per restare definitivamente a carico del  medesimo,  a  meno  che  il
provvedimento di ammissione non venga revocato (art.  111  del  Testo
unico): cio' che ovviamente differenzia tali procedimenti rispetto  a
quelli  "ordinari",  nei  quali,  in  caso  di  condanna,  le   spese
processuali sono poste a carico dell'imputato. 
    Si deve aggiungere che la  disposizione  censurata  accomuna  nel
medesimo trattamento, da un lato, gli  ausiliari  del  magistrato  e,
dall'altro,  gli  avvocati  difensori,  gli   investigatori   privati
autorizzati ed i consulenti tecnici di parte.  Per  i  professionisti
del secondo gruppo un problema di liquidazione dei compensi  si  pone
solo in sede di patrocinio a spese erariali, giacche', altrimenti, la
retribuzione spetta al privato che richiede le  relative  prestazioni
professionali. L'accostamento non avrebbe percio'  senso,  una  volta
trasportato fuori della  peculiare  dimensione  data  dall'intervento
erariale nel procedimento. 
    Appare, dunque, non  plausibile  l'assunto  dal  quale  muove  il
Tribunale rimettente, secondo cui sarebbe  necessaria  una  sorta  di
interpretazione  adeguatrice,  ad  evitare  che  si  attribuisca   al
legislatore   l'intento,   asseritamente   assurdo,   di   retribuire
diversamente la stessa prestazione a seconda che  sia  intervenuta  o
non l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 
    L'inapplicabilita' nei giudizi a quibus  delle  norme  introdotte
con la legge n. 147 del 2013 priva di rilevanza  -  e,  comunque,  di
adeguato  sostegno  argomentativo   in   punto   di   non   manifesta
infondatezza - anche  le  censure  che  il  Tribunale  rimettente  ha
proposto riguardo all'art. 4, comma 2, della legge n. 319  del  1980,
direttamente attribuendo alla medesima la  regolazione  dei  compensi
attualmente  corrisposti  per  le  prestazioni  remunerate  a  tempo.
Infatti, l'incompatibilita' della disciplina delle  vacazioni  con  i
vari parametri costituzionali evocati e' stata prospettata unicamente
in ragione dell'incidenza  del  nuovo  art.  106-bis  sui  valori  in
precedenza fissati. 
    5.- Restano da esaminare, a questo punto, le  sole  questioni  di
legittimita' costituzionale  sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di
Lecce in composizione monocratica (r.o. n. 14 del 2015). 
    Il piu' volte citato art.  106-bis  e'  censurato,  per  asserito
contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui  dispone  la
riduzione di un  terzo  dei  compensi  spettanti  all'ausiliario  del
magistrato, senza che tale previsione sia «subordinata  all'effettivo
adeguamento periodico delle tabelle relative  ai  compensi  spettanti
agli ausiliari del  giudice,  previsto  dall'art.  54»  dello  stesso
d.P.R. n. 115 del 2002. 
    5.1.- La questione, sollevata in  questi  peculiari  termini,  e'
fondata, con esclusivo riferimento all'art. 3 Cost. 
    In  sede  di  giudizio   di   legittimita'   costituzionale,   la
ragionevolezza di un intervento legislativo ha da  essere  apprezzata
anche alla luce  del  contesto  normativo  in  cui  avviene  e  delle
condizioni che, di fatto, caratterizzano la materia e il settore  sui
quali e' operato l'intervento stesso. 
    Nel caso di specie, e' in questione un significativo  e  drastico
intervento di  riduzione  dei  compensi  spettanti,  tra  gli  altri,
all'ausiliario del magistrato. L'intervento di riduzione  e'  attuato
con la legge di stabilita' del 2014, ad opera di un  legislatore  che
non poteva ignorare come  si  trattasse  di  compensi  che,  a  norma
dell'art. 54 del d.P.R. n. 115  del  2002,  avrebbero  dovuto  essere
periodicamente rivalutati. 
    A fronte di una disposizione legislativa, appunto l'art.  54  ora
citato, che impone l'aggiornamento della  misura  degli  onorari  dei
soggetti in questione, ogni tre anni, in relazione  alla  variazione,
accertata dall'ISTAT,  dell'indice  dei  prezzi  al  consumo  per  le
famiglie di operai e impiegati, tale adeguamento non  risulta  essere
intervenuto da  oltre  un  decennio  (allo  stato,  l'ultimo  risulta
operato con il decreto ministeriale 30 maggio 2002). 
    Sicche', dopo un decennio ed oltre di inerzia amministrativa,  la
base tariffaria  sulla  quale  calcolare  i  compensi  risulta  ormai
seriamente sproporzionata per difetto,  anche  a  voler  considerare,
come richiede l'art. 50 del d.P.R. n. 115 del  2002,  che  la  misura
degli   onorari   in   esame,   rapportata   alle   vigenti   tariffe
professionali,  dev'essere  contemperata  (e   quindi   ridotta)   in
relazione  alla  natura  pubblicistica  della  prestazione  richiesta
(riduzione gia' attuata nella fissazione dei valori di partenza). 
    La mancata attuazione, in sede  amministrativa,  del  vincolo  di
adeguamento previsto dalla fonte primaria (analoghe inadempienze,  in
passato, furono stigmatizzate da questa Corte:  sentenze  n.  41  del
1996 e n. 88 del 1970; ordinanze n. 234 del 2001 e n.  69  del  1979)
ben puo' trovare idonei rimedi in altra sede (sentenza n. 41 del 1996
e ordinanza n. 234 del 2001). 
    Tuttavia, per il legislatore della legge  di  stabilita'  per  il
2014, tale mancata  attuazione  costituiva  un  dato  caratterizzante
della materia che si apprestava ad incidere: e il non  averne  tenuto
conto, nel momento in cui veniva deciso un  significativo  intervento
di  riduzione,  induce  a  concludere,  nella   prospettiva   segnata
dall'art. 3 Cost., che la scelta legislativa abbia superato il limite
della manifesta irragionevolezza. 
    Non e', infatti, riconducibile ai pur ampi margini spettanti alla
discrezionalita' legislativa una scelta attuata senza una preliminare
valutazione complessiva della materia,  necessaria  per  compiere  un
ragionevole bilanciamento tra esigenze di contenimento della spesa  e
remunerazione,   sia   pure   secondo   i   ricordati   criteri    di
contemperamento, degli incarichi in questione. 
    In tale prospettiva, va considerato come si tratti, nella specie,
di prestazioni tendenzialmente non  ricusabili  dall'interessato,  il
quale, in quanto pubblico  ufficiale,  e'  obbligato  alla  fedele  e
diligente esecuzione delle proprie competenze professionali  (ed  e',
questo, un profilo che differenzia l'ausiliario del magistrato  dagli
altri soggetti indicati nell'art. 106-bis in esame). 
    Si aggiunga, infine, che vanno adeguatamente apprezzate anche  le
ricadute  "di  sistema"  di  una  disciplina  che,  nelle  condizioni
descritte, puo' favorire, per un verso,  applicazioni  strumentali  o
addirittura illegittime delle norme, a fini di adeguamento  de  facto
dei compensi (ad esempio mediante  un'indebita  proliferazione  degli
incarichi o un  pregiudiziale  orientamento  verso  valori  tariffari
massimi), e, per l'altro, comportare un allontanamento, dal  circuito
dei  consulenti  d'ufficio,  dei  soggetti  dotati   delle   migliori
professionalita'. 
    Risulta,   in   definitiva,   manifestamente   irragionevole   un
intervento di riduzione della spesa erariale in materia di  giustizia
-  pur,  come  tale,  sicuramente  riferibile  alla  discrezionalita'
legislativa nel contesto della  congiuntura  economico-finanziaria  -
adottato senza  attenzione  a  che  la  riduzione  operi  su  tariffe
realmente congruenti con le stesse linee di fondo del d.P.R.  n.  115
del 2002: dunque su tariffe, da un lato, proporzionate (sia pure  per
difetto,  tenendo  conto  del  connotato  pubblicistico)   a   quelle
libero-professionali (che per parte loro, nell'ambito di una  riforma
complessiva dei criteri di liquidazione, sono  state  aggiornate)  e,
dall'altro, preservate nella loro elementare consistenza in  rapporto
alle variazioni del costo della vita. 
    Per queste ragioni, l'art. 106-bis del d.P.R. n.  115  del  2002,
introdotto dall'art. 1, comma 606, lettera b), della legge n. 147 del
2013, e' costituzionalmente  illegittimo,  nella  parte  in  cui  non
esclude che la  diminuzione  di  un  terzo  degli  importi  spettanti
all'ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione  di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 del d.P.R. n.
115 del 2002. 
    E'  salva,  naturalmente,  l'eventualita'  che  sopravvenga   una
complessiva ridefinizione della materia  ad  opera  del  legislatore,
tale da implicare il superamento del meccanismo di adeguamento cui si
riferisce la norma citata da ultimo. 
    6.- Quanto all'art. 1, comma 607, della legge n.  147  del  2013,
che stabilisce che la decurtazione di un terzo dei compensi spettanti
all'ausiliario  del  magistrato   si   applichi   alle   liquidazioni
successive alla data di entrata in vigore della  legge  stessa,  sono
infondate le censure in proposito sollevate dal  Tribunale  ordinario
di Lecce in composizione monocratica (le sole che residuano). 
    6.1.- E' infondata la questione proposta in riferimento  all'art.
53 Cost. 
    Infatti, questa  Corte  ha  gia'  espressamente  escluso  che  le
manovre legislative sulla determinazione degli onorari  da  liquidare
per prestazioni rese in ambito processuale abbiano attinenza  con  la
materia regolata dalla norma costituzionale de qua. 
    In particolare, si e' stabilito che «il principio della capacita'
contributiva contenuto nell'art. 53  non  puo'  trovare  applicazione
riguardo a prestazioni di "facere", come quelle degli  ausiliari  del
giudice, che non hanno palesemente alcuna attinenza con gli  obblighi
tributari» (sentenza  n.  2  del  1981).  Piu'  recentemente,  si  e'
ribadito che «nel meccanismo attraverso  il  quale  si  procede  alla
liquidazione dei compensi spettanti al difensore che abbia difeso  in
giudizi diversi da quelli penali la parte  ammessa  al  patrocinio  a
spese dello Stato, e che comporta l'abbattimento nella  misura  della
meta' della somma risultante in base alle tariffe professionali,  non
e' dato riscontrare alcuna forma di prelievo tributario,  trattandosi
semplicemente   di   una,   parzialmente   diversa,   modalita'    di
determinazione dei compensi medesimi - giustificata, per come  dianzi
dimostrato,  dalla  diversita',  rispetto  a   quelli   penali,   dei
procedimenti giurisdizionali cui si riferisce - tale da  condurre  ad
un risultato  economicamente  inferiore  rispetto  a  quello  cui  si
sarebbe giunti applicando il criterio ordinario»  (ordinanza  n.  270
del 2012). 
    6.2.- E' pure infondata la  questione  sollevata  in  riferimento
all'asserita violazione dell'art. 36 Cost. 
    Va, sul punto, ribadita la giurisprudenza di questa Corte, per la
quale tale  parametro  costituzionale  e'  inconferente  rispetto  ai
compensi per le prestazioni degli ausiliari: l'art. 36 Cost. «e' male
addotto, innanzitutto perche' il lavoro svolto dai consulenti tecnici
d'ufficio non si presta a rientrare in  uno  schema  che  involga  un
necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e quindi
un   qualsiasi   giudizio   sull'adeguatezza   e    sufficienza    di
quest'ultima». Inoltre, l'art. 36 Cost. si riferisce alla complessiva
percezione di reddito da parte del  lavoratore,  che,  occupando  una
porzione ragionevole del proprio tempo  e  della  propria  capacita',
deve trarre dalla sua attivita' il necessario per sostenere se' e  la
famiglia. Nel caso  degli  ausiliari  del  magistrato,  che  svolgono
prestazioni  occasionali,  anche  se  ripetute,  «non  c'e'  modo  di
valutare in che misura quel lavoro giochi nella complessiva attivita'
di coloro che in concreto lo  svolgono  e  come  i  compensi  per  le
relative  operazioni  (a  parte  l'impossibilita'  o  difficolta'  di
coglierne la totale entita') concorrano alla  formazione  dell'intero
reddito professionale del singolo prestatore»  (sentenza  n.  88  del
1970, richiamata dalla sentenza n. 41 del 1996). 
    Non persuadono le notazioni  in  senso  contrario  del  Tribunale
ordinario di  Lecce  (operate,  peraltro,  nell'ambito  di  ordinanze
concernenti questioni irrilevanti), tese a dimostrare che l'attivita'
officiosa sarebbe ormai, di fatto, la fonte dominante od  anche  solo
prevalente del reddito di tutti gli ausiliari dei magistrati. Ammesso
(ma  non  concesso)  che  siano  ancorate   a   linee   di   tendenza
effettivamente riscontrabili a livello locale e settoriale, esse  non
assurgono a dato di comune esperienza, tale da indurre questa Corte a
modificare la giurisprudenza ricordata. 
    6.3.-  Infine,  non  e'  fondata  la   questione   sollevata   in
riferimento all'art. 3 Cost. 
    La ragionevolezza della norma va  misurata  sulla  sua  effettiva
portata  precettiva,  come  risultante,  tra  l'altro,   dall'odierno
intervento di questa Corte. 
    In primo luogo, alla luce di tale intervento, essa  sara'  dunque
destinata ad operare esclusivamente su compensi  aggiornati,  secondo
un'ordinaria verifica  del  quadro  normativo  condotta  dal  giudice
procedente, che distinguera', per ciascun caso concreto, tra compensi
liquidabili  in  base  a  previsioni  tariffarie   non   adeguate   e
fattispecie opposte, salva l'eventuale sopravvenienza di  complessivi
interventi di riforma ad opera del legislatore. 
    Inoltre,  il  rimettente  pone  una  questione  di   legittimita'
costituzionale che, negli esiti  auspicati,  mira  a  rendere  immuni
dalla decurtazione le  prestazioni  professionali  «in  tutto  od  in
parte» esaurite  prima  dell'entrata  in  vigore  della  disposizione
censurata. 
    La questione potrebbe essere plausibilmente  posta  per  le  sole
prestazioni  del  tutto  esaurite,  e  sempreche'  non   si   ritenga
applicabile il principio, gia' affermato dalla giurisprudenza  comune
in casi analoghi, della  irrilevanza  della  norma  sopravvenuta  per
liquidazioni che, pur  disposte  dopo  la  norma  stessa,  riguardino
fattispecie  completamente   esaurite   in   precedenza   (Corte   di
cassazione, sezioni  unite  civili,  sentenza  12  ottobre  2012,  n.
17405). Se invece, come nel caso di specie, si tratta di  prestazioni
anche solo in parte rese  dopo  l'entrata  in  vigore  della  novella
legislativa, risulta non certo  irragionevole  l'applicazione  di  un
solo  regime  tariffario,  cioe'  quello  vigente  al  momento  della
liquidazione, di talche' diverrebbe impropria la stessa  attribuzione
alla norma di effetti retroattivi (ordinanza n. 261 del 2013). 
    La questione dunque, considerati i limiti della sua rilevanza nel
giudizio a quo, risulta non fondata in rapporto al parametro evocato.