ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  38,  comma
5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177  (Testo  unico  dei
servizi  di  media  audiovisivi  e  radiofonici),   come   sostituito
dall'art. 12 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44 (Attuazione
della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento  di  determinate
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli  Stati
membri concernenti l'esercizio delle attivita' televisive),  promosso
dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, nel procedimento
vertente tra Sky Italia srl, Autorita' garante per le comunicazioni e
Reti Televisive Italiane spa, con  ordinanza  del  depositata  il  17
febbraio 2014 e iscritta al n. 104 del registro ordinanze  del  2014,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  27,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visti gli atti  di  costituzione  di  Sky  Italia  srl,  di  Reti
Televisive Italiane spa, nonche' gli atti di intervento di  Italia  7
Gold srl e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  del  6  ottobre  2015  il  Giudice  relatore
Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Felice Vaccaro  per  Italia  Sette  Gold  srl,
Roberto Mastroianni, Luisa Torchia e Mario Siragusa  per  Sky  Italia
srl, Francesco  Saverio  Marini  e  Gian  Michele  Roberti  per  Reti
Televisive Italiane spa e l'avvocato dello Stato Stefano  Varone  per
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ordinanza  del   17   febbraio   2014,   il   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato -  in  riferimento
agli artt. 3, 41 e 76 della Costituzione - questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 38, comma  5,  del  decreto  legislativo  31
luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media  audiovisivi  e
radiofonici), come sostituito dall'art. 12 del decreto legislativo 15
marzo 2010, n. 44 (Attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa  al
coordinamento di determinate disposizioni legislative,  regolamentari
e amministrative degli Stati  membri  concernenti  l'esercizio  delle
attivita' televisive). 
    La disposizione censurata prevede che «La  trasmissione  di  spot
pubblicitari televisivi da parte  di  emittenti  a  pagamento,  anche
analogiche, non puo' eccedere per l'anno 2010 il 16  per  cento,  per
l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per
cento di una determinata  e  distinta  ora  d'orologio;  un'eventuale
eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso  dell'ora,
deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva». 
    La disposizione in esame stabilisce quindi  -  per  le  emittenti
televisive a pagamento -  limiti  orari  alla  trasmissione  di  spot
pubblicitari piu' restrittivi di quelli stabiliti  per  le  emittenti
cosiddette "in chiaro". 
    Ad avviso del giudice rimettente, essa si porrebbe  in  contrasto
in primo luogo con l'art. 76 Cost., poiche' tale misura  sarebbe  del
tutto innovativa e non giustificata da alcuna previsione della stessa
legge delega, ne' da una  ratio  implicita  della  direttiva  cui  la
disposizione dovrebbe dare attuazione. 
    Viene, inoltre, denunciato il contrasto con l'art. 3  Cost.,  per
l'intrinseca irrazionalita'  della  disposizione,  che  introdurrebbe
un'ingiustificata differenziazione tra i limiti orari di affollamento
pubblicitario applicabili alle emittenti  televisive  a  pagamento  e
quelli applicabili alle emittenti in  chiaro,  nonostante  l'unicita'
del mercato in cui le stesse operano; ed infine, con l'art. 41 Cost.,
poiche' la disposizione incide sulla liberta' di iniziativa economica
delle emittenti televisive a pagamento in difetto di  una  chiara  ed
inequivoca finalita' sociale, che giustifichi l'intervento  normativo
in questione. 
    2.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a  decidere  in
ordine al ricorso proposto da Sky Italia spa (di seguito,  «Sky»)  al
fine di ottenere l'annullamento della delibera  con  cui  l'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni ha irrogato alla  ricorrente  una
sanzione amministrativa pecuniaria, in  conseguenza  del  superamento
dei limiti di  affollamento  pubblicitario  stabiliti  dall'art.  38,
comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2005. 
    2.1.- Il TAR Lazio riferisce di  avere  rinviato  alla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art.  267  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE),  fatto  a  Roma  il  25
marzo  1957,   alcune   questioni   interpretative,   relative   alla
compatibilita' del richiamato art. 38,  comma  5,  con  la  normativa
comunitaria. Tali questioni sono state risolte con  sentenza  del  18
luglio 2013 in causa C-234/12,  in  cui  la  Corte  di  giustizia  ha
affermato che la normativa italiana sulla  pubblicita'  televisiva  -
nel prescrivere limiti orari di affollamento pubblicitario piu' bassi
per le emittenti televisive a pagamento rispetto a  quelli  stabiliti
per le emittenti in chiaro -  e'  conforme  al  diritto  dell'Unione,
sempre  che  sia  rispettato  il   principio   di   proporzionalita',
circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio. 
    2.2.- Nel giudizio, riassunto a cura della parte  ricorrente,  il
TAR Lazio ritiene  la  questione  non  manifestamente  infondata,  in
relazione alla violazione dei parametri di cui all'art.  76  Cost.  e
agli artt. 3 e 41 Cost. 
    2.2.1.- Quanto alla violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso  di
delega, il TAR Lazio osserva che  la  legge  7  luglio  2009,  n.  88
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2008), ha delegato  il  Governo  ad  adottare  i  decreti
legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione,  tra  le
altre, alla direttiva 11 dicembre 2007, n. 2007/65/CE (Direttiva  del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  che  modifica  la   direttiva
89/552/CEE del Consiglio relativa  al  coordinamento  di  determinate
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli  Stati
membri concernenti l'esercizio delle attivita' televisive). 
    I principi e i  criteri  direttivi  generali  della  delega  sono
previsti all'art. 2 della legge n. 88 del 2009, ma  e'  l'art.  26  a
dettare i criteri specifici, i quali  sarebbero  riferiti,  peraltro,
alla sola attivita' di product placement e alla  relativa  disciplina
sanzionatoria. 
    D'altra parte, la direttiva da attuare, pur  contenendo  puntuali
disposizioni in tema di pubblicita'  televisive  e  televendite,  non
conterrebbe la previsione di  alcuna  differenziazione  -  quanto  ai
tetti di affollamento pubblicitario  -  tra  emittenti  televisive  a
pagamento ed emittenti televisive in chiaro. 
    E tuttavia il nuovo art. 38 del d.lgs.  n.  177  del  2005,  come
sostituito dall'art. 12 del d.lgs. n.  44  del  2010,  mentre  lascia
invariati   i   limiti   di   affollamento   pubblicitario   per   la
concessionaria del servizio pubblico, nonche' quelli delle  emittenti
televisive in chiaro, introdurrebbe per la prima volta - riguardo  ai
limiti di  affollamento  pubblicitario  -  una  differenziazione  tra
emittenti in chiaro ed emittenti a pagamento. 
    Ad avviso del giudice a quo, il legislatore delegato non e' stato
autorizzato ad introdurre alcuna modifica ulteriore rispetto a quelle
previste dalla direttiva n. 2007/65/CE. L'ambito della delega sarebbe
espressamente circoscritto  alle  modifiche  che  tale  direttiva  ha
apportato alla precedente. Viceversa, la previsione  di  limiti  piu'
stringenti per le emittenti a pagamento sarebbe una misura del  tutto
innovativa, non giustificata da  alcuna  previsione,  ne'  da  alcuna
ratio implicita, della direttiva da attuare, ne' della legge delega. 
    Tale natura innovativa impedirebbe di ricondurre la  disposizione
in esame ad un'ipotesi di delega di coordinamento, la quale  consente
interventi modificativi solo in via strumentale, ossia ove necessario
ai fini del  coordinamento  della  normativa  previgente  con  quella
introdotta con la legge  delega.  Resterebbe  esclusa,  pertanto,  la
possibilita' di introdurre per  questa  via  innovazioni  sostanziali
alla disciplina previgente. 
    Inoltre, ad avviso  del  giudice  a  quo,  la  «revisione»  o  il
«riordino»,  in   quanto   possono   comportare   l'introduzione   di
innovazioni  della  preesistente  disciplina,  esigono  comunque   la
previsione di principi e criteri direttivi, idonei a circoscrivere le
scelte discrezionali del Governo. 
    Viene  quindi  richiamata  la  giurisprudenza  costituzionale  in
merito ai rapporti fra legge delega e norma  attuativa,  evidenziando
la necessita'  che  l'interpretazione  dei  principi  e  dei  criteri
direttivi sia  effettuata  in  riferimento  alla  ratio  della  legge
delega, tenendo conto del contesto normativo in cui gli  stessi  sono
inseriti e delle finalita' che ispirano la delega ed suoi i  principi
e i criteri direttivi. 
    Il  giudice  a  quo  si  dichiara  consapevole  che   la   delega
legislativa  non  esclude  ogni  discrezionalita'   del   legislatore
delegato e che l'art. 76 Cost. non osta all'emanazione di  norme  che
rappresentino un ordinario sviluppo e, se del caso, un  completamento
delle scelte  espresse  dal  legislatore  delegante;  nell'attuazione
della delega e' quindi possibile valutare le situazioni giuridiche da
regolamentare ed effettuare le scelte conseguenti, nella  fisiologica
attivita' di riempimento che lega i due livelli normativi. 
    Tuttavia, ad avviso del TAR rimettente, l'innovazione  introdotta
dal d.lgs. n. 44 del 2010 non sarebbe qualificabile  come  operazione
di «completamento», ne' di «riempimento». La  disposizione  censurata
non troverebbe,  infatti,  alcun  «ancoraggio»  nella  legge  delega,
risultando viceversa adottata in violazione dei  principi  e  criteri
direttivi della stessa. 
    2.2.2.- Quanto al denunciato contrasto con l'art. 3 Cost., il TAR
Lazio evidenzia che con la disposizione  in  esame  viene  introdotta
un'ingiustificata differenziazione tra i tetti orari di  affollamento
pubblicitario applicabili alle emittenti  televisive  a  pagamento  e
quelli  applicabili  alle  emittenti  televisive  in   chiaro.   Tale
differenziazione non terrebbe  conto  dell'unicita'  del  mercato  di
riferimento. 
    2.2.3.- Riguardo alla violazione dell'art. 41 Cost., il TAR Lazio
rileva che la disposizione censurata inciderebbe oggettivamente sulla
liberta'  di  iniziativa  economica   dell'emittente   televisiva   a
pagamento, in difetto di una chiara ed inequivoca finalita' generale,
che giustifichi la misura in questione. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque infondata. 
    3.1.-   L'Avvocatura   generale   dello   Stato    osserva    che
effettivamente non si rinvengono, ne' fra i criteri di  cui  all'art.
2, ne' fra quelli di cui all'art. 26 della  legge  n.  88  del  2009,
specifiche indicazioni quanto ai limiti di affollamento pubblicitario
nei rapporti  fra  le  emittenti  televisive  a  pagamento  e  quelle
gratuite. Cio' non  significherebbe,  tuttavia,  che  il  legislatore
delegato abbia ecceduto la delega.  Infatti,  sia  l'oggetto,  sia  i
principi ed i  criteri  direttivi,  vanno  rinvenuti  attraverso  una
valutazione complessiva della disposizione delegante,  da  coordinare
con la normativa europea da attuare, tenendo presente che quanto piu'
i principi ed i criteri direttivi sono analitici, tanto piu'  ridotti
risultano i margini di discrezionalita' del legislatore delegato. 
    I criteri della legge delega  vanno,  quindi,  coordinati  con  i
precetti posti dalla direttiva europea  di  cui  la  norma  censurata
costituisce attuazione. Nel caso in esame, ad avviso  dell'Avvocatura
generale dello Stato, il legislatore delegato  avrebbe  correttamente
applicato tali criteri, circoscrivendo l'ambito della  delega,  cosi'
da  perseguire  le  finalita'  che  l'hanno  determinata,  ma   anche
consentendo di  valutare  le  particolari  situazioni  giuridiche  da
regolamentare, nella fisiologica attivita' di "riempimento" che  lega
i due livelli normativi. 
    D'altra  parte,  la  Corte  di  giustizia,  nella  sentenza  resa
nell'ambito del medesimo giudizio, ha affermato  che  «per  garantire
un'integrale ed adeguata protezione degli interessi  della  categoria
di  consumatori  costituita  dai  telespettatori,  gli  Stati  membri
conservano la facolta' di richiedere ai fornitori di servizi di media
soggetti  alla  loro   giurisdizione   di   rispettare   norme   piu'
particolareggiate o piu'  rigorose  e,  in  alcuni  casi,  condizioni
differenti nei settori coordinati da  tale  direttiva,  purche'  tali
norme siano conformi al diritto dell'Unione  e,  in  particolare,  ai
suoi principi generali». 
    Nella normativa europea di riferimento, sarebbe  quindi  centrale
la tutela dell'utente, quale consumatore, ed e' in questa prospettiva
che la Corte di giustizia inquadra il tema dei limiti di affollamento
pubblicitario, rilevando  che  le  disposizioni  che  prevedono  tali
limiti mirano ad instaurare una tutela  equilibrata  degli  interessi
finanziari delle emittenti televisive e degli  inserzionisti,  da  un
lato, e degli interessi degli aventi diritto, ossia gli  autori  e  i
realizzatori, e della categoria  di  consumatori,  rappresentata  dai
telespettatori, dall'altro. 
    Nel caso di  specie,  la  Corte  di  giustizia  ha  ritenuto  che
l'equilibrata tutela di tali interessi sia diversa per le emittenti a
pagamento rispetto alle  emittenti  in  chiaro,  essendo  diverse  le
rispettive posizioni sul piano finanziario. Mentre le prime  ricavano
introiti  dagli  abbonamenti  sottoscritti  dai  telespettatori,   le
seconde non  beneficiano  di  una  siffatta  fonte  di  finanziamento
diretto  e  devono  finanziarsi  con  le  entrate  della  pubblicita'
televisiva o mediante altre fonti. Una simile differenza e', in linea
di massima, tale da porre le emittenti televisive a pagamento in  una
situazione oggettivamente diversa  per  quanto  riguarda  l'incidenza
economica dei limiti di affollamento pubblicitario sulle modalita' di
finanziamento delle emittenti stesse. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, sarebbe,  dunque,
la stessa disciplina europea a prevedere, quale strumento  di  tutela
del consumatore, la differenziazione fra i limiti pubblicitari fra le
emittenti televisive in chiaro e quelle a pagamento. 
    Il legislatore delegato, nell'attuare la direttiva, avrebbe avuto
come criterio di riferimento proprio questa esigenza  di  tutela  del
consumatore. Tale  criterio  sarebbe  stato,  quindi,  legittimamente
trasposto nell'art. 38 del d.lgs.  n.  177  del  2005.  Risulterebbe,
pertanto, smentita la premessa logica del TAR Lazio, secondo la quale
la previsione di limiti  differenziati  e  piu'  restrittivi  per  le
emittenti a pagamento costituirebbe misura del  tutto  innovativa  ed
eccedente i limiti della delega. 
    3.2.- D'altra parte, con riferimento alla violazione dell'art.  3
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato osserva  che  non  contrasta
con  i  principi  di  uguaglianza  e  di   ragionevolezza   prevedere
discipline differenti per situazioni diverse. Il  principio  generale
di uguaglianza richiede, da un lato, l'eguaglianza di  trattamento  a
parita'   di   condizioni   e,   dall'altro,   una   regolamentazione
differenziata, ma non arbitraria, per diversita' di situazioni. 
    Le emittenti televisive in chiaro e quelle a pagamento  sarebbero
soggetti  diversi,  operanti  in  mercati  diversi  e  in  situazioni
diverse. Diversa sarebbe la relazione tra  operatori  e  consumatori;
diverse le modalita' di finanziamento, e quindi gli  obiettivi  degli
operatori (ricavi pubblicitari a fronte di ricavi dagli abbonamenti);
diversa anche l'offerta, sul piano  qualitativo  e  quantitativo,  di
contenuti televisivi. 
    La previsione di discipline differenziate per situazioni diverse,
a tutela dei consumatori, non sarebbe dunque in contrasto, bensi'  in
sintonia con il principio di parita' di trattamento. 
    3.3.-  Quanto  alla  dedotta  violazione  dell'art.   41   Cost.,
l'Avvocatura generale dello  Stato  eccepisce,  in  via  preliminare,
l'inammissibilita' della questione per la genericita'  dell'ordinanza
di rinvio. 
    Nel merito, la difesa statale osserva che la disciplina nazionale
e'  attuazione  di  quella  europea,  nella  quale  la   tutela   dei
consumatori, ed in particolare dei telespettatori, contro l'eccessiva
pubblicita' costituisce un aspetto essenziale. 
    Nel caso di specie,  i  principi  e  i  criteri  direttivi  delle
disposizioni  relative  all'affollamento  pubblicitario   mirano   ad
instaurare una tutela equilibrata degli  interessi  finanziari  delle
emittenti televisive, da un lato, e  degli  interessi  degli  utenti,
dall'altro, al fine di garantire un bilanciamento tra le contrapposte
posizioni, in ossequio alla stessa direttiva comunitaria. 
    4.- Con memoria depositata il 15 luglio 2014, si e' costituita la
societa' Reti televisive italiane spa (di seguito, «RTI spa»),  parte
controinteressata nel giudizio a quo, la quale  ha  chiesto  che  sia
dichiarata la manifesta infondatezza della  questione  sollevata  dal
TAR Lazio. 
    4.1.- Con riferimento alla  denunciata  violazione  dell'art.  76
Cost., RTI spa osserva che l'art. 26 della  legge  n.  88  del  2009,
riferito specificamente alla direttiva n. 2007/65/CE, prevede che  il
recepimento abbia luogo «attraverso le opportune modifiche  al  testo
unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio
2005, n. 177». Il Governo e' stato inoltre delegato ad introdurre nel
decreto legislativo le modifiche «opportune», per assicurare, secondo
la discrezione del legislatore delegato, la coerenza dell'ordinamento
interno alla ratio della direttiva. 
    Ad avviso di RTI spa, la scelta del legislatore delegato  sarebbe
corretta,   in   considerazione   non   solo   dell'ampiezza    delle
modificazioni apportate alla precedente  direttiva,  ma  anche  della
circostanza che, nel dettare una nuova cornice normativa  in  materia
di  pubblicita'  radiotelevisiva,  la  direttiva  n.  2007/65/CE   ha
previsto norme di armonizzazione minimale, lasciando  agli  Stati  il
compito di intervenire con  opportune  previsioni  di  dettaglio.  La
legge delega  ha  pertanto  riconosciuto  al  Governo  la  necessaria
discrezionalita' ai fini del recepimento della precitata direttiva. 
    Si  sottolinea  che  la  ratio  delle  previsioni  in   tema   di
affollamento   pubblicitario   consisterebbe   nella    tutela    dei
telespettatori (e degli autori dei  programmi),  avverso  l'eccessivo
affollamento pubblicitario, e nel bilanciamento con gli interessi  di
natura finanziaria delle emittenti. Cio'  troverebbe  conferma  nella
pronuncia della Corte di giustizia resa nel caso in esame, laddove si
riconosce che la normativa nazionale che prevede  la  modulazione  di
tetti di affollamento pubblicitario si iscrive nell'attuazione  della
direttiva da parte dello Stato membro e forma oggetto di controllo di
compatibilita' ai sensi della stessa direttiva  e  del  principio  di
eguaglianza. La medesima pronuncia  ha  affermato  la  compatibilita'
della disciplina nazionale alla direttiva, tenuto conto delle diverse
esigenze di tutela che, rispettivamente,  connotano  le  emittenti  a
pagamento e quelle in chiaro. 
    4.2.- Per le medesime ragioni, RTI spa  evidenzia  l'infondatezza
della  questione  di   legittimita'   costituzionale   formulata   in
riferimento all'art. 3 Cost. Viene in  particolare  rilevato  che  la
pronuncia della Corte di giustizia  ha  escluso  il  contrasto  della
norma interna con il principio europeo di parita' di trattamento,  in
quanto gli interessi coinvolti dall'emittenza gratuita ed a pagamento
sono diversi, sia dal lato dell'utente, sia da quello dell'emittente. 
    4.3.-   Quanto   all'ulteriore    profilo    di    illegittimita'
costituzionale relativo alla violazione dell'art. 41 Cost.,  RTI  spa
osserva che l'intervento normativo in esame sarebbe  giustificato  da
una chiara ed inequivoca finalita' sociale, individuata dalla  stessa
Corte  di  giustizia  nell'esigenza  di  assicurare  la  parita'   di
trattamento in senso sostanziale, attraverso la modulazione dei tetti
di affollamento pubblicitario rispetto a categorie di  emittenti,  le
quali versino in condizioni oggettivamente diverse. Verrebbe  infatti
correttamente  prevista  una  tutela  dei  consumatori   di   servizi
televisivi a pagamento contro  la  "doppia  imposizione"  (canone  di
abbonamento - esposizione alla pubblicita' in misura massima  pari  a
quella consentita alla  televisione  gratuita).  Anche  tale  censura
sarebbe pertanto infondata. 
    4.4.- Nella memoria depositata il 14 settembre 2015, RTI  spa  ha
eccepito l'inammissibilita' della questione, evidenziando che  -  per
effetto dell'intervento puramente demolitorio invocato dal giudice  a
quo  -  la  normativa  residua  risulterebbe  inficiata  da  vizi  di
costituzionalita'  assai  piu'  gravi  e  intollerabili   di   quelli
ravvisati dallo stesso remittente. 
    Infatti, in forza del residuo  articolato,  le  uniche  emittenti
assoggettate ai limiti di  affollamento  pubblicitario  sarebbero  la
concessionaria pubblica (4% dell'orario settimanale di programmazione
e 12% ogni ora) e le emittenti in chiaro (15% dell'orario giornaliero
di programmazione e 18% ogni ora). 
    Verrebbe meno ogni limitazione per le emittenti a pagamento. Esse
infatti non potrebbero essere ricondotte - in via di  interpretazione
estensiva - entro il perimetro delle norme recate dagli altri  commi,
le quali non sono generali, ma ciascuna espressamente  riferita  alla
concessionaria  pubblica  o  alle  emittenti  in  chiaro;  e  neppure
potrebbero esservi ricondotte  in  via  analogica,  posta  la  totale
diversita' delle fattispecie. 
    4.4.1.- RTI spa deduce, inoltre, che la normativa di  risulta  si
porrebbe, altresi', in contrasto con la  normativa  europea,  nonche'
con l'obbligo di dare piena e completa attuazione alla  direttiva  10
marzo 2010, n. 2010/13/UE (Direttiva del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio  relativa  al  coordinamento  di  determinate  disposizioni
legislative,  regolamentari  e  amministrative  degli  Stati   membri
concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi -  direttiva
sui servizi di media audiovisivi), che ha  sostituito  la  precedente
direttiva n. 2007/65/CE. 
    Infatti, se la Corte procedesse  all'annullamento  dell'art.  38,
comma 5, cosi' come richiesto dal remittente, si creerebbe un  ambito
soggettivo -  quello  delle  emittenti  a  pagamento  -  sottratto  a
qualsivoglia   limite   di   affollamento   pubblicitario.   Siffatta
eventualita' sarebbe in contrasto con la normativa europea, la  quale
impone un tetto massimo a tutte  le  emittenti,  sia  pur  modulabile
dagli Stati membri. Cio'  porrebbe  l'Italia  in  una  situazione  di
inadempimento rispetto all'obbligo di attuazione della  direttiva  (a
termine peraltro gia' ampiamente scaduto) e,  dunque,  di  violazione
degli obblighi europei. 
    4.4.2.- Nel merito, RTI spa ha ribadito  le  ragioni  a  sostegno
del'infondatezza della violazione dell'art.  76  Cost.,  evidenziando
che  le  scelte  del  legislatore  delegato  sarebbero   gia'   state
riconosciute pienamente aderenti alla direttiva n.  2007/65/CE  dalla
Corte di giustizia, la quale ha  stabilito  che  la  differenziazione
sancita dalle norme nazionali costituisce legittima espressione della
discrezionalita'  degli  Stati,  coerente  con  i  contenuti  e   gli
obiettivi della disciplina europea. 
    In  particolare,   con   specifico   riguardo   alla   disciplina
dell'affollamento  pubblicitario,  le  modifiche   introdotte   dalla
direttiva n. 2007/65/CE avrebbero esteso  la  discrezionalita'  degli
Stati membri, in considerazione dell'esigenza di assicurare  adeguate
risorse finanziarie alla televisione  in  chiaro,  come  risulterebbe
anche dai lavori preliminari della stessa direttiva. 
    4.4.3.- RTI ribadisce  l'infondatezza  delle  ulteriori  censure,
relative alla violazione degli artt. 3 e 41 Cost.,  evidenziando  che
la norma in esame non solo non sarebbe in contrasto con  gli  evocati
parametri costituzionali, ma sarebbe viceversa  illegittimo  (proprio
in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.) l'assoggettamento di tutte le
emittenti a un  medesimo  limite,  esito  cui  chiaramente  tende  il
petitum  del  giudice  rimettente.  Si  realizzerebbe,  infatti,   un
trattamento  uguale  di  situazioni   obiettivamente   diverse,   con
conseguente violazione dell'art. 3 Cost. 
    Per le stesse ragioni - connesse alla  oggettiva  differenza  fra
emittenti televisive a pagamento ed emittenti  in  chiaro  -  sarebbe
configurabile,  in  modo  inequivoco,  la  «finalita'  sociale»   che
giustifica la misura normativa in esame, anche ai fini  dell'art.  41
Cost. 
    5.- Con memoria depositata l'11 luglio 2014, e'  intervenuta  nel
giudizio  di  costituzionalita'  la  societa'  Italia  7  Gold   srl,
chiedendo che la questione sollevata dal TAR Lazio  venga  dichiarata
irrilevante ed infondata. 
    5.1.- La societa' interveniente riferisce di gestire dal 1999  la
trasmissione di programmi e di pubblicita' nazionale in contemporanea
da parte di  concessionari  privati  per  la  radiotelediffusione  in
ambito locale. La societa' riferisce di  essere  soggetta,  ai  sensi
dell'art. 12 del d.lgs. n. 44 del  2010,  a  limiti  di  affollamento
pubblicitario identici a quelli delle emittenti in chiaro  in  ambito
nazionale. 
    Sarebbe pertanto ravvisabile,  in  capo  alla  interveniente,  un
interesse  qualificato  ad  opporsi  ad  iniziative  giudiziarie   di
soggetti concorrenti, che  appaiono  in  contrasto  al  principio  di
equilibrata tutela degli interessi in gioco, delle  emittenti,  degli
inserzionisti, degli  autori  dei  programmi  e  dei  consumatori  (i
telespettatori);  si  sottolinea,  a  questo  riguardo,  che   -   in
riferimento ai principi e agli obiettivi delle disposizioni  relative
all'affollamento pubblicitario televisivo - gli interessi  finanziari
delle emittenti televisive a pagamento sono diversi da  quelli  delle
emittenti televisive in chiaro, le quali non beneficiano dei proventi
degli abbonamenti sottoscritti dai telespettatori. 
    L'interesse all'intervento dell'esponente, ancorche' estranea  al
giudizio  a  quo,  per  sostenere  la  legittimita'  della  norma  in
discussione, sarebbe quindi inerente in modo diretto ed immediato  al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Infatti,  dall'accoglimento
della questione potrebbe derivare un  aumento  della  percentuale  di
spot  pubblicitari  consentiti  a  Sky,  con  grave  pregiudizio  per
l'attivita' della societa' interveniente. Cio' costituirebbe altresi'
violazione degli artt. 21 e 41 Cost. 
    5.2.- Nel merito, viene  contestata  la  dedotta  discriminazione
delle emittenti a  pagamento,  rispetto  alle  emittenti  in  chiaro;
d'altra parte, un aumento della percentuale di pubblicita' consentita
alle emittenti a pagamento sarebbe inammissibile, in  quanto  sarebbe
pregiudicata la raccolta degli altri operatori nazionali in chiaro, i
quali non possono contare sul sostegno proveniente  dai  rapporti  di
abbonamento. 
    Si osserva inoltre che, come affermato dalla Corte di  giustizia,
la direttiva 3 ottobre 1989, n. 89/552/CEE (Direttiva del  Parlamento
europeo e del Consiglio, relativa  al  coordinamento  di  determinate
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli  Stati
membri concernenti la fornitura di servizi  di  media  audiovisivi  -
direttiva sui servizi dei media audiovisivi) non  ha  l'obiettivo  di
una  completa  armonizzazione,  ma  stabilisce   solo   «prescrizioni
minime»;  gli  Stati  membri  conservano,  quindi,  «la  facolta'  di
richiedere ai fornitori di servizi di media»,  «di  rispettare  norme
piu' particolareggiate e piu' rigorose e, in alcuni casi,  condizioni
differenti  nei  settori  coordinati   da   tale   direttiva».   Cio'
dimostrerebbe l'infondatezza della denunciata violazione dell'art. 76
Cost., per eccesso di delega. 
    Considerazioni analoghe varrebbero anche in  ordine  all'asserita
lesione dell'art. 3 Cost.,  da  ritenersi  insussistente,  stante  la
facolta' del legislatore nazionale di imporre condizioni  differenti,
nel rispetto delle direttive comunitarie. 
    L'eventuale accoglimento della questione sollevata dal TAR  Lazio
si porrebbe percio'  in  contrasto  con  gli  obiettivi  delle  norme
comunitarie  e  nazionali  relative  all'affollamento  pubblicitario,
nonche' con gli artt. 41 e 21 Cost., poiche'  arrecherebbe  un  danno
irreparabile   ai   soggetti   autorizzati   alle   trasmissioni   in
contemporanea e non terrebbe  conto  dell'utilita'  sociale  di  tale
attivita', in quanto espressione del pluralismo televisivo. 
    5.3.- In prossimita' dell'udienza pubblica, Italia 7 Gold srl  ha
depositato una memoria in cui ha insistito perche'  la  questione  di
legittimita' dell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177  del  2005  sia
dichiarata irrilevante, o comunque infondata. 
    5.3.1.- Sono  stati  ribaditi  gli  argomenti  a  sostegno  della
legittimazione all'intervento, in considerazione della titolarita' di
un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente   al   rapporto
sostanziale di cui  si  discute,  interesse  suscettibile  di  essere
inciso direttamente dall'esito del giudizio costituzionale. 
    L'eventuale  accoglimento   della   questione   di   legittimita'
costituzionale determinerebbe, infatti, un aumento  dei  quantitativi
di spot pubblicitari trasmessi da Sky e finirebbe per erodere la gia'
limitata quota di pubblicita'  nazionale  fino  ad  oggi  conquistata
dalla parte interveniente. Da cio'  conseguirebbe,  da  un  lato,  la
violazione del legittimo affidamento in  ordine  alla  vigenza  della
disposizione  censurata,  dall'altro,  l'esposizione   della   stessa
interveniente al rischio della risoluzione dei rapporti  contrattuali
con gli operatori consorziati, cosi'  mettendo  in  pericolo  la  sua
stessa sopravvivenza. 
    6.- La societa' Sky Italia srl e'  intervenuta  nel  giudizio  di
costituzionalita' con memoria depositata il 15 luglio 2014, in cui ha
chiesto l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale
sollevata dal TAR per il Lazio. 
    6.1.-  La  parte  ricorrente  ritiene,  in   primo   luogo,   che
l'introduzione, da parte del legislatore delegato, di una  disciplina
dei  limiti  di  affollamento  pubblicitario  differenziata  per   le
emittenti a pagamento  violi  l'art.  76  Cost.,  sotto  due  diversi
profili: l'eccesso di delega rispetto all'oggetto e la violazione dei
principi e dei criteri direttivi. 
    Sotto il primo profilo, si osserva  che  l'oggetto  della  delega
consiste nel dettare le «norme occorrenti per dare  attuazione»,  tra
le altre,  alla  direttiva  n.  2007/65/CE,  recante  modifiche  alla
direttiva n. 89/552/CEE  in  materia  di  esercizio  delle  attivita'
televisive (art. l, comma l, della legge n. 88 del 2009).  Ad  avviso
di Sky, i principi  e  i  criteri  direttivi  per  l'esercizio  della
delega, non prevedono che il legislatore  delegato  introduca  alcuna
modifica ulteriore rispetto a quelle  apportate  dalla  direttiva  n.
2007/65/CE  alla  direttiva  n.  89/552/CEE.  Un   intervento   sulla
disciplina  della  comunicazione  e  della  pubblicita'  commerciale,
coperta da riserva di legge (artt. 21 e 41 Cost.), non avrebbe potuto
realizzarsi in assenza di un preciso riferimento nella legge delega. 
    La  disposizione  censurata  sarebbe   estranea   rispetto   alle
previsioni della direttiva n. 2007/65/CE, la quale nulla  dispone  in
punto di differenziazione dei tetti di affollamento pubblicitario tra
emittenti televisive in chiaro ed emittenti televisive a pagamento. 
    Tale differenza di trattamento sarebbe in  aperta  contraddizione
con  gli  obiettivi  di  liberalizzazione  e  di   incremento   della
concorrenza che la direttiva n. 2007/65/CE ha voluto  perseguire  nel
modificare la precedente disciplina della pubblicita' televisiva.  In
particolare, nel considerando n. 57 della  direttiva  viene  ritenuto
ingiustificato «il  mantenimento  di  una  normativa  dettagliata  in
materia  di  inserimento  di   spot   pubblicitari   a   tutela   dei
telespettatori», in considerazione delle «maggiori  possibilita'  per
gli spettatori di evitare la pubblicita' grazie al  ricorso  a  nuove
tecnologie  quali   i   videoregistratori   digitali   personali   ed
all'aumento della scelta di canali». 
    La  previsione  di  limiti  piu'  stringenti  per  le   emittenti
televisive a pagamento costituisce quindi una misura innovativa e non
giustificata da alcuna previsione, ne'  da  alcuna  ratio  implicita,
della legge di delega. Di qui il suo contrasto con l'art. 76 Cost. 
    6.2.- Con riferimento alla  violazione  dell'art.  3  Cost.,  Sky
ritiene del tutto ingiustificata la differenziazione dei limiti orari
di  affollamento  pubblicitario  rispettivamente   applicabili   alle
emittenti televisive a pagamento e a quelle in chiaro. 
    L'unicita' del mercato della  raccolta  pubblicitaria  sul  mezzo
televisivo  rappresenterebbe   un   dato   acquisito   nella   prassi
applicativa nazionale e europea, non  sussistendo  alcuna  differenza
tra  modelli  aziendali  che  giustifichi  l'imposizione  di   limiti
differenziati per le emittenti a pagamento e le emittenti in chiaro. 
    In definitiva, la norma censurata avrebbe natura  discriminatoria
e realizzerebbe, come vero obiettivo, una conformazione  del  mercato
della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo diversa  da  quella
che si realizzerebbe in  base  alle  pure  dinamiche  concorrenziali.
L'effetto sarebbe quello di consolidare i vincoli all'ingresso o alla
crescita dei concorrenti nel mercato italiano e quindi di perpetuare,
ovvero  di   rafforzare,   la   situazione   di   stabile   duopolio,
tradizionalmente rinvenuta nel settore. 
    Una  giustificazione  dell'intervento  in   esame   non   sarebbe
ravvisabile nella finalita' di garantire gli utenti delle emittenti a
pagamento. Infatti, tale finalita' di tutela non si concilierebbe con
la liberta' del telespettatore stesso di accedere al  rapporto  -  di
tipo sinallagmatico e consensuale -  che  lo  lega  alla  piattaforma
televisiva a pagamento.  Ad  avviso  della  societa'  ricorrente,  la
possibilita'  di  esercitare  il  diritto  di  recesso  varrebbe   ad
attribuire al consumatore  il  piu'  efficace  mezzo  di  tutela  nei
confronti dell'eccessiva pubblicita'. L'esigenza di protezione  degli
utenti sarebbe,  quindi,  inidonea  a  fondare  la  legittimita'  del
trattamento differenziato. 
    Inoltre, il  canone  della  ragionevolezza  risulterebbe  violato
poiche' la misura adottata risulterebbe palesemente sproporzionata  e
incongrua. 
    In primo luogo, la  norma  non  sarebbe  giustificata  da  alcuna
esigenza di tutela di  interessi  di  rango  costituzionale.  Sicche'
nell'eventuale bilanciamento tra la liberta' di iniziativa economica,
sotto il profilo della capacita' di vendita degli spazi pubblicitari,
e interessi di rango inferiore, questi ultimi risulterebbero in  ogni
caso recessivi. 
    D'altra parte, una misura che rafforza la posizione dominante  di
un operatore, Mediaset, gia' favorito nel mercato  della  pubblicita'
televisiva dalla posizione di debolezza  del  principale  concorrente
(RAI), non realizzerebbe l'interesse superiore dei  telespettatori  a
confrontarsi  con   un   sistema   radiotelevisivo   pluralistico   e
concorrenziale. 
    6.3.-  La  disposizione  dell'art.  38,  comma  5,  si  porrebbe,
altresi', in contrasto con l'art. 41 Cost., incidendo sulla  liberta'
di iniziativa economica dell'emittente  televisiva  a  pagamento,  in
assenza di alcuna chiara finalita' sociale che giustifichi un  simile
intervento. 
    L'inasprimento dei limiti  orari  di  affollamento  pubblicitario
determinerebbe, a carico delle emittenti televisive a pagamento,  una
significativa limitazione della  capacita'  di  vendita  degli  spazi
pubblicitari  agli  inserzionisti  -  che  costituisce  pacificamente
un'attivita' di impresa, tutelata dall'art. 41 Cost. - in assenza  di
ragioni di utilita' sociale dichiarate  o,  comunque,  implicitamente
ricavabili dall'intervento normativo nel suo complesso. 
    La disposizione censurata avrebbe ingiustamente  favorito  -  sul
mercato della raccolta pubblicitaria -  le  emittenti  televisive  in
chiaro, avvantaggiando in particolare il soggetto che -  ancor  prima
dell'introduzione della misura in esame - gia' deteneva una posizione
dominante all'interno di tale  mercato,  con  conseguente  violazione
dell'art. 41 Cost. 
    6.4.- In prossimita' dell'udienza pubblica, Sky ha depositato una
memoria in cui  ha  eccepito  l'inammissibilita'  dell'intervento  di
Italia 7 Gold srl  nel  giudizio  incidentale  di  costituzionalita',
evidenziando che la stessa  non  sarebbe  titolare  di  un  interesse
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 
    6.4.1.- Con riferimento alla violazione dell'art.  76  Cost.,  la
societa' ricorrente ha ribadito le ragioni a sostegno della  ritenuta
estraneita' della norma censurata sia rispetto alle previsioni  della
direttiva n. 2007/65/CE, sia rispetto alla legge  delega  n.  88  del
2009. 
    Quanto al primo profilo, Sky ritiene che la direttiva non preveda
affatto la distinzione in base alla tipologia di  operatori.  Nessuna
disposizione consentirebbe, d'altra parte, l'introduzione  di  misure
conformative della liberta' di impresa e del libero dispiegarsi della
concorrenza,  come  la   previsione   di   limiti   di   affollamento
pubblicitario differenziati. Ad avviso della societa' ricorrente,  la
direttiva persegue, all'opposto, obiettivi di liberalizzazione. 
    Quanto al secondo profilo, viene  rilevato  che  la  possibilita'
assegnata al legislatore delegato di apportare  «opportune  modifiche
al testo unico della radiotelevisione» per recepire  le  disposizioni
europee  in  materia  di  product  placement  non  fornirebbe  alcuna
copertura alla  norma  censurata,  la  quale  si  presenterebbe  come
innovativa ed eccentrica,  sia  rispetto  alla  materia  del  product
placement,  sia  rispetto  alle   previsioni   della   direttiva   n.
2007/65/CE. Ad avviso della ricorrente, la disposizione censurata non
costituirebbe affatto una disposizione «occorrente» a dare attuazione
alla direttiva n. 2007/65/CE, come invece  richiede  l'art.  l  della
legge delega. 
    6.4.2.- Con riferimento alla violazione dell'art.  3  Cost.,  Sky
ribadisce che la  disparita'  di  trattamento  operata  attraverso  i
limiti di affollamento pubblicitario differenziati sarebbe tanto piu'
grave in considerazione dell'intenzione del legislatore di  garantire
alle emittenti televisive  private  maggiori  entrate  pubblicitarie,
nonche' della circostanza che la disposizione in esame finirebbe  per
rappresentare una misura di protezione in favore del gruppo Mediaset,
gia' dominante nel mercato della raccolta pubblicitaria. 
    6.4.3.- Infine, quanto alla denunciata  violazione  dell'art.  41
Cost., Sky esclude che ragioni  di  utilita'  sociale  giustificative
della misura controversa siano ravvisabili nell'esigenza di  tutelare
i telespettatori dagli eccessi di pubblicita' e, in  particolare,  di
offrire  una  speciale  protezione  agli   utenti   delle   emittenti
televisive a pagamento, soggetti ad una sorta di  doppia  imposizione
(canone di abbonamento  -  esposizione  alla  pubblicita'  in  misura
massima pari a quella consentita alla televisione gratuita). Infatti,
la presunta esigenza di una  tutela  rafforzata  degli  utenti  delle
emittenti a pagamento non sarebbe contenuta ne' nel testo della norma
censurata, ne' emergerebbe dai suoi atti preparatori. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  ordinanza  del   17   febbraio   2014,   il   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato -  in  riferimento
agli artt. 3, 41 e 76 della Costituzione - questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 38, comma  5,  del  decreto  legislativo  31
luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media  audiovisivi  e
radiofonici), come sostituito dall'art. 12 del decreto legislativo 15
marzo 2010, n. 44 (Attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa  al
coordinamento di determinate disposizioni legislative,  regolamentari
e amministrative degli Stati  membri  concernenti  l'esercizio  delle
attivita' televisive). 
    La disposizione censurata prevede che «La  trasmissione  di  spot
pubblicitari televisivi da parte  di  emittenti  a  pagamento,  anche
analogiche, non puo' eccedere per l'anno 2010 il 16  per  cento,  per
l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per
cento di una determinata  e  distinta  ora  d'orologio;  un'eventuale
eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso  dell'ora,
deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva». 
    La disposizione in esame stabilisce quindi  -  per  le  emittenti
televisive a pagamento -  limiti  orari  alla  trasmissione  di  spot
pubblicitari piu' restrittivi di quelli  previsti  per  le  emittenti
cosiddette "in chiaro". 
    Ad avviso del giudice rimettente, essa si porrebbe in  contrasto,
in primo luogo, con l'art. 76 Cost., poiche' tale misura sarebbe  del
tutto innovativa e non giustificata da alcuna previsione della  legge
delega,  ne'  da  una  ratio  implicita  della   direttiva   cui   la
disposizione dovrebbe dare attuazione. 
    Viene, inoltre, denunciato il contrasto con l'art. 3  Cost.,  per
l'intrinseca irrazionalita'  della  disposizione,  che  introdurrebbe
un'ingiustificata differenziazione tra i limiti orari di affollamento
pubblicitario applicabili alle emittenti  televisive  a  pagamento  e
quelli applicabili alle emittenti in  chiaro,  nonostante  l'unicita'
del mercato di riferimento; ed infine, con l'art. 41  Cost.,  poiche'
la disposizione inciderebbe sulla liberta'  di  iniziativa  economica
delle emittenti televisive a pagamento, in difetto di una  chiara  ed
inequivoca finalita' sociale che giustifichi  l'intervento  normativo
in questione. 
    2.-  In  via  preliminare,  va  ribadito  quanto   statuito   con
l'ordinanza della quale e' stata data lettura  in  pubblica  udienza,
allegata al presente provvedimento,  in  ordine  all'inammissibilita'
dell'intervento spiegato dalla societa' Italia 7 Gold srl. 
    Per costante giurisprudenza di  questa  Corte,  sono  ammessi  ad
intervenire nel giudizio incidentale di legittimita'  costituzionale,
oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso  di  legge
regionale,  al  Presidente  della  Giunta  regionale,  le  parti  del
giudizio principale. 
    L'intervento di soggetti  estranei  a  quest'ultimo  giudizio  e'
ammissibile  soltanto  per  i  terzi   titolari   di   un   interesse
qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o  dalle  norme  oggetto  di  censura  (ex
plurimis, ordinanza emessa all'udienza del 7 ottobre 2014, confermata
con sentenza n. 244 del  2014;  ordinanza  letta  all'udienza  dell'8
aprile 2014, confermata con sentenza n. 162 del 2014; ordinanza letta
all'udienza del 23 aprile 2013, confermata con sentenza  n.  134  del
2013; ordinanza letta all'udienza del 9 aprile 2013,  confermata  con
sentenza n. 85 del 2013). 
    Nella specie, Italia  7  Gold  srl  non  e'  parte  del  giudizio
principale, sorto a seguito del ricorso, proposto da Sky Italia  srl,
per l'annullamento della delibera con cui l'Autorita' per le garanzie
nelle  comunicazioni  ha  irrogato  alla  ricorrente   una   sanzione
amministrativa  pecuniaria,  ne'  risulta  essere  titolare   di   un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 
    Da quanto  esposto  consegue  l'inammissibilita'  dell'intervento
indicato. 
    3.- Sempre in via preliminare,  l'eccezione  di  inammissibilita'
della questione, sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato,  in
riferimento  alla  denunciata  violazione  dell'art.  41  Cost.,   e'
infondata. 
    Non sussiste, infatti, la lamentata genericita' dell'ordinanza di
rinvio. 
    La fattispecie concreta risulta  descritta  in  modo  sufficiente
(per quanto  rileva  ai  fini  di  causa)  e  viene  individuato  con
chiarezza  il   petitum,   volto   ad   ottenere   la   dichiarazione
d'illegittimita'   costituzionale   della   disposizione   censurata,
ritenuta in contrasto (tra gli altri) con il parametro costituzionale
dell'art.  41  Cost.,  in  quanto  inciderebbe  oggettivamente  sulla
liberta'  di  iniziativa  economica  delle  emittenti  televisive   a
pagamento, in difetto di una chiara ed inequivoca finalita' generale,
atta a giustificare la misura in questione. 
    4.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,
comma 5, del d.lgs. n. 177  del  2005,  per  violazione  dell'art.  3
Cost., deve essere, invece, dichiarata inammissibile. 
    4.1.- Secondo la  prospettazione  dell'ordinanza  di  rimessione,
l'introduzione  di  limiti  orari   di   affollamento   pubblicitario
differenziati per le emittenti televisive  a  pagamento,  rispetto  a
quelli per le emittenti televisive  in  chiaro,  non  terrebbe  conto
dell'unicita' del mercato di riferimento e  costituirebbe,  pertanto,
una misura discriminatoria, che penalizza in  maniera  ingiustificata
le emittenti televisive a pagamento. 
    Il parametro di cui all'art. 3 Cost. viene invocato  dal  giudice
rimettente sotto il duplice versante della violazione  del  principio
di  eguaglianza  e  dell'intrinseca  irragionevolezza   della   norma
impugnata. 
    4.2.- Al fine di eliminare tale ingiustificata  ed  irragionevole
disparita' di trattamento, il giudice a quo  richiede  un  intervento
puramente demolitorio della disposizione dell'art. 38, comma  5,  del
d.lgs. n. 177 del 2005. 
    Ne consegue che, laddove la stessa  fosse  annullata,  le  uniche
emittenti televisive assoggettate a specifici limiti di  affollamento
pubblicitario sarebbero la concessionaria pubblica (art. 38, comma 1)
e le emittenti in chiaro (art. 38, comma 2). 
    Verrebbe meno,  quindi,  ogni  limitazione  per  le  emittenti  a
pagamento, le quali  non  potrebbero  essere  ricondotte  nell'ambito
applicativo delle altre disposizioni dell'art. 38, che specificamente
riguardano la concessionaria pubblica e le emittenti in chiaro. 
    Anche laddove si ritenessero applicabili i  limiti  previsti  «in
ogni caso» dal precedente comma 4 dell'art. 38,  tale  soluzione  non
sarebbe coerente con il petitum formulato dal giudice a quo, volto ad
realizzare il recupero della legalita' costituzionale attraverso  una
piena equiparazione dei limiti di affollamento pubblicitario  per  le
emittenti a pagamento e per quelle in chiaro. 
    4.3.-  In  definitiva,  l'esito  prefigurato  dal  rimettente   -
l'equiparazione delle emittenti  a  pagamento  a  quelle  in  chiaro,
quanto  ai  limiti  di  affollamento  pubblicitario  -  non  potrebbe
scaturire dalla caducazione dal contesto normativo dell'art. 38 della
disposizione censurata. L'intervento correttivo  invocato,  afferente
al solo  comma  5,  non  varrebbe  a  ricondurre  ad  omogeneita'  le
situazioni poste a raffronto e sarebbe, quindi, inidoneo a  garantire
la  realizzazione  del  risultato  avuto  di  mira  dal   rimettente,
conseguibile  non  per  decisione  della  Corte,  ma  attraverso   la
rimodulazione legislativa dei limiti di affollamento. 
    Cio' e' motivo di inammissibilita' della questione  (sentenze  n.
163 e n. 30 del 2014; ordinanze n. 200 del 2000; n. 259 del 1998). 
    Tale  profilo  di  inammissibilita',  in  quanto  fondato   sulla
ritenuta  inidoneita'  dell'intervento  invocato  ad   eliminare   il
prospettato vulnus al principio dell'art. 3  Cost.,  non  si  estende
alle ulteriori censure formulate  dal  rimettente  in  riferimento  a
diversi  parametri  costituzionali,  che   devono   pertanto   essere
esaminate partitamente. 
    5.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., non e' fondata. 
    5.1.- La previsione di limiti  piu'  stringenti  di  affollamento
pubblicitario per le emittenti a pagamento costituirebbe,  ad  avviso
del giudice a quo, violazione dei  principi  e  criteri  della  legge
delega, in quanto si tratterebbe di una misura del tutto  innovativa,
non giustificata da alcuna previsione espressa, ne' da  alcuna  ratio
implicita della legge delega (legge 7 luglio  2009,  n.  88,  recante
«Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2008»), e della stessa direttiva alla quale il d.lgs.  n.
44 del 2010 ha dato attuazione. 
    5.2.-  In  linea  generale,  va   ribadito   come,   secondo   la
giurisprudenza costituzionale costante, il contenuto della delega non
possa essere individuato senza tenere conto del sistema normativo nel
quale la stessa  si  inserisce,  poiche'  soltanto  l'identificazione
della sua ratio consente di verificare, in sede di controllo,  se  la
norma delegata sia con essa coerente (ex plurimis,  sentenze  n.  134
del 2013, n. 272 del 2012, n. 230 del 2010, n. 98 del  2008,  n.  163
del 2000). 
    La disposizione censurata e' stata introdotta  dall'art.  12  del
d.lgs. n. 44 del 2010, adottato in esecuzione della delega  conferita
dalla legge n. 88 del 2009. Con essa, il Governo e' stato delegato ad
adottare i decreti legislativi recanti le norme occorrenti  per  dare
attuazione, tra  le  altre,  alla  direttiva  11  dicembre  2007,  n.
2007/65/CE (Direttiva del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  che
modifica  la  direttiva  89/552/CEE   del   Consiglio   relativa   al
coordinamento di determinate disposizioni legislative,  regolamentari
e amministrative degli Stati  membri  concernenti  l'esercizio  delle
attivita' televisive). 
    5.3.-  Al  di  la'  del  fatto  che,  con  specifico  riferimento
all'attuazione  di  tale  direttiva,  il  legislatore  delegante   ha
conferito al Governo uno spazio di intervento particolarmente  ampio,
autorizzando l'adozione delle modifiche  ritenute  «opportune»  (art.
26) e non solo «occorrenti» (art. 2, comma 1, lettera  b),  cio'  che
piu' conta e' che,  nel  caso  di  delega  per  l'attuazione  di  una
direttiva  comunitaria,  i  principi  che  quest'ultima  esprime   si
aggiungono a quelli dettati  dal  legislatore  nazionale  e  assumono
valore di parametro interposto,  potendo  autonomamente  giustificare
l'intervento del legislatore delegato (sentenze n. 134 del 2013 e  n.
32 del 2005). 
    Nell'individuazione  del  contenuto  precettivo  della  direttiva
rilevano il  considerando  n.  32,  che  richiama  l'obiettivo  della
armonizzazione minimale, il n. 59, che  ribadisce  la  necessita'  di
mantenere limiti orari di affollamento - attesa  la  loro  preminenza
sui limiti giornalieri  -  e,  nella  parte  dispositiva,  l'art.  3.
Quest'ultimo consente agli Stati membri di stabilire, per i fornitori
di servizi di media soggetti  alla  loro  giurisdizione,  norme  piu'
particolareggiate  o  piu'  rigorose  nei  settori  coordinati  dalla
direttiva, purche' tali norme siano conformi al diritto comunitario. 
    All'interno dei limiti tracciati dal diritto dell'Unione europea,
risultano quindi espressamente consentite disposizioni nazionali piu'
rigorose in materia di pubblicita' televisiva. 
    Di questa possibilita' si e'  avvalso  il  legislatore  delegato,
nello stabilire limiti di  affollamento  pubblicitario  differenziati
per le emittenti a pagamento. 
    5.4.- La conformita' al diritto europeo della nuova modulazione -
introdotta dalla disposizione censurata - dei limiti di  affollamento
pubblicitario  televisivo  e'  stata  positivamente  accertata  dalla
sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 18 luglio 2013,
in causa C-234/12, resa nel caso in esame e avente natura  vincolante
nei confronti del giudice rimettente. 
    In tale pronuncia,  l'obiettivo  perseguito  dalle  direttive  in
materia  di  fornitura  di  servizi  di   media   audiovisivi   viene
espressamente individuato nella tutela  equilibrata  degli  interessi
finanziari delle emittenti televisive e degli  inserzionisti,  da  un
lato, e degli interessi degli aventi diritto - autori e  realizzatori
-  e  della  categoria  di  consumatori,  ossia   i   telespettatori,
dall'altro (paragrafo 18 della sentenza della Corte di  giustizia  18
luglio 2013, in causa C-234/12). 
    La ricerca di tale equilibrio deve tenere conto della  diversita'
degli interessi finanziari delle  emittenti  televisive  a  pagamento
rispetto a quelli delle  emittenti  televisive  in  chiaro.  Infatti,
mentre le prime ricavano introiti dagli abbonamenti sottoscritti  dai
telespettatori, le seconde non beneficiano di una siffatta  fonte  di
finanziamento diretto e  devono  finanziarsi  con  le  entrate  della
pubblicita' televisiva o mediante altre  fonti  (paragrafo  20  della
sentenza della Corte di giustizia 18 luglio 2013, in causa C-234/12). 
    Le emittenti televisive a pagamento si pongono, pertanto, in  una
situazione  oggettivamente  diversa  da  quella  delle  emittenti  in
chiaro, quanto all'incidenza economica  dei  limiti  all'affollamento
pubblicitario  sulle  modalita'   di   finanziamento   delle   stesse
emittenti. E' stata, quindi,  esclusa  la  violazione  del  principio
della  parita'  di  trattamento  nella  previsione,  da   parte   del
legislatore nazionale, di limiti orari di affollamento pubblicitario,
differenziati in funzione della tipologia di emittenti (paragrafi  21
e 23 della sentenza della Corte di giustizia 18 luglio 2013, in causa
C-234/12). 
    L'art. 38 del d.lgs. n. 177 del 2005 - nel modulare i  limiti  di
affollamento pubblicitario in  funzione  delle  oggettive  diversita'
degli operatori - risulta coerente con la ratio della direttiva (come
espressamente individuata dalla Corte di giustizia), in quanto  volta
a realizzare la equilibrata tutela degli  interessi  delle  emittenti
televisive, da un lato, e di quelli dei consumatori - telespettatori,
dall'altro. 
    La  disposizione  censurata  rientra,  pertanto,   nell'area   di
operativita' della direttiva comunitaria, come definita  dalla  Corte
di giustizia con la sentenza 18 luglio 2013, e rientra, altresi', nel
perimetro tracciato dal legislatore delegante. 
    Da  cio'  discende  l'infondatezza  della  censura  formulata  in
riferimento alla violazione dell'art.  76  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'eccesso di delega. 
    6.- Del pari non fondata, infine, e' la questione di legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento all'art. 41 Cost. 
    Il legislatore statale puo' e deve mantenere forme di regolazione
dell'attivita' economica volte a garantire, tra l'altro, la  coerenza
dell'ordinamento  interno  con  gli   obiettivi   di   armonizzazione
stabiliti  dalle  direttive  europee;  in  tal  senso,  la   liberta'
d'iniziativa economica puo' essere anche  «ragionevolmente  limitata»
(art. 41, commi 2 e 3, Cost.), nel quadro  di  un  bilanciamento  con
altri interessi costituzionalmente rilevanti  (sentenza  n.  242  del
2014). 
    Nel caso in esame, la disciplina nazionale oggetto di censura  si
conforma a quella europea, nella  quale  -  come  sottolineato  dalla
stessa Corte di giustizia nella sentenza 18  luglio  2013,  in  causa
C-234/12 - i  principi  e  i  criteri  direttivi  delle  disposizioni
relative   all'affollamento   pubblicitario   televisivo   mirano   a
realizzare la protezione  dei  consumatori,  ed  in  particolare  dei
telespettatori,  oltre  che  la  tutela  della  concorrenza   e   del
pluralismo  televisivo.  In  tali  obiettivi  si  ravvisa,  in   modo
inequivoco, quella «finalita' sociale» che appare  in  se'  idonea  a
giustificare la misura normativa in esame.