ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto
comma,  del  codice  di  procedura  civile,  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Viterbo, in funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  nel
procedimento vertente tra C.D. e P.L. con ordinanza del 17  settembre
2014, iscritta al n. 36 del  registro  ordinanze  2015  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  12,  prima   serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 ottobre  2015  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Viterbo,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione, con ordinanza del 17 settembre  2014,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma,
del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 1, 2, 3, 4
e  36  della  Costituzione,  nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  assoluta  di  quella  parte  della   retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle  sue
esigenze di vita, e, in via  subordinata,  nella  parte  in  cui  non
prevede le medesime limitazioni in materia di pignoramento di crediti
tributari  introdotte  dall'art.  3,  comma  5,   lettera   b),   del
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento  delle
procedure di accertamento), convertito, con modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 26 aprile 2012,  n.  44,  che  ha  introdotto
l'art. 72-ter (Limiti di  pignorabilita')  nel  d.P.R.  29  settembre
1973, n.  602  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle  imposte  sul
reddito). 
    1.1.- Riferisce il giudice  a  quo  che  la  questione  e'  sorta
nell'ambito di una procedura esecutiva promossa dal C.  D.  ai  danni
della signora P.  L.,  debitrice  della  somma  complessiva  di  euro
10.513,13, oltre alle spese della procedura esecutiva. 
    Premette  il  Tribunale  ordinario  di  Viterbo  che   il   terzo
pignorato,  Poliedra  s.r.l.,  in  data  21  maggio  2014   ha   reso
dichiarazione positiva del suo obbligo di corrispondere  al  debitore
uno stipendio  mensile  di  euro  474,00  (al  netto  delle  ritenute
previste dalla legge); quindi, poiche'  in  base  all'art.  545  cod.
proc. civ. «Tali somme possono essere pignorate nella  misura  di  un
quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed  ai  comuni,
ed in eguale misura per ogni altro credito», ne deduce  il  Tribunale
rimettente che lo stipendio dell'esecutata sarebbe  pignorabile  fino
ad un quinto, ammontante nel caso di specie ad euro  94,80,  per  cui
resterebbero alla debitrice euro 379,20, non risultando agli atti che
la medesima disponga di altre fonti di sostentamento. 
    Al riguardo, osserva il Tribunale ordinario di  Viterbo  che  se,
invece, fosse  applicabile  alla  fattispecie  oggetto  del  presente
giudizio il limite indicato dall'art. 72-ter del d.P.R.  n.  602  del
1973, essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad euro
2.500,00 mensili, la stessa sarebbe  pignorabile  nel  limite  di  un
decimo e non di un quinto. 
    Evidenzia quindi il giudice a quo che la questione  e'  rilevante
nel giudizio in corso ai fini della decisione - adottabile  anche  ex
officio  -  sulla  impignorabilita'  assoluta  del  credito  o  sulla
quantificazione  dell'importo  che  potra'  essere   assegnato   alla
creditrice (un quinto od un decimo). 
    Secondo il rimettente,  a  seguito  della  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 506 del 2002 la giurisprudenza  prevalente  avrebbe
individuato   alcuni   parametri   di   riferimento   (quali   quelli
dell'"assegno sociale" o del trattamento minimo di cui  all'art.  38,
commi  1  e  5,  della  legge  28  dicembre  2001,  n.  448,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2002» ed all'art. 39, comma 8,  della
legge  27  dicembre  2002,  n.  289,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2003»). Tali importi sarebbero  entrambi  superiori  allo
stipendio  percepito  dalla  debitrice  (lavoratrice  "part   time"),
sicche' lo stipendio percepito sembrerebbe porsi ai limiti della mera
sussistenza, tanto piu'  che,  -  secondo  il  giudice  a  quo  -  il
pensionato, a differenza del lavoratore, non  dovrebbe  sostenere  le
ulteriori spese di produzione del  reddito.  Pertanto,  si  prosegue,
anche per il lavoratore dovrebbe essere individuato un minimo  vitale
indispensabile e  non  pignorabile,  dato  che,  se  la  retribuzione
venisse ridotta al di sotto di quel minimo, ne  risulterebbe  violato
il precetto costituzionale di cui all'art. 36 Cost., il quale prevede
che la  retribuzione  debba  essere  «in  ogni  caso  sufficiente  ad
assicurare a se' ed alla famiglia un'esistenza libera  e  dignitosa»;
essa violerebbe inoltre gli artt. 1, 2, 3 e 4 Cost. 
    Il Tribunale ordinario di Viterbo riferisce di essere consapevole
che la Corte  costituzionale  ha  sempre  respinto  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma,  cod.  proc.
civ. sollevata in riferimento all'art. 36 Cost., nella parte  in  cui
non prevede l'impignorabilita' assoluta della quota  di  retribuzione
necessaria al  mantenimento  del  debitore  e  della  famiglia  (sono
richiamate le sentenze n. 434 del 1997, n. 209 del 1975, n.  102  del
1974, n. 38 del 1970, n. 20 del 1968 e le ordinanze n. 491 del  1987,
n. 260 del 1987 e n. 12 del 1977) ma,  osserva  il  rimettente,  tale
orientamento sarebbe maturato in un contesto ben  diverso  da  quello
attuale, sia per quanto riguarda le  modifiche  normative  introdotte
sul regime delle pensioni e  dei  contratti  di  lavoro,  sia  per  i
mutamenti della giurisprudenza, piu' propensa a riconoscere identita'
di funzioni allo stipendio ed alla pensione, sia, infine, in  ragione
della  grave  crisi  economica   attuale,   che   determinerebbe   un
generalizzato impoverimento  dei  lavoratori  dovuto  alla  esiguita'
degli stipendi, e dei salari minimi (per attivita' lavorative  spesso
precarie o svolte a tempo  parziale),  come  sarebbe  il  caso  dello
stipendio percepito dalla debitrice.  Per  tali  motivi,  secondo  il
giudice a quo, la previsione contenuta nel quarto comma dell'art. 545
cod. proc. civ., laddove consente  il  pignoramento  dello  stipendio
seppur nel limite del quinto,  non  apparirebbe  piu'  frutto  di  un
razionale contemperamento dell'interesse del creditore con quello del
debitore  che  percepisca  uno  stipendio,  allorquando  questo   sia
destinato in  modo  essenziale  ed  imprescindibile  a  garantire  la
sopravvivenza del lavoratore e la sua possibilita' di svolgere le sue
prestazioni lavorative. 
    Pertanto, il rimettente ritiene necessario un ripensamento, anche
alla luce della nuova normativa in tema di pignoramenti  per  crediti
tributari dello Stato (art. 72-ter  del  d.P.R.  n.  602  del  1973):
secondo il Tribunale ordinario di  Viterbo  tale  novella  introdotta
nella materia dei pignoramenti per crediti aventi  natura  tributaria
mostrerebbe  la  considerazione   del   legislatore   per   l'attuale
congiuntura economica ed il diverso contesto normativo. 
    Per quanto sin qui esposto, il giudice a quo ritiene che la norma
censurata contrasti con gli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 Cost. in quanto  al
cittadino lavoratore deve essere garantito  che  il  frutto  del  suo
lavoro, cioe' il suo stipendio o salario, sia destinato,  almeno  nei
limiti del minimo indispensabile, al soddisfacimento  delle  esigenze
primarie di sopravvivenza proprie e della sua famiglia;  diversamente
ne risulterebbe violata sia la dignita' del  lavoro  come  fondamento
stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare
potrebbe diventare economicamente non conveniente), sia il diritto  a
che la retribuzione  percepita  sia  «in  ogni  caso  sufficiente  ad
assicurare a se' ed alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». 
    Secondo  il  rimettente  il  principio  di   uguaglianza   e   di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) risulterebbe violato  in  relazione  al
diverso  trattamento  che  riguarda  il  pensionato,  il  quale,  non
prestando piu' attivita'  lavorativa  riceverebbe  una  tutela  della
propria pensione (che potrebbe  essere  considerata  anche  come  una
retribuzione differita) diversa e maggiore di quella  che  riceve  un
lavoratore attivo. 
    Il  principio  di  uguaglianza  risulterebbe  anche  violato   in
relazione al diverso trattamento che riceve  il  debitore  a  seconda
della natura del credito per cui si  procede,  laddove,  per  effetto
della nuova disciplina  di  recente  introduzione  (art.  72-ter  del
d.P.R. n. 602 del 1973): infatti, quando il credito  sia  erariale  -
che, secondo il rimettente, per le ragioni di interesse pubblico  che
lo   assistono   dovrebbe   ricevere   un   miglior   trattamento   -
paradossalmente  il  debitore  risulterebbe   maggiormente   tutelato
rispetto ai casi  nei  quali  siano  portati  in  esecuzione  crediti
"comuni". 
    Per tali motivi, il  Tribunale  ordinario  di  Viterbo,  pur  non
ignorando i precedenti contrari  di  questa  Corte,  ritiene  che  le
questioni proposte assumano i caratteri della novita'. 
    2.- Ha  svolto  atto  di  intervento  nel  presente  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo l'inammissibilita'  o
comunque   l'infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale. 
    Osserva preliminarmente l'interveniente che il giudice remittente
ha indicato, quali parametri  di  riferimento,  una  serie  di  norme
costituzionali, ma non  avrebbe  tuttavia  individuato  lo  specifico
profilo di contrasto con la  norma  della  cui  costituzionalita'  si
discute. 
    Nel merito ritiene la difesa  erariale  che  le  questioni  siano
infondate alla luce della precedente giurisprudenza di questa  Corte,
che avrebbe gia' affrontato in varie occasioni la medesima  questione
a  partire  dalla  sentenza  n.  20  del  1968,  laddove  era   stata
sottolineata l'esigenza di contemperare  gli  opposti  interessi  del
creditore, ad ottenere la soddisfazione del proprio  credito,  e  del
debitore, a mantenere, comunque, un livello di vita accettabile (sono
richiamate anche le decisioni n. 434 del 1997, n. 49 del 1976, n. 209
del 1975, n. 38 del 1970 e l'ordinanza n. 225 del 2002).  Secondo  il
Presidente del Consiglio dei ministri  il  contemperamento  tra  tali
opposti interessi dovrebbe intendersi riservato alla discrezionalita'
del  legislatore  e,  al  riguardo,  proprio  le   varie   discipline
richiamate  dal  giudice  rimettente   confermerebbero   le   esposte
considerazioni. Sotto tale profilo non sembrerebbe,  quindi,  che  la
Corte possa sostituirsi  al  legislatore  in  una  valutazione  della
sufficienza della retribuzione riservata al legislatore. 
    2.1.- Con successiva memoria depositata in data 15  giugno  2015,
il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito  le  conclusioni
gia' rassegnate ed ha rammentato ulteriormente che gia' la  Corte  ha
affermato che, per i crediti retributivi, il limite del quinto per il
pignoramento non  e'  assoggettato  al  temperamento  riconosciuto  a
garanzia del minimo vitale (sentenza n. 506 del 2002). 
    Per il  resto,  osserva  ulteriormente  la  difesa  erariale,  il
diritto alla salute del singolo e le particolari esigenze individuali
dovrebbero essere assicurate ai non abbienti, o comunque ai  soggetti
bisognosi di cure o di prestazioni di particolare  onere,  attraverso
gli istituti e gli strumenti dello specifico settore  dell'assistenza
sanitaria o dell'assistenza generale e non possono essere  addossati,
come obbligo costituzionalmente vincolante,  a  carico  del  generico
creditore, portatore di un diritto  ad  una  prestazione  pecuniaria,
accertata giudizialmente attraverso un titolo esecutivo. 
    Con riferimento,  infine,  alla  prospettata  disparita'  tra  la
regola  del  quinto  dello   stipendio,   rispetto   ai   limiti   di
pignorabilita' fissati dall'art. 72-ter del d.P.R. n. 602  del  1973,
in materia di pignoramento dello stipendio per debiti  tributari,  in
cui tali limiti vengono parametrati  all'ammontare  dello  stipendio,
osserva il Presidente del Consiglio dei ministri che  si  tratterebbe
di una norma  di  settore,  rispetto  alla  quale,  alla  luce  della
consolidata giurisprudenza costituzionale  richiamata,  non  potrebbe
ritenersi l'incostituzionalita' della disciplina generale in materia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe il  Tribunale  ordinario
di Viterbo, in funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma,
del codice di procedura civile in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 e
36 della Costituzione. 
    Il rimettente dubita della legittimita' costituzionale  dell'art.
545,  quarto  comma,  cod.  proc.  civ.,  in   quanto   non   prevede
l'impignorabilita'  assoluta  di  quella  parte  della   retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle  sue
esigenze di vita. 
    Lo stesso giudice deduce anche la  violazione  del  principio  di
eguaglianza per disparita' di trattamento sia in relazione al diverso
regime afferente al pensionato, quale consolidatosi a  seguito  della
sentenza di questa Corte n. 506 del 2002, sia, in via subordinata, in
relazione al regime della riscossione dei  crediti  erariali  fissato
dall'art. 72-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  602  (Disposizioni
sulla  riscossione  delle  imposte  sul  reddito),  come   introdotto
dall'art. 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012,  n.
16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  26
aprile 2012, n. 44. 
    Il giudice a quo - nell'ambito di una procedura  di  pignoramento
di crediti presso terzi  lamenta  che  lo  stipendio  dell'esecutata,
particolarmente esiguo (secondo la dichiarazione  di  quantita'  resa
dal debitor debitoris  -  una  societa'  privata  datrice  di  lavoro
dell'esecutata, commessa impiegata part-time presso un supermercato -
il credito aggredibile sarebbe pari ad euro 474,00, e quindi, a mente
dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., il  quinto  aggredibile
sarebbe pari ad euro 94,80) sia ritenuto impignorabile solamente  per
i quattro quinti ai sensi della disposizione censurata. 
    Secondo il Tribunale ordinario di Viterbo si  dovrebbe  estendere
al pignoramento degli stipendi la  ratio  che  avrebbe  governato  la
sentenza n. 506 del 2002 di questa Corte, con la quale sarebbe  stata
riconosciuta la impignorabilita' delle pensioni  per  l'intera  parte
indispensabile alle elementari esigenze di vita del pensionato. 
    Pur consapevole dei principi espressi da questa  Corte  circa  la
conformita' dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. all'art.  36
Cost., nella parte in cui non prevede l'impignorabilita' della  quota
di retribuzione necessaria  al  mantenimento  del  debitore  e  della
famiglia (ex plurimis, sentenza n. 434 del 1997), il  giudice  a  quo
ritiene che anche per gli stipendi dovrebbe valere un regime  analogo
a quello indicato dalla  Corte  per  le  pensioni.  Diversamente,  la
previsione della pignorabilita' di un quinto delle retribuzioni anche
di basso ammontare, come nel caso di specie, si porrebbe in contrasto
con le disposizioni costituzionali che  esprimono  un  favor  per  il
lavoro. 
    Per  tali  ragioni  la  norma  censurata  contrasterebbe  con   i
parametri costituzionali evocati, in quanto: non garantirebbe che  lo
stipendio del  lavoratore  sia  destinato  al  soddisfacimento  delle
esigenze primarie di sopravvivenza proprie e della propria  famiglia;
violerebbe la dignita' del  lavoro  come  inteso  nella  Costituzione
repubblicana; non sarebbe idoneo ad assicurare un'esistenza libera  e
dignitosa. 
    Secondo  il  rimettente  i   principi   di   uguaglianza   e   di
ragionevolezza risulterebbero violati poiche', nel caso  di  stipendi
esigui, la previsione contenuta nell'art.  545,  quarto  comma,  cod.
proc.   civ.   non   costituirebbe   un   razionale   contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del lavoratore esecutato. 
    Inoltre, la disposizione censurata contrasterebbe con i  principi
di uguaglianza e  di  ragionevolezza  in  relazione  alla  diversa  e
maggiore tutela spettante al pensionato. 
    Il  principio  di  uguaglianza  risulterebbe  anche  violato   in
relazione al  diverso  trattamento  che  riceverebbe  il  debitore  a
seconda del credito per cui si  procede,  tenuto  conto  della  nuova
disciplina di recente  introduzione,  in  tema  di  pignoramenti  per
crediti tributari prevista dall'art. 3, comma 5, lettera b), del d.l.
n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,
della legge n. 44 del 2012, che ha inserito l'art. 72-ter (Limiti  di
pignorabilita') nel d.P.R. n. 602  del  1973.  L'introduzione  di  un
diverso  meccanismo  di  pignorabilita'  dei  redditi  sino  ad  euro
2.500,00 netti (pari ad un decimo dell'importo, e non invece pari  ad
un  quinto,  come   previsto   dall'art.   545   cod.   proc.   civ.)
evidenzierebbe, secondo il rimettente, una diversa considerazione del
legislatore per l'attuale congiuntura  economica  in  relazione  alla
solvibilita'   dei   percettori   di    redditi    esigui.    Sarebbe
irragionevolmente discriminatorio quindi che, quando il credito fatto
valere in executiviis abbia  natura  erariale,  il  debitore  risulti
maggiormente tutelato rispetto ai crediti comuni. 
    2.- Preliminarmente, in conformita' alla costante  giurisprudenza
di questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 178 del 2015), deve  essere
rilevata l'inammissibilita'  delle  censure  apoditticamente  rivolte
alla norma impugnata in  riferimento  agli  artt.  1,  2  e  4  Cost.
L'ordinanza  si  limita,  infatti,  a  menzionare   detti   parametri
costituzionali,  omettendo  di  fornire  un'argomentazione  esaustiva
sulle ragioni del preteso contrasto con le norme invocate. 
    3.-  Devono  essere  invece  ritenute  ammissibili  le  questioni
sollevate in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. 
    Ancorche' esposte in modo non sistematico, le argomentazioni  del
giudice rimettente in ordine alla rilevanza delle questioni sollevate
nella  definizione  del  giudizio  a  quo  superano  il   vaglio   di
ammissibilita'. Egli ritiene la disposizione impugnata  in  contrasto
con i parametri invocati secondo due ordini di ragionamento. 
    Nella prima prospettiva, dovrebbe essere  comunque  impignorabile
la retribuzione esigua,  quando  non  assicura  al  lavoratore  mezzi
adeguati alle esigenze  di  vita.  Sotto  tale  profilo,  il  giudice
rimettente fa leva soprattutto sull'art.  36  Cost.:  in  particolare
sarebbe assolutamente prevalente la tutela del diritto a disporre  di
adeguati mezzi di sussistenza rispetto all'applicazione del principio
della responsabilita' patrimoniale. 
    Nella  seconda  prospettiva,  la  norma  impugnata  lederebbe  il
principio di eguaglianza in relazione a due tertia comparationis:  in
via principale viene richiamato il  regime  di  impignorabilita'  dei
crediti pensionistici come consolidatosi a seguito della sentenza  n.
506 del 2002 di questa Corte e, in via subordinata, quello  dell'art.
72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 in materia di crediti erariali. 
    4.- Prima di passare al merito delle questioni cosi'  specificate
e'  utile  una  sintetica  ricostruzione,  ai  soli  fini   che   qui
interessano, del quadro normativo e giurisprudenziale  inerente  alla
disciplina della pignorabilita' dei redditi da lavoro e da pensione. 
    Secondo la previsione contenuta nel  codice  di  rito  civile,  i
crediti derivanti da rapporto di lavoro o di impiego sono pignorabili
nella misura del "quinto" (art. 545 quarto comma,  cod.  proc.  civ.)
mentre, qualora concorrano piu' cause tra quelle  indicate  dall'art.
545 cod. proc. civ., il quinto comma,  prevede  che  il  pignoramento
puo' estendersi sino alla meta'. 
    Per quel che riguarda gli emolumenti da pensione,  l'orientamento
(invocato dal giudice rimettente) di questa Corte e' nel  senso  che,
pur mantenendosi il limite del quinto  del  percepito,  debba  essere
sottratta al regime generale di pignorabilita' la parte necessaria  a
soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato (sentenza n. 506
del  2002).  Questa  Corte  ha  contestualmente  affermato   la   non
assimilabilita' del regime dei  crediti  pensionistici  a  quelli  di
lavoro,  precisando  che  «individuato  il  proprium   del   disposto
dell'art. 38, secondo comma, Cost.  nell'esigenza  di  garantire  nei
confronti di chiunque (con le sole eccezioni di crediti  qualificati,
tassativamente indicati dal legislatore) l'intangibilita' della parte
della pensione necessaria per assicurare mezzi adeguati alle esigenze
di vita del  pensionato,  non  ne  discende  automaticamente  analoga
conseguenza riguardo  alle  retribuzioni.  [...Cio'  in  quanto  non]
risulta incisa la ragione per  cui,  a  proposito  del  regime  della
pignorabilita', questa Corte ha negato sussistere l'esigenza  di  una
soglia di impignorabilita' assoluta: da un lato, infatti, l'art.  38,
secondo comma, Cost. enuncia un precetto che, quale espressione di un
principio di solidarieta' sociale, ha  come  destinatari  anche  (nei
limiti di ragione) tutti i consociati, dall'altro,  l'art.  36  Cost.
[...] indica parametri ai quali, [...] nei rapporti lavoratore-datore
di lavoro, deve conformarsi l'entita' della retribuzione,  senza  che
ne scaturisca, quindi, vincolo  alcuno  per  terzi  estranei  a  tale
rapporto,  oltre  quello  -  frutto  di  razionale   "contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del debitore  che  percepisca
uno stipendio" (sentenze n. 20 del 1968 e  n.  38  del  1970)  -  del
limite del quinto  della  retribuzione  quale  possibile  oggetto  di
pignoramento» (sentenza n. 506 del 2002). 
    Ferma restando la specificita' della situazione  del  pensionato,
e' stato comunque riconosciuto, nella  stessa  sentenza  n.  506  del
2002, che l'individuazione dell'ammontare  della  parte  di  pensione
idonea ad assicurare al pensionato mezzi adeguati  alle  esigenze  di
vita rimane riservata, "nei limiti di ragione", alla discrezionalita'
del legislatore. 
    Sotto quest'ultimo profilo e' da sottolineare la recente  novella
legislativa contenuta nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure
urgenti in materia fallimentare, civile e  processuale  civile  e  di
organizzazione  e  funzionamento  dell'amministrazione  giudiziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2015, n. 132, recante integrazioni agli artt. 545 e  546  cod.
proc. civ. In particolare l'art. 13, comma 1, lettera l), ha aggiunto
all'art. 545 cod. proc. civ. la seguente prescrizione  «Le  somme  da
chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo
di pensione o di altri assegni  di  quiescenza,  non  possono  essere
pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile
dell'assegno sociale, aumentato della meta'. La parte eccedente  tale
ammontare e' pignorabile nei limiti  previsti  dal  terzo,  quarto  e
quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge». 
    Proseguendo  nell'excursus  normativo  e  giurisprudenziale,   e'
opportuno ricordare che i limiti di  pignorabilita'  posti  dall'art.
545, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., non valgono  in  caso  di
esecuzione concorsuale.  In  tale  evenienza  trova  applicazione  la
normativa specifica contenuta nell'art. 46 del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), la quale affida al giudice il potere di  determinare
l'eventuale  devoluzione  al  fallito,  con  conseguente  sottrazione
all'acquisizione dell'attivo fallimentare, di una parte delle somme a
lui dovute a titolo di stipendio o di pensione,  entro  i  limiti  di
quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia. 
    Inoltre, l'art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, come  inserito
dall'art. 3, comma 5,  lettera  b),  del  d.l.  n.  16  del  2012  ed
integrato dall'art. 52, comma 1, lettera  f),  del  decreto-legge  21
giugno  2013,  n.  69   (Disposizioni   urgenti   per   il   rilancio
dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,
della legge 9 agosto 2013, n. 98,  dispone  in  tema  di  riscossione
delle imposte sul reddito  che  «1.  Le  somme  dovute  a  titolo  di
stipendio, di salario o di altre indennita' relative al  rapporto  di
lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento,
possono essere pignorate dall'agente della riscossione in misura pari
ad un decimo per importi fino a 2.500 euro e in  misura  pari  ad  un
settimo per importi superiori a 2.500 euro e non  superiori  a  5.000
euro. 2. Resta ferma la misura di cui all'articolo 545, quarto comma,
del codice di procedura civile,  se  le  somme  dovute  a  titolo  di
stipendio, di salario o di altre indennita' relative al  rapporto  di
lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento,
superano i cinquemila euro. 2-bis. Nel caso di accredito delle  somme
di cui ai commi 1 e 2 sul conto corrente intestato al  debitore,  gli
obblighi del terzo pignorato non si estendono  all'ultimo  emolumento
accreditato allo stesso titolo». 
    Infine, il gia' citato art. 13, comma 1, lettera l), del d.l.  n.
83 del 2015, ha aggiunto all'art. 545 cod. proc. civ.  una  ulteriore
prescrizione afferente  alla  pignorabilita'  delle  somme  su  conto
corrente bancario o postale intestato al debitore,  cosi'  formulata:
«Le somme dovute a titolo di  stipendio,  salario,  altre  indennita'
relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, nonche' a titolo di pensione,  di  indennita'
che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza,  nel  caso
di accredito su conto  bancario  o  postale  intestato  al  debitore,
possono  essere  pignorate,  per  l'importo   eccedente   il   triplo
dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in  data  anteriore
al  pignoramento;  quando  l'accredito  ha  luogo   alla   data   del
pignoramento o successivamente,  le  predette  somme  possono  essere
pignorate nei limiti previsti dal terzo,  quarto,  quinto  e  settimo
comma, nonche' dalle speciali disposizioni di legge. Il  pignoramento
eseguito sulle somme di cui al presente articolo  in  violazione  dei
divieti e oltre i limiti  previsti  dallo  stesso  e  dalle  speciali
disposizioni di legge e' parzialmente  inefficace.  L'inefficacia  e'
rilevata dal giudice anche d'ufficio». 
    A ben vedere, il quadro normativo e giurisprudenziale del  regime
delle impignorabilita' dei crediti  afferenti  a  redditi  esigui  si
presenta complesso a causa di  molteplici  fattispecie  riferibili  a
situazioni giuridiche diverse, tra loro difficilmente  comparabili  e
sostanzialmente disomogenee. 
    5.-  Alla  luce  della   premessa   ricostruzione   normativa   e
giurisprudenziale, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3
e 36 Cost. non sono fondate. 
    5.1.-  Con  riguardo  alla  pretesa  illegittimita'  della  norma
perche' inidonea a garantire al lavoratore i mezzi adeguati alle  sue
esigenze di vita, questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  precisare
(sentenza n. 20 del 1968) che lo scopo dell'art. 545 cod. proc.  civ.
e' quello di contemperare la protezione del  credito  con  l'esigenza
del  lavoratore  di  avere,  attraverso  una  retribuzione   congrua,
un'esistenza libera e dignitosa. La facolta' di escutere il  debitore
non puo' essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una
parte del salario e' un sacrificio che puo' essere molto gravoso  per
il lavoratore scarsamente retribuito. Con l'art. 545 cod. proc.  civ.
il legislatore si e'  dato  carico  di  contemperare  i  contrapposti
interessi «contenendo in  limiti  angusti  la  somma  pignorabile  [e
graduando il sacrificio in  misura  proporzionale  all'entita'  della
retribuzione]: chi  ha  una  retribuzione  piu'  bassa,  infatti,  e'
colpito in misura proporzionalmente minore. Percio' non e'  vero  che
siano state "parificate" situazioni diverse,  ne'  si  puo'  ritenere
arbitraria la norma impugnata sol perche' non ha escluso gli stipendi
e i salari piu' esigui» (sentenza n. 20 del 1968; in  seguito,  anche
sentenze n. 102 del 1974 e n. 209 del 1975, nonche' ordinanze  n.  12
del 1977 e n. 260 del 1987). 
    La scelta del criterio  di  limitazione  della  pignorabilita'  e
l'entita' di detta limitazione rientrano, per  costante  orientamento
di questa Corte,  nel  potere  costituzionalmente  insindacabile  del
legislatore (ex plurimis, ordinanza n. 225 del 2002). 
    E'  stato  anche  affermato  essere   conforme   a   Costituzione
l'assoggettamento  della  «retribuzione,  da   qualsiasi   lavoratore
percepita, [alla] responsabilita' patrimoniale quale "bene" sul quale
qualsiasi creditore puo', nei limiti di legge, soddisfarsi» (sentenza
n. 506 del 2002).  Conseguentemente,  e'  sempre  stata  respinta  la
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art.  36
Cost., dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. Civ., nella  parte  in
cui  non  prevede  l'impignorabilita'  della  quota  di  retribuzione
necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia (sentenze n.
434 del 1997, n. 209 del 1975, n. 102 del 1974, n. 38 del 1970, n. 20
del 1968 e ordinanze n. 491 del 1987, n. 260 del 1987  e  n.  12  del
1977). 
    Non appare nuovo sotto questo profilo l'argomento del  rimettente
secondo cui l'incipiente crisi economica e l'evoluzione  normativa  e
giurisprudenziale  comporterebbero  il  superamento  della   costante
giurisprudenza di questa Corte. Anche dopo la sentenza n. 20 del 1968
e' stato ribadito che non puo' essere mosso al legislatore il rilievo
di non aver tenuto conto, nella disciplina dell'art. 545  cod.  proc.
civ., dell'ipotesi «in cui per effetto del pignoramento e  nonostante
i limiti di impignorabilita' che sono fissati, la retribuzione scenda
al di sotto di un determinato livello e non assicuri al  debitore  il
minimo indispensabile per vivere. Resta il fatto in se',  ed  e'  ben
possibile che esso si verifichi specie  quando  la  retribuzione  sia
bassa, ma trattasi di un inconveniente che,  per  quanto  socialmente
doloroso,  non  da'  luogo  all'illegittimita'  costituzionale  della
normativa de qua» (sentenza n. 102 del 1974) proprio in ragione della
esigenza  di  non  vanificare  la  garanzia  del  credito.  Si   deve
considerare che la ratio della limitazione posta all'espropriabilita'
dei crediti da lavoro dipendente prevista nell'art.  545  cod.  proc.
civ. -  che,  come  tale,  costituisce  un  limite  legislativo  alla
generale  responsabilita'  patrimoniale  del  debitore   inadempiente
prevista dall'art. 2740 del codice civile - trova il  suo  fondamento
nel fatto che nella generalita' dei  casi  il  lavoratore  dipendente
trae i mezzi ordinari di sostentamento per le necessita'  della  vita
da un'unica fonte, facilmente aggredibile, «con cio' intendendo pero'
stabilire soltanto dei limiti ad un particolare mezzo  di  esecuzione
ma non certo introdurre una deroga al principio della responsabilita'
patrimoniale, la quale resta pertanto piena ed illimitata»  (sentenza
n. 580 del 1989). 
    Fermo restando l'orientamento di questa Corte (che il  rimettente
peraltro dimostra di conoscere) per cui non  esiste  un  parallelismo
tra la pignorabilita' delle retribuzioni  e  quella  delle  pensioni,
anche nella sentenza posta dal rimettente a fondamento di una  soglia
di impignorabilita' assoluta,  questa  Corte  ha  sancito  che  debba
essere comunque previsto un minimum «il cui ammontare  e'  ovviamente
riservato all'apprezzamento del legislatore (cosi' la sentenza n.  22
del 1969)» (sentenza n. 506 del 2002). 
    Con riferimento, poi, al rischio  paventato  dal  rimettente  che
l'aggressione  -  seppur  limitata  -  dei  redditi  "esigui"   possa
compromettere irrimediabilmente la loro capacita'  di  consentire  il
reperimento dei mezzi minimi indispensabili per vivere, la  Corte  ha
affermato, in un caso ancor piu' significativo,  in  cui  l'art.  545
cod. proc. civ. era stato impugnato in riferimento all'art. 32, primo
comma, Cost. (nella parte in cui predetermina la pignorabilita' dello
stipendio o salario nella misura  di  un  quinto  e  non  ne  affida,
invece, l'importo alla discrezionalita' del giudice), che «il diritto
alla salute del singolo e le particolari esigenze individuali  devono
essere assicurate ai non abbienti, o comunque ai  soggetti  bisognosi
di cure  o  di  prestazioni  di  particolare  onere,  attraverso  gli
istituti e gli  strumenti  dello  specifico  settore  dell'assistenza
sanitaria o attraverso quelli dell'assistenza generale e non  possono
essere  addossati,  come  obbligo  costituzionalmente  vincolante,  a
carico del  generico  creditore,  portatore  di  un  diritto  ad  una
prestazione pecuniaria, giurisdizionalmente accertato  attraverso  un
titolo esecutivo» (ordinanza n. 225 del 2002). 
    In sostanza, la tutela della certezza dei rapporti giuridici,  in
quanto collegata agli strumenti di protezione del credito  personale,
non consente di negare in radice la pignorabilita'  degli  emolumenti
ma di attenuarla per particolari situazioni la cui individuazione  e'
riservata alla discrezionalita' del legislatore. 
    5.2.- Quanto alle questioni sollevate in riferimento  all'art.  3
Cost., sia in relazione al regime di impignorabilita' delle pensioni,
sia - in via subordinata - all'art. 72-ter  del  d.P.R.  n.  602  del
1973, le argomentazioni del giudice  rimettente  non  possono  essere
condivise, in ragione della eterogeneita'  dei  tertia  comparationis
rispetto alla disposizione impugnata. 
    In primis non puo' essere esteso ai crediti  retributivi  -  come
pretenderebbe il rimettente - quanto affermato da questa Corte  nella
sentenza n. 506 del  2002  con  riguardo  alla  pignorabilita'  delle
pensioni: proprio detta sentenza - come gia' rilevato  -  esclude  la
estensibilita' della fattispecie ai crediti di lavoro per la  diversa
configurazione della tutela prevista dall'art. 38 rispetto  a  quella
dell'art. 36 Cost. Non e'  rilevante,  in  proposito,  la  richiamata
sopravvenienza del  d.l.  n.  83  del  2015,  il  quale  assimila  la
pignorabilita'  di  stipendi  e  pensioni  nel  solo  caso  di  somme
accreditate su conto corrente bancario o postale. 
    A maggior  ragione  non  puo'  costituire  tertium  comparationis
l'art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 nella vigente  formulazione,
il quale riguarda l'ancor piu' eterogenea fattispecie  inerente  alla
riscossione coattiva delle imposte sul reddito. 
    In definitiva, proprio  la  precedente  ricognizione  del  quadro
normativo e giurisprudenziale  afferente  alla  impignorabilita'  dei
crediti evidenzia un contesto di rilevante differenziazione,  per  di
piu' in fase espansiva alla luce  delle  fattispecie  normative  piu'
recenti le quali si discostano, non  solo  da  quella  impugnata,  ma
anche da quelle richiamate quali tertia comparationis dal rimettente. 
    Cio' e' inconfutabile indizio del fatto che -  nell'ambito  delle
soluzioni  costituzionalmente  conformi,  cioe'  caratterizzate   dal
bilanciamento tra le ragioni del credito e quelle del  percettore  di
redditi di lavoro esigui - il  legislatore  sta  esercitando  la  sua
discrezionalita'  in  modo  articolato,  valorizzando  gli   elementi
peculiari delle  singole  situazioni  giuridiche  piuttosto  che  una
riconduzione a parametri uniformi. 
    La disomogeneita' delle situazioni  sulla  base  delle  quali  e'
stato instaurato il giudizio emerge dunque da un esame obiettivo  del
contesto normativo complessivo e dalla sua evoluzione  differenziata.
Se il principio di eguaglianza implica  un  favor  nei  confronti  di
discipline quanto piu' generali possibili (sentenza n. 264 del 2005),
e' altresi' innegabile che il giudizio di coerenza ex  art.  3  Cost.
deve essere svolto per linee interne alla legislazione e che, in tale
prospettiva, gli elementi addotti dal rimettente  non  consentono  di
inquadrare  la  scelta  del  legislatore  sotto  il   profilo   della
disparita' di trattamento.