ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  commi
2-bis e 2-ter, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione  di  equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), come aggiunti dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero  2),
del decreto-legge 22 giugno  2012,  n.  83  (Misure  urgenti  per  la
crescita del Paese),  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012,  n.  134,  promossi  dalla  Corte
d'appello di Firenze, seconda sezione civile, con  ordinanze  del  14
ottobre 2013, del 27 febbraio, del 13 maggio (due ordinanze), del  17
aprile e del 3 marzo 2014, rispettivamente iscritte  al  n.  181  del
registro ordinanze 2014 ed ai nn. 8, 9, 10,  11  e  12  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell'anno  2014  e  n.  7,  prima  serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di costituzione di Basile Anna Maria, di  Bellucci
Marcello, di Salsano Pietro,  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 2016 e nella camera di
consiglio del 13 gennaio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi gli avvocati Ferdinando Emilio Abbate per Basile Anna Maria
e Salsano Pietro, e  l'avvocato  dello  Stato  Tito  Varrone  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 ottobre 2013 (r.o. n. 181 del 2014),  la
Corte d'appello di Firenze,  seconda  sezione  civile,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2-bis  e
2-ter,  della  legge  24  marzo  2001,  n.  89  (Previsione  di  equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), come aggiunti dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero  2),
del decreto-legge 22 giugno  2012,  n.  83  (Misure  urgenti  per  la
crescita del Paese),  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt.
3, primo comma,  111,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Il rimettente premette di dover decidere il ricorso  con  cui  la
parte ha proposto opposizione contro un decreto che, in  accoglimento
della domanda di equa riparazione ai sensi dell'art. 2 della legge n.
89 del 2001, ha stimato in un anno e  dieci  mesi  il  tempo  che  ha
ecceduto la ragionevole durata del processo. 
    Si e'  trattato,  in  particolare,  di  un  procedimento  avviato
proprio sulla base  della  legge  n.  89  del  2001,  a  causa  della
eccessiva durata di un altro giudizio. Il procedimento finalizzato al
ristoro del pregiudizio subito, a sua  volta,  ha  avuto  una  durata
complessiva di sette anni e dieci mesi e si e' svolto in due gradi. 
    Il giudice a quo osserva che la durata  del  periodo  oggetto  di
ristoro e' stata  determinata  in  applicazione  dell'art.  2,  comma
2-ter, introdotto dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero  2),  del
d.l. n. 83 del 2012. 
    Tale  disposizione  stabilisce   che   «Si   considera   comunque
rispettato il termine ragionevole se il giudizio  viene  definito  in
modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni». 
    Ne consegue che, sottratti i sei anni  dalla  durata  complessiva
del primo procedimento avviato in forza della legge n. 89  del  2001,
residua il solo periodo gia' indicato di un anno e dieci mesi. 
    Il rimettente, dopo avere motivatamente respinto le eccezioni  di
inammissibilita' del ricorso sollevate dall'Avvocatura generale dello
Stato,  osserva  che  la  giurisprudenza  di  legittimita'  formatasi
anteriormente alla novella del 2012 e la giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo avevano indicato in due anni il  limite
di ragionevole durata complessiva  del  procedimento  previsto  dalla
legge n. 89 del 2001. 
    Analoga conclusione  si  imporrebbe  oggi,  in  base  al  dettato
costituzionale,  tenuto  conto  che  il  procedimento  ha   carattere
semplificato, si svolge in un unico grado di merito, accerta fatti di
immediata evidenza e persegue finalita' acceleratorie. 
    Il legislatore,  prescrivendo  anche  per  tale  procedimento  un
termine di durata ragionevole pari a sei anni,  avrebbe  violato  gli
artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma,  Cost.,
in relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Ne' il giudice potrebbe interpretare l'art. 2,  comma  2-ter,  in
senso conforme alla Costituzione, perche' esso si  applica  «ad  ogni
procedimento civile per cui non sia disposto diversamente, e non solo
al giudizio ordinario di cognizione; tanto e' vero  che,  per  alcune
procedure speciali, come quella esecutiva, e quella  concorsuale,  la
legge ha previsto termini diversi e specifici». 
    La Corte rimettente censura, sulla base dei medesimi parametri  e
per analoghe ragioni, anche l'art. 2, comma 2-bis, della legge n.  89
del 2001, nella parte in cui  determina  la  durata  ragionevole  del
primo grado di un processo in tre  anni  e  quella  del  giudizio  di
legittimita' in un anno. 
    Il  giudice   a   quo   afferma   che,   una   volta   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale del termine complessivo di sei  anni,
dovrebbe trovare applicazione questa  norma,  parimenti  sospetta  di
illegittimita' costituzionale, e precisa che, nel caso di specie,  il
giudizio, sommando le fasi  di  merito  e  di  legittimita',  avrebbe
dovuto avere la durata di quattro anni. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili. 
    Con riferimento all'art. 2, comma 2-ter,  l'Avvocatura  eccepisce
che il giudice  a  quo  avrebbe  potuto  adottare  un'interpretazione
costituzionalmente orientata, in base  alla  quale  ritenere  che  il
limite di sei anni di durata complessiva  del  procedimento  non  sia
vincolante, quando quest'ultimo ha carattere semplificato. 
    Inoltre la questione sarebbe inammissibile perche'  non  potrebbe
dar luogo a un intervento di questa Corte a "rime obbligate". 
    3.- Si e'  costituita  nel  processo  incidentale  la  parte  del
giudizio principale, la quale rileva, anzitutto, che l'art. 2,  comma
2-ter, sarebbe applicabile solo ai procedimenti svoltisi in tre gradi
di giudizio, in quanto la disposizione andrebbe letta in collegamento
con l'art. 2, comma 2-bis, che stabilisce i  termini  di  ragionevole
durata del processo con riguardo al primo,  al  secondo  e  al  terzo
grado di giudizio. 
    Ne seguirebbe che il rito previsto dalla legge n.  89  del  2001,
strutturato in  due  soli  gradi,  si  sottrarrebbe  alla  previsione
impugnata e continuerebbe ad essere soggetto al limite di  durata  di
due anni, enunciato dalla Corte EDU. 
    Se tale interpretazione non fosse condivisa,  la  Corte  dovrebbe
accogliere la questione di legittimita' costituzionale. 
    4.- Con ordinanza del 27 febbraio 2014 (r.o. n. 8 del  2015),  la
Corte d'appello di Firenze,  seconda  sezione  civile,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2-bis  e
2-ter, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice a quo deve decidere su una domanda proposta  ai  sensi
della legge n. 89 del 2001 e relativa a un procedimento durato, in un
unico grado, due anni e sette mesi. 
    Con argomenti analoghi a quelli gia' esposti, la Corte rimettente
dubita della legittimita' costituzionale del comma 2-ter dell'art.  2
della legge n. 89 del 2001, e del comma 2-bis del medesimo  articolo,
nella parte in cui determina la durata ragionevole del primo grado di
un processo in tre anni e quella del giudizio di legittimita'  in  un
anno. 
    5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili,  e,
nel merito, non fondate. 
    Dopo avere ribadito le eccezioni di inammissibilita'  svolte  nel
precedente giudizio con riguardo alla questione vertente sull'art. 2,
comma 2-ter, la difesa dello Stato  rileva  che  e'  sopraggiunta  la
sentenza della Corte di cassazione, sesta sezione civile, 6  novembre
2014, n. 23745, con la quale e' stato statuito che il termine di  sei
anni ivi previsto si applica ai  soli  processi  strutturati  su  tre
gradi di giudizio. Il procedimento previsto dalla  legge  n.  89  del
2001  non  sarebbe  percio'  disciplinato  da  tale  disposizione   e
spetterebbe al giudice decidere quale ne sia la ragionevole durata. 
    Per tali ragioni, la questione sarebbe non fondata. 
    6.- Con ordinanza del 13 maggio 2014 (r.o. n.  9  del  2015),  la
Corte d'appello di Firenze,  seconda  sezione  civile,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2-bis  e
2-ter, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice a quo deve decidere su una domanda proposta  ai  sensi
della legge n. 89 del 2001, e relativa a un procedimento  durato,  in
un unico grado, cinque anni e dieci mesi. 
    Con argomenti analoghi a quelli gia' esposti, la Corte rimettente
dubita della legittimita' costituzionale del comma 2-ter dell'art.  2
della legge n. 89 del 2001, e del comma 2-bis del medesimo  articolo,
nella parte in cui determina la durata ragionevole del primo grado di
un processo in tre anni. 
    7.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili,  e,
nel merito, non fondate, con argomenti analoghi a  quelli  sviluppati
nei precedenti giudizi. 
    8.- Con ordinanza del 13 maggio 2014 (r.o. n. 10  del  2015),  la
Corte d'appello di Firenze,  seconda  sezione  civile,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2-bis  e
2-ter, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice a quo deve decidere su una domanda proposta  ai  sensi
della legge n. 89 del 2001, e relativa a un procedimento  durato,  in
un unico grado, due anni, nove mesi e sedici giorni. 
    Con argomenti analoghi a quelli gia' esposti, la Corte rimettente
dubita della legittimita' costituzionale del comma 2-ter dell'art.  2
della legge n. 89 del 2001, e del comma 2-bis del medesimo  articolo,
nella parte in cui determina la durata ragionevole del primo grado di
un processo in tre anni. 
    9.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili,  e,
nel merito, non fondate, con argomenti del tutto  analoghi  a  quelli
sviluppati nei precedenti giudizi. 
    10.- Si e' costituita  nel  processo  incidentale  la  parte  del
giudizio  principale,  che  chiede  l'accoglimento  delle  questioni,
sviluppando argomenti analoghi a quelli proposti dal giudice  a  quo.
La  parte   aggiunge   che   la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale sarebbe a "rime obbligate", poiche' la  giurisprudenza
della Corte EDU ha fissato in due  anni  il  termine  di  ragionevole
durata complessiva della procedura prevista dalla  legge  n.  89  del
2001, escludendo la compatibilita' con la CEDU  di  un  termine  piu'
lungo,  in  ragione  della  semplicita'  dell'accertamento  e   delle
finalita' cui esso risponde. 
    11.- Con ordinanza del 17 aprile 2014 (r.o. n. 11 del  2015),  la
Corte d'appello di Firenze,  seconda  sezione  civile,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 2-bis e 2
-ter, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 3,  primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice a quo deve decidere su una domanda proposta  ai  sensi
della legge n. 89 del 2001, e relativa a un procedimento  durato,  in
un unico grado, quattro anni, otto mesi e quindici giorni. 
    Con argomenti analoghi a quelli gia' esposti, la Corte rimettente
dubita della legittimita' costituzionale del comma 2-ter dell'art.  2
della legge n. 89 del 2001, e del comma 2-bis del medesimo  articolo,
nella parte in cui determina la durata ragionevole del primo grado di
un processo in tre anni e quella del giudizio di legittimita'  in  un
anno. 
    12.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili,  e,
nel merito, non fondate, con argomenti analoghi  a  quelli  enunciati
nei precedenti giudizi. 
    13.- Con ordinanza del 3 marzo 2014 (r.o. n.  12  del  2015),  la
Corte d'appello di Firenze,  seconda  sezione  civile,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2-bis  e
2-ter, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice a quo deve decidere su una domanda proposta  ai  sensi
della legge n. 89 del 2001, e relativa a un procedimento  durato,  in
un unico grado, due anni e otto mesi. 
    Con argomenti analoghi a quelli gia' esposti, la Corte rimettente
dubita della legittimita' costituzionale del comma 2-ter dell'art.  2
della legge n. 89 del 2001, e del comma 2-bis del medesimo  articolo,
nella parte in cui determina la durata ragionevole del primo grado di
un processo in tre anni e quella del giudizio di legittimita'  in  un
anno. 
    14.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili,  e,
nel merito, non fondate, con argomenti analoghi a  quelli  sviluppati
nei precedenti giudizi. 
    15.- Si e' costituita  nel  processo  incidentale  la  parte  del
giudizio  principale,  svolgendo  considerazioni  analoghe  a  quelle
formulate dalla parte privata nel giudizio iscritto  al  n.  181  del
registro ordinanze 2014. 
    16.- Con due memorie di analogo  tenore,  le  parti  private  dei
giudizi iscritti al n. 181 del registro ordinanze 2014 e al n. 12 del
registro  ordinanze  2015  hanno  evidenziato  che  il  piu'  recente
indirizzo  della  Corte  di   cassazione   esclude   l'applicabilita'
dell'art. 2, comma 2-ter, ai procedimenti che non sono strutturati in
tre gradi di giudizio, e in particolare a quelli  disciplinati  dalla
legge n. 89 del 2001. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Firenze, seconda  sezione  civile,  con
sei ordinanze di analogo tenore (r.o. n. 181 del 2014 e nn. 8, 9, 10,
11  e  12  del  2015),  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 2-bis e 2-ter, della legge 24 marzo
2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del
termine ragionevole del processo e  modifica  dell'articolo  375  del
codice di procedura civile), come aggiunti  dall'art.  55,  comma  1,
lettera a), numero 2),  del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83
(Misure  urgenti  per  la  crescita  del  Paese),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.
134, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 111, secondo comma,  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (d'ora  in  avanti  «CEDU»),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la
legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    L'art. 2, comma 1, della legge n. 89 del  2001  assicura  un'equa
riparazione a chi abbia subito un danno conseguente all'irragionevole
durata di un processo. 
    Le  disposizioni  oggetto  di  censura  sono   state   introdotte
dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero 2),  del  d.l.  n.  83  del
2012, al fine di adottare una disciplina legale dei termini entro cui
il giudizio deve reputarsi rispettoso del principio della ragionevole
durata del processo, enunciato dall'art. 111, secondo comma, Cost.  e
dall'art. 6, paragrafo 1, della CEDU. 
    L'art. 2, comma 2-bis,  stabilisce,  a  tale  proposito,  che  il
termine e' considerato ragionevole  se  il  processo  non  eccede  la
durata di tre anni in primo grado, due in secondo grado e un anno nel
giudizio di legittimita'. 
    L'art. 2,  comma  2-ter,  aggiunge  che  «Si  considera  comunque
rispettato il termine ragionevole se il giudizio  viene  definito  in
modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni». 
    I rimettenti sono chiamati a pronunciarsi su domande di  condanna
all'equa  riparazione,  conseguenti  all'eccessiva   protrazione   di
procedimenti regolati a loro volta dalla legge  n.  89  del  2001,  e
sostengono di dover applicare le norme impugnate. 
    Per tale peculiare ipotesi, i  giudici  a  quibus  ritengono  che
entrambi  i  termini  indicati  dalle  disposizioni  censurate  siano
incompatibili con quanto previsto, sulla base dell'art. 6 della CEDU,
dalla  Corte  europea  del   diritti   dell'uomo   e   dalla   stessa
giurisprudenza di  legittimita'  consolidatasi  prima  della  novella
recata dal d.l. n. 83 del 2012, anche in forza dell'art. 111, secondo
comma, Cost. 
    La Corte europea avrebbe  infatti  reiteratamente  affermato  che
grava un peculiare onere di diligenza sullo Stato  gia'  inadempiente
all'obbligo di assicurare la ragionevole durata di un  processo.  Per
questa ragione,  il  diritto  all'equa  riparazione  dovuta  a  causa
dell'eccessiva protrazione  di  un  procedimento  disciplinato  dalla
legge n. 89 del 2001 andrebbe soddisfatto con particolare  celerita',
mentre non sarebbero a tal fine adeguati i termini  previsti  in  via
generale, con riferimento  alla  durata  dell'ordinario  processo  di
cognizione. 
    In  applicazione  di  questi  principi,  la   giurisprudenza   di
legittimita' aveva ritenuto congruo il termine di durata di un  anno,
per l'unico grado di merito del procedimento regolato dalla legge  n.
89 del 2001, e quello di un ulteriore anno, relativamente al giudizio
di legittimita' previsto da tale legge, per complessivi due anni  (da
ultimo, Corte di cassazione, sezioni unite civili, 19 marzo 2014,  n.
6312). 
    I rimettenti,  reputando  tali  termini  conformi  all'art.  111,
secondo  comma,  Cost.  e  all'art.  6  della  CEDU,  denunciano   le
disposizioni censurate,  anche  con  riferimento  all'art.  3,  primo
comma, Cost., «nella parte in cui si applicano anche ai  procedimenti
di equa riparazione» previsti dalla legge n. 89 del 2001. 
    2.- I giudizi  vertono  sulle  medesime  disposizioni  e  pongono
analoghe questioni, sicche' ne appare opportuna la riunione, ai  fini
di una decisione congiunta. 
    3.- L'art. 2, comma 2-bis, viene impugnato da  alcuni  rimettenti
(r.o. n. 181 del 2014 e nn. 8, 11 e 12 del 2015), sia nella parte  in
cui indica la «ragionevole» durata del procedimento di  primo  grado,
sia in quella relativa al giudizio di  legittimita'.  Tuttavia,  solo
nel caso dell'ordinanza di rimessione iscritta al n. 181 del registro
ordinanze 2014 il rimettente da' conto dello svolgimento del giudizio
di cassazione, nell'ambito del procedimento regolato dalla cosiddetta
legge Pinto, per il quale e' chiesta l'equa riparazione, mentre dalle
ordinanze iscritte ai nn. 8, 11 e  12  del  registro  ordinanze  2015
risulta che tale ricorso non ha avuto luogo. 
    Ne consegue,  solo  per  queste  ultime,  l'inammissibilita'  per
difetto di rilevanza delle questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  2,  comma  2-bis,  nella  parte  relativa  al  termine  di
ragionevole durata del giudizio di legittimita'. 
    4.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni,  perche'  i  giudici  a  quibus
avrebbero omesso di  adottare  un'interpretazione  costituzionalmente
conforme  delle  disposizioni  impugnate.  Queste  ultime,  in   tale
prospettiva, si limiterebbero ad  introdurre  un  «parametro  cui  il
giudice deve attenersi senza esserne vincolato in termini  assoluti»,
potendone invece prescindere alla luce della natura del procedimento. 
    L'eccezione e' manifestamente infondata. 
    L'obbligo  di  addivenire  ad  un'interpretazione  conforme  alla
Costituzione   cede   il   passo   all'incidente   di    legittimita'
costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto
letterale della disposizione e  si  riveli  del  tutto  eccentrica  e
bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la  disposizione
si  colloca  (sentenze  n.  1  del  2013  e   n.   219   del   2008).
L'interpretazione secondo Costituzione e' doverosa ed ha  un'indubbia
priorita' su ogni altra (sentenza n. 49 del 2015), ma appartiene  pur
sempre alla famiglia delle tecniche esegetiche, poste a  disposizione
del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, che  hanno
carattere dichiarativo. Ove, percio', sulla base  di  tali  tecniche,
non sia possibile trarre dalla  disposizione  alcuna  norma  conforme
alla Costituzione, il giudice e' tenuto  ad  investire  questa  Corte
della relativa questione di legittimita' costituzionale. 
    I commi 2-bis e 2-ter dell'art. 2, nell'affermare che il  termine
ivi indicato «Si considera rispettato», sono univoci  e  non  possono
che essere intesi nel senso che tale termine va ritenuto ragionevole.
Cio' appare  tanto  piu'  vero,  se  si  tiene  a  mente  che  questa
affermazione e' stata fatta nell'ambito di  un  intervento  normativo
segnato   dall'intento   del   legislatore    di    sottrarre    alla
discrezionalita' giudiziaria la determinazione della  congruita'  del
termine, per affidarla invece ad una previsione legale  di  carattere
generale. 
    Si puo' aggiungere fin d'ora che, in tal modo, e in coerenza  con
quest'ultima finalita', e'  stato  regolato  l'insieme  dei  processi
civili di cognizione, e dunque anche il procedimento  previsto  dalla
legge n. 89 del  2001,  cui  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha
costantemente attribuito tale natura.  Difatti,  lo  stesso  art.  2,
comma 2-bis, di tale legge reca  previsioni  speciali  esclusivamente
per  il  procedimento  di  esecuzione  forzata  e  per  le  procedure
concorsuali. 
    5.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  ha,  altresi',  eccepito
l'inammissibilita'   delle   questioni   perche'    ad    esse    non
corrisponderebbe   una   soluzione   costituzionalmente    obbligata,
spettando al legislatore individuare il termine congruo di durata del
procedimento  regolato  dalla  legge  n.  89  del  2001,  una   volta
dichiarati illegittimi i  termini  ora  previsti  dalle  disposizioni
censurate. 
    L'eccezione e' infondata. 
    I  rimettenti,  sulla  scia  della   consolidata   giurisprudenza
europea, si limitano  a  denunciare  l'illegittimita'  costituzionale
della scelta del legislatore  di  equiparare  la  ragionevole  durata
complessiva dei procedimenti regolati dalla legge n. 89  del  2001  a
quella di ogni  altro  procedimento  civile  di  cognizione,  quando,
invece, gli artt. 3 e 111 Cost. e l'art. 6  della  CEDU  imporrebbero
che essa sia piu' contenuta. In tale prospettiva, i giudici a  quibus
non sono certamente tenuti ad indicare quali termini  siano  adeguati
al caso di specie, ne' l'eventuale discrezionalita'  del  legislatore
nel rimodularli puo' essere d'ostacolo alla rimozione di  norme  che,
in ipotesi, determinano un vulnus alla Costituzione. 
    Peraltro, la giurisprudenza della Corte di  Strasburgo  e  quella
della Corte di cassazione antecedente  alla  novella  introdotta  dal
d.l. n.  83  del  2012  ben  possono  soccorrere  l'interprete  nella
immediata individuazione  del  termine  di  durata  ragionevole,  ove
l'intervento del legislatore ritardi o manchi del tutto. 
    6.- L'Avvocatura ha poi osservato che l'art. 2, comma 2-ter,  non
sarebbe applicabile ai procedimenti previsti dalla legge  n.  89  del
2001, perche' essi sono articolati su due gradi di  giudizio,  mentre
il termine di sei anni previsto da tale norma,  e  che  si  considera
«comunque» ragionevole, esigerebbe che il processo si sia  svolto  in
tre gradi. 
    In effetti, appare chiaro il collegamento  tra  l'art.  2,  comma
2-bis, ed il successivo comma 2-ter. La prima  disposizione  contiene
la ragionevole durata del processo entro tre anni per il primo grado,
due per il secondo e uno per il  giudizio  di  legittimita',  per  un
totale  di  sei  anni.  La  seconda  norma,  riferendosi  proprio   a
quest'ultimo arco temporale, permette  di  compensare  le  violazioni
determinatesi  in  una  fase  con  l'eventuale  recupero  goduto   in
un'altra, a condizione che non si superi il limite complessivo di sei
anni. L'art. 2, comma 2-ter, pertanto, benche' sia in linea  astratta
riferibile a qualunque procedimento civile di cognizione, non  potra'
in concreto trovare  applicazione  nel  procedimento  regolato  dalla
legge n. 89 del  2001,  che  non  e'  strutturato  in  tre  gradi  di
giudizio. In questa direzione si e' infatti pronunciata la  Corte  di
cassazione (a partire dalla sentenza della sesta  sezione  civile,  6
novembre 2014, n. 23745). 
    Ne consegue che le questioni relative all'art.  2,  comma  2-ter,
sono inammissibili per difetto di rilevanza, posto che  i  rimettenti
non sono chiamati ad applicare tale disposizione. 
    7.- Sono invece ammissibili le  questioni  relative  all'art.  2,
comma 2-bis, nei limiti di quanto gia'  precisato  al  punto  3.  del
Considerato  in  diritto,  poiche'  i  giudici  a  quibus  che  hanno
compiutamente descritto la fattispecie sono  tenuti  all'applicazione
della norma, sia nel caso in cui il limite ivi indicato non sia stato
superato (cio' che li obbligherebbe a rigettare la  domanda  di  equa
riparazione),  sia   per   l'ipotesi   contraria,   ai   fini   della
quantificazione dell'indennizzo previsto dall'art. 2-bis della  legge
n. 89 del 2001. 
    8.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 2-bis, nella parte in cui determina in tre anni la  ragionevole
durata del procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001 nel primo
e unico grado di merito, e' fondata,  in  riferimento  all'art.  111,
secondo comma, e all'art. 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, della CEDU. 
    Dalla giurisprudenza europea consolidata si evince  (sentenza  n.
49 del 2015) il principio di diritto, secondo cui lo Stato e'  tenuto
a concludere il procedimento volto all'equa riparazione del danno  da
ritardo maturato in altro processo in termini piu' celeri  di  quelli
consentiti nelle procedure ordinarie, che  nella  maggior  parte  dei
casi sono piu' complesse, e che, comunque,  non  sono  costruite  per
rimediare  ad  una  precedente  inerzia  nell'amministrazione   della
giustizia (Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  sentenza  6  marzo
2012, Gagliano Giorgi contro  Italia;  sentenza  27  settembre  2011,
CE.DI.SA Fortore snc Diagnostica  Medica  Chirurgica  contro  Italia;
sentenza 21 dicembre 2010, Belperio e Ciarmoli contro Italia). 
    Ne consegue che l'art. 6 della CEDU, il cui significato si  forma
attraverso il reiterato ed uniforme  esercizio  della  giurisprudenza
europea sui casi di specie (sentenze n.  349  e  n.  348  del  2007),
preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso  di  disciplinare
legalmente i termini di  ragionevole  durata  dei  processi  ai  fini
dell'equa riparazione,  di  consentire  una  durata  complessiva  del
procedimento regolato dalla legge  n.  89  del  2001  pari  a  quella
tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di  cognizione,
anziche' modellarla sul calco dei piu' brevi termini  indicati  dalla
stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale. 
    Quest'ultima, in applicazione degli artt. 111, secondo  comma,  e
117, primo comma, Cost.,  alla  luce  dell'interpretazione  data  dal
giudice  europeo  all'art.  6  della  CEDU,   aveva   in   precedenza
determinato il termine ragionevole di cui si discute, per il caso  di
procedimento svoltosi in entrambi i gradi previsti, in due anni,  che
e' il limite di regola ammesso dalla Corte EDU. 
    Inoltre,  questa  Corte  ha   recentemente   precisato   che   la
discrezionalita'  del  legislatore  nella  costruzione  del   rimedio
giudiziale in questione, e in particolar  modo  nella  specificazione
dei criteri di quantificazione della somma dovuta, non si presta  «in
linea astratta ad incidere sull'an stesso del diritto,  anziche'  sul
quantum» (sentenza n. 184 del 2015), come invece accadrebbe  se,  per
effetto della norma censurata, dovesse venire integralmente rigettata
la domanda di equa riparazione. 
    Ne  consegue  che  la  disposizione   impugnata,   imponendo   di
considerare ragionevole la durata del  procedimento  di  primo  grado
regolato dalla legge n. 89 del 2001, quando la stessa  non  eccede  i
tre anni, viola gli artt. 111, secondo comma,  e  117,  primo  comma,
Cost.,  posto  che  questo  solo  termine  comporta  che  la   durata
complessiva del giudizio possa essere superiore  al  limite  biennale
adottato dalla Corte europea (e dalla giurisprudenza nazionale  sulla
base di quest'ultima) per un procedimento regolato da tale legge, che
si svolga invece in due gradi. 
    L'art. 2, comma 2-bis, va percio'  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui si applica alla durata  del  processo
di primo grado previsto dalla legge n. 89 del 2001. 
    Resta assorbita la censura  relativa  all'art.  3,  primo  comma,
Cost. 
    9.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 2-bis, nella parte in cui determina in un anno  la  ragionevole
durata del giudizio di legittimita' previsto dalla legge  n.  89  del
2001, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e
117, primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6,
paragrafo 1, della CEDU, non e' fondata. 
    Il termine  annuale  scelto  dal  legislatore  e'  conforme  alle
indicazioni di massima provenienti dalla  Corte  europea  e  recepite
dalla  giurisprudenza  nazionale.  Inoltre,   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale della previsione concernente la  durata
del processo  di  primo  grado  fa  si'  che  la  ragionevole  durata
complessiva di un procedimento regolato dalla legge n. 89  del  2001,
in concreto articolatosi su due gradi di giudizio,  sia  inferiore  a
quella stabilita per gli altri procedimenti ordinari di cognizione, e
comunque possa essere contenuta nel tetto di due anni, in conformita'
agli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost. 
    Una volta accertata tale conformita', va considerato, per  quanto
concerne l'art. 3, primo comma, Cost., che  rientra  nel  margine  di
apprezzamento discrezionale del legislatore equiparare la durata  del
procedimento regolato dalla legge n. 89  del  2001  nel  giudizio  di
impugnazione a quella considerata ragionevole in via generale  per  i
giudizi davanti alla Corte  di  cassazione,  anche  alla  luce  delle
peculiarita' proprie del giudizio di legittimita'.