ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 4  (rectius:
art. 4, comma 1) del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona con  due
ordinanze del 15 dicembre  2014,  iscritte  ai  nn.  169  e  170  del
registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2016  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale  di  Cremona,  con  due
ordinanze di identico tenore, emesse in data  10  novembre  2014,  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  per  violazione
degli artt. 24 e 97 della Costituzione, dell'art. 4 (rectius: art. 4,
comma  1)  del  decreto  legislativo  31  dicembre   1992,   n.   546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie  provinciali
sono competenti  per  le  controversie  proposte  nei  confronti  dei
concessionari del servizio riscossione  che  hanno  sede  nella  loro
circoscrizione anche nel caso in cui  tale  sede  appartenga  ad  una
circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti. 
    1.1.- Il  giudice  rimettente  espone  nei  seguenti  termini  le
vicende processuali. 
    Nell'ordinanza n. 169 del 2015 riferisce che, in data  1°  luglio
2013,  su  delega  del  Comune   di   Casalmaggiore   (Cremona),   il
concessionario ufficio Area riscossioni spa avente sede  in  Mondovi'
(Cuneo) notificava alla contribuente C.E. avvisi di accertamento ICI,
anni 2008, 2009 e 2010, per il mancato pagamento  delle  imposte,  in
relazione ad un terreno di sua proprieta', in quanto la stessa non lo
aveva dichiarato come area fabbricabile. Nell'ordinanza  n.  170  del
2015 riferisce che, in data 2 luglio 2013,  su  delega  del  medesimo
Comune di Casalmaggiore, lo  stesso  concessionario  avente  sede  in
Mondovi' notificava alla contribuente  Z.A.  avvisi  di  accertamento
ICI, anni 2008, 2009 e 2010, per il mancato pagamento delle  imposte,
in relazione ad un terreno di cui ella era usufruttuaria,  in  quanto
la stessa non lo aveva dichiarato come area fabbricabile. 
    Avverso tali atti,  le  contribuenti  C.E.  e  Z.A.  proponevano,
ciascuna, ricorso  avanti  alla  Commissione  tributaria  provinciale
(d'ora innanzi  «CTP»)  di  Cremona,  affermando  di  individuare  la
competenza territoriale della Commissione  adita,  tenuto  conto  che
nella circoscrizione di Cremona erano ubicati  gli  immobili  oggetto
dell'accertamento e ritenendo questa «l'interpretazione  piu'  logica
dell'art. 4 del  d.lgs.  n.  546/1992».  Nel  merito,  le  ricorrenti
evidenziavano che i terreni costituivano area pertinenziale tenuta  a
giardino e classificata a verde privato, come tali  inutilizzabili  a
fini edificatori; che tali situazioni erano note al  Comune,  sicche'
non vi era obbligo di  informarlo  al  riguardo;  che,  inoltre,  per
quanto riguarda il  giudizio  relativo  alla  contribuente  C.E.,  le
sanzioni  non  erano  irrogabili  in  quanto  l'omissione   di   tale
comunicazione  non  aveva  impedito  l'accertamento  e,  per   quanto
riguarda il giudizio relativo alla contribuente Z.A., il terreno  era
sempre stato coltivato dai titolari con l'aiuto  dei  familiari,  non
assumendo, quindi, alcun rilievo, ai fini del carattere agricolo  del
terreno,  l'intervenuto  pensionamento   della   contribuente   quale
coltivatrice diretta. Per i suddetti motivi, entrambe  le  ricorrenti
instavano per l'annullamento  degli  impugnati  atti,  con  rifusione
delle spese del giudizio. 
    Si costituiva, in entrambi i giudizi, l'ufficio Area  riscossioni
spa  di  Mondovi',  eccependo   l'incompetenza   territoriale   della
Commissione adita sul presupposto, piu' volte stabilito  dalla  Corte
di cassazione,  che  l'individuazione  del  giudice  territorialmente
competente  avrebbe   dovuto   essere   determinata   dall'ubicazione
dell'ufficio che aveva emanato l'atto. Nel sottolineare come, a norma
dell'art. 5 del  d.lgs.  n.  546  del  1992,  tale  competenza  fosse
inderogabile, il concessionario  rilevava  che,  dunque,  il  ricorso
avrebbe dovuto essere presentato innanzi alla CTP  di  Cuneo,  tenuto
conto che l'atto impugnato era stato emesso dall'Area riscossioni spa
avente sede in Mondovi'. Nel merito, il concessionario replicava alla
contestazione della ricorrente C.E., evidenziando che una  parte  del
terreno  era  area  libera,  nella  quale  sarebbe  stato   possibile
edificare; inoltre, la sanzione doveva applicarsi avendo  l'omissione
arrecato pregiudizio all'esercizio di controllo, ancorche' non avesse
impedito l'accertamento. Nel giudizio relativo al terreno di cui  era
usufruttuaria la contribuente Z.A., il concessionario  segnalava  che
una parte del terreno era  edificabile  e  quindi,  in  quanto  tale,
soggetto ad imposta, atteso che, per  gli  anni  di  imposizione,  la
ricorrente non risultava avere versato i  contributi  di  coltivatore
diretto.  Il  concessionario,  in  entrambi  i   giudizi,   chiedeva,
preliminarmente, che  fosse  dichiarata  l'incompetenza  territoriale
della Commissione adita, competente essendo la CTP  di  Cuneo  e,  in
subordine, che  fosse  respinta  la  domanda  della  ricorrente,  con
rifusione delle spese del giudizio. 
    1.2.-  La  CTP  di  Cremona,  in  ciascuna  delle  ordinanze   di
rimessione - affermata la rilevanza  della  questione  rispetto  alla
definizione dei giudizi in corso,  atteso  che  l'applicazione  della
norma denunciata avrebbe determinato, per entrambi,  la  declinatoria
della propria competenza territoriale in favore della CTP di Cuneo  -
solleva dubbi di costituzionalita' del citato art. 4,  comma  1,  per
violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. 
    A  parere  del   giudice   rimettente,   l'individuazione   della
competenza  in  ragione  della  sede  del   concessionario   potrebbe
comportare, cosi' come accaduto nelle fattispecie in  esame,  effetti
processuali distonici rispetto alla ratio che  dovrebbe  ispirare  la
norma, ovverosia quella di rapportare la  competenza  in  prossimita'
del luogo in cui gli interessi della pubblica amministrazione  e  del
contribuente  risultano  concretamente   coinvolti.   Dalla   diretta
applicazione  della  norma  deriverebbe,  infatti,  che,  nel   caso,
nient'affatto eccezionale, in cui l'ente locale affidi il servizio di
accertamento e riscossione  dell'imposta  ICI  ad  un  concessionario
avente sede significativamente distante da quella del  suddetto  ente
(che,  conseguentemente,  sarebbe  pure  distante  da  quello   della
circoscrizione in  cui  si  trova  l'immobile,  siccome  censito  dal
medesimo ente), la  competenza  dovrebbe  trasferirsi  presso  quella
lontana circoscrizione, cosi' stravolgendosi  «il  corretto  rapporto
istituzionale  che  deve  intercorrere  tra  cittadino   e   pubblica
amministrazione». 
    Da  qui  la  non  manifesta  fondatezza   della   questione   con
riferimento ai parametri costituzionali di cui agli  artt.  24  e  97
Cost. 
    Risulterebbe, infatti, compromesso il pieno esercizio del diritto
di difesa del contribuente, posto che quest'ultimo sarebbe  costretto
ad un gravoso spostamento verso il luogo ove  instaurare  la  propria
azione  giudiziaria:  «[u]no  spostamento  che,  in  ultima  analisi,
potrebbe,  finanche  indurre  il  contribuente  a   rinunciare,   suo
malgrado,  ad  impugnare  l'atto,  onde  evitare  di  sottoporsi   ad
ulteriori oneri». 
    Infrangere il rapporto territoriale tra originario ente  pubblico
e contribuente nel momento in cui quest'ultimo intenda esercitare  il
proprio diritto alla tutela giudiziaria, non determinerebbe  soltanto
un vulnus al diritto di  difesa  del  cittadino,  ma  finirebbe  «per
compromettere una corretta relazione intercorrente  tra  la  pubblica
amministrazione  e  la  base  sociale»,  strettamente  collegata   al
principio predicato dall'art. 97 Cost. Prevedendo che a giudicare  la
controversia  tra  un  ente  pubblico  e  un  contribuente   sia   la
commissione  tributaria  avente   sede   nella   circoscrizione   del
concessionario   «scelto»   dal   suddetto   ente,    si    finirebbe
sostanzialmente «per  attribuire  alla  pubblica  amministrazione  il
potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera
iniqua ed arbitraria», e cio' in aperto contrasto con il principio di
buon andamento e imparzialita' della  pubblica  amministrazione.  Ne'
apparirebbe  ravvisabile  nella  norma   in   esame   una   razionale
giustificazione, sottesa alla salvaguardia di  un  qualche  interesse
della pubblica amministrazione, in quanto «l'interesse all'efficienza
e  tempestivita'  dell'accertamento  sulla  pretesa  impositiva   non
potrebbe  certo  derivare  dall'affidare  tale  accertamento  ad   un
concessionario ben distante dal bene immobile cui detto  accertamento
sarebbe strettamente connesso». 
    2.- In entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo,   sulla   base   delle   medesime
argomentazioni, che la questione sia dichiarata inammissibile  o  non
fondata. 
    2.1.-  Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,   la   denunciata
violazione  dell'art.  24  Cost.  sarebbe  presentata   dal   giudice
rimettente «in via del tutto eventuale». La prospettata questione  di
costituzionalita'  apparirebbe  pertanto  inammissibile   in   quanto
rivolta non gia' a censurare la norma nella sua formulazione astratta
bensi' solo gli eventuali effetti negativi che potrebbero  conseguire
ad una «possibile (ma non generalizzata) applicazione pratica»  della
stessa, subordinata ad alcune circostanze: la circostanza che  l'ente
locale affidi  il  servizio  di  accertamento  e  riscossione  ad  un
concessionario avente  sede  distante  dalla  propria  e  l'ulteriore
circostanza che effettivamente il contribuente decida di rinunciare a
presentare ricorso per gli oneri derivanti dalla lontananza della CTP
competente. 
    Profili  di  inammissibilita'  marchierebbero  anche  la  censura
relativa all'art. 97 Cost., in quanto essa, per come prospettata  dal
rimettente, avrebbe ad oggetto non gia'  il  criterio  di  competenza
territoriale delineato dalla norma  censurata,  ma  la  possibilita',
riconosciuta dal legislatore a Province e Comuni, di affidare a terzi
l'accertamento  e  la  riscossione  dei  propri   tributi,   con   la
conseguenza che tale scelta potrebbe ricadere  su  un  concessionario
avente sede distante  dal  bene  immobile  oggetto  del  tributo.  Le
lamentate implicazioni in  punto  di  competenza  territoriale  delle
commissioni  tributarie  provinciali  sarebbero,  quindi,  solo   una
conseguenza indiretta e derivata di tale possibilita'. La censura  di
costituzionalita'  atterrebbe  cioe'  non  «[...]   alla   competenza
"processuale" ma a quella "amministrativa"». 
    2.2.- Quanto alla non fondatezza, viene rimarcato che la garanzia
costituzionale della  tutela  giurisdizionale  non  escluderebbe  che
possano essere posti  a  carico  della  parte  istante  alcuni  oneri
purche' gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine  generale
o da superiori finalita' di giustizia. In ordine al principio di  cui
all'art. 97 Cost., invocato dal giudice rimettente perche'  la  norma
censurata consentirebbe di attribuire alla  pubblica  amministrazione
il potere di gestire il proprio rapporto con  gli  amministratori  in
maniera iniqua ed arbitraria, si rileva come tale scelta non  sarebbe
affatto «arbitraria», posto che,  a  norma  dell'art.  52,  comma  5,
lettera  b),  del  decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446
(Istituzione  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'   produttive,
revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e   delle   detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche' riordino della disciplina dei tributi locali), essa  dovrebbe
avvenire «nel rispetto della  normativa  europea  e  delle  procedure
vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici
locali». 
    Del resto, il sistema cosi' delineato dal  legislatore  potrebbe,
si',  comportare  per  il  contribuente  interessato  oneri  che  non
sussistono nel caso in cui la sede del  concessionario  coincida  con
quella dell'ente impositore, ma cio' potrebbe al massimo  configurare
una violazione dell'art. 3 Cost., parametro non invocato dal  giudice
rimettente; violazione peraltro esclusa  dalla  ragionevolezza  della
scelta  di  un  univoco  criterio  di  collegamento  territoriale   -
incentrato sulla sede del soggetto che ha  emesso  l'atto  impugnato,
anche nel caso di mancata  coincidenza  del  luogo  in  cui  essa  e'
ubicata rispetto a quello della sede dell'ente concedente -  ispirato
a logiche di semplificazione  del  sistema  di  regole  e  norme  che
disciplinano il processo tributario. 
    In chiusura, la difesa dello Stato segnala, da  un  lato,  che  i
recenti provvedimenti sul processo  tributario  telematico  avrebbero
comunque  di  fatto  reso  meno  onerosa  la  difesa  a  distanza  e,
dall'altro lato, che,  comunque,  i  maggiori  oneri  per  la  difesa
potrebbero trovare ristoro con la liquidazione delle spese di lite. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  due  ordinanze  di  identico  contenuto  la  Commissione
tributaria provinciale di Cremona ha sollevato, per violazione  degli
artt.  24  e  97  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4 (rectius: art. 4,  comma  1)  del  decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui  prevede
che le commissioni tributarie  provinciali  sono  competenti  per  le
controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di
riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche  nel  caso
in cui tale sede ricada in una circoscrizione diversa  da  quella  in
cui ricade la sede dell'ente locale concedente. 
    1.1.- Il citato art. 4, al  comma  1,  disciplina  la  competenza
delle commissioni tributarie provinciali, radicandola  in  base  alla
sede dell'ufficio delle entrate o del territorio del Ministero  delle
finanze  ovvero  dell'ente  locale  ovvero  del  concessionario   del
servizio  di  riscossione  nei  cui  confronti  viene   proposta   la
controversia. 
    A parere del giudice rimettente  la  norma  censurata  violerebbe
l'art. 24 Cost., in quanto, nell'ipotesi  in  cui  il  concessionario
abbia sede in un luogo significativamente distante da quello  in  cui
ha sede l'ente impositore, il contribuente si  vedrebbe  costretto  a
instaurare un giudizio in un luogo lontano da quello ove  e'  ubicato
l'immobile censito dall'ente impositore. Siffatto  onere  sarebbe  di
entita' tale da rappresentare un significativo ostacolo all'esercizio
del proprio diritto di difesa e potrebbe persino indurre a rinunciare
ad impugnare l'atto. 
    La  frattura  del  rapporto  territoriale  tra  ente  pubblico  e
contribuente produrrebbe, altresi', la violazione dell'art. 97  Cost.
in quanto, consentendo che a giudicare  la  controversia  tra  i  due
soggetti sia la commissione tributaria nella  cui  circoscrizione  ha
sede il concessionario  «scelto»  dall'ente  medesimo,  attribuirebbe
alla  pubblica  amministrazione  il  potere  di  gestire  il  proprio
rapporto con gli amministrati in maniera iniqua ed arbitraria,  cosi'
stravolgendo il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere
tra cittadino e pubblica amministrazione. 
    2.- Ad avviso della difesa dello Stato,  le  questioni  sollevate
sarebbero inammissibili e infondate. 
    2.1.- Sotto il primo profilo, la denunciata violazione  dell'art.
24 Cost.  sarebbe  presentata  «in  via  del  tutto  eventuale  [...]
ipotizzata  solo  come  "un  caso"  possibile,  e  al   limite   "non
eccezionale"», mentre la censura relativa all'art. 97 Cost., per come
prospettata dal rimettente, avrebbe ad oggetto non gia'  il  criterio
di competenza territoriale delineato dalla  norma  censurata,  ma  la
possibilita', riconosciuta dal legislatore a Province  e  Comuni,  di
affidare a terzi l'accertamento e la riscossione dei propri  tributi:
atterrebbe cioe' non «[...] alla competenza "processuale" ma a quella
"amministrativa"». 
    2.2.- Quanto al secondo profilo,  i  dubbi  di  costituzionalita'
sollevati dalla Commissione  tributaria  provinciale  di  Cremona  in
ordine all'art. 24 Cost. sarebbero infondati in  quanto  la  garanzia
costituzionale della  tutela  giurisdizionale  non  escluderebbe  che
possano essere posti a carico della parte istante  determinati  oneri
purche' gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine  generale
o da superiori finalita' di giustizia. 
    La violazione dell'art. 97 Cost., poi, sarebbe esclusa in  quanto
la  scelta  del  concessionario  del  servizio  non  sarebbe  affatto
«arbitraria», posto che, a norma dell'art. 52, comma 5,  lettera  b),
del  decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446  (Istituzione
dell'imposta regionale sulle attivita'  produttive,  revisione  degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione
di una addizionale regionale a tale imposta, nonche'  riordino  della
disciplina dei tributi locali), essa dovrebbe avvenire «nel  rispetto
della normativa europea e  delle  procedure  vigenti  in  materia  di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali». 
    Viene, peraltro, asserito che, se pure il sistema cosi' delineato
dal   legislatore   potrebbe   effettivamente   comportare   per   il
contribuente interessato possibili oneri che non sussistono nel  caso
in cui la sede  del  concessionario  coincida  con  quella  dell'ente
impositore, cio' potrebbe al massimo  risolversi  in  una  violazione
dell'art. 3 Cost., parametro non evocato dal giudice rimettente. Tale
violazione sarebbe peraltro esclusa dalla ragionevolezza della scelta
di un univoco criterio  di  collegamento  territoriale  -  incentrato
sulla sede del soggetto che ha emesso  l'atto  impugnato,  anche  nel
caso di mancata coincidenza del luogo in cui essa e' ubicata rispetto
a quello della sede dell'ente concedente  -  ispirato  a  logiche  di
semplificazione del processo tributario. 
    3.- Deve essere disposta  la  riunione  dei  giudizi,  attesa  la
coincidenza dei parametri e dell'oggetto degli atti di rimessione. 
    4.- Va, innanzitutto, segnalato che, dopo l'emissione  delle  due
ordinanze di rimessione, e' intervenuto un parziale  mutamento  della
disposizione censurata. 
    Il comma 1 dell'art. 4, nella versione vigente al  momento  della
rimessione  delle  questioni  di  costituzionalita'  da  parte  della
Commissione tributaria provinciale  di  Cremona,  cosi'  recita:  «Le
commissioni   tributarie   provinciali   sono   competenti   per   le
controversie proposte nei confronti degli uffici delle entrate o  del
territorio del Ministero  delle  finanze  ovvero  degli  enti  locali
ovvero dei concessionari del servizio di riscossione, che hanno  sede
nella loro circoscrizione [...]». 
    La versione derivante dalla sostituzione del  censurato  comma  1
operata dall'art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo  24
settembre 2015, n. 156 (Misure  per  la  revisione  della  disciplina
degli interpelli e del contenzioso tributario,  in  attuazione  degli
articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e  b,  della  legge  11
marzo 2014, n. 23), vigente a decorrere  dal  1o  gennaio  2016,  fa,
invece, riferimento alle controversie proposte nei  confronti  «degli
enti impositori,  degli  agenti  della  riscossione  e  dei  soggetti
iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo  15
dicembre 1997, n. 446». 
    La norma sopravvenuta non trova applicazione nei giudizi a quibus
perche', ai sensi dell'art. 5 del  codice  di  procedura  civile,  la
competenza si incardina al momento della domanda. 
    Oggetto del giudizio  di  costituzionalita'  rimane,  quindi,  la
norma originariamente censurata. 
    5.-  In  via  preliminare,  vanno  rigettate  le   eccezioni   di
inammissibilita' formulate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    5.1.- Contrariamente  a  quanto  sostenuto  da  quest'ultima,  la
prospettazione  della  commissione  tributaria  provinciale  non   e'
correlata ad un mero «caso» ipotizzato come possibile, posto  che  le
problematiche lamentate sono una fisiologica  ricaduta  della  norma,
ovvero «un effetto collegato alla struttura  della  norma  censurata»
(ordinanza n. 66 del 2014). Oggetto della censura, quindi, non e' «un
inconveniente  di  fatto  legato  alle   particolari   modalita'   di
svolgimento del giudizio a quo» (ordinanza n. 66 del 2014) o comunque
alle  «asserite  difficolta'  non  discendenti  in  via  diretta   ed
immediata dalla norma censurata» (sentenza n. 216 del 2013). 
    5.2.- Analogamente infondati sono i profili  di  inammissibilita'
eccepiti dall'Avvocatura generale dello Stato  con  riferimento  alla
censura relativa all'art. 97 Cost. 
    Il giudice rimettente, infatti, non critica la mancanza in se' di
vincoli spaziali  e  geografici  nell'individuazione  del  terzo  cui
affidare l'attivita' di  accertamento  e  riscossione,  ma  si  duole
unicamente della circostanza che  la  competenza  territoriale  delle
commissioni tributarie provinciali venga  determinata  in  base  alla
sede di tale soggetto. 
    6.- Nel merito, la censura  di  cui  all'art.  97  Cost.  non  e'
fondata per inconferenza del parametro evocato. 
    Per costante orientamento di questa Corte, infatti, «il principio
del buon andamento e' riferibile all'amministrazione della  giustizia
soltanto per quanto attiene  all'organizzazione  e  al  funzionamento
degli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all'esercizio  della
funzione giurisdizionale (ex  plurimis,  sentenza  n.  10  del  2013;
ordinanze n. 66 del 2014, n. 243 del 2013 e n. 84  del  2011)»,  alla
quale, per converso, evidentemente si riferisce la norma  processuale
censurata. 
    7.- Fondata, invece, e' la censura relativa all'art. 24 Cost. 
    7.1.-  La  giurisprudenza   costituzionale   riconosce   un'ampia
discrezionalita' del legislatore nella conformazione  degli  istituti
processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n.  157
del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis,  sentenze  n.
159 del 2014 e n. 50 del 2010). 
    Resta   naturalmente   fermo   il    limite    della    manifesta
irragionevolezza della disciplina, che si  ravvisa,  con  riferimento
specifico    al    parametro    evocato,     ogniqualvolta     emerga
un'ingiustificabile compressione del diritto di  agire  (sentenza  n.
335 del 2004). 
    In generale, questa Corte ha chiarito, con  riferimento  all'art.
24 Cost., che  «tale  precetto  costituzionale  "non  impone  che  il
cittadino possa conseguire la  tutela  giurisdizionale  sempre  nello
stesso modo e con  i  medesimi  effetti  [...]  purche'  non  vengano
imposti oneri tali o non vengano prescritte modalita' tali da rendere
impossibile o  estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di
difesa o lo svolgimento dell'attivita' processuale" (sentenza  n.  63
del 1977; analogamente, cfr. sentenza n. 427 del 1999 e ordinanza  n.
99 del 2000)» (ordinanza n. 386 del 2004). 
    7.2.- Alla luce di questi  principi,  deve  ritenersi  che  nella
disciplina  in  esame  il  legislatore,  nell'esercizio   della   sua
discrezionalita', abbia individuato  un  criterio  attributivo  della
competenza  che  concretizza  «quella  condizione   di   "sostanziale
impedimento all'esercizio del diritto di azione  garantito  dall'art.
24 della Costituzione" suscettibile "di integrare la  violazione  del
citato parametro costituzionale" (cosi', nuovamente, la  sentenza  n.
237 del 2007)» (ordinanza n. 417 del 2007). 
    Difatti, poiche' l'ente locale non incontra alcuna limitazione di
carattere  geografico-spaziale  nell'individuazione  del  terzo   cui
affidare  il  servizio  di  accertamento  e  riscossione  dei  propri
tributi,  lo  «spostamento»  richiesto  al  contribuente  che  voglia
esercitare il proprio diritto  di  azione,  garantito  dal  parametro
evocato, e' potenzialmente idoneo  a  costituire  una  condizione  di
«sostanziale  impedimento  all'esercizio  del  diritto   di   azione»
(sentenze n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e  n.  266
del 2006) o comunque a «rendere "oltremodo  difficoltosa"  la  tutela
giurisdizionale» (sentenza n. 237 del 2007; ordinanze n. 382 e n. 213
del 2005). 
    7.3.- A questo proposito, lo  stesso  legislatore,  all'art.  52,
comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 446 del  1997,  ha  precisato  che
l'individuazione, da parte dell'ente locale, del  concessionario  del
servizio di accertamento e riscossione  dei  tributi  e  delle  altre
entrate (determinante ai fini del radicamento della competenza)  «non
deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente». 
    Ebbene, il fatto che il contribuente debba farsi  carico  di  uno
«spostamento»  geografico  anche  significativo  per  esercitare   il
proprio diritto di  difesa  integra  un  considerevole  onere  a  suo
carico. 
    Questo onere, gia' di per se' ingiustificato, diviene tanto  piu'
rilevante in relazione ai valori fiscali normalmente  in  gioco,  che
potrebbero essere - come in concreto sono nella specie -  di  modesta
entita', e quindi  tali  da  rendere  non  conveniente  un'azione  da
esercitarsi in una sede lontana. 
    8.-  Quanto  alla  individuazione  del  criterio  alternativo  di
competenza, essa non comporta un'operazione manipolativa  esorbitante
dai poteri di questa Corte, in quanto non  deve  essere  operata  una
scelta  tra   piu'   soluzioni,   tutte   praticabili   perche'   non
costituzionalmente obbligate (sentenza n. 87 del 2013;  ordinanze  n.
176, n. 156 del 2013 e n. 248 del 2012). 
    Difatti, il rapporto esistente tra l'ente locale  e  il  soggetto
cui e' affidato il servizio di accertamento  e  riscossione  comporta
che, ferma la plurisoggettivita' del rapporto, il secondo costituisca
una longa manus del primo, con la conseguente  imputazione  dell'atto
di accertamento e riscossione a quest'ultimo. 
    Ne consegue che, ritenuto irragionevole ai fini  del  radicamento
della  competenza  territoriale,  per  le  ragioni  evidenziate,   il
riferimento alla sede del soggetto cui e' affidato il  servizio,  non
puo' che emergere il  rapporto  sostanziale  tra  il  contribuente  e
l'ente impositore. 
    Alla sede di quest'ultimo  ai  fini  della  determinazione  della
competenza non vi e' quindi alternativa. 
    9.- Va, pertanto, dichiarata - in  accoglimento  della  sollevata
questione - l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, del
d.lgs. n. 546 del 1992, con  riferimento  all'art.  24  Cost.,  nella
parte in cui prevede che per le controversie proposte  nei  confronti
dei concessionari  del  servizio  di  riscossione  e'  competente  la
commissione  tributaria  provinciale  nella  cui   circoscrizione   i
concessionari  stessi  hanno  sede,   anziche'   quella   nella   cui
circoscrizione ha sede l'ente locale concedente. 
    10.- Deve essere, infine, preso in considerazione l'art. 4, comma
1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel  testo  vigente  a  seguito  della
sostituzione operata dall'art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs.  n.
156 del 2015. 
    Infatti, «"l'apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell'art. 27
della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la  rilevanza  delle
norme ai fini della decisione propria  del  processo  principale,  ma
cade   invece   sul   rapporto   con   cui   esse   si    concatenano
nell'ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti  dalle  sentenze
dichiarative di illegittimita' costituzionali" (sentenza n.  214  del
2010)» (sentenza n. 37 del 2015). 
    In applicazione  del  citato  art.  27,  quindi,  trattandosi  di
disposizione  sostitutiva   contenente   disposizioni   analoghe   in
contrasto coi principi affermati nella odierna decisione (sentenze n.
82 del 2013, n.  70  del  1996  e  n.  422  del  1995),  deve  essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo  l'art.  4,  comma  1,  del
d.lgs.  n.  546  del  1992,  nel  testo  vigente  a   seguito   della
sostituzione operata dall'art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs.  n.
156 del 2015, nella parte in cui  prevede  che  per  le  controversie
proposte  nei  confronti  dei  soggetti  iscritti  nell'albo  di  cui
all'art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997 e' competente  la  commissione
tributaria provinciale nella cui circoscrizione i  medesimi  soggetti
hanno sede, anziche' quella nella cui circoscrizione ha  sede  l'ente
locale impositore.