ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 181,  commi
1-bis, lettera a), ter, quater e quinquies, del  decreto  legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai
sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.  137),  promosso
dal Tribunale ordinario di Verona nel procedimento penale a carico di
A.G. ed altri, con ordinanza del 6 agosto 2014 iscritta al n. 194 del
registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visti gli atti di costituzione di A.G. ed altri,  nonche'  l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2015 il Giudice relatore
Giuseppe Frigo, sostituito  per  la  redazione  della  decisione  dal
Giudice Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati Paolo Pellicini e Riccardo Ruffo per  A.G.  ed
altri e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata  il  6  agosto  2014,  il  Tribunale
ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  27
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 181, comma 1-bis, lettera a), del  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  ai
sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.  137),  nella
parte  in  cui,  anche  quando  non  risultino  superati   i   limiti
quantitativi previsti dalla successiva lettera  b),  punisce  con  la
sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziche' con le pene
piu' lievi previste dal precedente comma 1 - che rinvia all'art.  44,
comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380  (Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia  -
Testo A) -  colui  che,  senza  la  prescritta  autorizzazione  o  in
difformita' di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su immobili  o
aree che, per le loro  caratteristiche  paesaggistiche,  siano  stati
dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito  provvedimento
emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei  lavori.  In  via
subordinata, ha sollevato,  in  riferimento  ai  medesimi  parametri,
questione di legittimita' costituzionale dello stesso art. 181, commi
1-ter, 1-quater e 1-quinquies, nella parte in cui esclude dal proprio
ambito applicativo le condotte punite dal predetto  art.  181,  comma
1-bis, lettera a). 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito del  processo
penale nei confronti di alcuni imputati  per  diversi  reati,  tra  i
quali quello previsto dall'art. 181, comma  1-bis,  lettera  a),  del
d.lgs. n. 42 del 2004 (d'ora in avanti «codice dei beni  culturali  e
del paesaggio» o «codice»), per avere, in  assenza  della  prescritta
autorizzazione, in zona dichiarata di notevole interesse  pubblico  e
sottoposta a vincolo paesaggistico con decreto del  Ministro  per  la
pubblica istruzione del 23 maggio  1957  (Dichiarazione  di  notevole
interesse pubblico della zona della  Valpolicella,  sita  nell'ambito
dei comuni di Fumane, Marano, Negrar, Sant'Ambrogio di  Valpolicella,
Sant'Anna d'Alfaedo e San Pietro Incariano), realizzato un  mutamento
di  destinazione  d'uso  di  un  rustico  in  un'abitazione   civile;
realizzato una piscina parzialmente interrata; pavimentato con colate
di calcestruzzo un tratto di capezzagna (strada sterrata  a  servizio
di appezzamenti di terreno)  e,  infine,  per  avere  realizzato,  in
difformita' dalla prescritta autorizzazione,  un  corpo  di  fabbrica
piu' alto di 40 centimetri. Nel corso del giudizio la  Soprintendenza
aveva espresso parere favorevole sulla compatibilita' di alcune delle
opere rispetto al contesto paesaggistico di riferimento. 
    Il giudice rimettente deduce che, in considerazione del  suddetto
parere e del fatto che dall'istruttoria e' emerso che la  piscina  e'
stata  rimossa,  l'eventuale  illegittimita'  dell'esclusione   delle
violazioni sanzionate dall'art. 181, comma 1-bis, del codice dei beni
culturali e del  paesaggio  dall'ambito  applicativo  dei  successivi
commi  1-ter  e  1-quater  comporterebbe   un   diverso   esito   del
procedimento per le opere oggetto del  parere  della  Soprintendenza;
inoltre, l'estensione della portata applicativa del comma 1-quinquies
anche alle ipotesi di cui al comma 1-bis  comporterebbe  l'estinzione
del reato ascritto agli imputati per la realizzazione della  piscina,
in quanto successivamente rimossa. 
    Piu'  radicalmente,  dal  momento  che  inciderebbe  sul   regime
sanzionatorio e sui termini di prescrizione del reato,  la  questione
sarebbe rilevante non solo per le opere  oggetto  del  parere  e  per
quelle rimosse, ma anche per tutte le altre condotte poste in  essere
dagli imputati, laddove  emergesse  l'illegittimita'  del  differente
trattamento  sanzionatorio  riservato  all'art.  181,  comma   1-bis,
lettera a), del codice, rispetto al comma 1 del medesimo  articolo  e
rispetto all'art. 734 del codice  penale,  ovvero  l'irragionevolezza
dell'identita' del trattamento sanzionatorio tra i casi  disciplinati
nel comma 1-bis, e quelli «assolutamente incomparabili» di  cui  alle
lettere a) e b). 
    1.2.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
deduce,  innanzitutto,  la   violazione   dell'art.   3   Cost.   per
irragionevolezza del «deteriore» trattamento sanzionatorio  riservato
all'autore del reato di cui all'art. 181, comma  1-bis,  lettera  a),
sia  rispetto  alle  condotte  identiche  poste  in  essere  su  beni
paesaggistici vincolati per legge previste dal comma 1, sia  rispetto
alla  fattispecie  disciplinata  dalla  lettera  b)  della   medesima
disposizione (ovvero condotte poste in essere su  beni  paesaggistici
vincolati  per  legge  di  significativo  impatto  ambientale),  sia,
infine, rispetto a quelle incriminate dall'art. 734 cod. pen. 
    1.2.1.- Difatti, ai sensi del comma 1 dell'art. 181  del  codice,
le condotte lesive di beni paesaggistici vincolati ex lege integrano,
qualora non superino i limiti quantitativi  previsti  dal  successivo
comma 1-bis, reati contravvenzionali; sono oggetto di «sanatoria»  ai
sensi dell'art. 181, comma 1-ter, e, ai sensi  del  successivo  comma
1-quinquies, si estinguono in ipotesi di rimessione  in  pristino  da
parte  del  trasgressore   prima   che   venga   disposta   d'ufficio
dall'autorita' amministrativa e  comunque  prima  che  intervenga  la
condanna. Ai sensi del comma 1-bis, lettera a), invece,  le  condotte
lesive di beni vincolati con provvedimento  amministrativo  integrano
un delitto e non godono  delle  predette  ipotesi  di  «sanatoria»  o
estinzione. 
    Secondo il rimettente questa differenza  di  regime  tra  le  due
condotte  sarebbe  irragionevole,  in  quanto  l'unico  dato  che  le
distingue  risiede  nella  fonte  che   ne   riconosce   il   rilievo
paesaggistico. Ed anzi,  nelle  ipotesi  di  cui  al  comma  1,  esse
ricadono su aree e immobili per i quali l'«evidenza paesaggistica  e'
talmente chiara da avere un riconoscimento  generale  e  astratto  di
fonte direttamente legislativa», e che dovrebbero,  quindi,  ricevere
una tutela maggiore rispetto ai beni  il  cui  rilievo  paesaggistico
viene riconosciuto da un atto amministrativo. 
    L'effetto sanzionatorio evidentemente  irragionevole  violerebbe,
inoltre, l'art. 27 Cost., rendendo la pena ingiusta  e  quindi  priva
della sua finalita' rieducativa. 
    1.2.2.- La lesione degli evocati parametri deriverebbe anche  dal
trattamento omogeneo  che  ricevono  le  due  differenti  fattispecie
disciplinate dalle lettere a) e b) del comma 1-bis dell'art. 181.  Le
condotte disciplinate nella lettera b) - che ricadono su  immobili  o
aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142  del  codice  e  hanno
comportato un aumento dei manufatti superiore  al  trenta  per  cento
della volumetria della costruzione originaria o, in  alternativa,  un
ampliamento superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora
hanno comportato una nuova costruzione con una  volumetria  superiore
ai mille metri cubi - sarebbero, difatti,  di  straordinario  impatto
ambientale ma equiparate, quanto a  regime  sanzionatorio,  alle  ben
piu' lievi ipotesi disciplinate dalla lettera a), la quale  concerne,
appunto, tutte le condotte -  senza  fissazione  di  alcun  limite  o
soglia nei termini di cui alla citata lettera b) -  che  ricadono  su
beni sottoposti a vincolo provvedimentale. 
    1.2.3.- Infine, la violazione degli artt. 3 e  27  Cost.  sarebbe
evidente alla luce del raffronto con l'art. 734 cod. pen.,  il  quale
commina un'ammenda  a  colui  che  distrugge  o  altera  le  bellezze
naturali  soggette  a  speciale  protezione  dell'autorita'.  Mentre,
difatti, e' punito con una pena fino a  quattro  anni  di  reclusione
colui che, senza la prescritta autorizzazione  o  in  difformita'  da
essa,  esegue  lavori  di  qualsiasi  genere  su  beni  paesaggistici
vincolati  in  via   provvedimentale,   anche   nel   caso   in   cui
l'amministrazione preposta ritenga che non sia  stato  leso  il  bene
tutelato, e', di contro, sanzionato con  l'ammenda  fino  a  6.197,00
euro colui che distrugga o alteri un bene paesaggistico. 
    1.3.- In via  subordinata,  il  giudice  rimettente  solleva,  in
riferimento agli artt.  3  e  27  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 181, commi 1-ter,  1-quater  e  1-quinquies,
del codice dei beni culturali e del paesaggio,  nella  parte  in  cui
esclude dal proprio  ambito  applicativo  le  condotte  previste  dal
precedente comma 1-bis, lettera a). 
    Stante l'omogeneita' delle condotte previste dai commi 1 e 1-bis,
sarebbe difatti irragionevole l'esclusione,  solo  per  quest'ultime,
della causa di «sanatoria» prevista dai commi 1-ter e 1-quater legata
all'accertamento  della   compatibilita'   paesaggistica   da   parte
dell'autorita' amministrativa competente, e della causa di estinzione
del reato prevista dal comma 1-quinquies per le ipotesi di rimessione
in pristino da parte del trasgressore. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate. 
    La difesa dello Stato nega la violazione dei  parametri  evocati,
in quanto la maggiore gravita'  della  sanzione  prevista  dal  comma
1-bis dell'art. 181 del codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio
rispetto a quelle previste dal precedente comma l non  determinerebbe
l'irragionevolezza della norma censurata, stante la  non  omogeneita'
delle situazioni contemplate dalle due norme poste a raffronto. 
    Quanto alla non operativita' della causa  di  non  punibilita'  e
della causa di estinzione del reato di cui ai commi l-ter, l-quater e
l-quinquies dell'art. 181 del codice, in relazione al reato  previsto
e  punito  dal  comma  l-bis,  essa  sarebbe  immune  dai   vizi   di
costituzionalita'  prospettati,  in  quanto  le  norme  in  questione
sarebbero destinate ad operare in relazione a  interventi  di  minima
rilevanza  e  consistenza,  non  incidenti,  ovvero  non  idonei   ad
incidere, sull'integrita' del  bene  ambiente.  Nel  novero  di  tali
interventi non potrebbero rientrare le opere realizzate in assenza di
autorizzazione, ovvero in difformita' di essa,  in  aree  dichiarate,
con apposito  provvedimento  amministrativo,  di  notevole  interesse
pubblico per le loro caratteristiche paesaggistiche. 
    3.-  Con  memoria  depositata  il  25  novembre  2014,  si   sono
costituiti A.G., A.M. e S.C., imputati nel giudizio a quo, sostenendo
la contrarieta' della norma impugnata ai principi  costituzionali  di
uguaglianza e ragionevolezza. 
    Premessa un'opera di perimetrazione delle nozioni di paesaggio  e
ambiente e della relativa tutela apprestata dal legislatore, le parti
private sostengono che la diversita' di regime risultante dalle norme
impugnate  non  avrebbe  alcuna  giustificazione  «costituzionalmente
orientata». Comparando le disposizioni di cui alle lettere  a)  e  b)
del comma l-bis dell'art. 181 del codice dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, si avrebbe, infatti, una  differenziazione  di  disciplina
tra beni giuridici di medesimo  contenuto  e  tutelati  per  identica
tipologia. Se pure spetta al legislatore il potere di individuare  il
bene giuridico protetto dalla norma e il  grado  di  tutela  ad  esso
garantito, nel caso in esame vi sarebbe una irragionevole  disparita'
di trattamento sanzionatorio tra condotte eguali, sulla base del dato
irrilevante che il bene paesaggistico  sia  «oggetto  di  tutela  per
decretazione piuttosto che per legge». 
    Si segnala peraltro che, anche dal punto  di  vista  del  profilo
della   gerarchia   delle    fonti    normative,    si    giungerebbe
all'inammissibile conclusione che la violazione di  un  provvedimento
di natura amministrativa che tutela alcuni beni di notevole interesse
paesaggistico  comporta  una  sanzione  penale  superiore  a   quella
prevista per i medesimi beni paesaggistici oggetto di tutela legale. 
    Ci si duole, inoltre, della  mancata  rilevanza  attribuita  alla
declaratoria di compatibilita' ambientale intervenuta in  seguito  al
procedimento  di  cui  all'art.  181,  comma  1-quater,  del  codice.
Nonostante  la  natura  di  reato  di  pericolo,  sarebbe,   infatti,
indispensabile, per la sussistenza del reato, la realizzazione di una
lesione  pur   minima   del   bene   giuridico   tutelato,   comunque
apprezzabile, da intendersi come lesione  concreta  e  non  meramente
potenziale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza depositata  il  6  agosto  2014,  il  Tribunale
ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  27
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 181, comma 1-bis, lettera a), del  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  ai
sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.  137),  nella
parte  in  cui,  anche  quando  non  risultino  superati   i   limiti
quantitativi previsti dalla successiva lettera  b),  punisce  con  la
sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziche' con le pene
piu' lievi previste dal precedente comma 1 - che rinvia all'art.  44,
comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380  (Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia  -
Testo A) -  colui  che,  senza  la  prescritta  autorizzazione  o  in
difformita' di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su immobili  o
aree che, per le loro  caratteristiche  paesaggistiche,  siano  stati
dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito  provvedimento
emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori. 
    La disposizione censurata, secondo il giudice a  quo,  violerebbe
l'art. 3 Cost., per l'irragionevolezza  del  «deteriore»  trattamento
sanzionatorio riservato all'autore del reato da  essa  previsto,  sia
rispetto  alle  condotte  identiche   poste   in   essere   su   beni
paesaggistici sottoposti a vincolo legale previste dal comma  1,  sia
rispetto  alla  fattispecie  disciplinata  dalla  lettera  b)   della
medesima disposizione, riguardante condotte  poste  in  essere  sugli
stessi beni paesaggistici di significativo impatto  ambientale,  sia,
infine, rispetto all'art. 734 del codice penale. 
    Ed infatti, ai sensi del comma 1 dell'art. 181 del d.lgs.  n.  42
del 2004 (d'ora in avanti «codice dei beni culturali e del paesaggio»
o «codice»), le condotte incidenti su beni paesaggistici vincolati ex
lege integrano, qualora non superino i limiti  quantitativi  previsti
dal successivo comma 1-bis, reati contravvenzionali; gli  autori  non
sono  punibili  ai  sensi  del  comma  1-ter,   qualora   sopravvenga
l'accertamento   di   compatibilita'   paesaggistica   dell'autorita'
preposta; e, ai sensi del successivo comma 1-quinquies,  i  reati  si
estinguono  in  ipotesi  di  rimessione  in  pristino  da  parte  del
trasgressore  prima  che  venga  disposta  d'ufficio   dall'autorita'
amministrativa e comunque prima che intervenga la condanna. Ai  sensi
dell'art. 181, comma 1-bis, lettera a), invece, le condotte incidenti
su beni vincolati in via provvedimentale integrano un delitto  e  non
godono delle predette ipotesi di non punibilita' o estinzione. 
    L'irragionevole  trattamento   sanzionatorio   apprestato   dalla
disposizione censurata violerebbe anche l'art. 27 Cost., rendendo  la
pena ingiusta e quindi priva della sua finalita' rieducativa. 
    La  lesione  dei  menzionati  parametri  deriverebbe  anche   dal
trattamento omogeneo  che  ricevono  le  due  differenti  fattispecie
disciplinate dall'art. 181, comma 1-bis. Le  opere  menzionate  nella
lettera b), incidenti su beni vincolati ex lege, sarebbero,  difatti,
di straordinario impatto ambientale ma equiparate,  quanto  a  regime
sanzionatorio, alle ben piu' lievi ipotesi disciplinate dalla lettera
a), incidenti su beni sottoposti a vincolo provvedimentale. 
    Infine, la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.  sarebbe  evidente
ove si ponga a raffronto l'art. 181, comma  1-bis,  lettera  a),  del
codice con l'art.  734  cod.  pen.,  che  commina  l'ammenda  fino  a
6.197,00 euro a colui che distrugge o  altera  le  bellezze  naturali
soggette a speciale protezione dell'autorita'. 
    2.- In via subordinata, il giudice rimettente  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  27  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 181, commi 1-ter,  1-quater  e  1-quinquies,
del codice dei beni culturali e del paesaggio,  nella  parte  in  cui
esclude dal proprio ambito applicativo le condotte previste dall'art.
181,  comma  1-bis,   lettera   a).   Sarebbe,   difatti,   parimenti
irragionevole escludere le cause di non punibilita' e  di  estinzione
del reato la' dove si tratti  di  condotte  identiche,  quali  quelle
previste dai commi 1 e 1-bis del medesimo articolo. 
    3.- La questione sollevata in via principale e' fondata. 
    4.- E' noto che la discrezionalita' di cui  gode  il  legislatore
nel delineare il sistema sanzionatorio penale trova il  limite  della
manifesta irragionevolezza e dell'arbitrio, come avviene a fronte  di
sperequazioni  tra  fattispecie  omogenee  non  sorrette  da   alcuna
ragionevole giustificazione (sentenze n. 81 del 2014, n. 68 del 2012,
n. 161 del 2009, n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006). 
    4.1.- Facendo applicazione di  tali  principi  nella  materia  in
esame, questa  Corte  ha  dichiarato  non  fondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1-sexies del  decreto-legge  27
giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale), introdotto dall'art. 1 della legge
di conversione 8 agosto 1985, n.  431,  che  dettava  una  disciplina
inversa  a  quella  odierna,  perche'  puniva  piu'  severamente   le
violazioni incidenti sui beni sottoposti a vincolo legale. 
    In quell'occasione la Corte ha  affermato  che  «la  ratio  della
introduzione  di  vincoli  paesaggistici  generalizzati  (in  base  a
tipologie  di  beni)  risiede  nella  valutazione  che   l'integrita'
ambientale e' un bene unitario, che puo' risultare compromesso  anche
da interventi minori e che  va,  pertanto,  salvaguardato  nella  sua
interezza (sentenze n. 247 del 1997, n. 67 del  1992  e  n.  151  del
1986; ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» e che la severita'
del relativo trattamento sanzionatorio «trova  giustificazione  nella
entita' sociale dei beni protetti e nel ricordato carattere generale,
immediato  ed  interinale,  della  tutela  che  la  legge  ha  inteso
apprestare  di  fronte   alla   urgente   necessita'   di   reprimere
comportamenti tali  che  possono  produrre  danni  gravi  e  talvolta
irreparabili all'integrita' ambientale (sentenze n. 269 e n. 122  del
1993; ordinanza n. 68 del 1998)» (ordinanza n. 158 del 1998). 
    La piu' rigorosa risposta sanzionatoria nei confronti  dei  reati
incidenti su beni paesaggistici vincolati per legge e'  stata  quindi
ritenuta non  irragionevolmente  discriminatoria  per  il  fatto  che
introduce  «una  tutela  del  paesaggio  (per  vaste   porzioni   del
territorio individuate secondo tipologie  paesistiche,  ubicazioni  o
morfologiche), improntata a integrita' e globalita',  implicante  una
riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e
in attuazione del valore estetico-culturale (v., da ultimo, ordinanze
n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» (ordinanza n. 158 del 1998). 
    4.2.- Tale assetto ha subito  una  modifica  in  occasione  della
"codificazione" della materia paesaggistica, prima con l'art. 163 del
decreto legislativo 29  ottobre  1999,  n.  490  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a
norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997,  n.  352)  e  poi  con
l'originario art. 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    Con tali norme il legislatore, innalzando il grado di tutela  dei
beni vincolati in via provvedimentale allo stesso livello  di  quelli
tutelati  per  legge,  ha  optato   per   l'identita'   di   risposta
sanzionatoria,  evidentemente  sul  presupposto   di   una   ritenuta
sostanziale identita' dei valori in gioco. 
    4.3.- Con le modifiche apportate all'art. 181  del  codice  dalla
legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento  e  l'integrazione  della   legislazione   in   materia
ambientale e  misure  di  diretta  applicazione)  il  legislatore  e'
tuttavia tornato a distinguere le fattispecie. 
    Nel fare cio', non solo ha invertito la  risposta  sanzionatoria,
punendo piu' gravemente le condotte incidenti su  beni  sottoposti  a
vincoli puntuali rispetto a quelle incidenti su  beni  vincolati  per
legge, ma ha anche delineato un complessivo trattamento sanzionatorio
delle prime di gran lunga piu' severo  rispetto  a  quello  riservato
alle seconde. 
    Ed  infatti,  i  lavori  eseguiti  sui  beni  vincolati  in   via
provvedimentale senza la prescritta autorizzazione o  in  difformita'
da essa integrano sempre un delitto e sono puniti con  la  reclusione
da uno a quattro anni; mentre i lavori eseguiti  sui  beni  vincolati
per legge integrano una contravvenzione e sono puniti  con  l'arresto
fino a due anni e l'ammenda da 30.986,00 a 103.290,00  euro,  a  meno
che non costituiscano, ai sensi dell'art. 181, comma  1-bis,  lettera
b), opere di notevole impatto volumetrico, nel qual caso sono  puniti
alla stessa stregua dei primi. Solo per  i  reati  commessi  su  beni
sottoposti  a  vincolo  legale,   poi,   operano,   alle   condizioni
specificamente previste, le cause di non punibilita' e di  estinzione
del reato rispettivamente introdotte dai commi 1-ter e 1-quinquies. 
    5.- Si e' dunque in presenza di una  legislazione  ondivaga,  non
giustificata ne' da sopravvenienze  fattuali  ne'  dal  mutare  degli
indirizzi culturali di fondo  della  normativa  in  materia;  e  gia'
questo e' sintomo di irragionevolezza della disciplina attuale. 
    Tale irragionevolezza e' resa poi manifesta dalla  rilevantissima
disparita'  tanto  nella  configurazione  dei  reati  (nell'un   caso
delitto,  nell'altro   contravvenzione),   quanto   nel   trattamento
sanzionatorio, in relazione sia alla  entita'  della  pena  che  alla
disciplina delle cause di non punibilita' ed estinzione del reato. 
    6.- Dalla fondatezza della questione  consegue  la  parificazione
della risposta sanzionatoria (secondo l'assetto gia' sperimentato dal
legislatore al momento  della  codificazione),  con  la  riconduzione
delle condotte incidenti sui beni  provvedimentali  alla  fattispecie
incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari  delle  condotte
incidenti  sui  beni  tutelati  per  legge,  si  concretizzino  nella
realizzazione di lavori che comportino il  superamento  delle  soglie
volumetriche indicate al comma 1-bis. 
    Tale risultato si  ottiene  mediante  l'eliminazione  dell'inciso
dell'art. 181, comma 1-bis, che va dai «:», che seguono le parole «di
cui al comma 1», e precedono la lettera a), alla congiunzione «ed» di
cui alla lettera b). 
    6.1.- L'art. 181, comma 1-bis, deve  pertanto  essere  dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella  parte  in  cui  prevede  «:  a)
ricadano su  immobili  od  aree  che,  per  le  loro  caratteristiche
paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse  pubblico
con  apposito  provvedimento  emanato  in  epoca   antecedente   alla
realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili  od  aree  tutelati
per legge ai sensi dell'articolo 142 ed». 
    7.- Restano assorbiti gli altri profili di censura e la questione
proposta in via subordinata. 
    Quest'ultima,  in  particolare,  risulta   superata   a   seguito
dell'intervento sull'art. 181, comma 1-bis. Da esso consegue  che  le
condotte  incidenti  sui  beni  paesaggistici  individuati   in   via
provvedimentale, consistenti nella realizzazione di  lavori  che  non
comportino il superamento delle soglie volumetriche ivi  indicate,  e
ora regolate dal comma 1 dell'art.  181,  possono  beneficiare  degli
istituti  della  non  punibilita'  per  accertamento  postumo   della
compatibilita'  paesaggistica  e  della  estinzione  del  reato   per
ravvedimento operoso, rispettivamente previsti dall'art.  181,  comma
1-ter, e comma 1-quinquies, che richiamano appunto  il  comma  1  per
definire il loro ambito di applicazione.