ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9, del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.  133
(Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del  Paese,  la  semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,  n.  164,  promosso  dalla
Regione Veneto con ricorso notificato il 9 gennaio  2015,  depositato
in cancelleria il 16 gennaio 2015 ed iscritto al n. 11  del  registro
ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  2016  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione Veneto, con ricorso depositato il 16 gennaio  2015
ed iscritto al n. 11 del  registro  ricorsi  del  2015,  ha  promosso
questioni di legittimita' costituzionale, tra l'altro,  dell'art.  4,
commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9, del decreto-legge 12  settembre  2014,
n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione
delle  opere   pubbliche,   la   digitalizzazione   del   Paese,   la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per  la  ripresa  delle  attivita'   produttive),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n.
164, in riferimento agli artt. 2, 3, 97, 114, primo comma, 117, terzo
comma, 118 e 119 della Costituzione. 
    L'art. 4 del d.l. n. 133 del 2014 al comma 1 dispone  che,  -  al
fine di favorire la realizzazione delle opere  segnalate  dai  Comuni
alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2 al 15 giugno 2014  e
di  quelle  inserite  nell'elenco-anagrafe  nazionale   delle   opere
pubbliche incompiute di  cui  all'art.  44-bis  del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214, per le quali la problematica emersa attenga al mancato  concerto
tra amministrazioni interessate al procedimento amministrativo  -  e'
data facolta' di riconvocare la Conferenza di servizi  funzionale  al
riesame dei pareri ostativi  alla  realizzazione  dell'opera  e  cio'
anche se la Conferenza  di  servizi  fosse  gia'  stata  definita  in
precedenza. In ogni caso i termini  relativi  al  procedimento  della
Conferenza di servizi sono ridotti alla meta'. 
    Il comma 2 del medesimo articolo prevede peraltro che, in caso di
mancato perfezionamento del  procedimento  in  ragione  di  ulteriori
difficolta' amministrative, e' data facolta' di  avvalersi,  a  scopo
consulenziale-acceleratorio, dell'apposita cabina di regia  istituita
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    Ai sensi del  successivo  comma  3,  i  pagamenti  connessi  agli
investimenti in opere oggetto di segnalazione,  nel  limite  di  euro
250.000.000,00 per l'anno 2014, sono esclusi dal patto di  stabilita'
interno alle condizioni ivi indicate. 
    Il seguente comma 4 dispone che, con decreto del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, sono individuati  i  Comuni  che  beneficiano
dell'esenzione dal  patto  di  stabilita'  interno  e  l'importo  dei
pagamenti da escludere. 
    Il comma 5 del medesimo art. 4 prevede che i pagamenti  sostenuti
successivamente alla data di  entrata  in  vigore  del  decreto-legge
relativi a debiti in conto capitale degli enti territoriali  per  gli
anni 2014 e 2015 sono esclusi dai vincoli  del  patto  di  stabilita'
interno per un  importo  complessivo  di  euro  300.000.000,00  (euro
200.000.000,00 relativamente all'anno  2014  ed  euro  l00.000.000,00
relativamente all'anno 2015). 
    Il successivo comma 6 prescrive che, con riguardo all'anno  2014,
«l'esclusione di cui al secondo periodo dell'alinea del  comma  5  e'
destinata per 50 milioni  di  euro  ai  pagamenti  dei  debiti  delle
regioni sostenuti successivamente alla data del l° luglio 2014, [...]
che beneficiano di entrate rivenienti dall'applicazione dell'articolo
20, commi l e l-bis, del decreto legislativo  25  novembre  1996,  n.
625, superiori a 100 milioni». 
    Il comma 7 modifica il comma 9-bis dell'art. 31  della  legge  12
novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita'  2012),  che,
per l'anno 2014, nel  saldo  finanziario  in  termini  di  competenza
mista, rilevante ai fini della verifica del  rispetto  del  patto  di
stabilita' interno, esclude per gli importi ivi indicati i  pagamenti
in conto capitale sostenuti nel primo semestre dalle Province  e  dai
Comuni. 
    Il  comma  9,  infine,  prevede  le   specifiche   modalita'   di
compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e  di
indebitamento netto derivanti dai commi 3, 5 e 8 del  citato  art.  4
del d.l. n. 133 del 2014. 
    A giudizio della ricorrente,  l'art.  4,  nei  commi  richiamati,
innanzitutto, violerebbe gli artt. 3, 97 e 114, primo  comma,  Cost.,
in quanto la Regione, pur essendo equiordinata ai Comuni,  rimarrebbe
esclusa  dalle  misure  di  semplificazione  e  finanziarie  previste
dall'art.  4  dello   stesso   decreto-legge,   in   violazione   del
fondamentale canone costituzionale di ragionevolezza, di cui all'art.
3 Cost., in combinato disposto con l'art. 97 Cost.,  che  enuncia  il
principio del buon andamento della pubblica  amministrazione.  Indici
di tale irragionevolezza  normativa  sarebbero,  tra  gli  altri:  la
brevita' dell'arco temporale previsto per  la  segnalazione;  la  non
applicabilita'  della  normativa  impugnata  alle  opere   incompiute
regionali, che generalmente sarebbero di maggiore impatto  e  rilievo
per la collettivita' rispetto a  quelle  comunali;  l'esclusione  dal
patto  di  stabilita'  interno  dei  soli  pagamenti  connessi   agli
investimenti  in  opere  di  competenza   dei   Comuni   oggetto   di
segnalazione e non anche in quelle regionali, di maggiore  estensione
ed importanza per la collettivita'. 
    L'irragionevolezza della  disciplina  normativa  si  tradurrebbe,
altresi',  nella  violazione  dell'art.  2  Cost.,  secondo  cui   la
Repubblica riconosce e garantisce i  diritti  inviolabili  dell'uomo.
Non agevolare la realizzazione di  opere  regionali,  anche  mediante
l'esclusione dal patto di stabilita' interno dei  pagamenti  connessi
ai relativi investimenti,  finirebbe  per  ledere  il  corrispondente
fondamentale diritto inviolabile dell'uomo alla  salute.  Inoltre  la
Regione sarebbe titolare di molte funzioni amministrative attratte al
fine di assicurarne l'esercizio  unitario  ai  sensi  dell'art.  118,
primo comma, Cost. 
    La ricorrente sul punto afferma  altresi'  di  essere  pienamente
legittimata a promuovere questione di legittimita' costituzionale  in
riferimento agli artt. 2, 3  e  97  Cost.,  poiche'  la  lesione  dei
relativi precetti costituzionali  comporterebbe,  nella  fattispecie,
una compromissione delle  attribuzioni  regionali  costituzionalmente
garantite  o,  comunque,  ridonderebbe  sul  riparto  di   competenze
legislative tra lo Stato e le Regioni. 
    L'art. 4 sarebbe, poi, costituzionalmente illegittimo  anche  per
violazione dell'art. 117 Cost. 
    La ricorrente afferma che la disciplina dell'art. 4, commi 1,  2,
3, 4 e 9, andrebbe ascritta alla «programmazione di lavori  pubblici»
ed   all'«approvazione   dei   progetti   a   fini   urbanistici   ed
espropriativi», le quali rientrerebbero nella  materia  «governo  del
territorio» di cui all'art. 117, terzo comma,  Cost.  Trattandosi  di
materia soggetta a potesta' legislativa  concorrente,  l'art.  4  del
d.l. n. 133 del 2014 sarebbe illegittimo,  nella  parte  in  cui  non
prevederebbe alcun coinvolgimento  legislativo  della  Regione,  alla
quale, invece, spetterebbe, in tale materia, la potesta' legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,  riservata
allo Stato. 
    L'art.  4,  comma  3,  del  medesimo   decreto-legge   -   stante
l'afferenza  del   patto   di   stabilita'   interno   alla   materia
«coordinamento della finanza pubblica» - violerebbe l'art. 117, terzo
comma,  Cost.,   in   quanto   conterrebbe   disposizioni   che   non
realizzerebbero un transitorio contenimento complessivo, anche se non
generale, della spesa corrente e  prevederebbero  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi. 
    La Regione Veneto sostiene che  alla  violazione  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. conseguirebbe quella dell'art. 118 Cost., poiche',
prevedendo una simile misura di agevolazione per i  soli  Comuni,  il
citato  art.  4  finirebbe  per  ledere  la  potesta'  amministrativa
regionale, nel momento in cui la Regione intendesse attrarre a se' le
funzioni amministrative astrattamente spettanti ai Comuni al fine  di
assicurarne l'esercizio unitario e sempre nel rispetto  dei  principi
di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 
    Analoghe censure dovrebbero essere rivolte all'art. 4,  comma  5,
del d.l. n. 133 del 2014 laddove si ritenesse che l'espressione «enti
territoriali» non si riferisca alle Regioni, ma solo agli enti locali
(Comuni, Province, Citta' metropolitane). 
    Quanto  al  successivo  comma  6,  poi,   sarebbe   evidente   la
sostanziale disparita' di trattamento della disciplina tra le Regioni
del Mezzogiorno e le altre Regioni. 
    La ricorrente evidenzia in proposito che le  entrate  di  cui  ai
commi l e l-bis dell'art. 20  del  decreto  legislativo  25  novembre
1996, n. 625 (Attuazione  della  direttiva  94/22/CEE  relativa  alle
condizioni di rilascio  e  di  esercizio  delle  autorizzazioni  alla
prospezione, ricerca e coltivazione  di  idrocarburi),  derivano  dal
versamento da parte dei titolari di concessione  di  coltivazione  di
idrocarburi di un'aliquota del prodotto della  coltivazione.  Quindi,
mentre alle  Regioni  a  statuto  ordinario  non  facenti  parte  del
Mezzogiorno e' corrisposta un'aliquota pari  al  cinquantacinque  per
cento, alle Regioni a statuto ordinario del Mezzogiorno, invece,  «e'
corrisposta, per il finanziamento di strumenti  della  programmazione
negoziata nelle aree di  estrazione  e  adiacenti,  anche  l'aliquota
destinata allo Stato». Le Regioni del Mezzogiorno  in  tal  modo,  si
sostiene, raggiungerebbero piu' facilmente la soglia  indicata  dalla
norma ai fini dell'esclusione dal patto di stabilita' interno. 
    Secondo  la  Regione  Veneto,   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 4, comma 9, del d.l. n. 133 del  2014,  che  disciplina  le
modalita' di compensazione degli effetti  finanziari  in  termini  di
fabbisogno e di indebitamento  netto  derivanti  dai  commi  3  e  5,
deriverebbe direttamente da quella che affligge questi ultimi. 
    A giudizio della ricorrente, proprio la disparita' di trattamento
tra  le  Regioni   del   centro-nord   e   quelle   del   Mezzogiorno
giustificherebbe la censura relativa alla  violazione  dell'art.  119
Cost. sulla base dell'«esorbitante  residuo  fiscale»  della  Regione
Veneto. Si sostiene in proposito che  nel  suo  ambito,  per  effetto
della normativa sul finanziamento del fondo perequativo, la  pubblica
amministrazione disporrebbe, per l'erogazione di servizi a favore dei
cittadini residenti, meno di quanto ricavato dal prelievo fiscale sul
proprio territorio.  Secondo  la  ricorrente  verrebbe  in  tal  modo
violato  l'art.  119  Cost.,  il  quale,  pur  prevedendo  meccanismi
perequativi (terzo  e  quinto  comma),  fisserebbe  un  principio  di
corrispondenza tra assetto delle  finanze  delle  singole  Regioni  e
gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. 
    2.- Costituitosi in giudizio, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri deduce l'infondatezza del ricorso. 
    Il resistente innanzitutto osserva che i lavori pubblici non sono
indicati tra le materie espressamente elencate dall'art. 117 Cost. In
particolare, richiama la sentenza n. 303  del  2003,  in  cui  questa
Corte avrebbe affermato che  limitare  l'attivita'  unificante  dello
Stato alle  sole  materie  espressamente  attribuitegli  in  potesta'
esclusiva  o  alla  determinazione  dei  principi  nelle  materie  di
potesta' concorrente comporterebbe la svalutazione oltremisura  delle
istanze unitarie  che,  pure  in  assetti  costituzionali  fortemente
pervasi   da   pluralismo   istituzionale,   giustificherebbero,    a
determinate condizioni,  una  deroga  alla  normale  ripartizione  di
competenze. Di conseguenza, anche nel nostro  sistema  costituzionale
sarebbero presenti  congegni  volti  a  rendere  piu'  flessibile  il
sistema  a  fronte  di  istanze   di   unificazione   fondate   sulla
proclamazione  di  unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica.  Un
elemento di flessibilita' sarebbe indubbiamente  contenuto  nell'art.
118, primo comma, Cost., il quale si  riferisce  esplicitamente  alle
funzioni  amministrative.  Quando  l'istanza  di  esercizio  unitario
trascende  anche  l'ambito  regionale,  la  funzione   amministrativa
potrebbe essere esercitata dallo Stato con attrazione della  funzione
legislativa. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la medesima
questione del  riparto  della  competenza  legislativa  tra  Stato  e
Regioni sarebbe stata  successivamente  affrontata  da  questa  Corte
nella sentenza n. 401 del 2007,  in  cui  avrebbe  affermato  che  le
disposizioni contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE),  per  la
molteplicita' degli interessi perseguiti e degli  oggetti  implicati,
non sarebbero riferibili ad un unico ambito materiale: i lavori  e  i
contratti pubblici, infatti, non integrerebbero una  vera  e  propria
materia, ma si qualificherebbero  a  seconda  dell'oggetto  al  quale
afferiscono, per cui non sarebbero ascrivibili in via  generale  alla
competenza dello Stato o delle Regioni, ma dovrebbero essere valutati
a seconda del contenuto precettivo delle singole disposizioni. 
    Secondo  il  resistente,  dalla  sentenza  n.  401  del  2007  si
evincerebbe la concentrazione di competenze in  capo  al  legislatore
statale per quel che riguarda la disciplina di contratti pubblici  di
lavori, servizi e forniture  al  fine  di  garantire  una  disciplina
uniforme  sull'intero  territorio  nazionale  di  una  materia,   che
richiederebbe   delle   regole   valide   per   tutti   i    soggetti
dell'ordinamento. 
    Da queste considerazioni deriverebbe, secondo la difesa erariale,
l'integrale infondatezza delle censure avversarie. 
    3.- Con memoria depositata il 18 gennaio 2016, la Regione  Veneto
ha affermato, a sostegno delle censure proposte, che le  disposizioni
impugnate avrebbero implicazioni di carattere finanziario, dalla  cui
corretta applicazione discenderebbe il buon andamento della  pubblica
amministrazione  di  cui  all'art.  97  Cost.  e,  ove  si   rispetti
contestualmente il principio  della  capacita'  contributiva  di  cui
all'art. 53 Cost.,  la  realizzazione  della  solidarieta'  politica,
economica e sociale di cui all'art. 2 Cost. 
    4.- Con memoria depositata il 18 gennaio 2016, il Presidente  del
Consiglio dei ministri ha  ribadito  che  le  disposizioni  censurate
sarebbero riconducibili  alla  materia  dei  lavori  pubblici  ed  ha
ripetuto le argomentazioni a sostegno dell'infondatezza, gia' esposte
nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe la  Regione  Veneto  ha  impugnato
numerose disposizioni del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.  133
(Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del  Paese,  la  semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 133 del 2014,  vengono
in rilievo in questa sede le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 4, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9,  del  citato  decreto  in
riferimento agli artt. 2, 3, 97, 114, primo comma, 117, terzo  comma,
118 e 119 della Costituzione. 
    L'art. 4, commi 1 e  2,  del  d.  l.  n.  133  del  2014  prevede
innanzitutto misure dirette a  favorire  la  realizzazione  di  opere
pubbliche dei Comuni, che non siano state portate a compimento per il
mancato  concerto  tra  amministrazioni,  mediante  la  facolta'   di
riconvocare la Conferenza  di  servizi.  Le  opere  interessate  sono
quelle che i Comuni segnaleranno alla Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri nell'arco di tempo previsto tra il 2 ed il 15 giugno 2014  e
quelle  gia'  inserite  nell'elenco-anagrafe  nazionale  delle  opere
pubbliche incompiute di  cui  all'art.  44-bis  del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214. In caso di ulteriori difficolta' amministrative, e' prevista  la
facolta' di avvalimento  dell'apposita  cabina  di  regia  presso  la
Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    L'art. 4, commi 3, 4, 5, 6, 7 e  9,  prevede  misure  finanziarie
dirette a favorire la realizzazione delle opere segnalate dai  Comuni
e  consistenti  nell'esclusione  dei  pagamenti  connessi  a   questi
investimenti dal patto di stabilita'  interno,  alle  condizioni  ivi
indicate. 
    La ricorrente censura  le  citate  disposizioni  innanzitutto  in
riferimento agli artt. 2, 3, 97 e 114, primo comma, Cost., lamentando
in sostanza che le Regioni non rientrerebbero nel novero dei soggetti
destinatari delle misure di  semplificazione  e  finanziarie  per  la
realizzazione delle opere incompiute, previste solamente a  beneficio
dei Comuni. 
    La  Regione  Veneto  lamenta  inoltre  che   lo   Stato   avrebbe
illegittimamente legiferato nelle materie di  competenza  concorrente
relative al «governo  del  territorio»  ed  al  «coordinamento  della
finanza pubblica». 
    Nel censurare l'art. 4, comma 5, del  d.l.  n.133  del  2014  per
violazione dei citati parametri costituzionali, la ricorrente  assume
che la disposizione non sia applicabile alle Regioni,  ma  solo  agli
enti locali. 
    Con riguardo poi all'art. 4, comma 6, del menzionato decreto,  la
Regione denuncia una disparita' di trattamento  con  le  Regioni  del
Mezzogiorno, in quanto il meccanismo individuato per l'esclusione dai
vincoli del patto di stabilita'  interno  favorirebbe  queste  ultime
penalizzando le altre autonomie, e tra di esse anche la ricorrente. 
    Inoltre  la  disciplina  censurata,  prevedendo  una  misura   di
agevolazione per i soli  Comuni,  violerebbe  l'art.  118  Cost.,  in
quanto finirebbe per ledere la potesta' amministrativa regionale  nel
momento in cui la Regione intendesse attrarre al proprio  livello  di
governo le funzioni amministrative astrattamente  loro  spettanti  al
fine di assicurarne l'esercizio unitario nel rispetto dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 
    Infine, le disposizioni impugnate violerebbero l'art. 119  Cost.,
poiche' l'esclusione  delle  Regioni  dal  novero  dei  soggetti  che
possono  fruire  di   agevolazioni   finanziarie   in   ordine   alla
realizzazione di opere pubbliche - tanto piu' quando, come  nel  caso
della Regione Veneto, abbiano  un  consistente  "residuo  fiscale"  -
contrasterebbe con i principi di territorialita', di autonomia  e  di
responsabilita', secondo i quali, anche  in  presenza  di  meccanismi
perequativi (art. 119, terzo  e  quinto  comma,  Cost.),  le  Regioni
«[d]ispongono di compartecipazioni al  gettito  di  tributi  erariali
riferibile al loro territorio» (art. 119, secondo comma, Cost.). 
    2.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
commi 1, 2, 3, 4, 5, 6,  7  e  9,  del  d.l.  n.  133  del  2014,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 97  e  114,  primo  comma,  Cost.,  sono
inammissibili. 
    Quanto alla violazione degli artt. 3 e 97  Cost.,  la  ricorrente
denuncia l'irragionevolezza delle disposizioni impugnate ed  il  loro
contrasto  con  il  principio  del  buon  andamento  della   pubblica
amministrazione, che si tradurrebbe anche nella violazione  dell'art.
2 Cost., senza fornire alcuna adeguata  argomentazione;  quanto  alla
violazione dell'art. 114, primo comma, Cost., la Regione si limita  a
riportarne testualmente il contenuto. 
    Il ricorso proposto, quindi, pur  identificando  le  disposizioni
censurate ed i parametri  costituzionali  che  si  assumono  violati,
risulta assolutamente generico:  limitandosi  a  denunciare  in  modo
assertivo la lesione dei parametri evocati, le censure  proposte  non
raggiungono la soglia minima di chiarezza e di  completezza,  cui  e'
subordinata l'ammissibilita' delle impugnative in via principale.  E'
principio consolidato  nella  giurisprudenza  costituzionale  che  il
ricorso in via principale non solo «deve identificare esattamente  la
questione  nei  suoi  termini   normativi»,   indicando   «le   norme
costituzionali e  ordinarie,  la  definizione  del  cui  rapporto  di
compatibilita'  o  incompatibilita'   costituisce   l'oggetto   della
questione di costituzionalita'»,  ma  deve  altresi'  «contenere  una
seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della  richiesta
declaratoria  di  incostituzionalita'  della   legge»   (ex   multis,
ordinanza n. 123 del 2012). 
    3.- Anche le censure proposte nei confronti dell'art. 4, commi 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9, del  d.l.  n.  133  del  2014,  in  riferimento
all'art. 118 Cost., sono inammissibili per carenza di motivazione. 
    La ricorrente afferma che la previsione di misure di agevolazione
a  favore  dei  soli  Comuni  lederebbe  la  potesta'  amministrativa
regionale, precludendo alla Regione la possibilita'  di  attrarre  le
funzioni amministrative astrattamente spettanti ai Comuni ove volesse
assicurarne   l'esercizio   unitario   secondo    i    principi    di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 
    Da tali argomentazioni  non  e'  dato  comprendere  in  che  modo
l'attrazione, peraltro ipotetica, da parte della Regione, di funzioni
amministrative spettanti ai Comuni possa  essere  pregiudicata  dalla
realizzazione di opere comunali incompiute. 
    4.- E', altresi',  inammissibile  la  questione  di  legittimita'
costituzionale promossa nei confronti dell'art. 4, commi 1, 2, 3,  4,
5, 6, 7 e 9, del d.l. n. 133 del 2014, in  riferimento  all'art.  119
Cost.,   per   lesione   dell'autonomia   regionale   in    relazione
all'«esorbitante residuo fiscale  della  Regione  Veneto»,  cioe'  al
«saldo fra cio' che ciascuna  Regione  riceve  in  termini  di  spesa
pubblica e il suo contributo in termini di prelievo fiscale». Da tale
raffronto deriverebbe l'illegittimita' dell'esclusione della  Regione
dalle misure agevolative di cui alle norme impugnate. 
    Fermo restando che l'assoluto equilibrio tra prelievo fiscale  ed
impiego  di  quest'ultimo  sul  territorio  di  provenienza  non   e'
principio espresso dalla  disposizione  costituzionale  invocata,  il
criterio  del  residuo  fiscale  richiamato  dalla  Regione  non   e'
parametro normativo  riconducibile  all'art.  119  Cost.,  bensi'  un
concetto utilizzato nel tentativo, storicamente  ricorrente  tra  gli
studiosi  della   finanza   pubblica,   di   individuare   l'ottimale
ripartizione   territoriale   delle   risorse   ottenute   attraverso
l'imposizione fiscale. 
    Data la struttura fortemente accentrata, nel nostro  ordinamento,
della riscossione delle entrate  tributarie  e  quella  profondamente
articolata dei soggetti pubblici  e  degli  interventi  dagli  stessi
realizzati  sul  territorio,  risulta  estremamente  controversa   la
possibilita' di elaborare criteri convenzionali  per  specificare  su
base territoriale la relazione quantitativa tra  prelievo  fiscale  e
suo reimpiego. 
    L'esigenza di aggregare dati eterogenei secondo  metodologie  non
univocamente accettate ha  fatto  si'  che  il  concetto  di  residuo
fiscale sia stato utilizzato piuttosto come  ipotesi  di  studio  che
come parametro di correttezza  legale  nell'allocazione  territoriale
delle risorse. 
    L'accentuata  disputa  circa  le  modalita'  appropriate  per  un
calcolo corretto del differenziale tra risorse fiscalmente  acquisite
e impiego negli ambiti  territoriali  di  provenienza  attraversa  la
forte dialettica politico-istituzionale  afferente  alle  Regioni  ed
agli enti locali. E' significativo - con  riguardo  alle  controverse
modalita' di valutazione  -  che  proprio  la  ricorrente,  la  quale
lamenta un forte pregiudizio sotto il descritto profilo,  risulti  la
Regione maggiormente beneficiaria,  almeno  nel  primo  decennio  del
secolo  attuale,  dell'impiego  sul  proprio  territorio  di  risorse
statali per la  realizzazione  delle  infrastrutture  strategiche  di
interesse nazionale (tra le altre, Corte dei conti - sezione centrale
di  controllo  sulla  gestione  delle  amministrazioni  dello  Stato,
delibera 15  giugno  2007,  n.  72/2007/G,  con  la  quale  e'  stato
approvato  il  referto  al  Parlamento  intitolato  «Relazione  sulle
risultanze dell'attivita' di controllo sulla gestione  amministrativa
e contabile delle risorse allocate al  capitolo  7060  del  Ministero
delle infrastrutture avente ad oggetto: "Fondo da  ripartire  per  la
progettazione  e  la  realizzazione  delle   opere   strategiche   di
preminente interesse nazionale nonche' per  opere  di  captazione  ed
adduzione di risorse idriche"»). 
    In definitiva, il parametro del residuo fiscale non  puo'  essere
considerato  un  criterio  specificativo   dei   precetti   contenuti
nell'art. 119 Cost. 
    Da quanto considerato deriva,  dunque,  l'inammissibilita'  della
questione per l'assoluta inconferenza  del  parametro  evocato  dalla
ricorrente. 
    5.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, in riferimento all'art.  3  Cost.,
e' inammissibile per carenza di motivazione circa  l'incidenza  della
stessa sulla situazione soggettiva della ricorrente  e  sull'asserita
disparita' di trattamento. 
    La Regione Veneto denuncia la violazione  dell'art.  3  Cost.  da
parte dell'art. 4, comma 6, del decreto-legge n.  133  del  2014,  il
quale dispone, con riguardo all'anno 2014, l'esclusione  dai  vincoli
del  patto  di  stabilita'  -  per  l'importo  complessivo  di   euro
50.000.000,00 - di  pagamenti  dei  debiti  delle  Regioni  che  gia'
beneficino di proventi superiori  ad  euro  100.000.000,00  derivanti
dalle aliquote loro spettanti per la coltivazione degli  idrocarburi.
Vi sarebbe  disparita'  di  trattamento  tra  le  Regioni  a  statuto
ordinario del Mezzogiorno e le  altre  (tra  cui  la  stessa  Regione
Veneto) poiche' le  entrate  in  questione  sarebbero  devolute  alle
Regioni del Mezzogiorno anche per la parte altrimenti destinata  allo
Stato, secondo il meccanismo di cui all'art. 20, commi 1 e 1-bis, del
decreto legislativo  25  novembre  1996,  n.  625  (Attuazione  della
direttiva  94/22/CEE  relativa  alle  condizioni  di  rilascio  e  di
esercizio  delle   autorizzazioni   alla   prospezione,   ricerca   e
coltivazione di idrocarburi). 
    La ricorrente  omette  di  riferire  se  in  concreto  essa  gia'
percepisca le suddette aliquote ed, in caso positivo, se  il  preteso
incremento riservato alle Regioni del  Mezzogiorno  sia  determinante
per raggiungere quel livello minimo richiesto dalla  norma  impugnata
(euro 100.000.000,00). Peraltro, non viene fornita alcuna motivazione
circa la confrontabilita' delle due situazioni. 
    6.- Le censure rivolte all'art. 4, comma 5, del d.l. n.  133  del
2014, in riferimento agli artt. 2, 3,  97,  114,  primo  comma,  117,
terzo comma, 118 e 119 Cost., sono inammissibili per grave erroneita'
del presupposto interpretativo. 
    Secondo la ricorrente la norma, limitando i benefici ai soli enti
territoriali, escluderebbe indebitamente le Regioni. 
    Tale argomentazione  rivela  un  palese  difetto  interpretativo:
risulta infatti evidente che l'espressione utilizzata dal legislatore
all'art. 4, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014 -  «enti  territoriali»
-non  e'  limitata  agli  enti  locali  ma  comprende,  per  costante
accezione legislativa, le Regioni. Anche a queste  ultime  dunque  fa
riferimento il comma 5, il quale prevede che  i  pagamenti  sostenuti
successivamente alla data di  entrata  in  vigore  del  decreto-legge
relativi a debiti in conto capitale degli enti territoriali  per  gli
anni 2014 e 2015 sono esclusi dai vincoli  del  patto  di  stabilita'
interno per un  importo  complessivo  di  euro  300.000.000,00  (euro
200.000.000,00 relativamente all'anno  2014  ed  euro  l00.000.000,00
relativamente all'anno 2015). Peraltro, ulteriore  testimonianza  del
grave errore interpretativo in cui e' incorsa la ricorrente si ricava
dalla formulazione del comma 5-bis dell'art.  4,  il  quale  menziona
espressamente anche le Regioni tra le destinatarie della disposizione
impugnata. 
    7.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  promossa  nei
confronti dell'art. 4, commi 1, 2, 3, 4 e 9,  del  d.l.  n.  133  del
2014, in riferimento all'art. 117, terzo comma,  Cost.,  per  lesione
della competenza concorrente della Regione nella materia «governo del
territorio» non e' fondata. 
    La ricorrente lamenta che la disciplina  impugnata  interverrebbe
sulla «programmazione di lavori pubblici»  e  sull'«approvazione  dei
progetti a fini urbanistici ed espropriativi»,  funzioni  ascrivibili
alla materia  «governo  del  territorio»  di  competenza  legislativa
concorrente, senza prevedere alcun coinvolgimento  legislativo  della
Regione. 
    L'assunto  non  puo'  essere  condiviso  poiche'  le   norme   in
considerazione non appartengono all'ambito di competenza del «governo
del territorio» bensi' a  quello  del  «coordinamento  della  finanza
pubblica». 
    E' proprio la finalita' del coordinamento della finanza  pubblica
a collegare teleologicamente le norme impugnate: l'art. 4,  comma  1,
dispone infatti che le opere  interessate  allo  sblocco  procedurale
sono quelle per le quali la problematica emersa  attiene  al  mancato
concerto   tra   amministrazioni    interessate    al    procedimento
amministrativo e per le quali e' utile riconvocare la  Conferenza  di
servizi ove si ritenga possibile assicurare un proficuo  riesame  dei
pareri ostativi alla realizzazione dell'opera.  Il  comma  2  prevede
peraltro che, in caso di mancato perfezionamento del procedimento  in
ragione di ulteriori difficolta' amministrative, e' data facolta'  di
avvalersi  dell'apposita  cabina  di  regia   istituita   presso   la
Presidenza del Consiglio dei ministri. I commi 3, 4, 7 e 9  prevedono
poi l'esclusione dai vincoli del patto di stabilita' per le opere che
dovessero superare positivamente il riesame in questione insieme alle
modalita' tecniche per assicurare tale obiettivo. 
    Cosi' configurate, le norme impugnate  non  hanno  alcun  effetto
novativo nella materia del  «governo  del  territorio»  perche'  sono
destinate  a  sbloccare  le  opere  pubbliche  gia'   programmate   e
progettate (la  cui  procedura  realizzativa  era  ferma  al  momento
dell'adozione delle disposizioni censurate) solo nel caso in  cui  le
problematiche  emerse  dovessero  essere   superate   attraverso   le
procedure acceleratorie. Cio' senza che sia  previsto  alcun  effetto
sanante nel caso in  cui  dovessero  eventualmente  permanere,  nelle
fattispecie interessate, profili non conformi alle norme  ambientali,
urbanistiche e afferenti al governo del territorio. 
    Le disposizioni in esame mirano dunque a  recuperare  progetti  e
finanziamenti  immobilizzati  per  cause  rimuovibili  attraverso  il
superamento di inconvenienti che non coinvolgono la violazione  della
disciplina inerente al governo del territorio. E' evidente  che,  ove
le opere in stato di blocco dovessero  risultare  non  conformi  alla
normativa a tutela dell'ambiente, dell'urbanistica e  a  disposizioni
di legge, esse non potrebbero essere riavviate. 
    In  tale  prospettiva  ermeneutica  vengono  cosi'  a  coniugarsi
primari obiettivi del coordinamento della finanza pubblica, quali  il
recupero di risorse allo stato inutilizzate e lo stimolo alla ripresa
dell'economia  e  dell'occupazione  in  un  momento  di   particolare
difficolta' per  il  Paese.  L'esclusione  dal  patto  di  stabilita'
diventa  a  sua   volta   condizione   necessaria   per   l'effettiva
realizzazione della finalita' legislativa. 
    L'appartenenza delle disposizioni alla materia del «coordinamento
della finanza pubblica» viene avvalorata con  chiarezza  anche  dalla
stessa intitolazione del d.l. n. 133 del  2014  (cosiddetto  "Sblocca
Italia"):  «Misure  urgenti   per   l'apertura   dei   cantieri,   la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione  del  Paese,
la   semplificazione   burocratica,    l'emergenza    del    dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle  attivita'  produttive».  Ed  e'
significativo che alcune delle opere interessate  alle  procedure  di
sblocco  appartengano  all'anagrafe   degli   interventi   incompleti
prevista dall'art. 44-bis del d.l. n.  201  del  2011,  a  sua  volta
intitolato «Disposizioni urgenti per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici». 
    Il suddetto art. 44-bis prevede che  siano  comprese  nell'elenco
opere incompiute: a) per mancanza di fondi; b) per cause tecniche; c)
per sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge; d) per
il fallimento dell'impresa appaltatrice; e) per il mancato  interesse
al completamento da parte del gestore. Detta anagrafe e' a sua  volta
finalizzata a verificare la «adattabilita'»  delle  opere  stesse  ai
fini del loro riutilizzo o le  «ulteriori  destinazioni  a  cui  puo'
essere adibita ogni singola opera», prevedendo che «[a]i  fini  della
fissazione dei criteri [di recupero] si  tiene  conto  delle  diverse
competenze in materia attribuite allo Stato e alle regioni». 
    La  correlazione  funzionale  tra  le  disposizioni  oggetto   di
impugnazione risponde dunque ad  una  scelta  di  politica  economica
nazionale,  adottata  per  far   fronte   all'eccezionale   emergenza
finanziaria ed occupazionale che il Paese sta attraversando e si pone
quindi come espressione del perseguimento di obiettivi  di  interesse
generale. 
    Detta   correlazione,   per   la   sua   finalita'   e   per   la
proporzionalita'  allo  scopo   che   intende   perseguire,   risulta
espressiva di un principio fondamentale della materia, di  competenza
concorrente, del «coordinamento della finanza  pubblica».  Come  tale
non e'  invasiva  delle  attribuzioni  della  Regione  nella  materia
stessa, in quanto il finalismo della previsione normativa esclude che
possa invocarsi nei suoi confronti la natura di  norma  di  dettaglio
(sentenze n. 205 e n. 63 del 2013). 
    8.- Per analoghe  ragioni  anche  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 3, del d.l. n.  133  del  2014,  in
riferimento all'art. 117, terzo comma,  Cost.  per  violazione  della
competenza concorrente della Regione nella materia del «coordinamento
della finanza pubblica» e' priva di fondamento. 
    Le norme impugnate devono essere rispettivamente ricondotte, come
gia' precisato, a detto ambito di competenza. In seno a tale materia,
tuttavia, spetta allo Stato la definizione dei principi  fondamentali
relativi al rispetto dei vincoli del patto di stabilita' interno. 
    Le norme censurate, prevedendo misure  di  semplificazione  e  di
incentivazione agli investimenti  nella  forma  della  riconvocazione
della Conferenza di servizi e dell'esclusione dai vincoli  del  patto
di stabilita' interno, costituiscono appunto principi fondamentali  e
non realizzano pertanto alcuna lesione della  competenza  legislativa
della  Regione,  con  conseguente  infondatezza  della  questione  da
quest'ultima proposta in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.