ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 35  e  36
della legge 4  maggio  1983,  n.  184  (Diritto  del  minore  ad  una
famiglia), promosso dal Tribunale per  i  minorenni  di  Bologna  sul
ricorso proposto da  B.E.M.  con  ordinanza  del  10  novembre  2014,
iscritta al n. 259 del registro ordinanze  2014  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  4,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e dell'associazione Avvocatura per i diritti LGBTI; 
    udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 2016  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza  del  10  novembre  2014  il  Tribunale  per  i
minorenni  di  Bologna  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 4 maggio 1983, n.  184
(Diritto del minore ad una famiglia), «nella  parte  in  cui  -  come
interpretati secondo diritto vivente - non consentono al  giudice  di
valutare, nel caso concreto, se  risponda  all'interesse  del  minore
adottato (all'estero), il riconoscimento della sentenza straniera che
abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore,
a prescindere dal fatto  che  il  matrimonio  stesso  abbia  prodotto
effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone
dello stesso sesso)», per violazione degli artt. 2, 3, 30, 31  e  117
della Costituzione, quest'ultimo in riferimento agli  artt.  8  e  14
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848. 
    2.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a  definire  un
giudizio promosso dalla  signora  B.E.M.,  al  fine  di  ottenere  il
riconoscimento della sentenza straniera di  adozione  deliberata,  in
data 22 gennaio 2004, dal Tribunale  di  Prima  Istanza  dello  Stato
dell'Oregon, Contea di Multnomah, negli Stati Uniti d'America, con la
quale era stata disposta l'adozione piena della  minore  J.B.S.E.  in
favore della ricorrente, con responsabilita' genitoriale congiunta  a
quella della madre biologica J.E.A. 
    Il rimettente riferisce che la minore J.B.S.E. e' nata da  J.E.A.
in data 4 ottobre 2003,  in  seguito  ad  inseminazione  artificiale,
allorche' J.E.A. gia' conviveva con B.E.M., nell'ambito,  dunque,  di
uno specifico progetto di genitorialita' delle due madri (biologica e
adottiva). Subito dopo la nascita di J.B.S.E., B.E.M.  ha  presentato
domanda di adozione al Tribunale dello Stato  dell'Oregon  che,  dopo
aver accertato l'idoneita' della richiedente a svolgere il  ruolo  di
madre e l'idoneita' del nucleo familiare ad ospitare la  bambina,  ne
ha statuito appunto l'adozione. In seguito, in data  6  giugno  2013,
J.E.A. e B.E.M. hanno contratto matrimonio agli effetti  della  legge
degli Stati Uniti d'America. Il 27 marzo 2013 il  Consolato  Generale
d'Italia con sede a San Francisco ha attestato che B.E.M.,  cittadina
statunitense, e' anche cittadina italiana per  discendenza.  L'intero
nucleo familiare risiede ora a Bologna. Ricorda, infine, il giudice a
quo che la  ricorrente  non  ha  presentato  domanda  finalizzata  ad
ottenere l'adozione di J.B.S.E., bensi' ha richiesto, anche  in  nome
della  figlia   adottata,   il   riconoscimento,   in   Italia,   del
provvedimento statunitense di adozione della minore. 
    3.- Il Tribunale per i minorenni di Bologna ricorda, quindi, come
i provvedimenti di adozione siano riconoscibili, in Italia, ai  sensi
dell'art. 41 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del  sistema
italiano di diritto internazionale privato),  il  quale  rinvia  agli
artt. 64, 65 e 66 della  medesima  legge,  ferme  restando  le  norme
speciali in materia di adozione dei minori (in particolare, gli artt.
35  e  36  della  legge  n.  184  del  1983).  Con  riferimento  alla
fattispecie oggetto  del  suo  giudizio,  il  rimettente  rileva  che
sussistono  «tutte  le  condizioni   di   carattere   procedurale   e
processuale»  richieste  dalla  legge  per  il   riconoscimento   del
provvedimento straniero, in quanto lo stesso si e' perfezionato negli
Stati Uniti d'America secondo legalita' e sulla base della competenza
dell'autorita' adita. Ritiene, tuttavia, che,  nel  caso  di  specie,
osti al riconoscimento della sentenza pronunciata all'estero  la  sua
contrarieta' all'ordine pubblico, limite previsto dalle  disposizioni
citate. 
    Assume, infatti, il Tribunale che, sulla scorta di una lettura  -
«da ritenersi prevalente e maggioritaria, di fatto  corrispondente  a
"diritto vivente"» degli artt. 41 della legge n. 218 del 1995  e  44,
comma  1,  lettera  b),  della  legge  n.  184  del  1983  (relativo,
quest'ultima disposizione, all'adozione,  in  casi  particolari,  del
figlio del coniuge) - debba escludersi che  un  minore  possa  essere
adottato da persona che sia coniuge del genitore  nell'ambito  di  un
matrimonio contratto  all'estero  tra  persone  dello  stesso  sesso,
costituendo  la  necessaria  diversita'  dei  sessi  un   presupposto
implicito e inderogabile della disciplina adottiva, «cosi' cogente da
dovere essere collocato nell'ambito di quelli che  si  connotano  per
partecipazione all'area semantica dell'Ordine pubblico interno». 
    Ad avviso del  giudice  rimettente,  tale  interpretazione  delle
disposizioni sopra citate  costituirebbe  l'approdo  di  un  "diritto
vivente" formatosi nell'applicazione degli artt. 35 e 36 della  legge
n. 184 del 1983. Viene ricordata, in particolare, una pronuncia della
Corte di cassazione (sezione  prima  civile,  14  febbraio  2011,  n.
3572), secondo la quale l'adozione disposta ai  sensi  dell'art.  36,
comma 4, della legge n. 184 del 1983 - ossia  l'adozione  pronunciata
all'estero su  istanza  di  cittadini  italiani  che  dimostrino,  al
momento della pronuncia, di avere soggiornato  continuativamente  nel
Paese straniero e di avervi avuto la residenza da almeno due  anni  -
non avrebbe introdotto alcuna deroga al principio generale  enunciato
al comma  3  del  precedente  art.  35,  ove  si  stabilisce  che  il
riconoscimento del provvedimento di adozione di un minore pronunciato
all'estero  non  puo'  avere  luogo  ove   contrario   «ai   principi
fondamentali che regolano nello Stato il diritto di  famiglia  e  dei
minori». Tra questi principi - secondo il giudice a quo - vi  sarebbe
anche quello secondo cui l'adozione e' permessa solo a coniugi «uniti
in matrimonio» ai sensi dell'art. 6  della  legge  n.  184  del  1983
(matrimonio che, nell'ordinamento  italiano,  e'  consentito  solo  a
persone di sesso diverso). 
    4.- Tanto premesso, il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Bologna
ritiene di non potersi discostare dall'orientamento giurisprudenziale
indicato. Al tempo stesso, afferma di non condividerlo, se  applicato
alla fattispecie oggetto del suo giudizio,  trattandosi  di  genitori
(per quanto  dello  stesso  sesso)  con  ventennale  convivenza,  poi
confluita in un matrimonio regolarmente celebrato all'estero, in  cui
il coniuge del genitore ha adottato il figlio di quest'ultimo. 
    Il  giudice  a  quo  muove,  infatti,  dal  presupposto  che   il
matrimonio contratto all'estero tra persone del  medesimo  sesso  non
possa piu'  essere  considerato  contrario  all'ordine  pubblico,  in
quanto detto matrimonio, nel nostro ordinamento, pur improduttivo  di
effetti giuridici, non sarebbe inesistente  (e'  citata  la  sentenza
della Corte di cassazione, sezione prima civile, 15  marzo  2012,  n.
4184). Inoltre, il giudice a quo evoca alcune  decisioni  in  cui  la
Corte europea dei diritti dell'uomo avrebbe affermato che  la  coppia
formata da persone dello stesso sesso e'  da  considerare  "famiglia"
(sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria, e sentenza 19
febbraio 2013, X e altri contro Austria). Infine - ricorda sempre  il
rimettente - la stessa Corte costituzionale avrebbe riconosciuto  che
la coppia omosessuale rientra  tra  le  formazioni  sociali  tutelate
dall'art. 2 Cost. (sentenza n. 170 del 2014). 
    Il Tribunale per i minorenni di Bologna ritiene pertanto  che  la
disciplina «in materia di riconoscimento dell'adozione perfezionatasi
all'estero» sia censurabile sotto due distinti profili. 
    In primo luogo, gli artt. 35 e 36 della legge  n.  184  del  1983
violerebbero  gli  artt.  2  e  3  Cost.,  in  quanto,  per  la  sola
omosessualita' dei genitori, esse impedirebbero in modo assoluto alla
famiglia formatasi all'estero  di  continuare  ad  essere  "famiglia"
anche  in  Italia.  Il  giudice  a  quo   ricorda   come   la   Corte
costituzionale abbia affermato  che,  pur  spettando  al  Parlamento,
nell'esercizio della sua piena discrezionalita', individuare le forme
di garanzia e di riconoscimento delle unioni omosessuali, e' ad  essa
riservata la possibilita'  di  intervenire  a  tutela  di  specifiche
situazioni  (sentenza  n.  138  del   2010).   Il   rimettente,   pur
riconoscendo l'interesse dello Stato  a  non  modificare  il  modello
eterosessuale del matrimonio e della famiglia, ritiene che non  possa
essere totalmente sacrificato il contrapposto interesse della  coppia
omogenitoriale a che l'unione  dei  membri  della  famiglia  non  sia
cancellata in modo completo e irreversibile. 
    La questione non riguarda qui - precisa il Tribunale rimettente -
il  rapporto  di  coniugio  tra  persone  dello  stesso   sesso,   ma
esclusivamente il rapporto genitoriale e l'interesse  preminente  del
minore al suo riconoscimento. 
    In secondo luogo, il giudice a  quo  ritiene  che  la  disciplina
censurata contrasti  con  gli  artt.  2,  3,  30,  31  e  117  Cost.,
quest'ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU,  in  quanto
il divieto  assoluto  di  riconoscimento  della  decisione  straniera
cancellerebbe «in modo netto e irrazionale» la possibilita',  per  il
giudice italiano, di condurre un vaglio sull'effettivo interesse  del
minore, vanificando principi di matrice internazionale ed europea. 
    Il rimettente, su tale  aspetto,  ricorda  anzitutto  i  principi
espressi  in  alcuni  trattati  internazionali:  la  Convenzione  sui
diritti del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27  maggio  1991,  n.  176,  in
forza della quale «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli,  di
competenza sia delle istituzioni pubbliche o  private  di  assistenza
sociale, dei tribunali, delle autorita' amministrative o degli organi
legislativi, l'interesse superiore  del  fanciullo  deve  essere  una
considerazione preminente» (art. 3, comma 1); la Convenzione  europea
sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a  Strasburgo  il  25
gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n.
77; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a  Strasburgo  il  12  dicembre
2007 (art. 24, comma 2). Dai trattati  in  questione  emergerebbe  la
necessita' che, in ogni atto comunque riguardante il minore,  il  suo
interesse debba sempre essere  considerato  preminente.  Disposizioni
come quelle censurate impedirebbero, invece, al giudice di verificare
quale sia l'interesse del  fanciullo  e,  dunque,  si  porrebbero  in
contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della  ragionevolezza,
e con gli artt. 2, 30 e 31 Cost., che assicurano al minore il diritto
fondamentale ad una famiglia. 
    Inoltre, l'impossibilita'  di  riconoscere  il  provvedimento  di
adozione,  formatosi  all'estero,   in   favore   di   una   famiglia
omogenitoriale, si paleserebbe in contrasto con  gli  artt.  8  e  14
della CEDU. Il giudice a quo ricorda i principi espressi dalla  Corte
EDU nella sentenza 19 febbraio 2013, X  e  altri  contro  Austria,  e
nella sentenza 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro  Lussemburgo.
In particolare, in  quest'ultima  decisione,  la  Corte  EDU  avrebbe
riscontrato  una  violazione  dell'art.  8  della   CEDU   da   parte
dell'autorita' che si  era  rifiutata  di  riconoscere  una  sentenza
straniera di adozione piena, poiche', quando si e'  gia'  formata  di
fatto una famiglia, e' inammissibile un rigetto  della  richiesta  di
riconoscimento della sentenza straniera che contrasti con l'interesse
del minore nel caso concreto: la Corte EDU avrebbe, cioe',  affermato
che,  «quando  si  e'  gia'  formata  di  fatto  una   famiglia,   e'
inammissibile un rigetto della richiesta di exequatur  che  contrasti
con l'interesse del minore nel caso concreto». 
    5.- Espone, infine, il giudice a quo che le questioni prospettate
sarebbero rilevanti, in quanto, in assenza  di  una  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate, sarebbe preclusa
allo stesso rimettente una valutazione del  superiore  interesse  del
minore  ad  ottenere  il   riconoscimento,   anche   nell'ordinamento
italiano, del vincolo di filiazione gia' regolarmente costituito  per
un ordinamento giuridico straniero. In assenza di  una  pronuncia  di
accoglimento - secondo  il  giudice  a  quo  -  il  ricorso  andrebbe
senz'altro rigettato. 
    6.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  spiegato  intervento
nel  presente  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  con   atto
depositato il 17 febbraio 2015,  chiedendo  che  le  questioni  siano
dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza. 
    In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che  il
Tribunale per i minorenni di Bologna, omettendo la  doverosa  ricerca
di  una  soluzione  costituzionalmente  orientata  della  fattispecie
sottoposta  al  suo  giudizio,  avrebbe  erroneamente  trascurato  la
possibilita'  di  riconoscere  la  sentenza  straniera  secondo   una
disposizione diversa da quelle censurate, e cioe' l'art. 44, comma 1,
lettera d), della legge n. 184 del 1983, la quale consente l'adozione
«in casi particolari»,  avuto  specifico  riguardo  alla  «constatata
impossibilita' di affidamento preadottivo». 
    Dopo aver ricordato che, sulla  base  di  tale  disposizione,  e'
stata ammessa l'adozione  internazionale  da  parte  di  una  persona
singola, quando la stessa corrisponda all'interesse  del  minore  (e'
ricordata l'ordinanza della Corte costituzionale n. 347 del 2005),  e
assumendo che tale condizione rilevi «per analogia» anche nel caso di
«persona  same  sex  coniugata  in  altro  Paese  con   il   genitore
biologico», l'Avvocatura generale dello Stato  ritiene  che,  essendo
ammessa  l'adozione  internazionale  da  parte  di  persona  singola,
dovrebbe a maggior ragione concludersi che possa essere  riconosciuta
una decisione in tal senso assunta dal giudice straniero. 
    Ne'  -  secondo  l'Avvocatura  generale  dello   Stato   -   tale
riconoscimento sarebbe impedito dall'obbligo, stabilito dall'art. 35,
comma 3, della legge n. 184 del  1983,  di  osservanza  dei  principi
fondamentali dell'ordinamento nazionale  in  materia  di  famiglia  e
minori. In particolare, riguardo al matrimonio  contratto  all'estero
fra  persone  dello  stesso  sesso,  la  difesa  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri ricorda che la Corte di cassazione, pur avendo
escluso che tale matrimonio possa essere trascritto negli atti  dello
stato civile, avrebbe, tuttavia, riconosciuto come lo stabile  nucleo
fondato su una relazione omosessuale vanti un diritto alla protezione
della vita familiare ai sensi dell'art. 8 della CEDU, e che  da  cio'
deriverebbe anche la possibilita' di adire il  giudice  a  tutela  di
specifiche  situazioni  (e'  citata  la  sentenza  della   Corte   di
cassazione, sezione prima civile,  15  marzo  2012,  n.  4184).  Tale
indirizzo giurisprudenziale sarebbe armonico rispetto alle  decisioni
della Corte EDU (in particolare, alla sentenza 24 giugno 2010, Schalk
e Kopf contro Austria). Sono, infine, richiamate  anche  le  sentenze
della Corte costituzionale n. 138 del 2010 e  n.  170  del  2014,  le
quali avrebbero affermato la «rilevanza anche  giuridica  dell'unione
omosessuale». 
    D'altra parte - prosegue l'Avvocatura generale dello Stato  -  la
questione dell'adozione ad opera di persone singole  e  quella  della
relazione matrimoniale non suscettibile di  riconoscimento  sarebbero
contigue, ma  non  coincidenti,  aprendosi  spazi  per  la  soluzione
dell'una  indipendentemente  dalla  disciplina  della   seconda.   La
giurisprudenza di merito avrebbe gia' applicato l'art. 44,  comma  1,
lettera d), della legge n. 184 del 1983  al  caso  dell'adozione,  da
parte di una donna,  della  figlia  naturale  della  sua  compagna  e
coniuge, in relazione  ad  un  matrimonio  celebrato  all'estero  (e'
citata la sentenza del Tribunale per i minorenni di  Roma  30  luglio
2014,  n.  299).  La  clausola  dell'impossibilita'  dell'affidamento
preadottivo - se interpretata tale  impossibilita'  come  causata  da
impedimenti di "diritto", oltreche' da ostacoli "di fatto" -  sarebbe
utilizzabile come «"porta  aperta"  sui  cambiamenti  che  la  nostra
societa' ci propone». Tale soluzione si imporrebbe a maggior  ragione
nei casi in cui si tratti solo di riconoscere  un  rapporto  adottivo
gia' istituito all'estero,  quando  essa  appaia  corrispondere  agli
interessi del minore preso in considerazione. 
    Non  sarebbe,  infine,  d'ostacolo  alla  soluzione  proposta  la
decisione della Corte di cassazione secondo la quale  non  potrebbero
essere trascritti  nei  registri  dello  stato  civile  provvedimenti
esteri di adozione legittimante, se non con riguardo a coniugi  uniti
in matrimonio (sezione prima civile, 14 febbraio 2011, n.  3572).  In
quel caso - sempre secondo l'Avvocatura generale dello  Stato  -  era
stata rilevata la  portata  ostativa  dell'effetto  legittimante  del
provvedimento  da  trascrivere,  ma  non   era   stata   esclusa   la
possibilita' di riconoscere l'adozione del singolo  con  effetti  non
legittimanti. E, del resto, la Corte di cassazione avrebbe, in  altra
occasione, ammesso finanche la possibilita' di adozioni legittimanti,
se corrispondenti all'interesse del minore  (e'  citata  la  sentenza
della sezione prima civile, 18 marzo 2006, n. 6078). 
    7.- In data 16 febbraio  2015  l'associazione  Avvocatura  per  i
diritti LGBTI ha depositato «atto di costituzione  e  intervento  nel
giudizio di legittimita' costituzionale», chiedendo che le  questioni
sollevate dal Tribunale per i minorenni  di  Bologna  siano  ritenute
fondate. 
    In apertura dell'atto, la citata Associazione  riconosce  che  la
giurisprudenza      costituzionale      tendenzialmente       esclude
l'ammissibilita' dell'intervento di soggetti che non siano parti  del
giudizio  principale  o  portatori  di  un  interesse  immediatamente
inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. E' sollecitata,
pero', un'apertura della giurisdizione costituzionale  al  contributo
di enti esponenziali volti alla tutela di  diritti  fondamentali  dei
cittadini, come gia' avvenuto, in parte, grazie ad  alcune  decisioni
della Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 45  del  2005,
76 del 2001 e 314 del 1992, nonche' le ordinanze n. 250 del 2007 e n.
389 e n. 50 del 2004). La difesa e l'affermazione dei  diritti  delle
persone omosessuali, bisessuali e transessuali,  anche  con  riguardo
specifico  a  giudizi  celebrati  innanzi  alle  Corti  nazionali   e
sovranazionali, costituisce d'altra parte - osserva l'interveniente -
uno specifico obiettivo statutario dell'Associazione. 
    L'atto di intervento prosegue con una diffusa  esposizione  delle
ragioni   che   imporrebbero   il   riconoscimento   della   sentenza
statunitense cui si riferisce  il  giudizio  principale,  e  comunque
esponendo le ragioni che dovrebbero indurre la  Corte  costituzionale
all'accoglimento della questione sollevata dal giudice a quo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale per i minorenni di Bologna solleva questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 4  maggio
1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia),  «nella  parte  in
cui - come interpretati secondo diritto vivente - non  consentono  al
giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all'interesse del
minore  adottato  (all'estero),  il  riconoscimento  della   sentenza
straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge
del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso  abbia
prodotto effetti in Italia (come per la  fattispecie  del  matrimonio
tra persone dello stesso sesso)», per violazione degli  artt.  2,  3,
30, 31 e 117 della Costituzione,  quest'ultimo  in  riferimento  agli
artt. 8 e 14  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (d'ora  in  avanti  «CEDU»),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Gli artt. 2, 3, 30  e  31  Cost.  sarebbero  violati  perche'  le
disposizioni censurate determinerebbero un'irragionevole compressione
del diritto fondamentale del minore  alla  conservazione  del  nucleo
familiare in cui e' stabilmente inserito. 
    Le disposizioni censurate, inoltre, contrasterebbero  con  l'art.
117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU, nella parte  in
cui questi ultimi impediscono ad un'autorita' pubblica di interferire
nella vita familiare - e,  in  particolare,  di  ostacolare  la  vita
familiare di un nucleo che si  e'  gia'  formato  -  salvo  che  tale
ingerenza sia prevista dalla legge, persegua uno o piu'  degli  scopi
previsti dalla norma convenzionale, e sia necessaria, in una societa'
democratica, al fine di raggiungere tali finalita'. 
    2.- In via  preliminare,  deve  essere  dichiarato  inammissibile
l'intervento dell'associazione Avvocatura per i diritti  LGBTI.  Tale
associazione chiede che il suo intervento sia dichiarato ammissibile,
in quanto la  difesa  e  l'affermazione  dei  diritti  delle  persone
omosessuali, bisessuali e transessuali, anche con riguardo a  giudizi
celebrati innanzi alle Corti nazionali e sovranazionali,  costituisce
uno specifico obiettivo statutario dell'associazione. 
    Non puo' che essere ribadito, tuttavia, il costante  orientamento
di questa Corte, secondo il quale non possono partecipare al giudizio
di legittimita' costituzionale in via incidentale i soggetti che  non
siano parti nel giudizio a quo, ne' siano titolari  di  un  interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale  dedotto
in giudizio (ex plurimis, da ultimo, in relazione alla  richiesta  di
intervento  da  parte  di  soggetti  rappresentativi   di   interessi
collettivi o di categoria, sentenze n. 221, n. 178 e n. 37 del  2015,
n. 162 del 2014; ordinanze n. 156 del 2013 e n. 150 del 2012). 
    Nel caso in esame, appare evidente come la posizione giuridica di
tale associazione non risulti suscettibile di essere pregiudicata  in
alcun modo dall'esito del giudizio di costituzionalita', in quanto il
rapporto sostanziale dedotto in causa concerne solo profili attinenti
alla posizione dei soggetti privati parti del giudizio a quo. 
    3.- La questione e' inammissibile, non  gia'  per  gli  argomenti
addotti dall'Avvocatura generale dello Stato,  peraltro  inconferenti
rispetto alle questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate,
bensi' per le diverse ragioni di seguito illustrate. 
    3.1.- In  primo  luogo,  trascurando  di  compiere  una  corretta
ricognizione del quadro normativo di riferimento, il Tribunale per  i
minorenni affronta in  modo  contraddittorio  la  questione  relativa
all'esistenza della  propria  potestas  iudicandi  sulla  fattispecie
sottoposta a giudizio. 
    Nel suo iter logico-argomentativo, il giudice  rimettente  opera,
infatti, un immediato ma indistinto  riferimento  all'art.  41  della
legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato), in tema di riconoscimento dei  provvedimenti
stranieri in materia di adozione. 
    L'articolo appena citato, tuttavia, nei suoi due  commi,  prevede
due ben diversi procedimenti per giungere a tale riconoscimento. 
    Il comma 1 stabilisce, quale regola  di  carattere  generale,  un
riconoscimento "automatico" dei provvedimenti stranieri in materia di
adozione, attraverso il rinvio agli artt. 64, 65 e 66 della  medesima
legge,  relativi,  rispettivamente,  alle  sentenze   straniere,   ai
provvedimenti stranieri e ai provvedimenti  stranieri  di  volontaria
giurisdizione. 
    Il  comma  2,  invece,  stabilendo  che   «[r]estano   ferme   le
disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori»,
opera un riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 184 del
1983 e dunque, anzitutto, agli artt. 35 e 36 di tale legge,  i  quali
prevedono che il riconoscimento  in  parola  sia  subordinato  ad  un
vaglio da parte del Tribunale per i minorenni. 
    Il  giudice  a  quo  non  distingue  tra   questi   due   diversi
procedimenti di riconoscimento. Dapprima, infatti, egli  afferma  che
la sentenza statunitense di adozione - che e' chiamato a  riconoscere
-  risponde  a  «tutte  le  condizioni  di  carattere  procedurale  e
processuale» previste dagli artt. 64, 65 e 66 della legge n. 218  del
1995, quelle a cui rinvia il comma  1  dell'art.  41  della  medesima
legge; immediatamente dopo, pero', aggiunge che l'adozione  non  puo'
essere  dichiarata  efficace  in  Italia  perche'  non  risponde   ai
requisiti previsti dalla normativa interna in materia di adozione  di
minori, in particolare, a quelli previsti agli artt. 35  e  36  della
legge n. 184 del 1983, richiamati dal comma 2 del citato art. 41. 
    La contraddittorieta'  di  tale  percorso  argomentativo  risulta
evidente,  poiche'  l'applicazione  della  legislazione  speciale  in
materia di riconoscimento della sentenza di  adozione  internazionale
di minori - che richiede un previo vaglio giudiziale,  ad  opera  del
Tribunale per i minorenni - non puo' che escludere  il  contemporaneo
rinvio alle disposizioni ordinarie  sul  riconoscimento  "automatico"
dei provvedimenti stranieri. 
    La giustificazione che  il  giudice  a  quo  fornisce  in  ordine
all'esistenza della propria  potestas  iudicandi  esibisce  cosi'  un
difetto di motivazione sulla rilevanza: se egli avesse  ritenuto  che
la  sentenza  straniera  dovesse   essere   riconosciuta   "in   modo
automatico", ai sensi del comma 1 dell'art. 41 della legge n. 218 del
1995, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda, poiche', in
tale ipotesi, il provvedimento straniero potrebbe essere direttamente
presentato all'ufficiale di stato civile  per  la  trascrizione;  se,
invece, avesse adeguatamente motivato in ordine al fatto che la legge
n. 218 del 1995 gli consentiva di svolgere un "giudizio" ai fini  del
riconoscimento della sentenza  di  adozione  pronunciata  all'estero,
avrebbe dovuto fare riferimento  unicamente  all'art.  41,  comma  2,
della legge n. 218 del 1995  e  alle  pertinenti  disposizioni  della
legge n. 184 del 1983. 
    3.2.- In realta', richiamando la disposizione da  ultimo  citata,
il giudice a quo ha erroneamente ritenuto applicabile al caso oggetto
del suo giudizio  la  disciplina  in  tema  di  riconoscimento  delle
sentenze  di  adozione  internazionale  di  minori,  riconducendo  la
fattispecie da cui origina il giudizio principale all'art. 36,  comma
4, della legge n. 184 del 1983, che estende il  controllo  giudiziale
del Tribunale per i minorenni ad una particolare ipotesi di  adozione
di minori stranieri in stato  di  abbandono  da  parte  di  cittadini
italiani. 
    Tale disposizione - relativa al riconoscimento  di  decisioni  di
adozione assunte in Stati che risultano parti della  Convenzione  per
la tutela dei  minori  e  la  cooperazione  in  materia  di  adozione
internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 31 dicembre 1998, n. 476, o che abbiano stipulato
specifici accordi bilaterali con lo Stato italiano -  stabilisce  che
«[l]'adozione pronunciata dalla  competente  autorita'  di  un  Paese
straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al  momento
della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso  e
di avervi avuto la residenza da almeno due anni,  viene  riconosciuta
ad ogni effetto in Italia  con  provvedimento  del  tribunale  per  i
minorenni, purche' conforme ai principi della Convenzione». 
    Il rimettente, ricordando come la Corte  di  cassazione  (sezione
prima civile, 14 febbraio 2011, n. 3572) abbia ritenuto che, anche in
tale ipotesi, il giudice debba verificare se la sentenza  pronunciata
all'estero contrasti con i «principi fondamentali che regolano  nello
Stato il diritto di famiglia e dei minori»  -  limite  contenuto  nel
comma  3  dell'art.  35  -  solleva  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale  in  esame,  assumendo   che   proprio   quel   limite
impedirebbe il riconoscimento della sentenza pronunciata negli  Stati
Uniti d'America come un'adozione in casi particolari del  figlio  del
coniuge (ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera b,  della  legge  n.
184 del 1983) nell'ambito di una coppia dello stesso sesso. 
    Queste, dunque, le ragioni del sollevato dubbio  di  legittimita'
costituzionale, che,  peraltro,  nel  dispositivo  dell'ordinanza  di
rimessione coinvolge, nella loro interezza, gli artt. 35 e  36  della
legge n. 184 del 1983; mentre, nella motivazione, si appunta soltanto
sul comma 4 dell'art. 36 e sul comma 3 dell'art. 35. 
    La  fattispecie  da  cui  ha  avuto  origine   il   giudizio   di
costituzionalita' non e', pero', correttamente riconducibile all'art.
36, comma 4, della legge n. 184 del 1983. 
    Il Tribunale per i minorenni  di  Bologna  ritiene  evidentemente
determinante il fatto che la ricorrente sia - al momento del  ricorso
- cittadina  italiana.  Non  considera,  tuttavia,  che,  al  momento
dell'adozione, ella era solo cittadina  americana  e  che  l'adozione
pronunciata negli Stati  Uniti  d'America  nel  2004  riguardava  una
bambina di cittadinanza americana. Ha quindi erroneamente  ricondotto
la fattispecie oggetto del proprio giudizio  ad  una  disposizione  -
appunto il citato art. 36, comma 4 - volta ad impedire l'elusione, da
parte  dei  soli  cittadini  italiani,  della   rigorosa   disciplina
nazionale in materia di adozione di minori  in  stato  di  abbandono,
attraverso un fittizio trasferimento della residenza all'estero. 
    L'inadeguata individuazione, da parte del giudice rimettente, del
contesto normativo determina, dunque, un'erronea  qualificazione  dei
fatti  sottoposti  al  suo  giudizio,  tale  da  riverberarsi   sulla
rilevanza delle questioni proposte (ex plurimis, ordinanze n. 264 del
2015 e n. 116 del 2014).