ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  38,  primo
comma, delle disposizioni di attuazione del codice  civile,  promosso
dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento vertente tra A.P.
e S.S., con ordinanza del 17 giugno 2014,  iscritta  al  n.  233  del
registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 18  maggio  2016  il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata  il  17  giugno  2014  il  Tribunale
ordinario  di  Firenze  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  38,  primo  comma,  delle  disposizioni  di
attuazione del codice civile, nella parte  in  cui  attribuisce  alla
competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti  contemplati
dagli artt. 330 e 333 del codice civile. 
    La questione viene sollevata  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, poiche' la previsione della  competenza  del  Tribunale
per i minorenni, accanto a quella  del  Tribunale  ordinario,  per  i
provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilita' genitoriale
di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., determinerebbe un  trattamento
processuale    differenziato,    privo    di    alcuna    ragionevole
giustificazione,  di  situazioni  identiche  sul  piano  dei  diritti
sostanziali. 
    Viene, inoltre, denunciata la violazione degli artt. 97,  secondo
comma, e 111 Cost., poiche' la previsione della "duplice"  competenza
- del Tribunale ordinario e del Tribunale per i  minorenni  -  per  i
provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ. e la  conseguente
possibilita' di  pronunce  meramente  processuali  (di  incompetenza,
connessione,  continenza,  sospensione  dei  giudizi),   nonche'   di
conflitto di giudicati, sarebbe in contrasto con il principio di buon
andamento della pubblica  amministrazione  e  con  il  principio  del
giusto processo,  sotto  il  profilo  della  ragionevole  durata  dei
procedimenti. 
    2.- Il Tribunale rimettente riferisce di essere  investito  della
decisione in ordine al ricorso proposto, ai sensi  dell'art.  709-ter
del codice di procedura civile, dal genitore di un minore, al fine di
ottenere la modifica del decreto con cui, nel 2007, il Tribunale  per
i minorenni di Firenze - a seguito della cessazione della  convivenza
more uxorio tra i genitori  -  ha  disposto  l'affidamento  condiviso
della figlia ad entrambi i genitori. Nel costituirsi in giudizio,  la
parte resistente ha chiesto che il procedimento sia sospeso, ai sensi
dell'art. 295  cod.  civ.,  in  attesa  della  definizione  di  altro
giudizio promosso  dalla  Procura  minorile  di  Firenze  innanzi  al
Tribunale per i minorenni, avente ad oggetto i provvedimenti  di  cui
agli artt. 330, 333 e 336 cod. civ. 
    Al fine di evitare la possibilita' di provvedimenti contrastanti,
il giudice a quo riferisce  di  avere  chiesto  al  Tribunale  per  i
minorenni  la  trasmissione  degli  atti  del  procedimento  pendente
innanzi a questo giudice, ma  la  richiesta  non  ha  ricevuto  alcun
riscontro. 
    Osserva il giudice a quo che la attuale formulazione dell'art. 38
disp. att. cod. civ., introdotta dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219
(Disposizioni in materia di riconoscimento dei  figli  naturali),  ha
mantenuto una serie di competenze del Tribunale per i minorenni,  tra
le quali rilevano in  particolare  i  procedimenti  promossi  per  la
decadenza dalla responsabilita' genitoriale sui figli (art. 330  cod.
civ.)  e  quelli  per  l'accertamento  della  condotta  del  genitore
pregiudizievole ai figli (art. 333 cod. civ.). 
    Viceversa, tutti gli altri procedimenti relativi ai  diritti  dei
minori, non elencati nell'art. 38 disp.  att.  cod.  civ.,  rientrano
nella competenza del Tribunale ordinario e devono essere trattati con
il rito camerale. Tra questi, in particolare, rilevano, per quantita'
e  delicatezza  delle  decisioni   da   assumere,   quelli   relativi
all'esercizio della responsabilita' genitoriale (art. 316 cod. civ.),
al concorso nel mantenimento dei figli (art.  316-bis  cod.  civ.)  e
all'ascolto del minore (art. 336-bis cod. civ.). 
    Ad avviso del Tribunale, la  controversia  in  esame  denoterebbe
l'assoluta irrazionalita' che la novella del 2012 ha introdotto nelle
procedure che vedono come protagonisti i minori, in rapporto  con  la
responsabilita' dei loro genitori o ascendenti, cosi' da  determinare
il dubbio di costituzionalita' dell'attuale formulazione dell'art. 38
disp.  att.  cod.  civ.,  in  riferimento  all'art.  3   Cost.,   per
trattamento ingiustificatamente differenziato di situazioni omogenee. 
    Osserva il rimettente che con la legge n. 219 del 2012, e con  il
decreto  legislativo  28  dicembre  2013,  n.  154  (Revisione  delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma  dell'articolo
2 della  legge  10  dicembre  2012,  n.  219),  e'  stata  introdotta
nell'ordinamento una reale parita' di trattamento dei figli, sia nati
nel matrimonio, sia fuori  di  esso,  sia  adottati,  giungendo  alla
completa eliminazione di  ogni  distinzione  nella  disciplina  della
filiazione, relativamente allo status di figlio (art. 315 cod. civ.).
Tale equiparazione ha definitivamente rimosso il pregiudizio circa lo
status e la qualificazione giuridica dei figli per  "categorie",  ora
eliminate dall'ordinamento, con piena attuazione del principio di cui
all'art. 3 Cost., di uguaglianza dei figli e  pari  dignita'  sociale
della filiazione. 
    Di conseguenza, ad avviso del Tribunale rimettente, sarebbe stata
legittima l'unificazione  anche  del  trattamento  processuale  delle
controversie inerenti la filiazione, la  responsabilita'  genitoriale
ed i rapporti con gli ascendenti, non essendo  rimasto  alcun  motivo
per differenziare i trattamenti processuali di situazioni  del  tutto
identiche sul piano dei diritti sostanziali.  Cio'  tuttavia  non  e'
avvenuto. E' stato, infatti, modificato il riparto di competenza  tra
i due giudici storicamente  chiamati  a  decidere  sulle  materie  in
questione: il Tribunale ordinario, quale giudice della separazione  e
divorzio, ed il  Tribunale  per  i  minorenni,  quale  giudice  della
filiazione naturale, delle coppie di  fatto,  delle  adozioni,  della
patologia della responsabilita' genitoriale. Tuttavia, non  e'  stata
modificata la competenza dei Tribunali ordinari,  gia'  detentori  da
sempre del potere di decidere su separazioni e divorzi  tra  coniugi,
con ogni correlata pronunzia nell'interesse della prole. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'irrazionalita' di tale  intervento
deriverebbe  soprattutto   dal   mantenimento   di   una   competenza
differenziata di due organi  giurisdizionali,  profondamente  diversi
nella loro composizione: il Tribunale specializzato, composto da  due
giudici togati e due giudici onorari esperti delle materie  minorili,
ed il Tribunale ordinario composto, invece, da tre membri togati. 
    A parere del rimettente, tale assetto contrasta con gli artt.  3,
97 e 111 Cost. 
    Pur   riconoscendo   la   discrezionalita'   legislativa    nella
conformazione degli istituti processuali, il giudice  a  quo  ritiene
che   l'interprete    sia    altrettanto    libero    di    segnalare
l'irrazionalita', per disparita' di trattamento, di situazioni uguali
tra loro, e quindi di denunciare  una  violazione  del  principio  di
eguaglianza. 
    In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva  che,  ove
la questione fosse accolta, esso potrebbe decidere nel  merito  delle
domande proposte dalle parti, ovvero potrebbe sospendere il giudizio,
in attesa della decisione del Tribunale per i minorenni.  Ed  invero,
le domande avanzate del giudizio a quo potrebbero tutte  qualificarsi
ai sensi dell'art. 337-ter cod. civ., in quanto volte a  disciplinare
l'esercizio della responsabilita' genitoriale rispetto ai figli  nati
fuori del matrimonio. 
    Qualora il Tribunale ordinario decidesse dei diritti della  prole
di coppia non coniugata, cio' comporterebbe il  rischio  elevatissimo
di una pronunzia incompatibile con  quella  eventualmente  presa  dal
Tribunale per i minorenni. 
    Il procedimento all'esame del rimettente si presterebbe quindi  a
tre possibili esiti: potrebbe essere trasferito al  Tribunale  per  i
minorenni, in quanto promosso ai sensi dell'art. 709 cod. proc.  civ.
Potrebbe essere sospeso, in attesa delle decisioni del Tribunale  per
i minorenni  sulle  domande  gia'  avanzate  dal  pubblico  ministero
minorile. Potrebbe, infine, essere trattenuto per  la  decisione  dal
giudice ordinario, ma cio' determinerebbe il rischio di un  contrasto
con  il  provvedimento  reso  nella  procedura  pendente  dinanzi  al
Tribunale per  i  minorenni,  con  l'ulteriore  anomalia  data  dalla
carenza informativa circa  l'oggetto,  il  petitum  e  lo  stato  del
procedimento affidato all'altro giudice. 
    In punto di ammissibilita' della  questione,  il  giudice  a  quo
ritiene impossibile un'interpretazione adeguatrice. Il  tentativo  di
interpretazione conforme incontra, infatti, un  preciso  limite,  non
potendo il giudice stravolgere il dato letterale del testo normativo,
il quale, nel caso in esame, non si  presterebbe  ad  interpretazioni
diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale ritiene  che
il meccanismo volto ad evitare i  conflitti  tra  decisioni  difformi
(attraverso la temporanea competenza unica del Tribunale ordinario in
pendenza di giudizio che coinvolga  la  responsabilita'  genitoriale)
non risulti efficiente nel caso in esame e, in generale, nei casi nei
quali le parti  private  non  comunichino  ad  uno  dei  due  giudici
l'esistenza di causa connessa, pendente dinnanzi all'altro. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  l'individuazione  del  giudice
competente per i giudizi ex art. 333 cod. civ.  sarebbe  irrazionale.
Essa non avverrebbe, infatti, in base agli interessi  sostanziali  in
gioco, alla miglior composizione del giudice, alla migliore procedura
adottabile in materia, bensi'  in  base  al  soggetto  legittimato  a
proporre azione: ove esso sia il pubblico ministero minorile,  ovvero
un ascendente del minore, dovra' essere adito il Tribunale  minorile,
anche se tra i genitori  penda  giudizio  di  separazione,  divorzio,
ovvero ex art. 316 cod. civ. In particolare, in questo  ultimo  caso,
il genitore che sollevi dubbi sulla responsabilita'  dell'altro  puo'
integrare la domanda di separazione o divorzio e procedere innanzi al
Tribunale ordinario, venendosi cosi' a creare  due  distinti  giudizi
sulla stessa materia, giudizi che possono procedere parallelamente  e
concludersi con difformi statuizioni, come tali ineseguibili. 
    Andrebbe inoltre escluso, ad avviso del giudice  a  quo,  che  la
necessita' di mantenere due distinte competenze  di  diversi  giudici
discenda  dall'esistenza  di  un  apposito  ufficio  giudiziario,  la
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni,  organo
propulsivo  delle  azioni  a  tutela  dei  minori,  le  quali  -  ove
attribuite al Tribunale ordinario - perderebbero una tutela di grande
efficacia. Infatti, tali importanti funzioni  di  azione,  domanda  e
partecipazione al giudizio sarebbero esercitate dal Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale ordinario, come gia' accade per  tutti
i giudizi relativi alle crisi coniugali e alla tutela dei minori. 
    In  caso  di  accoglimento  della   questione   di   legittimita'
costituzionale, non si verificherebbe alcuna conseguenza negativa per
il fatto che il Tribunale specializzato vedrebbe quasi  annullato  il
proprio ruolo di giudice dei diritti dei minori.  Non  sussisterebbe,
infatti, «un'esigenza  contrapposta  a  quella  costituzionale  fatta
valere» dal rimettente, ed in  ogni  caso  al  giudice  specializzato
rimarrebbero ancora numerose competenze. Oltre a quelle dell'art.  38
disp. att. cod. civ. estranee alla presente questione, residuerebbero
tutte quelle relative all'adozione di  minorenni,  all'autorizzazione
alla permanenza  di  genitori  stranieri  di  minori  domiciliati  in
Italia, alle procedure amministrative  su  minorenni  dalle  condotte
irregolari. 
    Gli aspetti disfunzionali evidenziati dal rimettente  (unitamente
alle difficolta' logistiche connesse alla dimensione distrettuale del
Tribunale minorile, contrapposta a quella  del  Tribunale  ordinario,
quale giudice di  prossimita'),  sarebbero  produttivi  di  ulteriori
violazioni dei principi costituzionali, ed in particolare  di  quello
del buon andamento della pubblica amministrazione (art.  97,  secondo
comma, Cost.), e di quello del  giusto  processo  (art.  111  Cost.),
sotto il profilo della ragionevole  durata.  Essi  sarebbero  violati
dalla previsione  legislativa  della  duplice  competenza,  la  quale
comporta  il  rischio   di   pronunce   meramente   processuali   (di
incompetenza, connessione,  continenza,  o  sospensione),  sino  alla
possibilita' di conflitto tra giudicati. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile,
ovvero manifestamente infondata. 
    3.1.- Sono stati richiamati, in particolare, gli  argomenti  gia'
svolti  a  sostegno   della   legittimita'   dell'attribuzione   alla
competenza funzionale del Tribunale per i minorenni  dei  ricorsi  ex
art. 317-bis cod. civ., proposti dagli ascendenti, per far valere  il
proprio diritto al  mantenimento  di  rapporti  significativi  con  i
minori. 
    Quanto alla dedotta  violazione  del  principio  del  simultaneus
processus, l'Avvocatura generale dello Stato esclude che  esso  abbia
una valenza assorbente in questa materia, in quanto l'art.  38  disp.
att.  cod.  civ.  subordina  la  vis  attractiva  del   giudizio   di
separazione, divorzio  e  sull'esercizio  della  responsabilita'  dei
genitori (art. 316 cod. civ.) alla pendenza «tra le stesse parti»  di
un procedimento volto all'accertamento della  condotta  del  genitore
pregiudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 cod. civ. In  questa
ipotesi, infatti, e per tutta la durata del processo  la  competenza,
anche per i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90,  330,  332,
333, 334, 335 e 371, ultimo  comma,  cod.  civ.,  spetta  al  giudice
ordinario. 
    Quanto all'ipotizzato contrasto con gli  artt.  3  e  111  Cost.,
l'Avvocatura generale dello Stato rileva che la scelta legislativa di
riservare al Tribunale per i minorenni la competenza  ad  adottare  i
provvedimenti limitativi della responsabilita',  anche  nel  caso  di
contestuale pendenza tra i genitori di un giudizio di  separazione  o
divorzio, non sarebbe  irragionevole,  perche'  si  fonderebbe  sulla
mancanza di legittimazione degli ascendenti ad  intervenire  in  tali
controversie e risponderebbe all'esigenza di garantire  il  principio
costituzionale di  ragionevole  durata  di  questi  giudizi  (la  cui
definizione sarebbe ritardata, ove si  estendesse  la  legittimazione
all'intervento). 
    3.2.- Con memoria  depositata  in  prossimita'  della  camera  di
consiglio, l'Avvocatura generale dello Stato ha meglio illustrato  le
ragioni a sostegno della infondatezza della questione  sollevata  dal
Tribunale ordinario di Firenze. 
    In particolare, la difesa  statale  ha  richiamato  il  principio
affermato dalla recente sentenza n. 194 del 2015, che ha ritenuto non
fondata la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art.
38, primo comma, disp. att. cod. civ., nella parte in  cui  comprende
nella competenza del Tribunale per i minorenni le controversie di cui
all'art. 317-bis cod. civ. In questa occasione, la Corte ha  ritenuto
che «non puo' certo apparire irragionevole la scelta di attribuire  a
un giudice specializzato - e da considerarsi "naturale" per la tutela
degli interessi dei minori - anche la competenza in  discorso,  fermo
restando che qualsiasi altro e diverso livello  di  criticita'  delle
soluzioni  adottate  dal  legislatore  non  puo'  che  legittimamente
rientrare - specie, come si e' ricordato, nella materia processuale -
nell'ambito della discrezionalita' di cui esso gode». 
    Analoghe considerazioni porterebbero a ritenere  infondata  anche
la presente questione. Infatti, ad  avviso  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, la ratio del cumulo delle competenze andrebbe  ravvisata
non tanto in esigenze  di  celerita'  processuale,  quanto  piuttosto
nella preoccupazione del legislatore  di  non  infliggere  al  minore
ulteriori verifiche giudiziali, nel contesto  gia'  traumatico  della
separazione dei genitori. 
    Osserva, quindi, la difesa statale che laddove tale contesto  non
ricorra - in quanto il ricorso sia stato proposto  da  genitori  gia'
separati, ovvero non ancora tali - il giudice naturale  debba  essere
individuato in quello specializzato per la comprensione del minore  e
dei suoi diritti, grazie anche alla particolare configurazione  dello
stesso ufficio giudiziario, composto da  due  giudici  togati  e  due
giudici onorari, esperti nelle materie minorili. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il  17  giugno  2014,  il  Tribunale
ordinario  di  Firenze  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  38,  primo  comma,  delle  disposizioni  di
attuazione del codice civile, nella parte  in  cui  attribuisce  alla
competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti  contemplati
dagli artt. 330 e 333 del codice civile. 
    La questione viene sollevata in  riferimento  all'art.  3  Cost.,
poiche' la previsione della competenza del Tribunale per i minorenni,
accanto  a  quella  del  Tribunale  ordinario,  per  i  provvedimenti
ablativi o limitativi della responsabilita' genitoriale di  cui  agli
artt. 330 e 333 cod. civ., determinerebbe un trattamento  processuale
differenziato,  privo  di  alcuna  ragionevole  giustificazione,   di
situazioni identiche sul piano dei diritti sostanziali. 
    Viene, inoltre, denunciata la violazione degli artt. 97,  secondo
comma, e 111 Cost., poiche' la previsione della "duplice"  competenza
- del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni - in ordine
ai provvedimenti di cui  agli  artt.  330  e  333  cod.  civ.,  e  la
conseguente  possibilita'  di  pronunce  meramente  processuali   (di
incompetenza,  connessione,  continenza,  sospensione  dei  giudizi),
nonche' di conflitto  di  giudicati,  sarebbe  in  contrasto  con  il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione e  con  il
principio del giusto processo, sotto  il  profilo  della  ragionevole
durata dei procedimenti. 
    2.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,
primo comma, disp. att. cod. civ. e' inammissibile. 
    2.1.- Il petitum del giudice a quo e' volto alla declaratoria  di
illegittimita' dell'art. 38 disp. att. cod. civ., nella parte in  cui
attribuisce al Tribunale per i minorenni la competenza in  ordine  ai
procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ. 
    Dalla  sintetica  descrizione  della  fattispecie  concreta   non
emergono, tuttavia, elementi che consentano di ritenere che il  thema
decidendum sottoposto al giudice  a  quo  comporti  la  soluzione  di
questioni   attinenti   alla   titolarita'    della    responsabilta'
genitoriale, ne'  che  sia  richiesto,  neppure  incidentalmente,  un
accertamento sul contegno pregiudizievole (o radicalmente abusivo) di
uno dei genitori. Infatti, l'intervento giudiziale richiesto  attiene
soltanto alla disciplina dell'esercizio  del  diritto  di  visita  da
parte del  genitore  non  convivente,  senza  che  cio'  comporti  la
modifica della natura condivisa dell'affidamento, ne' - a fortiori  -
della titolarita' della potesta' genitoriale. 
    Ne discende l'impossibilita' di valutare se nel  giudizio  a  quo
sussista la denunciata sovrapposizione di  competenze  del  Tribunale
ordinario e del Tribunale minorile. 
    2.2.- Va inoltre rilevato che il giudice a quo omette di indicare
quale sia lo scenario processuale nell'ambito del quale egli  ritiene
di dover fare applicazione del censurato criterio  di  riparto  della
competenza.  Vengono  infatti   elencati   tre   possibili   sviluppi
processuali alternativi (declaratoria  di  incompetenza,  sospensione
per pregiudizialita', o decisione della controversia), senza tuttavia
prendere posizione in ordine ad alcuno di  essi.  Siffatta  modalita'
argomentativa non e' idonea a sostenere le ragioni  della  rilevanza,
la quale appare meramente ipotetica e, comunque, indimostrata. 
    2.3.- Va detto che nella prospettazione del giudice a quo non  e'
in discussione la competenza del Tribunale  ordinario  in  ordine  ai
provvedimenti   ablativi   o   limitativi    della    responsabilita'
genitoriale, nei casi individuati dall'art. 38 disp. att.  cod.  civ.
Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  attiene,  invece,  alle
possibili  interferenze  tra  l'esercizio  di  tale  competenza   del
Tribunale ordinario e quella attribuita (recte: mantenuta) in capo al
Tribunale per i minorenni in ordine ai medesimi provvedimenti, ovvero
a provvedimenti diversi che possano tuttavia confliggere fra loro. 
    Certo  si  e'  che,   nel   denunciare   l'irragionevolezza   del
complessivo sistema di riparto stabilito dall'art. 38 disp. att. cod.
civ., il giudice rimettente formula un petitum volto a realizzare  la
concentrazione in capo al Tribunale ordinario delle  tutele  relative
ai provvedimenti de potestate, da chiunque (dei soggetti legittimati)
richieste e quale che sia il momento processuale in cui cio' avvenga. 
    Al riguardo, va riconosciuto che la separazione degli  ambiti  di
intervento del giudice ordinario e di quello specializzato, delineata
dalla disposizione censurata, puo' evidenziare aspetti  disfunzionali
in tutti quei casi nei  quali  il  conflitto  tra  i  genitori  sulle
modalita' di affidamento sia destinato a  sfociare  in  provvedimenti
restrittivi della responsabilita' genitoriale. 
    Ed effettivamente, ancorche' il caso in  concreto  sottoposto  al
giudice a quo non rientri in tale ultima ipotesi, e' nella denunciata
frammentazione delle tutele attinenti agli interessi del minore e nel
pregiudizio  dell'effettivita'   dell'intervento   giudiziale   sulla
responsabilita' genitoriale che potrebbe essere ravvisata la  lesione
dei principi costituzionali. 
    2.3.1.- La motivazione dell'ordinanza  di  rimessione,  tuttavia,
non spiega le ragioni per le quali  il  denunciato  vulnus  possa,  e
debba,  essere  eliminato  mediante   l'attribuzione   al   Tribunale
ordinario  delle  controversie  relative  alla  responsabilita'   dei
genitori, anziche' mediante  l'attrazione  al  Tribunale  minorile  -
quale   giudice   specializzato   -   delle    competenze    relative
all'affidamento  dei  minori.  Il  petitum  del  rimettente  non   e'
supportato da elementi che consentano di ritenere che quella invocata
sia l'unica scelta costituzionalmente compatibile. 
    In  considerazione  della  pluralita'  di  soluzioni   possibili,
nessuna  delle  quali  costituzionalmente   obbligata,   l'intervento
richiesto si caratterizza  per  un  alto  tasso  di  manipolativita'.
Ciascuna  di  tali  soluzioni  comporta,   infatti,   scelte   (anche
organizzative) discrezionali, come tali riservate al legislatore  (ex
plurimis, sentenze n. 223 e n. 23 del 2015;  n.  243  del  2014).  Ed
infatti  in  sede  parlamentare  pendono  piu'   disegni   di   legge
sull'argomento, che  forniscono  al  riguardo  soluzioni  diverse  da
quella prospettata dal rimettente. 
    Proprio in riferimento  all'attuale  disciplina  del  riparto  di
competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni questa
Corte ha recentemente riconosciuto la ragionevolezza della scelta  di
attribuire al Tribunale specializzato, da considerarsi "naturale" per
la tutela degli interessi dei minori,  la  competenza  in  ordine  ai
provvedimenti relativi  al  diritto  degli  ascendenti  di  mantenere
«rapporti  significativi»  con  i  nipoti  minorenni,  «[...]   fermo
restando che qualsiasi altro e diverso livello  di  criticita'  delle
soluzioni  adottate  dal  legislatore  non  puo'  che  legittimamente
rientrare - specie [...]  nella  materia  processuale  -  nell'ambito
della discrezionalita' di cui esso gode» (sentenza n. 194 del 2015). 
    Dalla considerazione di  tali  argomenti  discende  un  ulteriore
motivo di inammissibilita' della questione in esame.