ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  72,  comma
2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)», e dell'art. 19 del decreto-legge 25 giugno  2008,
n. 112 convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,  della
legge 6 agosto 2008, n. 133 (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita', la  stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), promosso  dalla
Corte dei conti - sez. giurisdizionale per  la  Regione  Marche,  nel
procedimento  vertente  tra  P.R.  e  l'Istituto  nazionale  per   la
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 17 marzo 2015,  iscritta
al n. 147 del registro ordinanze 2015  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 33,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2015. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  dell'Inps  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  4  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    udito l'avvocato Filippo Mangiapane per l'Inps e l'avvocato dello
Stato  Giammario  Rocchitta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 marzo  2015,  iscritta  al  n.  147  del
registro ordinanze 2015, la Corte dei conti, sezione  giurisdizionale
per la Regione Marche, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 72, comma 2, della legge 23  dicembre  2000,
n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)»  e  dell'art.  19
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2008, n. 133. 
    1.1.- Il giudice rimettente espone di dover decidere  il  ricorso
presentato il 30 settembre  2014  da  R.P.,  generale  dell'arma  dei
carabinieri, cessato dal servizio il 9 agosto 2000,  con  trentasette
anni  di  anzianita'  contributiva,  beneficiario  di  una   pensione
privilegiata ordinaria, in ragione di un'infermita' dovuta a causa di
servizio. 
    Il ricorrente  nel  giudizio  principale  ha  impugnato  la  nota
provvedimento n. 121294/FF del 26 maggio  2014,  con  cui  l'Istituto
nazionale per la previdenza sociale (INPS), direzione provinciale  di
Ancona Pensioni dipendenti PP.AA., ha accertato un indebito  di  Euro
199.000,76, in relazione al periodo dal 1° gennaio 2001 al 30  giugno
2014, e ha disposto la restituzione di  tale  somma  nel  termine  di
trenta giorni dal ricevimento  della  nota,  applicando,  dal  luglio
2014, la ritenuta cautelativa di Euro 375,26 (pari a un quinto  della
pensione) e  provvedendo  a  una  riduzione  della  pensione  erogata
mediante una ritenuta continuativa mensile  di  Euro  1.315,48,  «per
prestazione opera retribuita». 
    L'accertamento dell'indebito trae origine dalla sentenza  n.  700
del 24 ottobre 2013, pronunciata dalla terza sezione d'appello  della
Corte dei conti e oramai definitiva, che ha ritenuto  applicabile  la
disciplina di cumulabilita' parziale  tra  la  pensione  privilegiata
ordinaria e i redditi da lavoro autonomo,  percepiti  dal  ricorrente
nell'esercizio della professione forense, a partire dal  27  novembre
2000. 
    Il ricorrente sostiene che il giudicato riguardi l'arco temporale
dal 1° luglio 2004 al 30 novembre 2004, piu' circoscritto rispetto al
periodo  considerato  dall'ente  previdenziale  nella  richiesta   di
restituzione, estesa a tutti gli importi  percepiti  dal  1°  gennaio
2001 al 30 giugno 2014. 
    In  caso  di  quiescenza  volontaria  dopo  trentasette  anni  di
servizio,  il  ricorrente  avrebbe  comunque  potuto  conseguire   la
pensione  di  anzianita',  con  il  connesso  beneficio  del   cumulo
integrale tra pensione e redditi professionali. 
    A  dire  del  ricorrente,  a  favore  di  tale  cumulo  integrale
deporrebbe anche la previsione dell'art. 19 del d.l. n. 112 del 2008,
che, per le pensioni di anzianita' liquidate con sistema  di  calcolo
retributivo, ha abrogato il  divieto  di  cumulo  con  i  redditi  da
lavoro. 
    Tale  disposizione   si   applicherebbe   anche   alla   pensione
privilegiata,  in  quanto  commisurata   al   trattamento   ordinario
aumentato  di  un   decimo   e   provvista,   pertanto,   di   natura
"retributiva". 
    Il ricorrente rileva che l'ente previdenziale  non  ha  formulato
alcuna richiesta di restituzione per il periodo dal 9 agosto 2000  al
1° luglio 2004 e dal 30 novembre 2004 all'11 settembre 2014. Per tali
periodi  sarebbe  gia'  decorsa  la  prescrizione   quinquennale   e,
pertanto,  non  potrebbe  essere   avanzata   alcuna   richiesta   di
restituzione. 
    L'INPS ha contestato le argomentazioni del ricorrente, chiedendo,
in primo luogo, di dichiarare l'incompetenza del giudice adito. 
    Trattandosi  di  giudizio  di  ottemperanza,  con  richiesta   di
chiarimenti su alcuni punti della  decisione,  la  questione  sarebbe
devoluta alla cognizione della Corte dei  conti  centrale,  in  forza
dell'art. 10, commi 2 e  3,  della  legge  21  luglio  2000,  n.  205
(Disposizioni in materia di giustizia amministrativa). 
    Nel merito,  le  doglianze  del  ricorrente  sarebbero  prive  di
pregio. 
    L'abolizione dei limiti al cumulo tra pensioni e redditi  non  si
applicherebbe, difatti, alla  pensione  privilegiata  corrisposta  al
ricorrente, regolata dall'art. 59, comma 14, della legge 27  dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza  pubblica),
cosi' come modificato dall'art. 72 della legge n. 388 del 2000. 
    1.2.- In punto di fatto, il giudice rimettente evidenzia  che  il
ricorrente gode di un trattamento ordinario  privilegiato  di  quinta
categoria di tabella A, sino al 9 agosto  2004,  e,  per  il  periodo
successivo, di un trattamento privilegiato di quarta categoria. 
    Tale trattamento risulta liquidato  con  il  sistema  retributivo
misto sulla base di trentasette anni di servizio,  in  ossequio  alle
prescrizioni dell'art. 67, comma 4, del d.P.R. n. 1092 del 1973. 
    Tale  disposizione  prevede  la   liquidazione   della   pensione
privilegiata nella misura della pensione normale,  «aumentata  di  un
decimo»,  quando  sia  raggiunta  l'anzianita'  di   quindici   anni,
associata a dodici anni di servizio effettivo. 
    Il ricorrente, al  momento  della  cessazione  dal  servizio  per
infermita', aveva peraltro gia' maturato i requisiti per accedere  al
trattamento di anzianita'. 
    Il giudice rimettente, con sentenza non definitiva n. 38  del  19
febbraio 2015, ha  disatteso  le  eccezioni  pregiudiziali  formulate
dall'INPS e  ha  riconosciuto  la  legittimita'  della  richiesta  di
restituzione  proposta  dall'istituto,  con  riguardo   ai   seguenti
periodi: dal 9  agosto  2000  al  30  giugno  2004,  in  applicazione
dell'art. 59, comma 14, della legge n. 449 del 1997 e  dell'art.  72,
comma 2, della legge n. 388 del  2000;  dal  1°  luglio  2004  al  30
novembre 2004, in applicazione dei principi enunciati dalla  sentenza
del giudice contabile d'appello, recante il n. 700 per  l'anno  2013;
con riguardo al periodo dal 1° dicembre 2004 al 31 dicembre 2008,  in
base all'art. 72, comma 2, della legge n. 388 del 2000. 
    Per il periodo successivo, dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2014,
il giudice rimettente reputa rilevante la questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 72, comma 2, della legge n.  388  del  2000,
che stabilisce la cumulabilita' della  pensione  privilegiata  con  i
redditi di lavoro autonomo nella misura del 70 per cento, e dell'art.
19 del d.l. n. 112 del 2008, che, a decorrere dal  1°  gennaio  2009,
soltanto  per  le   pensioni   dirette   di   anzianita'   a   carico
dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed
esclusive della stessa ha sancito  l'integrale  cumulabilita'  con  i
redditi da lavoro autonomo e dipendente. 
    Di tale regime piu' liberale  non  potrebbe  dunque  giovarsi  la
pensione privilegiata ordinaria, corrisposta al ricorrente. 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
muove dal presupposto che la pensione privilegiata sia riconducibile,
in virtu' di una consolidata giurisprudenza contabile, ai trattamenti
di invalidita' di cui all'art. 77, comma 2, della legge  n.  388  del
2000, sottratti alla soppressione dei limiti di cumulo, disposta  per
le pensioni di anzianita' dall'art. 19, comma 1, del d.l. n. 112  del
2008. 
    Il giudice rimettente censura, in riferimento all'art.  3  Cost.,
il trattamento deteriore riservato al  pensionato,  che  fruisca  del
trattamento privilegiato ordinario e sia assoggettato a un regime  di
cumulo piu' restrittivo, rispetto al pensionato che, con  i  medesimi
requisiti di anzianita', goda di una pensione di anzianita'  e  possa
cumulare integralmente pensione e redditi da lavoro autonomo. 
    La disparita' di trattamento  sarebbe  lesiva  del  principio  di
eguaglianza, in quanto non terrebbe  conto  della  comune  natura  di
retribuzione differita, che  caratterizza  la  pensione  privilegiata
ordinaria e la pensione di anzianita'. 
    La   disparita'   di   trattamento,   inoltre,   si   paleserebbe
irragionevole, in  quanto  l'esclusione,  a  danno  dei  titolari  di
pensione privilegiata ordinaria, del beneficio del  cumulo  integrale
con i redditi di lavoro autonomo  pregiudicherebbe  i  cittadini  che
hanno adempiuto al dovere  prescritto  dall'art.  4,  secondo  comma,
Cost.  e  che,  a  causa  del  servizio  svolto,  hanno  subito   una
menomazione dell'integrita' personale. 
    2.- Nel giudizio si e'  costituito  l'INPS,  con  memoria  dell'8
settembre 2015, e  ha  chiesto  di  dichiarare  l'inammissibilita'  o
l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. 
    Nel ricostruire il  complesso  contenzioso  l'INPS  specifica  di
avere impugnato in via incidentale la sentenza  parziale  pronunciata
dal giudice rimettente e pone l'accento sugli effetti preclusivi  che
il giudicato della sentenza n. 700 del 2013 produrrebbe anche per  il
periodo successivo al 2004, ben oltre la data del 31  dicembre  2008,
individuata come discrimine temporale dal  giudice  contabile,  sulla
scorta dell'entrata in vigore di una nuova disciplina del cumulo  tra
pensioni e redditi da lavoro. 
    In particolare, il regime di cumulo, applicabile  al  ricorrente,
sarebbe stato accertato  in  forza  di  una  sentenza  definitiva  e,
dinanzi al giudice rimettente, si discuterebbe soltanto dell'indebito
che scaturisce dall'applicazione di tale regime. 
    Tali rilievi determinerebbero l'inammissibilita' della  questione
di costituzionalita' per difetto di rilevanza. 
    Il difetto di rilevanza della questione si apprezzerebbe anche da
un diverso punto di vista. 
    Sarebbero  ancora  controverse  tra  le  parti  alcune  questioni
preliminari, riguardanti  la  sopravvenuta  carenza  d'interesse  del
ricorrente, alla luce della revoca della trattenuta  cautelativa  sul
quinto della pensione, e l'incompetenza del giudice  rimettente,  che
dovrebbe declinare la propria competenza a  favore  della  Corte  dei
conti centrale, competente in tema  di  esecuzione  di  una  sentenza
passata in giudicato. 
    Il giudice rimettente sarebbe, peraltro, privo di  giurisdizione,
in quanto, della questione  dell'indebito,  gia'  si  occuperebbe  il
giudice  ordinario,  in  sede  di  opposizione  contro   il   decreto
ingiuntivo richiesto e ottenuto dall'istituto previdenziale. 
    L'accoglimento del gravame, proposto dall'INPS contro la sentenza
non definitiva che ha  deciso  tali  questioni,  priverebbe  di  ogni
effetto un'eventuale dichiarazione di incostituzionalita'. 
    La   questione,   inoltre,    si    presenterebbe    «priva    di
incidentalita'»,  in  quanto  perseguirebbe  l'unico   obiettivo   di
estendere il regime piu' favorevole di  cumulo  anche  alle  pensioni
privilegiate ordinarie, senza produrre alcuna incidenza concreta  sul
provvedimento di recupero dell'indebito previdenziale, sottoposto  al
vaglio del giudice rimettente. 
    La  questione  sarebbe  inammissibile,  anche  per  l'incerta   o
inesatta individuazione delle norme impugnate. 
    A tale riguardo, l'INPS puntualizza che,  nella  prospettiva  del
giudice rimettente, il contrasto con i  precetti  costituzionali  non
risiede nelle norme  singolarmente  considerate,  che  provvedono  ad
ampliare i  diritti  soggettivi  degli  interessati,  ma  nella  loro
vicendevole connessione e nel rapporto con  le  previsioni  dell'art.
67, comma 4, del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'art.  59,  comma  14,
della legge n. 449 del 1997. 
    Il  pregiudizio  arrecato  al   ricorrente   non   discenderebbe,
pertanto, dalle norme  impugnate,  che  non  menzionano  la  pensione
privilegiata. 
    La questione  sarebbe  inammissibile  anche  sotto  un  ulteriore
profilo. 
    Il   giudice   rimettente   avrebbe   omesso   di    sperimentare
un'interpretazione conforme al dettato costituzionale  e,  pur  dando
atto di  un  orientamento  che  nega  la  natura  risarcitoria  della
pensione  privilegiata,  non  avrebbe  approfondito  le  ragioni  che
precludono un'interpretazione rispettosa dei principi di  eguaglianza
e ragionevolezza. 
    Quanto  all'equiparazione  della   pensione   privilegiata   alla
pensione d'invalidita', non trarrebbe origine dal censurato art.  72,
comma 2, della legge n. 388 del 2000, ma  dalla  complessa  normativa
succedutasi nel tempo. 
    La questione sarebbe comunque infondata. 
    Il  divieto  del  cumulo  integrale  tra  pensione   privilegiata
ordinaria e redditi da lavoro  autonomo  sarebbe  il  frutto  di  una
scelta  discrezionale  del  legislatore,  conforme   al   canone   di
ragionevolezza   e   memore   della   specificita'   della   pensione
privilegiata, beneficio che, dal 1° dicembre 2012, e' stato riservato
ai soli militari e al solo personale operante nel comparto  sicurezza
(art.  6  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.   201,   recante
«Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici»,  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214). 
    Tale  specificita'  varrebbe  a  dar   conto   della   disciplina
differenziata, che il legislatore ha  scelto  di  apprestare  per  il
cumulo con i redditi da lavoro. 
    Il riconoscimento della pensione privilegiata,  difatti,  non  si
presenterebbe come «un beneficio connesso esclusivamente allo  status
del dipendente militare del tutto svincolato  dal  presupposto  della
capacita' di servizio», ma si prefiggerebbe di  integrare  i  redditi
dell'interessato, «compromessi in ragione della cessata  o  diminuita
capacita' lavorativa conseguente alla malattia o all'infortunio». 
    La  ratio  del  trattamento  di  favore  attribuito  dalla  legge
spiegherebbe anche il peculiare regime di cumulabilita' solo parziale
tra pensioni privilegiate e redditi da lavoro. 
    Pertanto, la rimozione del  divieto  di  cumulo  tra  redditi  da
lavoro e pensioni di  anzianita'  non  renderebbe  costituzionalmente
doverosa la rimozione del divieto di cumulo  anche  per  le  pensioni
privilegiate. 
    3.-  Nel  giudizio,  con  memoria  dell'8  settembre   2015,   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e  ha  chiesto   di
rigettare,  in  quanto  infondata,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata del giudice contabile. 
    Dopo avere ripercorso il contenzioso  insorto  tra  l'INPS  e  il
ricorrente nel giudizio principale e  l'evoluzione  della  disciplina
del cumulo tra pensione privilegiata e reddito da lavoro autonomo, la
difesa dello Stato ha evidenziato che  il  tratto  distintivo  comune
alle pensioni privilegiate e alle pensioni d'invalidita' e' la natura
previdenziale, che  vale  a  collocarle,  insieme  alle  pensioni  di
vecchiaia, sotto l'egida dell'art. 38, secondo comma, Cost. 
    La pensione di anzianita', evocata dal  giudice  rimettente  come
termine di paragone, esulerebbe dall'ambito di applicazione  di  tale
precetto costituzionale. 
    La pensione di anzianita', invero, prescinderebbe dal  compimento
dell'eta', avrebbe come esclusivo presupposto lo svolgimento  per  un
tempo predeterminato di un'attivita'  che  costituisce  l'adempimento
del dovere di concorrere al progresso materiale  o  spirituale  della
societa' (art. 4 Cost.). 
    Non sarebbe irragionevole, pertanto, la scelta  di  escludere  la
trasformazione della pensione privilegiata in pensione  d'anzianita':
l'ordinamento,  in  virtu'   della   comune   natura   previdenziale,
consentirebbe soltanto la  trasformazione  d'ufficio  della  pensione
privilegiata in  pensione  di  vecchiaia,  quando  siano  soddisfatti
determinati requisiti di assicurazione e contribuzione. 
    Sarebbe irragionevole consentire all'interessato  di  godere  sia
dei benefici della pensione privilegiata, consistenti  negli  aumenti
economici, sia dei benefici connessi alla pensione di anzianita', con
particolare riguardo alla facolta' di  cumulare  la  pensione  con  i
redditi da lavoro. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
Marche, giudice unico per  le  pensioni,  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 72, comma 2, della legge 23  dicembre  2000,
n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)»  e  dell'art.  19
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2008, n. 133. 
    1.1.- Il giudice rimettente censura, per violazione  dell'art.  3
Cost., il regime delineato dalle disposizioni citate,  che  accordano
il beneficio del cumulo integrale della pensione con  il  reddito  da
lavoro autonomo soltanto a chi percepisca  una  pensione  diretta  di
anzianita' (art. 19 del d.l. n.  112  del  2008)  e  assoggettano  il
titolare di una  pensione  privilegiata  ordinaria  diretta  al  meno
favorevole regime di cumulo, limitato dall'art. 72,  comma  2,  della
legge n. 388 del 2000 alla misura del 70 per cento. 
    Il giudice rimettente assume  che  tale  regime  sia  foriero  di
un'arbitraria disparita' di trattamento e sia pregiudizievole per  il
titolare di una pensione privilegiata ordinaria, che vanti i medesimi
requisiti di anzianita' di un pensionato che percepisca  la  pensione
di anzianita'. 
    Se il titolare di una pensione privilegiata ordinaria soggiace  a
una piu' restrittiva disciplina di  cumulo  tra  pensione  e  reddito
derivante  da  lavoro  autonomo,  il  titolare  di  una  pensione  di
anzianita', pur vantando  i  medesimi  requisiti  di  anzianita'  del
titolare  della  pensione  privilegiata,  puo'  giovarsi   del   piu'
favorevole regime del cumulo integrale. 
    Tale disparita' di trattamento sarebbe lesiva dell'art. 3  Cost.,
anche sotto il profilo del contrasto con il canone di ragionevolezza,
poiche' pregiudicherebbe proprio «i  cittadini  che  non  solo  hanno
adempiuto al dovere ex articolo 4, comma 2, Cost. - identicamente  ai
titolari di pensione d'anzianita' [...] - ma che proprio a causa  del
servizio svolto, in favore dello Stato, hanno subito una  menomazione
dell'integrita' personale». 
    1.2.- La difesa dell'Istituto nazionale della previdenza  sociale
(INPS) ha eccepito l'inammissibilita' della questione per difetto  di
rilevanza.  Molteplici  eccezioni   preliminari   (il   vincolo   del
giudicato, la carenza di interesse, l'incompetenza e  la  carenza  di
giurisdizione  del  giudice  adito)  si  rivelerebbero  dirimenti   e
impedirebbero di applicare la disciplina censurata. 
    La questione sarebbe inammissibile anche in  virtu'  dell'erronea
identificazione   della   normativa   applicabile    e    dell'omessa
esplorazione di un'interpretazione adeguatrice. 
    Nel merito, la questione sarebbe infondata,  per  l'eterogeneita'
dei termini posti a raffronto. 
    La pensione  privilegiata,  anche  per  le  peculiarita'  che  la
contraddistinguono, non potrebbe essere comparata  alla  pensione  di
anzianita', con riguardo  alla  regolamentazione  del  cumulo  con  i
redditi derivanti da lavoro. 
    1.3- La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri  enuncia
analoghi  rilievi  nel  senso   dell'infondatezza   della   questione
proposta. 
    2.- Alla  soluzione  del  dubbio  di  costituzionalita'  conviene
premettere la ricognizione dei tratti salienti della  disciplina  del
cumulo tra pensione e redditi da lavoro. 
    Con l'art. 19 del d.l. n.  112  del  2008,  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2009, il legislatore ha rimosso ogni limite al cumulo tra  le
pensioni dirette di anzianita' a carico  dell'assicurazione  generale
obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima  e
i redditi da lavoro autonomo e dipendente. 
    Le innovazioni apportate nel 2008  lasciano  inalterato,  per  le
pensioni privilegiate ordinarie, il regime  delineato  dall'art.  72,
comma 2, della legge n. 388 del 2000. Per le pensioni  d'invalidita',
eccedenti l'ammontare  del  trattamento  minimo  del  Fondo  pensioni
lavoratori dipendenti, e' consentito  il  cumulo  con  i  redditi  da
lavoro autonomo soltanto nella misura del 70 per cento. 
    Tale limitazione e' destinata ad operare anche  per  le  pensioni
privilegiate ordinarie, assimilate ai  trattamenti  d'invalidita'  in
ragione del  comune  presupposto  della  menomazione  dell'integrita'
fisica (Corte dei  Conti,  sezione  giurisdizionale  per  il  Veneto,
sentenza  10  giugno  2013,  n.  184,  Corte   dei   conti,   sezione
giurisdizionale per l'Emilia Romagna, sentenza  15  giugno  2012,  n.
143, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, sentenza
15 giugno 2010, n. 424, con  orientamento  condiviso  anche  in  sede
amministrativa, come emerge dalla nota operativa dell'INPDAP  del  28
novembre 2008, n. 45). 
    L'assimilazione traspare anche dall'art. 6 della legge 12  giugno
1984,  n.  222  (Revisione   della   disciplina   della   invalidita'
pensionabile), che  racchiude  i  principi  per  la  revisione  della
disciplina delle invalidita' pensionabili e  regola  in  un  medesimo
contesto «assegno privilegiato di invalidita', pensione  privilegiata
di inabilita' od ai superstiti, per cause di servizio». 
    3.- Inquadrata in tali coordinate, la questione  di  legittimita'
costituzionale si sottrae alle eccezioni di inammissibilita',  svolte
dalla difesa dell'INPS. 
    3.1.-  L'eccezione  di   erronea   individuazione   della   norma
applicabile, da esaminare in via prioritaria, deve essere disattesa. 
    La fattispecie controversa  riguarda  un'ipotesi  di  cumulo  tra
pensione privilegiata ordinaria  e  reddito  da  lavoro  autonomo  e,
pertanto, le censure si indirizzano correttamente contro  l'art.  72,
comma 2, della legge n. 388 del  2000,  che  assoggetta  le  pensioni
privilegiate  ordinarie,  in   quanto   equiparate   ai   trattamenti
d'invalidita', a un regime piu' rigoroso di cumulo con i  redditi  da
lavoro autonomo. 
    L'art. 19 del d.l. n. 118 del 2008, che tratteggia una disciplina
del cumulo integrale tra pensioni di anzianita' e redditi da  lavoro,
viene in rilievo come tertium comparationis. 
    3.2.-   Le   considerazioni   svolte   implicano   l'infondatezza
dell'ulteriore eccezione di inammissibilita', che fa leva sull'omessa
sperimentazione di una interpretazione adeguatrice. 
    L'inequivocabile  tenore  letterale  della  norma,   chiamata   a
disciplinare il cumulo della pensione privilegiata con i  redditi  da
lavoro  autonomo,  preclude  una  diversa  interpretazione,  atta   a
salvaguardare  la  compatibilita'  con  i   precetti   costituzionali
richiamati dal giudice rimettente. 
    Sulla praticabilita' di tale diversa interpretazione,  la  stessa
difesa dell'INPS non offre ragguagli di sorta. 
    3.3.-.  La  questione  non  puo'  dirsi  irrilevante,  sul   mero
presupposto che siano ancora sub iudice alcuni profili  pregiudiziali
(carenza d'interesse del ricorrente, difetto di  giurisdizione  e  di
competenza del giudice adito, vincolo del giudicato),  potenzialmente
preclusivi dell'esame del merito e decisi dal giudice rimettente  con
sentenza non definitiva, impugnata da entrambe le parti del  giudizio
principale. 
    Il giudice a quo, con motivazione non implausibile,  ha  ritenuto
di avere  cognizione  sulla  domanda  di  annullamento  proposta  dal
ricorrente,  riconoscendone  la  legittimazione   e   l'interesse   a
impugnare, dinanzi al giudice contabile, un atto lesivo  dei  diritti
previdenziali. 
    Il  giudice  contabile,  difatti,  e'  deputato  a  decidere  sui
«ricorsi pensionistici civili,  militari  e  di  guerra»,  come  oggi
conferma anche il nuovo assetto della  giustizia  contabile  definito
dall'art. 151 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174  (Codice
di giustizia contabile, adottato  ai  sensi  dell'articolo  20  della
legge 7 agosto 2015, n. 124). 
    Non sussiste, dunque,  alcun  palese  difetto  di  giurisdizione,
idoneo a riverberarsi, in radice, sulla rilevanza della questione  di
costituzionalita'. 
    Non e' decisivo in senso contrario il fatto  che,  delle  pretese
restitutorie dell'INPS, si discuta anche nel giudizio di opposizione,
promosso dal ricorrente contro il decreto ingiuntivo emesso a  favore
dell'istituto. 
    Tale contemporanea pendenza  di  giudizi  non  priva  il  giudice
contabile della cognizione, che gli e'  istituzionalmente  riservata,
sul rapporto previdenziale che intercorre tra le parti. 
    Quanto alla competenza della Corte dei conti marchigiana,  negata
dalla  difesa  dell'INPS,  non   puo'   ritenersi   implausibile   la
valutazione  del  giudice  rimettente,  che  ha  escluso   di   poter
configurare  il  giudizio  principale  come  un  giudizio   di   mera
esecuzione di una  decisione  gia'  passata  in  giudicato,  giudizio
demandato alla Corte dei conti  centrale  (art.  10  della  legge  21
luglio 2000, n. 205, recante «Disposizioni in  materia  di  giustizia
amministrativa»). 
    Si tratta di un profilo  indissolubilmente  connesso  con  quello
dell'efficacia preclusiva del giudicato, che la difesa  dell'INPS  ha
posto  in  risalto,  rilevando  che  la  fondatezza   della   pretesa
restitutoria e' consacrata da una statuizione oramai intangibile. 
    Tale  definitivita'  renderebbe  irrilevante  la   questione   di
costituzionalita' delle norme censurate, che il  giudice  rimettente,
vincolato dal giudicato, non sarebbe piu' chiamato ad applicare. 
    L'eccezione non coglie nel segno. 
    Il giudice a quo, nel passare in rassegna gli  antecedenti  della
vertenza, afferma  che  il  ricorrente  nel  giudizio  principale  ha
impugnato la nota dell'INPDAP del 17 ottobre 2004, che  ha  accertato
un indebito, per il periodo dal 1° luglio 2004 al 30  novembre  2004,
ritenendo applicabili i limiti di cumulabilita' parziale tra pensione
e reddito da lavoro autonomo, allora fissati nella misura del 50  per
cento nella vigenza dell'art. 59, comma 14, della legge  27  dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica). 
    La Corte dei conti, con sentenza n.  700  del  24  ottobre  2013,
assistita dell'autorita' del giudicato, ha accertato  la  correttezza
dell'operato dell'ente previdenziale e ha disatteso gli argomenti del
ricorrente, che propugnava l'applicazione  di  un  regime  di  cumulo
integrale. 
    L'INPS, succeduto nel frattempo all'INPDAP,  dopo  aver  ottenuto
tale accertamento favorevole, ha emesso una nuova nota, il 26  maggio
2014, richiedendo al ricorrente il recupero delle somme indebitamente
corrisposte dal 1° gennaio 2001 al 30 giugno 2014. 
    Quest'ultima nota e' stata impugnata nel giudizio,  che  ha  dato
origine all'odierna questione di legittimita' costituzionale. 
    Il giudice rimettente ha indicato che l'accertamento  definitivo,
invocato  dall'INPS,  riguarda  un  periodo  piu'  circoscritto   (1°
luglio-30 novembre  2004)  rispetto  a  quello,  invero  piu'  ampio,
esaminato nel nuovo giudizio (1° gennaio 2001-30 giugno 2014). 
    Secondo  il  giudice  rimettente,  su  tale  giudizio  incide  la
normativa  sopravvenuta  del  d.l.  n.  112  del   2008,   idonea   a
rappresentare un apprezzabile elemento di discontinuita'. 
    A prescindere dalla fondatezza di tali rilievi, che non compete a
questa Corte scrutinare, anche alla luce della problematica incidenza
del giudicato sui rapporti  di  durata,  si  deve  osservare  che  il
giudice rimettente ha enucleato alcuni elementi, come  la  diversita'
dei periodi considerati nei due giudizi e le sopravvenienze normative
posteriori  al  giudicato,  in  astratto  suscettibili  di  escludere
l'efficacia vincolante del precedente accertamento irrevocabile. 
    Pertanto, anche con riguardo al  vincolo  del  giudicato,  questa
Corte non puo' sostituire  la  propria  valutazione  di  rilevanza  a
quella gia' formulata dal giudice a quo, sorretta  da  argomenti  non
arbitrari e cristallizzata in una sentenza non definitiva. 
    4.- La questione non e' fondata. 
    5.- La disciplina, sottoposta al vaglio di costituzionalita',  si
inscrive in  un  contesto  normativo  quanto  mai  mutevole,  che  ha
registrato l'avvicendarsi di interventi  di  segno  diverso,  ora  in
chiave limitativa del cumulo tra pensioni e redditi  da  lavoro,  ora
nella  direzione   di   un   progressivo   superamento   dei   limiti
originariamente imposti. 
    Nel cimentarsi con le disparate discipline succedutesi nel tempo,
questa Corte ha affermato  a  piu'  riprese  che  la  sussistenza  di
un'altra fonte di  reddito  puo'  giustificare  una  diminuzione  del
trattamento pensionistico (sentenza n. 197 del 2010), in  quanto  «la
funzione previdenziale della pensione non si esplica, o almeno  viene
notevolmente  ridotta,  quando  il  lavoratore  si  trovi  ancora  in
godimento di un trattamento di attivita'» (sentenza n. 275 del 1976). 
    Il pensionato  che  continua  a  lavorare  «pone  in  essere  una
condotta che,  da  un  lato,  puo'  avere  rilievo  ai  fini  di  una
riliquidazione della pensione, dall'altro consente al legislatore  di
tener conto del conseguente guadagno  e  della  diminuzione  del  suo
stato di bisogno» (sentenza n. 30 del 1976). 
    Tali restrizioni, che non si pongono di per se' in contrasto  con
la tutela che la Carta fondamentale  accorda  al  diritto  al  lavoro
(sentenze n. 416 del 1999 e n. 155 del 1969), prestano  il  fianco  a
censure  d'incostituzionalita'  quando  implichino  una   sostanziale
decurtazione  del  complessivo   trattamento   pensionistico,   senza
stabilire il limite minimo dell'emolumento dell'attivita'  esplicata,
oltre il quale la decurtazione diviene operante (sentenze n. 232  del
1992, n. 204 del 1992 e n. 566 del 1989). 
    La regolamentazione del cumulo tra pensioni e redditi  da  lavoro
interferisce con molteplici valori di rango costituzionale,  come  il
diritto al lavoro (art.  4  Cost.),  il  diritto  a  una  prestazione
previdenziale proporzionata all'effettivo stato di bisogno (art.  38,
secondo comma, Cost.), la solidarieta' tra le diverse generazioni che
interagiscono  nel  mercato  del  lavoro  (art.  2  Cost.),  in   una
prospettiva volta a garantirne un  equo  ed  effettivo  accesso  alle
opportunita' di occupazione che si presentano. 
    Spetta alla discrezionalita' del legislatore bilanciare i diversi
valori coinvolti, in un contesto di molteplici variabili di  politica
sociale ed economica, e modulare la concreta disciplina  del  cumulo,
in armonia con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza. 
    6.- Da tali principi il legislatore, nel caso di specie,  non  si
e' discostato. 
    Le censure del giudice rimettente si appuntano contro il difforme
trattamento riservato ai titolari di pensione privilegiata  ordinaria
rispetto ai titolari di  pensione  di  anzianita',  con  riguardo  al
cumulo tra pensione e reddito da lavoro. 
    Le  censure  investono,  in  particolare,   l'equiparazione   tra
pensione privilegiata ordinaria e trattamenti d'invalidita' (punto 3.
dell'ordinanza di rimessione), che preclude l'integrale cumulabilita'
tra pensione e redditi da lavoro, oggi sancita  per  le  pensioni  di
anzianita'. 
    6.1.- Le censure, in tutti i profili in cui  si  articolano,  non
sono fondate. 
    Esse  muovono  da  una  premessa  -  omogeneita'   tra   pensione
privilegiata ordinaria e pensione di anzianita' - che non trova alcun
riscontro   nel   dato   normativo   e   nella   elaborazione   della
giurisprudenza costituzionale. 
    La pensione di anzianita' si atteggia come «un beneficio concesso
al  lavoratore»  (sentenza  n.  155  del  1969),  che  prescinde  dal
raggiungimento dell'eta' pensionabile e  postula  il  «mero  avvenuto
svolgimento  dell'attivita'  stessa  per  un  tempo   predeterminato»
(sentenza n. 416 del 1999). La  pensione  privilegiata  ordinaria  e'
ancorata a eventi dannosi (ferite, lesioni o  infermita'),  provocati
da una causa di servizio, e consegue alla cessazione del rapporto  di
impiego per inabilita' permanente al servizio. 
    L'art.  67,  quarto  comma,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione  del  testo  unico
delle norme sul trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  civili  e
militari dello Stato) prevede che, quando sia raggiunto il  requisito
di quindici anni di servizio utile, accompagnati a dodici di servizio
effettivo, la pensione privilegiata  ordinaria  sia  liquidata  nella
misura prevista per la pensione normale, accresciuta di un correttivo
economico, determinato nella misura di un decimo. 
    La natura di  "retribuzione  differita",  che  accomuna  pensioni
privilegiate  ordinarie  e  pensioni   di   anzianita',   non   rende
costituzionalmente obbligata una equiparazione  di  tali  trattamenti
agli  effetti  della   disciplina   del   cumulo,   ne'   rileva   la
considerazione   dell'eventuale   coincidenza   dei   requisiti    di
anzianita', elemento sprovvisto di valenza significativa  nell'ambito
di una regolamentazione incentrata sulle peculiarita'  delle  singole
prestazioni previdenziali. 
    Invero,  l'auspicata  parificazione  tra  pensione   privilegiata
ordinaria e pensione di anzianita', agli effetti dell'applicazione di
un cumulo integrale, non puo' derivare dalla circostanza,  del  tutto
accidentale, che il titolare di pensione privilegiata ordinaria abbia
tutti i requisiti per accedere anche alla pensione di anzianita'. 
    Quando il dipendente abbia  raggiunto  l'anzianita'  di  servizio
minima per il riconoscimento della pensione e subisca  per  fatti  di
servizio una menomazione dell'integrita' personale, ha  diritto  alla
sola  pensione  privilegiata,  che  assorbe   e   integra   l'importo
dell'altro trattamento di quiescenza (Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro,  sentenza  27  gennaio   1993,   n.   987),   sostituendo   o
eventualmente anticipando quest'ultimo trattamento (Corte dei  conti,
sezioni riunite, sentenza 17 giugno 2005, n. 2). 
    In virtu' di tali caratteristiche,  viene  meno  l'obbligo  dello
Stato  di  farsi  carico  della   costituzione   di   una   posizione
assicurativa presso l'INPS, nei termini  disciplinati  dall'art.  124
del d.P.R. n. 1092 del 1973, che subordina la  medesima  costituzione
all'assenza del diritto a  pensione  per  mancanza  della  necessaria
anzianita' di servizio. 
    Tali  particolarita'   impediscono   di   accostare   in   chiave
comparativa le pensioni  privilegiate  ordinarie  e  le  pensioni  di
anzianita', sulla scorta del mero requisito dell'identica  anzianita'
del lavoratore. 
    6.2.- Il legislatore ha  prefigurato  un  regime  di  particolare
favore per le pensioni privilegiate, ricondotte da questa Corte  alla
categoria dei "trattamenti speciali di quiescenza" (sentenza  n.  428
del 1993), rimarcando la peculiarita'  dei  trattamenti  privilegiati
rispetto alle pensioni di anzianita'. Tanto basta  per  escludere  il
raffronto tra le due prestazioni, nella prospettiva della  disciplina
del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro. 
    La  ragionevolezza  del  punto  di  equilibrio,  individuato  dal
legislatore, e' avvalorata da molteplici elementi. 
    La  scelta  del  legislatore  e'  di  apprestare,  per   pensioni
privilegiate ordinarie e trattamenti di invalidita',  una  disciplina
omogenea in termini di cumulo con i redditi da lavoro. 
    L'uniformita' della disciplina, definita  incongrua  dal  giudice
rimettente, e' invece in consonanza con il comune  presupposto  delle
due prestazioni, consistente nella lesione dell'integrita' fisica,  e
rispecchia la ratio della pensione  privilegiata,  che  si  configura
come "una sorta di riparazione", conseguente al  danno  alla  persona
riportato per infermita' contratte in relazione al servizio  prestato
(sentenza n. 43 del 2015). 
    Questo regime si fonda sul  presupposto  che  lo  svolgimento  di
un'attivita' produttiva di reddito denota una diminuzione dello stato
di bisogno, tutelato dall'art. 38, secondo comma, Cost. (sentenza  n.
30 del 1976). 
    Con particolare riguardo alla pensione privilegiata ordinaria,  i
benefici riconosciuti dal legislatore, anche in termini di incremento
della pensione corrisposta, valgono a compensare la  riduzione  della
capacita' di produrre reddito, derivante dall'infermita' contratta  a
causa di servizio, e hanno il loro contrappeso nelle  limitazioni  al
cumulo tra pensioni e redditi da lavoro. 
    Peraltro, la liberta' di cumulo si  attesta  sul  70  per  cento,
misura che non rappresenta un intralcio sproporzionato al diritto  di
svolgere un lavoro dopo la pensione.