ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 241,  comma
5, del decreto  legislativo  12  aprile  2006,  n.  163  (Codice  dei
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture   in
attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE),  nel  testo
modificato dall'art. 5, comma 1, lettera c), del decreto  legislativo
20 marzo 2010, n.  53  (Attuazione  della  direttiva  2007/66/CE  che
modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto  riguarda  il
miglioramento dell'efficacia delle procedure di  ricorso  in  materia
d'aggiudicazione  degli  appalti  pubblici),  promosso  dal  Collegio
arbitrale di Roma nel procedimento vertente tra l'Impresa  Pizzarotti
& C. spa (gia' Garboli spa) e il Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, con ordinanza del 24 gennaio 2014, iscritta al n.  67  del
registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di costituzione della Impresa Pizzarotti  &  C.  spa
(gia' Garboli spa) nonche' l'atto di intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  18  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Angelo Clarizia per l'Impresa Pizzarotti &  C.
spa (gia' Garboli spa) e l'avvocato dello  Stato  Gabriella  Palmieri
per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Collegio arbitrale di Roma, con ordinanza del  24  gennaio
2014, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11, 24,  33,  quinto
comma, 35, 41, 76, 77, 102, 108, 111 e 117 (recte: primo comma) della
Costituzione ed in relazione agli artt. 26, 45, 46, 49, 50, 56  e  57
del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE),  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 241, comma  5,  del  decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle  direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE) (d'ora in avanti, anche codice dei contratti
pubblici), nel testo modificato dall'art. 5, comma 1, lettera c), del
decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53 (Attuazione della  direttiva
2007/66/CE che modifica  le  direttive  89/665/CEE  e  92/13/CEE  per
quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia  delle  procedure  di
ricorso in materia d'aggiudicazione degli  appalti  pubblici),  nella
parte in cui prevede che il presidente del  collegio  arbitrale  deve
essere  scelto  tra  coloro  che  nell'ultimo  triennio   non   hanno
esercitato le funzioni di arbitro di parte o di difensore in  giudizi
arbitrali disciplinati da detta norma e che la nomina  effettuata  in
violazione di tale previsione determina la nullita' del lodo. 
    2.-  L'ordinanza  di   rimessione   premette   che,   nel   corso
dell'esecuzione di un contratto  di  appalto  stipulato  in  data  18
gennaio 1996 dal Ministero dei Trasporti e della Navigazione  con  la
Garboli spa, sono sorte contestazioni in ordine alla ripartizione tra
i  contraenti  dei  contributi  versati  a   titolo   di   oneri   di
urbanizzazione.  La   Garboli   spa,   in   virtu'   della   clausola
compromissoria dell'art. 19 del contratto, ha notificato, in data  17
settembre 2007, domanda di arbitrato (designando il proprio arbitro),
chiedendo che sia  accertato  e  dichiarato  «che  il  Ministero  dei
Trasporti  si  e'  reso  inadempiente  rispetto   alle   obbligazioni
assunte», con condanna  dello  stesso  a  pagare  la  somma  di  euro
34.183,14, oltre interessi legali  e  rivalutazione  monetaria.  Tale
clausola compromissoria  stabilisce,  infatti,  che  «ogni  eventuale
controversia  in  ordine  al  presente  contratto  d'appalto»   sara'
devoluta ad un collegio arbitrale, a norma degli artt. 43 e  seguenti
del decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962,  n.  1063
(Approvazione del capitolato  generale  d'appalto  per  le  opere  di
competenza del Ministero  dei  lavori  pubblici),  e  tuttavia,  come
precisato nella domanda, dalla data di entrata in vigore  del  d.lgs.
n. 163 del 2006  il  procedimento  arbitrale  e'  disciplinato  dalle
disposizioni di quest'ultimo atto normativo. 
    Il Ministero delle  Infrastrutture  e  dei  Trasporti,  con  atto
notificato il 19 novembre 2007, ha nominato il  proprio  arbitro,  il
quale  ha  rassegnato  le   dimissioni   dall'incarico;   a   seguito
dell'inerzia  del  Ministero  nel  sostituirlo,  il  Presidente   del
Tribunale Ordinario di Roma, su istanza ai sensi  dell'art.  810  del
codice  di  procedura  civile  dell'Impresa  Pizzarotti  &   C.   spa
(succeduta alla Garboli spa), con provvedimento del 20  giugno  2012,
ha nominato un nuovo arbitro per il convenuto. 
    Il Collegio arbitrale, riunitosi in Roma il 21 dicembre 2012,  ha
designato il terzo arbitro, con funzioni  di  Presidente,  il  quale,
all'udienza  dell'8  luglio  2013,  ha  informato  le   parti   della
sussistenza di  un'eventuale  irregolarita'  nella  costituzione  del
Collegio.  Egli,  infatti,  ha  espletato  nel  triennio   precedente
incarichi di arbitro di parte e di  difensore  in  giudizi  arbitrali
disciplinati dall'art. 241 del d.lgs. n.  163  del  2006  e,  quindi,
versa nella situazione di incompatibilita' prevista dal  comma  5  di
detta norma. 
    La  parte  attrice  ha  insistito   per   la   prosecuzione   del
procedimento, eccependo, sotto molteplici  profili,  l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 241, comma 5, eccezione giudicata  dal
rimettente non manifestamente infondata. 
    2.1.- L'ordinanza di rimessione ritiene  anzitutto  rilevante  la
sollevata questione. 
    Sussiste infatti,  in  riferimento  al  Presidente  del  Collegio
arbitrale, la situazione prevista dal censurato art. 241, comma 5, in
virtu' della quale la nomina del presidente effettuata in  violazione
dello stesso «determina la nullita' del lodo ai  sensi  dell'articolo
829, primo comma, n. 3, del  codice  di  procedura  civile»,  con  la
conseguenza che soltanto l'accoglimento della questione permetterebbe
l'utile prosecuzione del giudizio principale. 
    2.2.- Nel merito, il rimettente deduce anzitutto  che  il  citato
art. 241, comma 5, violerebbe gli artt. 76 e 77 Cost.,  «per  eccesso
di delega e/o difetto di delega». 
    Tale norma, nel testo censurato, e' stata introdotta dall'art. 5,
comma  1,  del  d.lgs.  n.  53  del  2010,  emanato  in  forza  della
legge-delega 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee - Legge comunitaria 2008), che ha attribuito  al  Governo  il
potere di stabilire «disposizioni razionalizzatrici  dell'arbitrato»,
nell'osservanza dei  criteri  espressamente  enunciati,  nessuno  dei
quali  autorizzava  il  legislatore  delegato   a   disciplinare   la
composizione  dei  collegi  arbitrali  ed  a  prevedere   cause   «di
incompatibilita'  speciali  a  carico  del  Presidente  del  collegio
arbitrale, non contemplate» dagli artt. 51 e 815 cod.  proc.  civ.  I
principi ed  i  criteri  direttivi  della  legge-delega,  secondo  la
giurisprudenza costituzionale, vanno  interpretati  alla  luce  delle
finalita' ispiratrici della delega e la norma  censurata  sarebbe  in
contrasto con la ratio della legge-delega (indicata  nella  finalita'
di realizzare una razionalizzazione «del sistema  dell'arbitrato  nel
settore  dell'esecuzione  dei  contratti  pubblici»),   poiche'   non
ragionevolmente ostacola  «l'utile  ricorso  a  questi  strumenti  di
deflazione del contenzioso ordinario». Peraltro, neppure la direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio,  dell'11  dicembre  2007,  n.
2007/66/CE (Direttiva del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  che
modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto
riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure  di  ricorso
in  materia  d'aggiudicazione  degli  appalti   pubblici),   la   cui
attuazione costituiva  oggetto  della  legge-delega,  contemplava  la
composizione  dei  collegi  arbitrali  e,  comunque,  e'   priva   di
indicazioni in ordine a questo profilo. 
    Secondo  il  rimettente,  i  lavori  preparatori  (analiticamente
approfonditi  nell'ordinanza  di  rimessione)  conforterebbero   tale
considerazione, tenuto conto, in particolare, del parere  reso  sullo
schema di decreto delegato dalla  XIV  Commissione  permanente  della
Camera dei deputati, nonche' dei dubbi di legittimita' costituzionale
sollevati in ordine al profilo in esame nel corso  del  dibattito  in
seno alle  Commissioni  riunite  II  (Giustizia)  e  VIII  (Ambiente,
territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati. 
    2.3.- Il citato  art.  241,  comma  5,  prosegue  l'ordinanza  di
rimessione, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 Cost. 
    La norma realizzerebbe, infatti, una ingiustificata disparita' di
trattamento rispetto alla disciplina stabilita  dal  codice  di  rito
civile,  in  quanto  prevede  che   la   richiamata   situazione   di
incompatibilita' e' causa di  nullita'  del  lodo.  Inoltre,  sarebbe
priva di ragionevole giustificazione e pregiudicherebbe la  finalita'
di scegliere il presidente del collegio arbitrale tra soggetti dotati
di  specifica  competenza,  in  contrasto  con  la  previsione,  pure
contenuta nella stessa norma,  diretta  a  valorizzare  la  pregressa
esperienza professionale. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe altresi' leso perche' la norma esclude  la
causa di incompatibilita' in esame, qualora «l'esercizio della difesa
costituisca adempimento di dovere d'ufficio del difensore  dipendente
pubblico»,  caso  in  cui  sussiste  addirittura   un   rapporto   di
subordinazione gerarchica del presidente del collegio rispetto ad una
parte  del  giudizio.  La  differenziazione  della   disciplina   dei
requisiti del presidente e degli arbitri che compongono  il  collegio
non sarebbe poi giustificata, poiche' sono tutti soggetti agli stessi
obblighi, svolgono le medesime funzioni ed il presidente  riveste  il
ruolo di mero primus inter pares. La norma, non  ragionevolmente,  ha
infine stabilito  un'identica  preclusione  per  due  situazioni  non
omologhe, quali il pregresso svolgimento delle attivita'  di  arbitro
di parte e di difensore. 
    2.4.- Secondo  l'ordinanza  di  rimessione,  la  norma  censurata
recherebbe altresi' vulnus agli artt. 108 e 111 Cost. 
    La disciplina in esame non garantirebbe la parita' delle  armi  e
l'indipendenza del  presidente  del  collegio  arbitrale  ed  avrebbe
determinato «un nuovo e ingiustificato privilegio processuale per  la
Pubblica Amministrazione, che puo'  far  nominare  propri  dipendenti
quali presidenti dei collegi arbitrali». Il privilegio sarebbe palese
nell'arbitrato "amministrato" (art. 243 del d.lgs. n. 163 del  2006),
nel  quale,  in  difetto  di  accordo  delle  parti,  la  scelta  del
presidente del collegio spetta alla Camera  arbitrale,  organo  privo
dei necessari requisiti di indipendenza. 
    2.5.- Ad avviso del rimettente, il  citato  art.  241,  comma  5,
violerebbe poi l'art. 3 Cost., «in  congiunzione  con  gli  artt.  33
comma 5, 35 e 41 Cost.»: perche' discriminerebbe coloro i quali hanno
svolto le funzioni di arbitro di parte o  di  avvocato  difensore  in
giudizi  arbitrali  nell'intero  settore  dei   contratti   pubblici,
attivita' queste che  costituiscono  prestazioni  professionali,  cui
sono riferibili i principi  di  liberta'  di  lavoro  autonomo  e  di
prestazione di servizi, tutelati dagli artt. 33, quinto comma,  e  41
Cost.; poiche' violerebbe l'affidamento di quanti hanno svolto  dette
attivita', senza potere prevedere le «conseguenze negative sul  piano
dei servizi arbitrali esercitabili in futuro». 
    2.6.- L'ordinanza di rimessione deduce, infine, che la  norma  in
questione si porrebbe in contrasto con gli  artt.  11  e  117,  primo
comma, Cost., in quanto sarebbe  lesiva  delle  «liberta'  economiche
previste  nel  Trattato  sul   Funzionamento   dell'Unione   Europea»
stabilite dagli artt. 26, 45, 46, 49, 50, 56, 57 e,  in  particolare,
del diritto alla libera prestazione dei servizi (artt. 56, 57  TFUE),
che comprende l'esercizio dell'attivita' libero professionale. 
    I  servizi   resi   nell'ambito   delle   controversie   relative
all'esecuzione degli appalti pubblici di lavori, servizi e  forniture
costituirebbero una porzione significativa di mercato nell'ambito dei
servizi di  conciliazione  e  d'arbitrato,  circostanza  non  esclusa
dall'inapplicabilita' della direttiva 31 marzo  2004,  n.  2004/18/CE
(Direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  relativa  al
coordinamento  delle  procedure  di  aggiudicazione   degli   appalti
pubblici di  lavori,  di  forniture  e  di  servizi)  ai  servizi  di
arbitrato e di conciliazione. Pertanto, non risulterebbero  osservate
le condizioni che, secondo la Corte di giustizia (sono richiamate  le
sentenze 31 marzo 1993, C-19/92; 30 novembre 1995, C-55/94),  rendono
legittime  prescrizioni  suscettibili  di  ostacolare  o  scoraggiare
l'esercizio delle liberta'  fondamentali  e  sarebbe  realizzata  una
«difficolta' di raccordo con le legislazioni degli Stati  dell'Unione
Europea che non  prevedono  simili  limitazioni  nella  scelta  degli
arbitri, allontanando pertanto  la  disciplina  nazionale  da  quella
degli altri Paesi membri». 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    La disciplina delle cause  di  incompatibilita'  da  parte  della
norma censurata si inscriverebbe, a  suo  avviso,  nel  quadro  della
ridefinizione della disciplina dell'arbitrato  nei  lavori  pubblici,
delegata al Governo dalla legge n.  88  del  2009,  che  fissa  quale
criterio direttivo, tra gli altri,  quello  di  emanare  disposizioni
razionalizzatrici dell'istituto. L'art. 3, commi 19 e seguenti, della
legge  24  dicembre  2007,  n.  244,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2008)», aveva vietato l'arbitrato per le controversie  in
materia di appalti pubblici (a far data  dal  1°  gennaio  2008),  ma
l'entrata in vigore del divieto e' stata differita  e  lo  stesso  e'
stato, infine, eliminato dal d.lgs. n. 53  del  2010.  La  delega  in
esame era preordinata allo scopo di porre rimedio alle  «distorsioni»
che, in passato, avevano suggerito di introdurre  detto  divieto,  in
considerazione  delle  criticita'  dell'istituto,  individuate,   tra
l'altro, nell'essere gli arbitrati connotati da «scarsa imparzialita'
ed indipendenza». Nondimeno, il divieto di  arbitrato  impediva,  non
ragionevolmente,  il  ricorso  a  questo   rimedio   alternativo   di
definizione delle controversie nel settore degli appalti pubblici. 
    Le norme in materia di arbitrato introdotte dal d.lgs. n. 53  del
2010,  secondo  l'interveniente,  mirano,  quindi,  a  «delineare  un
istituto profondamente rinnovato», allo scopo di garantire  «maggiore
imparzialita' ed indipendenza del Collegio giudicante». La disciplina
delle situazioni di  incompatibilita'  del  presidente  del  collegio
arbitrale   concorrerebbe   a   delineare   il   rinnovato   istituto
dell'arbitrato,  unitamente   ad   ulteriori   profili   (quali:   la
facoltativita'   dell'arbitrato   per   entrambe   le    parti;    la
regolamentazione dei casi di impugnabilita' del lodo; il contenimento
dei costi del giudizio arbitrale). 
    3.1.- Secondo l'interveniente, le  censure  riferite  all'art.  3
Cost. sarebbero  infondate,  poiche'  la  specialita'  dell'arbitrato
relativo ai contratti pubblici giustificherebbe la previsione di  una
disciplina diversa rispetto a quella  prevista  dal  codice  di  rito
civile. Non sussisterebbe poi la «eccepita disparita' di  trattamento
tra gli avvocati  del  libero  Foro  e  gli  avvocati  "pubblici"»  e
l'incompatibilita' riguarda anche gli avvocati "pubblici",  dato  che
la deroga concerne esclusivamente  il  caso  dell'espletamento  della
difesa, quale adempimento di un dovere  d'ufficio.  Il  rigore  della
disciplina  delle  cause  di  incompatibilita'  concernenti  il  solo
presidente del collegio arbitrale sarebbe, infine, giustificata dalla
finalita' di garantire  l'imparzialita'  di  giudizio  del  collegio,
tenuto conto che egli costituisce  «l'elemento  di  equilibrio  e  di
imparzialita'» di quest'ultimo. 
    3.2.- L'infondatezza delle censure sollevate in riferimento  agli
artt.  108  e  111  Cost.,  ad   avviso   dell'Avvocatura   generale,
conseguirebbe invece alla considerazione  che  la  natura  di  organo
amministrativo  della  Camera  arbitrale  non   ne   pregiudicherebbe
l'autonomia e l'indipendenza, garantite dall'art. 242 del  d.lgs.  n.
163 del 2006. 
    3.3.- Le censure sollevate in relazione  agli  artt.  33,  quinto
comma,  35  e  41  Cost.,  secondo  l'interveniente,  non   sarebbero
meritevoli di accoglimento, in quanto il  divieto  di  retroattivita'
riguarda la materia penale e, comunque, la norma «si limita a fissare
regole  di  incompatibilita'   rispetto   all'attivita'   svolta   in
precedenza». Il richiamo dell'art. 16 della direttiva  n.  2004/18/CE
non sarebbe poi pertinente e gli evocati principi stabiliti dal  TFUE
non sarebbero  lesi,  in  quanto  la  norma  censurata  si  limita  a
stabilire piu' rigorose cause di incompatibilita' per  il  presidente
del collegio arbitrale, allo scopo di perseguire le finalita'  dianzi
richiamate. 
    4.- Nel giudizio davanti alla Corte si  e'  costituita  l'Impresa
Pizzarotti & C. spa, parte del giudizio principale, chiedendo che  la
questione sia  accolta  e  svolgendo,  nella  memoria  depositata  in
prossimita'  dell'udienza  pubblica,  argomentazioni  sostanzialmente
coincidenti con quelle dell'ordinanza di rimessione. 
    Secondo  la  parte,  la  sopravvenuta  abrogazione  della   norma
censurata da parte dell'art. 217 del decreto  legislativo  19  aprile
2016, n. 50 (Attuazione  delle  direttive  2014/23/UE,  2014/24/UE  e
2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti  di  concessione,  sugli
appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei
settori  dell'acqua,  dell'energia,  dei  trasporti  e  dei   servizi
postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente in  materia
di contratti pubblici relativi a lavori, servizi  e  forniture),  non
escluderebbe la perdurante  rilevanza  della  questione,  perche'  la
stessa, ratione temporis,  e'  applicabile  nel  giudizio  arbitrale.
Inoltre, sarebbe stata riprodotta nell'art. 209,  comma  6,  di  tale
atto normativo, il quale  ha  anzi  esteso  la  contestata  causa  di
incompatibilita' a tutti i componenti del collegio arbitrale, con  la
conseguenza  che   quest'ultima   norma   sarebbe,   a   sua   volta,
costituzionalmente illegittima, in riferimento ai vizi denunciati dal
rimettente, diversi ed ulteriori rispetto  a  quello  costituito  dal
difetto di delega. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Collegio arbitrale di Roma, con ordinanza del  24  gennaio
2014, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11, 24,  33,  quinto
comma, 35, 41, 76, 77, 102, 108, 111 e 117 (recte, 117, primo  comma)
della Costituzione ed in relazione agli artt. 26, 45, 46, 49, 50,  56
e 57 del  Trattato  sul  Funzionamento  dell'Unione  Europea  (TFUE),
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 241, comma 5,  del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante  il  «Codice  dei
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture   in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» (d'ora in avanti,
codice dei contratti pubblici), nel  testo  modificato  dall'art.  5,
comma 1, lettera c), del decreto legislativo 20  marzo  2010,  n.  53
(Attuazione della direttiva  2007/66/CE  che  modifica  le  direttive
89/665/CEE  e  92/13/CEE  per  quanto   riguarda   il   miglioramento
dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione
degli appalti pubblici). 
    2.- Il citato art. 241, comma 5,  nella  formulazione  introdotta
dall'art. 5, comma  1,  lettera  c),  del  d.lgs.  n.  53  del  2010,
stabilisce che il presidente del collegio arbitrale al quale  possono
essere deferite le  controversie  su  diritti  soggettivi,  derivanti
dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi  a  lavori,  servizi,
forniture, concorsi di progettazione e di idee,  deve,  tra  l'altro,
essere  scelto  «tra  coloro  che  nell'ultimo  triennio  non   hanno
esercitato le funzioni di arbitro di parte o di difensore in  giudizi
arbitrali disciplinati dal presente articolo» e che  «la  nomina  del
presidente  del  collegio  effettuata  in  violazione  del   presente
articolo determina la nullita' del lodo ai sensi  dell'articolo  829,
primo comma, n. 3, del codice di procedura civile». 
    Secondo il rimettente, detta norma e'  applicabile  nel  giudizio
principale  e,  poiche'  il  Presidente  del  Collegio  versa   nella
suindicata  condizione  di  incompatibilita'  -  la  cui  sussistenza
«determina la nullita' del lodo ai  sensi  dell'articolo  829,  primo
comma, n. 3, del codice di procedura civile» -  l'utile  prosecuzione
del giudizio principale sarebbe possibile esclusivamente qualora  sia
accolta la sollevata questione, che sarebbe percio' rilevante. 
    L'art. 241, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006,  ad  avviso  del
Collegio arbitrale, violerebbe anzitutto gli artt. 76 e 77  Cost.  La
norma, nel testo censurato, e' stata cosi'  modificata  dall'art.  5,
comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 53 del  2010,  emanato  in  virtu'
della  legge-delega  7  luglio  2009,   n.   88   (Disposizioni   per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008). Quest'ultima  legge
avrebbe attribuito al  Governo  il  potere  di  emanare  disposizioni
razionalizzatrici dell'arbitrato, stabilendo (negli artt. 1, 2 e  44)
principi e  criteri  direttivi,  nessuno  dei  quali  autorizzava  il
legislatore delegato  a  disciplinare  la  composizione  dei  collegi
arbitrali ed a prevedere cause «di incompatibilita' speciali a carico
del Presidente del collegio arbitrale, non contemplate»  dagli  artt.
51 e 815 cod. proc. civ. e la suindicata causa di nullita' del  lodo.
La norma sarebbe in contrasto anche con la ratio della  legge-delega,
indicata   nella   finalita'   di   razionalizzare   la    disciplina
«dell'arbitrato nel settore dell'esecuzione dei  contratti  pubblici,
in  quanto  non  ragionevolmente  ostacola   l'utile   ricorso   agli
«strumenti di deflazione del contenzioso ordinario». 
    Inoltre, la direttiva del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio
dell'11  dicembre  2007,  n.  2007/66/CE  (Direttiva  del  Parlamento
europeo e del  Consiglio  che  modifica  le  direttive  89/665/CEE  e
92/13/CEE  del  Consiglio  per  quanto  riguarda   il   miglioramento
dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione
degli appalti pubblici), la cui attuazione costituiva  oggetto  della
legge-delega,  neppure  contemplava  la  composizione   dei   collegi
arbitrali e, comunque, e' priva di indicazioni  in  ordine  a  questo
profilo. I lavori preparatori (diffusamente esaminati  nell'ordinanza
di rimessione) conforterebbero la sussistenza del vizio denunciato. 
    La censura, come e' reso chiaro dalla motivazione  dell'ordinanza
di rimessione, investe la previsione sia  del  requisito,  sia  degli
effetti conseguenti al difetto dello stesso, entrambi introdotti  con
la modifica realizzata dal citato art. 5, comma 1, lettera c). 
    3.- Le censure sollevate  in  relazione  all'art.  76  Cost.  (le
uniche scrutinabili nel merito, essendo inconferente  il  riferimento
all'art. 77  Cost.)  devono  essere  esaminate  in  via  preliminare.
Spetta,  infatti,  a  questa  Corte  «valutare  il  complesso   delle
eccezioni e delle questioni costituenti il thema decidendum  devoluto
al suo esame» e «stabilire, anche per economia di giudizio,  l'ordine
con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite  le  altre»
(ex plurimis, sentenza n.  293  del  2010).  E',  quindi,  palese  la
pregiudizialita' logico-giuridica  delle  censure  concernenti  detto
parametro costituzionale, in quanto investono il  corretto  esercizio
della funzione legislativa: la loro eventuale  fondatezza  elide,  in
radice, ogni questione in ordine al contenuto precettivo della  norma
in esame e determina l'assorbimento di quelle riferite agli ulteriori
parametri costituzionali dianzi indicati. 
    4.- La questione sollevata in riferimento all'art.  76  Cost.  e'
rilevante ed ammissibile. 
    4.1.- In linea preliminare, va ribadita la  legittimazione  degli
arbitri rituali (qualificazione riconoscibile al  Collegio  arbitrale
rimettente) a  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
delle norme che sono chiamati ad applicare (da  ultimo,  sentenze  n.
262 e n. 108 del 2015; ordinanza n. 99 del 2016). 
    4.2.-   Il   giudizio   principale   deve,   inoltre,   ritenersi
disciplinato dalle norme del Codice dei contratti  pubblici,  benche'
la  clausola  compromissoria  contenuta  nel  contratto  di   appalto
stipulato tra le parti il 18 gennaio 1996 preveda il  deferimento  di
«ogni eventuale controversia» sorta nell'esecuzione dello  stesso  ad
un collegio arbitrale, a norma degli artt. 43 e seguenti del  decreto
del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063 (Approvazione
del capitolato generale d'appalto per  le  opere  di  competenza  del
Ministero dei lavori pubblici). 
    L'art. 253, comma 4, del  d.lgs.  n.  163  del  2006  stabilisce,
infatti, che  quest'ultimo  richiamo  «deve  intendersi  riferito  ai
collegi da nominare con  le  nuove  procedure  secondo  le  modalita'
previste dal codice e i  relativi  giudizi  si  svolgono  secondo  la
disciplina  ivi  fissata»  e  non   sussistono   i   presupposti   di
ultrattivita' del d.P.R. n. 1063 del 1962, indicati da  detta  norma,
tenuto conto della data di costituzione del collegio arbitrale, quale
precisata nell'ordinanza di rimessione. Quest'ultima rende, altresi',
palese, in primo luogo, che, in virtu' dell'art. 1, comma  25,  della
legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione  e  la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione),   per   l'arbitrato   in   esame   non    occorreva
l'autorizzazione prevista dall'art. 241, comma 1, del d.lgs.  n.  163
del 2006, nel testo modificato dall'art. 1, comma 19, della legge  n.
190 del 2012; in secondo luogo, che allo  stesso  e'  applicabile  la
norma censurata, nella formulazione introdotta dall'art. 5, comma  1,
lettera c), del d.lgs. n. 53 del 2010. 
    4.3.- L'ordinanza di rimessione  ha  anche  non  implausibilmente
motivato in ordine alla circostanza che il  Presidente  del  Collegio
arbitrale versa nella situazione di incompatibilita'  prevista  dalla
norma in esame  e  che  questa  condiziona  l'utile  svolgimento  del
giudizio arbitrale, con conseguente rilevanza, sotto questo ulteriore
profilo, della sollevata questione. 
    4.4.- Il citato art. 241, comma 5, e'  stato  abrogato  dall'art.
217, comma 1, lettera e), del  sopravvenuto  decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50 (Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE
e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione,  sugli
appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei
settori  dell'acqua,  dell'energia,  dei  trasporti  e  dei   servizi
postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente in  materia
di contratti pubblici relativi a  lavori,  servizi  e  forniture),  a
decorrere dal 19 aprile 2016, mentre l'art. 209, commi 4, 6 e  7,  di
tale  atto  normativo  ha  introdotto  una  nuova  disciplina   delle
modalita' della nomina, dei requisiti degli arbitri e  degli  effetti
conseguenti alla mancanza degli stessi. L'intervenuta  abrogazione  e
la nuova regolamentazione del profilo in esame non assumono  tuttavia
rilievo,  atteso  che  lo  jus  superveniens,  privo   di   efficacia
retroattiva, non puo' venire in evidenza nel giudizio principale, che
continua ad essere disciplinato dal citato  art.  241,  comma  5.  In
particolare, non influisce sul vizio  (avente  carattere  preliminare
rispetto agli altri denunciati dal rimettente) di difetto di delega. 
    5.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    5.1.- Secondo la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  il
controllo di conformita' della norma delegata  alla  norma  delegante
richiede un confronto tra  gli  esiti  di  due  processi  ermeneutici
paralleli: l'uno, relativo alle norme che  determinano  l'oggetto,  i
principi ed i criteri direttivi indicati dalla  delega,  da  svolgere
tenendo conto  del  complessivo  contesto  in  cui  si  collocano  ed
individuando le ragioni e le finalita' poste a fondamento della legge
di delegazione; l'altro, relativo alle norme  poste  dal  legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi
ed i criteri direttivi della delega (tra le tante,  sentenze  n.  194
del 2015, n. 229 del 2014). 
    Il contenuto della delega e dei principi e criteri direttivi deve
essere identificato accertando il complessivo contesto normativo e le
finalita' che la ispirano, tenendo conto che  i  principi  posti  dal
legislatore delegante costituiscono non solo  la  base  e  il  limite
delle norme delegate, ma strumenti per l'interpretazione  della  loro
portata. Queste vanno, quindi, lette, fintanto che sia possibile, nel
significato compatibile con detti principi, i quali,  a  loro  volta,
vanno interpretati avendo riguardo alla ratio della legge  delega  ed
al complessivo quadro di riferimento in cui si  inscrivono  (sentenza
n. 210 del 2015). Peraltro, l'art. 76 Cost. permette la delimitazione
dell'area della delega mediante il ricorso a clausole generali, ferma
la necessita'  che  queste  siano  accompagnate  dall'indicazione  di
precisi principi (sentenza n. 159 del 2001). 
    Nel caso di delega per l'attuazione di una direttiva comunitaria,
i principi che quest'ultima esprime si aggiungono  a  quelli  dettati
dal legislatore nazionale e assumono valore di  parametro  interposto
(tra le piu' recenti, sentenza n. 210 del 2015 e le altre  in  questa
richiamate). 
    Al    legislatore    delegato,    secondo    la    giurisprudenza
costituzionale,   spettano   poi    margini    di    discrezionalita'
nell'attuazione della delega, sempre che ne sia rispettata la ratio e
che l'attivita' del  delegato  si  inserisca  in  modo  coerente  nel
complessivo quadro normativo (sentenze n. 59 del 2016, n. 146 e n. 98
del 2015, n. 119 del 2013). L'art. 76 Cost. non riduce,  infatti,  la
funzione del legislatore delegato ad una mera  scansione  linguistica
delle previsioni stabilite dal  legislatore  delegante  e,  tuttavia,
«per quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di riempimento  del
legislatore delegato, "il libero  apprezzamento"  del  medesimo  "non
puo' mai assurgere a principio od a  criterio  direttivo,  in  quanto
agli  antipodi  di  una  legislazione  vincolata,   quale   e',   per
definizione, la legislazione su delega"» (sentenza n. 293 del 2010). 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di  chiarire  che,  nel  caso  di
delega per il riordino normativo, al legislatore delegato  spetta  un
limitato margine di discrezionalita' per l'introduzione di  soluzioni
innovative, le quali devono attenersi strettamente ai principi  e  ai
criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante  (ex  plurimis,
sentenze n. 94, n. 73 e n. 5 del 2014, n. 80 del 2012)  e,  comunque,
sono legittime  «soltanto  se  siano  stabiliti  principi  e  criteri
direttivi volti a definire in tal senso l'oggetto della delega  ed  a
circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato» (sentenze
n. 170 del 2007, n. 239 del 2003 e n. 354 del 1998). 
    5.2.- In applicazione di  tali  principi,  va  osservato  che  il
d.lgs. n. 53 del  2010  e'  stato  emanato  in  virtu'  della  delega
conferita con la legge n. 88 del 2009, recante la «Legge  comunitaria
2008», e appunto per questo caratterizzata  dall'eterogeneita'  delle
materie, in  considerazione  della  diversita'  dei  contenuti  delle
molteplici direttive oggetto di attuazione. 
    I principi ed i criteri direttivi concernenti tutte le  direttive
sono contenuti negli artt. 1 e 2 di detta legge-delega, nei quali non
si fa cenno alla disciplina dell'arbitrato;  e',  quindi,  l'art.  44
della stessa che reca  quelli  relativi  ai  decreti  legislativi  di
recepimento della direttiva n. 2007/66/CE, e nel comma 3, lettera m),
stabilisce i criteri che si imponevano al legislatore  delegato,  nel
«dettare disposizioni razionalizzatrici dell'arbitrato». 
    Nessuno dei criteri fissati nel  richiamato  art.  44,  comma  3,
lettera m), concerneva il profilo in esame, come si evince  dal  loro
oggetto: l'incentivazione dello «accordo bonario» (enunciata  nel  n.
1); la previsione dell'arbitrato «come ordinario rimedio  alternativo
al giudizio civile» (oggetto del n. 2); il tempo  ed  il  modo  della
previsione della clausola compromissoria (enunciati  nel  n.  3);  il
contenimento dei «costi del giudizio arbitrale» (cui e'  dedicato  il
n. 4);  l'introduzione  di  «misure  acceleratorie  del  giudizio  di
impugnazione del lodo arbitrale» (contenuta nel n.  5).  Manca  nella
norma qualsiasi indicazione in ordine ai requisiti degli arbitri,  ad
una diversificazione degli stessi  con  riguardo  al  presidente  del
collegio  arbitrale,  alle  conseguenze  del  difetto  dei  requisiti
stabiliti per quest'ultimo. 
    Questa carenza, anche tenendo conto della direttiva che prescrive
l'obiettivo della «razionalizzazione» della disciplina dell'arbitrato
nel settore dei contratti pubblici, e' univocamente espressiva  della
mancanza di  base  giuridica  della  previsione.  Si  tratta  di  una
conclusione confortata dalla constatazione che l'art. 241 del  d.lgs.
n. 163 del 2006, nel testo vigente alla data della legge-delega n. 88
del 2009, disciplinava specificamente i requisiti degli arbitri e del
presidente del collegio. In particolare,  non  era  prevista  nessuna
differenziazione tra le due figure (per entrambe i commi 4 e  5,  con
formulazione identica, disponevano che la  scelta  doveva  cadere  su
«soggetti  di  particolare  esperienza  nella  materia  oggetto   del
contratto cui l'arbitrato si riferisce»), mentre si prevedevano,  nel
comma 6, cause di ricusazione degli  arbitri,  ulteriori  rispetto  a
quelle stabilite dal codice di rito civile, senza nulla precisare  in
ordine agli effetti conseguenti alla carenza degli stessi. 
    5.2.1.- Volgendo l'attenzione al  contesto  nel  quale  e'  stata
emanata  la  legge-delega  in  esame,  rileva  che,   successivamente
all'entrata in vigore del d.lgs. n. 163 del 2006, la disciplina della
figura del presidente del collegio arbitrale aveva costituito oggetto
di dibattito anche quanto alle modalita'  della  nomina  (l'Autorita'
per  la  vigilanza  sui  contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e
forniture, nella relazione annuale per il 2006, presentata al  Senato
il 16 luglio 2007, aveva  suggerito  che  il  potere  di  nomina  del
predetto fosse  attribuito  alla  camera  arbitrale).  Nondimeno,  il
legislatore  delegante  aveva  ritenuto  di  non  intervenire   sulla
questione e sui requisiti  del  presidente  del  collegio  arbitrale,
significativamente omettendo di fornire  indicazioni  al  riguardo  e
prescrivendo  la  sola   finalita',   espressamente   enunciata,   di
«razionalizzazione»  della  disciplina   vigente,   priva   di   ogni
indicazione che potesse deporre  per  l'attribuzione  del  potere  di
introdurre prescrizioni marcatamente  innovative  in  ordine  a  tale
profilo. 
    5.2.2.- Un principio e un criterio riferiti al profilo  in  esame
neanche sono desumibili dalla direttiva  comunitaria  n.  2007/66/CE,
che, come sopra precisato, assume rilievo, allo scopo di stabilire il
contenuto del potere del legislatore  delegato.  E'  stato,  infatti,
esattamente osservato che in questa  direttiva  mancano  prescrizioni
che  esigessero  una  normativa  di  attuazione  relativamente   alla
disciplina dell'arbitrato dettata dal d.lgs.  n.  163  del  2006,  in
quanto essa si occupava di modificare precedenti direttive per quanto
riguarda le procedure di ricorso relative alla fase  dell'affidamento
dell'appalto. 
    Le indicazioni contenute nel "considerando"  di  detta  direttiva
non offrono  elementi  congruenti  al  riguardo,  essendo  dubbia  la
riferibilita' dell'art.  1  della  stessa  (nella  parte  in  cui  ha
modificato l'art. 2 della direttiva 21 dicembre 1989, n.  89/665/CEE,
recante  «Direttiva  del  Consiglio  che  coordina  le   disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici  di  forniture  e  di  lavori»)  all'arbitrato  in  esame  e
mancando, comunque, precise indicazioni sul requisito del  presidente
del collegio  arbitrale  e  sulle  conseguenze  della  carenza  dello
stesso, con riguardo al profilo in esame. 
    5.2.3.- Il difetto di base giuridica  della  norma  censurata  e'
suffragato dai lavori preparatori del d.lgs. n. 53 del 2010. 
    Nessuna esplicitazione in ordine alle ragioni  ed  al  titolo  di
legittimazione ad introdurre la contestata prescrizione e' desumibile
dalla Relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo  (poi
approvato come d.lgs. n. 53  del  2010).  Argomentate  obiezioni  sul
potere del legislatore delegato di introdurla  furono  sollevate  sia
nel  corso  delle  audizioni  effettuate  l'11  febbraio  2010  dalle
Commissioni riunite II e VIII della Camera dei  deputati  (riprodotte
nell'ordinanza di rimessione), sia nel corso del dibattito in data 23
febbraio 2010, proprio sul rilievo che l'art. 44  della  legge-delega
n. 88 del 2009 e la direttiva n. 2007/66/CE non prevedevano il potere
del legislatore delegato di introdurla. Tali Commissioni il  3  marzo
2010  espressero  parere   favorevole   sullo   schema   di   decreto
legislativo, ma evidenziarono anche il possibile  difetto  di  delega
che sembrava viziare la previsione in esame e suggerirono di valutare
l'opportunita' di sopprimerla, proprio  nella  parte  concernente  la
previsione del nuovo requisito e, nel caso di mancanza dello  stesso,
della nullita' del lodo. 
    Il Consiglio di Stato, nel rendere  parere  favorevole  su  detto
schema,  aveva  dal  suo  canto  osservato  che  «la  delega  per  il
recepimento della direttiva ricorsi contiene, inoltre, alcuni criteri
in materia di accordo bonario e arbitrato, che sono temi che  esulano
dall'ambito della direttiva ricorsi, e sui quali non vi sono  vincoli
comunitari» (Sezione normativa, parere  5098/2009,  trasmesso  il  1°
febbraio 2010). 
    Il   parere   delle   Commissioni   parlamentari,   secondo    la
giurisprudenza di questa Corte,  non  e'  vincolante  e  non  esprime
interpretazioni autentiche della legge di delega (sentenza n. 173 del
1981), ma costituisce pur sempre elemento che,  come  in  generale  i
lavori preparatori, puo'  contribuire  alla  corretta  esegesi  della
stessa (sentenze n. 308 e n. 193 del 2002). 
    5.2.4.- L'unico criterio  che  avrebbe  permesso  al  legislatore
delegato   di   introdurre   la   norma   censurata   -    richiamato
dall'interveniente   quale   pregnante   argomento   per    sostenere
l'infondatezza della sollevata questione - e' dunque  quello  secondo
cui   avrebbe   potuto   «dettare   disposizioni    razionalizzatrici
dell'arbitrato» (art. 44, comma 3, lettera m), della legge n. 88  del
2009), evidentemente insufficiente a questo scopo. 
    Il verbo  «razionalizzare»,  nel  lessico  comune  ed  in  quello
giuridico,   identifica   le   finalita'   del   riordino   e   della
riorganizzazione di una normativa  gia'  vigente.  La  giurisprudenza
costituzionale,   nel   caso   di   delega   volta    appunto    alla
«razionalizzazione»,  «ha  sempre  inquadrato  in   limiti   rigorosi
l'esercizio, da parte del legislatore delegato, di poteri  innovativi
della normazione vigente, non strettamente necessari in rapporto alla
finalita' di ricomposizione sistematica perseguita  con  l'operazione
di riordino o riassetto» (sentenza n.  162  del  2012;  analogamente,
sentenze n.  94  e  n.  50  del  2014).  Tale  principio  e'  imposto
dall'essere la legislazione su delega una legislazione vincolata, che
rende imprescindibile la fissazione di  precisi  principi  e  criteri
direttivi, qualora a tale  ultima  finalita'  si  intenda  aggiungere
quella di innovare la disciplina oggetto di riorganizzazione. 
    Sotto il profilo sistematico, va osservato che l'art. 829,  primo
comma, n. 3, cod. proc. civ. prevede  l'impugnabilita'  per  nullita'
del lodo pronunciato da chi non  poteva  essere  nominato  arbitro  a
norma dell'art. 812 di detto codice, il  quale  stabilisce  che  «non
puo' essere arbitro  chi  e'  privo,  in  tutto  o  in  parte,  della
capacita' legale di agire». I vizi relativi alle  forme  ed  ai  modi
della nomina rendono il lodo impugnabile per  nullita',  «purche'  la
nullita' sia stata dedotta nel giudizio arbitrale» (art.  829,  primo
comma, n. 2, cod. proc. civ.), mentre la  mancanza  delle  qualifiche
convenute  dalle  parti,  ovvero   l'esistenza   di   situazioni   di
incompatibilita', integrano una causa di ricusazione (art.  815  cod.
proc.  civ.)  che,   secondo   la   consolidata   giurisprudenza   di
legittimita', deve essere fatta valere mediante la  relativa  istanza
(da proporre nei modi e nei termini previsti dall'art. 815 cod. proc.
civ.). Sono pertanto irrilevanti, ai fini della validita'  del  lodo,
le situazioni  d'incompatibilita'  di  cui  la  parte  sia  venuta  a
conoscenza dopo la decisione,  che,  ove  non  si  traducano  in  una
incapacita' assoluta all'esercizio della  funzione  arbitrale  e,  in
genere, della funzione giudiziaria, non possono essere  fatte  valere
mediante l'impugnazione per  nullita',  tenuto  conto  dell'acquisita
efficacia vincolante del lodo e della lettera  dell'art.  829,  primo
comma, n. 2, cod. proc. civ., che circoscrive l'incapacita' ad essere
arbitro alle ipotesi tassativamente previste dall'art. 812 cod. proc.
civ. (Cassazione, sentenza 13 ottobre 2015, n. 20558). 
    Dunque, anche la previsione delle  conseguenze  del  difetto  del
requisito in esame - pure introdotta con la modifica  realizzata  dal
citato art. 5, comma 1, lettera  c)  -  eccede  l'ambito  della  mera
razionalizzazione e  riorganizzazione  della  disciplina,  risultando
peraltro la stessa inscindibilmente correlata  e  connessa  al  nuovo
requisito introdotto dal legislatore. 
    5.3.-  In  definitiva,  la  legge-delega  n.  88  del  2009   non
permetteva  di  introdurre  una  disciplina  dei  requisiti  per   lo
svolgimento della funzione  di  presidente  del  collegio  arbitrale,
realizzata stabilendone uno nuovo  ed  ulteriore  esclusivamente  per
quest'ultimo e regolamentando innovativamente gli effetti conseguenti
al difetto degli stessi. 
    Deve essere, pertanto, dichiarata, per  violazione  dell'art.  76
Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 241,  comma  5,  del
d.lgs. n. 163 del 2006, nel testo modificato dall'art.  5,  comma  1,
lettera c), del d.lgs. n. 53 del 2010 nella parte in cui ha  previsto
per il presidente del collegio arbitrale il  nuovo  requisito  dianzi
indicato  (la  dichiarazione  deve  investire  anche  la   previsione
derogatoria  di  detto  requisito,   perche'   priva   di   autonomia
normativa), nonche' (nell'ultima proposizione) la nullita' del  lodo,
pronunciato nel caso di nomina  effettuata  in  violazione  di  detta
norma. 
    6.- La pronuncia di illegittimita' costituzionale per  violazione
dell'art. 76 Cost.,  da  un  canto,  determina  l'assorbimento  delle
ulteriori questioni concernenti il contenuto precettivo della  norma,
poste con riferimento agli artt. 3, 11, 24, 33, quinto comma, 35, 41,
102, 108, 111 e 117, primo comma, Cost. ed in  relazione  agli  artt.
26,  45,  46,  49,  50,  56  e  57  del  Trattato  sul  Funzionamento
dell'Unione Europea; da un altro canto, comporta che in  nessun  modo
ed in nessun punto la stessa investe le successive  norme  che  hanno
disciplinato ex novo la materia.