ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 161 e 163
del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale  ordinario  di
Asti, nel  procedimento  penale  a  carico  di  T.B.  ed  altro,  con
ordinanza del 10 novembre  2015,  iscritta  al  n.  22  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il giudice monocratico del Tribunale ordinario di  Asti,  con
ordinanza del 10 novembre 2015, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, 21, 24, 111 e 117  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 14 del Patto internazionale  relativo  ai  diritti
civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in
vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso  esecutivo  con  legge  25
ottobre  1977,  n.  881,  e  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n.848  (d'ora  in  avanti  CEDU),  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt.  161  e  163  del  codice  di
procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevedono  la  notifica
personale dell'atto introduttivo del  giudizio  penale,  «quantomeno»
nell'ipotesi di elezione di domicilio presso il  difensore  d'ufficio
«nei termini indicati e argomentati nella parte motiva». 
    Il giudice rimettente riferisce di procedere nei confronti di due
persone imputate del reato di cui all'art. 624 del codice penale che,
in data 17 aprile 2014, a  seguito  dell'invito  formulato  ai  sensi
dell'art. 161 cod. proc.  pen.,  hanno  eletto  domicilio  presso  il
difensore di ufficio nominato dalla polizia giudiziaria procedente. 
    Dopo aver precisato che i due imputati sono stati resi edotti del
processo a loro carico  mediante  la  notificazione  del  decreto  di
citazione a giudizio per l'udienza dibattimentale del 29 maggio 2015,
effettuata soltanto al difensore di ufficio, e  che  a  tale  udienza
essi  sono  risultati  assenti,  il  rimettente  afferma  di   essere
«quantunque "costretto" a procedere a mente dell'art. 420 bis comma 2
c.p.p. alla luce della formale elezione di domicilio avutasi» e,  per
tale motivo, dichiara  di  sollevare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale nei termini sopra indicati. 
    Cio' premesso, dopo aver riportato il  testo  dell'art.  420-bis,
comma 2, cod. proc. pen., risultante a seguito della legge 28  aprile
2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di  pene  detentive  non
carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni  in
materia di sospensione del procedimento con messa alla  prova  e  nei
confronti  degli  irreperibili),  il  rimettente  osserva   come   il
legislatore del 2014,  nell'intento  di  conformare  la  legislazione
interna ai dettami della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  in
punto  di  equo  processo  in  absentia,  abbia  individuato   talune
fattispecie normative «sintomatiche di una conoscenza  procedimentale
idonea a legittimare il prosieguo». 
    In  particolare,  il  giudice   a   quo   sofferma   l'attenzione
sull'espressione contenuta nel comma 2 dell'art. 420-bis  cod.  proc.
pen.  la'  dove  si  riferisce  all'imputato  «che  nel   corso   del
procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio». 
    Questa espressione, ad avviso  del  rimettente,  «si  riconnette»
all'art. 161, comma 1, cod. proc. pen., nel cui ambito  e'  possibile
selezionare non solo  ipotesi  che  non  destano  perplessita'  (come
quelle dell'elezione di domicilio presso il difensore  di  fiducia  o
della dichiarazione di domicilio seguita poi da notifica,  anche  non
personale ma, comunque, effettuata alla stregua delle indicazioni  di
cui all'art. 157 cod. proc. pen.), ma anche fattispecie problematiche
e frequentissime nella prassi giudiziaria che, invece, consentono  il
processo in absentia in condizioni «convenzionalmente "critiche"». 
    Tra tali ipotesi problematiche  vi  sarebbe  quella  oggetto  del
presente dubbio di costituzionalita', costituita dalla  notificazione
della  vocatio  in  iudicium  effettuata  soltanto  al  difensore  di
ufficio, nominato dalla polizia giudiziaria e presso  cui  l'indagato
ha eletto domicilio. 
    Il rimettente osserva come nella totalita' dei casi l'elezione (e
la dichiarazione di domicilio) ai fini delle notificazioni  ai  sensi
dell'art. 161 cod. proc. pen. sia un atto che ha luogo in un  momento
di gran lunga antecedente rispetto all'inizio del processo,  «sovente
tenuto a distanza di anni e talora dinanzi ad  Autorita'  Giudiziaria
diversa, per le piu' svariate ragioni processuali, rispetto a  quella
inizialmente titolare del procedimento». 
    Cio'  nonostante,  il   legislatore   del   2014   riconoscerebbe
all'elezione di domicilio  l'idoneita'  a  legittimare  il  prosieguo
dell'instaurando processo, ritenendola sintomatica di una  conoscenza
procedimentale rilevante. 
    Quanto alla possibilita' di letture convenzionalmente  orientate,
il  giudice  a  quo  afferma  di  non   potervi   procedere   perche'
l'espressione «che  abbia  eletto  domicilio»  e'  formula  generica,
comprensiva di tutte le ipotesi sottostanti l'istituto  dell'elezione
di domicilio,  con  la  conseguenza  che  il  giudice  non  puo'  che
proseguire il  processo  a  carico  dell'imputato  che  abbia  eletto
domicilio presso il difensore di ufficio,  in  presenza  di  regolari
notifiche, presso lo stesso, dell'avviso dell'udienza. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente effettua un
preliminare apprezzamento sul piano della ragionevolezza  ex  art.  3
Cost., evidenziando come l'art. 420-bis, comma  2,  cod.  proc.  pen.
accomuni  fattispecie  tra  loro  assai  diverse,  in  quanto  alcune
integrano ipotesi  di  conoscenza  personale  e  diretta  dell'avviso
dell'udienza, mentre altre, come la fattispecie in esame, recano  con
se' l'eventualita' di una conoscenza del processo del tutto legale  e
fittizia. 
    Pertanto, «gia' sul piano intrinseco», secondo il giudice a  quo,
l'elezione di domicilio presso il difensore  di  ufficio  apparirebbe
un'ipotesi eccentrica rispetto a quella  in  cui  l'imputato  assente
abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso di udienza. 
    Assimilare quest'ultima fattispecie, che integra  una  conoscenza
processuale perfetta,  a  quella  in  esame  «non  puo'  che  destare
perplessita' in punto di ragionevolezza». 
    Sotto  il  profilo  della  violazione  dell'art.  117  Cost.,  in
relazione all'art. 6 CEDU,  il  rimettente  osserva  come  il  «perno
logico» del diritto dell'imputato alla  partecipazione  al  processo,
cosi' come interpretato dalla Corte di  Strasburgo,  stia  non  tanto
nell'informazione  circa   accertamenti   o   indagini   di   polizia
giudiziaria in corso, quanto piuttosto  nella  possibilita'  la  piu'
concreta ed effettiva possibile, di avere cognizione  del  momento  e
del luogo  del  processo,  ossia  del  vaglio  giurisdizionale  della
specifica accusa formulata dinanzi ad un giudice terzo e imparziale. 
    Il rimettente ritiene, quindi, che solo la  cognizione  effettiva
di luogo, giorno e ora  del  processo  permetta  di  inferire,  dalla
successiva assenza fisica, una rinuncia implicita a comparire ai fini
di un legittimo prosieguo (sono richiamate le seguenti pronunce della
Corte EDU: decisione del 22 maggio 2007, Böheim c.  Italia;  sentenza
del 12 dicembre 2006, Battisti c. Francia; decisione del 23  novembre
2006, Zaratin c. Italia; decisione del 14 settembre 2006,  Booker  c.
Italia; decisione  dell'8  settembre  2005,  Ivanciuc  c.  Romania  e
sentenza del 5 dicembre 2002, Craxi c. Italia). 
    Sotto il profilo della violazione degli artt. 21 e 111 Cost.,  il
giudice a quo osserva, poi,  come  proprio  dalla  giurisprudenza  di
Strasburgo sia possibile trarre  la  considerazione  secondo  cui  le
informazioni fornite in sede di invito a eleggere domicilio sarebbero
praticamente  nulle  in  punto  di  «accusa   penale   e   coordinate
spazio-temporali», risolvendosi nella mera indicazione  dell'articolo
di legge violato «o poco piu'». 
    L'informazione fornita risulterebbe ben lontana dall'integrare la
debita informazione di cui alla giurisprudenza della CEDU,  idonea  a
legittimare l'inferenza di una volontaria rinuncia a comparire  (sono
indicate, sotto tale profilo, la sentenza del 18 maggio 2004, Somogyi
c. Italia, e la sentenza del 12 ottobre 1992, T. c. Italia). 
    Il rimettente pone,  poi,  in  rilievo  come,  una  volta  eletto
domicilio presso il difensore di ufficio, l'indagato/imputato  assuma
l'obbligo di informare l'autorita' giudiziaria circa i mutamenti  del
domicilio  stesso  nonche'  l'onere  di  monitorare  l'andamento  del
procedimento o del processo e, cio' che piu'  rileva,  di  informarsi
circa  l'«accusa  specifica  elevata  a  proprio  carico  nelle   sue
processuali coordinate spazio-temporali». 
    Cio' posto,  il  giudice  a  quo  afferma  che  se  e'  possibile
appellarsi ad un principio di responsabilita' ai fini di ritenere  la
validita' di molti atti processuali notificati  presso  il  domicilio
eletto,  non  sembra,  invece,  che  la  medesima  conclusione  possa
ritenersi valida con riferimento all'atto fondamentale  del  processo
penale qual e' l'atto introduttivo del processo. 
    Il contenuto normativo dell'art. 161 cod. proc. pen.,  ad  avviso
del rimettente, sarebbe «materia tecnica» per addetti ai lavori e non
facilmente intellegibile dalla  maggioranza  degli  imputati,  spesso
stranieri, che ignorano il reale significato di quella  disposizione,
soprattutto con riferimento alla particolare implicazione processuale
secondo cui, una volta  eletto  domicilio,  nessun  avviso  personale
verra'  mai  piu'  dato.  Infatti,  prima  di  poter  affermare   che
l'imputato abbia rinunciato per facta concludentia ad uno dei diritti
di cui all'art. 6  CEDU,  deve  essere  stabilito  che  egli  potesse
ragionevolmente prevedere le conseguenze della propria condotta (sono
evocate la sentenza del 18 febbraio 2010,  Zaichenko  c.  Russia;  la
sentenza dell'11 dicembre 2008, Panovits c. Cipro; la sentenza del 27
marzo 2007, Talat Tunc c. Turchia e la sentenza del 9 settembre 2003,
Jones c. Regno Unito). 
    Ad avviso del giudice a quo  cosi'  non  e'  nel  caso  in  esame
poiche', ragionando alla  stregua  «dell'indagato  "medio"»,  sarebbe
ragionevole attendersi una vocatio in ius personale,  «specie  quando
cio' avviene a  distanza  di  anni,  come  purtroppo  e'  regola  nel
panorama italiano». 
    Dopo aver riportato il testo degli artt. 111 Cost., 6 CEDU  e  14
del Patto internazionale sui diritti civili e politici, il rimettente
osserva come il «significato risultante  da  tali  disposizioni»  sia
univoco nel delineare non un tenue diritto di informarsi, ma un  piu'
pregnante  diritto  all'informazione  ex  art.  21  Cost.,  «evidente
presupposto necessario del diritto di difesa ex art. 24 Cost.». 
    A cio' sarebbe speculare il correlativo  obbligo,  in  capo  allo
Stato, di informare in modo adeguato ed effettivo, cosi' da garantire
i diritti protetti dall'art. 6 della CEDU (sul punto e' richiamata la
sentenza del 13 maggio 1980, Artico c. Italia). 
    Il rimettente, poi, pur non ignorando che la Corte di  Strasburgo
ha affermato che l'art. 6 CEDU non impone forme particolari circa  le
modalita' con cui l'imputato debba essere informato  in  ordine  alla
natura e alla causa delle  accuse  (sono,  a  tal  fine,  evocate  la
sentenza dell'11 dicembre 2007, Drassich c. Italia; la  sentenza  del
1° marzo 2001, Dallos c. Ungheria e la sentenza del  25  marzo  1999,
Pelissier e Sassi c. Francia), sostiene che tale  affermazione  debba
essere riguardata  alla  luce  di  quanto  parimenti  statuito  dalla
medesima Corte secondo  cui  l'informazione  sull'accusa  costituisce
atto giuridico di importanza tale da dover rispondere a condizioni di
forma e di sostanza idonee a garantire  un  esercizio  effettivo  dei
diritti dell'imputato, sicche' deve  essere  esclusa  una  conoscenza
vaga e indiretta degli addebiti (sono  richiamate,  a  tal  fine,  la
sentenza del 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia; la  sentenza  del  18
maggio 2004, Somogyi c. Italia; la sentenza del 12 ottobre  1992,  T.
c. Italia). 
    Il giudice a quo da' atto di ulteriori decisioni della Corte  EDU
secondo cui e' ben possibile che l'avviso di udienza  sia  notificato
soltanto al difensore e non anche personalmente all'imputato, ponendo
in rilievo come in  tale  ipotesi  la  medesima  Corte  richiede  che
occorre  prestare  una  particolare  diligenza  nel  valutare  se  il
ricorrente  abbia  volontariamente   rinunciato   a   comparire   (e'
richiamata la sentenza del 9 settembre 2004, Yavuz c. Austria). 
    Cio'  puntualizzato,  il  giudice  a  quo  osserva   che,   nella
fattispecie in  esame,  l'inserirsi  della  notifica  dell'avviso  di
udienza  presso  il  domicilio  eletto  in  un  contesto  di   difesa
ufficiosa, priva di quel  piu'  forte  vincolo  insito  nella  difesa
fiduciaria,  «aumenta  esponenzialmente  il  livello  di   criticita'
costituzionale e convenzionale insito  in  un'elezione  di  domicilio
effettuata presso un Difensore sconosciuto, e  sovente  da  parte  di
persone con competenze linguistiche limitate». 
    A tal proposito, il rimettente ricorda le decisioni  della  Corte
EDU in ordine alla difesa di ufficio secondo cui, mentre la nomina di
un  difensore  di  fiducia  induce  a  ritenere  una  conoscenza  del
procedimento sufficientemente idonea a legittimare il  prosieguo  (e'
richiamata la decisione del 14 settembre 2006, Booker c. Italia), non
altrettanto puo'  dirsi  qualora  la  difesa  sia  assicurata  da  un
difensore di ufficio (sono evocate la sentenza del  12  giugno  2007,
Pititto c. Italia, e la sentenza del 28 giugno del 1984,  Campbell  e
Fell c. Regno Unito). 
    Ne', ad avviso del rimettente, potrebbe imputarsi  al  contumace,
ignaro del processo nei suoi confronti, una negligenza per  omissione
di contattare il legale che gli e' stato assegnato  (sono  richiamate
la sentenza del 23 settembre 2004 Celik c. Turkia e la decisione  del
2 settembre 2004 Kimmel c.  Italia,  relative  a  ipotesi  in  cui  i
ricorrenti erano a conoscenza della procedura  e  degli  estremi  del
difensore). 
    In conclusione, il rimettente osserva  come  il  legislatore  del
2014,   nel   mantenere   ferma   la   rilevanza   della   conoscenza
procedimentale derivante dalla elezione o dichiarazione di  domicilio
ai fini del prosieguo del processo, avrebbe fallito nel perseguimento
della finalita' di evitare processi nei confronti  dei  cosiddetti  «
fantasmi». 
    Cio' perche' «imputati di fatto ignari  del  processo  a  proprio
carico nonche' ubicati chissa' dove, forse all'estero e  forse  anche
deceduti - ma che anni prima hanno formalmente  dichiarato  o  eletto
domicilio - continuano ad essere processati, con  una  conseguente  e
continua produzione di titoli con possibilita'  di  esecuzione  assai
dubbie». 
    2.- Con atto depositato in data 8 marzo 2016  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  chiedendo  «il  rigetto
della questione sollevata dal giudice», in quanto le norme  censurate
risultano rispettose dei parametri di costituzionalita'. 
    La difesa dello Stato osserva come  l'elezione  di  domicilio  ai
sensi  degli  artt.  161  e  162  cod.  proc.  pen.  costituisca  una
manifestazione di  volonta'  soggetta  ad  una  specifica  disciplina
formale, la cui violazione determina  la  nullita'  della  successiva
notificazione eseguita presso il difensore domiciliatario,  di  guisa
che l'eventualita'  che  l'imputato  non  venga  a  conoscenza  della
celebrazione del processo e', in linea di massima, imputabile ad  una
negligenza dell'interessato. 
    Nell'eventualita', infatti, in cui risulti che, per caso fortuito
o forza maggiore,  l'imputato  non  sia  stato  nella  condizione  di
comunicare il mutamento del domicilio dichiarato o di quello  eletto,
l'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., stabilisce che la notificazione
all'imputato non detenuto sia eseguita a norma degli artt. 157 e  159
cod. proc. pen. 
    Inoltre, nel caso in cui l'imputato compaia e provi  che  la  sua
assenza sia stata determinata da incolpevole mancata conoscenza della
celebrazione, e' prevista la rimessione in termini a norma degli art.
420-bis, comma 4 e dell'art. 489 cod. proc. pen. 
    Tale rimedio di tipo restitutorio, peraltro,  precisa  la  difesa
dello Stato, opera non solo nel corso del giudizio di primo grado, ma
anche in appello (art.  604,  comma  5-bis,  cod.  proc.  pen.),  nel
giudizio di legittimita' (art. 623, lettera b, cod. proc.  pen.  )  e
anche dopo il passaggio in giudicato  della  sentenza  (art.  625-ter
cod. proc. pen.). In tutti questi  casi,  dunque,  le  sentenze  sono
annullate e gli atti sono restituiti al giudice di  primo  grado,  in
tal modo assicurando all'imputato anche la possibilita' di accedere a
riti alternativi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il giudice monocratico del Tribunale ordinario di  Asti,  con
ordinanza del 10 novembre 2015, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, 21, 24, 111 e 117  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 14 del Patto internazionale  relativo  ai  diritti
civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in
vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso  esecutivo  con  legge  25
ottobre  1977,  n.  881,  e  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n.848  (d'ora  in  avanti  CEDU),  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt.  161  e  163  del  codice  di
procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevedono  la  notifica
personale dell'atto introduttivo del  giudizio  penale,  «quantomeno»
nell'ipotesi di elezione di domicilio presso il  difensore  d'ufficio
«nei termini indicati e argomentati nella parte motiva». 
    Il rimettente reputa che le disposizioni censurate,  nella  parte
in cui non prevedono la notifica personale all'imputato della vocatio
in iudicium, «quantomeno» nell'ipotesi sopra  specificata,  sarebbero
in contrasto, in primo luogo, con l'art. 3 Cost.,  sotto  il  profilo
della violazione del principio  di  ragionevolezza.  In  particolare,
l'art. 420-bis,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  che  «si  riconnette»
all'art. 161, comma 1, cod. proc. pen., accomunerebbe fattispecie tra
loro  eterogenee  e,  cioe',  il  caso   della   notifica   dell'atto
introduttivo del giudizio al solo difensore  di  ufficio  presso  cui
l'indagato ha eletto domicilio (ipotesi che recherebbe  con  se'  una
conoscenza del  processo  legale  e  fittizia)  ed  il  caso  in  cui
l'imputato assente  abbia  ricevuto  personalmente  la  notificazione
dell'avviso di udienza (ipotesi in cui sarebbe, invece, assicurato il
massimo grado di garanzia). 
    Ad avviso del giudice  a  quo,  sarebbe  configurabile  anche  la
violazione dell'art. 117 Cost., in relazione all'art.  6  CEDU,  come
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,  ed  all'art.
14 del Patto internazionale relativo ai diritti  civili  e  politici,
perche' la notificazione effettuata soltanto al difensore di ufficio,
presso cui l'imputato abbia eletto domicilio, non  consentirebbe  una
cognizione effettiva dell'accusa, del giorno, del  luogo  e  dell'ora
del processo, e non permetterebbe di inferire,  in  caso  di  assenza
dell'imputato,  una  sua  rinuncia  implicita  a  comparire  per   il
legittimo prosieguo del processo. 
    Sussisterebbe, poi, un contrasto anche con gli  artt.  21  e  111
Cost., atteso che le  informazioni  fornite  in  sede  di  invito  ad
eleggere  domicilio,  in  punto  di  formulazione  dell'accusa  e  di
coordinate  spazio-temporali,  risolvendosi  nella  mera  indicazione
dell'articolo di legge  asseritamente  violato  «o  poco  piu'»,  non
soddisferebbero «quella completa  base  giuridica  e  fattuale  degli
addebiti mossi» e  non  sarebbero,  pertanto,  idonee  a  legittimare
l'inferenza di una volontaria rinuncia a comparire,  non  integrando,
in tal modo, la «debita  informazione  di  cui  al  diritto  pretorio
CEDU». 
    Inoltre, secondo il giudice a  quo  sussisterebbe  la  violazione
anche dell'art. 24 Cost., poiche' l'esistenza  di  obblighi  e  oneri
informativi  derivanti  dall'art.  161  cod.  proc.  pen.   in   capo
all'indagato/imputato  garantirebbero  solo  un  «tenue  diritto   di
informarsi», e  non  «un  piu'  pregnante  diritto  all'informazione»
evidente presupposto necessario del diritto di difesa. 
    L'art. 24 Cost. sarebbe, altresi', violato perche'  il  contenuto
normativo  dell'art.  161  cod.  proc.  pen.  costituirebbe  «materia
tecnica» non intellegibile dalla maggior parte degli imputati, spesso
stranieri,  che  potrebbero  ignorare  la  particolare   implicazione
processuale secondo cui, una volta eletto  domicilio,  nessun  avviso
personale sara' piu' dato. 
    Il contrasto con  detto  parametro  costituzionale  sussisterebbe
anche perche', mentre la nomina di un difensore di fiducia indurrebbe
a     ritenere     una     conoscenza     «procedimental/processuale»
sufficientemente idonea a legittimare il prosieguo,  non  altrettanto
potrebbe dirsi qualora la difesa fosse assicurata da un difensore  di
ufficio, il quale potrebbe difficilmente assistere il proprio cliente
in assenza di contatti con quest'ultimo, come accadrebbe la' dove  il
difensore di ufficio ignori il domicilio del proprio assistito. 
    In ultimo, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto anche
con l'art. 2 Cost. 
    2.- La questione e' inammissibile per plurimi motivi concorrenti. 
    2.1.- In via preliminare, e' necessario  porre  in  rilievo  come
dall'esame   congiunto   della   motivazione   e   del    dispositivo
dell'ordinanza di rimessione, emerga che il giudice  a  quo  mira  ad
ottenere  una  pronuncia  additiva   volta   ad   introdurre,   nelle
disposizioni censurate, la previsione, quale regola  generale,  della
notifica personale all'imputato  della  vocatio  in  iudicium  o,  in
subordine,  la  notifica  personale  degli  atti   introduttivi   del
giudizio,  «quantomeno»  nell'ipotesi  di   elezione   di   domicilio
effettuata presso il difensore  di  ufficio  nominato  dalla  polizia
giudiziaria nel primo atto compiuto con  l'intervento  della  persona
sottoposta alle indagini. 
    2.2.- Cosi'  impostato  il  thema  decidendum,  la  questione  e'
inammissibile perche' il rimettente non ha descritto in modo adeguato
la fattispecie del giudizio  a  quo,  impedendo  a  questa  Corte  la
necessaria verifica della rilevanza della questione. 
    Con riferimento al procedimento in relazione al quale procede, il
giudice rimettente, infatti, si e' limitato  a  riferire  che  i  due
imputati, in data 17  aprile  2014,  sono  stati  identificati  dalla
polizia giudiziaria in qualita' di persone sottoposte  alle  indagini
in ordine al reato di cui all'art. 624 del  codice  penale;  che,  in
quella stessa sede, sono  stati  invitati  a  dichiarare  o  eleggere
domicilio ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen.; e che, a fronte  di
tale invito, hanno eletto il proprio domicilio presso il difensore di
ufficio nominato dalla  polizia  giudiziaria  procedente,  stante  il
difetto della nomina di un difensore di fiducia. 
    Ebbene, l'esiguita' degli elementi di fatto forniti  impedisce  a
questa Corte  di  valutare  se,  nel  caso  concreto,  vi  sia  stata
un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale
domiciliatario e l'imputato e, quindi, se si siano o meno  realizzate
le  condizioni  da  cui  dedurre  l'esistenza  di  un   rapporto   di
informazione  tra  il  legale,  benche'  nominato   di   ufficio,   e
l'assistito. 
    Il rimettente ha, infatti, omesso di indicare una  pluralita'  di
circostanze utili per stabilire  se  il  difensore,  presso  cui  gli
imputati hanno eletto domicilio, abbia rintracciato i suoi  assistiti
e se abbia instaurato un effettivo rapporto professionale con loro o,
ancora, se  sia  riuscito  a  svolgere  con  continuita'  il  proprio
incarico. 
    Dette informazioni, anche alla luce  di  recenti  sentenze  della
Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione V penale, 6  maggio
2015, n. 37555; sezione IV  penale,  5  aprile  2013,  n.  19781)  si
sarebbero rivelate necessarie per verificare, nel caso di specie,  se
gli imputati  fossero,  effettivamente,  venuti  a  conoscenza  della
vocatio in iudicium oppure, se nonostante  «le  formalmente  regolari
notifiche» presso il domiciliatario, gli imputati non avessero alcuna
consapevolezza dell'inizio del processo a loro carico. 
    L'omessa descrizione di dette circostanze, pertanto, non consente
di valutare se, nel caso  concreto,  il  giudice  fosse  obbligato  a
procedere alla celebrazione dell'udienza in assenza degli imputati e,
quindi, se fosse tenuto a fare applicazione delle norme censurate. 
    Le evidenziate lacune impediscono a questa  Corte  la  necessaria
verifica  della  rilevanza  della  questione  rispetto  al   giudizio
principale,  determinando  l'inammissibilita'  della  questione   (ex
multis, ordinanze n. 218 del 2016, n. 20 del 2014 e n. 181 del 2009). 
    2.3.-  La  questione  e',  altresi',  inammissibile  per  erronea
individuazione della norma censurata. 
    Il rimettente, pur impugnando espressamente gli artt. 161  e  163
cod. proc. pen., argomenta le  censure  riferendosi,  esclusivamente,
all'art. 420-bis, comma 2, cod. proc.  pen.,  come  modificato  dalla
legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di  pene
detentive non carcerarie e  di  riforma  del  sistema  sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova  e  nei  confronti  degli  irreperibili),  norma  inserita
nell'ambito delle disposizioni relative all'udienza preliminare e che
reca ex novo la disciplina del processo  in  absentia,  prevedendo  i
casi in cui, nonostante  l'assenza  dell'imputato,  il  giudice  deve
procedere, comunque, alla celebrazione dell'udienza. 
    Le censure, infatti, sono tutte riferite all'art. 420-bis,  comma
2, cod. proc. pen. ed, in particolare, alla  scelta  del  legislatore
del 2014 di prevedere che il giudice debba celebrare il processo,  in
assenza dell'imputato,  anche  nell'ipotesi  in  cui  nel  corso  del
procedimento questi abbia eletto domicilio. 
    Pertanto, il rimettente avrebbe dovuto sottoporre al sindacato di
questa Corte l'art. 420-bis, comma 2,  cod.  proc.  pen.  (norma  che
indica  i  casi  in  cui  il  giudice  deve  procedere  in   absentia
dell'imputato), eventualmente in combinato disposto con gli artt. 161
e 163 cod. proc. pen.  e  non,  esclusivamente,  questi  ultimi  che,
invece, individuano le regole generali per le notifiche di tutti  gli
atti del procedimento penale. 
    Secondo il consolidato orientamento di  questa  Corte,  l'erronea
individuazione della norma da censurare determina  l'inammissibilita'
della questione (sentenza n. 140 del 2016, ordinanze n. 113 del  2012
e n. 193 del 2009). 
    2.4.- Oltre agli evidenziati profili  di  inammissibilita'  deve,
altresi', rilevarsi come  dalle  numerose  pronunce  della  Corte  di
Strasburgo non emerga affatto l'assoluta necessita' che  la  notifica
dell'atto di accusa sia effettuata personalmente all'imputato. 
    Le stesse statuizioni della Corte europea ammettono che l'atto di
accusa possa non essere notificato personalmente all'imputato e  che,
in  tal  caso,  occorra  valutare  con   particolare   diligenza   la
sussistenza di una rinuncia a  comparire  dell'imputato  (ex  multis,
Corte EDU, sezione prima, sentenza del 9 settembre 2004, Yavuz contro
Austria; sezione prima, sentenza  4  luglio  2002,  Jancikova  contro
Austria). 
    Dalla  giurisprudenza  della  Corte  EDU  non  discende,  quindi,
l'obbligo  della  notifica  personale  dell'atto   introduttivo   del
giudizio, ma la necessita' che gli Stati membri  predispongano  delle
regole alla cui stregua  stabilire  che  l'assenza  dell'imputato  al
processo  possa  essere  ritenuta  espressione  di  una   consapevole
rinuncia a parteciparvi. 
    Inoltre, nella sentenza n. 301 del 1994 questa Corte ha affermato
che  la  facolta'  dell'imputato  di  non  presenziare  al   processo
manifesta una scelta difensiva «che come tale va salvaguardata e  non
puo' essere  configurata  come  obbligatoria  o  coercibile»,  ma  al
contempo ha, altresi', specificato come la  necessita'  di  garantire
all'imputato il diritto di partecipare al dibattimento  consente  che
si possa procedere senza di lui  «solo  se  l'assenza  sia,  in  modo
esplicito od implicito, frutto di una sua libera scelta,  o  comunque
di un suo comportamento volontario (sentenza n. 9 del 1982)». 
    Cio' posto, la  individuazione  degli  strumenti  attraverso  cui
consentire al giudice di verificare che  l'assenza  dell'imputato  al
processo sia espressione,  quindi,  di  una  consapevole  rinuncia  a
comparire non puo' che  essere  affidata  alla  discrezionalita'  del
legislatore, trattandosi di scelte che investono la disciplina  degli
istituti processuali, nella specie quello delle  notificazioni  degli
atti introduttivi del giudizio penale. 
    Pertanto, la richiesta di una pronunzia additiva, implicando  una
soluzione non costituzionalmente obbligata, in ambito di  scelte  che
eccedono i poteri di questa Corte, determina l'inammissibilita' della
questione (ex multis, sentenza n. 214 del 2014 e ordinanza n. 269 del
2015) . 
    2.5.- Infine, con riferimento all'art. 2 Cost. la questione  deve
altresi' essere dichiarata  inammissibile  per  assoluto  difetto  di
motivazione in ordine al parametro evocato.