ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, promossi  dalla  Corte
d'appello di Milano, sezione per i minorenni, con  ordinanze  del  19
febbraio e del 13 maggio 2016, rispettivamente iscritte ai nn.  80  e
154 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 16 e 36, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti l'atto di costituzione  di  V.  S.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  febbraio  2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi l'avvocato Robert Ranieli per  V.  S.  e  l'avvocato  dello
Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'appello di Milano, sezione per  i  minorenni,  con
ordinanza del 19 febbraio 2016 (r.o. n. 80 del 2016),  ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della
Costituzione, una questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
656, comma 9, lettera a), del  codice  di  procedura  penale,  «nella
parte in  cui  prevede  il  divieto  di  sospensione  dell'ordine  di
esecuzione  anche  per  titolo  esecutivo  di   reati   commessi   da
minorenne». 
    Il rimettente premette che  il  Procuratore  generale  presso  la
Corte d'appello di Milano aveva emesso un ordine  di  esecuzione  nei
confronti di V. S., determinando la pena residua  da  espiare  in  un
anno e undici mesi  di  reclusione  e  400  euro  di  multa,  «previa
considerazione che i reati di rapina aggravata ex articolo 628, comma
3, c.p. di cui alla sentenza 101/2015 di questa Corte erano  ostativi
alla applicazione della sospensione ex articolo 656, 5° e  9°  comma,
c.p.p.». 
    Con atto del 22 dicembre 2015 la difesa di V. S.  aveva  proposto
un incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen.  e,
dando atto che il Procuratore  generale  aveva  respinto  la  propria
richiesta di sospensione dell'esecuzione, aveva chiesto  che  venisse
sollevata   una   «"questione   di   illegittimita'    costituzionale
dell'articolo 656, c. 9, lett. a) c.p.p. in quanto in  conflitto  con
gli artt. 27, 3° c., e 31 della Costituzione, nella parte in  cui  si
riferisce a titolo esecutivo per reati commessi da minorenne"». 
    A sostegno della richiesta, la  difesa  del  minore  aveva  fatto
presente che «dal mese di giugno 2015 V. S. era domiciliato presso la
residenza materna, gravato da obbligo di presentazione alla P.G.; che
si era rivolto in via autonoma [...]  all'Istituto  Il  Minotauro  di
Milano  intraprendendo  un  percorso  di   psicoterapia   a   cadenza
settimanale; e  che  stava  iniziando  lo  svolgimento  di  attivita'
socialmente utile presso l'Associazione Campacavallo». 
    Il percorso  di  recupero  sociale  intrapreso  era  stato  pero'
interrotto dalla carcerazione del condannato. 
    Ricostruito  il   quadro   normativo   e   giurisprudenziale   di
riferimento,  la  Corte  rimettente  ha  ritenuto  che  la  questione
sollevata non fosse manifestamente infondata. 
    Nei confronti del minorenne, infatti, il divieto  di  sospensione
dell'esecuzione della pena detentiva in caso di condanna per uno  dei
reati ostativi previsti dall'art. 656,  comma  9,  lettera  a),  cod.
proc. pen. sarebbe in contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost., in
relazione all'art. 31, secondo comma, Cost., il quale, prevedendo che
la Repubblica protegge la  maternita',  l'infanzia  e  la  gioventu',
rafforza il principio «per cui la  sanzione  penale  deve  costituire
occasione per il reinserimento sociale  e  la  risocializzazione  del
condannato minorenne». 
    Anche nella disciplina del processo penale minorile, dettata  dal
d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul
processo penale a carico di  imputati  minorenni),  emergerebbe  «una
tensione ideale verso l'obiettivo  che  quel  processo  sia  il  piu'
possibile confacente alle esigenze  educative  del  minore  imputato,
sicche' espressamente nel decreto si prevede che il  processo  penale
non interrompa processi educativi in atto (articolo 19, comma 2),  si
regolano  plurimi  interventi  finalizzati  a  non   intralciare   lo
svolgersi  di  un   percorso   educativo-evolutivo-relazionale,   nel
presupposto  che  l'interruzione  potrebbe  cagionare  pregiudizio  a
personalita' in  via  di  strutturazione,  e  si  prevedono  istituti
inquadrabili in un ampio principio di residualita'  della  detenzione
quale paradigma sanzionatorio». 
    Insomma il processo penale a  carico  di  imputati  minorenni  si
caratterizzerebbe per la specifica funzione di recupero  del  minore,
assunta a «"peculiare interesse-dovere dello Stato", anche a  scapito
della realizzazione della pretesa punitiva  [...]  (sent.  49/1973)»,
sia  nella  fase  di  cognizione,  sia  in  quella   di   esecuzione,
«attualmente regolata dall'Ordinamento  penitenziario  degli  adulti,
non risultando emanata la "apposita legge" prevista dall'articolo  79
della legge 354/1975». 
    Peraltro, osserva il giudice a quo, la Corte  costituzionale  «ha
gia' piu' volte sottolineato come l'assoluta parificazione tra adulti
e  minori  possa   confliggere   con   le   esigenze   di   specifica
individualizzazione e di flessibilita' del trattamento  del  detenuto
minorenne», con la conseguenza che «la pura e semplice estensione  ai
detenuti  minorenni  della   disciplina   generale   dell'Ordinamento
penitenziario [...] contrast[a] con le esigenze [...] del recupero  e
della risocializzazione dei minori devianti, esigenze che  comportano
[appunto] la necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni
rispetto ai detenuti adulti e di  eliminare  automatismi  applicativi
nell'esecuzione  della   pena   (Corte   Cost.   sentenze   125/1992;
109/1997)». 
    L'esigenza di  rendere  l'esecuzione  penale  nei  confronti  dei
minorenni  conforme  alla  richiamata  giurisprudenza  costituzionale
sarebbe, inoltre, alla base del disegno di legge n.  2798  del  2015,
approvato dalla  Camera  dei  deputati  il  23  settembre  2015,  che
prevede, tra i criteri  direttivi  per  la  riforma  dell'ordinamento
penitenziario,  «l'eliminazione  di  automatismi  e  preclusioni  che
impediscono  o  rendono  gravoso,  per  gli  autori  di   determinate
categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo
(art.  31,  lett.  e)»,   nonche'   «.."l'adeguamento   delle   norme
dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative.." dei  minori
(art. 31, lett. o)». 
    In conclusione, ad avviso della Corte rimettente, la  sospensione
dell'esecuzione della pena prevista  dall'art.  656,  comma  5,  cod.
proc. pen. rappresenta «il  complemento  necessario  alla  previsione
delle misure alternative alla detenzione  carceraria,  perche'  evita
gli effetti desocializzanti  correlati  a  un  passaggio  diretto  in
carcere del condannato che provenga dalla  liberta'  e  che  potrebbe
avere diritto, previa valutazione nel merito rimessa al Tribunale  di
sorveglianza,  a  misura  alternativa».  Percio',  nel  caso  di  una
condanna per reato  commesso  da  un  minorenne,  questa  sospensione
sarebbe «inestricabilmente conness[a] con la finalita' (ri)-educativa
della pena» e il rigido automatismo che la preclude  -  «peraltro  di
per se'  privo  di  apprezzabile  significato  di  "difesa  sociale",
fondandosi la preclusione  solo  su  presunzione  legale  generale  e
astratta  di  aver  riportato  una  condanna  per  taluni  reati»   -
risulterebbe in contrasto con questa finalita', perche'  comporta  la
detenzione in carcere in attesa dell'attivazione del procedimento per
l'applicazione di misure alternative. 
    Con l'ordinanza di rimessione il giudice a quo, nel sospendere il
procedimento esecutivo, ha disposto la scarcerazione del condannato. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
infondata. 
    Secondo la difesa dello Stato la questione sarebbe inammissibile,
perche' mancherebbe, nell'ordinanza  di  rimessione,  la  descrizione
della fattispecie  concreta  oggetto  del  giudizio  principale,  non
avendo il giudice a quo indicato l'epoca di commissione del  reato  e
le condizioni che dovrebbero giustificare l'applicazione delle misure
alternative alla detenzione. 
    La questione sarebbe comunque infondata, in quanto coinvolgerebbe
scelte discrezionali riservate al legislatore, che nel caso di specie
sono giustificate dalla presunzione di pericolosita'  dell'autore  di
reati particolarmente gravi. 
    3.- Nel giudizio si e' costituito anche l'interessato,  chiedendo
che  sia  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della   norma
impugnata. 
    Richiamata la giurisprudenza costituzionale  sulla  finalita'  di
recupero dell'imputato propria della giustizia  minorile,  la  difesa
dell'interessato ha rilevato come il rigido automatismo di esecuzione
della pena, nel caso di condanna  per  un  reato  ostativo  ai  sensi
dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  cod.  proc.  pen.,  sarebbe  in
contrasto  con   la   finalita'   di   risocializzazione   che   deve
caratterizzare  il  trattamento  penale  del  minore  anche  in  fase
esecutiva. 
    La mancata sospensione dell'esecuzione della pena  costituirebbe,
peraltro, la piu' grave forma di  automatismo,  perche'  realizza  la
pretesa punitiva dello Stato,  senza  tener  conto  dell'esigenza  di
recupero  sociale  del  minore,  demandato   alla   successiva   fase
detentiva. 
    4.- La Corte d'appello di Milano, sezione per  i  minorenni,  con
ordinanza del 13 maggio 2016 (r.o. n. 154 del 2016), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo  comma,  Cost.,
una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma  9,
lettera a), cod. proc.  pen.,  «nella  parte  in  cui  stabilisce  il
divieto di sospensione dell'ordine di  esecuzione  anche  per  titolo
esecutivo concernente reati commessi da minorenne». 
    Il rimettente premette che  il  Procuratore  generale  presso  la
Corte d'appello di Milano aveva emesso un ordine  di  esecuzione  nei
confronti del minorenne V. S., determinando la pena da espiare in sei
mesi di reclusione e 150 euro  di  multa,  per  il  reato  di  rapina
aggravata, ex art. 628, primo e terzo comma, numero  1),  del  codice
penale, e per il reato di cui all'art. 4 della legge 18 aprile  1975,
n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per  il  controllo
delle armi, delle munizioni e degli esplosivi). 
    Con atto del 9 maggio 2016 la difesa di V. S. aveva  proposto  un
incidente di esecuzione, ai sensi  dell'art.  666  cod.  proc.  pen.,
dando atto che il Procuratore  generale  aveva  respinto  la  propria
richiesta  di  sospensione  dell'esecuzione,  in  quanto  il   minore
risultava condannato per un  reato  -  la  rapina  aggravata  -  che,
secondo l'art. 656,  comma  9,  lettera  a),  cod.  proc.  pen.,  era
ostativo alla sospensione, e aveva chiesto che venisse sollevata  una
«"questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656 c. 9,  lett.
a) c.p.p., in quanto in conflitto con gli artt. 27, terzo comma e  31
della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  si  riferisce  a  titolo
esecutivo per reati commessi da minorenne"». 
    A sostegno della non manifesta infondatezza della  questione,  il
giudice rimettente ha ribadito le ragioni gia' esposte nell'ordinanza
del 19 febbraio 2016, con cui la medesima Corte d'appello aveva  gia'
sollevato la stessa questione di legittimita' costituzionale. 
    Secondo il giudice rimettente la norma censurata  violerebbe  gli
artt. 27 e 31 Cost., perche' «preclude,  automaticamente  e  solo  in
forza del titolo del commesso  reato,  qualsivoglia  discrezionalita'
del Tribunale di Sorveglianza circa la possibilita' che un autore  di
reato minorenne in stato di liberta',  ove  i  processi  educativi  e
rieducativi in atto  lo  consentano,  inizi  l'esecuzione  penale  in
misura alternativa anziche' fare ingresso in carcere». 
    Per  quanto  concerne  la  rilevanza  della  questione   dovrebbe
considerarsi che il minore ha presentato istanza  di  affidamento  in
prova  al  servizio  sociale  e  ha  gia'  intrapreso   un   processo
rieducativo, attestato anche dall'Ufficio di servizio sociale  per  i
minorenni in una nota del 7 maggio 2016. 
    Con  l'ordinanza  di  rimessione  il  giudice   rimettente,   nel
sospendere il procedimento esecutivo, ha  disposto  la  scarcerazione
del condannato. 
    5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
infondata. 
    Secondo la difesa dello Stato la questione sarebbe inammissibile,
perche'  nell'ordinanza  di   rimessione   mancherebbe   «un'adeguata
motivazione in punto di concreta rilevanza  della  norma  censurata»,
non avendo il giudice a quo indicato «la data di inizio e  la  durata
complessiva»  della  progettata  attivita'  rieducativa»,  ne'  fatto
riferimento   alle    condizioni    che    dovrebbero    giustificare
l'applicazione delle misure alternative al carcere. 
    La questione sarebbe comunque infondata, in quanto coinvolgerebbe
scelte discrezionali riservate  al  legislatore,  che,  nel  caso  di
specie,  sono  giustificate  dalla   presunzione   di   pericolosita'
dell'autore di reati particolarmente gravi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Milano, sezione per  i  minorenni,  con
due ordinanze di analogo tenore (r.o. nn. 80  e  154  del  2016),  ha
censurato, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e  31,  secondo
comma, della Costituzione, l'art.  656,  comma  9,  lettera  a),  del
codice di procedura penale, nella parte in cui prevede il divieto  di
sospensione dell'esecuzione della  pena  detentiva  anche  per  reati
commessi da minorenni. 
    Considerata l'identita'  delle  questioni  sollevate,  i  giudizi
devono essere riuniti per una decisione congiunta. 
    2.- Ad avviso dei giudici rimettenti  la  disposizione  censurata
contrasta con l'art. 27, terzo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.
31, secondo comma, Cost., perche' il  processo  penale  a  carico  di
minorenni dovrebbe  caratterizzarsi  per  la  specifica  funzione  di
recupero del minore, assunta  a  «"peculiare  interesse-dovere  dello
Stato", anche a scapito della realizzazione  della  pretesa  punitiva
[...] (sent. 49/1973)», funzione chiaramente frustrata dal divieto di
sospendere l'esecuzione della pena detentiva. 
    In  particolare  i  giudici  rimettenti  rilevano  che  la  Corte
costituzionale «ha  gia'  piu'  volte  sottolineato  come  l'assoluta
parificazione tra adulti e minori possa confliggere con  le  esigenze
di specifica individualizzazione e di flessibilita'  del  trattamento
del detenuto minorenne», e che  l'estensione  ai  detenuti  minorenni
della disciplina generale «contrast[a]  con  le  esigenze  [...]  del
recupero e della risocializzazione dei minori devianti, esigenze  che
comportano [appunto] la necessita' di  differenziare  il  trattamento
dei minorenni rispetto ai detenuti adulti e di eliminare  automatismi
applicativi  nell'esecuzione  della  pena   (Corte   Cost.   sentenze
125/1992; 109/1997)». 
    La sospensione dell'esecuzione  della  pena,  prevista  dall'art.
656, comma  5,  cod.  proc.  pen.,  rappresenta,  secondo  i  giudici
rimettenti, «il complemento necessario alla previsione  delle  misure
alternative alla detenzione carceraria,  perche'  evita  gli  effetti
desocializzanti correlati a  un  passaggio  diretto  in  carcere  del
condannato che provenga dalla liberta' e che potrebbe avere  diritto,
previa valutazione nel merito rimessa al Tribunale di sorveglianza, a
misura alternativa». Nel caso di condanna di un imputato minorenne la
sospensione dell'esecuzione sarebbe «inestricabilmente conness[a] con
la finalita' (ri)-educativa della pena». 
    3.- Secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei  ministri,
intervenuto  in  entrambi   i   giudizi,   le   questioni   sarebbero
inammissibili  per  un  difetto  di  motivazione   sulla   rilevanza:
nell'ordinanza r.o. n. 80 del 2016 mancherebbe la  descrizione  della
fattispecie oggetto del giudizio principale, non avendo il giudice  a
quo indicato l'epoca di commissione del reato; nell'ordinanza r.o. n.
154 del 2016 mancherebbe l'indicazione della data di inizio  e  della
durata  complessiva  della  progettata  attivita'   rieducativa;   in
entrambe le ordinanze non  sarebbero  menzionate  le  condizioni  che
avrebbero giustificato l'applicazione  delle  misure  alternative  al
carcere. 
    Le eccezioni di inammissibilita' sono infondate. 
    Il rimettente, con l'ordinanza r.o. n. 80 del 2016,  ha  chiarito
che il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano aveva
emesso un ordine di esecuzione nei confronti di V.  S.,  determinando
la pena residua da espiare in un anno e undici mesi di  reclusione  e
400 euro di multa, «previa  considerazione  che  i  reati  di  rapina
aggravata ex articolo  628,  comma  3,  c.p.  di  cui  alla  sentenza
101/2015 di questa  Corte  erano  ostativi  alla  applicazione  della
sospensione ex articolo 656, 5° e 9° comma, c.p.p.», e che la  difesa
dell'interessato aveva proposto un incidente di esecuzione in  quanto
il Procuratore generale aveva respinto la  richiesta  di  sospensione
dell'esecuzione. 
    L'ordinanza di rimessione, quindi,  ha  indicato  il  titolo  del
reato oggetto della condanna della cui esecuzione si tratta e la pena
residua da scontare, precisando che e'  stato  emesso  un  ordine  di
esecuzione,  e'  stata  respinta  la   richiesta   dell'imputato   di
sospensione dell'esecuzione ed e'  stato  proposto  un  incidente  di
esecuzione. 
    Analoghe indicazioni sono state fornite con l'ordinanza  r.o.  n.
154 del 2016. 
    Anche in questo caso il giudice rimettente ha  precisato  che  il
Procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano aveva emesso
un ordine di esecuzione nei confronti di V. S., determinando la  pena
da espiare in sei mesi di reclusione e 150 euro  di  multa,  per  una
rapina aggravata, ex art. 628, primo e terzo comma,  numero  1),  del
codice penale, e per il reato previsto dall'art.  4  della  legge  18
aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina  vigente  per
il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), e che la
difesa del minore aveva proposto un incidente di  esecuzione  perche'
il Procuratore generale aveva respinto la  richiesta  di  sospensione
dell'esecuzione, in quanto la condanna era stata pronunciata  per  un
reato - la rapina aggravata - ostativo alla sospensione. 
    Insomma in entrambi i  casi  le  ordinanze  di  rimessione  hanno
indicato i dati di fatto  che  rendono  le  questioni  rilevanti  nei
rispettivi giudizi a quibus: l'ordine d'esecuzione della sentenza  di
condanna per una pena residua inferiore a tre anni, che consentirebbe
l'applicazione della sospensione dell'esecuzione,  e  il  titolo  del
reato per il quale e' intervenuta la condanna (rapina aggravata), che
preclude la sospensione. Si tratta di dati sufficienti  a  dimostrare
la rilevanza delle  questioni,  rispetto  alla  quale  non  risultano
significativi gli altri elementi  di  fatto  dei  quali  l'Avvocatura
generale dello Stato ha lamentato la mancata indicazione. 
    4.- Nel merito, le questioni sono fondate. 
    Ai sensi dell'art. 656, comma 1, cod. proc. pen., «[q]uando  deve
essere eseguita  una  sentenza  di  condanna  a  pena  detentiva,  il
pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il  quale,  se  il
condannato  non  e'  detenuto,  ne  dispone  la  carcerazione.  Copia
dell'ordine e' consegnata all'interessato». 
    L'art. 656, comma 5, aggiunge che, quando la  pena  detentiva  da
espiare, anche  se  costituente  residuo  di  maggior  pena,  non  e'
superiore a tre anni, e in taluni casi anche a quattro o a sei  anni,
«il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi  7  e  9,  ne
sospende l'esecuzione». 
    La sospensione dell'esecuzione costituisce un istituto di  favore
per i condannati  nei  cui  confronti  devono  essere  eseguite  pene
detentive brevi, perche' ne impedisce l'immediato ingresso in carcere
e da' loro modo di richiedere e,  se  ne  sussistono  le  condizioni,
ottenere una misura alternativa alla detenzione. 
    Per il comma 9, lettera a), dello  stesso  art.  656,  pero',  la
sospensione dell'esecuzione non puo' essere disposta  «nei  confronti
dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26
luglio 1975, n 354, e successive modificazioni, nonche' di  cui  agli
articoli 423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo  comma,  624-bis
del codice penale». 
    Le due  condanne  alle  quali  si  riferiscono  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  in  esame  riguardano   due   minorenni
ritenuti responsabili di rapina aggravata, ai  sensi  dell'art.  628,
terzo comma, cod. pen., cioe'  di  un  reato  che,  essendo  previsto
dall'art. 4-bis, comma 1-ter, della legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta'), e' ostativo alla sospensione. 
    Cio' significa che sulla base della normativa in questione  anche
per i minori non puo' essere disposta la sospensione dell'esecuzione,
e quindi non puo' essere impedito l'ingresso in  carcere.  Una  volta
iniziata l'esecuzione, pero', ben puo' essere  applicata  una  misura
alternativa, sempre che, come richiede  l'art.  4-bis,  comma  1-ter,
della legge n. 354  del  1975,  non  risultino  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata, terroristica o eversiva. 
    5.- Come e' stato chiarito da  questa  Corte,  il  divieto  della
sospensione dell'esecuzione di cui alla lettera a) del comma 9 citato
«si fonda  su  una  "presunzione  di  pericolosita'  che  concerne  i
condannati per i delitti compresi  nel  catalogo"  indicato  in  tale
lettera (ordinanza n. 166 del 2010)» (sentenza n. 125 del 2016). 
    Si tratta, quindi, di stabilire se  il  divieto  di  sospensione,
posto  dalla  norma  censurata,  e   la   relativa   presunzione   di
pericolosita' contrastino con  gli  artt.  27,  terzo  comma,  e  31,
secondo  comma,  Cost.,  laddove  si  riferiscono  all'esecuzione  di
sentenze di condanna pronunciate nei confronti di minorenni. 
    E' costante nella  giurisprudenza  costituzionale  l'affermazione
della  esigenza  che   il   sistema   di   giustizia   minorile   sia
caratterizzato fra l'altro dalla «necessita' di valutazioni, da parte
dello  stesso  giudice,  fondate  su  prognosi  individualizzate   in
funzione del recupero del minore deviante» (sentenze n. 143 del 1996,
n. 182 del 1991, n. 128 del 1987, n. 222 del 1983 e n. 46 del  1978),
anzi su «prognosi particolarmente individualizzate» (sentenza  n.  78
del 1989),  questo  essendo  «l'ambito  di  quella  protezione  della
gioventu' che trova fondamento nell'ultimo comma dell'art. 31  Cost.»
(sentenze n. 128 del 1987 e n. 222  del  1983):  vale  a  dire  della
«esigenza  di  specifica  individualizzazione  e  flessibilita'   del
trattamento che l'evolutivita' della personalita'  del  minore  e  la
preminenza della funzione rieducativa richiedono»  (sentenza  n.  125
del 1992). 
    Di conseguenza e' da ritenere  che  il  divieto  generalizzato  e
automatico di un determinato beneficio contrasti  con  «il  criterio,
costituzionalmente   vincolante,   che   esclude   siffatti    rigidi
automatismi, e richiede sia resa  possibile  invece  una  valutazione
individualizzata e  caso  per  caso,  in  presenza  delle  condizioni
generali costituenti i presupposti per l'applicazione  della  misura,
della idoneita' di questa a conseguire  le  preminenti  finalita'  di
risocializzazione  che  debbono  presiedere   all'esecuzione   penale
minorile» (sentenza n. 436 del 1999). 
    Alla luce  di  questi  principi,  costantemente  affermati,  deve
ritenersi che la rigida preclusione posta  dall'art.  656,  comma  9,
lettera  a),  cod.  proc.  pen.  -  laddove  vieta   la   sospensione
dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei condannati per
i delitti di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 e per gli
altri reati  espressamente  indicati  -  se  applicata  ai  minorenni
contrasti con gli artt. 27 e 31 Cost. 
    Il divieto della sospensione  dell'esecuzione  pone  infatti  nei
confronti  dei  minori  un  rigido  automatismo,   fondato   su   una
presunzione di pericolosita' legata al titolo del reato commesso, che
esclude la valutazione del caso concreto, al punto da impedire,  come
e' avvenuto nei giudizi a quibus (in  cui  era  stato  spontaneamente
intrapreso un percorso di recupero sociale), la  realizzazione  della
specifica funzione rieducativa perseguita con le  misure  alternative
alla detenzione, alle quali la sospensione e' funzionale. 
    E' da aggiungere che imporre l'ingresso in carcere a  un  minore,
che potrebbe evitarlo ed essere assoggettato utilmente a  una  misura
alternativa,  e'  un  fatto  che  non  solo  interrompe  il  percorso
rieducativo eventualmente gia' intrapreso (come e' avvenuto nei  casi
in  esame),  ma  rischia  di  comprometterlo  definitivamente,  anche
perche' i tempi del procedimento per la  concessione  di  una  misura
alternativa non sono brevi, e se  la  pena  e'  particolarmente  mite
(come quella  di  sei  mesi  di  reclusione,  oggetto  della  seconda
ordinanza di rimessione) e' possibile che la concessione della misura
richiesta giunga solo quando l'esecuzione non e' lontana dal termine. 
    Nei confronti dei minori la sospensione  dell'esecuzione  ha  una
funzione determinante, perche', come ha rilevato la Corte rimettente,
«evita gli effetti desocializzanti correlati a un  passaggio  diretto
in carcere del condannato che provenga dalla liberta' e che  potrebbe
avere diritto, previa valutazione nel merito rimessa al Tribunale  di
sorveglianza, a misura alternativa». 
    Deve percio' ritenersi che il divieto di sospendere  l'esecuzione
della pena detentiva  breve,  applicato  in  modo  indiscriminato  al
minore condannato per uno dei reati indicati  dalla  lettera  a)  del
comma 9 dell'art. 656 cod.  proc.  pen.,  imponendone  l'ingresso  in
carcere senza alcuna considerazione per le sue  specifiche  esigenze,
introduce  un  automatismo  incompatibile  con   la   necessita'   di
valutazioni flessibili e individualizzate, dirette a perseguire,  con
il recupero del minore, la finalita' rieducativa della pena. 
    In conclusione, l'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen.,
laddove si applica ai minori, si pone in  contrasto  con  l'art.  31,
secondo comma, Cost., nel  suo  collegamento  con  l'art.  27,  terzo
comma, Cost., non  potendo  ritenersi  conforme  al  principio  della
protezione della gioventu' un regime  che  collide  con  la  funzione
rieducativa della pena irrogata al minore, facendo operare,  in  sede
di esecuzione, il rigido automatismo insito  nella  previsione  della
norma denunciata, che preclude ogni  valutazione  del  caso  concreto
(sentenza n. 16 del 1998). 
    Pertanto l'art. 656, comma 9, lettera  a),  cod.  proc.  pen.  va
dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella  parte  in  cui  non
consente la sospensione  dell'esecuzione  della  pena  detentiva  nei
confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati.