ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 8 (recte:
art. 8, comma 1, lettera l), e 17, commi dal 3 al 6,  19,  comma  10,
21, comma 1, lettera d), 22, comma 4, lettera a), della  legge  della
Regione  Campania  5  aprile  2016,  n.  6  (Prime  misure   per   la
razionalizzazione della  spesa  e  per  il  rilancio  della  economia
campana - Legge collegata alla  legge  regionale  di  stabilita'  per
l'anno 2016), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri  con
ricorso notificato il 3-7 giugno 2016, depositato in  cancelleria  il
13 giugno 2016 ed iscritto al n. 30 del registro ricorsi 2016. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Campania; 
    udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 2017 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Almerina Bove per la  Regione
Campania. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe, notificato il 3-7 giugno 2016, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt.  8,  17,
commi dal 3 al 6, 19, comma 10, 21 comma 1, lettera d), e  22,  comma
4, lettera a), della legge della Regione Campania, 5 aprile 2016,  n.
6 (Prime misure  per  la  razionalizzazione  della  spesa  e  per  il
rilancio  della  economia  campana  -  Legge  collegata  alla   legge
regionale di stabilita' per l'anno 2016), pubblicata sul  BUR  del  5
aprile 2016, n. 22. 
    Ad avviso del Governo l'art. 8 (recte: art. 8, comma  1,  lettera
l), della legge regionale impugnata  sarebbe  in  contrasto  con  gli
artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione sia all'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica
6 giugno 2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)» (da  qui,
TUE), sia al comma 10 dell'art. 5 del decreto-legge 13  maggio  2011,
n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia),
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106;  i
commi dal 3 al 6 dell'art. 17 sarebbero in conflitto con gli artt.  9
e 117, commi primo  e  secondo,  lettere  e),  l)  ed  s)  Cost.;  il
successivo art. 19, comma 10, sarebbe in contrasto  con  il  disposto
dell'art. 81, terzo comma, Cost., mentre l'art. 21, comma 1,  lettera
d),  violerebbe  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in  riferimento
all'art. 44-bis  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  28
dicembre 2000,  n.  445,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamenti in materia di documentazione amministrativa
(Testo A)»; infine, l'art. 22, comma 4, lettera a),  della  legge  in
oggetto sarebbe in conflitto con l'art. 117, terzo comma,  Cost.,  in
riferimento sia all'art. 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sia ai commi 80
e 95 dell'art. 2 della  legge  23  dicembre  2009,  n.  191,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2010)». 
    2.- Evidenzia il ricorrente che l'art. 8  della  legge  regionale
impugnata apporta modifiche alla legge regionale 28 dicembre 2009, n.
19 (Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione
del patrimonio esistente, per la prevenzione del  rischio  sismico  e
per la semplificazione amministrativa), in precedenza gia' oggetto di
altre innovazioni rispetto all'impianto originario. 
    In particolare, il ricorrente segnala che  con  il  comma  1  del
citato art. 8, lettere b), e), f) e g),  l'applicabilita'  di  alcuni
degli incentivi in deroga di cui alla legge regionale n. 19 del  2009
(segnatamente quelli previsti dal comma 2 dell'art. 4,  dal  comma  4
dell'art. 6-bis, nonche' dai commi 5 e 8-bis dell'art. 7),  e'  stata
ancorata alla data di entrata in vigore  della  legge  della  Regione
Campania  18  gennaio  2016,  n.  1,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio di previsione  finanziario  per  il  triennio
2016 - 2018 della Regione Campania - Legge  di  stabilita'  regionale
2016». 
    Il Governo rimarca, inoltre, che  il  citato  art.  8,  comma  1,
lettera h),  ha  modificato  la  disciplina  di  cui  all'art.  7-bis
(Recupero dei complessi produttivi dismessi) della legge regionale n.
19 del 2009, cosi' da conferire ai comuni la  facolta'  di  assentire
interventi di  recupero  e  riutilizzo  di  complessi  industriali  e
produttivi dismessi pur senza  imporre  il  rispetto  del  previgente
vincolo di destinazione ad attivita' produttive. 
    2.1.- Cio' premesso, osserva il Governo che l'art.  8,  comma  1,
lettera l), della legge regionale n. 6 del 2016,  nel  sostituire  il
comma 4-bis dell'art. 12 (Norma finale  e  transitoria)  della  legge
regionale n. 19 del 2009, cosi' recita: « il comma 4-bis dell'art. 12
e' sostituito dal seguente: "4-bis. Le disposizioni di  cui  all'art.
36 del d.P.R. n. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti
dalla presente legge e realizzati dopo  la  sua  entrata  in  vigore,
privi di  titolo  abilitativo  o  in  difformita'  da  esso,  ma  che
risultano  conformi  alla  stessa  legge   sia   al   momento   della
realizzazione  degli  stessi  interventi,  sia   al   momento   della
presentazione della domanda"». 
    Tali disposizioni sarebbero in contrasto con l'art. 36 del TUE il
quale, ai fini del rilascio  del  titolo  abilitativo  in  sanatoria,
richiede  la  doppia  conformita'  alla  disciplina  urbanistica   ed
edilizia vigente, cioe' la conformita' dell'intervento alla normativa
in vigore sia al momento della sua realizzazione sia al momento della
presentazione della domanda. 
    Ad avviso del  Governo,  a  seguito  della  modifica  oggetto  di
censura, le deroghe assentite dalla legge regionale n.  19  del  2009
sarebbero applicabili anche ad interventi che, eseguiti  nei  periodi
intercorrenti tra le varie modifiche ad opera delle  leggi  regionali
sopravvenute nel tempo fino alla data  di  entrata  in  vigore  della
legge regionale n. 1 del 2016, avrebbero dovuto essere realizzati  in
conformita' alla disciplina urbanistica ed edilizia medio-tempore  in
vigore. La disposizione impugnata, dunque, consentirebbe il  rilascio
del titolo abilitativo in sanatoria pur in presenza di abusi non solo
formali  ma  anche  sostanziali,  in  aperta  contraddizione  con  il
disposto  dell'evocato  art.  36  del  TUE  cui   questa   Corte   ha
riconosciuto natura  di  principio  fondamentale  vincolante  per  la
legislazione regionale, siccome finalizzato  a  garantire  l'assoluto
rispetto della disciplina urbanistica e edilizia durante tutto l'arco
temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione
dell'istanza volta ad ottenere il permesso in sanatoria. 
    Secondo il ricorrente, un esempio evidente di siffatta violazione
sarebbe offerto dalle modifiche apportate  all'art.  7-bis  (Recupero
dei complessi produttivi dismessi) della legge regionale  n.  19  del
2009, introdotte dall'art.  8,  comma  1,  lettera  h),  della  legge
regionale impugnata;  disposizione,  questa,  che  oggi  consente,  a
differenza del passato, il recupero dei complessi produttivi dismessi
pur senza mantenere fermo il vincolo  rappresentato  dalla  pregressa
destinazione  ad  attivita'  produttive.  Per  effetto  della   nuova
disciplina transitoria, adduce il  Governo,  anche  il  recupero  dei
plessi  produttivi  non  coerente  con  il  precedente   vincolo   di
destinazione, realizzato prima dell'entrata in vigore della  modifica
apportata dalla legge regionale impugnata,  sarebbe  suscettibile  di
sanatoria perche' conforme alla  disciplina  attualmente  vigente.  E
tanto sarebbe in conflitto non solo con l'art. 36 del  TUE  ma  anche
con il disposto di cui all'art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, il  quale
esclude, per gli immobili abusivi, l'applicabilita' delle  misure  di
premialita' assentite dalle leggi regionali ricomprese,  come  quella
della Regione Campania n. 19 del 2009, nel programma nazionale meglio
noto con il sintagma «Piano Casa». 
    2.2.- Il Governo rimarca, inoltre, che, a seguito delle modifiche
nel  tempo  apportate  alla  legge  regionale  n.  19  del  2016,  le
amministrazioni comunali si troveranno, con tutta probabilita', nella
condizione  di  non  essere  in  grado  di  individuare  la  data  di
esecuzione degli interventi oggetto di verifica  di  conformita'  con
riguardo alla  disciplina  urbanistico-edilizia  vigente  al  momento
della relativa realizzazione. Tanto renderebbe comunque inapplicabile
il principio statale della doppia  conformita',  cosi'  da  porre  la
disciplina regionale in contrasto con i  principi  costituzionali  di
ragionevolezza  e  buon  andamento  dell'azione  amministrativa   con
conseguente violazione degli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost. 
    3.- Il ricorrente lamenta, altresi',  l'illegittimita'  dell'art.
17, commi dal 3 al 6, della legge regionale n. 6  del  2016,  per  la
ritenuta violazione degli artt. 9  e  117,  commi  primo  e  secondo,
lettere e), l) e s), Cost. 
    L'art. 17 in oggetto, si segnala nel ricorso, contiene norme  per
lo  sviluppo  del  turismo  balneare;  piu'  precisamente,  i   commi
censurati, prevedono una procedura comparativa ad  evidenza  pubblica
per il rinnovo delle concessioni demaniali marittime, in forza  della
quale   il   concessionario   subentrante   deve   corrispondere   al
concessionario uscente un indennizzo basato su una stima  del  valore
aziendale di riferimento. Tali disposizioni violerebbero l'art.  117,
primo comma, Cost. perche'  in  contrasto  con  i  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e
liberta' di stabilimento, introducendo un trattamento di  favore  per
il concessionario uscente cosi' da ostacolare l'apertura del mercato.
Le disposizioni in oggetto violerebbero, inoltre, l'art. 117, secondo
comma, lettere e), l) e s)  Cost.,  perche'  sarebbero  destinate  ad
operare in ambiti legislativi coperti  dalla  riserva  ascritta  allo
Stato in materia di tutela della concorrenza,  ordinamento  civile  e
tutela dell'ambiente. Infine, la norma regionale  in  esame  presenta
aspetti di incostituzionalita' anche sotto il  profilo  della  tutela
del paesaggio  e  dell'ambiente,  materie  attratte  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato, nella parte  in  cui  consente  il
permanere  delle  opere  realizzate  dal  concessionario  sul   suolo
demaniale in contrasto con la legislazione nazionale  in  materia  di
concessioni demaniali marittime, nella quale vige il principio  della
riduzione «in pristino» sancito dall'art. 49  del  regio  decreto  30
marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione). 
    4.- Con il ricorso si denunzia anche  l'illegittimita'  dell'art.
19, comma 10, della legge regionale n. 6  del  2016,  per  violazione
dell'art. 81, terzo comma, Cost. 
    La norma censurata autorizza, nei limiti delle disponibilita'  di
bilancio,  un  finanziamento  aggiuntivo  in  favore   della   Citta'
metropolitana di Napoli per  l'intervento  «Apertura  svincoli  SP  1
circonvallazione esterna di Napoli e SP 500» di cui al IV  protocollo
aggiuntivo stipulato in  data  23  marzo  2007  tra  Ministero  dello
sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e  dei  trasporti,
Regione Campania ed ANAS. Cio', tuttavia, per quanto evidenziato  dal
ricorrente, senza individuare la fonte di copertura  finanziaria  del
predetto  onere  aggiuntivo,  oltre  che  in  contraddizione  con  la
clausola  di  invarianza  finanziaria  prevista  dall'art.  29  della
medesima legge regionale. 
    Da qui l'addotto contrasto l'art. 81, terzo comma, Cost. 
    5.- Il Governo impugna altresi' l'art. 21, comma 1,  lettera  d),
della legge regionale in disamina, disposizione ritenuta in  asserito
contrasto  con  l'art.  44-bis  del  d.P.R.  n.  445  del  2000,  con
conseguente violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  avuto
riguardo alla materia della «tutela e sicurezza del lavoro». 
    La norma censurata  stabilisce  che  «[p]er  attivare  azioni  di
contrasto al lavoro nero nel comparto delle costruzioni e al fine  di
promuovere la sicurezza nei cantieri,  per  i  lavori  edili  privati
oggetto di permesso di costruire, segnalazione certificata di  inizio
attivita' (SCIA), denuncia di inizio attivita'  (DIA),  comunicazione
inizio lavori (CIL) o comunicazione inizio lavori asseverata (CILA)»,
il direttore dei lavori provvede «[...] a trasmettere allo  Sportello
unico dell'edilizia (SUE), all'inizio e alla fine dei lavori, il DURC
dell'azienda esecutrice, attestante la sua regolarita' contributiva e
le avvenute comunicazioni di inizio e di fine lavori effettuate  agli
enti previdenziali, assicurativi e infortunistici e alla Cassa  edile
competenti per territorio». 
    Tale disposizione, nell'assunto sotteso al  ricorso,  sarebbe  in
contrasto con l'art. 44-bis del citato d.P.R. n.  445  del  2000,  il
quale  prevede  che  «[l]e  informazioni  relative  alla  regolarita'
contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero  controllate  ai  sensi
dell'articolo 71, dalle  pubbliche  amministrazioni  procedenti,  nel
rispetto della specifica normativa di settore». Cio' perche'  con  la
norma  impugnata  si  pone  a  carico  della  direzione  dei   lavori
un'incombenza che, ai sensi della legislazione statale,  grava  sulla
pubblica amministrazione procedente, essendo soggetta ad una norma di
principio  che  prevede  un  potere  di  intervento  e  di   verifica
d'ufficio. Di qui l'addotta violazione dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost. 
    6.- Con il ricorso viene denunziata,  infine,  la  illegittimita'
costituzionale  dell'art.  22,  comma  4,  lettera  a),  della  legge
regionale n. 6 del 2016, perche' in  asserito  contrasto  con  l'art.
8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 e con l'art. 2, commi  80  e  95,
della legge n. 191 del 2009, con conseguente violazione  degli  artt.
117, terzo comma, e 120 Cost. Evidenzia il  Governo  che  la  Regione
Campania e' sottoposta ad un piano di rientro dal disavanzo sanitario
ed al conseguente commissariamento. Cio' premesso, si osserva che  la
norma censurata ha modificato l'art. 1 della legge regionale 7 agosto
2014, n. 16, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell'economia
regionale  nonche'  di  carattere   ordinamentale   e   organizzativo
(collegato alla legge di stabilita' regionale  2014)»,  inserendo  il
comma 151-bis, il quale  prevede  che  «La  Regione  Campania,  ferme
restando le prerogative spettanti  all'organo  commissariale  per  il
piano di rientro della spesa sanitaria, assume  le  opportune  azioni
per l'incremento delle strutture accreditate  con  i  sistemi  PET/TC
anche per superare gli attuali squilibri territoriali di offerta  per
l'utenza». Tale disposizione sarebbe in contrasto sia con i  principi
fondamentali della legislazione statale in materia di  autorizzazione
e accreditamento, sia con il piano di rientro della Regione  Campania
e con le relative prerogative del  commissario  ad  acta:  prescinde,
infatti, dalla rilevazione del fabbisogno delle  predette  strutture,
ponendosi peraltro in conflitto con  le  determinazioni  assunte  dal
Commissario ad acta della Regione Campania con decreto del 12  maggio
2016, n. 32, cosi' da dare corpo alla denunziata violazione dell'art.
120, secondo comma, Cost. In secondo luogo, ad avviso del Governo  la
disposizione regionale in questione  interferisce  con  il  piano  di
rientro della Regione Campania e quindi con l'art. 2, commi 80 e  95,
della legge n. 191 del 2009. Ne consegue la violazione dell'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione,  per  contrasto  con  i  principi
fondamentali della legislazione statale in materia  di  tutela  della
salute e di coordinamento della finanza pubblica. 
    7.- La Regione Campania si e' costituita con atto depositato il 7
luglio 2016 contestando l'inammissibilita' e, in subordine, adducendo
l'infondatezza delle censure prospettate dal Governo. 
    8.-  Con  atto  depositato  il  30  novembre  2016,  il   Governo
ricorrente,  in  forza  della  delibera  in  tal  senso  assunta  dal
Consiglio  dei  ministri  nella  seduta  del  9  novembre  2016,   ha
dichiarato  di  rinunziare  al  ricorso  limitatamente  alle  censure
rivolte agli artt. 17, commi dal 3 al 6, 19, comma 10, e 22, comma 4,
lettera a), della legge regionale n. 6 del 2016; norme, queste, tutte
abrogate dalla legge della Regione Campania  8  agosto  2016,  n.  22
(Legge  annuale  di  semplificazione  2016  -  Manifattur@  Campania:
Industria 4.0). 
    9.- La  Regione  Campania,  con  delibera  assunta  dalla  Giunta
regionale in data 13 dicembre 2016, depositata agli atti del presente
giudizio in data 28 dicembre 2016, ha accettato la rinunzia  parziale
al ricorso. 
    10.- Con  memoria  depositata  il  13  marzo  2017,  l'Avvocatura
generale dello Stato ha ribadito  le  ragioni  segnalate  a  sostegno
delle residue questioni poste allo scrutinio della Corte. 
    10.1.- In particolare, avuto  riguardo  alla  questione  relativa
all'art. 8 della legge regionale impugnata, il Governo ha evidenziato
che  la  disposizione  censurata,  ponendosi  in  conflitto  con   il
principio della doppia conformita'  imposto  dall'art.  36  del  TUE,
finisce per prevedere un vero e proprio condono. La norma  censurata,
secondo   l'assunto   del   ricorrente   richiede   la    conformita'
dell'intervento «alla stessa legge» (ossia la legge regionale  n.  19
del 2009) e  non  «[...]  alla  disciplina  urbanistica  ed  edilizia
vigente» sia al momento della realizzazione degli stessi  interventi,
sia al momento della presentazione della domanda, cosi' come previsto
dal parametro  interposto  all'uopo  evocato.  Consente,  dunque,  di
sanare interventi conformi alla citata disciplina regionale nella sua
attuale formulazione, frutto di successivi interventi di modifica,  e
non a quella vigente all'epoca della loro esecuzione. 
    10.2.- Quanto  alla  medesima  questione,  prospettata  sotto  il
diverso versante dei parametri costituzionali offerti dagli artt. 3 e
97 Cost., nonche' con  riferimento  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  21,  comma  1,  lettera  d),  della  legge
regionale n. 6 del 2016, con la memoria in oggetto vengono ribaditi i
temi di censura prospettati con il ricorso. 
    11.- Con memoria depositata il 14 marzo 2017 la Regione  Campania
ha evidenziato che l'art. 8 della legge regionale impugnata  contiene
diverse disposizioni. Il Governo, pur se  nella  intestazione  e  nel
petitum del ricorso mostra di fare  riferimento  alla  illegittimita'
dell'intero portato  del  citato  art.  8,  nell'argomentare  avrebbe
tuttavia limitato le censure esclusivamente al disposto del comma  1,
lettera l), con il quale e' stato modificato il comma 4-bis dell'art.
12 della legge regionale n. 19 del 2009. 
    Di qui, ad avviso  della  convenuta,  la  inammissibilita'  della
questione nella parte non riferita a tale ultima disposizione, per la
indeterminatezza dell'assunto. 
    11.1.- In ordine alle  censure  prospettate  con  riferimento  al
comma 1, lettera l), dell'art. 8 della legge regionale impugnata,  se
ne prospetta l'infondatezza. 
    Secondo la Regione la  disposizione  censurata  non  si  pone  in
contrasto con l'art. 36  del  TUE;  piuttosto,  oltre  a  richiamarne
espressamente il tenore, ne attua il portato, risultando  esplicitato
il riferimento alla doppia conformita' quale presupposto fondante  il
rilascio  del  permesso  in  sanatoria.   La   disciplina   regionale
contestata, osserva la Regione, non contiene alcuna deroga al dettato
dell'art. 11 delle preleggi, ne' vi sarebbero ragioni per discostarsi
dal principio  generale  del  tempus  regit  actum  nel  valutare  la
possibilita'  di  assentire  un  intervento  edilizio  attratto  alla
disciplina derogatoria prevista dalla legge n. 19 del 2009 alla  luce
della disposizione  censurata:  la  conformita'  andra'  in  coerenza
verificata guardando  alla  legislazione  vigente  al  momento  della
realizzazione dell'opera ed a  quello  della  domanda  in  sanatoria,
mentre saranno  da  ritenersi  indifferenti  le  modifiche  normative
apportate  al  tenore  originario  della  legge  in  questione,   ove
successive alla data di esecuzione dell'opera. 
    Per la Regione Campania la novita' della  disposizione  censurata
rispetto  al   tenore   previgente   consisterebbe,   dunque,   nella
possibilita' di sanare unicamente le difformita'  formali  realizzate
successivamente alla entrata in vigore della legge  regionale  n.  19
del 2009, in coerente attuazione dei parametri  statali  evocati  dal
Governo. 
    11.2.-  Sarebbe  infondata  anche  la  censura  prospettata   nei
confronti della stessa disposizione in riferimento agli artt. 3 e  97
Cost., potendo i Comuni risalire al momento di esecuzione  dell'opera
e dunque alla individuazione della normativa vigente all'epoca grazie
al contenuto della richiesta del permesso di costruire in  sanatoria,
la quale presuppone la puntuale indicazione della data  di  inizio  e
conclusione dei relativi lavori. 
    11.3.-  Infine,  avuto  riguardo  alla  questione  promossa   con
riferimento all'art. 21, comma 1, lettera d), della  legge  regionale
impugnata, si  prospetta  l'inammissibilita'  della  censura  per  la
assoluta   indeterminatezza   dell'assunto,    e,    in    subordine,
l'infondatezza della stessa  atteso  che  la  disposizione  impugnata
appare coerente alla possibilita' del  controllo  delle  informazioni
offerte dall'interessato garantita  dalla  stessa  normativa  statale
evocata dal Governo a supporto della denunzia di  incostituzionalita'
mediante l'esplicito richiamo all'art. 71 del d.P.R. n. 445 del 2000. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato  gli
artt. 8, 17, commi dal 3 al 6, 19, comma 10, 21, comma 1, lettera d),
e 22, comma 4, lettera a),  della  legge  della  Regione  Campania  5
aprile 2016, n. 6 (Prime misure per la razionalizzazione della  spesa
e per il rilancio della economia campana - Legge collegata alla legge
regionale di stabilita' per l'anno 2016),  disposizioni  ritenute  in
contrasto con gli artt. 3, 9, 81, terzo  comma,  97,  secondo  comma,
117, commi primo, secondo, lettere e), l), s), e terzo, e  120  della
Costituzione. 
    2.- Nelle more del giudizio, il ricorrente, con delibera  assunta
dal Consiglio dei ministri il 9 novembre  2016,  ha  rinunziato  alla
questione di legittimita'  costituzionale  in  oggetto  limitatamente
agli artt. 17, commi dal 3 al 6, 19, comma 10, e 22, comma 4, lettera
a), della legge regionale impugnata,  in  ragione  della  intervenuta
abrogazione delle citate disposizioni  ad  opera  della  legge  della
Regione  Campania  8  agosto  2016,   n.   22   (Legge   annuale   di
semplificazione 2016 - Manifattur@ Campania: Industria 4.0). 
    La Regione ha depositato una nota contenente l'accettazione della
rinunzia, deliberata dalla  Giunta  regionale  nella  seduta  del  13
dicembre 2016. 
    Con riferimento alle citate disposizioni, dunque,  va  dichiarata
l'estinzione  del  processo  ai  sensi  dell'art.  23   delle   norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale. 
    3.- L'oggetto del giudizio risulta in conseguenza  limitato  alle
sole questioni relative alle disposizioni di cui agli artt. 8  e  21,
comma 1, lettera d), della legge regionale impugnata. 
    4.- Ad avviso del Governo, l'art.  8  della  legge  regionale  in
disamina violerebbe  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  perche'  in
contrasto con i principi  fondamentali  espressi  dalla  legislazione
statale nella materia «governo del territorio» quali, in particolare,
quelli stabiliti  dall'art.  36  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.  (Testo
A)» (di seguito, TUE) e dal comma 10 dell'art. 5 del decreto-legge 13
maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  12  luglio
2011, n. 106. 
    Il citato art. 8, secondo quanto  addotto  nel  ricorso,  sarebbe
inoltre in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. 
    5.- L'art.  8  della  legge  regionale  n.  6  del  2016  incide,
modificandone parzialmente il contenuto, sulla  legge  della  Regione
Campania 28 dicembre 2009, n. 19  (Misure  urgenti  per  il  rilancio
economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente,  per  la
prevenzione  del   rischio   sismico   e   per   la   semplificazione
amministrativa), attuativa del programma nazionale meglio noto con il
sintagma  «Piano  Casa»,  delineato   dall'Intesa   raggiunta   dalla
Conferenza unificata Stato Regioni del 31 marzo 2009. 
    La disposizione censurata, in particolare,  costituisce  l'ultimo
degli interventi di modifica sopravvenuti  nel  tempo  relativi  alla
citata disciplina regionale, la quale contiene alcune misure premiali
(sostanzialmente ampliamenti volumetrici e  di  superficie:  art.  1,
comma 2), in deroga  ai  vigenti  strumenti  urbanistici,  legate  ad
interventi  edilizi  funzionali  a  garantire  la  realizzazione   di
determinati obiettivi  di  massima  (quelli  precisati  dal  comma  1
dell'art. 1). 
    5.1.- Avuto riguardo alla detta disposizione, il ricorso rassegna
un'esposizione argomentativa sostanzialmente suddivisa in due parti. 
    In una prima parte, il Governo  si  limita  a  descrivere  alcune
delle modifiche  alla  disciplina  sul  «Piano  Casa»  della  Regione
Campania apportate dall'art. 8 in oggetto. 
    In  particolare,  si  fa  riferimento  sia   ad   alcune   misure
incentivanti gia' presenti nella struttura dalla legge  regionale  n.
19 del 2009 (segnatamente  quelle  previste  dall'art.  4,  comma  2,
lettera g, nonche' dall'art. 6-bis, comma 4, e dall'art. 7, commi 5 e
8-bis), rispetto alle quali viene individuata nella entrata in vigore
della legge della Regione Campania 18 gennaio  2016,  n.  1,  recante
«Disposizioni  per  la  formazione   del   bilancio   di   previsione
finanziario per il triennio 2016 -  2018  della  Regione  Campania  -
Legge  di  stabilita'  regionale   2016»,   la   data   di   relativa
applicabilita' (in ragione di quanto dettato con il comma 1,  lettere
b, e,  f,  g  dell'art.  8  in  oggetto);  sia  alla  modifica  della
disciplina dettata dall'art. 7-bis (Recupero dei complessi produttivi
dismessi) della legge regionale del 2009, cosi' come  introdotta  dal
comma 1, lettera h), sempre dell'art. 8 della legge impugnata. 
    5.2.- Posta tale premessa, il Governo censura  esclusivamente  il
comma 1, lettera l), dell'impugnato art.  8,  che  ha  sostituito  il
comma 4-bis dell'art. 12 della legge regionale n. 19 del 2009. 
    La norma oggi sostituita da quella censurata cosi' recita: «[...]
4-bis. Le disposizioni di cui all'art. 36 del d.P.R. n.  380/2001  si
applicano anche agli  interventi  previsti  dalla  presente  legge  e
realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo
o in difformita' da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge
sia al momento della realizzazione degli stessi  interventi,  sia  al
momento della presentazione della domanda». 
    5.2.1.-  Ad  avviso  del  Governo  tale  previsione  sarebbe   in
conflitto con l'art. 36 del TUE, disposizione cui la  Corte  (con  la
sentenza n. 101 del 2013) ha gia' riconosciuto  natura  di  principio
fondamentale nella materia «governo del territorio», nella  parte  in
cui subordina il rilascio del titolo abilitativo  in  sanatoria  alla
riscontrata  presenza  del   requisito   della   cosiddetta   «doppia
conformita'», cioe' della conformita' dell'intervento alla disciplina
urbanistica  ed  edilizia  in  vigore  sia  al  momento   della   sua
realizzazione sia al momento della  presentazione  della  domanda  di
sanatoria. 
    Secondo  la  tesi  del  ricorrente,  esplicitata   con   maggiore
precisione nella  memoria,  la  disposizione  censurata  richiede  la
conformita' dell'opera «alla stessa legge» (ossia la legge  regionale
n. 19 del 2009) e non «[...] alla disciplina urbanistica ed  edilizia
vigente sia al momento della realizzazione degli  stessi  interventi,
sia  al  momento  della  presentazione  della  domanda»,  cosi'  come
previsto dal parametro interposto  all'uopo  evocato.  Consentirebbe,
dunque, di sanare opere conformi  alla  citata  disciplina  regionale
nella sua attuale formulazione, frutto di  successivi  interventi  di
modifica, e non a quella vigente all'epoca della loro esecuzione.  Si
darebbe  luogo,  nella  sostanza,  ad  una   sanatoria   surrettizia,
trasformando in  abusi  "formali"  le  violazioni  sostanziali  della
disciplina urbanistica ed edilizia vigente all'epoca  delle  relative
opere. Cio',  peraltro,  in  ulteriore  immediato  contrasto  con  il
disposto di cui all'art. 5, comma  10,  del  d.l.  n.  70  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  106  del  2011,  che
esclude, per gli immobili abusivi, le misure di premialita'  previste
dalle leggi regionali ricomprese, come quella della Regione  Campania
n. 19 del 2009, nel  citato  programma  nazionale  denominato  «Piano
Casa». 
    5.2.2.- Il ricorrente sostiene, inoltre,  che,  a  seguito  delle
diverse modifiche  sopravvenute  nel  tempo  rispetto  all'originario
impianto della legge regionale n. 19  del  2016,  le  amministrazioni
comunali si troveranno nella condizione di non  essere  in  grado  di
verificare la data di effettiva  esecuzione  dei  singoli  interventi
edilizi  ricompresi  nell'ambito  di  previsione  del  «Piano   Casa»
adottato  dalla  Regione  convenuta.  Cio'  renderebbe  in   concreto
inapplicabile il principio fondamentale  espresso  dall'art.  36  del
TUE, cosi' da porre la disciplina  regionale  censurata  comunque  in
conflitto con i principi  costituzionali  di  ragionevolezza  e  buon
andamento   dell'azione   amministrativa,    per    la    sostanziale
impossibilita' di  risalire  alla  normativa  vigente  alla  data  di
realizzazione delle opere. 
    Di qui la denunziata violazione anche degli artt. 3 e 97, secondo
comma, Cost. 
    6. -  Occorre  preliminarmente  individuare  l'oggetto  effettivo
della questione da scrutinare, per il vero  non  coincidente  con  il
portato letterale del petitum all'uopo articolato. 
    Come  evidenziato  dalla  Regione   convenuta,   intestazione   e
conclusioni esposte  nel  ricorso  attingono  l'art.  8  della  legge
regionale impugnata nel suo integrale dettato, senza distinguere  tra
le diverse disposizioni delle quali lo stesso si compone. 
    La lettura complessiva del ricorso rende, tuttavia, evidente  che
il Presidente del Consiglio dei ministri ha censurato  esclusivamente
il citato comma 1, lettera l), del detto art.  8.  I  riferimenti  ad
altre disposizioni dell'impugnato articolo sono stati infatti svolti,
come sopra precisato, in funzione meramente descrittiva delle diverse
modifiche (o meglio di alcune di esse) apportate alla legge regionale
n. 19 del 2009. Essi non valgono  quindi  ad  estendere,  oltre  tale
perimetro, la questione sollevata, ma hanno  chiara  e  mera  valenza
paradigmatica delle possibili derive  interpretative  correlate  alla
modifica dell'art. 12, comma 4-bis, della citata legge  regionale  n.
19 del 2009 apportata dalla disposizione censurata. 
    7.- Cosi'  delimitato  l'oggetto  della  censura  in  esito  alla
ricostruzione interpretativa  dell'effettivo  contenuto  del  ricorso
(sentenze n. 61 del 2011 e n. 299  del  2010),  cade  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dalla Regione in  parte  qua;  emerge,  al
contempo,   la   fondatezza   nel   merito    della    illegittimita'
costituzionale addotta dal Governo ricorrente. 
    7.1.- Questa Corte ritiene - per economia di giudizio, e  facendo
ricorso al proprio potere di decidere  l'ordine  delle  questioni  da
affrontare, eventualmente dichiarando assorbite le altre (sentenza n.
98 del 2013) - di dovere esaminare anzitutto l'eccepita lesione degli
artt. 3 e 97 Cost. 
    7.2.- Avuto riguardo ai detti  parametri,  va  rimarcato  che  la
formulazione letterale della disposizione censurata puo' prestarsi  a
dubbi interpretativi  in  ordine  al  rispetto  del  requisito  della
«doppia conformita'» imposto dalla disciplina statale di riferimento,
cosi' da determinare potenziali incertezze nell'azione amministrativa
diretta alla verifica della  legittimita'  degli  interventi  edilizi
ricompresi nell'ambito della normativa di favore prevista dal  «Piano
Casa» della Regione convenuta. 
    Al riguardo  va  infatti  ricordato  che  questa  Corte  (con  la
sentenza n. 101  del  2013)  ha  desunto  dall'art.  36  del  TUE  il
richiamato principio fondamentale in forza  del  quale  e'  possibile
ottenere un  permesso  in  sanatoria  solo  se  l'intervento  risulti
conforme alla disciplina  urbanistica  ed  edilizia  vigente  sia  al
momento della  realizzazione  dello  stesso,  sia  al  momento  della
presentazione della domanda. 
    7.2.1.- E' ben vero che la norma contiene un espresso riferimento
all'art. 36 del TUE e che ne ribadisce, richiamandolo, il  contenuto.
Al contempo,  tuttavia,  la  disposizione  censurata  si  differenzia
sensibilmente dal tenore letterale dello stesso in  termini  tali  da
favorirne possibili letture alternative non necessariamente in  linea
con il concetto della «doppia conformita'», cosi' come cristallizzato
da questa Corte con il precedente gia' citato. 
    Piu' precisamente,  la  disciplina  regionale  si  distanzia  dal
segnalato parametro  interposto  laddove  afferma  che  l'opera  deve
essere conforme «alla stessa legge» (ossia alla legge regionale n. 19
del 2009), in luogo della prescrizione, dettata dalla norma  statale,
secondo cui essa deve essere conforme «alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente [...]  sia  al  momento  della  realizzazione  degli
stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda».
Peraltro, tale modifica del tenore letterale dell'art.  36  del  TUE,
pur espressamente richiamato e parzialmente riprodotto, e' effettuata
dalla norma censurata senza ragionevoli giustificazioni. 
    Queste differenze di contenuto finiscono per incidere sul  nucleo
della  previsione  statale:  in  particolare,  la  mancata   espressa
precisazione, che deve  comunque  farsi  rifermento  alla  disciplina
«vigente» alla data di realizzazione dell'intervento, rappresenta  un
elemento testuale di  differenziazione  potenzialmente  in  grado  di
indurre l'interprete a ritenere che  siano  sanabili  opere  conformi
alla disciplina regionale nella sua attuale formulazione,  frutto  di
successivi interventi di modifica, e non a quella  vigente  all'epoca
della loro esecuzione. 
    7.2.2.- Vero e' che, secondo la giurisprudenza di  questa  Corte,
non ogni incoerenza o  imprecisione  di  una  norma  puo'  venire  in
questione ai fini dello scrutinio di costituzionalita'  (sentenze  n.
86 del 2017 e n. 434  del  2002).  Nondimeno,  la  stessa  e'  invece
censurabile, alla  luce  del  principio  di  razionalita'  normativa,
qualora la formulazione della stessa sia tale da potere dare luogo ad
applicazioni distorte (vedi anche la  sentenza  n.  10  del  1997)  o
ambigue (sentenza n. 200 del 2012),  che  contrastino,  a  causa  dei
diversi esiti che essa renda  plausibili,  il  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, da intendersi quale  ordinato,  uniforme  e
prevedibile svolgimento dell'azione amministrativa, secondo  principi
di legalita' e di buona amministrazione. 
    7.2.3.- D'altro canto  questa  Corte  ha  gia'  chiarito  che,  a
differenza di quanto accade  per  il  giudizio  in  via  incidentale,
giudizio concreto e senza  parti  necessarie,  «il  giudizio  in  via
principale  puo'  concernere  questioni  sollevate  sulla   base   di
interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili»  (sentenza
n. 412 del 2004; nello stesso  senso,  sentenza  n.  3  del  2016)  o
«prospettate in termini dubitativi o alternativi»  (sentenza  n.  189
del 2016). Orientamenti, questi, che sebbene elaborati in riferimento
ai requisiti di ammissibilita', servono altresi' ad  evidenziare  che
nel giudizio in via d'azione vanno tenute presenti anche le possibili
distorsioni applicative di determinate  disposizioni  legislative;  e
cio' ancor di piu' nei casi in cui su una legge non si  siano  ancora
formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere  il
raggio delle sue astratte potenzialita' applicative (sentenze n.  449
del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003). 
    Si e' parimenti affermato, con riferimento anche  all'impugnativa
regionale, che possono risultare costituzionalmente illegittime  «per
irragionevolezza [...] norme statali dal significato ambiguo, tali da
porre le Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorche'
a norme siffatte esse debbano attenersi nell'esercizio delle  proprie
prerogative di autonomia» (sentenza n. 160 del 2016). 
    Cio' vale, a  maggior  ragione,  nel  caso  in  cui  l'ambiguita'
semantica riguardi una disposizione regionale foriera di  sostanziali
dubbi interpretativi che rendono concreto il rischio  di  un'elusione
del principio fondamentale stabilito dalla norma statale.  In  questa
ipotesi, l'esigenza unitaria sottesa  al  principio  fondamentale  e'
pregiudicata  dal  significato   precettivo   non   irragionevolmente
desumibile dalla disposizione regionale: lungi  dal  tradursi  in  un
mero inconveniente di  fatto,  l'eventuale  distonia  interpretativa,
contraddittoria rispetto alla norma statale, costituisce  conseguenza
diretta della modalita' di formulazione della disposizione, che  deve
essere dichiarata, dunque, costituzionalmente illegittima. 
    7.2.4.- Di  qui  la  illegittimita'  costituzionale  della  norma
impugnata, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,  nella  parte  in
cui si differenzia dall'art. 36 del TUE. Al vulnus  riscontrato  puo'
in coerenza ovviarsi incidendo sulla disposizione  scrutinata,  nella
parte in cui fa riferimento alla «stessa legge» (la n.  19  del  2009
della Regione Campania) quale parametro per i permessi  in  sanatoria
da assentire ex art. 36 TUE, anziche'  al  disposto  di  quest'ultima
norma laddove si richiama «alla disciplina  edilizia  ed  urbanistica
vigente». 
    7.3.- Resta assorbita l'ulteriore censura rivolta  nei  confronti
della stessa disposizione in riferimento all'art. 117,  terzo  comma,
Cost. 
    8.- In riferimento alla questione avente ad  oggetto  l'art.  21,
comma 1, lettera  d),  della  legge  regionale  n.  6  del  2016,  il
ricorrente deduce che tale  disposizione  sarebbe  in  contrasto  con
l'art. 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
2000, n. 445 recante «Testo unico delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo  A)»
con conseguente violazione dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.  avuto
riguardo alla materia della «tutela e sicurezza del lavoro». 
    8.1.- La norma impugnata prevede  che,  per  attivare  azioni  di
contrasto al lavoro nero nel comparto delle costruzioni e al fine  di
promuovere la sicurezza nei cantieri,  per  i  lavori  edili  privati
oggetto di permesso di costruire, segnalazione certificata di  inizio
attivita' (SCIA), denuncia di inizio attivita'  (DIA),  comunicazione
inizio lavori (CIL) o comunicazione inizio lavori asseverata  (CILA),
il direttore dei lavori e' tenuto «[...] a trasmettere allo Sportello
unico dell'edilizia (SUE), all'inizio e alla fine dei lavori, il DURC
dell'azienda esecutrice, attestante la sua regolarita' contributiva e
le avvenute comunicazioni di inizio e di fine lavori effettuate  agli
enti previdenziali, assicurativi e infortunistici e alla Cassa  edile
competenti per territorio.» 
    8.2.- Ad avviso del Governo, per effetto di  tale  previsione  si
farebbe gravare sulla direzione  dei  lavori  un'incombenza  che,  ai
sensi   della   legislazione   statale,   compete    alla    pubblica
amministrazione  procedente.  Il  citato  art.   44-bis   stabilisce,
infatti, che «le informazioni relative alla regolarita'  contributiva
sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi  dell'art.  71,
dalle  pubbliche  amministrazioni  procedenti,  nel  rispetto   della
specifica normativa di settore». 
    8.3. - La Regione Campania, con le memorie depositate prima della
udienza,  ha  eccepito  l'inammissibilita'  della  censura   per   la
genericita' della motivazione esposta a fondamento della stessa. 
    8.4.- L'eccezione e' fondata. 
    8.4.1.- Secondo quanto costantemente affermato da  questa  Corte,
il ricorso in via principale deve  contenere  «una  seppur  sintetica
argomentazione di merito a sostegno della richiesta  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della  legge.  In  particolare,  l'atto
introduttivo al giudizio non  puo'  limitarsi  a  indicare  le  norme
costituzionali e  ordinarie,  la  definizione  del  cui  rapporto  di
compatibilita'  o  incompatibilita'   costituisce   l'oggetto   della
questione di costituzionalita', ma deve  contenere  [...]  anche  una
argomentazione di  merito,  sia  pure  sintetica,  a  sostegno  della
richiesta   declaratoria   di    incostituzionalita',    posto    che
l'impugnativa  deve  fondarsi  su  una  motivazione  adeguata  e  non
meramente assertiva» (ex plurimis, sentenza  n.  251  del  2015,  che
richiama anche le sentenze n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015). 
    Nella specie la censura, oltre che generica ed assertiva nei suoi
tratti essenziali, e'  anche  oscura  perche'  non  coerente  con  il
parametro evocato. 
    8.4.2.- Il ricorso  non  esplicita  le  ragioni  a  conforto  del
denunciato contrasto della norma impugnata con la disciplina statale,
con riguardo alla materia «tutela e sicurezza del lavoro». Gli  unici
argomenti svolti  prospettano,  infatti,  esclusivamente  il  maggior
onere, rispetto alla acquisizione d'ufficio, della  trasmissione  del
«documento unico della regolarita' contributiva» (DURC) da parte  del
direttore dei lavori; senza che, in nessun modo ed  in  nessun  punto
siano esplicitati i motivi per i quali tale  adempimento  inciderebbe
sulla «tutela e sicurezza del lavoro», pregiudicandola. 
    La natura ed il valore di principio  fondamentale  nella  materia
della «tutela della salute  e  sicurezza  del  lavoro»  da  ascrivere
all'art. 44 del d.P.R. n. 445 del 2000 sono, inoltre, affidati ad una
deduzione meramente  assertiva  ed  in  nessun  modo  argomentata,  a
prescindere  dalla  considerazione,  pur   rilevante,   che   l'onere
stabilito dalla norma  regionale  puo'  implementare  il  livello  di
tutela. 
    8.4.3.- Non va trascurato, infine, che  il  ricorso  difetta,  in
parte qua, del necessario confronto con il quadro  normativo  offerto
dalla specifica normativa  di  settore,  dando  cosi'  corpo  ad  una
ulteriore ragione di  inammissibilita'  della  relativa  censura  (ex
plurimis, sentenza n. 60 del 2017). 
    In particolare, nel ricostruire la normativa di  riferimento,  il
Governo ha omesso di considerare il disposto di cui all'art.  90  del
decreto legislativo 9 aprile 2008,  n.  81  (Attuazione  dell'art.  1
della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della  salute
e della sicurezza dei luoghi di lavoro) che, al comma 9, impone o  al
committente, o al responsabile dei lavori  edili  privati,  presi  in
considerazione dalla norma censurata,  non  solo  la  verifica  della
idoneita' tecnico professionale della impresa esecutrice  dei  lavori
anche tramite l'obbligatoria acquisizione del DURC  (lettera  a),  ma
anche la trasmissione di quest'ultimo  documento  all'amministrazione
concedente,  prima  dell'inizio  dei  lavori  (lettera  c),  pena  la
sospensione di efficacia del titolo abilitativo (ai sensi  del  comma
10). 
    Di qui l'inammissibilita' della questione.