ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della
legge  della  Regione  Puglia  13  dicembre  2013,  n.  43,   recante
«Contrasto alla diffusione del  gioco  d'azzardo  patologico  (GAP)»,
promosso  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Puglia,
sezione staccata di Lecce, nel procedimento vertente tra  Gilupi  srl
ed altra e il Comune di Melendugno ed altri,  con  ordinanza  del  22
luglio 2015,  iscritta  al  n.  54  del  registro  ordinanze  2016  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  12,  prima
serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di costituzione di Gilupi srl ed altra; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2017 il Giudice relatore
Franco Modugno; 
    uditi  gli  avvocati  Francesco  Saverio  Marini,  Oronzo   Marco
Calsolaro e Carlo Geronimo Cardia per la Gilupi srl ed altra. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22 luglio 2015, il Tribunale amministrativo
regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato,  in
riferimento all'art. 117, commi secondo, lettera h), e  terzo,  della
Costituzione, questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7
della legge della Regione Puglia 13 dicembre  2013,  n.  43,  recante
«Contrasto alla diffusione del  gioco  d'azzardo  patologico  (GAP)»,
nella  parte   in   cui   vieta   il   rilascio   dell'autorizzazione
all'esercizio di sale da gioco e all'installazione di  apparecchi  da
gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri
pedonali dai luoghi cosiddetti "sensibili" ivi indicati. 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce, in  punto  di  fatto,  che  una
societa', che gestiva una sala  per  la  raccolta  di  scommesse  nel
Comune di Melendugno, aveva chiesto, a seguito di sfratto,  di  poter
trasferire l'attivita' in altro locale ubicato nello  stesso  Comune,
venendo a cio'  autorizzata  sia  dall'Amministrazione  autonoma  dei
monopoli di Stato sia dal Questore di Lecce.  Con  ordinanza  del  30
settembre  2014,  il  Comune  aveva,  tuttavia,  inibito  l'esercizio
dell'attivita' nel nuovo locale,  essendo  lo  stesso  ubicato  -  in
contrasto con quanto previsto dalla norma  regionale  censurata  -  a
meno di cinquecento metri da un istituto scolastico. 
    Il  provvedimento  e'  stato  impugnato  davanti   al   Tribunale
rimettente dalla societa' interessata e dalla societa' concessionaria
che le aveva affidato il diritto di gioco  sportivo  sulla  cui  base
l'attivita' in questione era stata avviata. 
    1.2.- Ad avviso  del  giudice  a  quo,  le  censure  mosse  dalle
societa'  ricorrenti  al   provvedimento   impugnato   risulterebbero
infondate. 
    Non sarebbe condivisibile, anzitutto, la tesi  sostenuta  con  il
primo motivo di ricorso, secondo la  quale  la  ricollocazione  delle
attivita' svolte in prossimita' di luoghi  "sensibili"  riguarderebbe
la sola raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi  di  cui
all'art. 110, comma 6, lettera a), del regio decreto 18 giugno  1931,
n.  773  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza) (d'ora in avanti: TULPS), ossia  con  le  cosiddette  slot
machines. 
    L'art. 7 della legge reg.  Puglia  n.  43  del  2013  stabilisce,
infatti,  al  comma  1,  che  «L'esercizio  delle  sale  da  gioco  e
l'installazione di apparecchi da gioco di cui all'articolo 110, comma
6, del testo unico delle leggi di  pubblica  sicurezza,  emanato  con
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonche' ogni altra tipologia di
offerta di gioco con  vincita  in  denaro  sono  soggetti  al  regime
autorizzatorio previsto dalle norme vigenti»; aggiungendo,  al  comma
2, che «Fuori dai casi previsti dall'articolo 110, comma 7, del  r.d.
773/1931, l'autorizzazione all'esercizio non viene concessa nel  caso
di ubicazioni  in  un  raggio  non  inferiore  a  cinquecento  metri,
misurati per la distanza pedonale piu' breve, da istituti  scolastici
di qualsiasi grado, luoghi di culto,  oratori,  impianti  sportivi  e
centri  giovanili,  centri  sociali  o  altri  istituti   frequentati
principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali
operanti  in  ambito  sanitario  o  socio-assistenziale  e,  inoltre,
strutture  ricettive  per  categorie  protette.  L'autorizzazione  e'
concessa per cinque anni e puo' essere chiesto  il  rinnovo  dopo  la
scadenza». 
    Sarebbe, quindi, evidente che la norma in questione  include  nel
divieto tutti gli apparecchi idonei  per  il  gioco  lecito  indicati
dall'art. 110, comma 6, del TULPS, nonche' la raccolta  di  scommesse
sportive. 
    Egualmente  infondato  risulterebbe  l'ulteriore  assunto   delle
ricorrenti,  per  cui,  alla  luce   del   tenore   letterale   della
disposizione («l'autorizzazione all'esercizio non viene concessa  nel
caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento  metri»),
l'esercizio posto entro i cinquecento metri dal luogo "sensibile" non
sarebbe  colpito  dal  divieto.  La  disposizione  andrebbe   intesa,
infatti, nell'opposto senso della necessita' di una  distanza  minima
di almeno cinquecento metri da detto luogo. 
    Contrariamente  a  quanto  sostenuto  in  ricorso,  inoltre,   la
circostanza che la societa' affidataria del diritto  di  gioco  fosse
stata autorizzata dal Questore di Lecce ad esercitare l'attivita'  di
raccolta di  scommesse  sin  dal  24  agosto  2012,  e  dunque  prima
dell'entrata in vigore della legge regionale  n.  43  del  2013,  non
renderebbe inapplicabile  la  disposizione  censurata.  Il  richiesto
trasferimento  dell'attivita'  presso  altra  sede  avrebbe  imposto,
infatti, di  riesaminare  ex  novo  l'istanza  di  autorizzazione  in
rapporto ad uno dei requisiti fondanti, ossia l'idoneita' del locale. 
    Insussistente  risulterebbe,  infine,  il  dedotto   difetto   di
motivazione   del   provvedimento    impugnato,    essendo    «l'iter
logico-giuridico seguito dalla P.A. facilmente ricostruibile». 
    1.3.-   Il   Tribunale   rimettente   dubita,   tuttavia,   della
legittimita' costituzionale, in parte qua, del citato  art.  7  della
legge reg. Puglia n. 43 del 2013. 
    La questione sarebbe rilevante proprio in ragione del  fatto  che
la norma impugnata impedisce l'accoglimento del ricorso. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice  a   quo
denuncia, in primo luogo, la violazione dell'art. 117,  terzo  comma,
Cost., in ragione dell'asserito contrasto della disposizione in esame
con il principio fondamentale in materia di «tutela della salute», di
competenza legislativa concorrente, espresso dall'art. 7,  comma  10,
del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un  piu'  alto  livello  di
tutela della salute),  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  8
novembre 2012, n. 189. 
    Nel quadro di un complesso di misure volte a promuovere un  «piu'
alto livello  di  tutela  della  salute»,  e  che  hanno  portato  ad
estendere i livelli essenziali  di  assistenza  alle  prestazioni  di
prevenzione, cura e riabilitazione dalla cosiddetta  ludopatia  (art.
5, comma 2, del d.l. n. 158 del 2012), la citata disposizione statale
ha, infatti, previsto la progressiva ricollocazione dei  punti  della
rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante  gli  apparecchi
di cui all'art. 110, comma 6, lettera a),  del  TULPS  che  risultino
territorialmente  prossimi  a  istituti  di  istruzione  primaria   e
secondaria, strutture  sanitarie  e  ospedaliere,  luoghi  di  culto,
centri socio-ricreativi e sportivi. Tale ricollocazione deve  essere,
peraltro, pianificata dall'Amministrazione autonoma dei  monopoli  di
Stato (e, a seguito  della  sua  incorporazione,  dall'Agenzia  delle
dogane e dei monopoli) sulla base dei criteri  definiti  con  decreto
del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato di concerto  con
il  Ministro  della  salute  e  previa  intesa  sancita  in  sede  di
Conferenza unificata. 
    Introducendo  regole  immediatamente  operative  in  materia   di
distanze  dai  luoghi  "sensibili",  la  norma  regionale  denunciata
avrebbe eluso la pianificazione a  livello  centrale  prevista  dalla
norma statale: pianificazione nel cui ambito - come evidenziato dalla
giurisprudenza amministrativa -  gli  strumenti  di  contrasto  della
ludopatia dovrebbero trovare la loro disciplina di base, in  coerenza
con la natura delle esigenze da  soddisfare,  che  sono  le  medesime
sull'intero territorio nazionale. 
    Nella materia della «tutela della  salute»,  d'altronde,  sarebbe
riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniformi,
ferma restando la facolta' delle Regioni di  stabilire  livelli  piu'
elevati per il raggiungimento dei fini propri delle loro  competenze.
Nella specie, il legislatore pugliese non avrebbe fissato livelli  di
tutela piu' elevati,  ma  avrebbe  disposto  l'immediata  entrata  in
vigore di misure  che  la  legge  statale  aveva  subordinato  ad  un
apposito  procedimento  pianificatorio,  con  il  coinvolgimento   di
plurimi soggetti istituzionali. 
    L'art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013 violerebbe  anche
l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.,  che  attribuisce  allo
Stato la competenza  legislativa  esclusiva  in  materia  di  «ordine
pubblico e sicurezza»: materia alla quale la Corte costituzionale  ha
ricondotto non solo la disciplina  dei  giochi  d'azzardo,  ma  anche
quella  relativa  ai  giochi  che,  pur  non  considerati  d'azzardo,
presentano, comunque sia,  un  elemento  aleatorio  e  distribuiscono
vincite, quali quelli previsti dell'art.  110,  comma  6,  del  TULPS
(sentenza n. 237 del 2006). 
    Il rimettente rileva, altresi',  come  il  criterio  teleologico,
adottato dalla Corte costituzionale nell'individuazione dei contenuti
della  materia  «ordine  pubblico  e  sicurezza»,  attribuisca   alla
potesta' legislativa statale una notevole capacita'  di  penetrazione
nelle materie di competenza regionale. Di conseguenza, le Regioni non
potrebbero approvare leggi che, benche' vertenti su altre materie  di
loro competenza, neutralizzino direttamente o  indirettamente  misure
previste da leggi statali al fine di  prevenire  la  commissione  dei
reati e il mantenimento dell'ordine pubblico,  salvo  che  la  stessa
legge statale consenta alla Regione simili interventi. 
    Nella specie, la norma regionale  sulle  distanze  coinvolgerebbe
anche gli esercizi che accettano  scommesse,  soggetti  al  controllo
dell'autorita' di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 88 del TULPS:
controllo pacificamente svolto in vista della prevenzione dei reati e
del mantenimento dell'ordine pubblico, tramite  la  verifica  di  una
serie  di  requisiti   oggettivi   e   soggettivi   del   richiedente
l'autorizzazione. Gli esercizi in questione verrebbero sottoposti dal
legislatore pugliese a  penetranti  restrizioni,  atte  ad  impedirne
addirittura la gestione nei comuni di ridotte dimensioni demografiche
e territoriali. 
    La disposizione censurata  inciderebbe,  in  questo  modo,  sulle
autorizzazioni di pubblica sicurezza senza che la  legge  statale  lo
consenta, ed anzi in contrasto con quanto previsto dall'art. 7, comma
10, del d.l. n. 158 del 2012, sia sotto il  profilo  sostanziale  che
sotto  quello  temporale.  La  norma  statale  limita,  infatti,   la
ricollocazione ai soli punti di raccolta del gioco praticato mediante
slot machines, stabilendo, altresi', che  le  nuove  disposizioni  si
applichino alle  sole  concessioni  di  raccolta  di  gioco  pubblico
bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del citato decreto-legge  e  che  valgano,  per  ciascuna
nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale  degli
istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed
ospedaliere e dei luoghi di culto esistenti alla data del bando.  Per
converso, la norma regionale estende le regole sulle distanze a tutti
gli apparecchi da gioco di cui all'art. 110, comma 6, del TULPS e  ad
ogni altra tipologia di offerta di gioco  con  vincita  in  denaro  -
compresa, quindi, la raccolta di scommesse  -  senza  operare  alcuna
distinzione in relazione alla data di rilascio delle concessioni. 
    2.- Si sono costituite le due societa' ricorrenti nel giudizio  a
quo, le  quali  hanno  chiesto,  in  via  principale,  che  la  norma
regionale impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima per
violazione della competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia di «ordine pubblico e sicurezza», nel cui  ambito  andrebbero
ricondotte  le  prescrizioni   relative   a   giochi   e   scommesse,
conformemente  a   quanto   in   piu'   occasioni   affermato   dalla
giurisprudenza costituzionale. 
    Le parti private  rilevano  come  la  norma  pugliese,  piu'  che
tutelare categorie di  persone  particolarmente  esposte  al  rischio
della dipendenza dal gioco  d'azzardo,  produca  un  vero  e  proprio
«effetto espulsivo» del gioco lecito dal territorio  regionale.  Come
emergerebbe   dalle   relazioni   tecniche   allegate   all'atto   di
costituzione, la distanza minima prevista e  l'ampiezza  della  lista
dei  luoghi   considerati   "sensibili"   renderebbero   praticamente
impossibile installare sale da gioco nella quasi totalita' dei comuni
della Puglia, compreso il suo capoluogo. 
    Il limite in questione non rappresenterebbe, pertanto, una misura
di contrasto della ludopatia, ma  si  risolverebbe  in  una  generale
regolamentazione del gioco e delle scommesse. La tutela della salute,
in quanto «materia-scopo», esigerebbe, infatti,  la  proporzionalita'
dell'intervento rispetto all'obiettivo perseguito - e  dunque,  nella
specie, la previsione di una distanza ragionevole  in  rapporto  alla
densita' dei luoghi "sensibili"  e  alla  concreta  diffusione  della
ludopatia nel  territorio  regionale  -  senza  potersi  tradurre  in
divieti assoluti, espliciti o surrettizi. 
    Precludendo in radice l'esercizio del gioco lecito nella Regione,
la norma censurata impedirebbe di indirizzare la "domanda  di  gioco"
verso la legalita' e, quindi, di contrastare la diffusione del  gioco
illegale,  attorno  al  quale  notoriamente   proliferano   ulteriori
fenomeni criminosi, quali il riciclaggio, l'incremento dei  patrimoni
della criminalita' organizzata e forme di violenza nei confronti  dei
giocatori insolventi. Lo  strumento  piu'  efficace  per  contrastare
l'illegalita' sarebbe costituito, in effetti, dalla presenza  di  una
normativa che  ponga  limiti  all'attivita',  ma  che,  al  contempo,
risponda alla richiesta di gioco lecito che fisiologicamente proviene
dalla popolazione. Di questa strategia sarebbe espressione l'art.  38
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, che  ha  riformato  il
settore del gioco, anche al  fine  di  assicurarne  l'adeguamento  al
diritto comunitario, prevedendo, da un lato, l'apertura di  settemila
nuovi punti vendita e, dall'altro,  una  serie  di  misure  intese  a
contenere il fenomeno del gioco illegale. 
    La stretta connessione  fra  disciplina  uniforme  dei  giochi  e
ordine pubblico sarebbe confermata  dall'art.  1,  comma  936,  della
legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», il quale stabilisce che, entro il 30 aprile  2016,
vengano definite in sede di Conferenza unificata «le  caratteristiche
dei punti di vendita ove  si  raccoglie  gioco  pubblico,  nonche'  i
criteri per la loro distribuzione e concentrazione  territoriale,  al
fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della
salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di
prevenire il rischio di accesso dei minori  di  eta'».  E',  inoltre,
previsto che le intese raggiunte  in  sede  di  Conferenza  unificata
siano  recepite  con  decreto  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti. 
    Tale  disposizione  ribadirebbe  l'intento,  gia'  espresso   dal
legislatore statale con l'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012,
di porre dal centro i  criteri-guida  volti  a  garantire  l'uniforme
collocazione  dei  centri  di  raccolta  del  gioco  sul   territorio
nazionale, menzionando, tuttavia, espressamente l'ordine pubblico tra
i fini della nuova  disciplina  e  non  prevedendo  l'intervento  del
Ministero della salute nel relativo procedimento di adozione: il  che
confermerebbe la  prevalenza  dell'ordine  pubblico  nella  gerarchia
degli obiettivi perseguiti. 
    Nella medesima direzione si sarebbe mosso, peraltro, gia'  prima,
l'art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante
disposizioni  per  un  sistema  fiscale  piu'  equo,  trasparente   e
orientato alla crescita), recante delega al Governo per  il  riordino
delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici. Nell'ambito
dei relativi principi e criteri direttivi, il comma  2,  lettera  e),
del citato art. 14 ha previsto,  in  particolare,  la  fissazione  di
parametri di distanza dai  luoghi  "sensibili"  validi  per  l'intero
territorio  nazionale,  «comunque  con  riserva  allo   Stato   della
definizione  delle  regole  necessarie  per  esigenze  di  ordine   e
sicurezza pubblica». 
    In via subordinata, ove non  si  condividessero  tali  argomenti,
l'art. 7 della legge reg. Puglia  n.  43  del  2013  dovrebbe  essere
ritenuto costituzionalmente illegittimo - secondo le parti private  -
per violazione della competenza statale in materia  di  tutela  della
salute. 
    Come posto in evidenza nell'ordinanza di  rimessione,  stabilendo
un  divieto  a  carattere  generale,  immediatamente  applicabile   e
svincolato  dalla  pianificazione  a  livello  nazionale,  la   norma
regionale si sarebbe posta in evidente contrasto  con  le  previsioni
dell'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012,  qualificabili  come
principi fondamentali della materia. 
    Ne' varrebbe obiettare che la Regione ha previsto un  livello  di
tutela della salute piu' elevato di  quello  stabilito  dallo  Stato,
giacche' la norma regionale di dettaglio non potrebbe, in ogni  caso,
ampliare l'ambito dell'intervento  fissato  dalla  legge  statale  di
principio. Il divieto in questione, d'altra parte,  non  innalzerebbe
il livello  di  tutela,  ma  si  limiterebbe  a  produrre  l'«effetto
espulsivo» del gioco lecito dianzi evidenziato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,  sezione
staccata di Lecce, dubita della legittimita' costituzionale dell'art.
7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n.  43,  recante
«Contrasto alla diffusione del  gioco  d'azzardo  patologico  (GAP)»,
nella  parte   in   cui   vieta   il   rilascio   dell'autorizzazione
all'esercizio di sale da gioco e all'installazione di  apparecchi  da
gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri
pedonali dai luoghi cosiddetti "sensibili" ivi indicati. 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
117, terzo comma, della Costituzione, in ragione  del  suo  contrasto
con il principio fondamentale in materia  di  «tutela  della  salute»
espresso dall'art. 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre  2012,
n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere  lo  sviluppo  del  Paese
mediante un piu' alto livello di tutela  della  salute),  convertito,
con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n.  189.  La  richiamata
norma statale ha, infatti, previsto - a  fini  di  prevenzione  della
cosiddetta ludopatia - la progressiva ricollocazione dei punti  della
rete fisica di raccolta del gioco praticato  mediante  slot  machines
che  risultino  ubicati  in   prossimita'   di   determinati   luoghi
"sensibili". Tale ricollocazione - riguardante le sole concessioni di
raccolta di gioco  pubblico  bandite  successivamente  alla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge -  e',
peraltro,  subordinata  ad  un  procedimento  di  pianificazione  che
coinvolge  plurimi  soggetti  istituzionali:  procedimento   che   il
legislatore regionale,  introducendo  una  disciplina  immediatamente
operativa, avrebbe completamente eluso. 
    La norma denunciata  violerebbe,  inoltre,  l'art.  117,  secondo
comma,  lettera  h),  Cost.,  invadendo  la  competenza   legislativa
esclusiva dello Stato in materia di «ordine  pubblico  e  sicurezza»:
materia alla quale  andrebbe  ricondotta  la  disciplina  dei  giochi
d'azzardo o che, comunque sia, presentino  un  elemento  aleatorio  e
distribuiscano vincite. La regolamentazione regionale sulle  distanze
coinvolgerebbe, d'altra  parte,  anche  gli  esercizi  che  accettano
scommesse, assoggettandoli a penetranti restrizioni, tali da impedire
addirittura, di  fatto,  la  loro  gestione  nei  comuni  di  ridotte
dimensioni. In tal modo,  essa  inciderebbe  -  senza  che  la  legge
statale lo consenta - sulle autorizzazioni di pubblica sicurezza  cui
detti esercizi sono  sottoposti,  finalizzate  alla  prevenzione  dei
reati e al mantenimento dell'ordine pubblico. 
    2.- Le questioni sottoposte all'esame di questa Corte vertono  su
una misura di "prevenzione  logistica"  della  "dipendenza  da  gioco
d'azzardo" (cosiddetto "gioco d'azzardo  patologico"  o  "ludopatia")
che,  dopo  essere  stata  sperimentata  a  livello  locale   tramite
regolamenti e ordinanze di  autorita'  comunali,  e'  stata  adottata
negli ultimi anni a livello legislativo da larga parte delle Regioni.
Si tratta della previsione di distanze minime  delle  sale  da  gioco
rispetto a luoghi  cosiddetti  "sensibili":  frequentati,  cioe',  da
categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili di
fronte alla tentazione del gioco d'azzardo. 
    In questa prospettiva si colloca anche il censurato art. 7  della
legge reg. Puglia n. 43 del 2013,  come  e'  reso  palese  tanto  dal
titolo della legge - «Contrasto alla diffusione del  gioco  d'azzardo
patologico (GAP)» - quanto dalle indicazioni del suo art. 1, comma 1,
lettera a), ove si afferma che  la  legge  stessa  reca  disposizioni
finalizzate «alla prevenzione e  al  contrasto  delle  dipendenze  da
gioco, nonche' per il trattamento terapeutico e per il  recupero  dei
soggetti coinvolti, nell'ambito delle competenze regionali in materia
socio-sanitaria». 
    Il  citato  art.  7  esordisce  stabilendo,  al  comma   1,   che
l'esercizio delle sale da gioco e l'installazione  di  apparecchi  da
gioco di cui all'art. 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931,
n.  773  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza) (d'ora in avanti: TULPS), nonche' «ogni altra tipologia di
offerta di gioco con vincita in  denaro»  sono  «soggetti  al  regime
autorizzatorio previsto dalle norme vigenti». Il successivo comma 2 -
contro il quale piu'  specificamente  si  dirigono,  in  effetti,  le
censure del rimettente -  soggiunge  che,  fuori  dei  casi  previsti
dall'art. 110, comma 7, del TULPS (che individua  apparecchi  per  il
gioco  lecito   di   ridotta   "pericolosita'"   sotto   il   profilo
considerato), «l'autorizzazione all'esercizio non viene concessa  nel
caso di ubicazioni in un raggio non inferiore  a  cinquecento  metri,
misurati per la distanza pedonale piu' breve, da istituti  scolastici
di qualsiasi grado, luoghi di culto,  oratori,  impianti  sportivi  e
centri  giovanili,  centri  sociali  o  altri  istituti   frequentati
principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali
operanti  in  ambito  sanitario  o  socio-assistenziale  e,  inoltre,
strutture ricettive per categorie protette». 
    Al riguardo, e' del tutto condivisibile l'assunto del  rimettente
- che fonda la questione e ne condiziona la rilevanza nel giudizio  a
quo - secondo il quale la distanza lineare indicata dalla norma segna
il distacco minimo delle attivita' avute di mira rispetto  alle  aree
tutelate. L'esigenza di rispetto della ratio  legis  rende,  infatti,
emendabile da parte dell'interprete la non  felice  formulazione  del
precetto, che, a causa di una  doppia  negazione,  sembrerebbe  primo
visu esigere, anziche' vietare, la collocazione di sale e  apparecchi
da gioco in prossimita'  dei  luoghi  "sensibili"  («l'autorizzazione
all'esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un  raggio
non inferiore a cinquecento metri»). 
    3.- Cio' posto,  giova  esaminare  anzitutto  -  per  ragioni  di
priorita'  logico-giuridica,  invertendo  l'ordine  delle   doglianze
prospettato nell'ordinanza di rimessione - la censura  di  violazione
della competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
«ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo  comma,  lettera  h,
Cost.): censura a cui supporto  vengono  richiamate  le  pronunce  di
questa Corte che hanno ascritto a detta  materia  la  disciplina  dei
giochi  d'azzardo  o  che,  comunque  sia,  presentino  un   elemento
aleatorio e distribuiscano vincite (sentenze n. 72 del 2010 e n.  237
del 2006). 
    3.1.- La censura non e' fondata. 
    Questa Corte ha gia' escluso che possano ricondursi alla  materia
considerata due norme della Provincia autonoma di Bolzano (artt. 1  e
2, comma 2, della legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13,  recante
«Disposizioni in materia di gioco lecito») che, similmente  a  quella
in esame, prevedono distanze minime dai  luoghi  "sensibili"  per  la
collocazione di sale e apparecchi  da  gioco  (sentenza  n.  300  del
2011). 
    La conclusione non puo' che essere confermata con  riguardo  alla
norma pugliese oggetto dell'odierno scrutinio. 
    Per  costante   giurisprudenza   di   questa   Corte,   ai   fini
dell'individuazione della materia nella quale  si  colloca  la  norma
impugnata, si deve tener conto  dell'oggetto,  della  ratio  e  della
finalita' della  disciplina  da  essa  stabilita,  «tralasciando  gli
aspetti marginali e  gli  effetti  riflessi,  cosi'  da  identificare
correttamente  e  compiutamente  anche  l'interesse   tutelato»   (ex
plurimis, sentenze n. 140 del 2015 e n. 167  del  2014;  analogamente
sentenze n. 175 del 2016 e n. 245 del 2015). 
    Nella specie, il legislatore  pugliese  non  e'  intervenuto  per
contrastare il gioco illegale, ne' per disciplinare  direttamente  le
modalita' di installazione e di utilizzo degli  apparecchi  da  gioco
leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti: aspetti che -  come
posto in evidenza dalle citate sentenze n. 72 del 2010 e n.  237  del
2006  -  ricadono  nell'ambito  della  materia  «ordine  pubblico   e
sicurezza», la  quale  attiene  alla  prevenzione  dei  reati  ed  al
mantenimento dell'ordine pubblico, inteso quale «complesso  dei  beni
giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari  sui  quali
si regge la civile convivenza  nella  comunita'  nazionale»  (tra  le
altre, sentenze n. 118 del 2013, n. 35 del 2011 e n. 129 del 2009). 
    Il legislatore regionale  e'  intervenuto,  invece  -  come  gia'
anticipato - per evitare la prossimita' delle sale e degli apparecchi
da gioco a determinati luoghi,  ove  si  radunano  soggetti  ritenuti
psicologicamente piu' esposti all'illusione di conseguire  vincite  e
facili guadagni  e,  quindi,  al  rischio  di  cadere  vittime  della
"dipendenza da gioco d'azzardo": fenomeno da tempo riconosciuto  come
vero e proprio disturbo del comportamento,  assimilabile,  per  certi
versi, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo. 
    La disposizione in esame persegue, pertanto,  in  via  preminente
finalita' di carattere socio-sanitario, estranee alla  materia  della
tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto
nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (art.
117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione puo' legiferare  nel
rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. 
    3.2.- A quanto precede non giova opporre - come fa il  rimettente
- che la norma censurata inciderebbe su esercizi  commerciali,  quali
quelli che accettano scommesse, soggetti al controllo  dell'autorita'
di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 88  del  TULPS  -  controllo
finalizzato alla prevenzione dei  reati  e  alla  tutela  dell'ordine
pubblico - finendo, cosi', per interferire indebitamente  con  questo
stesso regime autorizzatorio. 
    La norma regionale si muove su un piano distinto  da  quella  del
TULPS. Per quanto si e' detto, essa non mira a contrastare i fenomeni
criminosi e le turbative dell'ordine pubblico collegati al mondo  del
gioco  e  delle  scommesse,  ma  si  preoccupa,   «piuttosto,   delle
conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce  di  consumatori
psicologicamente piu' deboli», segnatamente in termini di prevenzione
di «forme di gioco cosiddetto compulsivo» (sentenza n. 300 del 2011).
In quest'ottica, la circostanza  che  l'autorita'  comunale,  facendo
applicazione della disposizione censurata, possa inibire  l'esercizio
di una attivita' pure  autorizzata  dal  questore  -  come  nel  caso
oggetto del giudizio principale - non implica alcuna interferenza con
le diverse valutazioni demandate all'autorita' di pubblica sicurezza. 
    3.3.- Il giudice a quo, a sostegno della censura in esame, allega
anche il fatto che la norma impugnata  rischierebbe  di  impedire  la
gestione  di  sale  da  gioco  nei  comuni  «di  ridotte   dimensioni
demografiche e territoriali». 
    Sviluppando tale argomento, le parti private costituite  assumono
che l'art. 7 della legge reg. Puglia n. 43  del  2013,  per  come  e'
congegnato, piu' che tutelare le  "fasce  deboli"  della  popolazione
rispetto al rischio della ludopatia, produrrebbe un  vero  e  proprio
«effetto  espulsivo»  del  gioco  d'azzardo  lecito  dal   territorio
regionale. La distanza minima  prevista  (cinquecento  metri  per  il
percorso pedonale piu' breve) e l'ampiezza del  catalogo  dei  luoghi
ritenuti "sensibili" renderebbero, infatti - secondo le stesse  parti
private - praticamente impossibile installare  sale  da  gioco  nella
quasi totalita' dei comuni della Puglia, compreso il suo capoluogo. 
    In questi termini, il rilievo si rivela,  peraltro,  inconferente
rispetto alla censura sottoposta  all'esame  della  Corte.  Esso  non
incide, infatti, sul versante della competenza ad adottare  la  norma
impugnata - rispetto  al  quale  resta  fermo  quanto  in  precedenza
osservato  -  ma  su  quello  del  contenuto  della  regolamentazione
concretamente adottata. Al legislatore  pugliese  si  rimprovera,  in
sostanza - segnatamente dalle parti private -  di  aver  emanato  una
norma eccedente  lo  scopo  e  idonea  a  paralizzare  le  iniziative
imprenditoriali  nel  settore  del  gioco   lecito,   ledendo   anche
l'affidamento di chi aveva in esso investito. Tali  profili  esulano,
tuttavia,  dall'odierno  thema  decidendum,  non  essendo  la   Corte
chiamata  a  verificare  la  conformita'  della  norma  impugnata   a
parametri diversi da quelli attinenti a profili di competenza. 
    La conclusione non e' inficiata  dall'ulteriore  deduzione  delle
parti private, secondo la quale, vietando di fatto l'installazione di
sale per il gioco lecito nella Regione, la norma denunciata finirebbe
per incentivare il gioco illecito e  i  fenomeni  criminosi  ad  esso
collegati,  in  quanto  impedirebbe  di  incanalare  la   fisiologica
"domanda di gioco" della  popolazione  nei  binari  della  legalita'.
Quello   addotto   -   ove   pure,   in   ipotesi,   sussistente    -
rappresenterebbe, comunque sia, un effetto indiretto o riflesso della
norma  impugnata,  non   rilevante,   alla   luce   della   ricordata
giurisprudenza di questa Corte,  ai  fini  dell'individuazione  della
materia nel cui ambito la norma stessa si colloca. 
    4.- L'altra censura del giudice a quo - la prima nel  suo  ordine
espositivo - e' quella di violazione dei principi fondamentali  posti
dallo Stato nella materia,  di  competenza  legislativa  concorrente,
«tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.):  doglianza  che
fa perno sul dedotto contrasto della norma censurata  con  l'art.  7,
comma 10, del d.l. n. 158 del 2012. 
    Nella cornice di un complesso di misure intese a  promuovere  «un
piu' alto livello di  tutela  della  salute»  (cosi'  il  titolo  del
decreto-legge) e che hanno  portato,  tra  l'altro,  ad  estendere  i
livelli essenziali di assistenza  alle  prestazioni  di  prevenzione,
cura e riabilitazione delle persone affette da «ludopatia»  -  intesa
«come patologia che caratterizza i soggetti affetti  da  sindrome  da
gioco con vincita in denaro, cosi' come definita  dall'Organizzazione
mondiale della sanita'» (art. 5, comma 2, del d.l. n. 158  del  2012,
ora peraltro abrogato) -  il  citato  art.  7  reca,  ai  commi  4  e
seguenti, una serie di disposizioni intese a contrastare l'insorgenza
di detta patologia. Il comma 10 - che qui  interessa  -  prevede,  in
questa chiave, la progressiva ricollocazione  dei  punti  della  rete
fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui
all'art. 110,  comma  6,  lettera  a),  del  TULPS  -  ossia  con  le
cosiddette slot machines - che risultino ubicati  in  prossimita'  di
luoghi "sensibili" (in specie,  istituti  di  istruzione  primaria  e
secondaria, strutture  sanitarie  e  ospedaliere,  luoghi  di  culto,
centri socio-ricreativi e sportivi). La ricollocazione  deve  essere,
peraltro, pianificata dall'Amministrazione autonoma dei  monopoli  di
Stato - e, dopo la sua incorporazione, dall'Agenzia  delle  dogane  e
dei monopoli - tenuto conto  degli  interessi  pubblici  di  settore,
sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro dell'economia
e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro  della  salute,
previa intesa sancita in sede  di  Conferenza  unificata.  Lo  stesso
comma 10 dell'art. 7 del  d.l.  n.  158  del  2012  aggiunge  che  le
pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta  di
gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore
della legge di conversione  del  decreto-legge  e  che  valgono,  per
ciascuna concessione, in funzione della dislocazione territoriale dei
luoghi "sensibili" (esclusi i  centri  socio-ricreativi  e  sportivi)
esistenti alla data del relativo bando. 
    Secondo il rimettente, il  legislatore  pugliese  -  introducendo
norme immediatamente operative in tema di distanze delle sale e degli
apparecchi  da  gioco  rispetto  ai  luoghi  "sensibili"  -   avrebbe
"scavalcato" il  procedimento  di  pianificazione  prefigurato  dalla
norma statale (destinato  a  svolgersi  a  livello  centrale  con  la
partecipazione di  plurimi  soggetti  istituzionali),  violando,  con
cio', un principio fondamentale della legislazione statale in materia
di «tutela della salute». 
    4.1.- Anche tale censura non e' fondata. 
    Alla  luce  di  quanto  in  precedenza  posto  in  evidenza,   la
riconducibilita' della norma regionale  in  esame  nell'ambito  della
materia «tutela della salute» non e', in  effetti,  contestabile.  Il
discorso  e',  tuttavia,  diverso  con  riguardo  alla   valenza   da
attribuire all'evocata norma interposta di cui all'art. 7, comma  10,
del d.l. n. 158 del 2012. 
    Come rilevato  anche  dal  Consiglio  di  Stato  (sezione  terza,
sentenza 10 febbraio 2016, n. 579), dalla  citata  norma  statale  si
ricava soltanto il principio  della  legittimita'  di  interventi  di
contrasto della ludopatia basati sul rispetto di distanze minime  dai
luoghi "sensibili", non anche quello della  necessita'  della  previa
definizione della relativa pianificazione a livello nazionale. 
    La pianificazione prefigurata dalla disposizione statale invocata
come norma interposta non e', peraltro,  mai  avvenuta,  non  essendo
stato   emanato,   malgrado   il   tempo   trascorso,   il    decreto
interministeriale che  doveva  definirne  i  criteri.  Il  che  rende
l'intiero  meccanismo  inoperante,  non  potendosi  ritenere  che  la
mancanza  di  detto  decreto  paralizzi  sine   die   la   competenza
legislativa regionale (al riguardo, sentenza n. 158 del 2016). 
    4.2.- Le conclusioni ora esposte  trovano  puntuale  conferma  in
successivi interventi dello stesso  legislatore  statale,  richiamati
anche - ma in opposta direzione - dalle parti private. 
    L'art. 14 della legge 11 marzo 2014, n.  23  (Delega  al  Governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu' equo, trasparente  e
orientato alla crescita) ha conferito, infatti, al Governo la  delega
legislativa per il riordino in un codice delle  disposizioni  vigenti
in materia di giochi pubblici, prevedendo, tra i criteri di delega  -
assieme a quello dell'adeguamento della  normativa  «all'esigenza  di
prevenire  i  fenomeni  di  ludopatia  ovvero  di   gioco   d'azzardo
patologico e di gioco minorile» (lettera a del  comma  2)  -  l'altro
della fissazione «di  parametri  di  distanza  dai  luoghi  sensibili
validi per l'intero territorio nazionale», ma con  espressa  garanzia
della  «salvaguardia  delle  discipline  regolatorie  nel   frattempo
emanate a livello locale», che risultassero coerenti con  i  principi
stabiliti dal decreto delegato  (lettera  e  del  comma  2).  Cio'  a
dimostrazione del fatto che simili discipline potevano  essere  medio
tempore adottate anche in assenza della pianificazione  prevista  dal
d.l. n. 158 del 2012. 
    E' ben vero che con  la  formula  «discipline  regolatorie  [...]
emanate a livello locale» il legislatore intendeva riferirsi a quelle
adottate dai comuni, in  applicazione  delle  norme  che  regolano  i
poteri  dei  relativi  organi  rappresentativi:  norme  che  -   come
riconosciuto anche da  questa  Corte  (con  particolare  riguardo  ai
sindaci,  sentenza  n.  220  del  2014)  -  si  prestano  ad   essere
interpretate come  idonee  a  legittimare  l'adozione  di  misure  di
contrasto della ludopatia, anche per quanto  attiene  all'imposizione
di  distanze  minime  delle  sale  da  gioco   rispetto   ai   luoghi
"sensibili". Risulta, tuttavia, evidente  come  la  legittimazione  a
disciplinare la materia debba riconoscersi, a fortiori, alle Regioni,
tramite lo strumento legislativo. 
    Essendo rimasta anche la ricordata delega legislativa  inattuata,
e' da ultimo intervenuta la legge 28 dicembre 2015, n.  208,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)». Frammezzo ad un complesso di
altre disposizioni intese ad aggiornare la disciplina  dei  giochi  e
delle scommesse, anche in funzione della lotta alla ludopatia, l'art.
1, comma 936, della legge ora citata ha  previsto  che  entro  il  30
aprile 2016 vengano definite, in sede di  Conferenza  unificata,  «le
caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico,
nonche'  i  criteri  per  la  loro  distribuzione  e   concentrazione
territoriale, al fine di garantire i migliori  livelli  di  sicurezza
per la tutela della salute, dell'ordine  pubblico  e  della  pubblica
fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di
eta'». Le intese raggiunte in sede di Conferenza unificata dovrebbero
essere recepite  con  decreto  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti. 
    La  disposizione,  rivolta  chiaramente  al  futuro,  suona  come
ulteriore riprova del fatto che i criteri per la  dislocazione  delle
sale da gioco, anche  nell'ottica  della  tutela  della  salute,  non
dovevano essere necessariamente fissati in forza dell'art.  7,  comma
10, del d.l. n. 158 del 2012. La nuova previsione legislativa -  piu'
ampia della precedente,  perche'  non  limitata  ad  alcuni  tipi  di
apparecchi da gioco, ne' alle sole concessioni successive all'entrata
in vigore della legge - finisce,  d'altro  canto,  per  assorbire  il
meccanismo di pianificazione previsto dalla norma del 2012. 
    Ma anche il procedimento previsto dal citato art. 1,  comma  936,
della legge n. 208 del 2015 non si e' ad oggi ancora perfezionato. 
    5.- Alla luce delle considerazioni che  precedono,  le  questioni
vanno dichiarate, dunque, entrambe non fondate.