ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9  del
decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti   per   la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla  legge
11 agosto 2014, n. 114, promossi dal Tribunale regionale di giustizia
amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con ordinanza
del 10 marzo  2016,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza  del  16
giugno 2016, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia  con
ordinanza del 29 luglio 2016, dal Tribunale amministrativo  regionale
del  Molise  con  ordinanza  del  25  marzo  2016  e  dal   Tribunale
amministrativo regionale della Campania con ordinanza del 5  dicembre
2016, rispettivamente iscritte ai nn. 82,  246  e  259  del  registro
ordinanze 2016 e ai nn.  26  e  60  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17, 49 e 52,
prima serie speciale, dell'anno 2016 e  nn.  10  e  18,  prima  serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di G. D. e altro, di C.A.E.R. Q. e
altri, di L. F., di G. A. e altri e di A.C. C. e altri,  nonche'  gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica  del  10  ottobre  2017  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Massimo  Luciani  per  G.  D.  e  S.  P.,  per
C.A.E.R. Q. e per G. A. e altri, Costantino Ventura per L. F., Orazio
Abbamonte per A.C. C. e altri e l'avvocato  dello  Stato  Ruggero  Di
Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 10 marzo 2016  (r.o.  n.  82  del
2016)  il  Tribunale  regionale  di  giustizia   amministrativa   del
Trentino-Alto  Adige,  sede  di  Trento,  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge 24 giugno  2014,  n.  90
(Misure   urgenti   per   la   semplificazione   e   la   trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in
riferimento all'art. 77, secondo comma, della Costituzione. 
    2.-  Premette  il  rimettente  che  nel  giudizio  principale   i
ricorrenti, avvocati  dello  Stato  attualmente  in  servizio  presso
l'Avvocatura distrettuale dello Stato  di  Trento,  hanno  agito  per
l'accertamento  del  diritto   alla   corresponsione   dei   compensi
professionali loro dovuti senza  le  decurtazioni  e  le  limitazioni
apportate dalla norma censurata alla previgente  disciplina  inerente
il relativo trattamento economico;  trattamento  regolato  dal  regio
decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del T.U. delle leggi e
delle norme giuridiche sulla  rappresentanza  e  difesa  in  giudizio
dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello  Stato)  nonche'
dalla legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme  sullo  stato  giuridico  dei
magistrati e sul trattamento  economico  dei  magistrati  ordinari  e
amministrativi, dei  magistrati  della  giustizia  militare  e  degli
avvocati dello Stato) e dalla legge 3 aprile 1979, n. 103  (Modifiche
dell'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato). 
    3.- Evidenzia il giudice a quo che,  secondo  quanto  prospettato
dai   ricorrenti,   alla   data   del   loro   ingresso   nel   ruolo
dell'Avvocatura, questi avrebbero maturato, in forza della disciplina
poi modificata dall'art. 9 oggetto  di  censura,  il  diritto  ad  un
trattamento economico che prevedeva sia una quota fissa,  commisurata
a ruolo, titolo e grado del personale dell'Avvocatura ed  equiparata,
per  il  quantum,   al   trattamento   dei   magistrati   dell'ordine
giudiziario, sia una quota variabile, in  funzione  dell'esito  delle
controversie  patrocinate  quando  la  pubblica  amministrazione  non
risultava soccombente. Avuto  riguardo  a  tale  quota  variabile,  i
compensi  maturati  dai  ricorrenti  nel  giudizio  principale  erano
diversificati a seconda della presenza o meno  della  condanna  della
controparte alla refusione delle spese in favore dell'amministrazione
patrocinata: nel primo caso, curata l'esazione delle stesse da  parte
della medesima Avvocatura dello Stato, le relative somme venivano poi
ripartite per sette decimi tra gli avvocati di  ciascun  ufficio,  in
base a norme regolamentari, e per tre decimi  in  misura  uguale  fra
tutti gli avvocati dello Stato; nella seconda ipotesi, legata ai casi
di spese compensate o di  transazione  senza  spese  a  carico  della
controparte, l'erario corrispondeva  all'Avvocatura  la  meta'  delle
competenze che sarebbero state liquidate. 
    Regime, questo, segnala il  rimettente,  parzialmente  modificato
dall'art. 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2014)», con una temporanea riduzione
(nella misura del  75  per  cento  per  il  triennio  2014-2016)  dei
compensi liquidati a seguito di sentenza che riconosceva la  Pubblica
amministrazione non soccombente. 
    4.- Adduce, ancora, il rimettente che, con l'art.  9  oggetto  di
censura, la misura nonche', in parte, la stessa  previsione  di  tali
compensi, avuto riguardo alle relative componenti variabili, e' stata
oggetto di radicale trasformazione.  Con  le  disposizioni  contenute
nell'articolo  in  questione  si  prevede  che:  tutti   i   compensi
professionali  sono  computati  ai  fini  del  tetto  massimo   degli
emolumenti di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre  2011,
n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22  dicembre  2011,  n.  214;  nell'ipotesi  di  sentenza
favorevole con condanna della controparte alle spese, solo il 50  per
cento delle somme recuperate e'  ripartito  tra  gli  avvocati  dello
Stato  secondo  le  previsioni  regolamentari  dell'Avvocatura  dello
Stato, mentre il residuo 50 per cento e' destinato per meta' a  borse
di  studio  per  lo  svolgimento   della   pratica   forense   presso
l'Avvocatura dello Stato e per la  residua  parte  al  fondo  per  la
riduzione della pressione fiscale di cui all'art. 1, comma 431, della
legge n. 147 del 2013; nei  casi  di  integrale  compensazione  delle
spese, ai dipendenti della pubblica  amministrazione,  ad  esclusione
del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti  compensi
professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti
e  nei  limiti  dello  stanziamento  gia'  previsto;  ai  regolamenti
dell'Avvocatura dello Stato e' demandata la indicazione  dei  criteri
per  il  riparto  delle  somme  recuperate,  in  base  al  rendimento
individuale e secondo criteri oggettivamente misurabili  che  tengano
conto  della  puntualita'  negli  adempimenti  processuali.  Precisa,
inoltre, il Tribunale rimettente che il comma 2 dell'art.  9  ha  poi
espressamente abrogato l'art. 1, comma 457, della richiamata legge n.
147 del 2013 e l'art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933, norma,
quest'ultima, che prevedeva la misura degli onorari da  corrispondere
agli avvocati dello Stato nel caso di compensazione delle spese. 
    Di qui  la  richiesta  di  accertamento  del  dovuto  secondo  la
previgente  disciplina  con  il  conseguente  petitum   condannatorio
rivolto in danno delle  amministrazioni  resistenti  (Presidenza  del
Consiglio dei ministri,  Ministero  dell'Economia  e  delle  Finanze,
Avvocatura dello Stato). 
    5.-   Cio'   premesso,   si   evidenzia    nell'ordinanza    che:
l'accoglimento dei petita articolati nel  giudizio  principale  passa
imprescindibilmente    dalla    declaratoria    di     illegittimita'
costituzionale dell'art. 9 del d.l. n. 90 del 2014,  prospettata  dai
ricorrenti in riferimento agli artt. 3, 4, 23, 35, 36, 42, 53, 77, 97
e 117 Cost., quest'ultimo in relazione sia agli artt. 3  e  13  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848  sia
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi  il
20 marzo 1952, e ratificato con la stessa legge n. 848 del 1955;  che
le amministrazioni intimate  si  sono  costituite  in  quel  giudizio
argomentando   diffusamente   per   l'infondatezza   delle   censure,
chiedendo, in coerenza, la reiezione del ricorso nel merito. 
    6.- Ad avviso del rimettente, delle diverse questioni prospettate
dai ricorrenti, solo quella legata al parametro di cui  all'art.  77,
secondo comma, Cost. non  puo'  ritenersi  manifestamente  infondata,
atteso che il legislatore  avrebbe  introdotto  una  vera  e  propria
riforma strutturale del trattamento economico spettante agli avvocati
dello Stato  con  lo  strumento  del  decreto-legge  in  assenza  dei
necessari presupposti della necessita' e urgenza. 
    6.1.- In punto di rilevanza, il giudice a quo assegna un  rilievo
decisivo alla circostanza in forza della quale alcune delle norme  di
cui all'art. 9 del d.l. n. 90 del  2014  sono  di  immediata  cogenza
cosi' da incidere, in termini di decisivita', sull'interesse  sotteso
all'azione giudiziale dei ricorrenti. 
    6.2.- In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
argomenta muovendo dal tenore letterale dell'epigrafe del d.l. n.  90
del 2014,  recante  «Misure  urgenti  per  la  semplificazione  e  la
trasparenza  amministrativa   e   per   l'efficienza   degli   uffici
giudiziari»; del relativo preambolo (che, nella  parte  di  immediata
rilevanza, relativa al  primo  capoverso,  profila  la  straordinaria
«necessita' e urgenza di emanare disposizioni  volte  a  favorire  la
piu' razionale utilizzazione dei dipendenti  pubblici,  a  realizzare
interventi  di  semplificazione  dell'organizzazione   amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di
semplificazione per  l'accesso  dei  cittadini  e  delle  imprese  ai
servizi della pubblica amministrazione»);  del  Titolo  I  (rubricato
«Misure urgenti  per  l'efficienza  della  p.a.  e  per  il  sostegno
dell'occupazione») e del Capo I del citato Titolo (rubricato  «Misure
urgenti in materia di lavoro  pubblico»)  che  contengono  l'articolo
oggetto di censura. Si evidenzia altresi' che gli articoli  del  Capo
in questione contengono misure  in  tema  di  ricambio  generazionale
nelle pubbliche amministrazioni, semplificazione e flessibilita'  nel
turnover, mobilita' obbligatoria e volontaria, assegnazione di  nuove
mansioni, divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza,
prerogative   sindacali,   incarichi   negli   uffici   di    diretta
collaborazione. 
    6.3.-  Cio'  premesso,  il  rimettente  ricorda  che,  ai   sensi
dell'art. 15, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina
dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della   Presidenza   del
Consiglio  dei  Ministri),  i  decreti-legge  sono   presentati   per
l'emanazione «con l'indicazione,  nel  preambolo,  delle  circostanze
straordinarie  di  necessita'  e  di  urgenza  che  ne   giustificano
l'adozione», mentre il comma 3 dello stesso articolo sancisce che  «i
decreti devono contenere misure di immediata applicazione e  il  loro
contenuto  deve  essere  specifico,  omogeneo  e  corrispondente   al
titolo». 
    6.3.1.- Nel caso in esame,  secondo  il  giudice  a  quo,  nessun
collegamento sarebbe ravvisabile  tra  le  riportate  premesse  e  le
previsioni   normative   di   cui   si   prospetta   l'illegittimita'
costituzionale. 
    Il preambolo, nella parte di  immediato  interesse  (dettata  dal
paragrafo 1), fa infatti riferimento  a  interventi  organizzativi  e
semplificatori nella e della  pubblica  amministrazione:  ad  ambiti,
dunque, che con le disposizioni di cui si discute - volte a riformare
la struttura degli onorari degli avvocati dello Stato e  degli  altri
enti pubblici nell'ottica del contenimento della spesa pubblica - non
avrebbero  momenti  di  contatto,  cosi'  da  svelare  l'assenza   di
correlazioni    tra    la    norma     censurata     e     l'elemento
funzionale-finalistico ivi proclamato. 
    Ne', del resto, nel preambolo  si  da'  conto  delle  ragioni  di
necessita' e di urgenza  che  imponevano  l'adozione  -  a  mezzo  di
decreto-legge -  delle  disposizioni  di  riforma  strutturale  degli
onorari all'Avvocatura dello Stato di cui al richiamato art. 9. 
    L'immissione delle disposizioni in disamina, recanti una  riforma
strutturale degli onorari degli avvocati dello Stato, nel corpo di un
decreto-legge volto,  dichiaratamente,  alla  «[...]  piu'  razionale
utilizzazione dei dipendenti pubblici,  a  realizzare  interventi  di
semplificazione  dell'organizzazione  amministrativa  dello  Stato  e
degli  enti   pubblici   e   a   introdurre   ulteriori   misure   di
semplificazione per  l'accesso  dei  cittadini  e  delle  imprese  ai
servizi della pubblica amministrazione», ad  avviso  del  rimettente,
non vale a trasmettere alle misure stesse  il  carattere  di  urgenza
proprio delle  altre  disposizioni,  legate  invece  tra  loro  dalla
comunanza di oggetto o di finalita'. 
    6.3.2.- Per altro profilo, osserva il  rimettente  che  l'art.  9
oggetto di scrutinio contiene anche misure che non sono di  immediata
applicazione, come richiesto, invece, dall'art. 15,  comma  3,  della
legge n. 400 del 1988. Sebbene sia previsto che la  nuova  disciplina
si applichi alle sentenze pubblicate dopo  l'entrata  in  vigore  del
d.l. n. 90 del 2014, l'art. 9, comma 8, stabilisce pero' che il nuovo
regime dei compensi in caso di soccombenza  della  controparte,  puo'
trovare  applicazione  solo  a   decorrere   dall'introduzione,   nei
regolamenti dell'Avvocatura dello  Stato,  di  regole  che  prevedano
criteri di riparto delle somme «in base  al  rendimento  individuale,
secondo criteri oggettivamente  misurabili  che  tengano  conto,  tra
l'altro, della puntualita' negli  adempimenti  processuali».  E  cio'
pone ancor piu' in  dubbio  la  concreta  sussistenza  degli  estremi
tipici della decretazione di urgenza. 
    7.- Nel giudizio di costituzionalita' si sono costituite le parti
ricorrenti  nel  giudizio  a  quo,   adducendo   l'insussistenza   di
pregiudiziali  ragioni  di   inammissibilita'   della   questione   e
ribadendo, nel merito,  i  profili  argomentativi  a  sostegno  della
illegittimita'   costituzionale    della    disposizione    censurata
prospettati innanzi al rimettente e da questo veicolati  alla  Corte.
La relativa difesa ha anche sottolineato, ad ulteriore supporto delle
relative conclusioni, che nel caso occorre  dare  il  giusto  rilievo
all'assenza di effettiva incidenza delle  disposizioni  in  questione
sulla finanza pubblica, tali da non apportare un rilevante  risparmio
di spesa, rendendo  ulteriormente  ingiustificata  l'adozione  di  un
provvedimento provvisorio avente forza di legge. 
    8.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per la infondatezza della questione. 
    8.1.- Ad avviso dell'interveniente, il contenuto dell'art. 9  del
d.l. n. 90 del  2014,  peraltro  radicalmente  innovato  in  sede  di
conversione, non sarebbe eccentrico rispetto al primo  paragrafo  del
relativo preambolo giacche' concorre a realizzare una piu'  razionale
utilizzazione  del  personale  pubblico   e   una   piu'   efficiente
organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. 
    La rideterminazione dei criteri  di  attribuzione  degli  onorari
degli avvocati dello Stato sarebbe, infatti, finalizzata per un verso
alla valorizzazione del rendimento individuale degli  stessi  e,  per
altro verso, in un'ottica perequativa, ad  un  risparmio  di  risorse
economiche,  funzionale  anche  a  garantire   una   piu'   razionale
utilizzazione  dei  dipendenti  pubblici  attraverso   una   migliore
distribuzione delle disponibilita' finanziarie. 
    8.2.- Quanto poi alla  non  immediata  applicabilita'  di  alcune
disposizioni dettate  dall'art.  9  censurato  in  virtu'  di  quanto
previsto dal comma 8, evidenzia la difesa erariale  che  tale  ultima
disposizione impone anche l'immediata precettivita'  dell'obbligo  di
provvedere al detto adeguamento regolamentare,  da  realizzare  entro
tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge  di  conversione
del decreto perche', in mancanza, tanto avrebbe  impedito  la  futura
corresponsione dei compensi professionali alle categorie interessate;
termine che e' stato  puntualmente  rispettato,  avendo  l'Avvocatura
emanato l'apposito regolamento gia' nell'ottobre del 2014, a conferma
della immediata cogenza delle disposizioni  censurate  in  ogni  loro
parte. 
    9.- Prima dell'udienza fissata per la trattazione  del  giudizio,
la  difesa  delle  parti  private  ha   depositato   alcune   tabelle
riepilogative contenenti il raffronto tra le competenze maturate  nel
2014, sotto la vigenza della pregressa normativa, e  quanto  maturato
nel 2015 alla luce della novella censurata. La stessa difesa  ha  poi
depositato memorie ex art. 10 delle Norme integrative per  i  giudizi
davanti alla Corte  costituzionale,  con  le  quali  ha  sottolineato
l'indifferenza, rispetto  alla  questione  prospettata,  del  diverso
contenuto assunto dall'art. 9  oggetto  di  censure  all'esito  della
conversione in legge; ancora, ha confutato, con indicazioni in  fatto
e diritto, gli argomenti evidenziati  dall'interveniente  a  sostegno
della reiezione della questione. 
    Anche la difesa dell'interveniente  ha  depositato  una  memoria,
ulteriormente ribadendo l'infondatezza dei dubbi di costituzionalita'
prospettati dal rimettente  alla  luce  delle  indicazioni  difensive
delle parti private. 
    10.- Con ordinanza depositata il 25 marzo 2016 (r.o.  n.  26  del
2017) il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Molise  dubita
della legittimita' costituzionale del citato art. 9 del  d.l.  n.  90
del 2014 in riferimento all'art. 77, secondo comma,  Cost.,  nonche',
con riguardo ai soli commi  3,  4  e  6  dello  stesso  articolo,  in
relazione all'art. 3 Cost. 
    11.- Nel giudizio principale, i ricorrenti  sono  avvocati  dello
Stato, attualmente in servizio presso l'Avvocatura distrettuale dello
Stato di Campobasso; l'azione e' volta all'accertamento  del  diritto
alla corresponsione dei compensi professionali loro  spettanti  senza
le decurtazioni e le limitazioni apportate dalla norma censurata, con
conseguente richiesta di condanna  delle  amministrazioni  resistenti
(Presidenza del Consiglio, Ministero dell'economia e  delle  finanze,
Avvocatura dello Stato) al pagamento delle somme dovute, le  medesime
attinte nel giudizio incardinato innanzi al TAR Trento; i  ricorrenti
hanno sollevato dubbi di costituzionalita' dell'art. 9 del d.l. n. 90
del 2014 avuto riguardo a svariati parametri. 
    12.-  Le  argomentazioni  esposte  dal   TAR   Molise   ricalcano
pedissequamente quelle esposte  dal  TRGA  di  Trento,  in  punto  di
rilevanza delle questioni,  nonche'  in  ordine  alla  non  manifesta
infondatezza della questione dell'intero art. 9 del d.l.  n.  90  del
2014 in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost. 
    13.- Il  giudice  a  quo  ritiene,  inoltre,  non  manifestamente
infondata anche la questione, prospettata dai ricorrenti, relativa ai
commi 3, 4 e 6 del citato art. 9 in riferimento all'art. 3 Cost. 
    13.1.-  Ad  avviso  del  rimettente,  le  disposizioni  censurate
violano  il   principio   di   uguaglianza   per   la   irragionevole
discriminazione tra avvocati dello Stato ed  avvocati  dipendenti  di
altre  amministrazioni  pubbliche,  avuto  riguardo   alla   prevista
decurtazione   degli   onorari:   mentre    agli    avvocati    delle
amministrazioni pubbliche non statali e' accordata la possibilita' di
acquisire  le  somme   liquidate   in   favore   dell'amministrazione
patrocinata, anche in misura integrale secondo  quanto  previsto  nei
regolamenti dei rispettivi enti, per gli  avvocati  dello  Stato  una
tale possibilita' e' limitata al 50 per cento del  liquidato,  mentre
e' del tutto esclusa con riguardo ai casi di sentenza favorevole  con
compensazione delle spese, ove,  invece,  gli  avvocati  delle  altre
amministrazioni incontrano  il  solo  limite  dello  stanziamento  di
bilancio per l'anno 2013. 
    13.2.-  L'art.  9  in  disamina,  evidenzia  il  rimettente,   e'
finalizzato alla riforma della retribuzione della parte variabile dei
compensi  non  solo  dell'Avvocatura  dello  Stato  ma  di  tutte  le
avvocature pubbliche. La coerenza e la ragionevolezza dell'intervento
normativo, dunque, non potrebbero che essere lette  nel  contesto  in
cui l'intervento e' posto in essere,  con  la  conseguenza  che  ogni
differenziazione del trattamento, quale e' quello deteriore riservato
all'Avvocatura  dello  Stato,  dovrebbe   fondarsi   su   circostanze
obiettive che, nel caso, il rimettente non ritiene ravvisabili. 
    13.3.- Una tale differenziazione, del resto, non potrebbe trovare
giustificazione nel livello della componente fissa della retribuzione
degli avvocati dello Stato, assertivamente  superiore,  in  media,  a
quella  degli  avvocati  delle   altre   amministrazioni   pubbliche.
Piuttosto, ad avviso del giudice a quo, dovrebbe considerarsi per  un
verso che i difensori, soprattutto quelli posti in posizione apicale,
di  altre  pubbliche  amministrazioni,  godono  di   un   trattamento
economico che,  nella  parte  fissa,  e'  superiore  a  quello  degli
avvocati dello  Stato;  per  altro  verso,  che  gli  avvocati  delle
amministrazioni  pubbliche  diverse  dallo  Stato  hanno  statuti   e
inquadramenti che mutano da un ente all'altro, senza possibilita'  di
individuare una disciplina giuridico-economica unitaria, di modo  che
l'assegnazione  ai  soli  avvocati  dello  Stato  di  un  trattamento
economico  variabile  peggiorativo  rispetto  agli   altri   potrebbe
assumere  il   carattere   di   una   penalizzazione   discriminante,
soprattutto  se  il  trattamento  deteriore  consegue  alla  semplice
appartenenza alle fila dell'Avvocatura e non sia  agganciata  ad  una
soglia stipendiale specifica. 
    13.4.- Sotto quest'ultimo profilo, il rimettente rimarca che solo
limitando il riconoscimento delle competenze variabili nei  confronti
degli  avvocati  di  enti  pubblici  al  superamento  di  una   quota
retributiva uguale per tutti, l'azione di risanamento  della  finanza
pubblica, sottesa alla  novella  censurata,  sarebbe  realizzata  nel
rispetto del fondamentale  principio  di  ragionevolezza,  attingendo
tutto  il  comparto  del  pubblico  impiego  interessato,  sia   pure
valorizzando le distinzioni statutarie esistenti. 
    Ne', infine, farebbe gioco  il  particolare  statuto  che  regola
l'attivita' degli avvocati dello Stato, i quali, a  differenza  degli
avvocati delle altre amministrazioni pubbliche,  appartengono  ad  un
plesso organizzativo distinto rispetto a quello dell'ente (lo  Stato)
che essi sono chiamati a difendere in sede giudiziale. Il rimettente,
infatti, ritiene che tale circostanza rilevi al fine di garantire una
posizione di maggiore indipendenza, ma non valga  a  giustificare  un
trattamento economico deteriore rispetto a quello goduto dalle  altre
avvocature pubbliche. 
    14.-  Nel  giudizio  incidentale  si  sono  costituite  le  parti
ricorrenti nel giudizio a quo,  ribadendo  le  indicazioni  difensive
gia' prospettate dalle relative parti private nel giudizio principale
pendente innanzi al TRGA di Trento. 
    Con riguardo alla questione prospettata in riferimento all'art. 3
Cost., la  difesa  delle  parti  private  evidenzia  che  il  tertium
comparationis,  nel  caso,  e'  offerto  dall'insieme  delle   stesse
disposizioni  censurate  che,  all'interno  della   categoria   degli
avvocati pubblici, individuano la sottocategoria degli avvocati dello
Stato, distinguendola ingiustificatamente,  sul  piano  dei  compensi
variabili percepiti, a parita' di prestazioni e natura  pubblicistica
della parte patrocinata. 
    La distinzione derivata dalla  norma  contestata,  si  sottolinea
ulteriormente,  attiene  ai  soli  onorari  professionali  variabili,
corrisposti a titolo di ulteriore  incentivo  e  limitati  alle  sole
ipotesi di integrale vittoria della parte pubblica, e aventi, dunque,
carattere remunerativo della prestazione professionale  resa  con  la
rappresentanza in  giudizio,  ma  natura  e  funzione  diverse  dalla
retribuzione: la disparita' di trattamento tra le due categorie prese
in considerazione dalla norma censurata non potrebbe in coerenza  che
essere esaminata guardando esclusivamente alle discipline  specifiche
degli  onorari  e  tanto   renderebbe   ancora   piu'   evidente   la
irragionevole disparita' di trattamento tra avvocati  dello  Stato  e
avvocati di altre amministrazioni pubbliche. 
    15.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato,  concludendo  per  la  inammissibilita'  o  comunque  per   la
infondatezza della questione. 
    Ribaditi i profili  argomentativi  gia'  spesi  nel  giudizio  di
costituzionalita' promosso dal TRGA di Trento,  avuto  riguardo  alla
prima delle due questioni, la difesa dello Stato, in ordine al dubbio
di legittimita' costituzionale prospettato in  relazione  all'art.  3
Cost., ha evidenziato, sul  piano  generale,  che  la  riduzione  dei
compensi e' coerente con le misure di contenimento delle retribuzioni
introdotte  in  chiave  solidaristica,  a  far  tempo  dal  2010,   e
involgenti l'intero comparto del pubblico impiego,  non  esclusi  gli
avvocati delle amministrazioni diverse dallo Stato, per  le  quali  a
tanto provvede la stessa norma censurata.  Sotto  altro  versante  ha
rimarcato  l'inadeguatezza  del   tertium   comparationis   posto   a
fondamento del prospettato giudizio di diseguaglianza.  Cio'  perche'
il rapporto di lavoro degli avvocati e  procuratori  dello  Stato  e'
assoggettato, ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo  30  marzo
2001,  n.  165  (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche),  al  regime  di  diritto
pubblico;   quello   degli   avvocati    dipendenti    delle    altre
amministrazioni pubbliche alla  disciplina  del  rapporto  di  lavoro
contrattualizzato.  Sarebbero  in  coerenza  diverse  le   discipline
inerenti  ai  rispettivi  trattamenti  economici,  cosi'  da  rendere
evidente la disomogeneita' delle situazioni comparate. 
    16.- La difesa delle parti private ha depositato  alcune  tabelle
riepilogative delle differenze inerenti ai  compensi  maturati  negli
anni 2014 e 2015 a seconda della diversa disciplina vigente. 
    La  stessa  difesa  ha  anche   depositato   memoria   contenente
argomentazioni  analoghe  a  quelle  tracciate  dalle  parti  private
costituite nel giudizio incidentale descritto  in  precedenza,  avuto
riguardo alla  questione  prospettata  in  riferimento  all'art.  77,
secondo comma, Cost.; per altro verso, con la  medesima  memoria,  la
detta difesa ha replicato alle deduzioni dell'interveniente. 
    La difesa dell'interveniente, a sua volta, ha depositato  memoria
con la quale ha ribadito le conclusioni  spiegate  al  momento  della
costituzione. 
    17.- Con ordinanza depositata il 16 giugno 2016 (r.o. n. 246  del
2016) il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria,  sezione
staccata di Reggio Calabria, dubita della legittimita' costituzionale
dei commi 3, 4 e 6 dell'art. 9 del d.l. n. 90 del  2014,  piu'  volte
citato, in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Nel corpo dell'ordinanza, a differenza  di  quanto  espressamente
indicato  nel  dispositivo,  le  argomentazioni  del  giudice  a  quo
involgono anche  altri  parametri  costituzionali  (segnatamente  gli
artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.) nonche' altre disposizioni del  censurato
art. 9 (in particolare, il comma 1). 
    17.1.-  Il  giudizio  principale  vede  quali  ricorrenti  alcuni
avvocati dello Stato, in servizio presso l'Avvocatura distrettuale di
Reggio Calabria. I petita hanno un contenuto non  diverso  da  quello
dei  giudizi  principali  cui  si  e'   gia'   fatto   cenno   e   le
amministrazioni resistenti sono le stesse coinvolte in essi. 
    Anche in questo  caso  i  ricorrenti  hanno  sollevato  dubbi  di
costituzionalita' dell'art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 in  riferimento
a  diversi  parametri;  e  le  amministrazioni  resistenti  si   sono
costituite in giudizio, contestando la fondatezza di tali dubbi. 
    17.2.- Le argomentazioni esposte dal TAR rimettente  ripropongono
quelle esposte dal TRGA di Trento con l'ordinanza del 10 marzo  2016,
in ordine alla non manifesta infondatezza della questione  avente  ad
oggetto l'intero art. 9 del d.l.  n.  90  del  2014,  in  riferimento
all'art. 77, secondo comma, Cost. 
    17.3.- Il giudice a  quo  ritiene,  inoltre,  non  manifestamente
infondata anche la questione, prospettata dai ricorrenti, relativa ai
commi 3, 4 e 6 dell'art. 9 in  oggetto,  in  riferimento  all'art.  3
Cost. In proposito, il  rimettente  richiama  e  ribadisce  le  linee
argomentative gia' tracciate dall'ordinanza del 25 marzo 2016 del TAR
Molise nel rimarcare l'irragionevole discriminazione, derivata  dalle
disposizioni  censurate,  tra  avvocati  dello   Stato   e   avvocati
dipendenti di altre amministrazioni pubbliche. 
    Il TAR Calabria supporta ulteriormente i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale delle citate disposizioni, procedendo ad un  confronto
critico con quanto ritenuto, in senso  opposto,  da  altro  Tribunale
amministrativo  regionale  (segnatamente  il  TAR   Puglia,   sezione
staccata di Lecce, con la sentenza n. 170 del 20  gennaio  2016),  le
cui valutazioni non sono condivise dal  Collegio  rimettente  perche'
escludono i profili di diseguaglianza facendo leva su  argomentazioni
inconferenti  che  non  giustificano  il   trattamento   peggiorativo
riservato solo  alla  categoria  dei  ricorrenti  e  non  tengono  in
considerazione le peculiarita', ordinamentali  e  organizzative,  che
assistono la configurazione istituzionale dell'Avvocatura dello Stato
rispetto alle avvocature di altri enti e amministrazioni pubbliche. 
    17.4.- Secondo il giudice a quo le disposizioni censurate,  dando
corpo ad un intervento avente natura tributaria,  sarebbero  altresi'
in contrasto con gli artt. 3, 23 e 53 Cost. 
    17.4.1.- Muovendo da quanto affermato  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 223 del 2012, il  giudice  a  quo  ritiene  presenti  gli
elementi  indefettibili  propri  della  fattispecie  tributaria.   La
relativa disciplina sarebbe infatti diretta,  in  via  prevalente,  a
procurare una (definitiva) decurtazione  patrimoniale  a  carico  del
soggetto passivo senza modificare il  rapporto  sinallagmatico  posto
alla base delle situazioni  remunerative  incise  dalla  novella;  il
tutto perseguendo finalita' di risanamento  della  finanza  pubblica,
rese evidenti da quanto esplicitato dal comma 4 del censurato art.  9
(laddove si prevede - per i casi  di  condanna  alle  spese  posta  a
carico della controparte - che una quota pari al  25  per  cento  del
relativo ammontare venga destinata «[...] al Fondo per  la  riduzione
della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27
dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni»). 
    17.4.2.- Posta, dunque, la natura tributaria  della  decurtazione
disposta  dalla  novella  in  disamina,  osserva  il  rimettente  che
l'imposizione introdotta dalle disposizioni censurate incide  su  una
particolare voce remunerativa che e' parte di un  reddito  lavorativo
complessivo gia' sottoposto a prelievo tributario  in  condizioni  di
parita'  con  tutti  gli  altri  percettori  di  reddito  di  lavoro;
introduce, quindi,  senza  alcuna  giustificazione,  un  elemento  di
discriminazione soltanto in  danno  della  particolare  categoria  di
dipendenti  statali  non  contrattualizzati   che   beneficia   della
titolarita' dei compensi professionali in discorso. La previsione  di
siffatto tributo speciale comporterebbe  inoltre  una  ingiustificata
disparita' di trattamento  con  riguardo  alle  indennita'  percepite
dagli  altri  dipendenti  statali,  non  assoggettate,  negli  stessi
periodi d'imposta, ad  alcun  prelievo  tributario  aggiuntivo.  Ne',
prosegue il  rimettente,  potrebbe  sostenersi  che  l'intervento  in
questione  abbia  finalita'   «perequativa»,   trattandosi   di   una
disciplina che, in quanto rivolta ad un'unica categoria di percettori
di reddito, viene a vulnerare  esclusivamente  questi  ultimi  e  con
esclusivo riferimento ai compensi di cui trattasi.  Per  altro  verso
ancora, la disciplina oggetto di  censura,  proprio  in  ragione  del
carattere di prelievo, appare di dubbia costituzionalita'  in  quanto
non temporanea, bensi' strutturalmente connotata quale  modificazione
sine die. 
    17.5.-   Il   rimettente   dubita   anche   della    legittimita'
costituzionale del comma 1 dell'art. 9 del d.l. n. 90  del  2014.  In
forza di tale disposizione, i compensi in questione vanno  ricompresi
tra quelli per i quali devono ritenersi operativi  i  vigenti  limiti
dettati  per  i  trattamenti  economici  corrisposti  ai   dipendenti
pubblici, ai titolari di cariche elettive e ai titolari di  incarichi
con emolumenti a carico della finanza pubblica,  ai  sensi  dell'art.
23-ter del d.l. n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del  2011
e successivamente modificato. 
    17.5.1.- Secondo il rimettente, le  decurtazioni  previste  dalle
disposizioni censurate hanno l'effetto  di  deprimere  le  previgenti
disposizioni premiali senza favorire il miglior  conseguimento  della
finalita' pubblica di efficienza  dell'amministrazione,  con  indubbi
riflessi di finanza pubblica: assoggettando (anche) il riconoscimento
dei compensi professionali spettanti ad avvocati e procuratori  dello
Stato al «tetto retributivo» di che trattasi, si  induce  un  effetto
«disincentivante» ai fini dell'immissione nei  ruoli  dell'Avvocatura
dello Stato delle piu' elevate e qualificate  risorse  professionali.
Si vulnera, cosi', non solo l'art.  97,  ma  anche  l'art.  3  Cost.,
atteso che la pur omogenea applicazione di siffatto «limite» a  tutti
i legali dipendenti da pubbliche  amministrazioni  assume  accentuato
rilievo «penalizzante» per gli avvocati e procuratori dello Stato  in
ragione della maggiormente limitata partecipazione alla  ripartizione
dei compensi che differenzia, in peius, il trattamento ora  riservato
ai primi rispetto ai secondi. 
    18.-  Nel  giudizio  incidentale  si  sono  costituite  le  parti
ricorrenti nel giudizio a quo, ribadendo la fondatezza dei  dubbi  di
legittimita' costituzionale sollevati con l'ordinanza di rimessione. 
    19.-  E'  anche  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    Sulle  prime  due  questioni,  l'Avvocatura   ha   reiterato   le
argomentazioni gia' esposte nel trattare le precedenti  ordinanze  di
rimessione. 
    Avuto riguardo alla censura prospettata in riferimento agli artt.
3, 23 e 53 Cost., l'interveniente  ha  negato  la  natura  tributaria
delle decurtazioni imposte dalle disposizioni  censurate,  dirette  a
realizzare non una  acquisizione  di  risorse  per  la  copertura  di
pubbliche  spese  ma  solo  un  definitivo  risparmio  degli  esborsi
gravanti sulla collettivita'. 
    In ordine, infine, alle questioni sollevate in  riferimento  agli
artt. 3 e 97 Cost., ha eccepito la inammissibilita' della  questione,
per genericita' e contraddittorieta' della prospettazione. 
    20.- Anche in questo giudizio incidentale la difesa  delle  parti
private ha prodotto tabelle riepilogative contenenti il raffronto tra
le competenze maturate nel 2014 e nel  2015.  Ancora,  ha  depositato
memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni a  sostegno  della
fondatezza delle questioni secondo deduzioni non  diverse  da  quelle
descritte nel riportare gli  elementi  caratterizzanti  i  precedenti
giudizi di costituzionalita'. 
    La difesa dell'interveniente ha a  sua  volta  controdedotto  con
memoria alle deduzioni difensive delle parti private. 
    21.- Con ordinanza del 29 luglio 2016 (r.o. n. 259 del  2016)  il
Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Puglia,  dubita  della
legittimita' costituzionale del piu' volte richiamato art. 9 del d.l.
n. 90 del 2014, in relazione agli  artt.  3,  25,  77  e  117  Cost.,
quest'ultimo in riferimento all'art. 6, della CEDU. 
    22.- Il giudice a quo premette in fatto  che  la  ricorrente  del
giudizio principale, gia' magistrato ordinario, e' procuratore  dello
Stato in servizio presso l'Avvocatura  distrettuale  di  Bari  a  far
tempo dal 29 gennaio 2014. In ragione di  tanto,  la  stessa  avrebbe
maturato  un  diritto  ai  compensi  professionali  coerente  con  le
previsioni  normative  di  riferimento  vigenti  alla   detta   data,
modificate,  con  limitazioni  e  decurtazioni,  dalle   disposizioni
censurate. Di  qui  il  petitum  condannatorio  nei  confronti  delle
amministrazioni resistenti, in linea  con  quelli  prospettati  negli
altri giudizi  in  precedenza  descritti.  Anche  in  tale  giudizio,
inoltre, l'accoglimento  dei  petita  passa  indefettibilmente  dalla
verifica di costituzionalita' della novella apportata dalla norma  in
questione, posta in dubbio dalla ricorrente con riferimento a diversi
parametri,   secondo   prospettazioni,   tutte   contrastate    dalle
amministrazioni resistenti costituite  nel  relativo  giudizio,  solo
parzialmente condivise dal TAR rimettente. 
    23.- Avuto riguardo ai dubbi prospettati dal giudice a  quo,  gli
stessi, con riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost., seguono la
traccia argomentativa esposta dalla ordinanza del TRGA di Trento.  In
ordine alla ritenuta violazione del primo comma  dell'art.  3  Cost.,
per la ritenuta diseguaglianza rispetto alla disciplina  dettata  per
gli avvocati dipendenti delle pubbliche  amministrazioni  diverse  da
quelle dello Stato,  l'ordinanza  in  disamina  ripercorre  le  linee
segnate  dal  TAR  Molise.  Inoltre,  in  punto  di   non   manifesta
infondatezza della questione in riferimento agli artt.  3,  23  e  53
Cost., si ribadiscono,  senza  fare  un  esplicito  riferimento  alla
stessa, i profili  deduttivi  evidenziati  dalla  ordinanza  del  TAR
Calabria. 
    24.- In aggiunta ai  temi  di  scrutinio  costituzionale  offerti
dalle altre  ordinanze,  il  TAR  Puglia  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 9 anche sotto il versante della  tutela  del
principio di affidamento garantito, dall'ordinamento  interno,  dagli
artt. 3 e 25 Cost., nonche' dal combinato disposto di cui agli  artt.
117, primo comma, Cost., e 6 della CEDU. 
    24.1.- Evidenzia il rimettente che  la  ricorrente  nel  giudizio
principale, una volta  superato  il  concorso  da  procuratore  dello
Stato, ha espressamente optato  per  l'Avvocatura  dello  Stato,  con
conseguente cancellazione dal ruolo dell'organico della  magistratura
ordinaria, ragionevolmente indotta dalla previsione  contenuta  nello
stesso bando di concorso, di  corresponsione  dello  stipendio  annuo
lordo, oltre agli emolumenti di cui agli artt. 27 della legge n.  103
del 1979 e 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425 (Disposizioni relative
al trattamento economico dei magistrati), emolumenti cancellati pero'
dalla disposizione censurata. 
    24.2.- Vero e' che, eccezion fatta per  la  materia  penale,  ove
vige il principio di irretroattivita' della legge di cui all'art.  25
Cost., non puo' ritenersi interdetto al legislatore di intervenire in
peius su diritti soggettivi perfetti relativi a rapporti  di  durata.
Rimarca, tuttavia, il giudice a  quo  che  la  legittimita'  di  tale
modifica presuppone che la stessa sia in ogni  caso  giustificata  da
esigenze  eccezionali  e   idonee   ad   imporre   «sacrifici   [...]
eccezionali, transeunti,  non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso», cosi' come chiarito da questa Corte (e' citata la sentenza
n. 223 del 2012). 
    24.3.- Ad avviso del TAR rimettente,  l'art.  9  in  disamina  e'
invece intervenuto in  via  definitiva,  introducendo  una  modifica,
tutt'altro che transeunte, di disposizioni che disciplinano, da oltre
un  secolo,  il  trattamento  economico   dell'Avvocatura   erariale,
imponendo un sacrificio  arbitrario,  in  quanto  richiesto  ai  soli
avvocati e procuratori dello Stato e non  gia'  agli  altri  avvocati
dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche.  E  la   lesione   del
legittimo affidamento comporta inoltre la violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., in riferimento all'art.  6  CEDU:  come  chiarito
dalla Corte europea dei diritto dell'uomo, la preminenza del  diritto
e lo stesso concetto di processo equo della CEDU di cui  all'art.  6,
ostano ad un intervento legislativo retroattivo, a meno che esso  non
sia giustificato da un motivo imperativo di interesse  generale,  che
non  puo'  pero'  ravvisarsi   nell'ottenimento   di   un   beneficio
finanziario per lo Stato. E  nel  caso,  la  disposizione  censurata,
secondo   il   rimettente,   comporta,   con   effetti   retroattivi,
un'irragionevole ingerenza nei diritti gia' assicurati  dalla  legge,
all'unico scopo di ottenere un beneficio finanziario. 
    25.- Si e' costituita la parte ricorrente  nel  giudizio  a  quo,
ribadendo e ulteriormente supportando le ragioni di fondatezza  della
denunziata   illegittimita'   costituzionale    delle    disposizioni
censurate, gia' prospettate in occasione del ricorso introduttivo del
giudizio principale e fatte proprie dal rimettente. 
    26.- E' inoltre  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    26.1.-  Sulle  questioni  diverse  da   quella   prospettata   in
riferimento alla affermata lesione degli artt. 3,  25,  nonche'  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 6  della  CEDU,  la  difesa
erariale ripercorre gli stessi temi  argomentativi  gia'  addotti  in
occasione degli altri  giudizi  di  costituzionalita',  descritti  in
precedenza. 
    26.2.-  Quanto  alla  residua  questione  prospettata   dal   TAR
rimettente, l'interveniente rimarca  che  la  novella  contestata  si
inserisce in una piu' ampia ottica volta al contenimento della spesa,
realizzata con diversi interventi, a far  tempo  dal  2010,  tesi  ad
incidere,  riducendone  il  portato,   sulla   spesa   afferente   ai
trattamenti  economici  del  personale  dipendente   della   pubblica
amministrazione. Operando per tutto il settore del pubblico  impiego,
ad    avviso    dell'interveniente,    se    ne    deve     escludere
l'irragionevolezza.   Ne'   puo'   dirsi   violato    il    principio
dell'affidamento:  una   volta   esclusa   l'irragionevolezza   della
disciplina  censurata,  non  viola   la   Costituzione   l'intervento
normativo retroattivo che incida  sui  diritti  di  natura  economica
connessi a rapporti di durata. 
    26.3.- Non meno infondata, ad avviso  della  interveniente,  deve
ritenersi la prospettata violazione dell'art. 6 della CEDU. La stessa
Corte EDU, avrebbe infatti ritenuto coerenti con  la  Convenzione  le
limitazioni al diritto al godimento dei propri beni se sorrette, come
nella specie, dal perseguimento della  utilita'  pubblica,  nel  caso
rintracciabile nelle eccezionali contingenze  economiche  che  stanno
alla base dei diversi provvedimenti legislativi di contenimento della
spesa. 
    27.- Con memoria depositata il 13 settembre 2017, la difesa della
parte  privata  ha  replicato  alle  argomentazioni  difensive  della
interveniente con riguardo a tutte le questioni prospettate  dal  TAR
rimettente. 
    A tale memoria, con atto depositato  il  19  settembre  2017,  ha
replicato la difesa  dell'interveniente,  ribadendo  e  ulteriormente
supportando le difese gia' spiegate al momento della costituzione. 
    28.- Con ordinanza del 5 dicembre del 2016 (r.o. n. 60 del  2017)
il Tribunale amministrativo regionale per la Campania,  dubita  della
costituzionalita' dei commi 3, 4 e 6 del  d.l.  n.  90  del  2014  in
riferimento agli artt. 2, 3, 23, 35, 36,  42,  53,  77  e  97  Cost.,
nonche' in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU.
Nel corpo dell'ordinanza, il giudice a quo, inoltre, a differenza  di
quanto   esplicitato   nel   dispositivo,    lega    i    dubbi    di
incostituzionalita' anche all'ulteriore parametro interposto  offerto
dall'art. 6 della CEDU. 
    29.- Anche in questo giudizio principale, per quanto  evidenziato
dal giudice a quo, il tema del contendere  e  i  petita  addotti  dai
ricorrenti mirano alla condanna delle amministrazioni  resistenti  al
pagamento  del  dovuto  secondo  quanto   dettato   dalla   normativa
previgente   passando   dalla    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale delle disposizioni censurate. Si  sono  costituite  le
amministrazioni resistenti, adducendo la manifesta  infondatezza  dei
dubbi di illegittimita' costituzionale  sollevati  dai  ricorrenti  e
insistendo per la reiezione dei ricorsi. 
    30.- Il TAR rimettente descrive analiticamente il  contenuto  dei
commi 2, 4 e 8 del citato art. 9 del d.l. n. 90 del 2014. E, in linea
con  le  indicazioni  dei  ricorrenti,  ritiene  non   manifestamente
infondati i dubbi  di  illegittimita'  costituzionale  riferiti  alle
citate disposizioni, in primo luogo in riferimento agli artt. 3, 35 e
97, Cost., nonche'  dell'art.  6  della  CEDU  per  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza e per violazione del legittimo affidamento
e del divieto di irretroattivita' della legge. 
    30.1.- Ad avviso del rimettente, la retroattivita' che connota le
disposizioni censurate, destinate ad incidere su diritti patrimoniali
legati  a  rapporti  di  durata,  per  resistere  alla  verifica   di
legittimita'   costituzionale   non   puo'   che   trovare   adeguata
giustificazione, come affermato da questa Corte,  nella  esigenza  di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti motivi imperativi  di  interesse  generale.
Indicazioni interpretative che si sommano a quelle, di segno analogo,
offerte  dalla  Corte  di  Strasburgo,  laddove,  nel   valutare   la
compatibilita' delle disposizioni retroattive con i principi  imposti
dall'art. 6 della CEDU ha  avuto  modo  di  affermare  che  le  norme
destinate  ad  incidere  retroattivamente  su  posizioni   giuridiche
soggettive consolidate devono trovare la loro ragion d'essere  in  un
motivo imperativo di interesse generale e devono  altresi'  garantire
un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra  il  contenuto  delle
disposizioni ablative e lo scopo perseguito. Giustificazione che, nel
caso,  non  potrebbe   legittimamente   rinvenirsi   nelle   esigenze
straordinarie di contenimento della spesa pubblica che hanno motivato
l'intervento contestato. 
    L'esigenza di garantire il legittimo  affidamento  dei  cittadini
nella certezza  dei  rapporti  giuridici  e  nella  stabilita'  delle
situazioni soggettive e, per altro verso, l'interesse alla tutela  di
altri valori  costituzionali  coinvolti,  costituiscono,  secondo  il
giudice a quo,  limiti  invalicabili  all'attivita'  legislativa.  La
nuova legge, dunque, non puo' essere applicata, non solo ai  rapporti
giuridici che hanno esaurito i loro effetti prima della  sua  entrata
in vigore, ma anche a quelli  originati  anteriormente  e  ancora  in
corso. 
    Da  qui  l'illegittimita'   costituzionale   delle   disposizioni
censurate, laddove viene sancita la propria applicabilita' anche alle
ragioni di compenso maturate relativamente a controversie  instaurate
prima della entrata in vigore della legge contestata, qualora vengano
decise successivamente. 
    Non va trascurato, inoltre, che il trattamento  di  minor  favore
determinato dalla censurata novella, non transeunte ma frutto di  una
riforma destinata ad operare  strutturalmente  sulle  prospettive  di
retribuzione dei dipendenti in oggetto, non da' luogo ad  un  diretto
risparmio per la spesa pubblica perche' incide, piuttosto, su esborsi
che non gravavano sullo Stato: e cio' rende ancora piu'  evidente  la
sproporzione tra il pregiudizio arrecato e  il  vantaggio  perseguito
con le norme censurate. 
    31.- Ad avviso del TAR rimettente, risultano  violati  anche  gli
artt. 3, 23 e 53 Cost., perche'  con  le  disposizioni  censurate  si
realizza un prelievo tributario realizzato in forma occulta, limitato
solo ad una categoria di contribuenti  e  non  temporaneo.  Il  tutto
secondo le medesime linee  argomentative  tracciate  dalla  ordinanza
resa dal TAR Calabria in data 16 giugno 2016 (r.o. n. 246 del  2016),
espressamente richiamata. 
    32.-  Il  giudice  a  quo  ritiene  altresi'  non  manifestamente
infondati i dubbi prospettati dai ricorrenti avuto riguardo  all'art.
1 del Protocollo addizionale  alla  CEDU.  La  Corte  di  Strasburgo,
infatti,  avrebbe   valorizzato   la   protezione   delle   legittime
aspettative dei cittadini nei  confronti  di  interventi  legislativi
ablativi dei loro  diritti,  anche  legati  a  rapporti  di  credito.
L'intervento  legislativo  ablativo  deve  ritenersi  conforme   alla
Convenzione solo se motivato da un imperativo  interesse  generale  e
sempre se proporzionato nel  confronto  tra  pregiudizio  arrecato  e
scopo perseguito. E, nel caso, la non  temporaneita'  dell'intervento
peggiorativo e l'incidenza dello stesso su una quota di  rilievo  del
relativo  trattamento  remunerativo  rendono  palese   l'assenza   di
proporzionalita'. 
    33.-   Il   TAR   Campania,   ancora,    ribadisce,    pressoche'
pedissequamente,  i  dubbi  di   costituzionalita'   prospettati   in
riferimento all'art. 3 Cost., primo comma, dal TAR Molise (r.o. n. 26
del 2017) in ragione della discriminazione  provocata  dalla  novella
avuto riguardo al trattamento economico degli avvocati  dello  Stato,
se comparato con quello degli avvocati dipendenti  di  altri  enti  o
amministrazioni pubbliche, in  relazione  alla  misura  dei  compensi
variabili. 
    34.- Ritiene, ancora, il rimettente che la  normativa  denunciata
presenti profili di contrasto anche con l'art. 36 Cost. Ad avviso del
giudice a quo, ogni modificazione legale del trattamento  retributivo
postula (per la sua compatibilita' costituzionale) la verifica  della
conservazione  del  proporzionato  equilibrio   tra   prestazione   e
stipendio imposto dal precetto costituzionale evocato. Una  riduzione
significativa dello stipendio, a fronte del mantenimento della stessa
quantita' e qualita' della prestazione dovuta, potrebbe risolversi in
una rottura del sinallagma e, quindi, in una  lesione  del  principio
della proporzionalita' della retribuzione. E, nel caso, il  vizio  di
incostituzionalita' deriva,  ad  avviso  del  TAR  rimettente,  dalla
circostanza che la misura della  decurtazione  si  rivela  idonea  ad
inficiare, squilibrandolo, il vincolo di corrispettivita' tra  lavoro
e retribuzione, elemento ravvisabile in ragione della complessita'  e
quantita' delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato. 
    35.- Infine, ad avviso del giudice a quo,  il  censurato  art.  9
sarebbe in contrasto anche con  il  disposto  dell'art.  77,  secondo
comma, Cost., secondo una prospettazione che ribadisce  integralmente
le indicazioni argomentative esplicitate sul tema dalla ordinanza del
TRGA di Trento (r.o. n. 82 del 2016). 
    36.- Si sono costituiti i  ricorrenti  del  giudizio  principale,
ribadendo, questione per questione, le argomentazioni gia' spese  nel
ricorso proposto innanzi al TAR rimettente a sostegno  dei  dubbi  di
legittimita'   costituzionale   prospettati   con   l'ordinanza    di
rimessione. 
    37.- Anche in questo giudizio incidentale e' intervenuto, con  la
rappresentanza e la difesa dell'Avvocatura generale dello  Stato,  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Le  linee  difensive   tracciate   dall'interveniente   ricalcano
pedissequamente quelle gia' espresse in occasione degli altri giudizi
di costituzionalita' descritti in precedenza. 
    Merita un cenno  particolare,  avuto  riguardo  alla  prospettata
illegittimita' costituzionale con riferimento agli artt. 3, 35  e  97
Cost., l'affermazione difensiva in forza della  quale,  nel  caso  di
specie, la disciplina introdotta  dalle  disposizioni  censurate  non
avrebbe efficacia retroattiva. 
    Il  diritto  alla  percezione  delle  competenze  variabili   non
maturerebbe alla data di instaurazione  della  relativa  controversia
ne' a quella di  esecuzione  della  relativa  prestazione.  Vero  e',
piuttosto, che la disciplina relativa al  riparto  tra  gli  avvocati
dello Stato degli onorari maturati nel corso  di  un  giudizio  muove
imprescindibilmente dal passaggio in giudicato  della  decisione;  si
lega alla presenza in servizio  del  professionista  interessato;  fa
riferimento al rendimento individuale nel  quadrimestre  relativo  al
momento in cui le somme vengono concretamente acquisite. 
    Ne consegue che  il  riferimento  alla  data  di  deposito  delle
sentenze quale spartiacque di efficacia tra la normativa previgente e
quella introdotta dalla novella non incide  su  posizioni  giuridiche
soggettive consolidate. 
    38.- In data 19 settembre 2017, la difesa  dell'interveniente  ha
depositato memoria tramite  la  quale  ha  ulteriormente  evidenziato
l'infondatezza dei dubbi di  costituzionalita'  prospettati  dal  TAR
rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con cinque distinte  ordinanze,  il  Tribunale  regionale  di
giustizia amministrativa del  Trentino-Alto  Adige,  sede  di  Trento
(r.o. n. 82 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale  per  la
Calabria, sezione staccata di  Reggio  Calabria,  (r.o.  n.  246  del
2016), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia  (r.o.  n.
259 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale  per  il  Molise
(r.o. n. 26 del 2017) e il Tribunale amministrativo regionale per  la
Campania  (r.o.  n.  60  del  2017)   dubitano   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge 24 giugno  2014,  n.  90
(Misure   urgenti   per   la   semplificazione   e   la   trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. 
    2.-  In  particolare,  detto  art.  9  e'  censurato,  nella  sua
interezza, da tutte le ordinanze, in riferimento all'art. 77, secondo
comma, della Costituzione. 
    I rimettenti, fatta eccezione per il  TRGA  di  Trento,  dubitano
anche della legittimita' costituzionale dei commi 2, 3,  4  e  6  del
citato art. 9, in relazione all'art. 3, primo comma, Cost. 
    Dette disposizioni si porrebbero altresi' in  contrasto,  secondo
il TAR Calabria, con gli artt. 3, 23  e  53  Cost.;  secondo  il  Tar
Puglia, con gli artt. 3 e 53 Cost.; e, secondo il Tar  Campania,  con
gli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 Cost. 
    Il TAR Campania deduce,  ancora,  che  i  commi  2,  4  e  8  del
suindicato art. 9 violerebbero gli artt. 3, 35, 42 e 97 Cost. Il  TAR
Puglia censura le medesime disposizioni in riferimento agli artt.  3,
25  nonche'  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo   in
relazione all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848; anche il TAR Campania evoca l'art. 6 della  CEDU
e fa, inoltre, riferimento all'art. 1 del Protocollo addizionale alla
richiamata  Convenzione,  firmato  a  Parigi  il  20  marzo  1952   e
ratificato con la stessa legge n. 848 del 1955. 
    Infine, il TAR Calabria dubita della legittimita'  costituzionale
del comma 1 del richiamato art. 9, in riferimento agli artt. 3  e  97
Cost. 
    3.- La parziale comunanza  delle  disposizioni  censurate  e  dei
parametri costituzionali invocati nonche' il contenuto analogo  delle
argomentazioni a sostegno delle  censure  comportano  che  i  giudizi
vengano riuniti e decisi congiuntamente. 
    4.-  Le  norme  censurate  hanno  modificato  la  disciplina  dei
compensi variabili del personale dell'Avvocatura dello Stato, nonche'
degli altri avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni,  per
le prestazioni  professionali  rese  nel  difendere  in  giudizio  le
amministrazioni di riferimento. 
    Giova ricordare, dunque, in via di premessa  che  il  trattamento
economico degli  avvocati  e  procuratori  dello  Stato  si  compone,
essenzialmente, di due diverse voci. 
    Una prima voce e'  quella  retributiva  fissa,  costituita  dallo
stipendio tabellare, rapportato a quello goduto dai magistrati  (art.
12 della legge 24 maggio 1951, n. 392,  intitolato  «Distinzione  dei
magistrati  secondo  le   funzioni.   Trattamento   economico   della
magistratura nonche' dei magistrati del  Consiglio  di  Stato,  della
Corte  dei  conti,  della  Giustizia  militare  e  degli  avvocati  e
procuratori dello Stato»; nonche' art. 9 della legge 2  aprile  1979,
n. 97, recante «Norme sullo stato  giuridico  dei  magistrati  e  sul
trattamento economico dei magistrati ordinari e  amministrativi,  dei
magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato»). 
    Un'altra componente di detto trattamento e' quella modificata dal
censurato  art.  9,  e  attiene  ai  compensi  maturati  in   ragione
dell'attivita' difensiva svolta  in  giudizio,  di  natura  variabile
perche' dipendenti dalla sorte del contenzioso. 
    4.1.- La disciplina normativa di  riferimento,  modificata  e  in
parte abrogata dalle disposizioni contenute nel  citato  art.  9,  e'
stabilita dall'art. 21 del regio decreto 30  ottobre  1933,  n.  1611
(Approvazione del T.U. delle leggi e  delle  norme  giuridiche  sulla
rappresentanza e difesa in giudizio dello  Stato  e  sull'ordinamento
dell'Avvocatura dello Stato). 
    Sul piano regolamentare, assume rilievo, altresi', il decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  del   29   febbraio   1972
(Regolamento per  la  riscossione,  da  parte  dell'Avvocatura  dello
Stato, degli onorari  e  delle  competenze  di  spettanza  e  per  la
relativa  ripartizione),  recentemente  integrato  dalla   disciplina
introdotta dal decreto dell'Avvocatura generale dello  Stato  del  28
ottobre 2014 (Regolamento relativo ai criteri di  determinazione  del
rendimento individuale ai sensi  dell'art.  9  del  decreto-legge  24
giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014,  n.  114),
emanato in attuazione del comma 5 del censurato art. 9. 
    4.2.- Il sistema  normativo  previgente  alla  novella  in  esame
distingueva due ipotesi: una prima, concernente il  caso  in  cui  le
spese del processo erano state poste a carico della controparte (art.
21, commi 1, 2 e  3,  del  r.d.  n.  1611  del  1933);  una  seconda,
costituita dalla definizione della lite con compensazione delle spese
di giudizio (secondo il citato art. 21, comma 3). 
    Nel primo caso (comunemente definito del  "riscosso"),  le  somme
recuperate  dalla  controparte  a  cura   della   stessa   Avvocatura
competente erano ripartite  per  sette  decimi  tra  gli  avvocati  e
procuratori di ciascun ufficio distrettuale  e  per  i  restanti  tre
decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati  e  procuratori  dello
Stato, una volta passata in giudicato la relativa pronuncia. 
    Nel secondo caso  (comunemente  definito  del  "compensato")  era
corrisposta  dall'Erario  all'Avvocatura  dello  Stato,  secondo   le
modalita' stabilite dal regolamento, la  meta'  delle  competenze  di
avvocato e di procuratore che si sarebbero  liquidate  nei  confronti
del soccombente. In caso di compensazione parziale,  oltre  la  quota
degli  onorari  riscossa  dal  soccombente,  l'Erario  era  tenuto  a
corrispondere la meta' della quota di competenze  di  avvocato  e  di
procuratore sulla quale era caduta la compensazione (art.  21,  comma
3, del r.d. n. 1611 del 1933). 
    4.3.- Su tale impianto normativo ha  inciso  la  novella  oggetto
delle censure prospettate dai rimettenti. 
    4.3.1.- Il censurato art. 9, comma 1, stabilisce che  i  compensi
variabili sopra  descritti  debbano  essere  computati  ai  fini  del
raggiungimento della  soglia  retributiva  massima  di  cui  all'art.
23-ter del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214. 
    4.3.2.- L'art. 9, comma 2, abroga l'articolo 1, comma 457,  della
legge  27  dicembre  2013,  n.  147,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2014)», il quale prevedeva, per i  compensi  variabili  in
oggetto, una decurtazione del 25 per cento nel periodo  compreso  tra
il 1° gennaio 2014 ed il 31 dicembre 2016; lo stesso comma 2 dispone,
inoltre, per quel che  qui  principalmente  interessa,  l'abrogazione
dell'art. 21, comma 3, del r.d. n.  1611  del  1933,  relativo,  come
anticipato,  alla  ripartizione  delle  competenze  legate  a   cause
definite con compensazione o transatte senza  spese  a  carico  della
controparte. 
    4.3.3.- I commi 3, 4, 6 e 7 del  richiamato  art.  9  dettano  la
struttura nevralgica delle innovazioni apportate con le  disposizioni
censurate. E' stata, infatti, rivista la  disciplina  concernente  le
cosiddette "propine", distinguendo tra quelle destinate agli avvocati
dello Stato e quelle maturate dagli avvocati dipendenti  delle  altre
amministrazioni. 
    4.3.3.1.- Per questi ultimi, in caso  di  sentenza  con  spese  a
carico della controparte (di cui al censurato art. 9, comma  3),  non
si introducono limitazioni di sorta rispetto all'acquisizione di tali
importi da parte degli avvocati dipendenti da altre  amministrazioni,
rimandando la fonte primaria,  quanto  a  misura  e  modalita'  della
ripartizione, alle disposizioni dei regolamenti dei singoli  enti  di
riferimento  e  alle  indicazioni   di   disciplina   offerte   dalla
contrattazione  collettiva.  Le  relative   prospettive   retributive
devono, comunque, mantenersi all'interno delle soglie massime imposte
in linea generale dal comma 1 del richiamato art. 9 (il tetto imposto
dall'art. 23-ter del d.l. n. 201 del 2001) e individuale dal comma  7
dello stesso art. 9 (riferito allo  specifico  trattamento  economico
complessivo maturato di anno in anno). 
    Del pari, quanto alla ipotesi  delle  spese  compensate  o  della
causa transatta senza spese a  carico  della  controparte,  la  norma
primaria, pur non mettendo in discussione  il  relativo  diritto,  lo
lega, nella misura, al contenuto delle previsioni dei  regolamenti  e
della contrattazione collettiva di riferimento  attualmente  vigenti.
Fermi i vincoli imposti dai commi 1 e  7  dello  stesso  art.  9,  si
prevede, inoltre, che la relativa spesa non  potra'  superare  quanto
gia' stanziato per il medesimo titolo per l'anno 2013  dalle  singole
amministrazioni. 
    4.3.3.2.- Relativamente al personale dell'Avvocatura dello Stato,
e' stato previsto che,  in  caso  di  soccombenza  della  controparte
(comma 4, del  citato  art.  9),  il  diritto  alla  ripartizione  e'
espressamente limitato al 50 per cento  delle  somme  recuperate.  La
restante parte e' destinata, in misura del 25 per cento, a  borse  di
studio per lo svolgimento della pratica forense  presso  l'Avvocatura
dello Stato; la residua  quota,  al  Fondo  per  la  riduzione  della
pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge  n.  147
del 2013. 
    La nuova disciplina, con riguardo  al  personale  dell'Avvocatura
dello Stato, nulla prevede, inoltre, per le ipotesi di  compensazione
integrale o  di  transazione  senza  spese,  una  volta  abrogata  la
normativa  previgente  (dall'art.  9,  comma   2);   piuttosto,   nel
disciplinare l'ipotesi relativa (di cui all'art. 9, comma 6), esclude
espressamente gli  avvocati  dello  Stato  dal  novero  dei  soggetti
destinatari della relativa previsione. 
    4.3.4.-  In  ordine  al  regime  temporale  di  efficacia   delle
innovazioni in oggetto, il censurato art.  9  (al  comma  8,  il  cui
contenuto coincide con quello del comma 2,  in  parte  qua)  dispone,
quanto al cosiddetto "compensato", che la novella e' applicabile alle
sentenze  depositate  successivamente  all'entrata  in   vigore   del
decreto. 
    In caso di soccombenza della controparte (quindi, con riguardo al
cosiddetto "riscosso") la nuova disciplina (di cui al secondo periodo
del censurato art. 9, comma 8) si applica invece «[...]  a  decorrere
dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al
comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione  del  presente  decreto.  In  assenza  del
suddetto  adeguamento,  a  decorrere  dal   1º   gennaio   2015,   le
amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere
compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni
stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato». 
    5.- Le domande formulate nei giudizi principali e le  circostanze
che hanno dato origine agli stessi, sono di identico tenore. 
    In tutti  i  giudizi  i  ricorrenti  sono,  infatti,  avvocati  o
procuratori dello  Stato  che  agiscono  per  il  riconoscimento  del
diritto ai compensi  maturati  per  le  prestazioni  rese  in  favore
dell'amministrazione patrocinata, fondando la  relativa  pretesa  sul
regime normativo  anteriore  alla  novella.  Sono  identici  anche  i
relativi   petita,   diretti   ad   ottenere   la   condanna    delle
amministrazioni  resistenti  a  pagare  i  maggiori  importi  dovuti,
quantificati  sulla  scorta  della   previgente   normativa,   previa
declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme  introdotte
dalla novella. 
    5.1.- Le questioni sollevate dai rimettenti  hanno  parametri  di
riferimento e  oggetti  in  larga  misura  coincidenti,  prospettando
censure sostanzialmente sovrapponibili. Le stesse difese  prospettate
dalle parti private costituite nei giudizi  davanti  a  questa  Corte
(tutti i ricorrenti dei processi principali), nonche' dal  Presidente
del Consiglio  dei  ministri  (intervenuto  in  tutti  i  giudizi  di
costituzionalita') hanno tratti comuni e ripetuti. 
    5.2.- Le questioni vanno ordinate in ragione dell'identita' degli
oggetti e  delle  censure  prospettate.  Per  esigenze  di  chiarezza
espositiva, questa Corte si riserva di evidenziare eventuali  profili
di inammissibilita' in  relazione  al  singolo  gruppo  di  questioni
esaminate. 
    Preliminarmente occorre, in via  generale,  sottolineare  che  le
ordinanze di rimessione non sono affette da vizi  di  motivazione  in
ordine alla  non  manifesta  infondatezza  ed  alla  rilevanza  delle
sollevate questioni. 
    Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, va osservato  che  la
questione di legittimita' costituzionale  del  censurato  art.  9  e'
pregiudiziale  rispetto  all'accertamento  della  pretesa   economica
prospettata nei giudizi principali e alla decisione della domanda  di
condanna delle amministrazioni resistenti.  Del  resto,  il  relativo
petitum, volto ad ottenere la  differenza  tra  quanto  liquidato  in
virtu' delle disposizioni novellate e quanto preteso  dai  ricorrenti
sulla scorta della normativa previgente,  permette  di  escludere  la
sovrapponibilita' di oggetto tra giudizi  principali  e  giudizio  di
costituzionalita', con conseguente ammissibilita' delle questioni. 
    Inoltre, va data continuita' al costante orientamento  di  questa
Corte, secondo cui sono inammissibili le questioni ed  i  profili  di
costituzionalita' dedotti dalle parti, ulteriori  rispetto  a  quelli
prospettati dai rimettenti, volti dunque ad ampliare o modificare  il
contenuto dei provvedimenti di rimessione (ex plurimis,  sentenza  n.
83 del 2015). 
    6.- Il primo gruppo di questioni concerne le  censure  aventi  ad
oggetto l'intero art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, denunciato da  tutti
i rimettenti  in  riferimento  all'art.  77,  secondo  comma,  Cost.,
seguendo le linee  argomentative  tracciate,  in  particolare,  dalla
ordinanza di rimessione pronunciata dal TRGA di Trento. 
    6.1.- Secondo i giudici a quibus, detta norma avrebbe  realizzato
una riforma strutturale  del  trattamento  economico  spettante  agli
avvocati dello Stato, utilizzando lo strumento del  decreto-legge  in
assenza dei presupposti di straordinaria necessita' e urgenza. 
    La censura viene  ancorata,  oltre  che  all'art.  77  Cost.,  al
disposto dell'art. 15, commi 1 e 3, della legge 23  agosto  1988,  n.
400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento   della
Presidenza del Consiglio dei Ministri), e, ad avviso dei  rimettenti,
troverebbe conforto nella lettera delle premesse del d.l. n.  90  del
2014,  esaminate  partitamente   dando   rilievo   all'epigrafe   del
decreto-legge,  al  preambolo,  nonche'  al  titolo  e  al  capo  che
contengono l'articolo oggetto di censura e  sottolineando,  altresi',
la disomogeneita' tra la disciplina contestata e il  contenuto  degli
altri articoli del medesimo capo. 
    Secondo i rimettenti, nessun collegamento sarebbe ravvisabile tra
le  riportate  premesse  e  le  disposizioni  di  cui  si   prospetta
l'illegittimita' costituzionale: le  ragioni  di  contenimento  della
spesa pubblica, le uniche fondanti la riforma in  disamina,  infatti,
renderebbero evidente l'assenza di correlazioni  tra  il  decreto  in
parte qua e l'elemento finalistico proclamato nel preambolo, coerente
con il restante ed omogeneo contenuto del decreto, del titolo  e  del
capo di riferimento. Ne', del resto, il preambolo darebbe conto delle
ragioni di necessita' e di urgenza che  imponevano  l'adozione  delle
previsioni  normative  censurate   tramite   un   decreto-legge.   La
disomogeneita' tra le disposizioni censurate e l'ulteriore  contenuto
del  decreto  impedirebbe,  inoltre,  di  estendere  alle  prime   le
connotazioni di urgenza della restante parte del decreto. 
    Per altro profilo, l'art. 9 conterrebbe anche misure che non sono
di immediata applicazione, come invece richiesto dall'art. 15,  comma
3, della legge n. 400 del 1988. Il  comma  8  del  censurato  art.  9
stabilisce, infatti, che il nuovo regime dei compensi con riferimento
alle spese riscosse puo' trovare applicazione solo a  decorrere,  per
quel  che  qui   interessa,   dalla   previsione,   nei   regolamenti
dell'Avvocatura dello Stato, di regole dettate per legare il  riparto
delle somme al rendimento individuale. Tanto renderebbe  ancora  piu'
dubbia la concreta sussistenza  dei  presupposti  della  decretazione
d'urgenza. 
    6.2.- Le questioni non sono fondate. 
    Non si ravvisa, in  primo  luogo,  l'asserita  estraneita'  delle
disposizioni in esame rispetto al decreto-legge che le contiene. 
    Come gia' evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 133  del
2016, resa nello scrutinare l'art. 1, commi 1, 2 e  3,  del  medesimo
decreto-legge, l'ampio preambolo che precede il provvedimento  motiva
la straordinaria urgenza, giustificando la necessita' di  intervenire
anche in considerazione dell'esigenza di «[...] emanare  disposizioni
volte a favorire  la  piu'  razionale  utilizzazione  dei  dipendenti
pubblici». 
    All'interno di questa  cornice  finalistica,  si  inserisce,  con
adeguata coerenza, l'articolo  in  esame,  collocato  nel  Titolo  I,
denominato «Misure urgenti per  l'efficienza  della  p.a.  e  per  il
sostegno dell'occupazione» e piu' precisamente all'interno del Capo I
di tale Titolo, recante la rubrica  «Misure  urgenti  in  materia  di
lavoro pubblico». 
    La novella tiene conto della crisi economico-finanziaria presente
al  momento  dell'emanazione  e  persegue,  come  reso  palese  dalla
relazione illustrativa predisposta dal Governo, la finalita'  di  una
revisione della spesa pubblica in uno dei settori di maggiore rilievo
della stessa,  quello  inerente  al  costo  per  il  personale  della
pubblica  amministrazione,   obiettivo   ancor   piu'   compiutamente
realizzato  attraverso  il  coerente  riferimento   ai   criteri   di
rendimento, di cui al comma 5 dell'articolo 9 in disamina, introdotto
in sede di conversione. 
    Non  puo'  poi  dubitarsi  del  fatto  che  il  riordino  ed   il
contenimento  della   spesa   inerente   al   costo   del   personale
costituiscono momenti di essenziale  attuazione  del  buon  andamento
dell'azione amministrativa; considerazione, questa, che assume  ancor
piu' rilievo ora che l'art. 97, primo comma,  Cost.,  nel  richiedere
alle pubbliche amministrazioni di assicurare  la  sostenibilita'  del
debito, consolida il principio di economicita' quale  corollario  del
buon andamento della p.a. 
    Non manca, dunque, un coerente raccordo tra il censurato art. 9 e
le premesse della  decretazione  d'urgenza.  Non  sussiste,  inoltre,
disomogeneita' tra le disposizioni recate da detta norma e  le  altre
del titolo e del capo di riferimento, ancora di piu' se si  considera
che  quest'ultimo  reca  altre  misure  di  revisione   della   spesa
concernenti il personale, in particolare, le previsioni  degli  artt.
10  e  13,  connotate  da  una  comune  logica  di  rimodulazione   e
contenimento di determinati emolumenti economici accessori. 
    6.2.1.- La congiuntura economica e  finanziaria  nella  quale  la
disposizione e' stata dettata consente  di  escludere,  inoltre,  che
nella specie  possa  ritenersi  insussistente  il  presupposto  della
straordinaria necessita' e urgenza;  cio'  anche  tenuto  conto  che,
secondo la giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  sindacabilita'  in
relazione all'art. 77 Cost., della scelta del Governo di  intervenire
con decreto-legge va limitata ai soli casi di evidente  mancanza  dei
presupposti  in  questione  o   di   manifesta   irragionevolezza   o
arbitrarieta' della relativa valutazione (ex  plurimis,  sentenze  n.
287 e 133 del 2016; n. 10 del 2015; ordinanza n. 72 del 2015). 
    6.2.2.- Le disposizioni in esame, peraltro, non hanno  realizzato
una  riforma  organica  e  di  sistema  del  segmento  lavorativo  di
riferimento, non compatibile con la decretazione d'urgenza. 
    Le norme in esame influiscono sulle prospettive reddituali  della
categoria  interessata  e,   tuttavia,   incidono,   senza   peraltro
neutralizzarla integralmente,  soltanto  sulla  parte  variabile  del
trattamento economico, senza intaccare lo  stipendio  tabellare,  che
costituisce il nucleo del relativo profilo retributivo. 
    6.2.3.- Le valutazioni sottese  alla  scelta  della  decretazione
d'urgenza   non    sono    censurabili    neppure    per    manifesta
irragionevolezza, a causa della mancata indicazione dell'entita'  del
risparmio di spesa nella  relazione  tecnica  di  accompagnamento  al
decreto-legge n. 90 del 2014. 
    La  variabilita'  dei  compensi  in  oggetto  impone  infatti  di
valutare   a   consuntivo   l'effettiva   portata    dell'intervento,
giustificando a monte una certa  indeterminatezza  di  contenuto  del
relativo risparmio di spesa. Peraltro, tale circostanza e'  temperata
dalla possibilita' di fare riferimento alle previsioni esplicitate in
occasione della riduzione di spesa imposta dall'art.  1,  comma  457,
della legge n. 147 del 2013 (poi abrogato dal comma 2 del  richiamato
art. 9), il quale, per un periodo  temporale  limitato  (il  triennio
2014-2016), decurtava (anche se solo)  in  percentuale  proprio  tale
voce del trattamento economico degli  avvocati  dipendenti  pubblici,
compresi quelli facenti parte  del  personale  dell'Avvocatura  dello
Stato. 
    6.2.4.- Non rileva, infine, che il censurato art. 9, al comma  8,
subordini l'applicabilita' della novella (nella sola  parte  relativa
alla ripartizione del "riscosso") all'adeguamento dei  regolamenti  e
dei contratti collettivi di riferimento, secondo  le  indicazioni  di
principio dettate dal precedente comma 5. 
    Tale norma non mette, infatti, in crisi la portata immediatamente
precettiva della novella, tenuto conto  sia  dei  tempi  estremamente
contenuti entro i quali le amministrazioni  e  le  parti  interessate
dovevano procedere a siffatti adeguamenti (tre  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione), sia  della  stringente
previsione correlata al mancato rispetto di tale termine  (il  blocco
integrale della ripartizione del "riscosso" a far data dal 1° gennaio
2015). Il tutto, del  resto,  alla  luce  del  principio  di  recente
enunciato da questa Corte, secondo cui «la  straordinaria  necessita'
ed urgenza non  postula  inderogabilmente  un'immediata  applicazione
delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben puo'
fondarsi sulla necessita' di provvedere con urgenza, anche laddove il
risultato  sia  per  qualche   aspetto   necessariamente   differito»
(sentenze n. 170 e n. 16 del 2017). 
    E' dunque  non  fondata  la  censura,  prospettata  da  tutte  le
ordinanze di rimessione, in riferimento all'art. 77,  secondo  comma,
Cost. 
    7.- Tutti i rimettenti, con la sola eccezione del TRGA di Trento,
dubitano della legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 2, 3, 4
e 6, del d.l. n. 90 del 2014,  per  contrasto  con  l'art.  3,  primo
comma, Cost., in quanto realizzerebbe una disparita'  di  trattamento
tra  il  personale  dell'Avvocatura  dello  Stato  e   gli   avvocati
dipendenti delle altre amministrazioni pubbliche. 
    7.1.- In  via  preliminare,  vanno  rilevati,  d'ufficio,  alcuni
profili di inammissibilita' relativi all'individuazione  delle  norme
impugnate. 
    7.1.1.- Il riferimento ai commi 3 (relativo al  "riscosso"  degli
avvocati dipendenti  da  enti  diversi  dallo  Stato)  e  6  (che  si
riferisce al "compensato", escludendo dalla relativa  disciplina  gli
avvocati  dello  Stato)  del  denunciato  art.  9,  contenuto   nelle
ordinanze dei TAR Calabria, Molise, Puglia e Campania, deve ritenersi
inammissibile, per difetto di rilevanza nei giudizi a quibus, perche'
relativo   a   disposizioni   estranee   alla   disciplina   dettata,
dall'articolo in disamina, per  il  personale  dell'Avvocatura  dello
Stato. 
    Tali  disposizioni,  in  quanto  concernenti  esclusivamente  gli
avvocati  dipendenti  da   amministrazioni   diverse   dallo   Stato,
costituiscono, al piu', il tertium comparationis, non certo l'oggetto
del dubbio di legittimita' costituzionale. 
    Avuto riguardo alla ipotesi del cosiddetto "riscosso", le censure
avrebbero dovuto appuntarsi esclusivamente sul  comma  4  del  citato
art. 9, con conseguente eccentricita' dei rilievi rivolti al comma 3. 
    Identiche considerazioni vanno svolte in ordine  al  comma  6  di
detta norma. 
    Quest'ultimo reca infatti una disciplina che non  e'  applicabile
al personale dell'Avvocatura dello  Stato,  soggetto  alle  norme  di
diritto pubblico ex art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni  pubbliche):  abrogata  la   specifica   disposizione
previgente, la misura del diritto alla percezione di  emolumenti  per
l'ipotesi del cosiddetto "compensato"  non  potrebbe  infatti,  oggi,
essere demandata alla normazione  secondaria  o  alla  contrattazione
collettiva, fonti cui rimanda, per  i  soli  avvocati  dipendenti  da
amministrazioni diverse dallo Stato, la disposizione in oggetto. 
    7.1.2.- Piuttosto, e' di tutta evidenza, che, avuto  riguardo  al
tema del "compensato", assume rilievo decisivo il comma 2 dell'art. 9
nella  parte  in  cui  dispone  l'abrogazione  della  norma  che   in
precedenza tale diritto riconosceva e disciplinava  (il  gia'  citato
comma 3 dell'art. 21 del r.d. n. 1611 del 1933). Solo il  riferimento
a  tale  disposizione   da',   infatti,   sostanza   al   vulnus   di
incostituzionalita' prospettato in parte qua. 
    Tale disposizione, tuttavia, non trova un riscontro  esplicito  e
letterale nelle censure esposte dai rimettenti,  fatto  salvo  quanto
evidenziato  nell'ordinanza  resa  dal  TAR  Campania.  Una   lettura
complessiva delle ordinanze di rimessione mette  tuttavia  in  chiaro
che, nella specie, pur in presenza delle riscontrate distonie  con  i
diversi dispositivi,  non  decisive  se  superate  dal  tenore  della
motivazione (ex plurimis,  da  ultimo  sentenza  n.  203  del  2016),
l'intero portato argomentativo delle questioni prospettate  coinvolge
sia il disposto del comma 4 dell'art. 9 in disamina, sia il  comma  2
dello stesso articolo, in ragione dei diversi riferimenti  resi  alla
intervenuta abrogazione  della  previgente  normativa  relativa  alla
disciplina del "compensato". 
    7.2.-  Ad  avviso  dei  rimettenti,  le  disposizioni   censurate
violerebbero  il  principio  di  uguaglianza  per  la   irragionevole
discriminazione  tra  avvocati  dello  Stato  ed  avvocati  di  altre
amministrazioni pubbliche avuto riguardo alla  prevista  decurtazione
degli  onorari.  A  differenza  dei   primi,   gli   avvocati   delle
amministrazioni pubbliche non statali  hanno  infatti  conservato  il
diritto a percepire emolumenti legati sia all'ipotesi del  "riscosso"
che a quella del "compensato", anche in misura integrale  (a  seconda
di quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti); per  contro,
gli avvocati dello Stato godono di una tale possibilita'  nei  limiti
del 50 per cento delle sole somme recuperate  in  danno  della  parte
soccombente condannata alle spese. 
    L'art. 9 in esame, sottolineano i rimettenti, da' tuttavia  corpo
ad una riforma della parte variabile del  trattamento  economico  non
solo  dell'Avvocatura  dello  Stato,  ma  di  tutte   le   avvocature
pubbliche.  Coerenza  e  ragionevolezza  dell'intervento   normativo,
dunque, non potrebbero che essere lette nel contesto in cui lo stesso
e' posto, rendendo arbitraria  la  detta  differenziazione,  che  non
troverebbe giustificazione nel livello della componente  fissa  della
retribuzione  degli  avvocati  dello   Stato,   solo   assertivamente
superiore,  in  media,  a   quella   degli   avvocati   delle   altre
amministrazioni pubbliche. 
    Non andrebbe trascurato, inoltre, sempre  secondo  i  rimettenti,
che gli avvocati delle amministrazioni pubbliche diverse dallo  Stato
hanno statuti e inquadramenti che mutano da un ente all'altro,  senza
possibilita' di individuare una  disciplina  giuridica  ed  economica
unitaria, di modo che l'assegnazione ai soli avvocati dello Stato  di
un trattamento economico variabile peggiorativo rispetto  agli  altri
potrebbe assumere il carattere di una penalizzazione discriminatoria,
soprattutto  se  il  trattamento  deteriore  consegue  alla  semplice
appartenenza all'Avvocatura dello Stato e non sia agganciata  ad  una
soglia stipendiale specifica. 
    7.3.- Le questioni non sono fondate. 
    Relativamente   a   dette   censure   va   accolta    l'eccezione
dell'interveniente quanto alla inidoneita' del tertium  comparationis
indicato dai rimettenti a conforto delle stesse. 
    Le due categorie poste a raffronto, avuto  riguardo  ai  relativi
status giuridici ed economici,  presentano  connotazioni  eterogenee,
tali da inficiare il giudizio di comparazione richiesto. 
    Infatti, gli  avvocati  e  procuratori  dello  Stato  sono  stati
espressamente  sottratti  al  regime  della  privatizzazione  che  ha
interessato il rapporto di  lavoro  alle  dipendenze  della  pubblica
amministrazione: essi si caratterizzano, quindi, per una peculiarita'
ordinamentale che li  differenzia  dagli  altri  avvocati  dipendenti
della   pubblica   amministrazione,   soggetti,   di   contro,   alla
contrattazione collettiva. 
    La eterogeneita'  dei  termini  raffrontati  preclude  dunque  la
comparazione in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., come gia'
affermato da questa Corte (sentenze n. 192 del  2016  e  n.  178  del
2015), qualora il confronto avvenga tra categorie disomogenee,  l'una
ricompresa  e  l'altra  esclusa   dall'area   del   lavoro   pubblico
contrattualizzato. 
    Sono pertanto non fondate le censure concernenti i commi  2  e  4
dell'art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, proposte in riferimento all'art.
3 Cost. 
    8.- Il TAR Calabria  e  il  TAR  Campania  deducono  altresi'  la
violazione degli artt. 3, 23 e 53 Cost., sul presupposto della natura
tributaria delle decurtazioni e limitazioni  imposte  dalla  novella.
Analoghe censure sono prospettate dal TAR Puglia, pur se riferite  ai
soli artt. 3 e 53 Cost. Soltanto il TAR Campania, inoltre,  prospetta
la lesione anche dell'art. 2 Cost. 
    8.1.- Non diversamente da  quanto  in  precedenza  segnalato,  le
ordinanze di rimessione sono connotate da incongruenze  di  contenuto
tra motivazione e dispositivo.  Si  profilano,  inoltre,  ragioni  di
inammissibilita', rilevate d'ufficio, con riferimento sia  ad  alcune
delle norme oggetto  delle  censure  in  disamina,  sia  ad  uno  dei
parametri costituzionali  evocati  a  sostegno  di  una  delle  dette
questioni. 
    8.1.2.- Il TAR Calabria, nel dispositivo dell'ordinanza,  non  fa
cenno ai citati parametri costituzionali, mentre esplicita  l'oggetto
delle censure facendo puntuale richiamo ai commi 3, 4 e  6  dell'art.
9. La lettura della motivazione consente, tuttavia, di delimitare  la
questione alla sola decurtazione prevista dal comma 4, in riferimento
agli artt. 3, 23 e 53 Cost. 
    Le censure dirette nei confronti dei commi 3  e  6,  evocate  nel
solo  dispositivo,  sono  prive  di  svolgimento  argomentativo:   ne
consegue l'inammissibilita' per carenza di motivazione. 
    8.1.3.- Il TAR Puglia non indica esplicitamente, nel dispositivo,
le  disposizioni,  interne  all'art.   9,   oggetto   delle   censure
prospettate  a  sostegno  della  questione.   In   motivazione,   con
argomentazioni che si  sovrappongono  rispetto  alla  gia'  esaminata
questione sollevata con riguardo all'art. 3, primo comma,  Cost.,  il
rimettente fa un riferimento solo nominale ai commi 3 e 6 del  citato
art. 9, limitandosi ad argomentare rilievi di incostituzionalita' sul
solo comma 4 dell'articolo piu' volte richiamato. 
    Anche  con  riferimento  a  tale  ultima  ordinanza,  dunque,  si
profilano ragioni di inammissibilita' identiche a quelle  prospettate
con riguardo all'ordinanza di rimessione del TAR Calabria. 
    8.1.4.- Il TAR Campania fa un espresso riferimento anche al comma
2, ma solo  in  motivazione,  senza  peraltro  supportare  sul  piano
argomentativo il relativo richiamo; la censura viene  ancorata  anche
al parametro  di  cui  all'art.  2  Cost.,  senza  tuttavia  sviluppi
argomentativi spesi in seno alla motivazione. 
    Appare dunque evidente l'inammissibilita', per difetto  integrale
di motivazione, delle censure concernenti i commi 2, 3 e 6  dell'art.
9 del d.l. n. 90 del 2014 sollevate in riferimento agli artt 3, 23  e
53 Cost., nonche' quella prospettata in direzione del comma  4  dello
stesso articolo per l'asserito contrasto con l'art. 2 Cost. 
    8.2.- Delimitato l'oggetto dello scrutinio  di  costituzionalita'
al solo comma 4 dell'art. 9, puo' ora passarsi alla descrizione delle
censure. 
    Muovendo da quanto affermato da questa Corte con la  sentenza  n.
223 del 2012, i rimettenti ritengono  sussistenti  nella  specie  gli
elementi  indefettibili  propri  della  imposizione  tributaria.   La
disciplina censurata sarebbe infatti diretta, in  via  prevalente,  a
procurare una (definitiva) decurtazione  patrimoniale  a  carico  del
soggetto passivo, senza modificare il rapporto  sinallagmatico  posto
alla base delle situazioni  remunerative  incise  dalla  novella;  il
tutto perseguendo finalita' di risanamento  della  finanza  pubblica,
rese evidenti da quanto esplicitato dal comma 4 del censurato art. 9,
laddove si prevede - per i casi di sentenza favorevole  con  recupero
delle spese legali a carico delle controparti - che una quota pari al
25 per cento delle somme recuperate «[...] e' destinato al Fondo  per
la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1,  comma  431,
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni». 
    Ad  avviso  dei  giudici  a  quibus,   l'imposizione   tributaria
determinata dalla censurata  novella  inciderebbe,  inoltre,  su  una
particolare voce remunerativa, che e' parte di un reddito  lavorativo
complessivo gia' sottoposto ad imposta in condizioni di  parita'  con
tutti  gli  altri  percettori   di   reddito   di   lavoro.   Dunque,
introdurrebbe,  senza  alcuna   giustificazione,   un   elemento   di
discriminazione soltanto  in  danno  della  categoria  di  dipendenti
statali in esame, non contrattualizzata. Del resto, la disciplina  in
disamina, in ragione del carattere,  ad  essa  proprio,  di  prelievo
appare, secondo i rimettenti,  di  dubbia  costituzionalita'  perche'
strutturata e non temporanea. 
    8.3.- Le censure non sono fondate. 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte  (sentenze  n.  96  del
2016; n. 178 e n. 70 del 2015; n. 154 del 2014; n. 310 e n.  304  del
2013; n. 233 del 2012), una  fattispecie  deve  ritenersi  di  natura
tributaria,  indipendentemente  dalla  qualificazione   offerta   dal
legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili  requisiti:  la
disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare
una  definitiva  decurtazione  patrimoniale  a  carico  del  soggetto
passivo; la decurtazione  non  deve  integrare  una  modifica  di  un
rapporto sinallagmatico;  le  risorse,  connesse  ad  un  presupposto
economicamente rilevante e  derivanti  dalla  suddetta  decurtazione,
debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese. 
    Nel caso in esame non sussistono i primi due dei tre indici sopra
elencati. 
    8.3.1.- Quanto alla decurtazione patrimoniale, va rilevato che il
diritto alla partecipazione "al riscosso" matura di pari passo con il
progredire  del  giudizio  nel  quale  vengono  rese  le  prestazioni
professionali da compensare. 
    Non va trascurato,  al  fine  qui  rilevante,  che  il  combinato
disposto dei primi due commi dell'art. 21 del r.d. n. 1611 del  1993,
nello stabilire il diritto alla ripartizione di tali  compensi,  lega
il consolidarsi della relativa pretesa al verificarsi di tre  diversi
presupposti: il primo,  dato  dalla  presenza  di  un  titolo,  anche
transattivo, che  ponga  a  carico  della  controparte  le  spese  di
giudizio; il secondo, correlato al passaggio in giudicato del  titolo
che dispone sulle spese; il terzo, relativo alla  effettiva  esazione
delle somme in questione. 
    Ora,  quale  che  sia  il  momento  di  completamento   di   tale
fattispecie a formazione progressiva, in ogni caso non  puo'  negarsi
che la relativa pretesa patrimoniale e' quantomeno  subordinata  alla
condanna della controparte alle spese ovvero  alla  presenza  di  una
transazione che ponga su quest'ultima il costo del giudizio:  sino  a
quando  non  viene  a  concretarsi   tale   presupposto,   l'avvocato
dipendente puo' dirsi titolare solo di una aspettativa  con  riguardo
alla possibilita' di percepire tali emolumenti, sino a  quel  momento
solo eventuale. 
    La disciplina intertemporale dettata dall'art. 9 (data, per  quel
che riguarda il "riscosso", dal comma 8 letto congiuntamente al comma
5),  avuto  riguardo  al  personale  della  Avvocatura  dello  Stato,
condiziona l'applicabilita' della novella alla entrata in vigore  del
regolamento chiamato a prevedere i criteri di rendimento attraverso i
quali modulare quantitativamente il diritto alla  ripartizione  delle
propine. Le nuove disposizioni sono, dunque, operative  per  le  sole
prestazioni rese in giudizi definiti con titoli giudiziali depositati
o con transazioni formalizzate dopo l'entrata  in  vigore  del  detto
regolamento. 
    La revisione  quantitativa  del  diritto  alla  ripartizione  del
"riscosso", imposta dalla normativa  censurata,  incide,  dunque,  su
situazioni giuridiche soggettive non ancora  maturate,  vale  a  dire
quelle inerenti ai giudizi definiti da provvedimenti depositati  dopo
l'emanazione del regolamento di cui al comma 5. 
    E', pertanto, da escludere che nel caso  possa  riscontrarsi  una
effettiva decurtazione,  la  quale,  invece,  presuppone  l'incidenza
della  novita'  normativa  su  situazioni   soggettive   di   matrice
patrimoniale compiutamente formate. 
    8.3.2.- Non puo' poi trascurarsi che il  comma  5  del  censurato
art. 9, grazie alle modifiche apportate in sede  di  conversione,  ha
introdotto nel sistema verifiche di rendimento destinate ad  incidere
sul quantum del diritto a godere degli  emolumenti  in  questione  in
ragione  di  alcuni  filtri  valutativi  definiti  dalla   normazione
secondaria. 
    E' di tutta evidenza, dunque, che le modifiche  introdotte  dalla
novella incidono, modificandolo, sul sinallagma contrattuale, perche'
il diritto alle propine viene modulato differentemente in ragione del
rendimento degli  avvocati  dipendenti:  non  si  risolvono,  dunque,
esclusivamente in una decurtazione patrimoniale, cosi' da condurre la
fattispecie al di fuori dei casi di imposizione tributaria anomala  e
implicita, in altre occasioni riscontrati da questa Corte. 
    8.4.- Esclusa la matrice tributaria della previsione in  oggetto,
perdono di rilievo le ulteriori censure proposte in riferimento  agli
artt. 3, 23  e  53  Cost.,  tutte  sollevate  sul  presupposto  della
sussistenza della natura tributaria. 
    9.-  Il  TAR  Puglia  dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, in riferimento agli artt. 3,  25
e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della
CEDU. Le riduzioni apportate dalla novella, a suo  avviso,  avrebbero
efficacia retroattiva e sarebbero destinate ad incidere negativamente
su diritti soggettivi legati a rapporti di  durata.  Dunque,  sarebbe
lesa   la   tutela   dell'affidamento   anche   in   ragione    della
irragionevolezza delle decurtazioni imposte, non  proporzionate  agli
interessi collettivi all'uopo perseguiti, entrando in conflitto anche
con detta norma della Convenzione. 
    9.1.- Per quanto genericamente  rivolta  all'intero  art.  9,  la
questione va delimitata alle sole disposizioni (i commi 2, 4 e 8) del
medesimo articolo, con le  quali  si  impongono  le  riduzioni  e  le
decurtazioni piu'  volte  descritte  e  si  detta,  al  contempo,  la
relativa disciplina intertemporale  di  operativita'  della  novella.
Cosi' ricostruita, la questione coincide,  per  oggetto  e  contenuti
argomentativi,  con  quella  prospettata,  in  motivazione,  dal  TAR
Campania. 
    9.2.- Va, tuttavia, osservato  che  il  TAR  Campania,  oltre  ad
evocare  l'art.  3  Cost,  indica,  quali  parametri   assertivamente
violati, anche gli  artt.  35,  42  e  97  Cost.  Ancora,  adduce  la
violazione sia dell'art. 6 della CEDU, sia dell'art. 1  del  relativo
Protocollo addizionale, con argomentazioni  che  portano  a  ritenere
implicitamente sollevata la questione  anche  in  relazione  all'art.
117, primo comma, Cost. 
    9.2.1.- Le censure prospettate in riferimento agli artt. 35, 42 e
97  Cost.  dal  TAR  Campania  sono  inammissibili  per  carenza   di
argomentazioni spese a conforto delle stesse. 
    9.3.- Delimitato  l'oggetto  delle  due  questioni  in  disamina,
venendo al merito delle relative censure, va evidenziato che, secondo
quanto concordemente prospettato dai rimettenti, benche' non sussista
il divieto  di  irretroattivita'  della  legge,  in  quanto  previsto
dall'art. 25 Cost. soltanto per la  legge  penale,  la  facolta'  del
legislatore  ordinario  di  modificare   in   peius   la   disciplina
concernente i diritti soggettivi  perfetti  relativi  a  rapporti  di
durata richiede  che  la  stessa  sia  giustificata  da  esigenze  di
assoluto rilievo, tali da imporre sacrifici eccezionali,  transeunti,
non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso. 
    Sempre secondo i rimettenti, il censurato art. 9  avrebbe  invece
modificato, in  modo  tutt'altro  che  transeunte,  disposizioni  che
disciplinano,  da  oltre  un   secolo,   il   trattamento   economico
dell'Avvocatura erariale, imponendo un sacrificio arbitrario ai  soli
avvocati e procuratori dello Stato, non  anche  agli  altri  avvocati
dipendenti delle amministrazioni pubbliche. La lesione del  legittimo
affidamento comporterebbe anche la violazione dell'art. 6 della CEDU:
come chiarito dalla Corte di Strasburgo, la preminenza del diritto  e
lo stesso concetto di processo equo di cui a detto  articolo  ostano,
infatti, ad un intervento legislativo retroattivo, a  meno  che  esso
non sia giustificato da un motivo imperativo di  interesse  generale,
che  non  puo'  pero'  ravvisarsi  nella  mera  realizzazione  di  un
beneficio finanziario per lo Stato. 
    9.3.1.- Il solo TAR Campania censura le disposizioni  in  oggetto
anche in relazione al disposto  di  cui  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale alla CEDU. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  le  misure  disposte  dalle   norme
censurate, destinate ad incidere sulle  legittime  aspettative  degli
avvocati  dello  Stato  alla  continuativa  percezione  del  medesimo
trattamento  retributivo,  sarebbero  manifestamente  prive   di   un
ragionevole   fondamento.   In    particolare    non    vi    sarebbe
proporzionalita'  tra  l'ablazione   disposta,   le   ragioni   della
collettivita' che la sostengono e il sacrificio non transeunte che ne
deriva,  operante  su  una  quota  non  indifferente   del   relativo
trattamento retributivo. 
    9.4.-  Le  censure  non  sono  fondate  avuto  riguardo  a  tutti
parametri evocati, compreso quello inerente al Protocollo addizionale
alla CEDU che viene valutato congiuntamente agli  altri,  considerato
che gli indici sintomatici della lesione del  legittimo  affidamento,
elaborati  da  questa  Corte  e  dalla  Corte  EDU,  in  gran   parte
convergono. 
    9.4.1.- Si e'  anticipato  che  la  disciplina  impugnata,  avuto
riguardo alla ipotesi del "compensato", limita l'applicabilita' delle
nuove norme alle sole pretese  patrimoniali  inerenti  a  prestazioni
rese in giudizi definiti con  provvedimento  depositato  (o  con  una
transazione formalizzata) in data successiva alla entrata  in  vigore
del decreto. Quanto al "riscosso", l'operativita'  della  novella  e'
stata altresi' subordinata alla avvenuta adozione  dei  parametri  di
rendimento, demandata alla fonte regolamentare. 
    Va, pertanto, ribadito  che,  quantomeno  sino  alla  data  della
decisione che definisce il giudizio regolandone anche  le  spese,  il
professionista  dipendente  non  puo'  ritenersi  titolare   di   una
posizione  giuridica  soggettiva  consolidata,  essendo   la   stessa
subordinata all'esito del giudizio stesso. Piuttosto,  il  dipendente
in questione vanta una aspettativa legata al tenore  della  normativa
di  riferimento  presente   al   momento   della   esecuzione   della
prestazione. 
    9.4.2.-  Alla  luce  di  tali  premesse,   puo'   escludersi   la
retroattivita' delle disposizioni censurate. Deve  infatti  ritenersi
che le  nuove  norme  siano  destinate,  considerato  il  momento  di
consolidamento della relativa  pretesa  retributiva,  ad  operare  ex
nunc,  perche'  dirette  a   disciplinare   situazioni   non   ancora
compiutamente definite all'interno del rapporto  lavorativo  corrente
tra amministrazione e dipendente. 
    9.4.3.- Cio' non ostacola l'ulteriore approfondimento del  merito
relativo alle questioni in disamina. 
    Non diversamente da quanto accade per i diritti, anche in caso di
novita' normativa destinata ad incidere su aspettative giuridicamente
qualificate legate a rapporti di durata, occorre, infatti,  valutare,
ex  art.  3  Cost.,  ragionevolezza  e  proporzione   della   novella
nell'ottica del necessario bilanciamento  dei  valori  costituzionali
coinvolti (sentenza n. 203 del 2016). 
    9.4.4.- Secondo l'ormai costante orientamento di questa Corte (ex
multis, da ultimo, sentenza n. 16 del 2017), in termini  non  diversi
da quanto elaborato sul  tema  dalla  Corte  EDU,  l'affidamento  del
cittadino  nella  sicurezza   giuridica   costituisce   un   elemento
fondamentale e indispensabile  dello  Stato  di  diritto.  La  tutela
dell'affidamento non  comporta,  tuttavia,  che  nel  nostro  sistema
costituzionale sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare
disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la  disciplina  dei
rapporti  di  durata  salvo,  qualora  si  tratti   di   disposizioni
retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art.  25,
secondo comma,  Cost.).  Tali  disposizioni,  al  pari  di  qualsiasi
precetto  legislativo,  non  possono  tuttavia   trasmodare   in   un
regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere  sulle  situazioni
sostanziali poste in essere da  leggi  precedenti,  frustrando  cosi'
anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica. 
    9.5.-  Deve   escludersi   che,   alla   luce   delle   suesposte
considerazioni, il legislatore, con le disposizioni censurate,  abbia
realizzato una scelta irragionevole e arbitraria. 
    9.5.1.- Le limitazioni e  decurtazioni  imposte  dalla  normativa
censurata trovano una  incontroversa  ratio  nelle  gia'  evidenziate
esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, maturate
in un contesto di necessita' e urgenza  quale  quello  indotto  dalla
grave crisi finanziaria nel cui ambito e' intervenuta la  novella  in
contestazione. 
    Assume rilievo anche il settore sul quale  le  norme  in  oggetto
hanno inciso, quello del lavoro nella pubblica  amministrazione,  che
integra una delle piu' significative voci di spesa pubblica.  Ne'  va
trascurato, del resto, che  il  contenimento  del  costo  del  lavoro
pubblico entro i vincoli di bilancio costituisce uno degli  obiettivi
strutturali della relativa disciplina cosi' come  reso  evidente  dal
tenore letterale dell'art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n.  165
del 2001. 
    In questo contesto di riferimento, in piu' occasioni questa Corte
ha ritenuto non arbitrarie e irragionevoli misure normative dirette a
incidere sulla spesa del  personale  della  pubblica  amministrazione
anche quando l'intervento contestato incideva su diritti maturati nel
settore del lavoro pubblico (ex plurimis, sentenze n. 304  e  n.  310
del 2013). 
    9.6.- Le restrizioni imposte alla categoria di riferimento  hanno
un portato non indifferente; ancora, che l'aspettativa  di  godimento
degli emolumenti in questione riposa su un dato normativo consolidato
negli anni; infine, che vengono introdotte riduzioni strutturali. 
    Muovendo dal contenuto delle disposizioni censurate, si tratta di
verificare, dunque,  se  la  certezza  del  diritto,  correlata  alle
esigenze di stabilita' e di  sicurezza  delle  situazioni  giuridiche
nascenti dal rapporto di lavoro sul quale poggiano gli emolumenti  in
oggetto, possa ritenersi legittimamente compressa, con  le  modalita'
sopra accennate, da  un  dato  normativo  successivo,  ispirato  alle
evidenziate esigenze di contenimento della spesa. 
    9.6.1.-  Non  puo',  in  primo  luogo,  trascurarsi  che,   nella
comparazione  tra   valori   sottesa   allo   scrutinio   in   esame,
l'aspettativa da tutelare, per quanto meritevole  di  considerazione,
non ha di certo lo stesso rilievo ponderale che va  invece  assegnato
alle posizioni giuridiche soggettive pienamente consolidate. 
    Si tratta, peraltro, di aspettativa immediatamente  correlata  al
tema delle competenze professionali inerenti a prestazioni  rese  nel
corso di un giudizio. In quanto  tale,  risente  ontologicamente  dei
mutamenti  di  disciplina  destinati  ad  influire  sui  criteri   di
determinazione del contenuto  della  relativa  pretesa  patrimoniale,
dovendosi comunque guardare al  dato  normativo  vigente  al  momento
della relativa liquidazione (ordinanza n. 261 del 2013). E  cio'  non
puo' che rilevare nella specie, essendo le situazioni  soggettive  in
oggetto fisiologicamente esposte alla dinamica fluidita' del relativo
regime normativo. 
    9.6.2.- Occorre, poi, considerare  che  la  normativa  censurata,
attraverso la gia' descritta disciplina transitoria,  circoscrive  il
perimetro di incidenza delle disposte  decurtazioni:  sono,  infatti,
rimaste indifferenti  alle  modifiche  le  prestazioni  professionali
inerenti a giudizi definiti  con  provvedimenti  gia'  depositati  (o
transazioni concluse) alla data di entrata in vigore del decreto o  a
quella di adeguamento del regolamento richiamato dal comma 5, per  le
quali continua ad operare la previgente e piu' favorevole disciplina. 
    9.6.3.-  Peraltro,  diversamente  da   quanto   prospettato   dai
rimettenti, il contenimento della  spesa  non  viene  realizzato  con
riduzioni  e  limitazioni  apportate  a  carico  del  solo  personale
dell'Avvocatura dello Stato. 
    La soglia massima  di  godimento  degli  emolumenti  in  oggetto,
prevista dal comma 1 dell'art. 9, risulta, infatti, estesa anche agli
altri  avvocati  dipendenti  ai  quali,   inoltre,   viene   riferito
espressamente anche  il  tetto  indicato  al  comma  7  dello  stesso
articolo oltre che il limite  di  stanziamento  previsto  per  l'anno
2013, indicato dal comma 6 quanto alla ipotesi del "compensato". 
    9.6.4.- E', poi, decisivo che alle modifiche peggiorative imposte
dalla novella sia rimasta insensibile la voce retributiva legata allo
stipendio tabellare, lo stesso  corrisposto  ai  magistrati,  la  cui
adeguatezza fonda, sul versante del relativo  trattamento  economico,
le prerogative di indipendenza e autonomia  assicurate  dai  principi
costituzionali. 
    Ne', ancora, puo' ritenersi insignificante che la  novella  abbia
neutralizzato integralmente solo la quota relativa  al  "compensato",
l'unica effettivamente gravante sull'erario, mantenendo, per  contro,
la  pretesa  degli  avvocati  dello  Stato  a  prendere  parte   alla
ripartizione del "riscosso" in termini tali (il 50  per  cento  delle
somme  recuperate  dalla  controparte)  che  non  possono   ritenersi
indifferenti alla luce del complessivo  trattamento  economico.  Cio'
ancora piu' se si considera che, ai sensi del comma  4  dell'articolo
censurato,  una  quota  parte  del  residuo  riscosso  e   non   piu'
distribuito (il 25 per cento dell'intero)  e'  stato  stornato  verso
obiettivi (il fondo destinato a borse di studio  per  lo  svolgimento
della pratica forense presso la stessa Avvocatura) diretti a favorire
accessi quanto piu' qualificati al relativo organico di  riferimento,
in piena coerenza con l'obiettivo di razionale gestione delle risorse
a disposizione, posto a fondamento dell'intervento contrastato. 
    9.6.5.-  Deve  dunque  negarsi  che  le  disposizioni   censurate
realizzino arbitrarie e non proporzionate restrizioni,  tenuto  conto
delle gia' enunciate esigenze di riordino e contenimento della  spesa
pubblica. 
    9.7.- Del pari, sulla base delle medesime considerazioni, si puo'
anche escludere  l'addotta  violazione  dell'art.  1  del  Protocollo
addizionale alla CEDU, in linea con  quanto  costantemente  affermato
dalla Corte  EDU  nel  verificare  il  rispetto  della  citata  norma
convenzionale:  puo'  dirsi,   infatti,   salvaguardato   il   giusto
equilibrio che la disposizione  in  oggetto  impone  tra  l'interesse
generale  della  comunita',  perseguito  dall'intervento  statale,  e
l'obbligo di proteggere i diritti fondamentali della persona,  incisi
dall'intervento  ablativo  realizzato  dalle  norme  scrutinate   (ex
plurimis, da ultimo, sentenza  della  Corte  EDU  17  novembre  2015,
Preite contro Italia, paragrafo 44). 
    9.7.1.- Va ribadito che secondo  la  Corte  EDU,  le  ragioni  di
contenimento  della  spesa  pubblica  integrano  il   requisito   del
legittimo interesse generale, il quale,  ai  sensi  dell'art.  1  del
Protocollo, puo' giustificare l'ingerenza da  parte  di  un'autorita'
pubblica nel pacifico godimento  dei  «beni»  tutelati  dalla  citata
disposizione  convenzionale,  tra  questi  comprese,  soprattutto  in
materia retributiva e previdenziale, anche le  aspettative  legittime
legate a prestazioni dal contenuto patrimoniale (da ultimo,  sentenza
15 aprile 2014, Stefanetti ed altri contro Italia, paragrafo 48). Per
altro verso, va ricordato  che  la  stessa  Corte  riconosce  che  le
autorita' nazionali sono generalmente nella  migliore  posizione  per
decidere  cosa  sia  di  pubblico  interesse  nell'attuazione   degli
interventi  che,  come  quello  di  specie,  sono  finalizzati   alla
riduzione  della  spesa  pubblica  in   ragione   della   particolare
situazione economica in cui sono maturati (sentenza 19  giugno  2012,
Khoniakina contro Georgia, paragrafo  76;  sentenza  20  marzo  2012,
Panfile contro Romania, paragrafi 11 e 21). 
    9.7.2.- Si e' gia' anticipato che le misure adottate non sono ne'
irragionevoli ne' arbitrarie; non impongono,  in  particolare,  oneri
eccessivi alla categoria interessata. 
    Non viene messo in crisi,  dunque,  il  ragionevole  rapporto  di
proporzionalita'  che  deve  correre  tra  mezzi  impiegati  e   fini
perseguiti. E cio' ancor di piu'  considerando  il  gia'  evidenziato
ampio margine di apprezzamento che la Corte EDU suole riconoscere  al
singolo Stato nella individuazione sia delle modalita' di  attuazione
delle misure di politica economica o sociale, sia  delle  conseguenze
correlate alla realizzazione degli obiettivi all'uopo fissati,  cosi'
che, soprattutto in presenza di risorse  statali  limitate,  solo  le
scelte del legislatore manifestamente prive di ragionevole fondamento
possono dar luogo al vulnus paventato dai rimettenti (sentenza del 24
giugno 2014, Silverfunghi ed altri contro  Italia,  paragrafi  103  e
105; sentenza 8 ottobre 2013, Da  Conceição  Mateus  e  altro  contro
Portogallo, paragrafo 22). 
    9.8.- Sia il TAR Puglia che il TAR  Campania  adducono  anche  la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art.
6 CEDU. 
    Tale norma  convenzionale  e',  tuttavia,  evocata  erroneamente,
giacche'  le  disposizioni  censurate  non  danno  corpo  ad   alcuna
ingerenza   del   potere   legislativo   sull'amministrazione   della
giustizia, e non mirano ad influenzare la definizione giudiziaria  di
una  lite,  presupposto  oggettivo   imprescindibile   della   tutela
garantita dall'art. 6 (Corte EDU, sentenza del 3 settembre 2013, M.C.
ed altri contro Italia, paragrafi 49, 50, 52, 53). 
    Di qui la non fondatezza della questione. 
    10.- Le ultime due questioni oggetto dello scrutinio  sollecitato
dalle ordinanze di rimessione in disamina ruotano intorno alla natura
retributiva degli emolumenti presi in considerazione  dalla  novella,
in linea con quanto gia' affermato da questa Corte  (sentenze  n.  33
del 2009 e n. 624 del 1988). 
    10.1.-  Il  TAR  per  la  Campania  dubita   della   legittimita'
costituzionale dei commi 2, 4 e 8 dell'art. 9  del  d.l.  n.  90  del
2014, in riferimento all'art. 36 Cost. 
    A suo avviso,  l'insieme  delle  decurtazioni  e  limitazioni  in
questione inficerebbe, squilibrandolo, il vincolo di corrispettivita'
tra lavoro e retribuzione, alla luce della complessita'  e  quantita'
delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato. 
    10.1.1.- La censura non e' fondata. 
    Secondo  quanto  costantemente  affermato  da  questa  Corte  (ex
multis, sentenze n. 96 del 2016; e n.  154  del  2014),  il  giudizio
sulla sufficienza e sulla  proporzionalita'  della  retribuzione  non
puo' prescindere da una valutazione complessiva  delle  diverse  voci
che la compongono e non puo' essere svolto per singoli istituti. 
    Il rimettente ha invece focalizzato  l'attenzione  esclusivamente
sul  contenuto  delle  riduzioni  apportate  dalla  norma  censurata,
trascurando,  nel  quadro  retributivo  complessivo   relativo   alla
categoria di riferimento, di valutare l'incidenza da  ascrivere  alla
componente offerta dallo  stipendio  tabellare,  rimasta  insensibile
alla novella; ne', ancora, e' stato dato il giusto peso al ruolo  che
deve ascriversi alla componente retributiva  aggiuntiva  legata  agli
emolumenti per il "riscosso", ancora riconosciuti, seppure  in  quota
parte, agli avvocati dello Stato. 
    Da qui la non fondatezza della questione prospettata. 
    10.2.- Il TAR Calabria denunzia la violazione degli artt. 3 e  97
Cost., da parte dell'art. 9, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, che ha
compreso gli emolumenti inerenti alle  competenze  professionali  tra
quelli  soggetti   al   limite   stabilito   dall'art.   23-ter   del
decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011
e successive modificazioni. 
    10.2.1.- La questione e' inammissibile. 
    Nell'ordinanza di rimessione, il rimettente  non  ha  dedotto  ed
esplicitato  se  nel  giudizio  principale  veniva  in  questione  il
superamento del limite di cui al citato art. 23-ter. 
    Nel   difetto   di   motivazione   in   ordine    alle    ragioni
dell'applicabilita'   del   limite   stabilito    dalla    richiamata
disposizione, la censura e' inammissibile.