ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  220  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre  1973,  n.  1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei  dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato),  come
modificato  dall'art.  22  della  legge  29  aprile  1976,   n.   177
(Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle
retribuzioni.  Miglioramento  del  trattamento  di   quiescenza   del
personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti
di   previdenza),   promosso   dalla   Corte   dei   conti,   sezione
giurisdizionale per la Regione Marche, giudice unico delle  pensioni,
nel procedimento instaurato da D. D.B.  nei  confronti  dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 17 marzo
2016, iscritta al n. 115 del registro  ordinanze  2016  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  24,  prima   serie
speciale, dell'anno 2016. 
    Visti l'atto di costituzione dell'INPS e l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  21  novembre  2017  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Luigi Caliulo per l'INPS e l'avvocato  Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 marzo  2016,  iscritta  al  n.  115  del
registro ordinanze 2016, la Corte dei conti, sezione  giurisdizionale
per la Regione Marche, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 36  e  38  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 220 del decreto del  Presidente
della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092  (Approvazione  del  testo
unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili
e militari dello Stato), come modificato dall'art. 22 della legge  29
aprile 1976, n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico
alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento  del  trattamento  di
quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni
degli istituti di previdenza). 
    1.1.- Il giudice a quo premette di dover decidere sul ricorso  di
un dirigente di Trenitalia spa cessato  dal  servizio,  il  quale  ha
chiesto  di  determinare  la  base  pensionabile   applicando   anche
sull'indennita' integrativa speciale  la  maggiorazione  del  18  per
cento prevista dall'art. 220 del d.P.R. n. 1092 del 1973. 
    L'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha replicato
che  la  descritta  maggiorazione  opera  soltanto  sulle  componenti
retributive indicate dal legislatore, che non includono  l'indennita'
integrativa speciale. 
    Il giudice rimettente reputa corretta tale premessa, sulla scorta
della costante interpretazione dell'art. 220 del d.P.R. n.  1092  del
1973, avallata dalle sezioni centrali  di  appello  della  Corte  dei
conti. 
    Sulla determinazione della base pensionabile non avrebbero alcuna
incidenza le previsioni negoziali, che non  configurano  l'indennita'
integrativa  speciale  come  componente  autonoma  e  distinta  della
retribuzione (art.  63  del  contratto  collettivo  nazionale  per  i
lavoratori addetti al settore delle attivita' ferroviarie  e  servizi
connessi,  sottoscritto  il  16  aprile   2003).   Solo   un'espressa
disposizione  di  legge  potrebbe   assoggettare   tale   voce   alla
maggiorazione del 18 per cento. 
    1.2.- Poste tali premesse, il  giudice  rimettente  ha  sollevato
d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 220  del
d.P.R. n.  1092  del  1973,  nella  parte  in  cui  esclude  la  voce
dell'indennita'   integrativa   speciale    dal    beneficio    della
maggiorazione del 18 per cento. 
    In punto di rilevanza,  il  giudice  rimettente  osserva  che  la
normativa censurata concorre a determinare la quota A della  pensione
del ricorrente nel giudizio principale, liquidata secondo il  sistema
retributivo per effetto  dell'art.  13  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992,  n.  503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e  dell'art.  1,
comma 13, della legge 8 agosto 1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema
pensionistico obbligatorio e complementare). 
    1.3.- In merito al profilo della non manifesta  infondatezza,  il
giudice a quo muove  dal  presupposto  che  l'indennita'  integrativa
speciale, in virtu' dell'art. 63 del contratto  collettivo  nazionale
(CCNL)  per  i  lavoratori  addetti  al   settore   delle   attivita'
ferroviarie  e  servizi  connessi,  sia  confluita  nello   stipendio
tabellare. 
    Dalla  fonte  negoziale,  che  «comporterebbe  un  computo  della
pensione [...] correttamente ricollegato alla dinamica  stipendiale»,
non si potrebbe prescindere, anche perche' i contratti collettivi, in
armonia con  l'art.  36  Cost.,  concorrerebbero  a  determinare  una
retribuzione   proporzionata   alla   consistenza   quantitativa    e
qualitativa del lavoro svolto. 
    Inoltre, l'irrilevanza previdenziale di una voce dello  stipendio
contrasterebbe con l'art. 38 Cost., che impone di tutelare anche  per
la  pensione  ordinaria,  in  quanto  «retribuzione  differita»,   la
proporzionalita' alla quantita' e alla qualita' del lavoro  prestato.
Il  giudice  rimettente  assume  che  si  determini   «un'irrazionale
compressione della pensione [...], in ragione di uno scostamento  non
giustificato  tra  lo  stipendio  e  la  pensione  stessa,   pertanto
pregiudizievole della  posizione  del  lavoratore  all'atto  del  suo
collocamento a riposo». 
    Peraltro, l'incremento  del  18  per  cento  si  giustificherebbe
proprio alla luce dell'esigenza di «valorizzazione  forfetaria  [...]
degli emolumenti accessori non direttamente  valutabili  ai  fini  di
pensione sulla base del pregresso ordinamento  pensionistico»  e  non
incontrerebbe alcun ostacolo nelle «esigenze  di  contenimento  della
spesa pensionistica», gia' salvaguardate dalle previsioni del  d.lgs.
n. 503 del 1992. 
    2.- Nel giudizio si e' costituito  l'INPS,  con  memoria  del  30
giugno 2016, e ha chiesto  di  dichiarare  inammissibile  o  comunque
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
sollevata dalla Corte dei conti. 
    In linea preliminare, l'INPS ha eccepito l'inammissibilita' della
questione di legittimita' costituzionale sotto un duplice profilo. 
    In primo luogo, il giudice rimettente mirerebbe  ad  ottenere  un
improprio avallo dell'interpretazione che ritiene di privilegiare, in
dissenso rispetto  alle  sezioni  centrali  di  appello.  Al  giudice
rimettente, tuttavia, non sarebbe preclusa una diversa lettura  della
norma censurata e tale circostanza implicherebbe l'irrilevanza  della
questione. 
    Inoltre, il giudice a quo si limiterebbe a enunciare  i  principi
consacrati dagli artt. 36 e 38 Cost., senza interpretarli  alla  luce
della giurisprudenza costituzionale e  senza  bilanciarli  con  altri
principi di pari rango, come quello sancito dall'art. 81 Cost. 
    Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata. 
    Il  conglobamento  dell'indennita'  integrativa  speciale   nella
retribuzione non eliderebbe la specificita'  e  l'autonomia  di  tale
voce. Il giudice rimettente, inoltre, non avrebbe dimostrato come  la
mancata   maggiorazione    dell'indennita'    integrativa    speciale
comporterebbe  «l'insufficienza   del   trattamento   di   quiescenza
determinato  con  l'inclusione  nella  base  pensionabile  del   solo
stipendio». 
    3.- Nel giudizio, con memoria del 5 luglio 2016,  e'  intervenuto
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  e  ha  chiesto  di  dichiarare
inammissibile e  comunque  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    La  difesa  dell'interveniente  ravvisa  un  duplice  profilo  di
inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,
legato all'insufficiente descrizione della fattispecie e alla carente
indicazione   delle   ragioni   del   contrasto   con   i   parametri
costituzionali invocati. 
    Quanto al  primo  aspetto,  il  giudice  rimettente  non  avrebbe
illustrato per quale ragione,  anche  alla  luce  dell'entita'  degli
stipendi percepiti dal ricorrente,  il  trattamento  erogato  sarebbe
inidoneo «a garantire al pensionato e alla sua famiglia  un'esistenza
libera e dignitosa» e non sarebbe dunque «proporzionato alla qualita'
e quantita'  del  lavoro  prestato».  La  rilevanza  della  questione
sarebbe, pertanto, meramente ipotetica e virtuale. 
    Per  altro  verso,  il  giudice  a  quo  si  sarebbe  limitato  a
menzionare  i  precetti  costituzionali,  senza   formulare   censure
circostanziate. 
    La questione, nel merito, non sarebbe comunque fondata. 
    Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  non  sussiste  un
principio di automatica correlazione tra la misura della  pensione  e
il trattamento retributivo percepito dal lavoratore poi pensionato  e
spetta alla discrezionalita' del legislatore il compito di apprestare
le misure  che  garantiscano  l'adeguatezza  delle  prestazioni,  nel
necessario  contemperamento  con  l'equilibrio  di  bilancio  e   con
l'equilibrio dell'intero sistema previdenziale. 
    Un'eventuale  pronuncia  di  accoglimento  produrrebbe,  inoltre,
«effetti   onerosi   rilevanti   per   la   finanza   pubblica,   con
compromissione degli obiettivi di finanza pubblica». 
    4.- All'udienza le parti hanno ribadito le conclusioni rassegnate
negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
Marche, giudice  unico  delle  pensioni,  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  220  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione  del  testo  unico
delle norme sul trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  civili  e
militari dello Stato), come modificato dall'art. 22  della  legge  29
aprile 1976, n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico
alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento  del  trattamento  di
quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni
degli istituti di previdenza). 
    La norma censurata, nel determinare il trattamento di  quiescenza
degli «iscritti al Fondo pensioni», non applicherebbe  all'indennita'
integrativa  speciale,  pur  confluita  nello  stipendio   tabellare,
l'incremento del 18 per cento previsto invece per l'ultimo  stipendio
e per gli assegni e  per  le  indennita'  pensionabili  espressamente
indicati dalla legge. 
    In difetto di un'espressa disposizione di  legge,  non  avrebbero
alcun rilievo le previsioni del contratto collettivo  nazionale,  che
hanno  conglobato  l'indennita'  integrativa  speciale   nel   minimo
contrattuale  e  quindi  «nel  trattamento  economico   fondamentale,
indistintamente considerato» (Corte dei conti,  sezione  centrale  di
controllo di legittimita' su atti del Governo e delle amministrazioni
dello Stato, delibera 13 maggio 2005, n. 6), senza tuttavia  alterare
la peculiarita' e l'autonomia di tale voce (Corte dei conti,  sezione
terza giurisdizionale centrale d'appello, sentenza 31  gennaio  2013,
n. 80). Le previsioni  negoziali,  difatti,  inciderebbero  sul  solo
trattamento retributivo, senza innovare la disciplina  previdenziale,
riconducibile alla  competenza  esclusiva  della  legislazione  dello
Stato (art. 117, secondo comma, lettera o, Cost.). 
    Il  giudice  rimettente   assume   che   la   disciplina   appena
tratteggiata, cosi' come  vive  nella  giurisprudenza  delle  sezioni
centrali di appello della Corte dei conti, contrasti con gli artt. 36
e 38 della Costituzione. 
    La mancata applicazione dell'incremento del  18  per  cento,  che
«trova giustificazione nella valorizzazione  forfetaria  [...]  degli
elementi accessori non direttamente valutabili ai  fini  di  pensione
sulla base del pregresso ordinamento pensionistico», sarebbe  foriera
di «un'irrazionale compressione della pensione (sulla base  del  meno
favorevole computo del trattamento pensionistico), in ragione di  uno
scostamento non giustificato tra lo stipendio e la  pensione  stessa,
pertanto pregiudizievole della posizione del lavoratore all'atto  del
suo collocamento a riposo». 
    La disciplina censurata, in difetto di «esigenze di  contenimento
della  spesa  pensionistica»,  gia'  salvaguardate  dalle  previsioni
restrittive del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  503  (Norme
per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati
e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre  1992,  n.
421), contrasterebbe con gli artt. 36 e 38 Cost., che garantiscono al
lavoratore, in caso di vecchiaia, mezzi necessari adeguati  alle  sue
esigenze di vita in caso di vecchiaia e proporzionati «alla quantita'
e alla qualita' del lavoro prestato». 
    La norma denunciata, nel  negare  ogni  rilievo  alla  previsione
negoziale che  ha  incluso  nello  stipendio  tabellare  l'indennita'
integrativa speciale, sacrificherebbe arbitrariamente il ruolo  della
contrattazione collettiva, chiamata a garantire  la  proporzionalita'
tra  retribuzione  e  quantita'  e  qualita'   del   lavoro   svolto.
Proporzionalita' che, in tale  prospettiva,  deve  contraddistinguere
anche la pensione, qualificabile come «retribuzione differita». 
    2.- Non sono fondate le eccezioni formulate in linea  preliminare
nella memoria di costituzione e nell'atto di intervento. 
    2.1.-  La  difesa  dello  Stato   ha   eccepito   l'insufficiente
descrizione della fattispecie, che implicherebbe la natura  meramente
ipotetica e virtuale della questione proposta. 
    Il rimettente non avrebbe illustrato le  ragioni  che,  nel  caso
concreto,   determinano   l'inadeguatezza   e    la    mancanza    di
proporzionalita' del trattamento  previdenziale  riconosciuto,  anche
alla  luce  del  cospicuo  importo  degli  stipendi   percepiti   dal
ricorrente nel giudizio principale. 
    L'eccezione, prospettata sotto il profilo della irrilevanza della
questione, non puo' essere accolta. 
    La norma censurata  preclude  l'accoglimento  della  domanda  del
ricorrente, che rivendica l'incremento  del  18  per  cento  per  una
indennita' che la legge non contempla. L'applicabilita'  della  norma
in esame alla fattispecie controversa e' sufficiente  a  radicare  la
rilevanza della questione, che non  presuppone  l'accertamento  della
lesione  dei  principi  costituzionali  nella  concreta  vicenda  del
giudizio  principale  (sentenza  n.  174  del  2016,  punto  2.   del
Considerato in diritto). 
    2.2.- Devono essere disattese anche le eccezioni che l'INPS e  la
difesa  dello  Stato  hanno   mosso   con   riguardo   all'inadeguata
motivazione in punto di non manifesta infondatezza. 
    Il giudice a quo  ha  individuato  puntualmente  le  ragioni  del
contrasto con i principi enunciati dagli artt. 36  e  38  Cost.  Tali
parametri  sono   stati   evocati   congiuntamente   per   denunciare
l'inadeguatezza e la  mancanza  di  proporzionalita'  della  pensione
calcolata  senza   la   maggiorazione   dell'indennita'   integrativa
speciale. 
    I  termini  della  questione  sono  stati  dunque  enucleati  con
un'argomentazione adeguata,  che  supera  il  vaglio  preliminare  di
ammissibilita' richiesto a questa Corte. Attiene al merito - e non al
profilo preliminare dell'ammissibilita' - la valutazione della  forza
persuasiva degli argomenti addotti a sostegno delle censure. 
    2.3.-  L'INPS  lamenta  che  il  rimettente,  con  uso   distorto
dell'incidente di costituzionalita', chieda a questa  Corte  l'avallo
dell'interpretazione che ha prescelto. 
    Neppure tale obiezione coglie nel segno. 
    Il giudice a quo muove dalla premessa che sia  ormai  consolidato
l'orientamento   della   giurisprudenza   contabile,   che    esclude
l'indennita' integrativa speciale dalle componenti della retribuzione
assoggettate alla maggiorazione del 18 per cento. Il  rimettente  ben
puo' scegliere di uniformarsi a  un'interpretazione  che  rappresenta
"diritto vivente" e «richiederne, su tale presupposto,  il  controllo
di compatibilita' con i  parametri  costituzionali»  (fra  le  molte,
sentenza n. 122 del 2017, punto 3. del Considerato in diritto). 
    Anche da questo  punto  di  vista,  dunque,  non  si  frappongono
ostacoli all'esame del merito. 
    3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    3.1.- La determinazione della base retributiva utile ai fini  del
trattamento di quiescenza e' rimessa alle  scelte  discrezionali  del
legislatore,  chiamato  a  compiere  «una  congrua  valutazione   che
contemperi  le  esigenze  di  vita  dei  lavoratori,  che   ne   sono
beneficiari, e le disponibilita' finanziarie» (sentenza  n.  531  del
1988, punto 5. del Considerato in diritto), senza valicare il  limite
della «garanzia delle esigenze minime di  protezione  della  persona»
(sentenza n. 457 del 1998, punto 5. del Considerato in diritto). 
    Nella commisurazione del trattamento  di  quiescenza  ai  redditi
percepiti in  costanza  del  rapporto  di  lavoro,  l'art.  38  Cost.
prescrive   di   salvaguardare   la   proporzione   fra   trattamento
previdenziale  e  quantita'  e  qualita'  del  lavoro  svolto  e   la
sufficienza del trattamento ad assicurare le  esigenze  di  vita  del
lavoratore pensionato. 
    L'art. 36 Cost., applicabile alle prestazioni  previdenziali  per
il tramite e nella misura tracciata dall'art. 38 Cost.  (sentenza  n.
156 del 1991, punto  3.  del  Considerato  in  diritto),  costituisce
parametro di tali esigenze di vita, determinate «secondo  valutazioni
generali ed oggettive», che tutelino non solo «i bisogni elementari e
vitali», ma anche le esigenze «relative al tenore di vita  conseguito
dallo stesso lavoratore in rapporto  al  reddito  ed  alla  posizione
sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per  effetto
dell'attivita' lavorativa svolta» (sentenza n. 173  del  1986,  punto
10. del Considerato in diritto). 
    La garanzia dell'art. 38 Cost. e' dunque connessa anche  all'art.
36 Cost., «ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale»
(sentenza n. 173 del 2016, punto 11.1. del Considerato  in  diritto).
Il rapporto  di  corrispondenza  tra  pensioni  e  retribuzioni,  pur
tendenziale e imperfetto (sentenza n.  42  del  1993,  punto  5.  del
Considerato in diritto), deve essere preservato  mediante  meccanismi
di raccordo, atti a  scongiurare  il  rischio  di  un  «irragionevole
scostamento»,   sintomatico   dell'inadeguatezza   del    trattamento
previdenziale corrisposto (sentenza n. 226 del  1993,  punto  7.  del
Considerato in diritto). 
    Spetta,  pertanto,  alla  discrezionalita'  del  legislatore   il
«ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi
costituzionali coinvolti nell'attuazione graduale di  quei  principi,
compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilita' delle
risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai  relativi
impegni di spesa» (sentenza n. 119 del 1991, punto 3. del Considerato
in diritto). 
    Ben  puo'  il  legislatore,  nel  prudente  esercizio  della  sua
discrezionalita',   apportare   «correttivi   di   dettaglio»    che,
giustificati  da  «esigenze  meritevoli   di   considerazione»,   non
intacchino  i  criteri  di  proporzionalita'   e   adeguatezza   «con
riferimento   alla    disciplina    complessiva    del    trattamento
pensionistico» (sentenza n. 208 del 2014, punto 4.2. del  Considerato
in diritto). 
    E' proprio  la  molteplicita'  delle  variabili  sottese  a  tale
bilanciamento  a  imporre,  con  riguardo  alla  proporzionalita'   e
all'adeguatezza  del  trattamento  di  quiescenza,  una   valutazione
globale  e  complessiva,  che  non  si   esaurisca   nella   parziale
considerazione delle singole componenti. 
    3.2.- La norma censurata  subordina  ad  un'esplicita  previsione
legislativa l'inclusione di un assegno o di un'indennita' nella  base
pensionabile soggetta a maggiorazione. In difetto di una disposizione
espressa, l'incremento del 18 per cento non si applica all'indennita'
integrativa speciale. 
    Come emerge dai lavori  parlamentari,  la  disciplina  introdotta
dalla legge n. 177 del 1976 e' l'esito della consultazione intercorsa
tra Governo  e  parti  sociali,  incentrata  sul  collegamento  delle
pensioni  del  settore  pubblico  alla  dinamica  delle  retribuzioni
(Seduta del 21 aprile 1976 della  Commissione  VI  Finanze  e  Tesoro
della Camera dei deputati). 
    L'assetto delineato ribadisce il  ruolo  primario  e  ineludibile
della legge, chiamata a ponderare, in una prospettiva piu'  generale,
i  molteplici  elementi  legati  alla   determinazione   della   base
pensionabile, e persegue in pari tempo l'obiettivo  di  salvaguardare
l'equilibrio del sistema  pensionistico  (Corte  dei  conti,  sezione
prima giurisdizionale centrale d'appello, sentenza 28  gennaio  2015,
n. 82), senza sacrificare in maniera  sproporzionata  la  tendenziale
correlazione tra pensioni e retribuzioni. 
    Tale   scelta   non   e'   lesiva   dell'adeguatezza   e    della
proporzionalita'  del  trattamento  di  quiescenza.   Il   meccanismo
prefigurato dalla legge  e'  circoscritto  a  una  singola  voce  del
trattamento previdenziale e non vanifica la rilevanza dell'indennita'
integrativa speciale, che ha «natura retributiva» (sentenza n. 91 del
2004, punto 4. del Considerato in diritto) e assolve  alla  «funzione
di adeguamento della retribuzione al costo della vita»  (sentenza  n.
243 del 1993, punto 6. del Considerato in diritto). 
    L'indennita' integrativa speciale,  pur  esclusa  dall'incremento
del 18 per cento, non cessa  di  costituire,  come  parte  integrante
della retribuzione, una componente utile ai fini  del  computo  della
base pensionabile. 
    Non si  riscontra  dunque  alcun  irragionevole  scostamento  tra
pensioni  e  retribuzioni,  tale  da  compromettere  la   complessiva
adeguatezza e la proporzionalita' del trattamento previdenziale,  ne'
puo'  ritenersi  pregiudicato  il  nucleo  intangibile  dei   diritti
tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost.