ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'intero testo  del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega
di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  per  il
riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle   camere   di
commercio, industria, artigianato e agricoltura),  nonche'  dell'art.
1, comma 1, lettera a), numeri 1) e 3), lettera b), numero 2),  punto
g), e lettera r), numero 1), punti a) ed  i),  degli  artt.  2  e  3,
dell'art. 3, commi 1, lettera f), 4 e 10, dell'art. 4 e dell'art.  4,
comma  6,  del  medesimo  decreto,  promossi  dalle  Regioni  Puglia,
Toscana, Liguria e Lombardia con  ricorsi  notificati  il  23-24,  il
20-24, il 23-24 e il 24-27 gennaio 2017, depositati in cancelleria il
25 e il 30 gennaio e il 2 febbraio 2017 ed iscritti ai nn. 4, 5, 6  e
7 del registro ricorsi 2017. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  7  novembre  2017  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati  Stelio  Mangiameli  per  la  Regione  Puglia,
Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Gabriele  Pafundi  per  la
Regione Liguria, Ulisse Corea per la Regione Lombardia  e  l'avvocato
dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Le  Regioni  Puglia,  Toscana,  Liguria  e  Lombardia  hanno
promosso, con quattro distinti ricorsi (rispettivamente notificati il
23-24 gennaio 2017, il 20-24 gennaio 2017, il 23-24 gennaio  2017  ed
il 24-27 gennaio  2017),  questioni  di  legittimita'  costituzionale
aventi ad oggetto l'intero testo, nonche' alcune  norme  del  decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di  cui
all'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124,  per  il  riordino
delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura). 
    In particolare, le prime tre ricorrenti hanno impugnato  l'intero
testo del d.lgs. n. 219 del 2016 in riferimento al principio di leale
collaborazione (Regioni Toscana e Liguria),  nonche'  agli  artt.  76
della Costituzione e 10, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n.  124,
recante «Deleghe al Governo  in  materia  di  riorganizzazione  delle
amministrazioni pubbliche» (Regione Puglia), ed agli artt. 76  e  77,
primo comma, Cost. (Regione Toscana). 
    Esse  hanno,  inoltre,   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale aventi ad oggetto specifiche norme del d.lgs.  n.  219
del 2016 ed impugnato: l'art. 1, comma 1, lettera a),  numero  1),  e
l'art. 3 (recte, art. 3, comma 1, primo periodo), in riferimento agli
artt. 3, 5, 18 Cost.  ed  al  principio  di  ragionevolezza  (Regione
Puglia), nonche' l'art.  1,  comma  1,  lettera  a),  numero  3),  in
riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, Cost. (Regione Liguria);
l'art. 1, comma 1, lettera r), numero 1), punto i),  nella  parte  in
cui sostituisce il comma 10 dell'art.  18  della  legge  29  dicembre
1993, n. 580 (Riordinamento delle  camere  di  commercio,  industria,
artigianato e agricoltura), in riferimento all'art. 117, commi  terzo
e quarto, Cost. ed al  principio  di  leale  collaborazione  (Regione
Puglia e Regione Toscana), nonche' all'art. 3 Cost. ed  al  principio
di ragionevolezza (Regione Puglia) ed  all'art.  118  Cost.  (Regione
Toscana); l'art. 1, comma 1, lettera r), numero 1), punto a), che  ha
abrogato la lettera c) del comma 1 dell'art. 18 del d.lgs. n. 580 del
1993, in riferimento agli artt. 3, 117, commi terzo e  quarto,  Cost.
ed al principio di ragionevolezza (Regione Puglia); l'art.  3,  comma
4, in riferimento agli artt. 76 Cost. e 10, comma 1, legge n. 124 del
2015 ed al principio di leale collaborazione (Regione  Puglia),  agli
artt. 117, terzo e quarto comma, Cost.,  ed  al  principio  di  leale
collaborazione (Regioni Toscana e Liguria); l'art.  4,  comma  6,  in
riferimento all'art. 117,  comma  quarto,  Cost.  (Regioni  Puglia  e
Toscana), nonche' agli artt. 3 e 97 Cost. ed  ai  principi  di  leale
collaborazione e ragionevolezza (Regione Puglia). 
    1.1.- La Regione  Lombardia  ha  impugnato:  l'intero  testo  del
d.lgs. n. 219 del 2016, in riferimento agli artt. 5, 117, commi terzo
e quarto, e 120  Cost.  ed  al  principio  di  leale  collaborazione,
deducendo altresi' che  tale  atto  normativo  violerebbe  l'art.  76
Cost., in combinato disposto con gli artt.  5,  117,  commi  terzo  e
quarto, 120 Cost., in relazione all'art. 10, comma 2, della legge  n.
124  del  2015,  come  riformulato  dalla  eventuale   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale di quest'ultima norma  che  la  Regione
chiede  alla  Corte  di  adottare  in  sede  di  autorimessione,   in
riferimento agli artt. 5, 117, commi terzo e quarto, 120 Cost. ed  al
principio di leale collaborazione. 
    La Regione Lombardia ha anche sollevato questione di legittimita'
costituzionale di specifiche norme del d.lgs. n. 219 del 2016  e,  in
particolare: ha impugnato: l'art. 1, comma 1, lettera b), numero  2),
punto g), e lettera r), numero 1), punto i), e l'art. 3, comma 10, in
riferimento agli artt. 5, 76, 117, commi terzo e quarto, 120 Cost. ed
al principio di leale collaborazione; gli artt.  1,  2,  3  e  4,  in
riferimento agli artt. 76, 117, commi terzo e  quarto,  Cost.  ed  al
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5  e  120  Cost.;
l'art.  3,  comma  4,  in   riferimento   al   principio   di   leale
collaborazione ed agli artt. 5, 76, 117, commi terzo e quarto, e  120
Cost.; gli artt. 3, comma 1, lettera f), e 4 in riferimento  all'art.
76 Cost., in combinato disposto con l'art. 117  Cost.,  in  relazione
all'art. 10, comma 1, lettera g), della legge n. 124 del 2015. 
    2.- L'art. 10 della legge n. 124 del 2015 ha delegato il  Governo
ad emanare un  decreto  legislativo  avente  ad  oggetto  la  riforma
dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle  camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la
modifica della legge n. 580 del 1993,  come  modificata  dal  decreto
legislativo  15  febbraio  2010,  n.  23  (Riforma   dell'ordinamento
relativo  alle  camere  di  commercio,   industria,   artigianato   e
agricoltura, in attuazione dell'articolo 53  della  legge  23  luglio
2009, n. 99)  ed  il  conseguente  riordino  delle  disposizioni  che
regolano la relativa materia. 
    2.1.- Tutte le ricorrenti  svolgono  -  in  linea  preliminare  e
generale e con riguardo alle censure concernenti sia  l'intero  testo
del d.lgs. n. 219 del 2016, sia specifiche disposizioni dello  stesso
- considerazioni, sostanzialmente coincidenti, in ordine alla materia
cui sarebbe riconducibile la disciplina delle camere di commercio. 
    Secondo la Regione Puglia, la citata legge delega inciderebbe  su
competenze amministrative delle Regioni (in  particolare,  su  quelle
oggetto degli artt. 37 e 38 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali,  in  attuazione  del  capo  I
della legge 15 marzo 1997, n. 59», che reputa vigenti anche  dopo  la
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione) e,  comunque,
concernerebbe una materia riservata alla  competenza  legislativa  di
tipo residuale (art. 117, comma quarto, Cost.) delle stesse,  essendo
le camere di commercio «un interlocutore delle Regioni nell'esercizio
della  competenza  in   materia   di   promozione   delle   attivita'
produttive». La Regione sarebbe dunque legittimata  a  denunciare  la
lesione della propria competenza in  detta  materia,  come  affermato
dalla sentenza n. 29 del 2016. L'incidenza della  disciplina  su  una
materia di competenza regionale renderebbe ammissibile,  di  per  se'
sola, la denuncia della violazione di  parametri  costituzionali  non
compresi nel Titolo V della Parte II della Costituzione. 
    Argomentazioni  analoghe  sono  svolte  dalla  Regione   Toscana,
secondo la quale l'oggetto della  disciplina  -  in  particolare,  il
riordino, l'accorpamento e la riorganizzazione delle  funzioni  delle
camere  di  commercio  -  riguarderebbe  attribuzioni  regionali  (la
promozione  dello  sviluppo  economico  locale,  il  sostegno   delle
attivita' economiche  regionali,  lo  sviluppo  della  competitivita'
delle imprese nell'economia regionale,  il  sostegno  all'innovazione
per i settori produttivi regionali, il commercio, la  promozione  del
turismo e del patrimonio culturale, l'orientamento  al  lavoro),  che
sarebbero lese dalla violazione degli artt. 76  e  77,  primo  comma,
Cost. A suo avviso, questa Corte ha affermato:  prima  della  riforma
del Titolo V della Parte II della  Costituzione,  che  la  camera  di
commercio costituisce «un ente pubblico locale  dotato  di  autonomia
funzionale, che entra a pieno titolo, formandone  parte  costitutiva,
nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell'art.  118  della
Costituzione, diventando anche  potenziale  destinatario  di  deleghe
dello  Stato  e  della  Regione»  (sentenza   n.   477   del   2000);
successivamente, che, «anche quando  ha  proceduto  al  trasferimento
alle Regioni di funzioni  in  materia  di  camere  di  commercio,  il
legislatore si e' sempre preoccupato di garantire che la costituzione
dei consigli camerali fosse disciplinata in maniera omogenea su tutto
il territorio  nazionale»  (sentenza  n.  374  del  2007),  ferma  la
necessita' che l'intervento statale sia proporzionato all'esigenza di
esercizio unitario a livello statale delle funzioni di cui volta  per
volta si tratta e sia realizzato previa intesa con le Regioni. 
    La Regione Liguria deduce, analogamente, che la disciplina  delle
camere  di  commercio  inciderebbe  su  numerose  materie  attribuite
dall'art. 117, quarto comma, Cost.  alla  competenza  legislativa  di
tipo residuale  delle  Regioni,  alle  quali,  gia'  con  le  riforme
riconducibili al cosiddetto «federalismo amministrativo», sono  stati
attribuiti numerosi compiti relativi allo «sviluppo economico ed alle
attivita' produttive» (art. 11 del d.lgs.  n.  112  del  1998).  Tale
scelta sarebbe stata confermata ed  implementata  dalla  riforma  del
Titolo V della Parte II  della  Costituzione,  tenuto  conto  che  le
principali  materie  riferibili  all'economia   ed   alle   attivita'
produttive (agricoltura, industria, artigianato, commercio,  turismo)
sono state  ascritte  alla  competenza  residuale  delle  Regioni  (a
conforto, sono richiamate le sentenze n. 76 del 2009, n. 94 del 2008,
n. 64 del 2007, n. 162 del 2005 e n. 1  del  2004).  In  particolare,
benche' questa Corte  abbia  precisato  che  la  locuzione  «sviluppo
economico»  non  identifica  una   materia,   ma   «costituisce   una
espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia
ad  una  pluralita'  di  materie»  e  l'art.  117  Cost.   «contempla
molteplici materie caratterizzate da una palese  connessione  con  lo
sviluppo dell'economia, le quali sono attribuite sia alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato, sia a quella  concorrente,  sia  a
quella residuale» (sentenza n. 165 del 2007), sarebbe  pacifico  che,
quando  una  data  disciplina  incide  su  materie  attribuite   alla
competenza regionale concorrente o residuale, l'esistenza di esigenze
di carattere unitario legittima l'avocazione in sussidiarieta'  delle
funzioni amministrative (sentenze n. 214 del 2006, n. 383, n.  270  e
n. 242 del 2005) e  della  potesta'  normativa  per  l'organizzazione
delle stesse, ferma la necessita' del rispetto del principio di leale
collaborazione, mediante lo strumento dell'intesa  (sentenze  n.  251
del 2016, n. 165 del 2007, n. 214 del 2006). 
    Argomenti  in  larga  misura  coincidenti   con   quelli   dianzi
sintetizzati sono svolti, infine, dalla Regione Lombardia, la  quale,
in punto di legittimazione, ricorda la giurisprudenza  costituzionale
secondo cui le Regioni sono legittimate a denunciare le norme statali
lesive di attribuzioni degli enti locali.  Inoltre,  anche  ritenendo
che  le  camere  di  commercio  non  siano  enti  locali,  le  stesse
costituiscono, per alcuni aspetti, uno  «strumento»  per  la  Regione
nella cura degli interessi  della  popolazione,  nello  sviluppo  del
tessuto economico-sociale, nello svolgimento di  molteplici  funzioni
rientranti nella potesta' legislativa e amministrativa  regionale,  e
quindi l'illegittimita' delle norme  statali  che  le  concerne  puo'
ridondare in lesione della competenza regionale. 
    3.- Posta tale  premessa,  tutte  le  ricorrenti  denunciano,  in
relazione  a  profili  ed   a   parametri   in   parte   coincidenti,
l'illegittimita' costituzionale dell'intero testo del d.lgs.  n.  219
del 2016. 
    3.1.- Secondo la Regione Puglia, tale atto  normativo  violerebbe
gli artt. 76 Cost. e 10, comma  1,  della  legge  n.  124  del  2015,
perche'  non  sarebbe  stato  emanato  nel   termine   stabilito   da
quest'ultima norma. 
    Il citato art. 10, comma 1, ha stabilito che  la  delega  avrebbe
dovuto essere esercitata entro il termine di dodici mesi dall'entrata
in vigore della legge n. 124 del 2015 (avvenuta  il  28  agosto  2015
dato che detta legge e'  stata  pubblicata  il  13  agosto  2015)  e,
quindi, entro il 28 agosto 2016, come non sarebbe accaduto. 
    Nella specie,  non  sarebbe  stata  applicabile  la  proroga  del
termine prevista dal comma 2  di  detta  norma  e,  ad  avviso  della
ricorrente, tale disposizione andrebbe interpretata ritenendo che  la
proroga avrebbe potuto operare esclusivamente qualora il termine  per
rendere i pareri nella stessa richiamati  fosse  scaduto  nei  trenta
giorni anteriori alla  scadenza  del  termine  ordinario  (28  agosto
2016). Pertanto, sarebbe stato necessario che il termine per  rendere
i pareri fosse caduto nel periodo compreso tra il 29 luglio ed il  28
agosto 2016. Non rileverebbe che la prima deliberazione del Consiglio
dei ministri e' stata adottata il 25 agosto 2016 e che  la  nota  con
cui e' stato richiesto il parere del Consiglio di  Stato  e'  del  26
agosto 2016, poiche', «nell'imminenza della scadenza,  sarebbe  stato
onere  del  Governo  adottare  la  massima  diligenza,  affinche'  la
richiesta pervenisse in tempo utile per far scattare la  proroga»  e,
quindi, poiche' cio' non sarebbe avvenuto, «il presupposto  affinche'
la proroga operasse si e' verificato tardivamente». 
    In contrario, non  gioverebbe  rilevare  che  la  proroga  poteva
operare anche se il termine per rendere il parere cadeva  nei  trenta
giorni successivamente al termine ordinario stabilito per l'esercizio
della delega; la  disposizione  andrebbe  infatti  interpretata  «nel
senso che comunque il dies a quo da  cui  contare  la  scadenza  deve
rientrare nel termine di delega  ordinario.  Il  che  potrebbe  anche
comportare che il dies ad quem cada  successivamente  al  termine  di
delega ordinario». 
    Secondo  la  Regione  Puglia,  accogliendo  la   «interpretazione
secondo cui il dies a quo e' irrilevante, si arriverebbe al paradosso
che la delega legislativa non avrebbe scadenza, perche' in ogni  caso
la richiesta di parere tardiva  (post  28  agosto  2016)  avrebbe  un
termine successivo alla scadenza della delega e sarebbe in  grado  di
far scattare "retroattivamente" la proroga» Una tale esegesi  sarebbe
elusiva  dell'art.  76   Cost.   e   trasformerebbe   una   legittima
possibilita' di proroga (previamente prevista dal legislatore) in una
censurabile «sanatoria». In definitiva, poiche' la proroga  in  esame
presupponeva che la richiesta  di  parere  avrebbe  dovuto  pervenire
entro la data di scadenza naturale della delega (28 agosto 2016),  il
d.lgs. n. 219 del 2016 sarebbe  costituzionalmente  illegittimo,  per
violazione  dell'art.  76  Cost.,  ridondante   sul   riparto   delle
competenze legislative, fra  Stato  e  Regioni,  tenuto  conto  delle
argomentazioni svolte  in  linea  generale  in  ordine  alla  materia
oggetto di tale atto normativo. 
    L'inosservanza del termine di esercizio  della  delega  e'  stata
denunciata anche dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt.  76
e 77, primo comma, Cost. A suo avviso,  l'art.  10,  comma  2,  della
legge n. 124 del 2015 avrebbe imposto di richiedere  prima  i  pareri
della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato (da  rendere  nel
termine di  quarantacinque  giorni),  poi  quelli  delle  Camere.  Il
Governo,   trasmettendo   lo   schema    di    decreto    legislativo
contestualmente alla Conferenza unificata, al Consiglio di  Stato  ed
alle Camere, avrebbe violato la scansione stabilita da  detta  norma,
la cui osservanza condizionava  la  possibilita'  della  proroga  del
termine di esercizio della  delega.  L'inosservanza  dello  «iter  di
consecutivita'»  dalla  stessa  previsto  comporterebbe  il   mancato
rispetto di tale termine, in violazione degli artt. 76  e  77,  primo
comma, Cost. e, in considerazione delle  deduzioni  sopra  svolte  in
ordine alla materia incisa dal d.lgs. n. 219 del 2016, la lesione  di
detti parametri ridonderebbe sulle competenze della Regione. 
    3.2.- La Regione Toscana deduce  l'illegittimita'  costituzionale
dell'intero testo del d.lgs. n.  219  del  2016  sotto  un  ulteriore
profilo, sostenendo che violerebbe gli artt. 76 e  77,  primo  comma,
Cost. ed il principio di leale collaborazione. Le camere di commercio
operano in ambiti di competenza regionale concorrente e residuale  e,
quindi, a suo avviso, anche in virtu' del principio  enunciato  dalla
sentenza n. 251 del 2016, tale atto normativo avrebbe  dovuto  essere
emanato previa intesa con la Conferenza  Stato-Regioni,  non  essendo
sufficiente,  per  ritenere  rispettato   il   principio   di   leale
collaborazione, la previsione del parere della  Conferenza  unificata
di cui all'art. 8 del decreto legislativo  28  agosto  1997,  n.  281
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali). 
    Censura sostanzialmente identica e la violazione del principio di
leale collaborazione, conseguente all'emanazione del  d.lgs.  n.  219
del 2016, in difetto di previa  intesa,  sono  state  eccepite  anche
dalla Regione Liguria, richiamando la sentenza n. 251 del 2016 (della
quale sono trascritte ampie parti) e la materia incisa dallo stesso. 
    3.3.- Secondo la Regione Lombardia, il d.lgs.  n.  219  del  2016
violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, 5  e  120  Cost.,  in
quanto  e'  stato  emanato  previa  acquisizione  del  parere   della
Conferenza unificata e non dell'intesa. A conforto della censura,  la
ricorrente richiama la sentenza n. 374 del 2007 e la circostanza  che
tale atto normativo inciderebbe su competenze concorrenti e residuali
delle Regioni. 
    Nella specie, proprio a causa della previsione della  sufficienza
del  mero  parere,  lo  Stato  ha  disatteso  in  modo   unilaterale,
immotivato e senza intraprendere trattative,  il  parere  reso  dalla
Conferenza unificata il 29 settembre 2016 ed alcune delle proposte di
emendamento (in particolare le proposte numeri 4, 12 e 15, trascritte
nel ricorso) allo schema di decreto  legislativo,  come  non  avrebbe
potuto invece fare se «fosse stata ab origine prescritta  l'intesa  e
non il parere». Secondo la ricorrente, il mancato accoglimento  delle
proposte di emendamento comporterebbe che «non si  e'  verificata  la
condizione alla quale la Conferenza ha imprescindibilmente  collegato
il  "segno  positivo"  del  parere»,  da  qualificare  «come   parere
negativo», con conseguente illegittimita' del d.lgs. n. 219 del 2016,
per violazione del principio di leale collaborazione e dell'art. 117,
terzo e quarto comma, Cost. 
    3.3.1.- In subordine, la ricorrente chiede che, qualora la  Corte
non accolga la censura concernente l'intero testo del d.lgs.  n.  219
del 2016, dichiari comunque costituzionalmente illegittimi l'art.  1,
comma 1, lettera b), numero 2), punto g), e lettera  r),  numero  1),
punto i), e l'art. 3, comma  10,  di  tale  atto  normativo,  perche'
formulati in difformita' dal parere negativo  reso  dalla  Conferenza
unificata. 
    3.3.2.- La Regione Lombardia ha, altresi', promosso questione  di
legittimita' costituzionale dell'intero testo del d.lgs. n.  219  del
2016, in riferimento all'art. 76 Cost., in combinato disposto con gli
artt. 5, 117, commi  terzo  e  quarto,  120  Cost.  ed  in  relazione
all'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, nella formulazione
in   tesi   risultante   dalla   dichiarazione   di    illegittimita'
costituzionale di quest'ultima norma, nella parte in cui  prevede  il
parere  e  non  l'intesa  della  richiamata  Conferenza,  pronunciata
all'esito  del  giudizio,  che  la  Regione  chiede  alla  Corte   di
promuovere in via di  autorimessione,  argomentando  in  ordine  alle
ragioni della ipotizzata rilevanza e non manifesta infondatezza della
questione, anche richiamando la sentenza n. 251 del 2016. 
    4.- La Regione Puglia ha impugnato l'art. 1, comma 1, lettera a),
numero 1), e l'art. 3 (recte, art. 3, comma  1,  primo  periodo)  del
d.lgs. n. 219 del 2016, in riferimento agli artt. 3, 5, 18  Cost.  ed
al principio di ragionevolezza. 
    La prima delle norme impugnate ha sostituito il comma 3 dell'art.
1 della legge  n.  580  del  1993;  la  seconda  e'  stata  censurata
limitatamente alla prima proposizione, secondo cui: «Entro il termine
di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del  presente  decreto,
l'Unioncamere trasmette al Ministero  dello  sviluppo  economico  una
proposta di rideterminazione delle circoscrizioni  territoriali,  per
ricondurre il numero complessivo delle camere di commercio  entro  il
limite di 60, tenendo conto dei seguenti criteri [...]». 
    Secondo la ricorrente, le camere  di  commercio  rientrano  nelle
cosiddette  autonomie  funzionali,  tutelate  dall'art.  5  Cost.  e,
benche' svolgano funzioni pubbliche, sarebbero  altresi'  espressione
del libero  associazionismo  imprenditoriale  tutelato  dall'art.  18
Cost. A  suo  avviso,  tali  parametri  sarebbero  lesi  dalle  norme
impugnate, che avrebbero ridotto irragionevolmente  il  numero  delle
camere di commercio, per conseguire un non  necessario  risparmio  di
spesa. Esse non  gravano  infatti  sul  bilancio  dello  Stato,  come
risulta dall'art. 18 della legge n.  580  del  1993,  che  stabilisce
quali sono le fonti del finanziamento delle stesse. Dunque,  «non  si
vede per quale ragione non dovrebbero poter sorgere spontaneamente o,
comunque,  secondo  criteri  piu'  elastici,  pur  se   vigilate   da
istituzioni pubbliche». La  riduzione  del  numero  delle  camere  di
commercio  sarebbe  irragionevole   e   sproporzionata,   mirando   a
conseguire un presunto risparmio di  spesa  rispetto  ad  un  sistema
virtuoso, che anzi allevia il bilancio  statale  ed  e'  ispirato  ad
un'autonomia (art. 5  Cost.)  e  ad  una  liberta'  (art.  18  Cost.)
costituzionalmente tutelate. 
    4.1.- La Regione Liguria ha impugnato il comma 1, «punto» (recte,
numero) 3 della lettera  a)  del  comma  1  del  citato  art.  1,  in
riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, Cost., che ha sostituito
il comma 5 dell'art.  1  della  legge  n.  580  del  1993,  il  quale
disciplina l'accorpamento delle camere di  commercio  e  la  modifica
delle circoscrizioni delle stesse. 
    Secondo la ricorrente, l'art. 10 della  legge  n.  124  del  2015
prevede tra i principi e criteri direttivi per la ridefinizione delle
circoscrizioni  territoriali   delle   camere   di   commercio   solo
«l'accorpamento» di due o piu' camere di commercio: quindi, la  norma
impugnata, aggiungendo «a tale modalita' di  ridefinizione  anche  la
"modifica" delle circoscrizioni  territoriali»,  lascerebbe  «in  tal
modo aperta la possibilita' di determinare 'innovativamente' i  nuovi
confini degli enti», incorrendo nel vizio di eccesso di delega. 
    5.- L'art. 1, comma 1, lettera r), numero 1, punto i), del d.lgs.
n. 219 del 2016 ha sostituito il comma 10 dell'art. 18 della legge n.
580 del 1993 con la seguente disposizione: «10. Per il  finanziamento
di  programmi  e  progetti  presentati  dalla  Camere  di  commercio,
condivisi con le Regioni ed aventi  per  scopo  la  promozione  dello
sviluppo economico e l'organizzazione di  servizi  alle  imprese,  il
Ministro dello  sviluppo  economico,  su  richiesta  di  Unioncamere,
valutata la rilevanza dell'interesse del programma o del progetto nel
quadro  delle  politiche  strategiche  nazionali,  puo'   autorizzare
l'aumento, per gli esercizi di riferimento, della misura del  diritto
annuale fino ad un massimo del  venti  per  cento.  Il  rapporto  sui
risultati dei progetti e' inviato al  Comitato  di  cui  all'articolo
4-bis». 
    Tale norma e' stata impugnata in riferimento all'art. 117,  commi
terzo e quarto, Cost. ed al principio di leale  collaborazione  dalla
Regione Puglia e dalla Regione Toscana, nonche', dalla  prima,  anche
in relazione all'art. 3 Cost. ed al  principio  di  ragionevolezza  e
dalla seconda anche con riguardo all'art. 118 Cost. 
    Secondo la Regione Puglia, la norma sarebbe lesiva dell'autonomia
delle camere di  commercio  e  delle  Regioni,  in  quanto  subordina
l'implementazione dei progetti concordati fra detti  enti  all'avallo
ministeriale. Tale controllo sarebbe disarmonico rispetto all'attuale
concezione costituzionale dell'autonomia e non rinverrebbe fondamento
nell'art. 117, comma terzo, Cost. (in particolare,  nella  competenza
dello  Stato  a  dettare  i  principi  fondamentali  in  materia   di
coordinamento  della  finanza  pubblica),  poiche'  il   sistema   di
finanziamento delle camere di  commercio  e'  slegato  dalla  finanza
erariale. L'art. 117, comma quarto, Cost. ed il  principio  di  leale
collaborazione sarebbero lesi, in quanto l'esercizio della competenza
regionale e' sottoposta al controllo ministeriale, mentre l'autonomia
presuppone un rapporto paritetico fra gli enti. 
    A suo avviso, la norma impugnata e' coordinata  irragionevolmente
(quindi, in violazione dell'art. 3  Cost.)  con  il  novellato  testo
dell'art. 2, comma 2, lettera  g),  della  legge  n.  580  del  1993.
Infatti,  se  le  attivita'  cosiddette  aggiuntive  possono   essere
finanziate soltanto mediante il diritto annuale, sarebbe «paradossale
che si possa provvedere in merito senza l'aumento  della  loro  unica
fonte di finanziamento, ne' appare proporzionato che la meritevolezza
del progetto (che giustificherebbe l'aumento del diritto annuale) sia
previamente vagliata da un organo governativo». Peraltro, rileverebbe
che il sistema delle camere di commercio e' in attivo e  di  esso  la
finanza statale  si  giova  (come  indicato  nel  parere  reso  dalla
Conferenza unificata), sicche' sarebbe ingiustificabile la previsione
di un preventivo controllo del suo «potere impositivo»  ed  esse,  in
difetto di una «libera leva» fiscale, potrebbero non essere in  grado
di condurre attivita' promozionali. 
    5.1.- Secondo la Regione Toscana, la norma in  esame  inciderebbe
su ambiti di competenza regionale  costituzionalmente  garantiti.  Il
controllo   ministeriale,   svolto    unilateralmente,    senza    il
coinvolgimento delle Regioni,  violerebbe  le  competenze  di  queste
ultime, in  quanto  e'  preordinato  a  stabilire  la  rilevanza  dei
progetti e l'ammissibilita' del loro finanziamento mediante l'aumento
dei diritti  annuali  e  l'esito  negativo  dello  stesso  renderebbe
impossibile realizzare il progetto per carenza di  risorse  da  parte
della camera di commercio. 
    L'apprezzabile esigenza di  contenere  i  costi  a  carico  delle
imprese  potrebbe  e   dovrebbe   essere   conseguita   mediante   il
coinvolgimento delle Regioni. La disposizione non sarebbe  rispettosa
dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale  che,  sin
dalla sentenza  n.  303  del  2003,  ha  configurato  l'intesa  quale
modalita' essenziale dell'attrazione in sussidiarieta' allo Stato  di
potesta' legislative che l'art. 117 Cost. attribuisce alla competenza
concorrente o residuale delle  Regioni  (sentenza  n.  6  del  2004),
precisando che la stessa, in  applicazione  del  canone  della  leale
collaborazione, deve svilupparsi attraverso trattative, strumentali a
superare le divergenze (sentenza n. 339 del 2005). 
    A suo avviso, l'art. 118 Cost.  sarebbe  leso  anche  perche'  le
camere  di  commercio  sarebbero  «enti  pubblici  locali  dotati  di
autonomia funzionale, che entrano a pieno  titolo,  formandone  parte
costitutiva,  nel  sistema  dei  poteri  locali».  La   Regione,   in
applicazione del principio di sussidiarieta' orizzontale  (art.  118,
ultimo  comma,  Cost.)  deve  valorizzare  il  ruolo  di  tali  enti,
«riconoscendo loro attivita' amministrative di interesse generale  in
conformita' al loro ruolo  nella  societa'  civile»,  come  stabilito
anche dall'art. 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). La norma in  esame  violerebbe
detto parametro costituzionale, poiche' la Regione,  in  mancanza  di
risorse finanziarie sufficienti, sara' costretta a non affidare  alla
camera di commercio le attivita' oggetto del «programma/progetto» per
la promozione dello sviluppo  economico  e  per  l'organizzazione  di
servizi alle imprese. 
    6.- L'art. 1, comma 1, lettera r), numero 1, punto a), del d.lgs.
n. 219 del 2016 ha abrogato la lettera c) del comma  1  dell'art.  18
del d.lgs. n. 580 del 1993, in  virtu'  del  quale  al  finanziamento
ordinario delle camere  di  commercio  si  provvedeva,  tra  l'altro,
mediante «le entrate e i contributi derivanti da  leggi  statali,  da
leggi  regionali,  da  convenzioni  o  previsti  in  relazione   alle
attribuzioni delle Camere di commercio». 
    Tale norma, secondo la Regione Puglia, violerebbe  gli  artt.  3,
117, commi terzo e quarto, Cost. ed il principio  di  ragionevolezza,
dato che, escludendo che le camere di commercio possano  giovarsi  di
finanziamenti regionali (o erogati  da  altri  enti),  in  virtu'  di
convenzioni, comprimerebbe irragionevolmente: l'autonomia  regionale,
escludendo la possibilita' di incentivare le attivita' produttive  e,
comunque, di esercitare le competenze  di  cui  all'art.  117,  commi
terzo e quarto, Cost.; l'autonomia  delle  camere  di  commercio,  le
quali, da un canto non possono fare ricorso al finanziamento mediante
aumento  del  contributo  annuale,  in  difetto   di   autorizzazione
ministeriale,  dall'altro  non  possono   fruire   di   finanziamenti
regionali. 
    Ad avviso della ricorrente, «cio' che, peraltro, e' irragionevole
- e, percio', anche in violazione dell'art. 3 Cost. -  rispetto  alla
disposizione su richiamata» (recte, all'art. 2, comma 2,  lettera  g,
della legge n. 580 del 1993, nel testo sostituito dall'art. 1,  comma
1, lettera b, numero 2), del d.lgs. n. 219 del 2016), e' che, secondo
quest'ultima, «le "attivita' oggetto di convenzione  con  le  regioni
(...)   possono   essere   finanziate   (...)    esclusivamente    in
cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al
50 per cento», facendo in tal  modo  presumere  che  sia  ammissibile
questa fonte di finanziamento. Verosimilmente, per  tale  ragione  la
Conferenza unificata, nel rendere  parere  sullo  schema  di  decreto
legislativo, con la proposta n. 9, aveva suggerito di  mantenere  fra
le fonti di finanziamento le entrate derivanti da convenzioni  con  i
soggetti pubblici e privati. 
    7.- L'art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016 disciplina  la  riduzione
del  numero  delle  camere  di   commercio   mediante   accorpamento,
razionalizzazioni delle sedi e del personale e, al comma 4,  dispone:
«Il Ministro  dello  sviluppo  economico,  entro  i  sessanta  giorni
successivi al termine di cui al comma 1, con proprio decreto, sentita
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di  Bolzano,  provvede,  tenendo  conto
della proposta  di  cui  al  comma  1,  alla  rideterminazione  delle
circoscrizioni territoriali, all'istituzione delle  nuove  camere  di
commercio, alla soppressione delle camere interessate dal processo di
accorpamento  e  razionalizzazione  ed  alle   altre   determinazioni
conseguenti ai piani di cui ai commi 2 e 3. Il provvedimento  di  cui
al presente comma e' adottato anche in assenza della proposta di  cui
al comma 1, ove sia trascorso inutilmente il  termine  ivi  previsto,
applicando a tal fine i medesimi criteri previsti nei commi 1, 2, 3». 
    Il richiamato comma 4 e' stato impugnato da tutte le ricorrenti. 
    7.1.- Secondo la Regione Puglia, l'art. 10, comma 1,  lettera  a)
(recte, art. 10, comma 1, lettera b), della legge  n.  124  del  2015
disponeva che la «ridefinizione  delle  circoscrizioni  territoriali»
avrebbe dovuto  essere  realizzata  dal  decreto  legislativo  e  non
autorizzava il Governo a stabilire «criteri di  ridefinizione»  ed  a
rinviare ad  un  successivo  atto  governativo  la  disciplina  della
materia. Tale rinvio, da un canto, integrerebbe un'ulteriore  profilo
di violazione del termine di esercizio della  delega  (oggetto  della
censura dianzi sintetizzata), in quanto dimostrerebbe che il  Governo
non e' stato in grado  di  osservarlo;  dall'altro,  sottrarrebbe  il
profilo di maggiore interesse territoriale (la rideterminazione delle
circoscrizioni delle camere di  commercio)  al  sindacato  di  questa
Corte, tenuto conto della natura dell'atto che realizza  la  modifica
delle circoscrizioni territoriali. 
    7.2.- Sotto un ulteriore profilo, il richiamato art. 3, comma  4,
secondo la Regione Puglia, incidendo su un ambito materiale in cui si
intrecciano competenze legislative statali e regionali, violerebbe il
principio di leale collaborazione, in quanto  la  norma  richiede  il
mero parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano,  anziche'
l'intesa.  A  conforto  della  censura,  la  ricorrente  richiama  la
sentenza n. 251 del  2016  (di  cui  riporta  ampi  stralci)  che  ha
scrutinato altre deleghe  previste  dalla  legge  n.  124  del  2015,
nonche'  le  pronunce  secondo  cui,  qualora  una  data   disciplina
coinvolga plurime materie e non sia possibile stabilire la prevalenza
di una di esse, il bilanciamento tra l'esigenza di esercizio unitario
delle competenze e  la  garanzia  delle  funzioni  costituzionalmente
attribuite alle autonomie deve essere realizzato mediante il  ricorso
allo strumento dell'intesa (sentenze n. 65, n. 21 e n. 1 del 2016, n.
88 del 2014  e  n.  139  del  2012),  vieppiu'  tenendo  conto  della
«perdurante  assenza  di   una   trasformazione   delle   istituzioni
parlamentari e,  piu'  in  generale,  dei  procedimenti  legislativi»
(sentenza n. 278 del 2010). 
    Nella  specie,  sussisterebbe  un  intreccio  di  competenze  non
risolvibile in  base  al  criterio  di  prevalenza,  che  esigeva  la
previsione  di  un  adeguato  strumento  di   leale   collaborazione,
costituito dall'intesa. 
    Argomentazioni in larga misura omologhe sono svolte dalla Regione
Toscana,  dalla  Regione  Liguria  e  dalla  Regione  Lombardia  che,
tuttavia, dalle stesse desumono la violazione da  parte  della  norma
impugnata anche dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost. 
    In particolare, la  Regione  Toscana  rimarca  l'inidoneita'  del
parere con riguardo ad un atto che realizza un profondo  riordino  di
enti operanti anche in materie  regionali.  La  norma  impugnata,  ad
avviso della Regione Liguria, realizzerebbe il totale disconoscimento
degli interessi regionali in un ambito  di  attivita'  (lo  «sviluppo
economico») interessato da numerose competenze regionali riconosciute
dall'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    Secondo la Regione Lombardia, lo stesso  legislatore  statale  e'
consapevole della necessita' dell'intesa, prevista infatti  dall'art.
1, comma l, lettera a), del d.lgs. n.  219  del  2016,  per  il  caso
dell'accorpamento di due o piu'  camere  di  commercio  proposto  dai
consigli delle stesse. Sarebbe dunque  irragionevole  la  sufficienza
del parere per la rideterminazione delle circoscrizioni  territoriali
e  la  necessita'  dell'intesa  per  l'istituzione  delle  camere  di
commercio   risultanti   dall'accorpamento    delle    circoscrizioni
territoriali. Pertanto, suo avviso, «- a meno di non  voler  ritenere
che vi sia una contraddizione interna alla legge rilevante ex art.  3
Cost. - deve concludersi che nell'art. 3, comma 4, il legislatore sia
incorso in un lapsus  calami,  comunque  incostituzionale  alla  luce
dell'art. 117, commi 3 e 4, e del principio di leale collaborazione». 
    8.- La Regione Lombardia ha altresi'  impugnato,  in  riferimento
all'art. 76 Cost., in combinato disposto con  l'art.  117  Cost.,  in
relazione all'art. 10, comma 1, lettera g), della legge  n.  124  del
2015, gli artt. 3, comma 1, lettera f), e 4 del  d.lgs.  n.  219  del
2016. La prima disposizione stabilisce  che,  nella  rideterminazione
delle  circoscrizioni  territoriali  delle   camere   di   commercio,
occorreva osservare il criterio  della  «necessita'  di  tener  conto
degli accorpamenti deliberati alla data di entrata  in  vigore  della
legge 7 agosto 2015, n.  124,  nonche'  di  quelli  approvati  con  i
decreti di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 29 dicembre 1993,
n. 580, e successive  modificazioni;  questi  ultimi  possono  essere
assoggettati ad ulteriori o diversi accorpamenti  solo  ai  fini  del
rispetto del limite di 60 camere di commercio». 
    Secondo  la  ricorrente,  tale  ultima  disposizione  sarebbe  in
contrasto con l'art. 10, comma 1, lettera g), della legge n. 124  del
2015 che, imponendo al legislatore delegato la «introduzione  di  una
disciplina  transitoria  che  tenga  conto  degli  accorpamenti  gia'
deliberati alla data di entrata  in  vigore  della  presente  legge»,
indurrebbe a ritenere che quest'ultimo avrebbe dovuto «prevedere  una
disciplina  transitoria  per  tutti  e  soli  gli  accorpamenti  gia'
deliberati alla data di entrata in vigore  della  legge  n.  124  del
2015»  e  la  mancata  introduzione  della  stessa  integrerebbe   il
denunciato vizio di eccesso di delega. 
    9.- L'art. 4, comma 6, del d.lgs. n.  219  del  2016  stabilisce:
«Una   copia   dei   provvedimenti   conclusivi    di    procedimenti
amministrativi    concernenti    attivita'     d'impresa     adottati
successivamente alla data di entrata in vigore del  presente  decreto
e' inviata, con modalita' informatica ovvero telematicamente, a  cura
dei responsabili di tali procedimenti, alla camera di commercio nella
cui circoscrizione l'impresa ha sede  per  il  loro  inserimento  nel
fascicolo informatico d'impresa  di  cui  all'articolo  2,  comma  1,
lettera  b).  Con  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico
emanato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della  legge  23  agosto
1988, n. 400, e successive modificazioni,  entro  centottanta  giorni
dalla data  entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  sentite  le
amministrazioni interessate, sono individuati,  secondo  principi  di
gradualita' e sostenibilita', i termini e le modalita'  operative  di
attuazione della disposizione di cui al  primo  periodo,  nonche'  le
modalita' ed i limiti con cui  le  relative  informazioni  sono  rese
disponibili per i soggetti pubblici e privati interessati». 
    Tale norma e'  stata  impugnata  dalla  Regione  Puglia  e  dalla
Regione Toscana, in riferimento all'art. 117, comma quarto,  Cost.  e
dalla prima anche in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. ed ai principi
di leale collaborazione e ragionevolezza. 
    Secondo la  Regione  Puglia,  la  norma  prevede  un  obbligo  di
comunicazione indiscriminato e generalizzato  che  comporterebbe  uno
sproporzionato ed irragionevole aggravio amministrativo,  lesivo  del
principio  di   ragionevolezza   (art.   3   Cost.),   dell'autonomia
organizzativa regionale (art. 117, comma quarto, Cost.)  e  dell'art.
97 Cost. Inoltre, la previsione che le modalita' di trasmissione sono
stabilite con decreto ministeriale, senza la  previa  intesa  con  la
Conferenza  Stato-Regioni,   violerebbe   l'autonomia   organizzativa
regionale ed il principio di leale collaborazione. 
    La  censura  della  Regione  Toscana  consiste  e  si   esaurisce
nell'affermazione che «le Regioni hanno  propri  sistemi  informativi
per cui e' necessario che il  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, che determina  i  termini  e  le  modalita'  operative  di
applicazione di tale  obbligo,  sia  emanato  previa  intesa  con  le
Regioni e non gia' solo sentite le medesime, come invece  prevede  la
norma», con  conseguente  violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., «per interferenza con l'autonomia organizzativa regionale». 
    10.- In tutti i  giudizi  si  e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi. 
    10.1.- La difesa dello Stato, in relazione  al  ricorso  proposto
dalla Regione Puglia, ne eccepisce l'inammissibilita' nella parte  in
cui solleva questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10
della legge n. 124 del 2015. A  suo  avviso,  le  norme  della  legge
delega   possono   e   devono   essere   impugnate   dalla    Regione
nell'osservanza del termine dell'art. 39 della legge 11  marzo  1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale),  qualora  il  loro  contenuto  sia  sufficientemente
determinato e tale da ledere le competenze regionali,  requisiti  che
connoterebbero la suindicata norma. 
    Nel merito, il resistente sostiene che le camere di commercio, in
virtu' dell'art. 1 della  legge  n.  580  del  1993  e  dei  principi
enunciati da questa Corte nella sentenza n. 29 del  2016,  sono  enti
pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, sulla base  del
principio di sussidiarieta', funzioni generali per il  sistema  delle
imprese, curandone lo sviluppo nell'ambito  delle  autonomie  locali,
sulla base di rapporti convenzionali con le Regioni e con  lo  Stato.
La loro organizzazione e  la  disciplina  relativa  al  funzionamento
delle stesse  rientrerebbe  nella  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato ex art. 117,  secondo  comma,  lettera  g),  Cost.,  come
sarebbe  dimostrato  dalla  circostanza  che   l'attribuzione   della
competenza legislativa esclusiva in  materia  di  «ordinamento  delle
camere   di   commercio»   alla   Regione   autonoma    Trentino-Alto
Adige/Südtirol ha richiesto una specifica  previsione  in  tal  senso
(artt. 4, numero 8, e 16 del decreto del Presidente della  Repubblica
31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo  unico  delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige»). 
    La riorganizzazione delle  camere  di  commercio  realizzata  dal
d.lgs. n. 219 del 2016 non avrebbe comunque inciso sulle preesistenti
competenze delle Regioni, in quanto avrebbe riguardato esclusivamente
una fase successiva, diversa da quella concernente l'organizzazione e
le regole di funzionamento. 
    Inoltre, alle camere di commercio  sono  attribuiti  compiti  che
devono essere disciplinati in modo omogeneo in ambito nazionale -  in
particolare, anche le materie oggetto degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n.
219 del 2016 - con conseguente prevalenza della  competenza  statale.
Ad identica conclusione dovrebbe pervenirsi  quanto  alla  disciplina
recata dall'art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del  2016,  in  quanto
riconducibile alla materia del coordinamento informativo,  statistico
e informatico, come sarebbe desumibile  dalla  sentenza  n.  251  del
2016. 
    Infine, la disciplina delle camere  di  commercio  concernerebbe,
almeno sotto alcuni aspetti rilevanti, la materia  della  concorrenza
(art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), esplicantesi  attraverso
la tenuta e l'aggiornamento del registro delle imprese. 
    10.1.1.- La censura concernente l'art. 1, comma  1,  lettera  r),
punto i), del d.lgs. n. 219 del 2016, che ha sostituito il  comma  10
dell'art. 18 della legge n. 580 del 1993, sarebbe infondata,  poiche'
l'attuale  formulazione  di  quest'ultima   disposizione   garantisce
l'uniforme disciplina dell'aumento del diritto  annuale  camerale  su
tutto  il  territorio  nazionale,   collegandola   alla   valutazione
ministeriale della rilevanza dell'interesse del programma o progetto,
nel quadro delle politiche strategiche nazionali, tenendo conto della
prevalenza della competenza statale, allo scopo appunto di  garantire
una disciplina omogenea in ambito nazionale. 
    10.1.2.- Non fondate sarebbero  altresi'  le  censure  aventi  ad
oggetto gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del  2016,  che  riguardano
aspetti riconducibili alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato, siccome inerenti a profili  ordinamentali  e  informatici  che
esigono una disciplina omogenea  stabilita  a  livello  centrale.  In
particolare,  in  riferimento  al  citato  art.  4,  comma  6,   tale
conclusione sarebbe confortata dalla sentenza n.  251  del  2016,  la
quale ha escluso l'illegittimita' di una norma di contenuto omologo a
quella in esame (art. 1, comma 1, lettere b, c, g, della legge n  124
del 2015). 
    Peraltro, sotto alcuni profili, la  disciplina  delle  camere  di
commercio e' riconducibile alla materia  «tutela  della  concorrenza»
(art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.),  che  si  esplica  anche
mediante la tenuta e l'aggiornamento del registro  delle  imprese  ed
un'opportuna  perequazione  tra   i   diversi   organismi   camerali,
utilizzando il meccanismo  del  diritto  annuale  e  dei  diritti  di
segreteria. 
    10.1.3.- Relativamente alla censura di violazione del termine  di
esercizio della delega, la difesa dello Stato deduce  che  l'avverbio
«successivamente» utilizzato nell'art. 10, comma 2,  della  legge  n.
124  del  2015  «determina  un  ordine  procedimentale,  a  rilevanza
meramente interna» e non  escludeva  la  possibilita'  di  richiedere
contestualmente i prescritti pareri, con riserva  di  rimettere  alle
Camere quelli formulati da Conferenza unificata e Consiglio di Stato.
Diversamente, sarebbe svuotata di  contenuto  la  possibilita'  della
proroga, per il caso in cui il termine di  sessanta  giorni  concesso
alle Camere fosse scaduto negli ultimi trenta giorni dei dodici  mesi
per l'approvazione del decreto legislativo. 
    Nelle specie, e'  pacifico  che  le  Camere  hanno  formulato  il
prescritto parere dopo avere ricevuto quello espresso  da  Conferenza
unificata e Consiglio di Stato,  con  conseguente  irrilevanza  della
contemporanea   richiesta   dei   pareri.   Dirimente    nel    senso
dell'osservanza   del   termine   di   esercizio   della   delega   e
dell'operativita' dei presupposti della proroga e'  la  constatazione
che lo schema di decreto legislativo e' stato inviato al Consiglio di
Stato il 26 agosto 2016, e cioe' prima del 28 agosto 2016,  cosi'  da
determinare l'operativita' della proroga. 
    10.1.4.- La censura concernente l'art. 3, comma 4, del d.lgs.  n.
219 del  2016  non  sarebbe  fondata,  poiche'  l'invocata  autonomia
sarebbe stata rispettata, dato che la norma prevede che  la  proposta
di rideterminazione delle circoscrizioni  deve  essere  formulata  da
Unioncamere e deve essere sentita  la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano. 
    La   deduzione   concernente   la   sottrazione   dell'atto    di
rideterminazione delle circoscrizioni territoriali  al  controllo  di
questa Corte deve poi tenere conto del fatto che la norma  stabilisce
criteri e modalita' di determinazione dei contenuti della proposta di
riorganizzazione e prevede un procedimento rispettoso delle autonomie
coinvolte e del  principio  di  leale  collaborazione.  Peraltro,  la
Conferenza unificata, nel parere sullo schema di decreto legislativo,
da' atto di avere visionato la  nota  del  Ministero  dello  sviluppo
economico diramata in data 28  settembre  2016  (prot.  N.  CSR  4291
P-4.23.2.12), contenente  le  puntuali  osservazioni  sulle  proposte
emendative  elaborate  dalle  Regioni  e  dagli  enti   locali,   con
l'indicazione  di  quelle  ritenute  condivisibili  ed  accolte,   ad
evidente dimostrazione dell'effettivo  coinvolgimento  delle  regioni
nell'iter decisionale. 
    10.1.5.- Secondo la  difesa  dello  Stato,  sarebbe  inesatto  il
richiamo della sentenza n. 251 del 2016, poiche'  in  relazione  alla
riorganizzazione delle  camere  di  commercio  manca  l'inestricabile
intreccio  di  competenze  statali  e  regionali,  che  avrebbe  reso
necessaria l'intesa. Il Governo ha,  inoltre,  recepito  parte  delle
indicazioni formulate dalla Conferenza unificata  e  non  ha  accolto
quelle concernenti la modalita' di determinazione  della  misura  del
diritto  annuale,  che  tuttavia  ricade   nella   materia   «sistema
tributario», di competenza esclusiva dello Stato (art.  117,  secondo
comma, lettera e, Cost.), come  affermato  da  questa  Corte  con  la
sentenza  n.  29  del  2016,  con  conseguente   infondatezza   della
denunciata violazione del principio di leale collaborazione. 
    10.1.6.- L'infondatezza della censura concernente l'art. 4, comma
6, del d.lgs. n. 219 del 2016 conseguirebbe, secondo  il  resistente,
alla considerazione  che  le  funzioni  inerenti  al  registro  delle
imprese sono riconducibili alle  materie  «anagrafi»  e  «ordinamento
civile» (art. 117, secondo comma, lettere i ed l,  Cost.),  spettanti
alla competenza esclusiva dello Stato. Inoltre, la norma  prevedrebbe
anche  il  «coordinamento  preventivo  con  le  Regioni  mediante  il
passaggio dalla Conferenza  Stato-Regioni  ed  il  conseguimento  del
parere da parte della stessa». 
    10.2.- In riferimento al ricorso della Regione Toscana, la difesa
dello   Stato,   a   conforto   del   chiesto   rigetto,    riproduce
sostanzialmente le argomentazioni dianzi sintetizzate  nei  paragrafi
10.1, 10.1.1., 10.1.2., 10.1.3., 10.1.4., 10.1.5. e 10.1.6.  Inoltre,
ha  eccepito  l'inammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'intero testo del d.lgs.  n.  219  del  2016,  per
asserita violazione del principio di  leale  collaborazione  e  degli
artt. 76 e 77,  primo  comma,  Cost.,  deducendo  che  non  e'  stato
impugnato l'art. 10 della legge n. 124 del 2015, nell'osservanza  del
termine dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953, come  sarebbe  stato
necessario,  poiche'  i  contenuti  normativi  della   delega   erano
determinati  ed  univoci  e,  quindi,  in  grado  di  porre  in  luce
l'eventuale lesivita' da parte della norma di  competenze  regionali.
Ammettere  che  con  l'impugnazione  del   decreto   delegato   possa
denunciarsi  la  norma  di  delega  significherebbe,  a  suo  avviso,
permettere l'elusione di detto termine. Inoltre, i compiti attribuiti
alle camere di  commercio  sarebbero  riconducibili  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato  prevista  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera g), Cost. e,  sotto  alcuni  profili  a  quella  della
lettera e) di tale parametro e, comunque, devono essere  disciplinati
in modo omogeneo a livello nazionale. Tanto dovrebbe essere affermato
anche con riguardo alle materie oggetto degli artt. 3 e 4 del  d.lgs.
n. 219 del 2016 e, in particolare in riferimento al  citato  art.  4,
comma 6, sarebbe richiamabile la sentenza n. 251 del 2016, poiche' la
disciplina dallo stesso recata sarebbe riconducibile alla  competenza
statale nella materia del  «coordinamento  informativo  statistico  e
informatico dei dati» (art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.). 
    10.3.-  Relativamente  alle  questioni  sollevate  dalla  Regione
Liguria,  il  resistente  svolge  considerazioni  in   larga   misura
coincidenti con quelle sopra riportate nei  paragrafi  10.1,  10.1.4,
10.1.5, per chiedere il rigetto del ricorso proposto dalla predetta. 
    10.4.- L'Avvocatura generale dello Stato, con riguardo al ricorso
della  Regione  Lombardia,  svolge   argomentazioni   sostanzialmente
omologhe a quelle sviluppate in riferimento al ricorso della  Regione
Puglia,  sopra  sintetizzate  nel  paragrafo   10.1,   per   eccepire
l'inammissibilita' delle censure aventi ad oggetto  l'art.  10  della
legge n. 124 del 2015, perche' non impugnato nel termine dell'art. 39
della  legge  n.  87  del  1953.  A  suo  avviso,   sarebbe   inoltre
inammissibile l'istanza con cui la ricorrente sollecita questa  Corte
a sollevare dinanzi a se', in via  di  autorimessione,  questione  di
legittimita' costituzionale di detto art. 10, comma 2, trattandosi di
richiesta avente carattere elusivo del suindicato termine. 
    La difesa dello Stato  insiste,  quindi,  per  il  rigetto  delle
restanti censure sulla scorta delle argomentazioni  dianzi  riportate
nei  paragrafi  10.1,  10.1.4,   10.1.5,   10.1.6.   Infine,   deduce
l'infondatezza della questione avente ad oggetto gli artt.  3,  comma
1, lettera f), e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    11.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  hanno   depositato
memorie le Regioni Puglia, Toscana e Lombardia. 
    11.1.- La Regione Puglia contesta, nella memoria, che la  mancata
impugnazione  della  norma   di   delega   renderebbe   inammissibile
l'impugnazione  del   decreto   delegato,   dato   che   quest'ultimo
determinerebbe una novazione  della  fonte,  e  contesta  la  dedotta
riconducibilita' dell'intera disciplina recata dal d.lgs. n. 219  del
2016 alla competenza esclusiva dello Stato  prevista  dall'art.  117,
secondo comma, lettera g), Cost. 
    Relativamente al termine di esercizio della delega, la ricorrente
contesta che sia stato dimostrato  che  la  richiesta  di  parere  al
Consiglio di Stato e' stata  inoltrata  prima  del  28  agosto  2016,
ritenendo insufficiente a questo scopo  l'attestazione  contenuta  in
detto parere. A suo avviso, sarebbe altresi' irrilevante la  data  di
spedizione della richiesta, dato che al  procedimento  in  esame  non
sarebbe  applicabile  il  principio  della  scissione  degli  effetti
dell'atto. 
    In ordine alla questione avente ad oggetto l'art. 3, comma 4, del
d.lgs. n. 219 del 2016, la  Regione  ribadisce  la  tesi  svolta  nel
ricorso  e  deduce  che   l'Avvocatura   generale   neppure   avrebbe
contrastato la censura subordinata, con  cui  essa  ha  lamentato  la
mancata previsione dell'acquisizione dell'intesa, anziche' del parere
della Conferenza Stato-Regioni, sui decreti  di  ridefinizione  delle
circoscrizioni territoriali. 
    A suo avviso, la difesa dello Stato non  ha  poi  svolto  nessuna
considerazione in ordine alle censure aventi ad  oggetto:  l'art.  1,
comma 1, lettera a); l'art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016;  l'art.  1,
comma 1, lettera r), di tale atto normativo, nella parte  in  cui  ha
abrogato l'art. 18, comma 1, lettera c), della legge n. 580 del 1993. 
    Sulla censura concernente l'art. 1, comma 1, lettera  r),  numero
1, punto i), del d.lgs. n. 219 del 2016, la ricorrente sostiene  che,
anche ritenendo la disciplina del tributo  annuale  riconducibile  al
sistema  tributario  statale,  comunque   sarebbe   illegittima   una
disciplina  che   realizzerebbe   un   significativo   depauperamento
dell'autonomia funzionale delle camere di commercio. 
    La Regione Puglia osserva, infine, che anche  riconducendo,  come
sostenuto dal resistente, la disciplina dell'art.  4,  comma  6,  del
d.lgs. n. 219 del 2016 alla materia  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera  r),  Cost.,  l'obbligo  indiscriminato  e  generalizzato  di
trasmissione dei dati sarebbe irragionevole e,  appunto  per  questo,
lesivo  dell'autonomia  organizzativa  regionale  (art.  117,  quarto
comma, Cost.). 
    11.2.- La Regione Toscana, nella memoria, deduce che la  sentenza
di questa Corte n. 278 del 2010 ha affermato che anche  la  legge  di
delega   soggiace   al   fondamentale   canone   dell'interpretazione
costituzionalmente conforme. L'interesse della Regione ad  impugnarla
sussiste dunque soltanto  qualora  l'unica  esegesi  possibile  della
stessa sia quella che prefigura una lesione dell'autonomia regionale;
nella  specie,  soltanto  il  decreto   legislativo   avrebbe   «reso
percepibile ed accertabile l'esistenza in  concreto  della  lesione».
Pertanto, a suo  avviso,  e'  infondata  l'eccezione  dell'Avvocatura
generale dello Stato, con cui questa ha sostenuto  l'inammissibilita'
del ricorso, per mancata impugnazione della legge delega. 
    Relativamente alle censure concernenti l'ordine procedimentale di
acquisizione dei pareri stabilito dall'art. 10 della legge n. 124 del
2015, la ricorrente ne contesta la rilevanza meramente interna  dello
stesso e ribadisce che non sarebbe stato osservato il termine  finale
di esercizio della delega.  A  suo  avviso,  neppure  avrebbe  potuto
operare la proroga di detto termine prevista dall'art. 10,  comma  2,
della legge n. 124 del 2015, tenuto conto che la richiesta di  parere
sullo schema di decreto delegato sarebbe pervenuta  al  Consiglio  di
Stato soltanto il 29 agosto 2016, quindi tardivamente. 
    In riferimento alla disciplina del diritto annuale  delle  camere
di commercio, la ricorrente deduce che la  violazione  dei  parametri
costituzionali evocati conseguirebbe alla circostanza  che  e'  stata
attribuita soltanto allo Stato la  valutazione  della  rilevanza  del
progetto che potrebbe fondare l'incremento del diritto camerale. 
    Nella memoria la ricorrente deduce  altresi'  che  la  Conferenza
unificata aveva condizionato  il  parere  favorevole  al  recepimento
della proposta n.  12,  il  cui  mancato  accoglimento  conforterebbe
l'esistenza della denunciata lesione. 
    La censura avente ad oggetto l'art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219
del 2016 sarebbe poi confortata dal fatto che il decreto del Ministro
dello   sviluppo   economico   dell'8   agosto   2017,   recante   la
rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, esplicita che  la
Conferenza Stato-Regioni non ha formulato il  parere  a  seguito  del
disaccordo su vari punti del testo; quindi, risulterebbe che  proprio
a causa della previsione del parere, in luogo dell'intesa, le Regioni
non hanno visto considerate le proprie posizioni. 
    Inoltre, la tesi del resistente, secondo cui  il  richiamo  della
sentenza n. 251 del 2016 non sarebbe  corretto,  poiche'  la  materia
oggetto della legge delega spetterebbe  alla  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettere
e) e g), Cost., non sarebbe fondata. 
    A suo avviso, il mancato accoglimento delle proposte di  modifica
formulate dalla Conferenza unificata con il parere reso sullo  schema
di decreto delegato ai numeri 4 e 15 confermerebbero che  il  dialogo
istituzionale e' stato meramente formale ed inidoneo a  garantire  le
competenze regionali. 
    In ordine alla questione avente ad oggetto l'art. 4, comma 6, del
d.lgs. n. 219  del  2016,  la  ricorrente  osserva,  infine,  che  la
riconducibilita'  della  disciplina   alla   competenza   legislativa
esclusiva  dello  Stato  nelle  materie  «anagrafi»  e   «ordinamento
civile», di cui all'art. 117, secondo comma, lettere i) ed l),  Cost.
non  escluderebbe  che  la   stessa   incida   anche   sull'autonomia
organizzativa  regionale,  che  sarebbe  stata  lesa.   Inoltre,   la
Conferenza unificata, con la proposta n. 14  del  parere  reso  sullo
schema di decreto delegato, aveva fatto presente detta  esigenza  che
neanche e' stata considerata, con conseguente lesione dell'art.  117,
quarto comma, Cost., e del principio di leale collaborazione. 
    11.3.- La Regione Lombardia, nella memoria, contesta anzitutto la
fondatezza dell'eccezione del resistente  di  inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge  n.
124 del 2015, per decorso del termine  di  impugnazione  e  argomenta
sull'ammissibilita' dell'autorimessione, richiamando alcune  pronunce
di questa Corte. 
    La ricorrente contesta altresi' che la disciplina in esame  possa
essere ricondotta alla competenza legislativa esclusiva  dello  Stato
nella materia dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  g),  Cost.,  o
comunque   ad   altre   materie   previste   da   detto    parametro.
Indipendentemente dalla considerazione che tale  deduzione  e'  stata
svolta con limitato riferimento  alla  regolamentazione  del  diritto
camerale e «della tenuta  dei  registri»  (in  relazione  alla  quale
sarebbe comunque non fondata), la stessa, a suo avviso, non  potrebbe
essere, infatti, giudicata atomisticamente,  costituendo  «un  unicum
inscindibile»  ed  interessando   «una   pluralita'   di   competenze
(legislative ed amministrative) ed interessi facenti capo  a  livelli
di governo diversi». 
    La Regione Lombardia ribadisce, infine, le deduzioni  svolte  nel
ricorso in ordine  alla  prospettata  necessita'  di  una  disciplina
transitoria «per tutti e soli gli accorpamenti gia'  deliberati  alla
data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le Regioni Puglia (reg. ric. n. 4 del  2017),  Toscana  (reg.
ric. n. 5 del 2017), Liguria (reg. ric. n. 6 del  2017)  e  Lombardia
(reg. ric. n. 7 del 2017) hanno promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale  aventi  ad  oggetto  l'intero   testo   del   decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di  cui
all'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124,  per  il  riordino
delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  Camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura), e  gli  artt.  1,  2,  3  e  4
(censurati da ciascuna ricorrente nei limiti e nei termini  precisati
nei paragrafi 1 ed 1.1. del Ritenuto in fatto) del medesimo  decreto,
per violazione degli artt. 3, 5, 18, 76 e 77,  primo  comma,  (questi
ultimi due parametri in relazione all'art. 10, comma 1, della legge 7
agosto 2015, n. 124,  recante  «Deleghe  al  Governo  in  materia  di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»), 97, 117, terzo  e
quarto comma, 118 e 120 della Costituzione e dei  principi  di  leale
collaborazione e di ragionevolezza. 
    2.-  I  giudizi,  in  considerazione   della   loro   connessione
oggettiva, devono essere riuniti,  per  essere  decisi  con  un'unica
pronuncia. 
    3.-   Preliminarmente,   occorre    anzitutto    verificare    la
legittimazione delle ricorrenti ad impugnare disposizioni concernenti
la disciplina delle attivita' e del  funzionamento  delle  camere  di
commercio, dalle stesse sostenuta con argomentazioni in larga  misura
coincidenti, volte a dimostrare che tali enti  svolgono  compiti  che
riguardano (ed incidono su) attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite. 
    Relativamente a detto profilo, va ricordato che questa Corte, con
la sentenza n. 86  del  2017,  ha  svolto  una  diffusa  ricognizione
dell'evoluzione delle camere di  commercio,  offrendone  una  precisa
configurazione, anche alla luce delle riforme realizzate  dal  d.lgs.
n. 219 del 2016. E' dunque opportuno rinviare a  detta  sentenza  per
l'esame,  in  dettaglio,  di  tale  evoluzione;  qui  e'  sufficiente
ribadire che le camere di  commercio,  fin  dalla  loro  istituzione,
hanno assunto un duplice volto: da un lato, organi di  rappresentanza
delle   categorie   mercantili;   dall'altro,   strumenti   per    il
perseguimento di politiche pubbliche, tanto da assumere,  agli  inizi
dello scorso secolo, la natura di enti di diritto pubblico, dotati di
personalita' giuridica. 
    Tale qualificazione fu mantenuta in prosieguo (con i  passaggi  e
le modalita' descritti nella citata pronuncia), avendole poi la legge
29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle  camere  di  commercio,
industria,  artigianato  e  agricoltura),  configurate  quali   «enti
autonomi di diritto pubblico», stabilendo che «svolgono,  nell'ambito
della circoscrizione territoriale di competenza,  [...]  funzioni  di
interesse  generale  per  il  sistema  delle  imprese,  curandone  lo
sviluppo nell'ambito delle economie locali»  (art.  1,  comma  1).  I
successivi interventi normativi hanno allentato i controlli  statali,
ma il riferimento all'ambito locale non e' stato ritenuto  limitativo
dell'attivita' svolta, ne' ha impedito che esse continuino a svolgere
funzioni  di  interesse  generale,  necessarie  per  la  tutela   dei
consumatori e per la promozione  di  attivita'  economiche  (indicate
analiticamente nella sentenza n. 86 del 2017). 
    La legge n. 580 del 1993 ha configurato la  camera  di  commercio
quale ente pubblico «che  entra  a  pieno  titolo,  formandone  parte
costitutiva,  nel  sistema  dei  poteri  locali  secondo  lo   schema
dell'art.  118  della  Costituzione,  diventando   anche   potenziale
destinatario di deleghe dello Stato e della Regione» (sentenza n. 477
del  2000).  Nondimeno,  l'art.  1,  comma  1,  di  tale  legge  (non
modificato dal  d.lgs.  n.  219  del  2016)  «non  contempla  affatto
l'asserita attribuzione a dette camere della natura di  enti  locali,
ma  sancisce  che  [...]  sono  enti  pubblici  dotati  di  autonomia
funzionale» (sentenza  n.  29  del  2016),  retti  dal  principio  di
sussidiarieta', ai quali sono attribuiti compiti che, se  necessario,
possono essere disciplinati in «maniera omogenea in ambito nazionale»
(sentenza n. 374 del 2007). 
    Le modifiche da ultimo realizzate con il d.lgs. n. 219 del  2016,
benche' pregnanti, non hanno alterato i caratteri fondamentali  delle
camere di commercio. Infatti, come questa Corte ha  sottolineato,  e'
stata «realizzata una razionalizzazione e  riduzione  dei  costi  del
sistema camerale,  confermando,  tra  le  altre:  l'attribuzione  dei
compiti in materia di pubblicita' legale e  di  settore  mediante  la
tenuta del  registro  delle  imprese;  le  funzioni  specificatamente
previste dalla legge in materia di tutela  del  consumatore  e  della
fede pubblica, vigilanza e controllo sulla  sicurezza  e  conformita'
dei  prodotti  e  sugli  strumenti  soggetti  alla  disciplina  della
metrologia legale; le competenze in materia di rilevazione dei prezzi
e delle tariffe, rafforzando la  vigilanza  da  parte  del  Ministero
dello sviluppo economico» (sentenza n. 86 del 2017). Accanto a queste
sono stati mantenuti compiti che incidono  su  competenze  regionali,
tenuto conto della perdurante attribuzione,  tra  le  altre  (in  via
meramente esemplificativa) delle funzioni di  sviluppo  e  promozione
del turismo, di supporto alle imprese, di orientamento al  lavoro  ed
alle professioni nella parte in cui concernono anche dette competenze
(art. 2, comma 2, della legge n. 580 del 1993, nel  testo  sostituito
dall'art. 1, comma 1, lettera b, numero 2,  del  d.lgs.  n.  219  del
2016). 
    3.1.- In considerazione di tale  configurazione  e  tenuto  conto
delle attivita' svolte dalle camere di commercio, in  relazione  alle
stesse non e' evocabile, come eccepito dal resistente, la  competenza
legislativa esclusiva dello Stato  prevista  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera g), Cost. La giurisprudenza costituzionale, benche' ne
abbia negato la natura di enti locali, ha infatti gia' affermato  «la
possibilita' per la  Regione  di  denunciare  la  legge  statale  per
dedotta violazione di competenze degli enti  locali»,  riconoscendone
dunque la legittimazione ad impugnare norme che le riguardano, quando
incidenti su attribuzioni regionali (sentenza n. 29 del 2016). 
    Peraltro, le camere di commercio svolgono compiti che esigono una
disciplina omogenea in ambito nazionale e, come e'  stato  osservato,
non compongono un arcipelago di entita' isolate, ma  costituiscono  i
terminali di un sistema unico di dimensioni nazionali che  giustifica
l'intervento dello Stato. 
    Il catalogo dei compiti da esse espletati (art. 2, comma 2, della
legge n. 580 del 1993, nel testo sostituito  dall'art.  1,  comma  1,
lettera b, numero 2, del d.lgs.  n.  219  del  2016)  rende  tuttavia
palese che gli stessi, come sopra  precisato,  sono  riconducibili  a
competenze sia esclusive dello Stato, sia concorrenti, sia  residuali
delle  Regioni   (negli   ambiti   dell'industria,   del   commercio,
dell'artigianato, dell'agricoltura). In relazione alle norme  che  le
riguardano neppure e' quindi possibile evocare,  in  astratto  ed  in
linea  generale,  la  competenza  esclusiva  dello   Stato   prevista
dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  come  eccepito
dall'Avvocatura  generale.  Inoltre,  queste  funzioni  talora   sono
inestricabilmente intrecciate (soprattutto con  riguardo  ai  profili
strutturali e di funzionamento di detti enti); talaltra  sono  invece
suscettibili di  essere  precisamente  identificate  e  distintamente
considerate, in riferimento ai singoli compiti svolti dalle camere di
commercio. Puo' dunque accadere che le norme  aventi  ad  oggetto  la
disciplina dei  compiti  assegnati  alle  stesse  riguardino  materie
riconducibili alle competenze esclusive  dello  Stato,  ovvero  anche
competenze regionali, secondo quanto sopra precisato. 
    La complessita' del sistema impone, quindi, di affermare  che  la
legittimazione  delle  Regioni  ad  impugnare  norme  concernenti  la
disciplina delle camere di commercio  non  puo'  essere  affermata  o
negata in linea generale, poiche'  e'  condizionata  all'accertamento
che le stesse incidono  su  competenze  regionali  costituzionalmente
garantite  e  non  riguardano  (come  anche  puo'  accadere)  profili
riconducibili soltanto a competenze esclusive dello Stato. 
    4.- E' alla  luce  di  tale  premessa  che  vanno  scrutinate  le
questioni sollevate dalle ricorrenti. 
    5.-  Per  ragioni  di  pregiudizialita'  logico-giuridica  devono
essere esaminate anzitutto le  censure  aventi  ad  oggetto  l'intero
testo del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    5.1.- La Regione Puglia ha impugnato il d.lgs. n. 219  del  2016,
nella sua interezza, per violazione dell'art. 76 Cost., in  relazione
all'art. 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015, deducendo che  non
sarebbe stato rispettato il termine di dodici  mesi  per  l'esercizio
della  delega  (scaduto  il  28  agosto  2016).  A  suo  avviso,  non
sussistevano infatti i presupposti della proroga  di  detto  termine,
prevista dal citato art. 10, comma 2, in  virtu'  del  quale  sarebbe
stato necessario che il termine per la  formulazione  dei  prescritti
pareri  cadesse  «nei  trenta  giorni  che  precedono   la   scadenza
"ordinaria" della delega». 
    Non rileverebbe l'approvazione dello schema di  decreto  delegato
da parte del Consiglio dei ministri il 25 agosto 2016 e  neanche  che
la nota con cui e' stato richiesto il parere del Consiglio  di  Stato
e'  del  26  agosto  2016  (circostanza,  a  suo   avviso,   comunque
irrilevante,  poiche'  la  richiesta  e'  pervenuta  allo  stesso  il
successivo 29 agosto). Il citato art. 10, comma 2, nella parte in cui
stabilisce che la proroga poteva operare «non solo se il termine  per
il parere cade nei 30  giorni  precedenti  la  scadenza  del  termine
ordinario di delega, ma  anche  se  cade  successivamente»,  andrebbe
interpretato, a suo avviso, «nel senso che  il  dies  a  quo  da  cui
contare la scadenza deve rientrare nel termine di delega  ordinario»,
pena la sostanziale elusione del termine finale. 
    Secondo la Regione Toscana, il d.lgs. n. 219 del 2016  violerebbe
gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in quanto il  Governo  avrebbe
dovuto richiedere prima i pareri  del  Consiglio  di  Stato  e  della
Conferenza  unificata  (da  rendere  nel  termine  di  quarantacinque
giorni) e soltanto dopo  quello  delle  Commissioni  parlamentari.  I
pareri sono stati invece richiesti contestualmente  e  l'inosservanza
dell'iter di consecutivita' stabilito dalla norma di  delega  avrebbe
comportato il mancato rispetto del termine di esercizio della delega. 
    5.2.- Le questioni, da esaminare congiuntamente, perche' svolgono
argomentazioni in parte coincidenti, sono non fondate. 
    5.2.1.- Preliminarmente, va dichiarata inammissibile  la  censura
proposta  dalla  Regione  Toscana   nella   memoria   depositata   in
prossimita'  dell'udienza  pubblica,   diretta   a   denunciare   una
violazione del termine di esercizio  della  delega  conseguente  alla
data di richiesta dei pareri. 
    Indipendentemente   dalla   circostanza    che    tale    censura
sostanzialmente  coincide  con  quella  ritualmente  proposta   dalla
Regione Puglia (percio' scrutinata, di seguito, nel  merito,  ma  con
riguardo alla questione sollevata  da  quest'ultima  ricorrente),  la
stessa introduce infatti un profilo nuovo rispetto  a  quello  svolto
nel ricorso. Per costante  giurisprudenza  costituzionale,  con  tale
atto e' tuttavia possibile soltanto prospettare argomenti a  sostegno
delle questioni cosi' come sollevate nel ricorso, non anche  svolgere
deduzioni dirette, come nella specie, ad ampliare il thema decidendum
fissato con tale ultimo atto (per tutte, sentenza n. 154 del 2017). 
    5.2.2.- Ancora in linea preliminare, va osservato che il  decreto
legislativo  in  esame  ha  ad  oggetto  una   disciplina   omogenea,
concernendo  molteplici  profili  della  struttura  delle  camere  di
commercio  e  delle  attivita'  da  queste  svolte,  cio'  che  rende
ammissibile l'impugnazione dell'intero testo di tale  atto  normativo
(tra le piu' recenti e per tutte, sentenza n. 14 del  2017).  Secondo
questa Corte, le Regioni possono, inoltre, impugnare norme di decreti
delegati anche per violazione degli  artt.  76  e  77,  primo  comma,
Cost., sempre che la stessa ridondi sulle attribuzioni regionali  (ex
plurimis, sentenze n. 219 del 2013, n. 80 del 2012, n. 33 del 2011). 
    Nondimeno, tenuto conto delle considerazioni  dianzi  svolte,  la
legittimazione all'impugnazione e la  valutazione  della  ridondanza,
quando il decreto delegato incida su molteplici competenze attribuite
sia allo Stato sia alle Regioni e nel caso in cui il vizio denunciato
risulti sussistente, vanno poi verificate con riguardo  alle  singole
norme dello stesso, allo scopo di stabilire  se  e  quali  di  queste
ledano  attribuzioni  regionali.  A  tale  accertamento  non  occorre
evidentemente  procedere  se  sia  esclusa  l'esistenza  del   vizio,
circostanza ricorrente nel caso  in  esame,  per  quanto  di  seguito
precisato. 
    5.2.3.- Posta tale premessa, va osservato che l'art. 10, comma 1,
della legge n. 124 del 2015 stabiliva: «Il  Governo  e'  delegato  ad
adottare, entro dodici mesi dalla data di  entrata  in  vigore  della
presente legge [...]» (pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale  del  13
agosto 2015, n. 187); il termine di esercizio  della  delega  scadeva
dunque il 28 agosto 2016. 
    Il citato art. 10, al comma 2, disponeva inoltre che  il  decreto
legislativo avrebbe dovuto essere adottato «su proposta del  Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delegato per la
semplificazione e la  pubblica  amministrazione  e  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del  parere  della
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di  Stato,  che  sono
resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di  trasmissione
dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo puo'
comunque   procedere.   Lo   schema   di   decreto   legislativo   e'
successivamente trasmesso alle Camere per  l'espressione  dei  pareri
delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili
finanziari, che si pronunciano nel termine di sessanta  giorni  dalla
data di trasmissione, decorso il quale il  decreto  legislativo  puo'
essere comunque adottato. Se il termine previsto per il  parere  cade
nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine  previsto  al
comma 1 o successivamente,  la  scadenza  medesima  e'  prorogata  di
novanta giorni. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri
parlamentari, trasmette nuovamente il testo alle Camere  con  le  sue
osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate  dei  necessari
elementi integrativi di informazione e  motivazione.  Le  Commissioni
competenti per materia  possono  esprimersi  sulle  osservazioni  del
Governo entro il termine di  dieci  giorni  dalla  data  della  nuova
trasmissione. Decorso tale termine, il decreto puo'  comunque  essere
adottato». 
    La norma, nonostante una formulazione ed una struttura  lessicale
oggettivamente complessa, e' comunque chiara nello stabilire che:  il
termine di esercizio della delega scadeva il  28  agosto  2016;  tale
termine era tuttavia prorogato di novanta giorni,  nel  caso  in  cui
quello entro il quale  avrebbero  dovuto  essere  resi  i  prescritti
pareri fosse scaduto nei trenta giorni precedenti o successivi al  28
agosto 2016. 
    La sola precisa ed espressa condizione affinche' potesse  operare
la proroga era, dunque, che la richiesta dei pareri  pervenisse  alle
Commissioni parlamentari anteriormente alla scadenza del  termine  di
esercizio della delega, poiche' cio' era sufficiente a comportare  la
scadenza di quello fissato per la formulazione  dei  pareri  in  data
successiva al termine  finale  e,  quindi,  a  rendere  operativa  la
proroga. 
    Tanto risulta accaduto. Lo schema di decreto  delegato  e'  stato
infatti approvato dal Consiglio dei ministri il 25 agosto 2016 ed  e'
stato trasmesso alla Presidenza del Senato ed alla  Presidenza  della
Camera il 26 agosto 2016, come in  tal  senso  attestato  dagli  atti
parlamentari  (aventi  valore  fidefaciente)   e,   in   particolare,
precisamente indicato nei frontespizi degli  atti  del  Senato  della
Repubblica e della Camera dei deputati,  relativi  appunto  all'«Atto
del Governo sottoposto a parere parlamentare» n. 327  (nei  quali  e'
espressamente dato atto dell'avvenuta trasmissione dello stesso  alle
Presidenze delle due Camere «il 26 agosto 2016»). 
    Relativamente all'ordine nella formulazione della  richiesta  dei
pareri,  e'  corretta  la   considerazione   svolta   dall'Avvocatura
generale, secondo cui  l'avverbio  «successivamente»,  contenuto  nel
citato art. 10, comma 2, scandiva un ordine procedimentale, in virtu'
del quale non occorreva richiedere prima i  pareri  della  Conferenza
unificata e  del  Consiglio  di  Stato  e  soltanto  all'esito  della
formulazione  dei  medesimi  richiedere  quelli   delle   Commissioni
parlamentari. 
    L'adempimento procedurale imprescindibile era infatti che  queste
ultime rendessero parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi
dagli altri due organi dianzi indicati.  Condizioni  perche'  potesse
operare la proroga erano  soltanto  quelle  costituite:  dall'inoltro
della  richiesta  di  parere  alle  Commissioni  parlamentari;  dalla
circostanza che,  in  considerazione  della  data  della  stessa,  il
termine del parere sarebbe scaduto entro quello indicato dalla  norma
di  delega;  dall'essere  stato  avviato  il  procedimento  anche  in
relazione a Conferenza unificata e Consiglio di  Stato,  in  modo  da
permettere a questi ultimi di  rendere  il  parere  e  di  garantirne
l'acquisizione da parte delle Commissioni parlamentari entro un tempo
in grado di assicurare l'esaurimento del procedimento. 
    Tanto e' appunto accaduto, dato che:  il  29  settembre  2016  la
Conferenza unificata  ha  espresso  parere  favorevole  (condizionato
all'accoglimento di tre proposte di emendamento); il 20 ottobre  2016
il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi,  ha
espresso il  proprio  parere  favorevole  (con  osservazioni);  il  3
novembre 2016 le Commissioni 10ª del  Senato  della  Repubblica  e  X
della Camera dei deputati hanno espresso, entrambe, pareri favorevoli
(con condizioni ed osservazioni). 
    Peraltro, va osservato  che  da  tali  due  ultimi  pareri  (pure
recanti  rilievi  ed  osservazioni)  non  emergono  dubbi  in  ordine
all'operativita' della proroga, questione della quale neppure  vi  e'
traccia nei pareri della Conferenza  unificata  e  del  Consiglio  di
Stato, Sezione consultiva per  gli  atti  normativi,  benche'  questi
ultimi due organi abbiano ricevuto la richiesta  di  parere  in  data
successiva   al   28   agosto   2016.   Non   rileva,   infatti,   la
puntualizzazione contenuta  nella  premessa  del  parere  reso  dalla
Conferenza unificata sulla  «urgenza  a  provvedere  manifestata  dal
Governo (considerato che  formalmente  la  delega  e'  scaduta)».  La
stessa e' infatti riferibile, all'evidenza, all'esigenza di celerita'
conseguente al fatto che il parere avrebbe dovuto essere  reso  nella
fase  di  proroga  del  termine,  senza  che  risulti  poi  posta  in
discussione l'esattezza del convincimento in ordine  all'operativita'
di quest'ultima. 
    Nei richiamati pareri in data 3 novembre 2016  delle  Commissioni
10ª del Senato della Repubblica e X della  Camera  dei  deputati  e',
inoltre, dato atto che gli stessi sono stati formulati  avendo  avuto
contezza dei  pareri  degli  altri  due  organi  dianzi  indicati,  a
conferma dell'osservanza dell'iter stabilito dalla norma di delega  e
della circostanza che e' stata garantita  l'interlocuzione  di  tutti
gli organi, nell'osservanza delle precedenze stabilite dalla  stessa,
assicurando alle Commissioni parlamentari la  conoscenza  dei  pareri
preliminari rispetto a quello che esse dovevano formulare. 
    Il  procedimento  di  adozione  del  decreto  delegato   e'   poi
ulteriormente proseguito, nell'osservanza dell'art. 10 della legge n.
124 del 2015, con la sottoposizione alle Commissioni 10ª del Senato e
X della Camera del testo dello schema modificato  dal  Governo  e  da
questi trasmesso (in data 11 novembre 2016 alla Presidenza del Senato
ed alla Presidenza della Camera giusta  l'attestazione  recata  dagli
atti parlamentari) e con la formulazione di parere da parte di  dette
Commissioni nelle date, rispettivamente, del 22  e  del  17  novembre
2016. 
    Il  procedimento  si  e'   dunque   svolto   garantendo   appieno
l'interlocuzione  sullo  schema  di  decreto  delegato  degli  organi
chiamati a rendere il parere, con modalita' che hanno consentito alle
Commissioni parlamentari di  avere  conoscenza  di  quelli  formulati
dalla Conferenza unificata e  dal  Consiglio  di  Stato,  costituendo
questa la condizione ineludibile della legittimita' dello stesso. 
    L'interpretazione in tal senso accolta neanche poteva comportare,
come sostenuto dalla Regione  Puglia,  che  «la  delega  non  avrebbe
[avuto] scadenza». Se condizione della proroga era che  la  richiesta
di parere doveva pervenire alle Camere prima del 28 agosto 2016 (come
appunto avvenuto), una volta che cio'  fosse  accaduto,  era  agevole
computare  ed  identificare  il   termine   finale,   perentorio   ed
improrogabile, senza che fosse ipotizzabile una sorta di  anomala  ed
impropria sanatoria. 
    6.- La Regione Toscana ha altresi' impugnato l'intero  testo  del
d.lgs. n. 219 del 2016, in riferimento agli  artt.  76  e  77,  primo
comma, Cost. ed al principio di leale collaborazione. A  suo  avviso,
l'attivita' delle camere di commercio incide  su  materie  attribuite
alla competenza regionale e, quindi, anche in  virtu'  del  principio
enunciato dalla sentenza n. 251 del 2016, il decreto delegato avrebbe
dovuto  «essere   approvato   previa   intesa   con   la   Conferenza
Stato-Regioni» e non, come accaduto, previo parere  della  Conferenza
unificata. 
    Censura sostanzialmente identica e' stata proposta dalla  Regione
Liguria, che tuttavia, con argomentazioni sostanzialmente omologhe  a
quelle svolte dalla Regione Toscana (sopra riportate) e  trascrivendo
ampi brani della sentenza n. 251 del 2016, ha denunciato soltanto  la
violazione del principio di leale collaborazione. 
    6.1.- La Regione Lombardia ha promosso questione di  legittimita'
costituzionale in larga misura omologa,  laddove  ha  dedotto  (nella
parte iniziale del punto I.1. del ricorso) che il d.lgs. n.  219  del
2016 violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma,  Cost.,  nonche'
il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.,
poiche' «e' stato adottato all'esito di  un  procedimento  nel  quale
l'interlocuzione fra Stato e Regioni [...]  si  e'  realizzata  nella
forma (inadeguata) del mero parere e non gia' attraverso l'intesa». 
    Inoltre, a suo avviso (secondo quanto sostenuto nel punto II  del
ricorso), il d.lgs. n. 219 del 2016 violerebbe l'art.  10,  comma  2,
della legge  n.  124  del  2015,  nella  parte  in  cui  detta  norma
stabilisce che il  decreto  delegato  doveva  essere  emanato  previo
parere, anziche' previa intesa, in virtu' del testo cosi'  risultante
dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale di  quest'ultima
norma, per violazione dell'art. 76 Cost., in combinato  disposto  con
gli artt. 5, 117, commi terzo e quarto, e 120 Cost., che questa Corte
dovrebbe pronunciare a seguito dell'autorimessione dinanzi a  se'  di
detta questione, che la ricorrente ha sollecitato. 
    6.2.- Le questioni, scrutinabili congiuntamente  nella  parte  in
cui denunciano la violazione del principio di  leale  collaborazione,
perche' sollevate in  base  a  ragioni  ed  in  relazione  a  profili
sostanzialmente coincidenti, sono non fondate. 
    6.2.1.- In linea preliminare,  la  censura  con  cui  la  Regione
Toscana, nella memoria illustrativa, sostiene  che  il  principio  di
leale collaborazione sarebbe stato leso anche perche' «il Governo  ha
ignorato le tre proposte di emendamento che le Regioni avevano  posto
come  condizionanti  il  parere  favorevole  sul  testo  del  decreto
legislativo»  deve  essere   dichiarata   inammissibile.   Con   tale
prospettazione la ricorrente, in contrasto  con  il  principio  sopra
richiamato nel precedente punto  5.2.1.,  ha  infatti  introdotto  un
profilo nuovo ed ulteriore rispetto a quello svolto  nel  ricorso  e,
appunto per questo, inammissibile. 
    6.2.2.- Ancora in linea  preliminare,  devono  essere  dichiarate
inammissibili  le  censure  sollevate  dalla  Regione  Lombardia   in
riferimento all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in quanto tale
parametro  costituzionale  non  risulta   indicato   nella   delibera
autorizzativa  alla  proposizione  del  ricorso.   Nei   giudizi   di
legittimita'  costituzionale   in   via   principale   deve   infatti
sussistere,  a  pena  d'inammissibilita',  una  piena  e   necessaria
corrispondenza tra la deliberazione con cui l'organo  legittimato  si
determina all'impugnazione ed il contenuto  del  ricorso,  quanto  ad
oggetto, profili e parametri (tra le molte, sentenze n. 170 e 154 del
2017), attesa la natura politica dell'atto di  impugnazione  (tra  le
tante, sentenza n. 154 del 2017). 
    6.2.3.-  La  questione  sollevata  dalla  Regione   Toscana,   in
riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., non  e'  fondata,
tenuto conto che l'art. 10, comma 2, della  legge  n.  124  del  2015
stabiliva che il Governo avrebbe dovuto emanare il  decreto  delegato
«previa acquisizione del parere della  Conferenza  unificata  di  cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281»,  come
appunto e' accaduto. 
    Tale norma e' stata dunque osservata, con conseguente inesistenza
dell'ipotizzata violazione della legge delega. L'univoca formulazione
di detta disposizione rende  inoltre  impossibile  un'interpretazione
diversa da  quella  resa  chiara  dalla  lettera  della  stessa,  che
imponeva appunto l'acquisizione del parere della Conferenza unificata
e non dell'intesa della Conferenza Stato-Regioni. 
    6.2.4.-  Le  questioni,  nella  parte  in  cui  prospettano   una
violazione del principio di leale collaborazione, in quanto il d.lgs.
n. 219 del 2016 e' stato adottato,  nell'osservanza  della  norma  di
delega, previo parere  della  Conferenza  unificata  anziche'  previa
intesa  in  Conferenza  Stato-Regioni,  necessaria  ad  avviso  dalle
ricorrenti, e' connotata, in parte, da profili di novita'. 
    Deve  essere  anzitutto  escluso  che  costituiscano   precedenti
congruenti rispetto ad essa le pronunce  con  cui  la  giurisprudenza
costituzionale ha ritenuto ammissibile l'impugnazione  di  norme  del
decreto delegato,  in  riferimento  all'art.  76  Cost.,  qualora  la
violazione  dei  principi   e   criteri   direttivi   determini   una
compressione delle competenze regionali (tra le  altre,  sentenze  n.
219 del 2013, n. 178 del 2012, n. 33 del 2011). Nel caso in esame non
e' stata, infatti, denunciata una tale violazione, perche' questa, al
contrario,   e'   stata   ravvisata    dalle    ricorrenti    proprio
nell'osservanza di detti principi e criteri direttivi, quali  fissati
dall'art. 10 della legge n. 124 del 2015. 
    I  principi  che  consentono  di  dare  corretta  soluzione  alla
questione sono  desumibili  della  sentenza  n.  251  del  2016,  che
tuttavia non conducono all'esito sostenuto dalle ricorrenti. 
    Questa  sentenza  ha,  infatti,   affermato   che,   qualora   il
legislatore delegante conferisca al Governo  il  compito  di  emanare
disposizioni che incidano su ambiti  caratterizzati  da  uno  stretto
intreccio di materie e competenze statali e regionali, tale  da  fare
ravvisare  nell'intesa   la   soluzione   che   meglio   incarna   la
collaborazione, l'intesa «si impone [...] quale cardine  della  leale
collaborazione anche quando l'attuazione delle  disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa a  decreti  legislativi  delegati,
adottati dal Governo sulla base  dell'art.  76  Cost.  Tali  decreti,
sottoposti a limiti temporali e qualitativi, condizionati quanto alla
validita'  a  tutte  le  indicazioni   contenute   non   solo   nella
Costituzione, ma anche, per volonta' di quest'ultima, nella legge  di
delegazione,  finiscono,  infatti,  con   l'essere   attratti   nelle
procedure di leale collaborazione, in vista del  pieno  rispetto  del
riparto costituzionale delle competenze» (sentenza n. 251 del 2016). 
    Questa Corte ha dunque ritenuto ammissibile l'impugnazione  della
norma di delega, allo scopo di censurare le modalita'  di  attuazione
della leale collaborazione  dalla  stessa  prevista  ed  al  fine  di
ottenere che il decreto delegato sia emanato previa  intesa  anziche'
previo parere in sede di Conferenza. 
    La affermata immediata impugnabilita' della norma di delega,  per
violazione del principio di leale collaborazione, rende palese, da un
canto, che la lesione costituisce effetto diretto ed immediato di  un
vizio della stessa, non del  decreto  delegato  che  ad  essa  dovra'
prestare (ovvero che ha prestato) la dovuta osservanza;  proprio  per
questo  la  norma  di  delega,  in  parte  qua,  e'  stata   ritenuta
impugnabile  prima  ancora  dell'adozione   del   decreto   delegato.
Dall'altro, dimostra che l'eventuale vizio del  decreto  delegato  e'
meramente riflesso e, quindi, la censura di violazione del  principio
di leale collaborazione, conseguente all'osservanza  della  norma  di
delega, denuncia in realta' un vizio  che  concerne  direttamente  ed
immediatamente la norma di delega. 
    Pertanto, sulla scorta dei principi enunciati nella  sentenza  n.
251 del 2016, va affermato che, quando la legge delega  e'  connotata
da un tasso di specificita' e  concretezza  tale  da  comportare  una
lesione dell'interesse della Regione, poiche' essa ha ad  oggetto  la
futura regolamentazione (con il decreto delegato) di ambiti complessi
e caratterizzati da un intreccio di competenze  statali  e  regionali
(come nel caso in esame, per quanto sopra precisato), la Regione puo'
e deve farlo valere mediante l'impugnazione della  norma  di  delega,
ritenuta appunto ammissibile da detta pronuncia. 
    Una diversa soluzione condurrebbe ad una  palese,  inammissibile,
elusione  del  termine  perentorio  di  sessanta   giorni   stabilito
dall'art. 127, secondo comma, Cost. (nel testo sostituito dall'art. 8
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante  «Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione»). 
    In contrario, non giova richiamare, come opinano  le  ricorrenti,
il pure pacifico principio secondo cui  e'  inapplicabile  l'istituto
dell'acquiescenza nel giudizio di legittimita' costituzionale in  via
principale (tra le altre, sentenze n. 182 e n.  169  del  2017).  Nel
caso in esame non si e', infatti, al cospetto di una reiterazione del
contenuto di una precedente disposizione, ovvero della  novazione  di
una fonte precedente, bensi' della mera  applicazione  di  una  norma
vigente che il  legislatore  delegato,  come  e'  necessario,  si  e'
limitato ad osservare e che neppure avrebbe  potuto  disattendere,  a
meno di incorrere proprio per questo in un vizio denunciabile ex art.
76 Cost. 
    Precisi argomenti a  conforto  della  conclusione  qui  affermata
sono, infine, desumibili dalla giurisprudenza costituzionale, secondo
la quale, quando il vizio della norma  del  decreto  delegato  deriva
dall'osservanza   della   norma   di   delega,   resta   esclusa   la
censurabilita' della stessa e neanche «puo' accogliersi la  richiesta
subordinata della ricorrente, di sollevare questione di  legittimita'
costituzionale [...] della legge  di  delega,  per  violazione  degli
indicati [...] parametri costituzionali, poiche' si farebbe luogo  in
tal modo ad una inammissibile elusione  del  termine  assegnato  alle
regioni dall'art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1948  per  la
impugnazione delle leggi statali» (sentenza n. 206 del 2001; in senso
sostanzialmente analogo e' la sentenza n. 46 del 2013  che  parimenti
ha affermato che la Corte non era «tenuta ad esaminare» una richiesta
di autorimessione della questione di legittimita'  costituzionale  di
una norma diversa da quella impugnata e per un vizio  che,  in  tesi,
poteva rilevare nello scrutinio  della  diversa  norma,  che  avrebbe
dovuto essere tempestivamente impugnata). 
    6.2.4.1.- Per tali ultime argomentazioni questa Corte ritiene  di
non dovere prendere in  considerazione  l'istanza  di  autorimessione
proposta dalla Regione Lombardia, sopra sintetizzata. 
    7.- La Regione Lombardia ha altresi' impugnato l'intero testo del
d.lgs. n. 219 del  2016,  per  violazione  del  «principio  di  leale
collaborazione, in combinato disposto con gli artt. 117», commi terzo
e quarto, Cost (cosi' nella  parte  conclusiva  del  punto  I.1.  del
ricorso, nonche' in quella  centrale  dello  stesso),  in  quanto  il
Governo non avrebbe recepito le proposte  di  modifica  formulate  ai
numeri 4, 12 e  15  del  parere  reso  il  29  settembre  2016  dalla
Conferenza unificata. 
    In ogni caso, a suo avviso, detto vizio, conseguente  appunto  al
mancato recepimento di dette proposte, inficerebbe almeno  gli  artt.
1, comma 1, lettera b), numero 2, punto g), e lettera r), numero  1),
punto i), e 3, comma 10, del d.lgs. n.  219  del  2016  (cosi'  nella
parte conclusiva del punto I.1. del ricorso). 
    7.1.- Le questioni sono inammissibili. 
    Le questioni, nei suindicati termini e con riguardo alla  ragione
del denunciato  vizio,  consistente  nel  mancato  recepimento  delle
proposte di modifica numeri 4, 12 e  15  formulate  nel  parere  reso
dalla Conferenza unificata,  non  risultano  infatti  prospettate  ed
identificate nella delibera della Giunta regionale di  autorizzazione
alla proposizione del  ricorso  e,  in  virtu'  del  principio  sopra
richiamato in ordine alla necessaria corrispondenza tra  la  delibera
ed il contenuto del ricorso, sono quindi inammissibili. 
    8.- La Regione Lombardia ha impugnato gli artt. 1, 2, 3 e  4  del
d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione degli artt. 76, 117,  terzo  e
quarto comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di
cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    8.1.- La questione e' inammissibile. 
    Preliminarmente e' necessario  osservare  che  la  questione,  in
detti precisi  termini,  e'  stata  proposta  nelle  conclusioni  del
ricorso (al punto i,  sub  b)  e  non  coincide  appieno  con  quella
promossa nel corso dello stesso (nella parte iniziale del punto I.1.,
sopra sintetizzata nel paragrafo 6.1), quanto  alle  norme  impugnate
(nel punto delle conclusioni qui in esame indicate nei soli artt.  1,
2, 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016) ed ai  parametri  costituzionali
(soltanto nelle conclusioni al punto i, sub b,  e'  infatti  indicato
l'art.  76  Cost.),  benche'   risulti   altrimenti   sostanzialmente
coincidente con quella dianzi scrutinata (sintetizzata nel  paragrafo
6.1.), quanto alla  denunciata  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Precisato dunque che la  questione  sollevata  e'  differente  ed
ulteriore rispetto a  quella  sintetizzata  nel  paragrafo  6.1.,  la
stessa e' inammissibile per due concorrenti ragioni. 
    In primo luogo, perche' della stessa, in detti precisi termini  e
con specifico riguardo agli artt. 1, 2, 3 e 4 del d.lgs. n.  219  del
2016, non  vi  e'  traccia  nella  delibera  di  autorizzazione  alla
proposizione del ricorso,  in  violazione  del  richiamato  principio
della corrispondenza tra tali atti. 
    In secondo luogo, perche' la stessa, in quanto sollevata soltanto
nelle conclusioni del ricorso, e' evidentemente carente del  supporto
argomentativo minimo che deve connotare il ricorso in via  principale
(per tutte, sentenza n. 197 del 2017). 
    9.- Procedendo  ulteriormente  nello  scrutinio  delle  questioni
aventi ad oggetto singole norme  del  d.lgs.  n.  219  del  2016,  va
osservato che la Regione Puglia  ha  impugnato  l'art.  1,  comma  1,
lettera a), numero 1, e l'art. 3  (recte,  art.  3,  comma  1,  primo
periodo) del d.lgs. n. 219 del 2016, nella parte in  cui  gli  stessi
«prevedono la riduzione del numero delle Camere di commercio da 105 a
non piu' di 60». A suo  avviso,  le  camere  di  commercio  sarebbero
riconducibili  alle  cosiddette   autonomie   funzionali,   garantite
dall'art.  5  Cost.,  e  costituirebbero   espressione   del   libero
associazionismo imprenditoriale, tutelato  dall'art.  18  Cost.  Tali
parametri  sarebbero  lesi  dalla  non  ragionevole  (in   violazione
dell'art. 3 Cost.) riduzione del numero delle  camere  di  commercio,
disposta «per conseguire un presunto risparmio di spesa» rispetto  ad
un sistema virtuoso, tenuto peraltro  conto  che  le  stesse  neppure
gravano sul bilancio dello Stato. 
    9.1.- La questione e' inammissibile. 
    Il censurato art. 1, comma 1, lettera a), numero 1, ha sostituito
il comma 3 dell'art. 1 della legge n. 580 del 1993, con il  seguente:
«3. Le Camere di commercio operano nelle circoscrizioni  territoriali
esistenti, come ridefinite in attuazione dell'articolo 10,  comma  1,
lettera b), della legge n. 124 del 2015 ed ai sensi del comma  5  del
presente articolo, con la presenza di almeno una camera di  commercio
in ciascuna regione. Ai fini dell'individuazione della  soglia  delle
75.000 imprese e unita' locali  e'  considerato  il  relativo  numero
risultante dall'ultima pubblicazione effettuata dal  Ministero  dello
sviluppo economico ai sensi dell'articolo 3 del decreto del  Ministro
dello sviluppo economico 4 agosto 2011, n. 155». 
    La norma  reca  criteri  di  ridefinizione  delle  circoscrizioni
territoriali delle  camere  di  commercio,  non  concerne  il  numero
complessivo delle stesse e, dunque, in  nessun  punto  ha  costituito
oggetto  di  specifica  considerazione  e  critica,  con  conseguente
inammissibilita' della questione avente ad oggetto la stessa. 
    La censura si appunta esclusivamente sull'art. 3  del  d.lgs.  n.
219 del 2016, che si compone di undici commi,  i  quali  disciplinano
molteplici profili del procedimento di  riduzione  del  numero  delle
camere di commercio e,  in  dettaglio,  stabiliscono:  i  criteri  da
osservare nell'accorpamento delle stesse (comma 1, lettere  da  a  ad
f);  il  procedimento  di   rideterminazione   delle   circoscrizioni
territoriali e di  accorpamento  (commi  2-4);  la  destinazione  del
personale in soprannumero (commi 5-11). 
    La questione ha quindi ad oggetto esclusivamente il primo periodo
del comma 1  del  citato  art.  3,  nella  parte  in  cui  stabilisce
l'obiettivo di «ricondurre il  numero  complessivo  delle  camere  di
commercio entro il limite di 60». 
    Delimitata  in  detti  termini  la  questione,  va  ribadito   il
principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo  cui  non
basta che il ricorso in via  principale  identifichi  esattamente  la
questione  nei   suoi   termini   normativi,   indicando   le   norme
costituzionali e  ordinarie,  la  definizione  del  cui  rapporto  di
compatibilita'  o  incompatibilita'   costituisce   l'oggetto   della
questione di costituzionalita'. Occorre  infatti  che  esso  sviluppi
un'argomentazione a sostegno dell'impugnazione, necessaria in termini
ancora piu' stringenti che nei giudizi  incidentali  (tra  le  molte,
sentenze n. 197, n. 192, n. 170, n. 169 e n. 81 del 2017). 
    Secondo la giurisprudenza  costituzionale,  le  Regioni  possono,
inoltre, impugnare le  disposizioni  di  una  legge  statale  facendo
valere  esclusivamente  i  profili   attinenti   al   riparto   delle
competenze.  Esse  possono  denunciare  la  violazione  di  parametri
diversi da quelli che sovrintendono a detto riparto soltanto  qualora
la stessa sia potenzialmente idonea a determinare una  lesione  delle
attribuzioni  costituzionali  delle  Regioni,  sempre  che   motivino
sufficientemente in ordine ai profili di possibile  ridondanza  della
violazione sul  riparto  di  competenze  ed  indichino  la  specifica
competenza regionale  che  si  assume  lesa  (tra  le  piu'  recenti,
sentenza n. 169 del 2017). 
    Dando applicazione e continuita' a detti principi,  la  questione
e'  inammissibile,  in   quanto   consiste   e   si   risolve   nella
prospettazione dell'incongruita' della  riduzione  del  numero  delle
camere di commercio, formulata  in  modo  sostanzialmente  assertivo.
Tale  conclusione  ancora  piu'  si  impone,  in  quanto  neppure  e'
approfondito e  considerato  il  dettagliato  procedimento  stabilito
proprio  a  salvaguardia  delle   specificita'   geo-economiche   dei
territori. Inoltre, e' stata denunciata la  violazione  di  parametri
costituzionali che non sovrintendono al  riparto  delle  attribuzioni
tra Stato e Regioni, senza adeguatamente argomentare in  ordine  alla
ridondanza della violazione sulle competenze regionali, con specifico
riferimento alla norma in esame. 
    10.- L'art. 1, comma 1, lettera a), numero 3, del d.lgs.  n.  219
del 2016, ha sostituito il comma 5 dell'art. 1 della legge n. 580 del
1993 con il seguente:  «5.  I  consigli  di  due  o  piu'  camere  di
commercio possono proporre, con delibera adottata a  maggioranza  dei
due   terzi   dei   componenti,   l'accorpamento   delle   rispettive
circoscrizioni  territoriali  o  le  modifiche  delle  circoscrizioni
stesse. Con decreto del Ministro  dello  sviluppo  economico,  previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,  e'  istituita
la   camera   di   commercio   derivante   dall'accorpamento    delle
circoscrizioni territoriali. Con la medesima procedura sono approvate
le eventuali modifiche delle circoscrizioni territoriali delle camere
di commercio esistenti fermo restando il numero massimo di  60  e  la
necessita'  di  mantenere  l'equilibrio  economico  finanziario   per
ciascuna delle camere interessate». 
    Secondo la Regione Liguria, detta norma violerebbe gli artt. 76 e
77, comma primo, Cost., in quanto l'art. 10 (recte, art. 10, comma 1,
lettera b) della legge n. 124 del 2015 prevederebbe tra i principi  e
criteri  direttivi  per   la   ridefinizione   delle   circoscrizioni
territoriali delle camere di commercio solo "l'accorpamento" di due o
piu' camere di commercio esistenti. La norma  impugnata,  aggiungendo
«a  tale  modalita'  di  ridefinizione  anche  la  "modifica"   delle
circoscrizioni territoriali», lascerebbe «aperta la  possibilita'  di
determinare 'innovativamente'  i  nuovi  confini  degli  enti,  ossia
consentendo  di  prescindere  in  modo  anche   significativo   dagli
esistenti perimetri amministrativi». 
    10.1.- La questione e' inammissibile. 
    La censura, risolvendosi nella deduzione  dianzi  trascritta,  e'
all'evidenza generica e non corredata da  specifiche  argomentazioni.
L'imprescindibilita' di  un'adeguata  motivazione  della  censura  si
imponeva ancora piu', tenuto conto del criterio  direttivo  contenuto
nell'art. 10, comma 1, lettera b),  della  legge  n.  124  del  2015,
suscettibile di essere interpretato,  secondo  gli  ordinari  criteri
ermeneutici,  nel  senso  fatto  proprio  dal  legislatore  delegato,
nonche' della previsione, nella norma in esame, di un procedimento di
modifica delle circoscrizioni territoriali che  si  conclude  con  un
decreto del Ministro dello sviluppo  economico,  da  emanare  «previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo  Stato  le
regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano»,  che
garantisce l'attivo coinvolgimento delle Regioni. 
    11.- Per ragioni  d'ordine  logico,  e'  opportuno  esaminare  la
questione avente ad oggetto l'art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219  del
2016, in quanto anche detta disposizione concerne la disciplina delle
circoscrizioni territoriali delle camere di commercio. 
    Tale norma stabilisce: «Il  Ministro  dello  sviluppo  economico,
entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 1,  con
proprio decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti  tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano,
provvede, tenendo conto della  proposta  di  cui  al  comma  1,  alla
rideterminazione delle circoscrizioni  territoriali,  all'istituzione
delle nuove camere  di  commercio,  alla  soppressione  delle  camere
interessate dal processo di accorpamento e razionalizzazione ed  alle
altre determinazioni conseguenti ai piani di cui ai commi 2 e  3.  Il
provvedimento di cui al presente comma e' adottato anche  in  assenza
della proposta di cui al comma 1, ove sia  trascorso  inutilmente  il
termine ivi previsto,  applicando  a  tal  fine  i  medesimi  criteri
previsti nei commi 1, 2, 3». 
    11.1.- Tale disposizione e' stata impugnata dalla Regione Puglia,
per violazione dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 10, comma 1,
lettera a) (recte, art. 10, comma 1, lettera b), della legge  n.  124
del  2015.  A  suo  avviso,  quest'ultima  norma  disponeva  che   la
«ridefinizione  delle  circoscrizioni  territoriali»  avrebbe  dovuto
essere realizzata dal decreto legislativo e non  avrebbe  autorizzato
il Governo a stabilire «criteri di ridefinizione»,  rinviando  ad  un
successivo atto governativo l'attuazione della stessa. A suo  avviso,
detto rinvio realizzerebbe una violazione del  termine  di  esercizio
della delega e dimostrerebbe che il Governo non e' stato in grado  di
osservarlo, sottraendo altresi' tale profilo (di pregnante  interesse
per le Regioni) al sindacato di questa Corte. 
    11.1.1.- La questione non e' fondata. 
    Preliminarmente, e' opportuno osservare che detta censura non  e'
assorbita dalla declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  del
censurato art. 3, comma 4,  di  seguito  pronunciata  (nel  paragrafo
12.1.1.). Con la stessa la Regione Puglia mira infatti ad ottenere la
caducazione della norma in toto, per una ragione preliminare, che  in
tesi potrebbe assorbire l'ulteriore questione avente  ad  oggetto  la
norma in esame. 
    La censura e', altresi', ammissibile  poiche'  la  ricorrente  ha
prospettato la lesione di competenze ad essa spettanti,  argomentando
sufficientemente anche in ordine alla ridondanza dell'asserito vizio. 
    L'obiettivo assegnato al legislatore delegato, di procedere  alla
«ridefinizione» delle circoscrizioni territoriali, tenuto  conto  del
significato del sostantivo e della finalita'  posta  dalla  norma  di
delega - che rendeva ineludibile una ricognizione  ed  un'istruttoria
non compatibile, di regola, con tempi e modi  di  un  atto  normativo
(sia pure consistente in un decreto delegato) - consente, infatti, di
interpretare quest'ultima, ritenendo che  con  essa  il  Governo  sia
stato autorizzato anche  a  disciplinare  un  apposito  procedimento,
volto alla rideterminazione delle circoscrizioni  territoriali  delle
camere di commercio. 
    D'altronde, la legge delega, in parte qua, non vietava affatto al
legislatore delegato di devolvere  a  fonti  secondarie  lo  sviluppo
delle norme primarie ivi contenute, secondo una modalita' in  passato
gia' prevista e giudicata ammissibile da questa Corte (sentenza n. 33
del 2011). 
    12.- L'art. 3, comma 4, del d.lgs. n.  219  del  2016  e'  stato,
inoltre,  impugnato  -  in  riferimento   al   principio   di   leale
collaborazione dalle Regioni Puglia, Toscana,  Liguria  e  Lombardia,
nonche', da queste ultime tre ricorrenti, anche in relazione all'art.
117, commi terzo e quarto, Cost. - nella parte in cui stabilisce  che
il decreto del Ministro dello sviluppo economico  previsto  da  detta
norma deve essere emanato «sentita la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano». 
    Le ricorrenti, con argomentazioni in  larga  misura  coincidenti,
sostengono che la norma inciderebbe su un ambito materiale in cui  si
intrecciano competenze legislative statali e regionali. La previsione
dell'adozione del richiamato decreto previo parere  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, anziche' previa intesa, si  porrebbe
in contrasto con i principi enunciati nella sentenza n. 251 del  2016
e violerebbe il principio di leale collaborazione. 
    12.1.-   Le   censure   sono   anzitutto   ammissibili,   poiche'
sufficientemente  motivate  e,  quanto  al  ricorso   della   Regione
Lombardia, lo  sono  limitatamente  alla  denunciata  violazione  del
principio di leale collaborazione. Nella delibera  di  autorizzazione
alla  proposizione  del  ricorso  non  c'e'   infatti   traccia   del
riferimento all'art. 117, commi terzo e quarto, Cost. e sono, quindi,
inammissibili le censure riferite a detto parametro, siccome proposte
in violazione del piu' volte richiamato principio  di  corrispondenza
tra il contenuto di tali atti. 
    12.1.1.- La questione,  nei  termini  e  nei  limiti  di  seguito
precisati, e' fondata. 
    L'intervento del legislatore statale sul profilo in esame non  e'
di per se'  illegittimo,  essendo  giustificato  dalla  finalita'  di
realizzare una razionalizzazione della dimensione territoriale  delle
camere  di  commercio  e  di  perseguire  una   maggiore   efficienza
dell'attivita' da esse svolta, conseguibile soltanto sulla scorta  di
un disegno unitario, elaborato  a  livello  nazionale.  Tale  ragione
giustificatrice dell'intervento del legislatore statale  non  esclude
tuttavia che, incidendo l'attivita'  delle  camere  di  commercio  su
molteplici competenze, alcune anche regionali, detto obiettivo  debba
essere conseguito nel rispetto del principio di leale collaborazione,
indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e  il
sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenza n. 251 del 2016). 
    Il luogo idoneo di  espressione  della  leale  collaborazione  e'
stato  correttamente  individuato  dalla   norma   nella   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano. Il modulo della stessa, tenuto conto
delle competenze coinvolte, non puo'  invece  essere  costituito  dal
parere, come stabilito dalla norma, ma va  identificato  nell'intesa,
contraddistinta da una  procedura  che  consenta  lo  svolgimento  di
genuine  trattative  e  garantisca  un  reale  coinvolgimento.  Della
necessita' dell'intesa lo stesso legislatore statale si e', peraltro,
dimostrato consapevole allorche', con l'art. 1, comma 1, lettera  a),
numero 3, del d.lgs. n. 219 del 2016, ha sostituito l'art.  1,  comma
5, della legge n. 580 del 1993, ed ha avuto cura di prevedere appunto
l'intesa per l'istituzione delle camere di  commercio  risultanti  da
accorpamento  di  quelle  preesistenti  e  per  le  modifiche   delle
circoscrizioni territoriali. 
    Va, pertanto, dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3,
comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016, nella parte  in  cui  stabilisce
che il decreto del Ministro dello  sviluppo  economico  dallo  stesso
previsto deve essere adottato «sentita la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano», anziche' previa intesa in detta Conferenza; 
    13.- La Regione Lombardia ha impugnato  gli  artt.  3,  comma  1,
lettera f), e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione  dell'art.
76 Cost., in relazione all'art. 10, comma 1, lettera g), della  legge
n. 124 del 2015. 
    La prima delle disposizioni impugnate stabilisce tra i criteri da
osservare nella rideterminazione  delle  circoscrizioni  territoriali
delle camere di commercio, per ricondurre il numero complessivo delle
camere di commercio entro il limite di sessanta 60, quello costituito
dalla «necessita' di tener conto degli accorpamenti  deliberati  alla
data di entrata in vigore della legge 7 agosto 2015, n. 124,  nonche'
di quelli approvati con i decreti di cui  all'articolo  1,  comma  5,
della legge 29 dicembre 1993, n.  580,  e  successive  modificazioni;
questi ultimi possono essere  assoggettati  ad  ulteriori  o  diversi
accorpamenti solo ai fini del rispetto del limite  di  60  camere  di
commercio». 
    La seconda reca invece le «disposizioni finali e transitorie» del
d.lgs. n. 219 del 2016 ed  e'  composta  da  sei  commi,  che  recano
prescrizioni aventi ad oggetto  molteplici  e  diversificati  profili
della  disciplina  del  riordino  delle  funzioni  delle  camere   di
commercio (concernenti la variazione del diritto annuale camerale, il
divieto di assunzione di nuovo personale, la disciplina degli organi,
degli atti di dismissione e  razionalizzazione  delle  partecipazioni
societarie, le modalita' di trasmissione alle camere di commercio dei
provvedimenti conclusivi di procedimenti  amministrativi  concernenti
attivita' d'impresa). 
    Il richiamato art. 10, comma 1,  lettera  g),  stabilisce  tra  i
principi  e  criteri   direttivi   che   il   legislatore   delegato,
nell'adottare il decreto legislativo, avrebbe dovuto osservare quello
della «introduzione di una disciplina  transitoria  che  tenga  conto
degli accorpamenti gia' deliberati alla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge». 
    Secondo la ricorrente, «dal  raffronto  delle  previsioni»  [...]
dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera f), e della norma di  delega,
risulterebbe che il legislatore delegato sarebbe  stato  vincolato  a
«prevedere  una  disciplina  transitoria  per  tutti   e   soli   gli
accorpamenti gia' deliberati alla data di  entrata  in  vigore  della
legge  n.  124  del  2015».  A  suo  avviso,  «di   tale   disciplina
transitoria, pero', non vi e' traccia nel decreto»,  con  conseguente
illegittimita' costituzionale delle norme impugnate. 
    13.1.- La questione e' inammissibile. 
    L'inammissibilita' della questione avente ad oggetto l'art. 4 del
d.lgs. n.  219  del  2016  consegue  alla  considerazione  che  detta
disposizione non e' indicata nella delibera autorizzativa del ricorso
tra quelle oggetto d'impugnazione (tale  atto  menziona  soltanto  il
citato art. 3, comma 1, lettera f) ed e' dunque  imposta  dal  dianzi
richiamato principio di necessaria corrispondenza  del  contenuto  di
tali atti. 
    La questione concernente l'art.  3,  comma  1,  lettera  f),  del
d.lgs. n. 219 del 2016, siccome l'argomentazione  svolta  a  conforto
della  medesima  consiste  e  si  risolve  nella   deduzione   dianzi
trascritta, e', all'evidenza, priva del supporto illustrativo  minimo
a  sostegno  dell'impugnazione  che,  come  sopra   precisato,   deve
connotare il ricorso in via principale,  nonche'  dell'esplicitazione
delle  ragioni  dell'eventuale  ridondanza   della   violazione   del
parametro evocato (estraneo a quelli  previsti  nella  Parte  II  del
Titolo V della Costituzione) sulle attribuzioni regionali. 
    14.- Le Regioni Puglia e Toscana hanno impugnato l'art. 1,  comma
1, lettera r), numero 1, punto i), del d.lgs. n.  219  del  2016,  il
quale ha sostituito il comma 10 dell'art. 18 della legge n.  580  del
1993 con il seguente:  «10.  Per  il  finanziamento  di  programmi  e
progetti presentati dalle  camere  di  commercio,  condivisi  con  le
Regioni ed aventi per scopo la promozione dello sviluppo economico  e
l'organizzazione di servizi alle imprese, il Ministro dello  sviluppo
economico,  su  richiesta  di  Unioncamere,  valutata  la   rilevanza
dell'interesse  del  programma  o  del  progetto  nel  quadro   delle
politiche strategiche nazionali, puo' autorizzare l'aumento, per  gli
esercizi di riferimento, della misura del diritto annuale fino ad  un
massimo del venti per cento. Il rapporto sui risultati  dei  progetti
e' inviato al Comitato di cui all'articolo 4-bis». 
    Secondo la Regione Puglia, detta  norma  violerebbe  l'art.  117,
commi terzo e quarto, Cost. ed il principio di leale  collaborazione,
nonche' l'art. 3 Cost. ed il principio di ragionevolezza,  in  quanto
prevederebbe un controllo disarmonico rispetto all'attuale concezione
costituzionale dell'autonomia. La norma, a suo avviso,  non  sarebbe,
inoltre, coordinata con il novellato  testo  dell'art.  2,  comma  2,
lettera g), della legge n. 580 del 1993, che prevede  lo  svolgimento
da  parte  delle  camere  di  commercio  di  attivita'   oggetto   di
convenzione con le Regioni ed altri enti pubblici, le  quali  possono
essere finanziate solo mediante il diritto  annuale.  Sarebbe  dunque
«paradossale che si possa provvedere in merito senza l'aumento  della
loro unica fonte di finanziamento, ne' appare  proporzionato  che  la
meritevolezza  del  progetto  (che  giustificherebbe  l'aumento   del
diritto annuale) sia previamente vagliata da un organo governativo». 
    Ad  avviso  della  Regione  Toscana,  la  norma  si  porrebbe  in
contrasto con l'art.  117,  commi  terzo  e  quarto,  Cost.,  con  il
principio di leale collaborazione e con  l'art.  118  Cost.,  poiche'
inciderebbe su  ambiti  di  competenza  regionale  costituzionalmente
garantiti, lesi dal controllo ministeriale. L'esigenza di contenere i
costi  a  carico  delle  imprese  avrebbe  dovuto  essere  conseguita
mediante il coinvolgimento delle Regioni. L'art.  118  Cost.  sarebbe
infine violato, dal momento che la Regione, in  mancanza  di  risorse
finanziarie sufficienti, sara' costretta a non affidare  alla  camera
di commercio le attivita' oggetto  del  «programma/progetto»  per  la
promozione dello sviluppo economico e per l'organizzazione di servizi
alle imprese. 
    14.1.- La questione non e' fondata. 
    Preliminarmente va dichiarata inammissibile la censura con cui la
Regione Toscana ha  eccepito  l'illegittimita'  costituzionale  della
norma in esame anche perche' non sarebbe stata accolta  la  richiesta
di modifica avanzata dalla Conferenza unificata nella proposta numero
12 del parere reso sullo schema di decreto delegato. Tale censura  e'
stata infatti proposta per la prima volta nella memoria  illustrativa
e, quindi, in virtu' del principio richiamato nel  punto  5.2.1.,  e'
inammissibile. 
    Nel merito, va ribadito il  principio  di  recente  enunciato  da
questa Corte, richiamato dall'Avvocatura  generale,  secondo  cui  la
disciplina dell'importo del diritto annuale camerale non concerne  il
funzionamento delle  camere  di  commercio,  bensi'  la  «misura  del
diritto camerale»; quindi, e' ascrivibile alla materia  del  «sistema
tributario» (art. 117, secondo comma, lettera  e,  Cost.),  spettante
alla competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 29 del  2016).  E'
stato infatti sottolineato che il diritto camerale  in  questione  ha
natura di tributo,  istituito  e  regolato  per  legge  dello  Stato,
«rispetto  al  quale  la  determinazione  dell'aggiornamento,   della
riscossione e della ripartizione della misura e' affidata  (ai  sensi
dell'art. 18, commi 4 e seguenti, della legge n.  580  del  1993)  al
Ministro dello  sviluppo  economico,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia  e  delle   finanze,   sentite   l'Unioncamere   e   le
organizzazioni di categoria maggiormente  rappresentative  a  livello
nazionale».  La  richiamata  sentenza  ha,  inoltre,  precisato  che,
poiche'  «il  diritto  di   cui   trattasi   non   e'   riconducibile
all'autonomia impositiva delle Camere di commercio, dal momento che a
tali enti (estranei alla categoria degli enti locali)  e'  attribuita
soltanto la riscossione della prestazione patrimoniale, va, altresi',
escluso che esso possa essere considerato "tributo locale"». 
    La norma di delega (art. 10, comma 1, lettera a, della  legge  n.
124  del  2015)  stabiliva,  inoltre,  quale  principio  e   criterio
direttivo quello secondo cui nella determinazione del diritto annuale
a carico delle imprese occorreva tenere conto delle  disposizioni  di
cui all'art. 28 del decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure
urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e  per
l'efficienza degli uffici giudiziari).  Tale  norma,  che  e'  quella
scrutinata dalla richiamata sentenza n. 29 del  2016,  stabilendo  la
progressiva riduzione del diritto annuale, autorizzava il legislatore
delegato ad una scelta coerente con l'obiettivo  di  formalizzare  un
quadro sufficientemente certo  relativo  alla  misura  dello  stesso,
confortando  ulteriormente,  anche   per   quanto   precisato   nella
suindicata pronuncia, la sua natura di tributo. 
    Tale configurazione rende dunque  palese  che  la  determinazione
della misura del "diritto annuale camerale"  spetta  alla  competenza
esclusiva dello Stato e  cio'  conduce  ad  escludere  la  violazione
denunciata dalle ricorrenti. L'intervento ministeriale incide infatti
soltanto indirettamente sui programmi  e  progetti  delle  camere  di
commercio, poiche' ha quale oggetto la determinazione della misura di
detto diritto, avente la natura dianzi indicata. Peraltro, la Regione
Puglia, nella memoria illustrativa, sostanzialmente  da'  atto  della
correttezza dell'eccezione  sollevata  dall'Avvocatura  generale,  ma
eccepisce l'illegittimita' della norma, in  quanto  realizzerebbe  un
significativo depauperamento dell'autonomia funzionale  delle  camere
di commercio. Tale censura e' pero' inammissibile, perche'  sollevata
per la prima volta in detta memoria, a prescindere dalla incidenza su
tale rilievo della perdurante ammissibilita'  del  finanziamento  dei
progetti in  convenzione  (per  quanto  di  seguito  osservato  nello
scrutinio della questione  avente  ad  oggetto  l'art.  1,  comma  1,
lettera r, numero 1, punto a, del d.lgs. n. 219 del 2016). 
    15.- La Regione Puglia ha impugnato l'art. 1, comma 1, lettera r)
(recte, art. 1, comma 1, lettera r, numero 1, punto a, del d.lgs.  n.
219 del 2016). Detta norma ha abrogato la  lettera  c)  del  comma  1
dell'art. 18 della legge n. 580 del 1993, in virtu'  della  quale  al
finanziamento delle camere di commercio si provvedeva,  tra  l'altro,
mediante «c) le entrate e i contributi derivanti da leggi statali, da
leggi  regionali,  da  convenzioni  o  previsti  in  relazione   alle
attribuzioni delle camere di commercio». 
    Secondo la ricorrente, la norma  violerebbe  gli  artt.  3,  117,
commi terzo e  quarto,  Cost.  ed  il  principio  di  ragionevolezza,
poiche', escludendo che le camere  di  commercio  possano  fruire  di
finanziamenti regionali (o erogati  da  altri  enti),  in  virtu'  di
convenzioni,   comprimerebbe   irragionevolmente   sia    l'autonomia
regionale (a causa dell'impossibilita' di  incentivare  le  attivita'
produttive,  pregiudicando  l'esercizio  delle  competenze   di   cui
all'art. 117, commi terzo e quarto,  Cost.),  sia  l'autonomia  delle
camere di commercio (le quali, da un canto non possono  fare  ricorso
al finanziamento mediante aumento del contributo annuale  in  difetto
di autorizzazione ministeriale,  dall'altro  non  possono  fruire  di
finanziamenti regionali). 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  l'abrogazione   sarebbe   inoltre
irragionevole  «rispetto  alla  disposizione  su   richiamata»   (non
indicata, ma da identificare nell'art. 2, comma 2, lettera  g,  della
legge n. 580 del 1993, nel testo sostituito  dall'art.  1,  comma  1,
lettera b), numero 2, del d.lgs. n. 219 del 2016),  «secondo  cui  le
attivita' oggetto di convenzione con le regioni [...] possono  essere
finanziate [...] esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico
delle controparti non inferiori al 50 per cento», facendo in tal modo
presumere «l'ammissibilita' di questa fonte di finanziamento». 
    15.1.- La questione  non  e'  fondata,  nei  termini  di  seguito
precisati. 
    La norma in esame era contenuta, con formulazione identica, nello
schema di decreto delegato approvato dal Governo il  25  agosto  2016
(anche se nell'art. 1, comma 1, lettera r, numero 1, punto  1.1).  La
Conferenza unificata, nel parere reso il 29 settembre  2016,  con  la
proposta numero 9, aveva  chiesto  (senza  peraltro  condizionare  il
parere all'accoglimento della stessa) che  fosse  sostituita  con  la
seguente: «c)  le  entrate  derivanti  da  convenzioni  con  soggetti
pubblici e privati», prospettando l'esigenza  di  «mantenere  tra  le
fonti di finanziamento le entrate  derivanti  da  convenzioni  con  i
soggetti  pubblici  e  privati»,  evidentemente  preoccupata  per  la
realizzabilita' di determinati progetti. 
    Preoccupazione sostanzialmente analoga era stata  espressa  dalle
imprese  che,  pur  dando  atto  della  perdurante  possibilita'   di
attivita' svolte in convenzioni e cofinanziate (in  virtu'  dell'art.
2, comma 2, lettera  g,  della  legge  n.  580  del  1993  nel  testo
novellato dal d.lgs. n. 219 del 2016), adombravano la  prefigurazione
di compiti esulanti «dalla logica stretta del  cofinanziamento»,  che
avrebbero potuto rendere difficoltosi i  rapporti  di  collaborazione
anche con le regioni  (in  tal  senso  e'  il  documento  recante  le
"Osservazioni e  Proposte"  formulate  da  R.E  TE.  Imprese  Italia,
depositato il 5 ottobre 2016,  in  occasione  dell'audizione  dinanzi
alla Commissione 10° del Senato della Repubblica). 
    Tali preoccupazioni, in buona sostanza, sono state fatte  proprie
dalla ricorrente, desumendo  dalle  stesse  il  paventato  vulnus  di
competenze regionali che, tuttavia, alla luce delle considerazioni di
seguito svolte non sussiste. 
    L'art. 18, comma 1, lettera c), della legge n. 580 del 1993,  nel
testo anteriore alla censurata abrogazione, prevedeva una facolta' di
finanziamento delle camere di commercio da parte dello Stato e  delle
Regioni  generica  ed   indeterminata,   siccome   svincolata   dalla
strumentalita' e correlazione della medesima con specifiche attivita'
svolte dalle stesse. 
    L'abrogazione di tale previsione normativa e'  coerente  con  una
riforma che, tenuto conto  dell'articolazione  delle  funzioni  delle
camere di commercio in tre differenti tipologie (quelle  finanziabili
al 100 per cento con il diritto annuale  e  le  altre  risorse  delle
camere; quelle che possono essere oggetto di convenzione,  in  regime
di cofinanziamento; le attivita' di mercato), della dianzi richiamata
configurazione di tali enti, della molteplicita' dei  compiti  svolti
dalle medesime (non tutti riferibili a competenze  regionali,  alcuni
svolti   in   attivita'   di   mercato)   e   della   finalita'    di
razionalizzazione,  efficacia  ed  efficienza  dell'attivita'   dalle
stesse  svolte,  non   irragionevolmente   ha   ritenuto   necessario
eliminarla. 
    Nondimeno,  detta  abrogazione  va  considerata  alla  luce   del
novellato art. 2, comma 2, della legge  n.  580  del  1993  che,  nel
fissare le funzioni svolte dalle camere di  commercio,  alla  lettera
g), dispone: «ferme restando quelle gia' in corso  o  da  completare,
attivita' oggetto di convenzione con le  regioni  ed  altri  soggetti
pubblici  e  privati  stipulate  compatibilmente  con  la   normativa
europea. Dette attivita' riguardano, tra l'altro,  gli  ambiti  della
digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti,  del
supporto  al  placement   e   all'orientamento,   della   risoluzione
alternativa delle controversie. Le stesse possono  essere  finanziate
con  le  risorse  di  cui  all'articolo  18,  comma  1,  lettera  a),
esclusivamente  in  cofinanziamento  con   oneri   a   carico   delle
controparti non inferiori al 50 per cento». 
    La  ricorrente  correttamente  sostiene   che   da   quest'ultima
disposizione e' possibile «dedurre l'ammissibilita'» della  fonte  di
finanziamento. La norma, benche' caratterizzata da  una  formulazione
lessicale non limpida, bene puo' essere interpretata, in applicazione
degli ordinari criteri ermeneutici, ritenendo, in primo luogo, che il
novero delle attivita' oggetto della stessa e' ampio e non limitato a
quelle  sole  espressamente  previste  (come  e'  reso  chiaro  dalla
locuzione «tra l'altro» utilizzata  per  identificarle).  In  secondo
luogo, la stessa permette di affermare che il finanziamento  di  tali
attivita' e' possibile mediante il  cosiddetto  diritto  annuale,  ma
anche   mediante   le    risorse    eventualmente    derivanti    dal
cofinanziamento,  che,  secondo  la   norma,   deve   gravare   sulle
controparti in misura non inferiore al 50 per cento. 
    Tale  ultima  previsione  non  esclude  la  possibilita'  che  il
finanziamento dell'attivita' oggetto della convenzione gravi in  toto
sulla controparte (per quanto qui rileva sulla Regione) e consente di
realizzarla  senza  intaccare  le  risorse  provenienti  dal  diritto
annuale e senza limitare la  facolta'  delle  Regioni  di  finanziare
determinati progetti, beninteso se siano riconducibili  a  competenze
alle stesse costituzionalmente attribuite. 
    Pertanto,  cio'  vuole  dire  che  la  censurata  abrogazione  ha
eliminato la previsione dei finanziamenti generici  ed  indeterminati
da parte della Regione; tuttavia, dalla  complessiva  disciplina  (in
particolare, dalla disposizione dianzi indicata)  e'  desumibile  che
alla Regione non e' impedito di stipulare  convenzioni  e  concordare
progetti inerenti al conseguimento di  obiettivi  riconducibili  alle
proprie attribuzioni costituzionalmente garantite,  facendosi  carico
del finanziamento degli stessi. 
    Interpretate in tal modo le norme in esame, resta escluso che  la
censurata abrogazione abbia determinato  il  vulnus  paventato  dalla
Regione Puglia. 
    16.- Le Regioni Puglia e Toscana  hanno,  infine,  impugnato,  in
riferimento all'art. 117, comma  quarto,  Cost.  (entrambe)  ed  agli
artt. 3  e  97  Cost.  ed  ai  principi  di  ragionevolezza  e  leale
collaborazione (la Regione Puglia), l'art. 4, comma 6, del d.lgs.  n.
219 del 2016, il quale stabilisce: «6. Una  copia  dei  provvedimenti
conclusivi  di  procedimenti  amministrativi  concernenti   attivita'
d'impresa adottati successivamente alla data di entrata in vigore del
presente  decreto  e'  inviata,  con  modalita'  informatica   ovvero
telematicamente, a cura dei responsabili di tali  procedimenti,  alla
camera di commercio nella cui circoscrizione l'impresa ha sede per il
loro  inserimento  nel  fascicolo  informatico   d'impresa   di   cui
all'articolo 2, comma 1, lettera b). Con decreto del  Ministro  dello
sviluppo economico emanato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della
legge 23 agosto 1988,  n.  400,  e  successive  modificazioni,  entro
centottanta giorni dalla data entrata in vigore del presente decreto,
sentite le amministrazioni  interessate,  sono  individuati,  secondo
principi di gradualita' e sostenibilita', i termini  e  le  modalita'
operative di attuazione della disposizione di cui al  primo  periodo,
nonche' le modalita' ed i limiti con  cui  le  relative  informazioni
sono rese disponibili per i soggetti pubblici e privati interessati». 
    Secondo la Regione Puglia, il suindicato obbligo di comunicazione
comporterebbe   uno   sproporzionato   ed   irragionevole    aggravio
amministrativo, lesivo dei principi di ragionevolezza (art. 3  Cost.)
e di buon  andamento  dell'azione  amministrativa  (art.  97  Cost.),
nonche'  dell'autonomia  organizzativa  regionale  (art.  117,  comma
quarto,  Cost.).  La  fissazione  delle  modalita'  operative   della
disposizione ad opera di un decreto ministeriale,  in  difetto  della
previsione della  previa  intesa  con  la  Conferenza  Stato-Regioni,
aggraverebbe la lesione dell'autonomia organizzativa regionale e  del
principio di leale collaborazione. 
    La  censura  della  Regione  Toscana  consiste  e  si   esaurisce
nell'affermazione che «le Regioni hanno  propri  sistemi  informativi
per cui e' necessario che il  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, che determina  i  termini  e  le  modalita'  operative  di
applicazione di tale  obbligo,  sia  emanato  previa  intesa  con  le
Regioni e non gia' solo sentite le medesime, come invece  prevede  la
norma», con  conseguente  violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., «per interferenza con l'autonomia organizzativa regionale». 
    16.1.- Le questioni sono inammissibili. 
    Le censure di entrambe le ricorrenti sono formulate in  contrasto
con   i   requisiti,   sopra   richiamati,   che   devono   connotare
l'impugnazione proposta in  via  principale.  La  trascrizione  della
censura della Regione Toscana e' sufficiente infatti a dimostrare che
la stessa consiste in un generico richiamo della  norma  impugnata  e
nell'assertiva   deduzione    della    violazione    del    parametro
costituzionale evocato, mancando dunque del  contenuto  argomentativo
minimo  perche'  possa  essere  scrutinata  nel  merito.  L'ulteriore
censura con cui  detta  ricorrente  denuncia  l'illegittimita'  della
norma per mancato recepimento della proposta  di  modifica  formulata
dalla  Conferenza  unificata,  e'  invece  inammissibile,  in  quanto
sollevata per la prima volta nella memoria illustrativa. 
    Per  dette  ragioni  e',  altresi',  inammissibile  la  questione
sollevata dalla Regione Puglia che, quanto alla denunciata violazione
degli  artt.  3  e  97  Cost.,  difetta  di  un   adeguato   supporto
argomentativo in ordine alla ridondanza  di  detta  violazione  sulle
attribuzioni regionali. 
    L'esigenza di una adeguata (mancata) argomentazione delle censure
ancora piu' si imponeva, in quanto  la  norma  in  esame  prevede  la
trasmissione dei  provvedimenti  concernenti  l'attivita'  d'impresa,
affinche'  siano  inseriti  nel   fascicolo   informatico   d'impresa
(previsto dall'art. 2, comma 1, lettera b, della  legge  n.  580  del
1993),  «in  cui  sono  raccolti  dati  relativi  alla  costituzione,
all'avvio ed  all'esercizio  delle  attivita'  dell'impresa,  nonche'
funzioni di punto unico  di  accesso  telematico  in  relazione  alle
vicende amministrative riguardanti l'attivita' d'impresa, ove a  cio'
delegate su base legale o convenzionale». 
    La  disposizione   costituisce   dunque,   in   via   prevalente,
espressione della competenza statale nella materia del «coordinamento
informativo statistico e informatico  dei  dati  dell'amministrazione
statale, regionale e locale» (art. 117,  secondo  comma,  lettera  r,
Cost.).  Finalita'  della  stessa  e',  infatti,  di  assicurare   la
conoscenza  delle  notizie  dell'attivita'  di  impresa,  che   esige
procedure e termini omogenei, in modo  da  garantirne  completezza  e
tempestivita',  rispondendo  all'esigenza  primaria  di  offrire   ai
cittadini garanzie uniformi e certe in  ordine  all'accesso  ai  dati
delle imprese. Peraltro, la norma, prevedendo che il Ministro per  lo
sviluppo economico, nello stabilire, con  decreto,  i  termini  e  le
modalita'  operative   di   attuazione   della   disposizione,   deve
provvedere,  sentite  le   amministrazioni   interessate,   garantire
un'interlocuzione  strumentale  alla  ponderazione  delle  specifiche
esigenze organizzative di queste ultime.