ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 7,
del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche), promossi dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili,
con  ordinanza  dell'8  aprile  2016,  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania con ordinanza del  24  maggio  2016  e  dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza del  26
aprile 2016, iscritte, rispettivamente, ai nn. 107,  218  e  260  del
registro ordinanze 2016, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della
Repubblica, nn. 22, 44 e 52, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione di A. N., dell'Istituto  nazionale
della previdenza sociale  (INPS),  dell'Universita'  degli  Studi  di
Napoli Federico II, della Regione Campania, e di M.C.  P.  e  G.  R.,
quest'ultimo atto fuori termine; 
    udito nella udienza pubblica  del  5  dicembre  2017  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati Sabatino Rainone per A. N., Maria Morrone  per
l'INPS, Angelo Abignente per  l'Universita'  degli  Studi  di  Napoli
Federico II e Rosanna Panariello per la Regione Campania. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al n. 107 r.o. 2016, le sezioni  unite
civili della Corte di  cassazione  hanno  sollevato,  in  riferimento
all'art.  117,  primo  comma,  della   Costituzione,   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  69,  comma  7,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni  pubbliche),  «nella
parte in  cui  prevede  che  le  controversie  relative  a  questioni
attinenti al periodo del rapporto di  lavoro  anteriore  al  30.06.98
restano  attribuite  alla   giurisdizione   esclusiva   del   giudice
amministrativo  solo  qualora  siano  state  proposte,  a   pena   di
decadenza, entro il 15 settembre 2000». 
    1.1.- Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - alcuni medici svolgenti attivita'  professionale  remunerata  a
gettone hanno proposto ricorso per  cassazione  per  motivi  inerenti
alla giurisdizione  avverso  la  sentenza  del  Consiglio  di  Stato,
sezione sesta, 30 luglio 2013, n. 4001, con cui era stata  confermata
la decisione del Tribunale amministrativo regionale per la  Campania,
che aveva dichiarato inammissibile il ricorso volto  all'accertamento
della sussistenza di un rapporto di impiego di fatto alle  dipendenze
del Policlinico dell'Universita' degli studi di  Napoli  Federico  II
(d'ora in avanti: l'Universita' di Napoli o  l'Universita'),  e  alla
sua condanna, unitamente all'Istituto  nazionale  per  la  previdenza
sociale (INPS), alla conseguente regolarizzazione contributiva; 
    -  la  declaratoria  di   inammissibilita'   si   fondava   sulla
intervenuta decadenza prevista dall'art. 69, comma 7, del  d.lgs.  n.
165 del 2001, trattandosi di  domanda  attinente  a  un  periodo  del
rapporto di lavoro anteriore  al  30  giugno  1998,  attribuita  alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma  proposta  dopo
il 15 settembre 2000; 
    - successivamente alla  menzionata  decisione  del  Consiglio  di
Stato, la Corte europea dei diritti dell'uomo, adita da altri  medici
che versavano nella medesima condizione giuridica dei ricorrenti, con
le sentenze Mottola contro Italia e Staibano e  altri  contro  Italia
del 4 febbraio 2014 (d'ora in avanti: sentenze Mottola  e  Staibano),
aveva accertato una duplice violazione degli  obblighi  convenzionali
da parte dello Stato italiano; 
    - in particolare, la Corte  EDU  aveva  accertato  la  violazione
dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n.  848,  relativamente  al  diritto  di  accesso  a  un
tribunale,  poiche'  la  decadenza  prevista  dalla  norma  censurata
avrebbe  «posto  un  ostacolo  procedurale  costituente   sostanziale
negazione del  diritto  invocato»;  nonche'  dell'art.  1  del  primo
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, poiche' il diritto di
credito pensionistico dei ricorrenti, in  quanto  riconosciuto  dalla
giurisprudenza interna, costituiva  ai  sensi  del  citato  parametro
convenzionale un «bene» della persona e la decisione del Consiglio di
Stato  aveva  svuotato  la  loro   legittima   aspettativa   al   suo
conseguimento; 
    - sulla base di tali premesse i ricorrenti hanno proposto ricorso
per cassazione, sostenendo che, alla luce delle  pronunce  Mottola  e
Staibano, l'interpretazione dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. n.  165
del 2001 adottata dal Consiglio di Stato si risolve in un diniego  di
tutela  giurisdizionale  in  violazione  dell'art.  6   della   CEDU,
sanzionabile davanti alle sezioni unite ai sensi dell'art. 362, primo
comma, del codice di procedura civile. 
    1.2.- In punto di  rilevanza,  il  rimettente  riferisce  che  la
decisione gravata e' stata depositata in data 30 luglio 2013, con  la
conseguenza  che,  in  mancanza  di   notificazione,   la   decadenza
dall'impugnazione si sarebbe realizzata allo scadere di un anno dalla
pubblicazione della sentenza, ai sensi dell'art.  327,  primo  comma,
cod. proc. civ., nella formulazione antecedente la riforma introdotta
dall'art. 46 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni  per  lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in
materia di processo civile). 
    Il ricorso per cassazione,  notificato  alle  controparti  il  21
marzo e  il  19  aprile  2014,  sarebbe  quindi  tempestivo,  con  la
conseguenza  che,  «non  essendosi  ancora  creato  un  giudicato  al
riguardo,   la   questione   della   corretta   affermazione    della
giurisdizione e' tuttora aperta». 
    Sempre  in  punto  di  rilevanza,  le  sezioni  unite   ritengono
sussistenti i presupposti che  giustificano  il  ricorso  per  motivi
inerenti alla giurisdizione avverso  la  sentenza  del  Consiglio  di
Stato. 
    Il rimettente ricorda  che,  secondo  la  propria  giurisprudenza
consolidata, il sindacato esercitato dalla Corte di cassazione  sulle
decisioni rese dal Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 362,  primo
comma, cod. proc. civ. e dell'art.  110  del  decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo   amministrativo),   e'   consentito   ove    si    richieda
l'accertamento dell'eventuale sconfinamento del  secondo  dai  limiti
esterni della giurisdizione, per il riscontro di vizi che  riguardano
l'essenza della funzione  giurisdizionale  e  non  il  modo  del  suo
esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui  limiti
interni, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo. 
    A tale  stregua,  il  rimedio  in  questione  sarebbe  esperibile
nell'ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia  violato
l'ambito della giurisdizione in generale - esercitandola nella  sfera
riservata al  legislatore  o  alla  discrezionalita'  amministrativa,
oppure, al  contrario,  negandola  sull'erroneo  presupposto  che  la
domanda non possa  formare  oggetto  in  modo  assoluto  di  funzione
giurisdizionale  -  ovvero  nell'ipotesi  in  cui  abbia  violato   i
cosiddetti limiti esterni della giurisdizione, allorquando, cioe', si
pronunci su materia  attribuita  al  giudice  ordinario  o  ad  altro
giudice speciale, oppure  neghi  la  sua  giurisdizione  nell'erroneo
convincimento che appartenga ad altro giudice. 
    Secondo il rimettente, pero', quanto al confine oltre il quale le
sezioni unite non possono spingersi nell'esercizio di tale sindacato,
si sarebbe andata affermando una nozione di limite esterno «collegato
all'evoluzione del concetto  di  giurisdizione»,  «da  intendersi  in
senso   dinamico,   nel   senso   dell'effettivita'   della    tutela
giurisdizionale». 
    In quest'ottica, il giudizio sulla giurisdizione non sarebbe piu'
uno  strumento  di  «accertamento  del  potere  di   conoscere   date
controversie  attribuito  ai  diversi  ordini  di  giudici   di   cui
l'ordinamento  e'  dotato»,  ma  costituirebbe  uno   strumento   per
affermare il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e  degli
interessi: sarebbe norma sulla  giurisdizione  non  solo  quella  che
individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale,
ma anche quella che da' contenuto a quel potere stabilendo  le  forme
di tutela attraverso le quali esso si estrinseca (si cita la sentenza
delle sezioni unite 23 dicembre 2008, n. 30254). 
    A tale principio - prosegue il  rimettente  -  le  sezioni  unite
hanno fatto ricorso in un caso in cui il  Consiglio  di  Stato  aveva
interpretato una norma di diritto interno in termini contrastanti con
il diritto dell'Unione europea per come risultante da  una  pronuncia
della  Corte  di  giustizia   dell'Unione   europea   successivamente
intervenuta; in tale caso, la  cassazione  della  sentenza  e'  stata
ritenuta   indispensabile   per   impedire   che   il   provvedimento
giudiziario, una volta divenuto definitivo, esplicasse i suoi effetti
in contrasto con il diritto comunitario (si cita  la  sentenza  delle
sezioni unite 6 dicembre 2015, n. 2403). 
    Nel caso di specie,  pur  fondandosi  la  tutela  giurisdizionale
asseritamente  negata  non  sul  diritto  dell'Unione  ma  su  quello
convenzionale, la  situazione  giuridica  creatasi  sarebbe  analoga,
perche'  anche  in  questo  caso  il  giudice  dell'impugnazione   si
troverebbe nella condizione di evitare che la decisione gravata,  una
volta  divenuta  definitiva,  esplichi  i  suoi  effetti  in  maniera
contrastante con norme sovranazionali cui lo Stato italiano e' tenuto
a dare applicazione. 
    Ad avviso delle sezioni unite, dunque,  la  situazione  in  esame
rientrerebbe  in  uno  di  quei  casi  estremi  in  cui  il   giudice
amministrativo adotta una  decisione  anomala  o  abnorme,  omettendo
l'esercizio del potere giurisdizionale per errores in iudicando o  in
procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno. 
    1.3.- Nel merito, il  rimettente  osserva  che,  in  ordine  alle
controversie relative al periodo del rapporto di  lavoro  antecedente
al 30 giugno 1998 iniziate dopo il 15 settembre 2000, si  era  creato
un primo orientamento giurisprudenziale favorevole  a  ricomprenderle
nella giurisdizione del giudice ordinario; nel tempo,  tuttavia,  era
prevalso un diverso orientamento sia della Corte  di  cassazione  sia
del Consiglio di Stato che ricollega alla  scadenza  del  termine  la
radicale impossibilita' di fare  valere  il  diritto  dinanzi  ad  un
giudice. 
    Tale orientamento -  proseguono  le  sezioni  unite  -  e'  stato
avallato dalla Corte costituzionale, la quale ha  ritenuto  la  norma
conforme all'art. 3 Cost., in quanto la disparita' di trattamento tra
dipendenti  privati  e  pubblici  e'  giustificata  dall'esigenza  di
contenere gli effetti connessi al trasferimento  della  giurisdizione
da un plesso all'altro potenzialmente  pregiudizievoli  del  regolare
svolgimento    dell'attivita'    giurisdizionale,    e     dall'ampia
discrezionalita' del legislatore nella disciplina  della  successione
delle leggi processuali  nel  tempo;  nonche'  conforme  all'art.  24
Cost., non essendo ingiustificata in se' la previsione di un  termine
di decadenza e non essendo il termine  specifico  di  oltre  ventisei
mesi   tale   da   rendere   «oltremodo   difficoltosa   la    tutela
giurisdizionale» (si cita l'ordinanza n. 382 del 2005). 
    La norma cosi' interpretata, tuttavia, si porrebbe  in  contrasto
con l'art. 6 della CEDU, come accertato dalla Corte di Strasburgo con
le sentenze Mottola e Staibano, secondo cui la decadenza in questione
porrebbe  un  ostacolo  procedurale   costituente   una   sostanziale
negazione del diritto invocato ed escluderebbe un  giusto  equilibrio
tra interessi pubblici e privati in gioco. 
    Stante l'insuperabilita' in via interpretativa del contrasto  tra
la norma interna e quella convenzionale,  il  rimettente  ritiene  di
dovere sollevare questione di legittimita' costituzionale della prima
per contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in  cui
prevede che le controversie attinenti  al  periodo  del  rapporto  di
lavoro  anteriore  al  30  giugno  1998   restano   attribuite   alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano
state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000. 
    1.4.-  Si   e'   costituito   in   giudizio   l'INPS,   eccependo
l'inammissibilita'  e  la  manifesta  infondatezza  della   questione
sollevata e  riservandosi  di  meglio  illustrare  nel  prosieguo  le
proprie difese. 
    1.5.- Con successiva memoria depositata in termini, l'INPS ha  in
particolare eccepito l'inammissibilita' della questione per  mancanza
di una idonea motivazione circa la possibilita'  di  interpretare  la
norma in maniera costituzionalmente orientata, omissione, questa, che
ridonderebbe anche in difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    1.6.- La questione sarebbe inammissibile  anche  per  difetto  di
rilevanza. 
    Secondo l'INPS, il ricorso per cassazione avverso le sentenze del
Consiglio di Stato e' possibile solo laddove il secondo abbia violato
l'ambito della giurisdizione in generale,  ad  esempio  esercitandola
nella  sfera  riservata  al  legislatore  o   alla   discrezionalita'
amministrativa, ovvero nella ipotesi in cui abbia  violato  i  limiti
esterni della giurisdizione,  pronunciandosi  in  materia  attribuita
alla cognizione del  giudice  ordinario  o  di  altro  giudice.  Tali
ipotesi non ricorrerebbero nel  caso  di  specie  e  nemmeno  sarebbe
configurabile una decisione anomala  o  abnorme  con  cui  sia  stato
omesso l'esercizio del potere giurisdizionale. 
    L'impugnata sentenza del Consiglio di  Stato  sarebbe  tutt'altro
che  eversiva,   ponendosi,   per   contro,   nel   solco   tracciato
dall'adunanza plenaria con la sentenza 21 febbraio 2007, n. 4 e dalla
Corte costituzionale con le ordinanze n. 197 del 2006, n.  382  e  n.
213 del 2005, n. 214 del 2004. 
    1.7.- Nel merito, la questione sarebbe infondata, in primo  luogo
perche' la lesione dei diritti previdenziali dei ricorrenti accertata
dalla Corte di Strasburgo non sarebbe direttamente ed  esclusivamente
connessa alla mera esistenza del termine di decadenza di cui all'art.
69, comma 7, del d.lgs. n. 165  del  2001,  ma  piuttosto  dovuta  al
mutamento della giurisprudenza, che  aveva  finito  con  l'attribuire
alla  scadenza  di  quel  termine  la  conseguenza   della   radicale
impossibilita' di far valere i loro diritti in giudizio. 
    Ed infatti, al punto 51 della sentenza Staibano, la stessa  Corte
EDU  avrebbe  riconosciuto  che  la  fissazione  del   termine,   non
eccessivamente breve, del 15 settembre 2000 risponde alla legittima e
condivisibile  finalita',  di   interesse   generale,   della   buona
amministrazione  della  giustizia,  attraverso  una  ripartizione  di
competenze coerente e  razionale  tra  il  giudice  civile  e  quello
amministrativo  e  l'apposizione  di  limiti  temporali   certi   per
incardinare le controversie in materia di pubblico impiego. 
    Secondo  l'INPS,  andrebbe  quindi  data  piena  continuita'   al
consolidato orientamento della Corte costituzionale, che ha  ritenuto
legittimo il termine di decadenza prima previsto dall'art. 45,  comma
17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove  disposizioni
in  materia  di  organizzazione  e  di  rapporti  di   lavoro   nelle
amministrazioni pubbliche, di  giurisdizione  nelle  controversie  di
lavoro e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in  attuazione
dell'articolo 11, comma 4, della L. 15  marzo  1997,  n.  59)  e  poi
trasfuso nella norma oggi censurata. 
    1.8.- Si e' costituita anche l'Universita' di  Napoli,  eccependo
innanzitutto  l'inammissibilita'  della  questione  per  difetto   di
rilevanza. 
    Secondo l'Universita', con il ricorso per cassazione i ricorrenti
non hanno inteso ottenere dalle sezioni unite chiarimenti  in  ordine
alla giurisdizione quanto, piuttosto, un ulteriore grado di  giudizio
nel  merito  della  controversia,  inammissibilmente  censurando   un
asserito error in iudicando. 
    L'estensione del concetto di limite esterno in chiave dinamica  e
di effettivita' della tutela giurisdizionale operata dal  rimettente,
per quanto suggestiva, non sarebbe condivisibile, «proprio alla  luce
del  costante  orientamento  della  giurisprudenza  di   legittimita'
secondo il quale "l'evoluzione  del  concetto  di  giurisdizione  nel
senso di strumento per la tutela effettiva delle parti non giustifica
il ricorso avverso la sentenza  del  Consiglio  di  Stato,  ai  sensi
dell'art. 111 Cost., u.c., quando, come nella specie, non si verta in
ipotesi di aprioristico diniego di giurisdizione,  ma  la  tutela  si
assuma negata dal  giudice  speciale  in  conseguenza  di  errori  di
giudizio che si prospettino dal medesimo commessi in  relazione  allo
specifico caso sottoposto al suo esame (Sez. Un., 16 gennaio 2014, n.
771)" (Cass. Civ., Sez. Un., 29.2.2016, n. 3915)». 
    Il ricorso per cassazione, dunque, non essendo stato proposto per
motivi attinenti alla giurisdizione, mai denegata, non  potrebbe  che
essere dichiarato inammissibile dal giudice a quo, a nulla  rilevando
l'eventuale sopravvenuta illegittimita'  costituzionale  della  norma
applicata dal Consiglio di Stato.  In  altri  termini,  la  questione
difetterebbe  di  rilevanza  perche'  le  sezioni  unite   potrebbero
giungere alla definizione del giudizio a prescindere dall'esito della
questione di costituzionalita'. 
    1.9.- Nel merito, andrebbe considerato, in primo  luogo,  che  ai
medici "gettonati" e' stata ampiamente riconosciuta  la  possibilita'
di accesso alla giustizia per ottenere il riconoscimento del  diritto
al versamento dei contributi previdenziali, come  sarebbe  comprovato
dal fatto che molti colleghi dei ricorrenti hanno ottenuto  la  piena
soddisfazione delle loro pretese. 
    La legittimita' della scelta  del  legislatore  di  prevedere  un
termine di decadenza, del resto, sarebbe stata gia'  accertata  dalla
Corte  costituzionale  con  l'ordinanza  n.  213  del  2005,  che  ha
giustificato tale misura processuale  con  effetti  sostanziali,  «in
quanto [...] e' idonea a prevenire il temuto sovraccarico di entrambi
i giudici investiti del contenzioso del pubblico impiego  ed  idonea,
altresi', a realizzare tra  di  essi  un  ordinato  riparto  di  tale
contenzioso, con l'evitare che per la medesima concreta  controversia
fosse previsto il succedersi, nel tempo, della  giurisdizione  di  un
giudice a quella di una altro giudice». 
    1.10.- Con memoria depositata fuori termine, si  sono  costituiti
M.C.  P.  e  G.  R.,  parti  nel  giudizio  a  quo,   aderendo   alle
argomentazioni spese nell'ordinanza di rimessione  a  sostegno  della
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita' sollevata. 
    1.11.- Con memoria  depositata  fuori  termine  l'Universita'  di
Napoli ha  ulteriormente  illustrato  le  ragioni  a  sostegno  della
inammissibilita' e non fondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata dalle sezioni unite. 
    2.- Con ordinanza iscritta al n.  218  r.o.  2016,  il  Tribunale
amministrativo regionale per la Campania ha sollevato, in riferimento
all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 69, comma 7, del d.lgs.  n.  165  del  2001,
«nella parte in cui non consente di proporre al G.O. senza  incorrere
in decadenza, dopo il 15/9/2000, l'azione relativa ai fatti  connessi
al rapporto di impiego anteriori al 30/6/1998». 
    2.1.- Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - la ricorrente ha riassunto presso il TAR  il  ricorso  proposto
davanti al Tribunale di Napoli, che, con sentenza 22 ottobre 2012, n.
281,  aveva  declinato  la  giurisdizione  in  favore   del   giudice
amministrativo, in applicazione del citato art. 69, comma 7; 
    - la causa ha ad oggetto il risarcimento  dei  danni  subiti  per
effetto del comportamento della Regione, che avrebbe illegittimamente
escluso la ricorrente dal concorso  riservato  per  l'immissione  nel
ruolo del  personale  in  servizio  presso  i  centri  di  formazione
professionale con rapporto di lavoro a tempo  indeterminato,  nonche'
per la tardiva esecuzione delle sentenze del TAR e del  Consiglio  di
Stato che avevano statuito l'illegittimita' di tale esclusione; 
    -  che,  infatti,  la  ricorrente  nel  giudizio   amministrativo
previamente instaurato aveva richiesto il riconoscimento del servizio
prestato  presso  l'Ente  nazionale  ACLI  istruzione   professionale
(ENAIP) fino al 1982 ovvero la retrodatazione della sua nomina  anche
a fini economici a far data dal 1° settembre 1986, ma la sua  domanda
era stata  definitivamente  rigettata  dal  Consiglio  di  Stato  con
sentenza del 23 marzo 2009,  n.  1752,  che,  in  motivazione,  aveva
tuttavia rilevato come la  ritardata  assunzione  in  servizio  fosse
generatrice di responsabilita' per danni. 
    2.2.- Cio' esposto in  punto  di  fatto,  il  rimettente  ritiene
sussistere la propria giurisdizione sulla  controversia  risarcitoria
relativa a fatti inerenti al periodo anteriore al 30 giugno 1998,  in
quanto comunque collegati al rapporto d'impiego,  senonche'  l'azione
sarebbe tardiva ai sensi dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del
2001, per come ormai interpretato dalla pacifica  giurisprudenza  del
giudice ordinario e amministrativo. 
    2.3.- Il TAR Campania deduce poi che le sezioni unite della Corte
di cassazione, con ordinanza  dell'8  aprile  2016,  n.  6891,  hanno
sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale   di   tale
disposizione, nella parte in cui prevede che le controversie relative
a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore  al
30 giugno 1998 restano attribuite alla  giurisdizione  esclusiva  del
giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a  pena  di
decadenza, entro il 15 settembre 2000; analogamente ha fatto  il  TAR
Lazio con ordinanza del 26 aprile  2016,  n.  4776,  riguardante  una
controversia risarcitoria per infortunio in  itinere  occorso  ad  un
pubblico dipendente. 
    Il Tribunale campano  reputa  quindi  necessario  rimettere  alla
Corte costituzionale la questione di legittimita' della norma citata,
«ravvisandone la rilevanza nel presente processo e la  non  manifesta
infondatezza,   alla    stregua    delle    enunciazioni    contenute
nell'ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite e per contrasto  con
il medesimo parametro costituzionale dell'art. 117,  primo  comma,  e
dell'interposta norma dell'art. 6 della Convenzione EDU». 
    2.4.- L'applicazione della norma censurata condurrebbe  nel  caso
in esame a dichiarare inammissibile il ricorso, in quanto l'azione e'
stata proposta oltre il termine del 15  settembre  2000.  Secondo  il
rimettente, sussisterebbe la  rilevanza  della  questione  riguardata
«sotto l'aspetto dell'individuazione del giudice chiamato a conoscere
della controversia». 
    «In tale prospettiva» si  dovrebbe  dubitare  della  legittimita'
costituzionale  della  norma  in  questione,  «nella  parte  in   cui
stabilisce un effetto decadenziale e non consente di proporre davanti
al G.O., dopo  il  15  settembre  2000,  l'azione  relativa  a  fatti
connessi al rapporto di impiego anteriori al 30 giugno 1998». 
    Cosi'  posta,  la  questione  avrebbe  «sicura   rilevanza»   nel
processo, in quanto l'illegittimita'  della  norma  in  tali  termini
comporterebbe che la cognizione  sulla  controversia  spetterebbe  al
giudice ordinario e quindi condurrebbe alla necessita' per il TAR  di
sollevare conflitto negativo di giurisdizione ai sensi dell'art.  11,
comma 3, del d.lgs. n. 104 del 2010. 
    2.5.- In punto di non manifesta  infondatezza,  il  TAR  Campania
ritiene che la norma -  come  indicato  dalla  Cassazione  -  sia  in
contrasto con l'art. 6, comma 1,  della  CEDU,  ponendo  un  ostacolo
procedurale che costituisce una  sostanziale  negazione  del  diritto
invocato  ed  escludendo  un  giusto  equilibrio  tra  gli  interessi
pubblici e privati in gioco. 
    La riconduzione a legittimita' della disposizione  in  parola  si
avrebbe con la devoluzione  al  giudice  ordinario  della  cognizione
delle controversie in questione, per come in principio ritenuto dalla
giurisprudenza   al   fine   di   «garantire   la   fruizione   della
giurisdizione» (si  cita  l'ordinanza  di  rimessione  delle  sezioni
unite), in linea con la finalita'  di  concentrazione  avanti  ad  un
unico giudice sottesa alla riforma recata dal d.lgs. n. 165 del  2001
e  in  modo  da  «non  coinvolgere  troppo   a   lungo   il   giudice
amministrativo in  una  giurisdizione  ormai  perduta»  (si  cita  la
sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 21 febbraio 2007,
n. 4). 
    2.6.- Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il
20 ottobre 2016, si e' costituita  la  Regione  Campania,  che,  dopo
avere ricostruito i fatti di causa,  ha  eccepito  l'inammissibilita'
della questione sollevata e la sua non fondatezza. 
    2.7.- Osserva la Regione Campania che solo nel  2003  e  poi  nel
2009, con le pronunce del TAR e del Consiglio di Stato, la ricorrente
aveva appreso di  avere  erroneamente  impostato  la  sua  iniziativa
giurisdizionale:   invece   di   agire   per   l'accertamento   della
responsabilita' aquiliana, «incorrendo nel  termine  di  prescrizione
quinquennale», essa aveva intentato un'azione  basata  su  un  titolo
«inconfigurabile» (il diritto alla restitutio  in  integrum  mediante
retrocostituzione del rapporto di lavoro). 
    Cio'  determinerebbe,  secondo  l'interveniente,  la  irrilevanza
della questione sollevata, poiche' la ricorrente sarebbe  carente  di
interesse  all'azione  di  responsabilita'  almeno  dall'anno   2003,
essendosi prescritto il relativo diritto. 
    La  fattispecie  concreta  metterebbe  in  evidenza  un   tardivo
esercizio del diritto ascrivibile non gia'  al  meccanismo  normativo
introdotto dal legislatore e sospettato d'incostituzionalita'  ma  «a
mere scelte strategico-difensive». 
    2.8.-  Nel  merito,  la  Regione   Campania   ricorda   come   la
giurisprudenza della Corte costituzionale sia inequivoca nel ritenere
che il  termine  decadenziale  previsto  dalla  norma  censurata  sia
giustificato dall'esigenza di contenere  gli  effetti  potenzialmente
pregiudizievoli   per   il   regolare   svolgimento    dell'attivita'
giurisdizionale prodotti dal trasferimento  della  giurisdizione  dal
giudice amministrativo a quello ordinario, ed in  ragione  dell'ampia
discrezionalita' del legislatore nel  regolare  istituti  processuali
intertemporali; ne' sarebbe lesiva dell'art. 24 Cost.  la  previsione
di un termine decadenziale di oltre  ventisei  mesi,  certamente  non
tale da rendere difficoltosa la tutela giurisdizionale. 
    L'interveniente ricorda anche che la  Corte  EDU  nelle  sentenze
Mottola e Staibano ha ritenuto la violazione dell'art. 6 della  CEDU,
in quanto, a seguito di un mutamento giurisprudenziale, «i ricorrenti
che avevano adito i giudici amministrativi in  buona  fede  e  in  un
regime  giuridico  che  poteva  dare  luogo  a  una   pluralita'   di
interpretazioni possibili, sono stati privati della  possibilita'  di
reintrodurre i loro  ricorsi  dinanzi  ai  tribunali  definitivamente
individuati come competenti». 
    Tale non sarebbe il caso di specie, laddove la ricorrente avrebbe
«riaggiustato il tiro» a distanza  di  anni,  dopo  avere  adito  nei
termini il giudice munito di giurisdizione. 
    Sotto altro profilo, poi, rispetto all'esigenza di non violare le
norme convenzionali sarebbe prevalente quella di  tutelare  i  valori
costituzionali sottesi alla norma censurata (artt. 3, 24, 25, 81 e 97
Cost.), compito, questo, rimesso alla Corte costituzionale. 
    3.- Con ordinanza iscritta al n.  260  r.o.  2016,  il  Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio ha  sollevato,  in  riferimento
all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 69, comma 7, del d.lgs.  n.  165  del  2001,
«nella parte in cui prevede che le controversie relative a  questioni
attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore  al  30  giugno
1998 restano attribuite  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo  solo  qualora  siano  state  proposte,  a   pena   di
decadenza, entro il 15 settembre 2000». 
    3.1.- Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - la ricorrente, dipendente dell'azienda sanitaria  locale  (ASL)
Roma C, il 2 luglio 1997 era rimasta vittima di un incidente stradale
al ritorno dal posto di lavoro; essa aveva pertanto adito il  giudice
del lavoro del Tribunale ordinario di  Roma  che  aveva  riconosciuto
l'infortunio  in  itinere,  condannando  l'Istituto   nazionale   per
l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) al  pagamento
di  una  rendita  per  malattia  professionale,  commisurata  ad  una
inabilita' permanente del trentadue  per  cento,  oltre  interessi  e
rivalutazione; 
    - con altro ricorso notificato  l'8  luglio  2002  la  ricorrente
aveva nuovamente adito il medesimo giudice del lavoro,  chiedendo  la
condanna dell'ASL al risarcimento  del  danno  biologico,  in  quanto
effetto dell'inadempienza del  datore  di  lavoro  agli  obblighi  di
protezione imposti dall'art. 2087 del codice civile, ma questa  volta
il giudice adito aveva declinato la giurisdizione in favore di quello
amministrativo, in ragione della ritenuta natura  contrattuale  della
responsabilita' datoriale; 
    - la ricorrente aveva quindi  adito  il  TAR  Lazio  con  ricorso
notificato il 12 ottobre 2007 e depositato il successivo 8  novembre,
deducendo la responsabilita' dell'ASL Roma C per averle  imposto  dei
turni massacranti il giorno dell'infortunio e  quello  precedente,  e
chiedendo la  sua  condanna  al  risarcimento  del  danno  biologico,
esistenziale  e  morale;  l'ASL,  costituitasi  in  giudizio,   aveva
eccepito il difetto di giurisdizione,  la  prescrizione  dei  crediti
azionati e l'infondatezza della pretesa avversaria per  mancanza  del
nesso di  causalita',  spiegando  comunque  domanda  di  manleva  nei
confronti della compagnia assicuratrice. 
    3.2.- In punto di rilevanza, il rimettente deduce di dovere  fare
applicazione dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del  2001,  che
ha sostituito in termini non innovativi  l'art.  45,  comma  17,  del
d.lgs. n. 80 del 1998, poiche' il sinistro stradale e' avvenuto il  2
luglio 1997, mentre la domanda con cui la ricorrente  ha  manifestato
per la prima volta la sua pretesa risarcitoria e' dell'8 luglio 2002,
ben oltre il termine di decadenza del 15 settembre 2000. 
    3.3.- Nel merito, il TAR Lazio ripete le medesime  argomentazioni
in diritto sviluppate  dall'ordinanza  di  rimessione  delle  sezioni
unite della Corte di cassazione. 
    3.4.- Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il
5 gennaio 2017, si e' costituita A. N.,  ricorrente  nel  giudizio  a
quo. 
    3.5.- In punto di rilevanza, sarebbe evidente, secondo  la  parte
interveniente, che una  pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale
della  disposizione  censurata  le  consentirebbe  di  proseguire  il
giudizio originariamente instaurato presso il giudice ordinario e poi
traslato davanti a quello amministrativo. 
    3.6.-  Nel  merito,  la  parte   privata   ripete   le   medesime
argomentazioni in diritto sviluppate dalle  ordinanze  di  rimessione
del TAR Lazio e delle sezioni unite civili della Corte di cassazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le sezioni unite  civili  della  Corte  di  cassazione  hanno
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  69,
comma 7, del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche),  «nella  parte  in  cui  prevede  che  le
controversie relative a questioni attinenti al periodo  del  rapporto
di lavoro anteriore al 30.06.98 restano attribuite alla giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo  solo  qualora  siano   state
proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000», deducendo
la violazione dell'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione ai parametri interposti dell'art.  6,  paragrafo  I,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e
dell'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione stessa. 
    La disposizione censurata prevede che «Sono attribuite al giudice
ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di  cui
all'art. 63 del presente decreto, relative a questioni  attinenti  al
periodo del rapporto di lavoro  successivo  al  30  giugno  1998.  Le
controversie relative a questioni attinenti al periodo  del  rapporto
di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo  solo  qualora  siano   state
proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000».  
    Osserva il rimettente che, in ordine alle controversie relative a
questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30
giugno 1998 iniziate dopo il 15 settembre 2000, si  era  formato,  in
principio,  un  orientamento  giurisprudenziale  secondo   cui   esse
spettavano alla  giurisdizione  del  giudice  ordinario;  nel  tempo,
tuttavia, era prevalso un diverso orientamento  sia  della  Corte  di
cassazione  sia  del  Consiglio  di  Stato  (avallato   dalla   Corte
costituzionale) che ricollega alla scadenza del termine  la  radicale
impossibilita' di fare valere il diritto dinanzi ad un giudice. 
    La norma censurata, interpretata in questo  modo,  violerebbe  il
diritto di accesso a un tribunale, tutelato dall'art. 6, paragrafo 1,
della  CEDU,  e  il  divieto  di  interferenze  illegittime  con   la
proprieta' privata posto dall'art. 1 del primo Protocollo addizionale
alla Convenzione, come emergerebbe dalle sentenze della Corte europea
dei diritti dell'uomo Mottola  contro  Italia  e  Staibano  ed  altri
contro Italia del 4 febbraio  2014  (d'ora  in  avanti:  le  sentenze
Mottola e Staibano), secondo cui la decadenza in  questione  porrebbe
«un ostacolo procedurale che costituisce  una  sostanziale  negazione
del diritto invocato»  ed  escluderebbe  «un  giusto  equilibrio  tra
interessi pubblici e privati in gioco». 
    2.- Richiamando l'ordinanza di  rimessione  delle  sezioni  unite
della Corte di cassazione e ricalcandone la motivazione, il Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio e il  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania hanno sollevato questione  di  legittimita'
costituzionale della stessa disposizione. 
    Mentre l'ordinanza del primo, tuttavia, reca un identico  petitum
e gli stessi parametri interposti  della  questione  sollevata  dalle
sezioni unite, il secondo censura l'art. 69, comma 7, del  d.lgs.  n.
165 del 2001, «nella parte in cui non consente di  proporre  al  G.O.
senza incorrere in decadenza, dopo il 15/9/2000, l'azione relativa ai
fatti connessi al rapporto di impiego anteriori al 30/6/1998», e solo
in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della CEDU. 
    3.- In considerazione della parziale identita' di oggetto  e  dei
parametri evocati, nonche' delle argomentazioni  addotte  a  sostegno
della loro violazione, i giudizi  vanno  riuniti  per  essere  decisi
congiuntamente. 
    4.- In via preliminare deve essere dichiarata la inammissibilita'
della costituzione delle parti private M.C. P. e G. R.  nel  giudizio
iscritto al registro ordinanze n. 107 del 2016. 
    Essa, infatti, e' intervenuta in data 9 novembre 2017,  oltre  il
termine perentorio stabilito dall'art. 3 delle Norme integrative  per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ossia venti giorni dalla
pubblicazione dell'ordinanza nella Gazzetta Ufficiale (tra le  molte,
sentenze n. 102 del 2016,  n.  220  e  n.  128  del  2014;  ordinanza
allegata alla sentenza n.  173  del  2016),  avvenuta,  nel  caso  di
specie, il 1° giugno 2016. 
    5.- La questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dalle
sezioni unite della Corte di cassazione e' inammissibile. 
    6.- Il rimettente,  in  punto  di  motivazione  sulla  rilevanza,
ricorda che e' principio consolidato nella propria giurisprudenza che
il sindacato esercitato dalla Corte  di  cassazione  sulle  decisioni
rese dal Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 362, primo comma, del
codice di procedura civile e dell'art. 110 del decreto legislativo  2
luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo  amministrativo),  e'  consentito  solo  ove   si   richieda
l'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni  della
giurisdizione, per il riscontro  di  vizi  che  riguardano  l'essenza
della funzione giurisdizionale e  non  il  modo  del  suo  esercizio,
restando, invece, escluso ogni  sindacato  sui  limiti  interni,  cui
attengono gli errores in iudicando o in procedendo. 
    Secondo questo orientamento, pertanto,  i  motivi  deducibili  in
questa sede riguarderebbero solo le ipotesi in cui  si  prospetti  la
violazione dell'ambito della giurisdizione in generale -  per  essere
stata  esercitata  nella  sfera  riservata  al  legislatore  o   alla
discrezionalita'  amministrativa,   oppure,   al   contrario   negata
sull'erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto  in
modo assoluto di  funzione  giurisdizionale  (cosiddetto  rifiuto  di
giurisdizione) - o l'aver  pronunciato  su  materia  attribuita  alla
giurisdizione ordinaria o ad  altra  giurisdizione  speciale,  oppure
l'aver negato la propria giurisdizione nell'erroneo convincimento che
appartenga ad altro giudice (cosiddetto diniego di giurisdizione). 
    Il rimettente, tuttavia, aggiunge che (negli ultimi anni)  si  e'
andato  affermando  nella  sua  giurisprudenza  una   interpretazione
"evolutiva" e "dinamica"  del  concetto  di  giurisdizione,  che  gli
consentirebbe di sindacare non  solo  le  norme  che  individuano  «i
presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale»,  ma  anche
quelle che stabiliscono  «le  forme  di  tutela»  attraverso  cui  la
giurisdizione si estrinseca. 
    Questo concetto lato di giurisdizione  sarebbe  stato  utilizzato
per  cassare  una  sentenza  del  Consiglio  di   Stato   che   aveva
interpretato le norme di diritto interno in termini contrastanti  con
il diritto dell'Unione europea, per come acclarato da  una  pronuncia
della Corte di giustizia successivamente intervenuta. 
    Il  caso  di  specie  sarebbe  analogo  a  quest'ultimo,  con  la
particolarita'  che,  trattandosi  di   norme   convenzionali,   solo
sollevando la questione di costituzionalita'  si  eviterebbe  che  la
sentenza  gravata  esplichi  effetti  contrastanti   con   le   norme
sovranazionali cui lo Stato italiano e' tenuto a dare applicazione. 
    Ad avviso del rimettente, la situazione  in  esame  rientrerebbe,
inoltre, in uno di quei casi estremi in cui il giudice amministrativo
adotta una decisione «anomala o abnorme», omettendo  l'esercizio  del
potere giurisdizionale per errores in iudicando o in  procedendo  che
danno luogo al superamento dei limiti esterni e diventano sindacabili
per motivi inerenti alla giurisdizione. 
    7.-  Il  Policlinico  dell'Universita'  degli  studi  di   Napoli
Federico II (d'ora in avanti: l'Universita' di Napoli)  e  l'Istituto
nazionale per la previdenza sociale (INPS) hanno eccepito, invece, il
difetto di rilevanza della questione sollevata,  perche'  il  ricorso
per motivi inerenti alla  giurisdizione  celerebbe,  in  realta',  un
inammissibile ricorso per violazione di legge, non sindacabile  dalla
Corte di cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo ed ottavo  comma,
Cost.: i ricorrenti non avrebbero inteso ottenere dalle sezioni unite
una statuizione sulla giurisdizione quanto, piuttosto,  un  ulteriore
grado di giudizio, censurando un asserito error in iudicando. 
    L'estensione del concetto di limite esterno in chiave  "dinamica"
e di effettivita' della tutela giurisdizionale operata dal rimettente
non sarebbe condivisibile, anche alla luce del costante  orientamento
della stessa  Corte  di  cassazione,  secondo  cui  l'evoluzione  del
concetto di  giurisdizione  non  giustifica  il  ricorso  avverso  la
sentenza del Consiglio di  Stato,  ai  sensi  dell'art.  111,  ottavo
comma, Cost., quando, come nella specie, non si verta in  ipotesi  di
aprioristico diniego di giurisdizione, ma la tutela si assuma  negata
dal giudice speciale in conseguenza di errori di giudizio commessi in
relazione allo specifico caso sottoposto al suo esame. 
    Secondo l'INPS, poi, non sarebbe comunque configurabile, nel caso
di specie, una decisione «anomala o abnorme». 
    8.- Questa Corte e' dunque chiamata a  verificare,  su  specifica
eccezione  delle   parti   costituite   nel   giudizio   incidentale,
l'affermazione delle sezioni  unite  (come  organo  regolatore  della
giurisdizione e  non  nell'esercizio  della  funzione  nomofilattica)
circa  la  sussistenza  di  un  motivo  di  ricorso   inerente   alla
giurisdizione, quale presupposto della  legittima  instaurazione  del
giudizio a quo. 
    9.- La verifica deve essere operata tenendo  presente  che  nella
specie non si tratta  di  un'ordinaria  questione  di  giurisdizione,
avente ad oggetto la natura  della  situazione  giuridica  soggettiva
azionata,   ma   l'interpretazione   ed   applicazione    di    norme
costituzionali, e in particolare del comma ottavo dell'art. 111 Cost. 
    La questione rientra, dunque, nella competenza naturale di questa
Corte, quale interprete ultimo delle norme costituzionali e  -  nella
specie - di quelle che regolano i confini e l'assetto complessivo dei
plessi giurisdizionali. 
    10.- L'eccezione e' fondata. 
    11.- La tesi che il ricorso in  cassazione  per  motivi  inerenti
alla giurisdizione, previsto dall'ottavo comma  dell'art.  111  Cost.
avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte  dei  conti,
comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in  iudicando
non puo' qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiche' non
e'  compatibile  con  la   lettera   e   lo   spirito   della   norma
costituzionale. 
    Quest'ultima attinge il suo significato e  il  suo  valore  dalla
contrapposizione con il precedente  comma  settimo,  che  prevede  il
generale ricorso in cassazione per  violazione  di  legge  contro  le
sentenze degli  altri  giudici,  contrapposizione  evidenziata  dalla
specificazione che il ricorso avverso le sentenze  del  Consiglio  di
Stato e della Corte dei conti e' ammesso per i «soli» motivi inerenti
alla giurisdizione. 
    Ne consegue che deve ritenersi inammissibile ogni interpretazione
di  tali  motivi  che,  sconfinando  dal  loro  ambito  tradizionale,
comporti una piu' o meno  completa  assimilazione  dei  due  tipi  di
ricorso. 
    In una prospettiva di sistema, poi, la ricostruzione operata  dal
rimettente, parificando i due rimedi, mette in discussione la  scelta
di   fondo   dei   Costituenti   dell'assetto   pluralistico    delle
giurisdizioni. 
    12.- La corretta interpretazione  dell'art.  111,  ottavo  comma,
Cost.  e  il  suo  ruolo  determinante,  ai  fini   della   posizione
costituzionale del giudice amministrativo e di quello  contabile  nel
concerto delle giurisdizioni, sono stati messi chiaramente in luce da
questa Corte. 
    Con la sentenza n. 204  del  2004  si  e'  infatti  rilevato  che
l'unita' funzionale non implica unita' organica delle  giurisdizioni,
e che i Costituenti hanno ritenuto di  dover  tener  fermo  l'assetto
precostituzionale,  assetto  che   vedeva   attribuita   al   giudice
amministrativo la cognizione degli interessi legittimi e, nei casi di
giurisdizione   esclusiva,   dei   diritti   soggettivi    ad    essi
inestricabilmente connessi. 
    Nella  stessa  sentenza  si  e'   osservato   come   dai   lavori
dell'Assemblea  Costituente  emerga  chiaramente  che  cio'  comporta
l'esclusione della «soggezione delle decisioni del Consiglio di Stato
e della Corte dei conti al controllo di legittimita' della  Corte  di
cassazione»  e  la  sua  limitazione  «al  solo  "eccesso  di  potere
giudiziario", coerentemente alla "unita' non organica, ma  funzionale
di giurisdizione, che non esclude, anzi implica,  una  divisione  dei
vari ordini di giudici  in  sistemi  diversi,  in  sistemi  autonomi,
ognuno dei quali fa parte a se'" (cosi' Mortati,  seduta  pomeridiana
del 27 novembre 1947)». 
    Con la sentenza n. 77 del 2007, poi, occupandosi della translatio
iudicii, questa Corte ha aggiunto  che  «perfino  il  supremo  organo
regolatore della giurisdizione, la Corte di cassazione,  con  la  sua
pronuncia puo' soltanto, a norma dell'art. 111, comma ottavo,  Cost.,
vincolare il Consiglio di Stato e la  Corte  dei  conti  a  ritenersi
legittimati a  decidere  la  controversia,  ma  certamente  non  puo'
vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di  merito  o  di
rito) di tale decisione». 
    13.-  Di  tutto  cio'  e'  consapevole  anche  la  giurisprudenza
maggioritaria delle  stesse  sezioni  unite,  la  quale  continua  ad
affermare che «Il cattivo esercizio della  propria  giurisdizione  da
parte del giudice, che provveda perche' investito di essa e,  dunque,
ritenendo   esistente   la   propria   giurisdizione   e,   tuttavia,
nell'esercitarla, applichi regole di giudizio che lo portino a negare
tutela  alla  situazione  giuridica  azionata,  si  risolve  soltanto
nell'ipotetica commissione di un errore all'interno di essa»; e  che,
«poiche'  la  distinzione  fra  la  giurisdizione  ordinaria   e   le
giurisdizioni speciali ha come implicazione necessaria  che  ciascuna
giurisdizione si eserciti con l'attribuzione  all'organo  di  vertice
interno al plesso giurisdizionale del controllo e  della  statuizione
finale sulla correttezza in iure ed in facto di tutte le  valutazioni
che sono necessarie per decidere sulla controversia, salvo quelle che
implichino negazione astratta della  tutela  giurisdizionale  davanti
alla giurisdizione speciale ed a  qualsiasi  giurisdizione  (rifiuto)
oppure alla negazione della giurisdizione accompagnino  l'indicazione
di altra giurisdizione (diniego), non e' possibile  prospettare  che,
fuori di  tali  due  casi,  il  modo  in  cui  tale  controllo  viene
esercitato dall'organo di vertice della  giurisdizione  speciale,  se
anche si sia risolto in concreto nel negare erroneamente tutele  alla
situazione giuridica azionata, sia suscettibile di controllo da parte
delle Sezioni Unite» (Corte di cassazione, sezioni  unite,  6  giugno
2017, n. 13976; nello stesso senso,  tra  le  piu'  recenti,  sezioni
unite, 19 settembre 2017, n. 21617; 29 marzo 2017, n. 8117). 
    14.- L'opposto filone giurisprudenziale, del resto, argomenta  la
sua tesi sulla base di considerazioni che sono o prive di  fondamento
o estranee  ad  una  questione  qualificabile  come  propriamente  di
giurisdizione, e cioe' richiamando  principi  fondamentali  quali  la
primazia del diritto comunitario,  l'effettivita'  della  tutela,  il
giusto processo e l'unita' funzionale della giurisdizione. 
    Privo di fondamento e' il riferimento a  quest'ultimo  principio,
attese le opposte conclusioni - gia'  evidenziate  -  cui  e'  giunta
questa Corte circa la non coincidenza fra unita' funzionale e  unita'
organica. 
    Quanto all'effettivita' della tutela e al  giusto  processo,  non
c'e' dubbio che  essi  vadano  garantiti,  ma  a  cura  degli  organi
giurisdizionali a cio' deputati dalla Costituzione e non in  sede  di
controllo sulla giurisdizione. 
    Ne' l'allargamento del  concetto  di  giurisdizione  puo'  essere
giustificato dalla presunta eccessiva  espansione  delle  ipotesi  di
giurisdizione esclusiva, poiche' esse, come e' noto,  sono  state  da
questa  Corte  contenute  nei  limiti  tracciati  dalla  Costituzione
(sentenze n. 191 del 2006 e n. 204 del 2004); d'altro canto,  «e'  la
stessa Carta costituzionale a prevedere che siano sottratte al vaglio
di legittimita' della Corte di cassazione le pronunce che investono i
diritti soggettivi  nei  confronti  dei  quali,  nel  rispetto  della
"particolarita'"  della  materia  nel  senso   sopra   chiarito,   il
legislatore ordinario prevede la giurisdizione esclusiva del  giudice
amministrativo» (sentenza n. 204 del 2004). 
    14.1.- L'intervento delle sezioni unite, in sede di controllo  di
giurisdizione, nemmeno puo' essere giustificato dalla  violazione  di
norme  dell'Unione  o  della  CEDU,  non  essendo  peraltro   chiaro,
nell'ordinanza  di  rimessione  e  nella  stessa  giurisprudenza  ivi
richiamata, se cio' valga sempre  ovvero  solo  in  presenza  di  una
sentenza sopravvenuta della Corte  di  giustizia  o  della  Corte  di
Strasburgo. In ogni caso,  ancora  una  volta,  viene  ricondotto  al
controllo di giurisdizione un  motivo  di  illegittimita'  (sia  pure
particolarmente   qualificata),   motivo   sulla   cui    estraneita'
all'istituto in esame non e' il caso di tornare. 
    Rimane il fatto che, specialmente nell'ipotesi di  sopravvenienza
di una decisione contraria delle Corti  sovranazionali,  il  problema
indubbiamente esiste, ma deve trovare la sua soluzione all'interno di
ciascuna giurisdizione, eventualmente anche  con  un  nuovo  caso  di
revocazione di cui all'art. 395 cod. proc. civ.,  come  auspicato  da
questa Corte con riferimento alle sentenze della Corte EDU  (sentenza
n. 123 del 2017). 
    15.- L'«eccesso  di  potere  giudiziario»,  denunziabile  con  il
ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come e'
sempre stato inteso, sia prima che dopo l'avvento della Costituzione,
va riferito,  dunque,  alle  sole  ipotesi  di  difetto  assoluto  di
giurisdizione, e cioe' quando il Consiglio di Stato o  la  Corte  dei
conti affermi la  propria  giurisdizione  nella  sfera  riservata  al
legislatore   o   all'amministrazione   (cosiddetta    invasione    o
sconfinamento),  ovvero,  al   contrario,   la   neghi   sull'erroneo
presupposto che la materia non puo' formare oggetto, in via assoluta,
di cognizione giurisdizionale (cosiddetto  arretramento);  nonche'  a
quelle di  difetto  relativo  di  giurisdizione,  quando  il  giudice
amministrativo  o  contabile  affermi  la  propria  giurisdizione  su
materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario,  la  neghi
sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. 
    16.- Il concetto di controllo di giurisdizione,  cosi'  delineato
nei termini puntuali che ad esso sono propri, non  ammette  soluzioni
intermedie, come quella pure proposta nell'ordinanza  di  rimessione,
secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi  in
cui si sia in presenza di sentenze "abnormi" o  "anomale"  ovvero  di
uno "stravolgimento", a volte  definito  radicale,  delle  "norme  di
riferimento". 
    Attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravita' del vizio
e', sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli  ambiti
di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto
affidato a valutazioni contingenti e soggettive. 
    17.- Alla stregua del cosi' precisato  ambito  di  controllo  sui
"limiti esterni" alla giurisdizione non e' consentita la  censura  di
sentenze con le quali il giudice amministrativo  o  contabile  adotti
una interpretazione di una norma processuale o  sostanziale  tale  da
impedire la piena conoscibilita' del merito della domanda. 
    Ne  consegue,  nel  caso  di  specie,  l'inammissibilita'   della
questione sollevata  per  difetto  di  rilevanza,  in  ragione  della
mancanza di legittimazione del giudice a quo. 
    18.- Anche la questione di legittimita' costituzionale  sollevata
dal TAR Campania e' inammissibile. 
    A  differenza   della   Corte   di   cassazione,   il   Tribunale
amministrativo non invoca un'ablazione (parziale) della  disposizione
censurata, ma una  pronuncia  additiva  che  attribuisca  al  giudice
ordinario la giurisdizione sulle controversie relative al rapporto di
pubblico impiego (anche)  per  fatti  anteriori  al  30  giugno  1998
proposte dopo il 15 settembre del 2000. 
    Il rimettente, tuttavia, nel motivare le ragioni della richiesta,
si limita ad affermare che essa sarebbe in linea con la finalita'  di
concentrazione avanti ad un unico giudice -  finalita'  sottesa  alla
riforma recata dal d.lgs. n. 165 del 2001 - e con la esigenza di  non
coinvolgere  troppo  a  lungo  il  giudice  amministrativo   in   una
giurisdizione ormai perduta. 
    La scarna motivazione nulla dice sul perche' l'addizione invocata
sia considerata costituzionalmente obbligata, specie ove si consideri
che la giurisdizione che si vorrebbe attribuire al giudice  ordinario
riguarderebbe  anche  fatti  relativi  al  rapporto  di  lavoro  alle
dipendenze della pubblica amministrazione per  il  periodo  anteriore
all'entrata in vigore del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.  29
(Razionalizzazione   della   organizzazione   delle   amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego, a norma dell'articolo 2 della  legge  23  ottobre  1992,  n.
421),  quando,   cioe',   quel   rapporto   era   ancora   pienamente
pubblicistico  e   quindi   notoriamente   contrassegnato   anche   e
soprattutto da posizioni di interesse legittimo, che cosi' verrebbero
distratte  dal  giudice  naturale,  che  e'   quello   amministrativo
(sentenza n. 140 del 2007). 
    19.- La questione di costituzionalita' sollevata  dal  TAR  Lazio
non e' fondata. 
    20.- L'assunto da cui muove il rimettente, secondo cui l'art. 69,
comma 7, nel prevedere la decadenza dall'azione, si pone in contrasto
con i parametri interposti, come acclarato dalle sentenze  Mottola  e
Staibano, e, per questa via, con l'art. 117, primo comma, Cost.,  non
e' corretto. 
    20.1.- Come gia' rilevato da  questa  Corte,  le  sentenze  della
Corte EDU «hanno accertato, in primo luogo, la violazione del diritto
dei ricorrenti all'equo processo, non essendo stato loro  consentito,
in concreto, di accedere a un tribunale, dal momento che  il  termine
dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, prima interpretato
dalla  giurisprudenza  come  termine  di  proponibilita'  dell'azione
davanti al giudice amministrativo con salvezza di azione  davanti  al
giudice  ordinario,  e'  stato  poi  ritenuto  termine  di  decadenza
sostanziale.  Secondo  la  Corte  EDU,  il  mutamento  di   indirizzo
giurisprudenziale  (e  non   il   termine   previsto   dalla   norma,
"finalizzato alla buona amministrazione della giustizia"  e  "in  se'
non eccessivamente breve") ha  impedito  ai  ricorrenti  di  ottenere
tutela, nonostante avessero  "adito  i  tribunali  amministrativi  in
completa buona fede e sulla  base  di  un'interpretazione  plausibile
delle norme sulla ripartizione delle competenze"»  (sentenza  n.  123
del 2017). 
    Sempre secondo la Corte di Strasburgo,  in  base  a  quest'ultima
interpretazione - secondo cui  l'art.  69,  comma  7,  non  pone  una
decadenza dall'azione ma e' un  mero  spartiacque  temporale  tra  le
giurisdizioni - i  ricorrenti  che  avessero  adito  erroneamente  il
giudice amministrativo avrebbero potuto «riassumere» o proseguire  il
giudizio davanti al giudice ordinario; a  seguito  di  un  «mutamento
giurisprudenziale», tuttavia, il Consiglio di Stato avrebbe  impedito
ai ricorrenti «di godere di questa importante tutela». 
    20.2.- Non e' inopportuno rilevare, innanzitutto, come  una  piu'
completa ricostruzione del panorama giurisprudenziale  interno  possa
far dubitare che nel caso che ha dato origine alle sentenze Mottola e
Staibano vi sia stata davvero la  "sorpresa"  della  buona  fede  dei
ricorrenti su cui esse poggiano. 
    Le pronunce in  questione  sembrano  ignorare,  infatti,  che  la
giurisprudenza della  Corte  di  cassazione,  quanto  meno  dal  2001
(sezioni unite civili, 27 marzo 2001, n. 139; 4 giugno 2002, n. 8089;
30 gennaio 2003, n. 1511; 3 maggio 2005, n. 9101; 3 novembre 2005, n.
21289; 27 febbraio 2013, n.  4846;  30  settembre  2014,  n.  20566),
afferma che l'art. 69, comma 7, non pone una questione di riparto  di
giurisdizione ma di decadenza dall'azione, con la conseguenza che  il
giudice  regolatore  della  giurisdizione  ha   sempre   escluso   la
cognizione del giudice ordinario sulle controversie in esame. 
    Tale  incompleta  ricostruzione  del   quadro   giurisprudenziale
interno sarebbe dovuta, secondo l'Universita' di Napoli, che  lamenta
di non aver potuto prendere parte al processo convenzionale,  ad  una
carente esposizione dei fatti ad opera dello  Stato  italiano,  unica
parte (oltre ai ricorrenti) nel giudizio davanti alla Corte  EDU  (il
serio problema della mancata partecipazione dei terzi a tale giudizio
e' gia' stato messo in luce da questa Corte con la citata sentenza n.
123 del 2017). 
    20.3.- In ogni caso, quello  che  non  e'  in  discussione  nelle
sentenze della Corte EDU e' la coerenza  della  norma  censurata  dai
rimettenti con i parametri convenzionali, poiche' essa, di  per  se',
fissa un termine ispirato ad una finalita'  legittima  e  (piu'  che)
ragionevole,  il   che,   evidentemente,   esclude   anche   la   sua
illegittimita' costituzionale. 
    Del resto, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69,
comma 7, sollevate sulla base di diversi parametri  interni  -  nella
sostanza coincidenti con quelli convenzionali invocati dal rimettente
- sono state sempre rigettate da questa Corte (ordinanze n.  197  del
2006, n. 328 e n. 213 del 2005, n. 214 del 2004). 
    L'assunto da cui muove la Corte EDU - e cioe' l'effetto  sorpresa
derivante dal mutamento giurisprudenziale nell'interpretazione  della
norma -  potrebbe  condurre,  semmai,  sussistendone  i  presupposti,
all'applicazione dell'istituto della rimessione in termini per errore
scusabile, attualmente disciplinato dall'art. 37 del  d.lgs.  n.  104
del 2010,  ai  sensi  del  quale  «il  giudice  puo'  disporre  anche
d'ufficio la rimessione in termini in presenza di  oggettive  ragioni
di incertezza su questioni di  diritto  o  di  gravi  impedimenti  di
fatto».