ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
739, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di  stabilita'  2016)»,   promosso   dalla   Commissione   tributaria
provinciale di Pescara, nel procedimento vertente tra  Studio  Cinque
Outdoor srl e il Comune di Montesilvano e altra, con ordinanza del 1°
febbraio 2017, iscritta al  n.  66  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  20,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 dicembre  2017  il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Pescara,   con
ordinanza del 1° febbraio 2017, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 23, 53,  97,  102,  114,  117,  sesto  comma,  in  relazione
all'art. 4, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131  (Disposizioni
per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L. Cost.  18
ottobre  2001,  n.  3),  e  119  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 739,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», nella parte in cui non estende a tutti i  Comuni  l'efficacia
dell'abrogazione della  facolta'  di  aumento  delle  "tariffe  base"
dell'imposta comunale di pubblicita'  (ICP),  disciplinata  dall'art.
11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n.  449  (Misure  per  la
stabilizzazione della finanza pubblica),  come  modificato  dall'art.
30,  comma  17,  della  legge  23  dicembre  1999,  n.  488,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato. (Legge finanziaria 2000)». 
    La disposizione censurata prevede che: «[l]'articolo 23, comma 7,
del  decreto-legge  22  giugno   2012,   n.   83,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in  cui
abroga l'articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449,
relativo  alla  facolta'  dei  comuni   di   aumentare   le   tariffe
dell'imposta comunale sulla pubblicita', ai sensi e per  gli  effetti
dell'articolo 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel
senso che l'abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano gia'
avvalsi di tale facolta' prima della data di entrata  in  vigore  del
predetto articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012». 
    2.- La Commissione tributaria provinciale rimettente riferisce di
essere chiamata a pronunciarsi a seguito dell'impugnazione di un atto
di accertamento relativo all'imposta comunale sulla  pubblicita'  del
Comune di Montesilvano per l'anno 2015 - sostitutivo di un precedente
atto e recante una rimodulazione degli importi dovuti  a  seguito  di
mediazione tributaria - censurato  in  relazione  alle  modalita'  di
accertamento dell'imposta,  con  richiesta,  altresi',  di  sollevare
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  739,
della legge n. 208 del 2015. 
    2.1.- Premette il giudice a  quo  che  l'imposta  comunale  sulla
pubblicita' e' disciplinata dal Capo I  del  decreto  legislativo  15
novembre 1993,  n.  507  (Revisione  ed  armonizzazione  dell'imposta
comunale sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche  affissioni,
della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e
delle province nonche' della tassa per  lo  smaltimento  dei  rifiuti
solidi urbani a norma dell'art. 4 della legge  23  ottobre  1992,  n.
421, concernente il riordino  della  finanza  territoriale),  che  ha
introdotto una "tariffa base" a carico delle  imprese  pubblicitarie,
applicandola ai Comuni, soggetti attivi di tale imposta, suddivisi in
cinque classi a  seconda  del  numero  degli  abitanti,  in  ossequio
all'art. 53 Cost.  (art.  2);  tariffa  base  a  cui  il  regolamento
comunale puo' apportare una serie  di  maggiorazioni  previste  dallo
stesso d.lgs. n. 507 del 1993. Il Comune interessato,  quindi,  entro
il 31 marzo dell'anno di riferimento dell'imposta,  deve  determinare
l'ammontare di essa con le varie maggiorazioni. 
    Nella tracciata ricostruzione, il rimettente precisa  che  l'art.
3, comma 5, del d.lgs. n. 507 del 1993, dispone, in caso  di  mancata
delibera  per  gli  anni  successivi  a  quello   di   adozione   del
regolamento, che  sono  prorogate  le  tariffe  dell'anno  precedente
(principio di "ultrattivita' delle tariffe"). 
    L'art. 11, comma 10, della legge n.  449  del  1997,  «nel  testo
modificato dall'art. 30, 1° comma, n. 388/1999 (recte: art. 30, comma
17, della legge n. 488  del  1999),  ha  previsto  per  i  Comuni  la
facolta' di stabilire ulteriori maggiorazioni, fino al cinquanta  per
cento  dell'imposta,  in  considerazione  delle  differenti   realta'
socio-economiche del territorio di riferimento. 
    Tale facolta' e' stata sospesa dapprima dall'art. 1, comma 7, del
decreto-legge  27  maggio  2008,  n.  93  (Disposizioni  urgenti  per
salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito,  con
modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126. La sospensione  e'
stata poi confermata, per il triennio 2009-2011, dall'art. 77-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133.
Successivamente, l'art. 4, comma 4, del decreto-legge 2  marzo  2012,
n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie,
di efficientamento e potenziamento delle procedure di  accertamento),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44,  ha
abrogato l'art. 77-bis, comma 30, del d.l.  n.  112  del  2008  e  la
sospensione, da esso  prevista,  del  potere  degli  enti  locali  di
adottare aumenti delle aliquote. 
    Limitatamente  alle  tariffe  dell'imposta  di  pubblicita',   da
ultimo, e' intervenuto l'art.  23,  comma  7,  del  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti  per  la  crescita  del  Paese),
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che
ha definitivamente abrogato la  facolta'  di  disporre  le  ulteriori
maggiorazioni all'ICP, introdotta dall'art. 11, comma 10, della legge
n. 449 del 1997. L'art. 23, comma  11,  del  d.l.  n.  83  del  2012,
nondimeno, prevedeva che i procedimenti avviati in data  anteriore  a
quella di entrata in vigore del decreto-legge  fossero  disciplinati,
fino alla loro definizione, dalle disposizioni abrogate. 
    Secondo il giudice  rimettente  cio'  avrebbe  fatto  sorgere  un
problema interpretativo sull'esatta applicazione di  tale  normativa,
in particolare riguardo alla  circostanza  se  le  delibere  comunali
confermative  delle   precedenti   delibere,   recanti   le   tariffe
maggiorate, fossero illegittime o  comunque  disapplicabili  per  gli
anni successivi al 2012. 
    Infatti, molti Comuni avevano inteso la disposizione  di  cui  al
citato comma 11 come clausola di salvaguardia degli aumenti  disposti
prima dell'abrogazione, che  quindi  potevano  continuare  ad  essere
applicati; le imprese di pubblicita', d'altro canto,  originavano  un
notevole contenzioso finalizzato a ripristinare le tariffe originarie
ai sensi del Capo I del d.lgs. n. 507 del 1993. 
    Sul punto e' intervenuta la  sentenza  del  Consiglio  di  Stato,
sezione  quinta,  22  dicembre  2014,  n.  6201,  stabilendo  che  le
delibere, anche tacite, confermative delle tariffe applicate in  base
alla legge n. 449 del l997, poi abrogata, fossero illegittime; atteso
il mutamento della  disciplina  nazionale  di  riferimento,  infatti,
anche la  mera  conferma  rappresenterebbe  una  modificazione  delle
tariffe, effettuata in base ad una disposizione non piu' vigente. 
    Diversamente, il parere del Consiglio di giustizia amministrativa
per la Regione siciliana 13 gennaio 2015, n. 368 ha ritenuto  che  la
disposizione in questione comportasse solamente  l'illegittimita'  di
nuovi aumenti, disposti in data successiva all'entrata in vigore  del
d.l. n. 83 del 2012.  Impostazione  accolta  anche  dalla  successiva
giurisprudenza amministrativa, che ha considerato  gli  aumenti  gia'
disposti applicabili anche successivamente  al  2012,  attraverso  la
proroga del regime stabilito dalle  norme  poi  abrogate  (cosi'  TAR
Veneto, sezione terza, Venezia, sentenza 7 ottobre 2015, n. 1001; TAR
Abruzzo, sezione prima, Pescara, sentenza 15 luglio 2016, n. 269). 
    La disposizione censurata, dunque,  sarebbe  stata  adottata  dal
legislatore proprio al fine di risolvere tale  contenzioso,  fornendo
un'interpretazione autentica della norma abrogatrice  della  facolta'
concessa ai Comuni di aumentare le tariffe. 
    2.2.- Secondo il giudice rimettente sarebbe evidente la rilevanza
della  questione  ai  fini  della  decisione  del  ricorso  sull'atto
impugnato. L'individuazione della tariffa  dell'ICP  applicabile  per
l'anno 2015, infatti, sarebbe determinante  per  la  risoluzione  del
giudizio, essendo state  applicate  dal  Comune  di  Montesilvano  le
maggiorazioni stabilite dalla legge n. 449 del  1997  (gia'  previste
dalla deliberazione del Consiglio comunale del 23 dicembre  2010,  n.
194), in virtu'  del  principio  di  "ultrattivita'"  delle  tariffe.
L'estensione dell'effetto abrogativo di cui all'art. 23, comma 7, del
d.l. n. 83 del 2012,  invece,  non  consentirebbe  di  richiedere  il
pagamento dell'imposta maggiorata. 
    Se il comma 739 dell'art. l della  legge  n.  208  del  2015  non
avesse  disciplinato  i  limiti  e  la  portata  della   disposizione
abrogativa, infatti, la Commissione tributaria provinciale,  aderendo
alla tesi della sentenza del Consiglio di Stato  n.  6201  del  2014,
avrebbe disapplicato la delibera  tacita  di  proroga  delle  tariffe
dell'ICP.  Invece,  la  disposizione  censurata  avrebbe  creato  due
diversi regimi giuridici applicabili in materia di tariffe  sull'ICP,
rendendo possibile l'esercizio della facolta' di aumento - o  meglio,
di continuare ad applicare l'aumento gia' deliberato - unicamente per
quei Comuni che si fossero avvalsi di tale facolta' prima della  data
di entrata in vigore del predetto decreto-legge. 
    2.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
ritiene opportuno chiarire l'esatta natura della disposizione oggetto
d'esame. 
    Il legislatore avrebbe utilizzato lo strumento della disposizione
d'interpretazione autentica, ai sensi degli artt. l, comma  2,  e  3,
comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in  materia
di statuto dei  diritti  del  contribuente),  in  quanto  unico  caso
consentito di disposizioni tributarie  retroattive  (sono  richiamate
sentenze n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 e n. 257  del  2011,
n. 209 del 2010, n. 74 del 2008 e n. 234 del 2007). 
    La disposizione censurata, in realta', abrogherebbe  parzialmente
la disposizione interpretata, privando di effetti  l'abrogazione  del
potere di aumento delle tariffe per i Comuni che se ne  fossero  gia'
avvalsi, facendo  cosi'  salvi  tutti  gli  atti  confermativi  degli
aumenti,  anche  successivi  all'entrata  in   vigore   della   legge
abrogatrice. 
    Cio' che rileverebbe nella circostanza in esame, quindi,  sarebbe
la portata novativa della disposizione, surrettiziamente retroattiva,
stante  l'assenza  delle  possibili  varianti  di  senso  del   testo
originario; mancherebbe, infatti, qualsiasi  appiglio  semantico  che
giustifichi  un'interpretazione   riconducibile   ad   un'abrogazione
parziale. L'obiettivo perseguito dal legislatore sembrerebbe, allora,
quello  di  risolvere  il  contenzioso   insorto   e   potenzialmente
producibile, legittimando gli aumenti di imposta reiterati dai Comuni
sulla base di una legge ormai abrogata. 
    Emergerebbe,  inoltre,  un  profilo   di   contraddittorieta'   e
d'incoerenza tra norme. L'abrogazione dell'art. 11, comma  10,  della
legge n. 449 del 1997  sarebbe  tesa  ad  una  stabilizzazione  delle
tariffe; l'art. 1, comma 739, della legge n. 208  del  2015,  invece,
avrebbe azzerato tale voluntas legis, «realizzando un  doppio  regime
impositivo irragionevole e soprattutto in contrasto con i principi di
uguaglianza e parita' di trattamento, espressione,  peraltro,  di  un
uso distorto della discrezionalita' legislativa»  (e'  richiamata  la
sentenza n. 313 del 1995). 
    Non si evincerebbe dalla denunciata disposizione  neppure  se  la
preclusione della facolta' di  continuare  ad  applicare  le  tariffe
maggiorate valga solo per Comuni che  non  abbiano  mai  operato  gli
aumenti nel periodo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, oppure  anche
per quelli che abbiano deliberato gli aumenti per poi procedere,  per
intervenute  scelte  di  merito  amministrativo,  a  ripristinare  la
tariffa base. In tal modo, le stesse amministrazioni potrebbero anche
decidere di ridurre la percentuale di incremento stabilita, per  poi,
in un periodo d'imposta successivo, tornare a  operare  gli  aumenti.
Tale ampia facolta' deriverebbe dalla locuzione introdotta nel  comma
739, e sarebbe illegittima in quanto concessa non gia' con  efficacia
erga omnes, ma  solo  ad  alcuni  Comuni,  per  i  quali  si  sarebbe
ripristinato il regime giuridico preesistente al d.l. n. 83 del 2012. 
    La natura stessa della disposizione, infine, non ne consentirebbe
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata,  poiche'   l'unica
interpretazione praticabile imporrebbe di ritenere non manifestamente
infondati i dubbi di costituzionalita'. Qualora non  vi  fosse  stato
l'intervento legislativo, invece,  sarebbe  stato  possibile  fornire
un'interpretazione coerente con i principi di cui agli artt. 3  e  53
Cost.,  ritenendo  l'abrogazione   delle   maggiorazioni   tariffarie
applicabile a tutti i Comuni. 
    2.3.1.- In particolare sarebbero violati gli artt.  3,  53  e  97
Cost.,  poiche'  dall'applicazione   della   disposizione   censurata
conseguirebbe    una    duplice    irragionevole     discriminazione:
istituzionale,  cioe'  tra  i  Comuni,  e  soggettiva,  ossia  tra  i
contribuenti. 
    In tal modo, per una categoria di Comuni si  sarebbe  creata  una
nuova   tariffa   base,   consolidando   gli   aumenti    all'interno
dell'imposta; il  che  rivelerebbe  l'estensione  della  disposizione
censurata ben al di la'  di  quella  che  si  vorrebbe  interpretare,
incidendo anche sulla disciplina generale della materia. 
    Sarebbe del tutto irragionevole e discriminatorio  stabilire  per
legge che possa procedersi al rinnovo tacito  delle  tariffe  recanti
maggiorazioni sulla base di una legge abrogata,  poiche'  il  rinnovo
sarebbe equiparabile ad un  nuovo  provvedimento  di  conferma  delle
statuizioni  comunali,  adottato  in  carenza  di  una   disposizione
legislativa che lo legittimi. 
    La disposizione lederebbe anche il principio di progressivita' di
cui all'art. 53, secondo comma, Cost., in  quanto  la  progressivita'
sarebbe  ancorata  a  un   criterio   iniquo,   ossia   all'eventuale
"tempestivita'" di alcuni Comuni nell'applicare le maggiorazioni  nel
periodo in cui erano legislativamente previste. 
    2.3.2.- La  denunciata  disparita'  di  trattamento  inciderebbe,
inoltre, anche sull'autonomia finanziaria dei Comuni, violando l'art.
119 Cost., in combinato disposto con gli artt. 23 e 117, sesto comma,
Cost. (quest'ultimo in relazione all'art. 4, comma 4, della legge  n.
131 del 2003). 
    Secondo  il  giudice  rimettente  la  potesta'  regolamentare  in
materia tributaria dei Comuni dovrebbe  derivare  da  una  disciplina
legislativa statale che, a sua  volta,  necessiterebbe  di  requisiti
minimi di uniformita' per gli amministrati. Tali requisiti  sarebbero
seriamente compromessi, perche' tutti gli aumenti  tariffari  operati
durante il periodo del blocco degli aumenti sarebbero da considerarsi
contra  legem,   in   virtu'   dell'illegittimita'   delle   delibere
confermative, novative, o semplicemente delle proroghe  previste  dal
comma 5 dell'art. 3 del d.lgs. n. 507 del 1993, applicate in  assenza
di copertura legislativa. 
    Con l'approvazione dell'art. 1, comma 739, della legge n. 208 del
2015,  dunque,  si  sarebbe  operata  una  sanatoria  degli   aumenti
illegittimi sin dalla loro prima adozione, in  aperta  violazione  di
uno dei principi cardine dell'art. 23 Cost.,  creando  una  copertura
legislativa ex post per tutte le  delibere  recanti  incrementi  alle
tariffe, anche per quelle illegittimamente adottate. 
    2.3.3.- Ai profili di dubbia legittimita' costituzionale sin  qui
illustrati, si affiancherebbe anche quello  relativo  all'illegittima
interferenza con la funzione giurisdizionale. 
    Il giudice rimettente - ritenendo che l'onere di deliberare  ogni
anno le tariffe tributarie,  sia  in  forma  tacita,  sia  esplicita,
imporrebbe al Comune di conformare la propria  decisione  alla  norma
nazionale di riferimento vigente - assume che, in virtu' dei principi
lex posterior derogat priori e,  soprattutto,  lex  primaria  derogat
legi subsidiariae, il mantenimento delle tariffe  incrementate  negli
anni d'imposta  successivi  all'abrogazione  della  disposizione  che
autorizzava tali incrementi dovrebbe considerarsi  contra  ius.  Cio'
sarebbe stato gia' chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato  n.
6201 del 2014. 
    L'art. 1, comma 739, della legge n. 208 del 2015, con l'obiettivo
di realizzare una sanatoria a favore dei Comuni promotori di prelievi
tributari privi di  copertura  legislativa,  avrebbe  introdotto  una
disciplina innovativa  e  pseudo-interpretativa,  che  interferirebbe
illegittimamente con la funzione giurisdizionale (sono richiamate  le
sentenze n. 155 del 1990, n. 233 del 1988 e n. 187 del 1981). 
    Il vero naturale destinatario di  un  intervento  legislativo  di
interpretazione  autentica,  d'altronde,  sarebbe  il  giudice,   che
applica la legge al caso concreto.  Dunque,  la  circostanza  che  il
Consiglio di Stato si fosse gia'  espresso  con  una  interpretazione
conforme al dettato legislativo sarebbe sintomatica  della  effettiva
finalita' della disposizione censurata, ossia quella  di  sanare  una
diversa interpretazione, peraltro illegittima e contraria ai principi
costituzionali. 
    La  norma  censurata,  quindi,  inciderebbe  negativamente  sulle
attribuzioni costituzionalmente riservate all'autorita'  giudiziaria,
violando cosi' l'art. 102 Cost., poiche' travolgerebbe gli effetti di
pronunce divenute irrevocabili, definendo sostanzialmente,  con  atto
legislativo, l'esito dei giudizi in corso (si richiamano sentenze  n.
209 del 2011, n. 311 del 1995 e n. 155 del 1990). 
    2.3.4.-  L'ordinanza  di   rimessione,   da   ultimo,   denuncia,
nell'epigrafe e nelle conclusioni, la violazione dell'art. 114 Cost. 
    3.- Con atto depositato  il  6  giugno  2017  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate inammissibili. 
    3.1.-  Secondo   l'interveniente,   la   Commissione   tributaria
provinciale di Pescara fonderebbe  il  suo  ragionamento  su  di  una
lettura erronea della disposizione censurata. 
    Tale disposizione, di  effettiva  interpretazione  autentica,  si
sarebbe limitata a chiarire che l'intervenuta abrogazione non avrebbe
potuto incidere retroattivamente rispetto alle  delibere  di  aumento
delle tariffe anteriori al 2012. 
    Cio' sarebbe confermato dalla giurisprudenza amministrativa  gia'
formata al riguardo. Il TAR Abruzzo, sezione prima, Pescara,  con  la
sentenza 15 luglio 2016, n. 267, emessa proprio in un giudizio in cui
era coinvolto lo stesso  Comune  di  Montesilvano,  infatti,  avrebbe
precisato  che  «l'abrogazione   della   norma   che   prevedeva   la
possibilita' di aumentare le tariffe, se ha privato (per  il  futuro)
gli enti locali di tale potere, non ha invece  inciso  sulle  tariffe
gia' deliberate, non essendo stato disposto  alcunche'  di  esplicito
riguardo ad esse. Operando l'abrogazione "dalla data  di  entrata  in
vigore del presente decreto-legge", il comma  739  non  autorizza  la
conclusione  che  il   legislatore   abbia   inteso   effettuare   un
generalizzato ripristino  della  tariffa  base  estendendo  l'effetto
abrogativo anche alle tariffe legittimamente maggiorate». Dunque,  la
norma interpretativa individuerebbe un  significato  gia'  ricavabile
dalla   disposizione   interpretata,   «limitandosi   ad    espungere
interpretazioni tali da far retroagire l'effetto  abrogativo  a  data
precedente l'entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012.». 
    L'art. l, comma 739, della legge n. 208 del 2015,  pertanto,  ben
avrebbe potuto  essere  interpretato  in  senso  difforme  da  quello
ritenuto dal giudice a quo. 
    Il rimettente, invece, non si  sarebbe  dato  carico  di  fornire
un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, tale  da
delimitarne la portata in conformita' al dettato costituzionale,  nel
senso di far salve le delibere comunali anteriori al 2012 e non certo
di creare un permanente doppio regime, con enti locali dispensati dal
divieto di aumentare le tariffe  anche  dopo  il  2012.  L'avvocatura
generale dello Stato richiama, in proposito, il costante orientamento
di questa Corte secondo cui, «"in linea di principio, le leggi non si
dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile  darne
interpretazioni incostituzionali" (ex multis,  sentenza  n.  356  del
1996) e conseguentemente, di fronte ad  alternative  ermeneutiche  di
questo tipo, debba essere privilegiata quella che il giudice  ritiene
conforme a Costituzione» (e' citata la sentenza n. 113 del 2015). 
    L'inammissibilita'  della  questione   non   potrebbe   ritenersi
superata neanche in base alla natura  della  disposizione  censurata,
che  secondo  il  giudice  rimettente  escluderebbe  in   radice   la
possibilita' d'interpretare la stessa in  maniera  costituzionalmente
orientata. Infatti, non si comprenderebbe per quale ragione una norma
d'interpretazione autentica non possa essere essa stessa  oggetto  di
diverse interpretazioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Pescara,   con
ordinanza del 1° febbraio 2017, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 23, 53,  97,  102,  114,  117,  sesto  comma,  in  relazione
all'art. 4, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131  (Disposizioni
per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L. Cost.  18
ottobre  2001,  n.  3),  e  119  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 739,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)». 
    Tale  disposizione   interpreta   l'art.   23,   comma   7,   del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 134 - che abroga la facolta' dei Comuni di  aumentare  le  tariffe
dell'imposta comunale sulla pubblicita' prevista dall'art. 11,  comma
10,  della  legge  27  dicembre  1997,  n.   449   (Misure   per   la
stabilizzazione della finanza pubblica),  come  modificato  dall'art.
30,  comma  17,  della  legge  23  dicembre  1999,  n.  488,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato. (Legge finanziaria 2000)» - nel senso che  l'abrogazione
non ha effetto per i  Comuni  che  si  siano  gia'  avvalsi  di  tale
facolta'  prima  della  data  di  entrata  in  vigore  dello   stesso
decreto-legge. 
    2.- Secondo il giudice a quo la disposizione oggetto di  censura,
apparentemente  d'interpretazione  autentica,  avrebbe   parzialmente
privato  di  effetti  l'abrogazione  della  facolta'   di   prevedere
maggiorazioni  sino  al  cinquanta  per  cento  della  tariffa   base
dell'imposta   comunale   sulla   pubblicita'   (ICP).   In    virtu'
dell'intervento  del  legislatore,  infatti,  tale  abrogazione   non
avrebbe effetto nei confronti dei Comuni che abbiano deliberato  tali
maggiorazioni prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 83  del  2012,
facendosi  cosi'  salve  le  deliberazioni,   esplicite   o   tacite,
successive al 2012. 
    La disposizione censurata, quindi,  avrebbe  portata  innovativa,
stante  l'assenza  delle  possibili  varianti  di  senso  del   testo
originario, non sussistendo in  esso  alcun  appiglio  semantico  che
giustifichi  un'interpretazione   riconducibile   ad   un'abrogazione
parziale. L'obiettivo perseguito  dal  legislatore  sarebbe,  dunque,
soltanto quello di risolvere il contenzioso insorto, legittimando gli
aumenti di imposta reiterati dai Comuni sulla base di una legge ormai
abrogata. 
    2.1.-  L'art.  1,  comma  739,  della  legge  n.  208  del   2015
violerebbe, in primo luogo, gli artt. 3, 53 e 97 Cost.,  introducendo
un  irragionevole  trattamento  discriminatorio,  in   relazione   ai
contribuenti e rispetto ai Comuni, ancorato  ad  un  dato  del  tutto
inconferente e non dotato di alcuna significativita',  quale  l'esser
stata  adottata  in   precedenza   una   deliberazione   recante   le
maggiorazioni d'imposta. 
    2.2.- In secondo luogo, sarebbero violati gli  artt.  23,  119  e
117, sesto comma, Cost, quest'ultimo in relazione all'art.  4,  comma
4, della legge n. 131  del  2003,  poiche'  la  norma  interpretativa
ripristinerebbe un regime  tributario  ormai  abrogato,  creando  una
copertura legislativa ex post  per  tutti  gli  incrementi  tariffari
successivi  al  2012,  incidendo  illegittimamente   sulla   potesta'
tributaria comunale, in carenza dei requisiti minimi di imparzialita'
e uniformita' dell'azione amministrativa e di parita'  di  condizioni
tra enti. 
    2.3.- Risulterebbe leso, altresi', l'art. 102 Cost., in quanto la
disposizione censurata inciderebbe negativamente  sulle  attribuzioni
costituzionalmente riservate all'autorita'  giudiziaria,  travolgendo
gli  effetti  di   pronunce   divenute   irrevocabili   e   definendo
sostanzialmente, con atto legislativo, l'esito dei giudizi in corso. 
    2.4.-  L'ordinanza  di  rimessione  denunzia,  infine,  anche  la
violazione dell'art. 114 Cost. 
    3.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni,  perche'  il  rimettente  avrebbe
fornito un'interpretazione della disposizione censurata fondata su un
presupposto erroneo, senza darsi carico di fornire un'interpretazione
costituzionalmente orientata della stessa. 
    L'eccezione non puo' essere accolta. 
    La piu' recente giurisprudenza di questa  Corte  esclude  che  il
mancato ricorso da parte del  giudice  a  quo  ad  un'interpretazione
costituzionalmente orientata possa essere causa d'inammissibilita' di
una  questione  di  legittimita'  costituzionale,   quando   vi   sia
un'adeguata motivazione circa l'impedimento a  tale  interpretazione,
in ragione del tenore letterale della disposizione (sentenze n.  194,
n. 69 e n. 42 del 2017; n. 221 del 2015). 
    Nel  caso  di  specie,   il   giudice   rimettente   assume   che
l'abrogazione delle maggiorazioni operata dal d.l. n. 83 del 2012 non
consentiva in nessun caso  la  possibilita'  di  conferma,  tacita  o
esplicita, delle tariffe maggiorate. Per converso,  l'art.  1,  comma
739,   della   legge   n.   208   del   2015,   limitando   l'effetto
dell'abrogazione, consentiva in realta' la conferma.  In  ragione  di
cio', quindi, non sarebbe possibile darne un'interpretazione conforme
a Costituzione. 
    4.- Deve ritenersi inammissibile, invece, la questione  sollevata
in riferimento all'art. 114 Cost., meramente indicato nel dispositivo
e nelle  premesse  dell'ordinanza  di  rimessione.  Manca,  pertanto,
un'adeguata motivazione in ordine alle ragioni di  contrasto  tra  le
disposizioni  censurate  e  il   parametro   costituzionale   evocato
(sentenze n. 240 del 2017 e n. 219 del 2016). 
    5.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 739, della legge n. 208 del 2015, sollevate  dalla  Commissione
tributaria provinciale di Pescara, in riferimento agli artt.  3,  23,
53, 97, 102, 117, sesto comma, in  relazione  all'art.  4,  comma  4,
della legge n. 131 del 2003, e 119 Cost., non sono fondate. 
    5.1.- L'imposta comunale sulla pubblicita' (ICP) e'  disciplinata
dal  Capo  I  del  decreto  legislativo  15  novembre  1993,  n.  507
(Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla  pubblicita'
e  del  diritto  sulle  pubbliche   affissioni,   della   tassa   per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle  province
nonche' della tassa per lo smaltimento dei rifiuti  solidi  urbani  a
norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il
riordino della finanza territoriale),  che  prevede,  in  riferimento
alla determinazione dell'imposta,  delle  tariffe  base  (art.  12  e
seguenti), variabili in base alla fascia di appartenenza del  Comune,
a cui possono essere apportate  talune  maggiorazioni.  Le  modalita'
applicative  dell'ICP  sono  disciplinate  da  appositi   regolamenti
comunali, in base ai quali l'ammontare  dell'imposta,  con  le  varie
maggiorazioni, e' determinato dal  Comune  interessato  entro  il  31
marzo  dell'anno  di  riferimento,  con  decorrenza  dal  1°  gennaio
dell'anno d'imposta (art. 3, comma 5). 
    Trova applicazione, inoltre, il principio di "ultrattivita' delle
tariffe", prevedendosi che, in caso di mancata delibera per gli  anni
successivi a quello di adozione del regolamento,  sono  prorogate  le
tariffe dell'anno precedente. Un principio che l'art. 1,  comma  169,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2007)», ha esteso a tutti i  tributi  locali,  stabilendo
che «[g]li enti locali deliberano le tariffe e le  aliquote  relative
ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme  statali
per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni,
anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio  purche'
entro il termine innanzi  indicato,  hanno  effetto  dal  1°  gennaio
dell'anno di riferimento. In caso di mancata  approvazione  entro  il
suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate  di
anno in anno». 
    L'art. 11, comma 10, della legge n. 449 del 1997 (come modificato
dall'art. 30, comma 17, della legge 488 del 1999)  ha  introdotto  la
facolta' di stabilire ulteriori  maggiorazioni  all'ICP,  fino  a  un
massimo del 50 per cento della tariffa base. 
    Tale facolta'  e'  stata  poi  sospesa  dal  legislatore  per  il
triennio 2009-2011 con l'art. 77-bis, comma 30, del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante il  "blocco
degli aumenti" per tutti i tributi locali. 
    Il successivo art. 4, comma 4, del decreto-legge 2 marzo 2012, n.
16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26  aprile  2012,  n.  44,
entrato in vigore il 2 marzo 2016, ha abrogato  l'art  77-bis,  comma
30, del d.l. n. 112 del 2008.  Per  l'anno  2012,  quindi,  i  Comuni
potevano disporre nuovamente le maggiorazioni previste dalla legge n.
449 del 1997. 
    In tale contesto interveniva l'art. 23 del d.l. n. 83  del  2012,
entrato in vigore il 26 giugno 2012,  che  abrogava  (comma  7),  con
decorrenza da tale data, l'art. 11, comma 10, della legge n. 449  del
1997, precisando (comma 11) che i procedimenti gia' avviati  dovevano
definirsi in base alle norme abrogate. 
    5.2.- Cio' premesso, non e' corretta l'interpretazione  dell'art.
1, comma  739,  della  legge  n.  208  del  2015,  secondo  cui  esso
ripristinerebbe   retroattivamente   la   potesta'    di    applicare
maggiorazioni alle tariffe per i Comuni che, alla data del 26  giugno
del 2012, avessero gia' deliberato in tal senso. 
    La disposizione, invece, si limita a precisare la salvezza  degli
aumenti deliberati al 26 giugno 2012, tenuto conto, tra l'altro,  che
a tale data ai Comuni era stata nuovamente attribuita la facolta'  di
deliberare le  maggiorazioni.  Era  dunque  ben  possibile  che  essi
avessero gia' deliberato in  tal  senso.  Di  qui  la  necessita'  di
chiarire gli effetti dell'abrogazione disposta dal  d.l.  n.  83  del
2012, precisando che la stessa non poteva far cadere le delibere gia'
adottate e che il 26 giugno del 2012 era il  termine  ultimo  per  la
validita' delle maggiorazioni disposte per l'anno d'imposta 2012. 
    Si  tratta,  quindi,  effettivamente  di  una   disposizione   di
carattere  interpretativo,  tesa  a  chiarire  il  senso   di   norme
preesistenti ovvero escludere o enucleare uno dei  sensi  fra  quelli
ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata,  allo
scopo di imporre  a  chi  e'  tenuto  ad  applicare  la  disposizione
considerata un determinato significato normativo (sentenze n. 132 del
2016, n. 127 del 2015, n. 314 del 2013, n. 15 del 2012 e n.  311  del
1995). La scelta  legislativa,  allora,  rientra  «tra  le  possibili
varianti di senso del testo originario, cosi' rendendo vincolante  un
significato ascrivibile ad una norma anteriore (ex plurimis: sentenze
n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011 e n. 209 del  2010)»
(sentenza n. 132 del 2016). 
    Nulla dice il comma 739, invece, sulla possibilita' di confermare
o prorogare, successivamente al 2012, di anno  in  anno,  le  tariffe
maggiorate. 
    Tale facolta' di conferma, esplicita  o  tacita,  delle  tariffe,
consentita da altra disposizione, non potrebbe tuttavia estendersi  a
maggiorazioni disposte da norme non piu' vigenti, come aveva  sancito
la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 22 dicembre 2014,
n. 6201, in riferimento all'art. 23, comma 7,  del  d.l.  n.  83  del
2012, ritenendo che anche il potere di conferma, tacita o  esplicita,
in quanto espressione di potere deliberativo, debba tener conto della
legislazione vigente. Dunque, venuta meno la norma che consentiva  di
apportare maggiorazioni all'imposta, gli atti di  proroga  tacita  di
queste avrebbero dovuto ritenersi semplicemente illegittimi,  perche'
non poteva essere prorogata una maggiorazione non piu' esistente. 
    Sotto tale profilo, la  disposizione  oggetto  di  censura  nulla
aggiunge. L'intervento interpretativo, infatti, non  introduce  alcun
doppio regime impositivo e non crea percio' ingiustificate disparita'
di trattamento tra i Comuni, ne' pregiudica la progressivita'  insita
nella suddivisione degli stessi  in  diverse  fasce,  ai  fini  della
determinazione dell'imposta, rientrando invece nei limiti  di  quella
ragionevolezza  che  deve  caratterizzare   anche   le   disposizioni
d'interpretazione autentica (ex multis, sentenze n. 132 del 2016,  n.
69 del 2014, n. 271 del 2011, n. 234 del 2007, n. 229 del 1999  e  n.
311 del 1995). 
    Ne deriva, quindi, che  non  puo'  ritenersi  sussistente  alcuna
lesione degli artt. 3, 53 e 97 Cost. 
    5.3.- Neppure puo' ritenersi fondata la  questione  sollevata  in
riferimento agli artt. 23, 117, sesto comma, e 119 Cost. 
    I medesimi argomenti sopra svolti portano ad escludere,  infatti,
che sia stato ripristinato, ma solo  per  alcuni  Comuni,  il  regime
impositivo antecedente al d.l. n. 83 del 2012. 
    5.4.- Da ultimo, la denunziata disposizione,  non  avendo  alcuna
efficacia sanante nei confronti delle delibere, successive  al  2012,
non interferisce in  alcun  modo  con  le  prerogative  degli  organi
giurisdizionali e non viola percio' l'art. 102 Cost. (sentenze n. 170
del 2008 e n. 155 del 1990).