ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  631  del
codice  di  procedura  penale,  promosso  dalla  Corte  d'appello  di
Catanzaro nel procedimento penale a carico di C.  M.,  con  ordinanza
del 5 aprile 2017, iscritta al n. 98 del registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  28,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 gennaio  2018  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'appello di Catanzaro, con ordinanza del  5  aprile
2017 (r.o. n. 98 del 2017), ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3, 24, 27, terzo  comma,  e  111  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 631  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui «non prevede che gli elementi in  base  ai
quali si chiede la revisione siano tali da dimostrare, se  accertati,
l'esclusione di una circostanza aggravante  che  abbia  negativamente
influito sul trattamento sanzionatorio del condannato». 
    La Corte rimettente riferisce di essere investita della richiesta
di  revisione  di  una  sentenza  della  Corte  d'appello  di  Reggio
Calabria, con  la  quale  il  ricorrente  era  stato  definitivamente
condannato  per  il  reato  di  associazione  di  tipo  mafioso,  con
l'aggravante prevista dal quarto comma dell'art. 416-bis  del  codice
penale, per essere l'associazione armata. 
    In primo grado il ricorrente era  stato  giudicato  con  il  rito
abbreviato dal Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale
ordinario di Reggio Calabria, mentre  altri  imputati  ai  quali  era
stato  contestato  lo  stesso  reato,  in  quanto  appartenenti  alla
medesima associazione di tipo  mafioso,  erano  stati  giudicati  dal
Tribunale di Reggio Calabria e condannati con una sentenza,  divenuta
anch'essa irrevocabile, che aveva ritenuto insussistente l'aggravante
prevista dal quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen. 
    La richiesta di  revisione,  relativa  ad  «un  unico  originario
procedimento penale», era  volta  a  far  rilevare  il  contrasto  di
giudicati relativo alla «applicazione della predetta aggravante,  con
conseguente modificazione della pena». 
    Il Procuratore generale della Corte d'appello di Catanzaro  aveva
eccepito  l'inammissibilita'  della  richiesta  osservando   che   la
revisione e'  consentita  solo  nei  casi  in  cui  dall'impugnazione
straordinaria puo' derivare «un effetto di totale proscioglimento»  e
non anche in quelli in cui il contrasto tra i giudicati riguarda  una
circostanza aggravante. 
    Il  collegio  rimettente,  nel  valutare   in   via   preliminare
l'ammissibilita' del ricorso, ha preso  atto  dell'esistenza  di  una
giurisprudenza costante volta a negare la rilevanza del contrasto tra
giudicati relativo a un'aggravante, in quanto l'art. 631  cod.  proc.
pen. limiterebbe la revisione ai casi fondati su  elementi  «tali  da
dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto  a
norma degli artt. 529, 530 o 531». 
    Il diritto vivente escluderebbe interpretazioni  estensive  della
disposizione in questione, la quale consentirebbe  la  revisione  nei
soli casi che possono dar luogo a un «integrale  proscioglimento  del
condannato». 
    Per effetto di questa limitazione risulterebbe violato  l'art.  3
Cost., in  quanto,  «[se]  il  condannato  puo',  sulla  base  di  un
contrasto tra giudicati, ottenere una revisione del proprio  giudizio
di colpevolezza nel  suo  intero  (tertium  comparationis)»,  sarebbe
irragionevole  non  riconoscergli  la  possibilita'  di  ottenere  la
«declaratoria  sopravvenuta  di  insussistenza  di  una   circostanza
aggravante, ossia di una parte della condotta  contestata  che  abbia
effetto sulla pena, esclusa in fatto da altro giudicato». 
    Sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., il  quale,  garantendo  al
cittadino «piena tutela dei propri diritti e del diritto alla difesa,
riservando alla legge le sole modalita' di riparazione  degli  errori
giudiziari», implicherebbe il riconoscimento al  condannato  di  «uno
strumento  di  accesso  per  consentire  di  rilevare   la   presenza
dell'errore, che non pare ragionevole limitare ai soli  casi  da  cui
discende la completa esclusione  della  condotta  riprovevole  e  non
soltanto una frazione della stessa, qualificata come circostanza,  in
grado di influire sulla pena». 
    Una   lettura   complessiva   delle    disposizioni    richiamate
indicherebbe che nessun cittadino possa essere condannato ad una pena
restrittiva della liberta' personale per un fatto che non  sia  stato
completamente accertato, al di la' di ogni ragionevole dubbio. 
    L'esclusione  delle  aggravanti   dal   giudizio   di   revisione
contrasterebbe inoltre con l'art. 27, terzo comma, Cost.,  in  quanto
«sapere di dover scontare una (parte di) pena per una circostanza che
per altri imputati, per il medesimo reato, e' stata da  altro  organo
giudiziario definitivamente  esclusa,  appare  in  conflitto  con  la
finalita' rieducativa», dando al  condannato  l'idea  di  subire  una
sanzione ingiusta e discriminatoria. 
    Sarebbe violato infine l'art. 111 Cost., in quanto «la percezione
di non imparzialita' del giudizio»  emergerebbe  dal  «contrasto  tra
opposti giudicati [- sia pure limitatamente ad un determinato aspetto
della condotta -] di cui l'uno esclude la fondatezza dell'altro». 
    In tema di  rilevanza  il  giudice  a  quo  osserva  che  ove  la
richiesta  venisse  ritenuta  ammissibile  e  accolta  il  condannato
potrebbe ottenere  una  pena  diversa  da  quella  determinata  dalla
sentenza oggetto di revisione. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili e comunque non fondate. 
    L'Avvocatura generale dello Stato  sottolinea  che  la  revisione
costituisce un'impugnazione straordinaria, fondata sul principio  che
nessun innocente deve essere  assoggettato  a  pena.  Non  tutti  gli
errori  sarebbero  oggetto  di  considerazione  dopo   «il   giudizio
irrevocabile», in quanto ai fini della  revisione  sarebbe  rilevante
solo quello intervenuto «nella ricostruzione  storica  del  fatto  di
reato, con riguardo alla  condotta,  al  nesso  casuale,  all'evento,
nonche'   all'attribuzione   soggettiva   di   colpevolezza   e    di
imputabilita'». 
    La revisione  sarebbe  limitata,  pertanto,  solo  agli  elementi
essenziali del reato, «con la conseguente esclusione degli errori sul
fatto integrante una circostanza del reato e  dell'ammissibilita'  di
una richiesta di revisione  intesa  ad  ottenere  una  condanna  meno
afflittiva per un reato diverso e meno grave». 
    L'istituto della revisione  troverebbe  fondamento  nell'art.  24
Cost., il quale, prevedendo che «[l]a legge determina le condizioni e
i modi per la riparazione degli errori giudiziari», attribuirebbe  al
Parlamento il potere discrezionale di individuare i  casi  e  i  modi
della riparazione. 
    Pertanto l'Avvocatura generale ritiene che  a  questa  Corte  non
sarebbe consentito un intervento, come quello richiesto, destinato ad
operare in un campo riservato alla discrezionalita' del legislatore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del  5  aprile  2017,  la  Corte  d'appello  di
Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  24,  27,  terzo
comma,  e  111  della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 631 del codice di  procedura  penale,  nella
parte in cui «non prevede che gli elementi in base ai quali si chiede
la revisione siano tali da dimostrare, se accertati, l'esclusione  di
una circostanza  aggravante  che  abbia  negativamente  influito  sul
trattamento sanzionatorio del condannato». 
    Ad avviso del collegio rimettente la norma  censurata  violerebbe
l'art. 3 Cost., in quanto «se il condannato puo', sulla  base  di  un
contrasto tra giudicati, ottenere una revisione del proprio  giudizio
di colpevolezza» sarebbe irragionevole non  riconoscergli  la  stessa
possibilita'  per   ottenere   la   «declaratoria   sopravvenuta   di
insussistenza di una circostanza aggravante, ossia di una parte della
condotta contestata, che abbia effetto sulla pena, esclusa  in  fatto
da altro giudicato». 
    Sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., il  quale,  garantendo  al
cittadino «piena tutela dei propri diritti e del diritto alla difesa,
riservando alla legge le sole modalita' di riparazione  degli  errori
giudiziari», implicherebbe il riconoscimento al  condannato  di  «uno
strumento  di  accesso  per  consentire  di  rilevare   la   presenza
dell'errore, che non pare ragionevole limitare ai soli  casi  da  cui
discende la completa esclusione  della  condotta  riprovevole  e  non
soltanto una frazione della stessa, qualificata come circostanza,  in
grado di influire sulla pena». 
    L'esclusione  delle  aggravanti   dal   giudizio   di   revisione
contrasterebbe, inoltre, con l'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto
«sapere di dover scontare una (parte di) pena per una circostanza che
per altri imputati, per il medesimo reato, e' stata da  altro  organo
giudiziario definitivamente  esclusa,  appare  in  conflitto  con  la
finalita' rieducativa», dando al  condannato  l'idea  di  subire  una
sanzione ingiusta e discriminatoria. 
    Sarebbe  violato,  infine,  l'art.  111  Cost.,  in  quanto   «la
percezione  di  non  imparzialita'  del  giudizio»  emergerebbe   dal
«contrasto tra opposti giudicati [-  sia  pure  limitatamente  ad  un
determinato aspetto  della  condotta  -]  di  cui  l'uno  esclude  la
fondatezza dell'altro». 
    2.-  Le  questioni  sono  inammissibili  perche'  l'ordinanza  di
rimessione presenta una carenza  di  descrizione  dei  fatti  che  si
traduce in difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    Le questioni sollevate riguardano l'art. 631 cod. proc. pen., che
regola i «[l]imiti della revisione» con la richiesta di elementi tali
da  dimostrare,  «se  accertati,  che  il  condannato   deve   essere
prosciolto a norma degli articoli 529, 530 e 531» cod. proc. pen.,  e
si fondano sull'esistenza  di  un'ipotesi  di  conflitto  teorico  di
giudicati, regolata dall'art. 630, lettera a), cod. proc. pen. 
    Questa disposizione consente la revisione «se i fatti stabiliti a
fondamento della sentenza [...] o  del  decreto  penale  di  condanna
[...] non  possono  conciliarsi  con  quelli  stabiliti  in  un'altra
sentenza penale irrevocabile [...] del  giudice  ordinario  o  di  un
giudice speciale», e questa Corte ha gia' rilevato che  «il  concetto
di inconciliabilita' fra  sentenze  irrevocabili,  evocato  dall'art.
630, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non puo' essere inteso  in
termini di contraddittorieta' logica tra  le  valutazioni  effettuate
nelle due decisioni. Tale concetto deve,  invece,  essere  inteso  in
termini di oggettiva incompatibilita' tra i "fatti"  (ineludibilmente
apprezzati nella loro dimensione  storico-naturalistica)  su  cui  si
fondano le diverse sentenze» (sentenza n. 129 del 2008). 
    Di questi fatti  nell'ordinanza  di  rimessione  manca  qualunque
descrizione. 
    La Corte rimettente non ha indicato quali accertamenti  contenuti
nella sentenza che ha escluso l'aggravante  sono  diversi  da  quelli
contenuti nella sentenza oggetto della richiesta di  revisione.  Essa
si e' limitata a rilevare che la sentenza della  Corte  d'appello  di
Reggio Calabria,  del  16  aprile  2015,  nei  confronti  di  C.  M.,
condannato in primo grado al termine di un giudizio abbreviato, ne ha
ritenuto la responsabilita' per un  reato  di  associazione  di  tipo
mafioso aggravato dalla disponibilita' di armi (art. 416-bis,  quarto
comma, del codice penale), mentre la sentenza del Tribunale di Reggio
Calabria,  n.  606  del  2014,  resa   all'esito   di   un   giudizio
dibattimentale, nei confronti  di  altre  persone  concorrenti  nello
stesso reato (in quanto  appartenenti  alla  medesima  organizzazione
criminale), ha escluso tale aggravante. 
    Cosi' e' mancata l'indicazione degli elementi che potrebbero dare
luogo al denunciato conflitto teorico di giudicati, dato che  non  e'
sufficiente a tal fine allegare  il  contrasto  tra  i  "dispositivi"
delle  due  diverse   decisioni   di   condanna   sulla   sussistenza
dell'aggravante della disponibilita' di armi. 
    Deve quindi ritenersi che l'ordinanza di rimessione  sia  viziata
da una  carenza  di  motivazione  sulla  rilevanza  delle  questioni,
perche', come e' gia' stato osservato da questa Corte, «[n]on  e'  la
erronea (in ipotesi) valutazione del  giudice  a  rilevare,  ai  fini
della rimozione del giudicato; bensi' esclusivamente il "fatto nuovo"
(tipizzato nelle varie ipotesi scandite dall'art. 630 del  codice  di
rito), che rende necessario un nuovo scrutinio della base fattuale su
cui si e' radicata la condanna oggetto di revisione» (sentenza n. 129
del 2008). 
    Tale conclusione tanto piu' si impone nel caso in esame,  in  cui
la sentenza  della  quale  si  chiede  la  revisione  e'  intervenuta
successivamente a quella posta a fondamento della  richiesta,  ed  e'
passata in  giudicato  dopo  che  sull'esistenza  dell'aggravante  in
questione si era pronunciata anche la Corte  di  cassazione  (sezione
seconda penale, sentenza 9 marzo  2016,  n.  12871).  Questa  infatti
aveva dato atto  dell'«ampio  compendio  probatorio»  comprovante  la
disponibilita' di armi e aveva giudicato irrilevante «la  circostanza
che, secondo la difesa, altra sentenza avrebbe  escluso  l'aggravante
in esame». 
    Le  questioni  sollevate  dalla  Corte  d'appello  di   Catanzaro
risultano pertanto inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.