ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  24,  commi
25, lettere b), c), d) ed e), e 25-bis, del decreto-legge 6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 - come sostituito (il comma  25)
e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del
comma  1  dell'art.  1  del  decreto-legge  21  maggio  2015,  n.  65
(Disposizioni urgenti  in  materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori
sociali e di garanzie  TFR),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 17 luglio 2015, n. 109 - e dell'art. 1, comma 483, lettera  e),
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita'  2014)»,  promossi  dalla   Corte   dei   conti,   sezione
giurisdizionale regionale per la Lombardia, con cinque ordinanze  del
5 luglio 2017, iscritte, rispettivamente, ai nn. 122, 123, 131, 132 e
133 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di A.C. A. e altri,  di  S.  C.  e
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche'  gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 18  aprile  2018  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra. 
    Ritenuto che, con l'ordinanza n. 90 del 5 luglio 2017 (reg.  ord.
n. 122  del  2017),  la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale
regionale per la Lombardia, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3, secondo comma,  36,  primo  comma,  e  38,  secondo  comma,  della
Costituzione, questioni  di  legittimita'  costituzionale:  a)  degli
artt. 24,  commi  25,  lettere  b),  c),  d)  ed  e),  e  25-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n.  214,
come  sostituito  (il  comma  25)  e  inserito  (il  comma   25-bis),
rispettivamente, dai numeri 1) e 2)  del  comma  1  dell'art.  1  del
decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in  materia
di  pensioni,  di  ammortizzatori  sociali  e   di   garanzie   TFR),
convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109; b)
dell'art. 1, comma 483, lettera e), della legge 27 dicembre 2013,  n.
147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)», nella  parte  in
cui stabilisce  che,  «per  il  solo  anno  2014,  [la  rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici]  non  e'  riconosciuta  con
riferimento  alle  fasce  di  importo  superiori  a  sei   volte   il
trattamento minimo INPS»; 
    che  le  disposizioni  censurate  dettano  norme  in  materia  di
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  stabilendo,
rispettivamente: il comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201  del  2011,
che  «La  rivalutazione  automatica  dei  trattamenti  pensionistici,
secondo il meccanismo stabilito  dall'articolo  34,  comma  1,  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012  e  2013,  e'
riconosciuta:  [...]  b)  nella  misura  del  40  per  cento  per   i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre  volte  il
trattamento minimo INPS  e  pari  o  inferiori  a  quattro  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. [...]; c) nella misura del 20 per cento  per  i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro  volte
il trattamento minimo INPS e pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. [...]; d) nella misura del 10 per cento  per  i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a  cinque  volte
il trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. [...]; e) non e' riconosciuta per i trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a sei volte  il  trattamento
minimo INPS con riferimento all'importo complessivo  dei  trattamenti
medesimi»; il comma 25-bis dello stesso art. 24 del d.l. n.  201  del
2011, che «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici,
secondo il meccanismo stabilito  dall'articolo  34,  comma  1,  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e  2013  come
determinata dal comma 25, con riguardo ai  trattamenti  pensionistici
di importo complessivo superiore a tre volte  il  trattamento  minimo
INPS e' riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura  del  20
per cento; b) a decorrere dall'anno 2016  nella  misura  del  50  per
cento»; il comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147  del  2013,  come
modificato dall'art. 1, comma 286, della legge 28 dicembre  2015,  n.
208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di  stabilita'  2016)»,  che  «Per  il
periodo  2014-2018  la  rivalutazione  automatica   dei   trattamenti
pensionistici, secondo  il  meccanismo  stabilito  dall'articolo  34,
comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: [...]
e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del
45 per cento, per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, per  i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014,  non  e'  riconosciuta
con riferimento alle fasce  di  importo  superiori  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS. Al comma 236 dell'articolo 1 della legge  24
dicembre 2012, n. 228, il primo periodo e' soppresso,  e  al  secondo
periodo le parole: "Per le medesime finalita'" sono soppresse»; 
    che il giudice rimettente riferisce, in punto  di  fatto:  a)  di
essere investito del giudizio pensionistico introdotto  con  ricorso,
notificato il 17  marzo  2016  e  depositato  il  giorno  successivo,
proposto  nei  confronti  dell'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale (INPS) da ottantuno titolari di trattamenti pensionistici; b)
che i ricorrenti lamentavano che, dopo che la  Corte  costituzionale,
con la sentenza n. 70 del  2015,  aveva  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n.  201  del  2011,
nel testo  anteriore  alla  sua  sostituzione,  nella  parte  in  cui
stabiliva il blocco della perequazione automatica relativa agli  anni
2012 e 2013 per le pensioni di  importo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS, l'art. 1 del  d.l.  n.  65  del  2015  aveva
previsto,  per  quegli  stessi  anni,  «un   meccanismo   perequativo
assolutamente insufficiente» per le pensioni superiori a tre volte  e
fino a sei volte il trattamento minimo INPS  e,  nuovamente,  nessuna
rivalutazione per le pensioni superiori a tale importo, mentre l'art.
1, comma  483,  lettera  e),  della  legge  n.  147  del  2013  aveva
«reitera[to] tale blocco anche per gli anni 2014 e 2015»; c) che  gli
stessi  ricorrenti  avevano,   percio',   eccepito   l'illegittimita'
costituzionale di tali disposizioni, per contrasto con gli  artt.  2,
3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 81  e  117  Cost.,  chiedendo,
previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la condanna
dell'INPS al pagamento  «dei  maggiori  ratei  pensionistici  per  le
annualita' dal 2012 al  2015»;  d)  che  si  era  costituito  l'INPS,
contestando  la  fondatezza   delle   eccezioni   di   illegittimita'
costituzionale e della domanda dei  ricorrenti;  e)  che,  alla  luce
della  comparsa  dell'INPS,  doveva  «considerarsi  incontestata   la
suddivisione [di essi] nelle quattro fasce di pensioni  eccedenti  il
triplo del trattamento minimo INPS»; 
    che,  in  punto  di  rilevanza  delle   questioni,   il   giudice
rimettente, dopo avere posto a raffronto la rivalutazione  automatica
riconosciuta dalle lettere b), c), d) ed  e)  del  vigente  comma  25
dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 con quella  prevista  dall'art.
69,  comma  1,  della  legge  23  dicembre  2000,  n.  388,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001)», «previgente rispetto  al  D.L.
n° 201/2011» - comma in  base  al  quale  l'indice  di  rivalutazione
automatica delle pensioni era applicato nella misura del 90 per cento
per le fasce di importo dei trattamenti  pensionistici  comprese  tra
tre e cinque volte il trattamento minimo INPS e nella misura  del  75
per cento per le  fasce  di  importo  dei  trattamenti  pensionistici
superiori a cinque volte il predetto trattamento  minimo  -  e  avere
ribadito  che  «l'esclusione  di  qualsiasi  perequazione  e'   stata
confermata [...] dalla lettera e del  comma  483  dell'art.  1  della
legge n° 147/2013 per l'anno  2014»,  afferma  che  risulta  «percio'
indubbia la rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale
sia della novella che il predetto art. 1 ha  apportato  al  comma  25
dell'art. 24 del D.L. n° 201/2011, sia [di detta] lettera e»; 
    che  lo  stesso  giudice  a  quo  ritiene  tali   questioni   non
manifestamente  infondate  in  riferimento  sia   al   principio   di
ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost., sia  agli  artt.  36,  primo
comma, e 38, secondo comma, Cost.; 
    che il rimettente asserisce che, secondo la Corte costituzionale,
la proporzionalita' e  l'adeguatezza  dei  trattamenti  previdenziali
devono essere costantemente assicurate anche dopo il  collocamento  a
riposo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta
(e' citata la sentenza n.  173  del  1986)  e  l'adeguamento  a  tale
mutamento deve consentire alle pensioni  di  essere  sufficientemente
difese da esso (e' citata la sentenza n. 316 del 2010); 
    che, cio' premesso, il giudice rimettente procede a calcolare  la
misura  dell'adeguamento  al  costo  della  vita   assicurato   dalle
disposizioni censurate,  la  quale,  tenuto  conto  degli  indici  di
rivalutazione automatica  annualmente  determinati  con  decreto  del
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  sarebbe  stata:  per  le
pensioni superiori a tre volte e fino a quattro volte il minimo INPS,
dell'1,08 per cento per il 2012 e dell'1,2 per cento per il 2013; per
le pensioni superiori a quattro volte e fino a cinque volte il minimo
INPS, dello 0,54 per cento per il 2012 e dello 0,6 per cento  per  il
2013; per le pensioni superiori a cinque volte e fino a sei volte  il
minimo INPS, dello 0,27 per cento per il 2012 e dello 0,3  per  cento
per il 2013; per le pensioni superiori a sei volte  il  minimo  INPS,
pari a zero sia per il 2012  che  per  il  2013  («azzeramento  [...]
reiterato anche per l'annualita' 2014, in virtu' della lettera e  del
comma 483 dell'art. 1 della legge n° 147/2013»); 
    che  ulteriore  «gravissimo  e  irragionevole   pregiudizio»   ai
titolari di pensioni superiori a tre volte il minimo INPS deriverebbe
dal comma 25-bis dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011,  in  base  al
quale, «alla fine del biennio 2012/2013 gli aumenti perequativi, gia'
riconosciuti nella [...] descritta misura declinante dal 40% al  10%,
permangono acquisiti nel 2014 soltanto per una quota di appena il 20%
della rispettiva  percentuale  (ossia  l'8%  per  le  pensioni  ultra
triplum, il 4% per quelle ultra quadruplum e il 2% per  quelle  ultra
quintuplum)»; 
    che, alla luce di tali elementi, il giudice a quo  asserisce  che
la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015  sarebbe  stata
«stravolta» dall'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, atteso che,  per  le
pensioni superiori a tre volte e fino a quattro volte il minimo INPS,
tale disposizione, per gli anni  2012  e  2013,  ha  riconosciuto  la
perequazione nella misura del 40 per cento  «anziche'  al  90%  [...]
piu'  che  dimezzata  rispetto  a  quella  sancita  dalla   normativa
previgente   rispetto   a   quella   dichiarata    costituzionalmente
illegittima» e, «a partire  dal  1°  gennaio  2014,  [ha]  pressoche'
azzera[to] finanche  quella  modesta  perequazione»,  mentre  «peggio
ancora  dicasi  per  le  pensioni  piu'  consistenti  e   purtuttavia
inferiori al sestuplo del minimo INPS»; 
    che,  quanto  alle  pensioni  superiori  a  tale  ammontare,   la
normativa censurata ne  avrebbe  negato  l'adeguamento  «gia'  da  un
lustro», cosi' riducendone il potere di acquisto del 5,78  per  cento
nel biennio 2012/2013 e del 6,94 per cento nel triennio 2012/2014; 
    che ne risulterebbe la «totale irragionevolezza delle norme [...]
censurate»,  tenuto   conto   che   la   protezione   non   simbolica
dall'inflazione e' necessaria quale che sia la misura della pensione; 
    che, a  quest'ultimo  proposito,  il  rimettente  reputa  che  le
esigenze finanziarie,  richiamate  nella  Relazione  illustrativa  al
disegno di legge di conversione del d.l. n. 65 del 2015,  «non  hanno
indotto il legislatore [...] ad esercitare in quest'ultimo [...] quel
"... corretto bilanciamento  ..."»  che  era  stato  auspicato  dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, alla quale, pure,
l'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 afferma di voler dare attuazione; 
    che, pertanto, i timori di un'insufficiente protezione  di  tutte
le categorie di pensioni di importo superiore a tre volte  il  minimo
INPS sarebbero confermati dalla normativa censurata; 
    che la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1  del
d.l. n. 65 del  2015  sarebbe,  di  conseguenza,  non  manifestamente
infondata in riferimento non soltanto al principio di ragionevolezza,
ma anche a quegli stessi parametri  costituzionali  degli  artt.  36,
primo comma, e 38, secondo comma, Cost., che la sentenza della  Corte
costituzionale n. 70 del  2015  ha  ritenuto  violati  dal  comma  25
dell'art. 24 del d.l. n. 201  del  2011,  nel  testo  anteriore  alla
sostituzione di esso operata dell'art. 1, comma  1,  numero  1),  del
d.l. n. 65 del 2015; 
    che il rimettente conclude affermando che  il  rispetto  di  tali
parametri  -  che  potrebbe  dipendere  dallo  specifico  quantum  di
adeguamento  all'inflazione  previsto,  per  ciascuna  categoria   di
pensioni,  dal  d.l.  n.  65  del  2015  -  alla  stregua  di  quanto
considerato deve, a suo avviso, essere escluso; 
    che si sono costituiti gli ottantuno  pensionati  ricorrenti  nel
giudizio a quo, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate
fondate; 
    che  tali  parti  deducono  anzitutto  che  la  fondatezza  delle
questioni aventi a oggetto l'art. 1, comma  483,  lettera  e),  della
legge n. 147 del 2013  discenderebbe  dalla  circostanza  -  che  non
sarebbe stata considerata dalla Corte costituzionale  nelle  sentenze
n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015 - che l'impatto di tale disposizione
sulle pensioni superiori a sei volte il minimo INPS  dovrebbe  essere
valutato unitamente a quello prodotto sulle stesse dall'art. 1, comma
1, del d.l. n.  65  del  2015,  cio'  che  evidenzierebbe  come  tali
trattamenti  pensionistici  non   abbiano   beneficiato   di   alcuna
rivalutazione   nel   triennio   2012-2014,   con   la    conseguente
«trasformazione in senso strutturale del sacrificio imposto»; 
    che,  cio'  precisato,  le  parti  costituite  affermano  che  la
normativa censurata viola, in primo luogo, l'art.  3  Cost.,  perche'
difetta di ragionevolezza e di proporzionalita'; 
    che  tali  parti  compiono,   anzitutto,   una   disamina   della
giurisprudenza costituzionale sul tema del  necessario  bilanciamento
tra garanzia dei  diritti  sociali  ed  esigenze  di  equilibrio  del
bilancio   statale,   traendone   la   conclusione   che   la   Corte
costituzionale     riconoscerebbe     al     legislatore     un'ampia
discrezionalita' al riguardo, «limitando il  suo  sindacato  ai  soli
casi  di  manifesta  irragionevolezza   nel   rispetto   del   nucleo
irriducibile di [detti] diritti»; 
    che, cio' premesso, le stesse parti  reputano  che  la  normativa
censurata non risponda ai principi  enunciati  dalla  sentenza  della
Corte costituzionale n. 70  del  2015,  dichiarativa  della  parziale
illegittimita' costituzionale  del  testo  previgente  del  comma  25
dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011; 
    che tale normativa,  infatti,  evidenzierebbe  una  «macroscopica
iniquita' distributiva», atteso che,  diversamente  dalle  discipline
previgente   e   successiva,   prevede   «il   riconoscimento   della
(limitatissima) operativita' del meccanismo perequativo  secondo  una
segmentazione  dei  redditi  da  pensione  completamente  avulsa   da
qualsivoglia effettiva proporzionalita'»; 
    che la suddetta iniquita' risulterebbe, in particolare, dal fatto
che il meccanismo perequativo previsto «vede scaglioni di riferimento
e di rivalutazione scollegati da qualsiasi idea di progressivita'»; 
    che le parti costituite  ritengono  che  la  normativa  censurata
violi, in secondo luogo, i principi di proporzionalita' e sufficienza
nonche' di adeguatezza dei trattamenti  pensionistici,  di  cui  agli
articoli, rispettivamente, 36, primo  comma,  e  38,  secondo  comma,
Cost.; 
    che, secondo  tali  parti,  la  limitazione  o,  addirittura,  la
negazione della perequazione dei trattamenti  pensionistici  prevista
dalla normativa censurata comporterebbe un irragionevole  scostamento
tra l'entita' degli stessi e le variazioni  del  potere  di  acquisto
della moneta, con la conseguente inidoneita' di  tale  disciplina  ad
assicurare il rispetto dei principi enunciati dagli artt.  36,  primo
comma, e 38, secondo comma, Cost.; 
    che  cio'  varrebbe  sia  per  il  blocco   «strutturale»   della
perequazione delle pensioni superiori a  sei  volte  il  minimo  INPS
previsto, per gli anni dal  2012  al  2014,  dal  combinato  disposto
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 e della lettera e) del comma  483
dell'art. 1 della legge n. 147 del  2013,  sia  per  la  perequazione
riconosciuta ai trattamenti pensionistici  compresi  tra  tre  e  sei
volte il minimo INPS, tenuto conto delle  «risibili  percentuali»  di
essa; 
    che, secondo le parti costituite, l'art. 1 del  d.l.  n.  65  del
2015  rinnoverebbe   la   generalizzata   paralisi   del   meccanismo
perequativo per gli anni 2012 e 2013 che era  stata  censurata  dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, non rilevando che
l'incidenza su tale meccanismo sia totale o parziale, considerato «il
portato pratico delle novelle»; 
    che, con l'ordinanza n. 91 del 5 luglio 2017 (reg.  ord.  n.  123
del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale  per
la Lombardia, ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,  secondo
comma, 36, primo comma, e 38,  secondo  comma,  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25, lettere  b),  c),
d) ed e), e 25-bis del d.l. n. 201  del  2011,  come  sostituito  (il
comma 25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente,  dai  numeri
1) e 2) del comma 1 dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015; 
    che il giudice rimettente riferisce, in punto  di  fatto:  a)  di
essere investito del giudizio pensionistico introdotto  con  ricorso,
notificato il 15 luglio 2016 e depositato  il  24  marzo  «di  quello
stesso anno», proposto nei confronti dell'INPS  da  centoventiquattro
titolari  di  trattamenti  pensionistici   (specificamente   indicati
nell'epigrafe dell'ordinanza di  rimessione);  b)  che  i  ricorrenti
lamentavano che, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n.
70 del 2015, aveva  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  del
comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel  testo  anteriore
alla sua sostituzione, nella parte in cui stabiliva il  blocco  della
perequazione automatica  relativa  agli  anni  2012  e  2013  per  le
pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS,
l'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 aveva previsto,  per  quegli  stessi
anni, «un meccanismo perequativo assolutamente insufficiente» per  le
pensioni superiori a tre volte e fino  a  sei  volte  il  trattamento
minimo INPS e, nuovamente,  nessuna  rivalutazione  per  le  pensioni
superiori a tale importo;  c)  che  gli  stessi  ricorrenti  avevano,
percio', eccepito l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del
d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli artt. 3, 36, primo  comma,
38, secondo comma, e 136 Cost., chiedendo, previa trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale, la condanna  dell'INPS  al  pagamento
«dei maggiori ratei pensionistici per gli anni dal 2012 al 2016»;  d)
che  si  era  costituto  l'INPS,  contestando  la  fondatezza   delle
eccezioni  di  illegittimita'  costituzionale  e  della  domanda  dei
ricorrenti; e)  che,  alla  luce  della  comparsa  dell'INPS,  doveva
«considerarsi incontestata la suddivisione [di  essi]  nelle  quattro
fasce di pensioni eccedenti il triplo del trattamento minimo INPS»; 
    che,  in  punto  di  rilevanza  delle   questioni,   il   giudice
rimettente, dopo avere posto a raffronto la rivalutazione  automatica
riconosciuta dalle lettere b), c), d) ed  e)  del  vigente  comma  25
dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 con quella  prevista  dall'art.
69, comma 1, della legge n. 388 del  2000,  «previgente  rispetto  al
D.L. n° 201/2011», afferma che risulta «percio' indubbia la rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale della novella  che  il
predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell'art.  24  del  D.L.  n°
201/2011»; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
giudice  a  quo  prospetta  argomentazioni  coincidenti  con   quelle
dell'ordinanza iscritta al n. 122 reg. ord. 2017; 
    che, con l'ordinanza n. 88 del 5 luglio 2017 (reg.  ord.  n.  131
del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale  per
la Lombardia, ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,  secondo
comma, 36, primo comma, e 38,  secondo  comma,  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, lettera  e),  del
d.l. n. 201 del 2011, nel testo di tale comma sostituito dall'art. 1,
comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015; 
    che il giudice rimettente riferisce, in punto  di  fatto:  a)  di
essere investito del giudizio pensionistico introdotto  con  ricorso,
notificato il 25 febbraio 2016 e depositato il 23 «di  quello  stesso
mese», proposto nei confronti dell'INPS da L. D.R.,  titolare  di  un
trattamento pensionistico; b) che il ricorrente lamentava  che,  dopo
che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70  del  2015,  aveva
dichiarato l'illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art.  24
del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua  sostituzione,
nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione  automatica
relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a
tre volte il trattamento minimo INPS, l'art. 1 del  d.l.  n.  65  del
2015  aveva  nuovamente  negato  la  perequazione  per  le   pensioni
superiori a sei volte tale  trattamento  minimo;  c)  che  lo  stesso
ricorrente aveva, percio', eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli  artt.  2,
3, 36, primo comma, e 38, secondo  comma,  Cost.,  chiedendo,  previa
trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  la  condanna
dell'INPS al pagamento  «dei  maggiori  ratei  pensionistici  per  il
biennio 2012/2013»; d) che si era costituto  l'INPS,  contestando  la
fondatezza della domanda del ricorrente; e)  che,  dal  cedolino  del
mese di gennaio 2012,  allegato  al  ricorso,  risulta  che,  a  quel
momento, questi percepiva una pensione lorda mensile superiore a  sei
volte il minimo INPS; 
    che,  in  punto  di  rilevanza  delle   questioni,   il   giudice
rimettente,  dopo  avere   evidenziato   che,   per   i   trattamenti
pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS, il vigente  comma
25 dell'art. 24 del d.l. n.  201  del  2011  «continua  ad  escludere
qualsiasi perequazione relativamente al biennio 2012/2013», asserisce
che  risulta  «percio'  indubbia  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale della novella che il predetto art.  1  ha
apportato al comma 25 dell'art. 24 del D.L. n° 201/2011»; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con  quelle  delle
ordinanze iscritte ai n. 122 e n. 123 reg. ord. 2017, per la parte di
queste che  si  riferisce,  in  particolare,  alla  disciplina  della
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  superiori  a
sei volte il trattamento minimo INPS dettata, per  gli  anni  2012  e
2013, dalla lettera e) del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201  del
2011, nel testo di tale comma sostituito dall'art. 1, comma 1, numero
1), del d.l. n. 65 del 2015; 
    che, con l'ordinanza n. 87 del 5 luglio 2017 (reg.  ord.  n.  132
del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale  per
la Lombardia, ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,  secondo
comma, 36, primo comma, e 38,  secondo  comma,  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi  25,  lettera  b),  e
25-bis del d.l. n. 201 del 2011, come  sostituito  (il  comma  25)  e
inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dei numeri 1) e  2)  del
comma 1 dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015; 
    che il giudice rimettente riferisce, in punto  di  fatto:  a)  di
essere investito del giudizio pensionistico introdotto  con  ricorso,
notificato il 29 febbraio 2016 e depositato il 23 «di  quello  stesso
mese», proposto nei confronti dell'INPS da  B.  P.,  titolare  di  un
trattamento pensionistico; b) che il ricorrente lamentava  che,  dopo
che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70  del  2015,  aveva
dichiarato l'illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art.  24
del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua  sostituzione,
nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione  automatica
relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a
tre volte il trattamento minimo INPS, l'art. 1 del  d.l.  n.  65  del
2015 aveva  previsto  una  perequazione  «sensibilmente  inferiore  a
quella previgente rispetto alla norma  censurata  dal  giudice  delle
leggi»;  c)  che  lo  stesso  ricorrente  aveva,  percio',   eccepito
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.l. n. 65 del  2015,
per contrasto con gli artt. 2, 3, 36,  primo  comma,  e  38,  secondo
comma, Cost., chiedendo, previa trasmissione degli  atti  alla  Corte
costituzionale, la condanna  dell'INPS  al  pagamento  «dei  maggiori
ratei  pensionistici  per  il  biennio  2012/2013»;  d)  che  si  era
costituto  l'INPS,  contestando  la  fondatezza  della  domanda   del
ricorrente; e) che, dal cedolino del mese di gennaio  2013,  allegato
al ricorso,  risulta  che,  a  quel  momento,  questi  percepiva  una
pensione lorda mensile superiore a tre volte e  inferiore  a  quattro
volte il minimo INPS; 
    che,  in  punto  di  rilevanza  delle   questioni,   il   giudice
rimettente, dopo avere posto a raffronto la rivalutazione  automatica
riconosciuta dalla lettera b) del vigente comma 25 dell'art.  24  del
d.l. n. 201 del 2011 con quella prevista dall'art. 69, comma 1, della
legge n. 388 del 2000, «previgente» rispetto al d.l. n. 201 del 2011,
asserisce che risulta «percio' indubbia la rilevanza della  questione
di legittimita' costituzionale della novella che il predetto  art.  1
ha apportato al comma 25 dell'art. 24 del D.L. n° 201/2011»; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con  quelle  delle
ordinanze iscritte ai n. 122 e n. 123 reg. ord. 2017, per la parte di
queste che  si  riferisce,  in  particolare,  alla  disciplina  della
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  superiori  a
tre volte e inferiori a quattro volte  il  minimo  INPS  dettata  dai
commi 25, lettera b), e 25-bis dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011,
nel testo di tali commi, rispettivamente, sostituito dal numero 1), e
inserito dal numero 2) del comma 1 dell'art. 1 del  d.l.  n.  65  del
2015; 
    che, con l'ordinanza n. 86 del 5 luglio 2017 (reg.  ord.  n.  133
del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale  per
la Lombardia, ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,  secondo
comma, 36, primo comma, e 38,  secondo  comma,  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, lettera  e),  del
d.l. n. 201 del 2011, nel testo di tale comma sostituito dall'art. 1,
comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015,  e  dell'art.  1,  comma
483, lettera e), della legge n. 147 del  2013,  nella  parte  in  cui
stabilisce che «per il solo anno 2014, [la  rivalutazione  automatica
dei trattamenti pensionistici] non e'  riconosciuta  con  riferimento
alle fasce di importo superiori a sei  volte  il  trattamento  minimo
INPS»; 
    che il giudice rimettente riferisce, in punto  di  fatto:  a)  di
essere investito del giudizio pensionistico introdotto  con  ricorso,
notificato il 7 luglio 2016 e depositato il 27 «del mese precedente»,
proposto nei confronti dell'INPS da S. C., titolare di un trattamento
pensionistico; b) che il ricorrente lamentava che, dopo che la  Corte
costituzionale, con la sentenza n.  70  del  2015,  aveva  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n.
201 del 2011, nel testo anteriore alla sua sostituzione, nella  parte
in cui stabiliva il blocco  della  perequazione  automatica  relativa
agli anni 2012 e 2013 per le pensioni  di  importo  superiore  a  tre
volte il trattamento minimo INPS, l'art. 1 del d.l. n.  65  del  2015
aveva nuovamente azzerato la perequazione per le pensioni superiori a
sei volte tale trattamento minimo, cio' che era stato previsto «anche
per l'anno 2014 e per i successivi»;  c)  che  lo  stesso  ricorrente
aveva, percio', eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1
del d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36,  primo
comma, 38, secondo comma, 117, 136 e  137  Cost.,  chiedendo,  previa
trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  la  condanna
dell'INPS   al   pagamento   «dei   maggiori   ratei    pensionistici
corrispondenti, sia per il triennio 2012/2014 che per il futuro, alla
differenza: [...] in via principale, tra una perequazione al  100%  e
quella sancita  dall'art.  1  del  D.L.  n°  65/2015;  [...]  in  via
subordinata,  tra  la   perequazione   risultante   dalla   normativa
previgente rispetto all'art. 24 comma  25  del  D.L.  n.  201/2011  e
quella sancita dall'art. 1 del  D.L.  n°  65/2015»;  d)  che  si  era
costituto  l'INPS,  che,  in  via  preliminare,  aveva  eccepito   il
carattere   non   incidentale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  dal  ricorrente  e,  nel   merito,   aveva
contestato la fondatezza della domanda; e) che, dal cedolino del mese
di giugno 2012, allegato al ricorso, risulta che, a quel momento,  il
ricorrente percepiva una pensione lorda mensile superiore a sei volte
il minimo INPS; 
    che il giudice rimettente, ritenuta l'infondatezza dell'eccezione
preliminare dell'INPS, in punto di rilevanza  delle  questioni,  dopo
avere evidenziato che, per i trattamenti  pensionistici  superiori  a
sei volte il minimo INPS, il vigente comma 25 dell'art. 24  del  d.l.
n.  201  del  2011  «continua  ad  escludere  qualsiasi  perequazione
relativamente al biennio 2012/2013 [e  che]  lo  stesso  dicasi,  per
l'annualita' 2014, in virtu' della lettera e del comma 483  dell'art.
1 della legge n° 147/2013», asserisce che risulta  percio'  «indubbia
la rilevanza della questione  di  legittimita'  costituzionale  della
novella [...] apportat[a] al  comma  25  dell'art.  24  del  D.L.  n°
201/2011» e che la rilevanza  «sussiste  anche  in  riferimento  alla
[...] lettera e del comma 483 dell'art. 1 della legge n° 147/2013»; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con  quelle  delle
ordinanze iscritte ai n. 122 e n. 123 reg. ord. 2017, per la parte di
esse  che  si  riferisce,  in  particolare,  alla  disciplina   della
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  superiori  a
sei volte il trattamento minimo INPS dettata, per  gli  anni  2012  e
2013, dalla lettera e) del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201  del
2011 - nel testo di tale  comma  sostituito  dall'art.  1,  comma  1,
numero 1), del d.l. n. 65 del  2015  -  e,  per  l'anno  2014,  dalla
lettera e) del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013; 
    che si e' costituito S. C., ricorrente nel  giudizio  principale,
chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate fondate; 
    che la parte costituita, premesso che il combinato disposto delle
norme censurate ha stabilito l'azzeramento della  perequazione  delle
pensioni superiori a sei volte il minimo INPS per tre  anni,  afferma
che,  cosi'  disponendo,  il  legislatore   avrebbe   introdotto   un
«discrimen» tra i titolari di tali pensioni - che costituiscono delle
retribuzioni differite - e i percettori di redditi di altra natura  e
i titolari di pensioni fino a sei volte il minimo INPS, dettando  una
disciplina   «che   sfugge   ai    criteri    di    proporzionalita',
progressivita',   adeguatezza,   irragionevolezza   ed    uguaglianza
sostanziale»; 
    che la parte, richiamando le sentenze della Corte  costituzionale
n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015, asserisce che il  legislatore,  nel
disciplinare  la  rivalutazione  automatica  delle   pensioni,   deve
assicurare  il  rispetto  dei  principi   di   proporzionalita',   di
adeguatezza, di uguaglianza e di ragionevolezza anche con riguardo  a
quelle  piu'  alte  e  che   tali   principi,   «per   giurisprudenza
costituzionale, potrebbero essere  derogati  eccezionalmente  per  un
solo anno. Certamente non per tre anni»; 
    che, a  proposito  del  denunciato  azzeramento  triennale  della
perequazione automatica delle  pensioni  superiori  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS, S. C. prospetta poi due considerazioni; 
    che, con la prima, «strettamente giuridica», tale parte asserisce
che:  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,   la
proporzionalita' e l'adeguatezza dei trattamenti pensionistici devono
sussistere  anche  successivamente  al  collocamento  a  riposo,   in
relazione al  mutamento  del  potere  di  acquisto  della  moneta,  e
l'adeguamento (in misura non meramente simbolica)  delle  prestazioni
previdenziali a  tale  mutamento  e'  indispensabile,  anche  per  le
pensioni di maggiore consistenza; la pretesa del legislatore di  fare
fronte a una contingente negativa situazione finanziaria dello  Stato
mediante una riduzione permanente delle pensioni, che permarra' anche
una  volta  che  tale  situazione  avra'   avuto   termine,   sarebbe
«irragionevole e sproporzionata [...], poiche' i mezzi usati per  una
compressione dei diritti costituzionali eccedono i fini proposti»; 
    che, con la seconda considerazione,  «logico-matematica»,  S.  C.
evidenzia  che:  con  il  censurato   azzeramento   triennale   della
perequazione, il legislatore «utilizza il parametro zero che, per sua
natura,  non  puo'  oggettivamente  assicurare  alcun   rapporto   di
proporzionalita' [...] e conseguentemente  [...]  alcun  rapporto  di
adeguatezza  [...],  allorquando  si   dimostri   che   sussista   un
consistente deprezzamento del valore della moneta negli anni presi in
considerazione  dal  provvedimento  legislativo»;  cio'  si   sarebbe
verificato nel triennio 2012/2014, in cui il potere di acquisto delle
pensioni e' diminuito di quasi il 7 per cento; il detto  azzeramento,
«ancorche' [...] formalmente temporaneo», si configurerebbe come  una
«decurtazione permanente, [...] non essendo previsto alcun meccanismo
di recupero»; 
    che, per tali ragioni,  la  disciplina  denunciata  violerebbe  i
principi di proporzionalita', di adeguatezza e  di  «uguaglianza,  ex
art. 3, comma 2, Cost. con riferimento  all'uguaglianza  di  tutti  i
percettori di trattamento pensionistico  ed  anche  tra  i  cittadini
percettori di pensione e cittadini percettori  di  redditi  di  altra
natura»; 
    che verrebbe «[c]onseguentemente» violato anche il  principio  di
ragionevolezza, «in quanto non e' possibile effettuare alcun rapporto
di natura matematica  (di  proporzionalita'  e/o  di  progressivita')
utilizzando il parametro zero»; 
    che, dopo avere  ribadito  che  il  denunciato  blocco  triennale
«equivale ad una decurtazione permanente, [...] non essendo  previsto
alcun meccanismo di recupero», la parte deduce  ancora  che  «risulta
estranea "allo Stato di diritto" la pretesa del Governo di  risolvere
i  problemi  finanziari  dello  Stato  ricorrendo  ad   un   prelievo
unilaterale che  rompe  l'equilibrio  sinallagmatico  che  regola  il
rapporto  di  lavoro:  Ordinamento  Stato  e  pubblico   funzionario.
Violando cosi' il principio del "legittimo affidamento"»; 
    che in tutti i  giudizi  incidentali  si  e'  costituito  l'INPS,
resistente  nei  giudizi  principali,  chiedendo  che  le   questioni
sollevate siano dichiarate manifestamente infondate; 
    che l'Istituto osserva anzitutto che: dall'esame  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 70 del 2015,  risulterebbe  che  l'art.
24, comma 25,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  nel  testo  dichiarato
incostituzionale con tale pronuncia,  si  differenziava  dalle  altre
norme adottate nel tempo  in  tema  di  perequazione,  in  quanto  si
limitava a stabilire la piena indicizzazione di  alcuni  trattamenti,
escludendola per tutti gli altri (ivi incluse pensioni  di  ammontare
meno  elevato),  senza  prevedere  per  essi  una  tutela,  ancorche'
decrescente in rapporto al loro ammontare; il d.l.  n.  65  del  2015
avrebbe  dato  attuazione  alle  indicazioni  fornite   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 70 del 2015, abbandonando il modello
da questa censurato e tornando al precedente; 
    che,  cio'   premesso,   l'INPS   deduce   l'infondatezza   delle
argomentazioni del  giudice  a  quo  in  tema  di  adeguatezza  e  di
proporzionalita' dei trattamenti pensionistici; 
    che, secondo  l'INPS,  il  rispetto  di  tali  principi  andrebbe
assicurato secondo valutazioni riservate  alla  discrezionalita'  del
legislatore,  purche'  esercitata  in  modo   non   irragionevole   o
arbitrario, sicche' il principio di adeguatezza non comporterebbe  un
rigido  meccanismo  di  perequazione,  cosi'  come  il  principio  di
proporzionalita' non  darebbe  luogo  a  una  garanzia  di  integrale
corrispondenza tra retribuzione e  pensione,  atteso  che  la  scelta
dello strumento idoneo a salvaguardare le pensioni dall'erosione  del
potere  di  acquisto  causata   dall'inflazione   e'   riservata   al
legislatore, sulla base del bilanciamento tra le varie esigenze,  nel
quadro della politica economica generale, tenendo conto  anche  delle
concrete disponibilita' finanziarie; 
    che, sempre ad avviso dell'INPS, andrebbe anche  considerato  che
la  normativa  censurata  e'  intervenuta  in  un  momento  di  crisi
economica, che ha determinato, da un lato, la riduzione delle risorse
disponibili e, dall'altro, un indebolimento della domanda interna che
ha condotto all'azzeramento dell'inflazione; 
    che, in  tale  particolare  situazione,  non  potrebbe  ritenersi
irragionevole la scelta compiuta dal legislatore di assicurare -  con
un intervento non piu'  limitato,  come  in  passato,  a  un  periodo
annuale o biennale - una tutela piena ai pensionati piu' bisognosi  e
una tutela parziale  decrescente  ai  titolari  di  trattamenti  piu'
elevati; 
    che,  inoltre,  diversamente  da  quanto  ritenuto  dal   giudice
rimettente, il legislatore avrebbe  illustrato  le  ragioni  poste  a
fondamento dell'intervento normativo,  le  quali  risulterebbero,  in
particolare, dalla Relazione illustrativa  al  disegno  di  legge  di
conversione in legge del d.l. n. 65 del 2015; 
    che in tutti i giudizi incidentali e' intervenuto  il  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  assistito  e  difeso  dall'Avvocatura
generale Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate
inammissibili o infondate; 
    che, dopo avere richiamato alcuni dei  contenuti  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 70 del 2015, l'interveniente sottolinea
come l'art. 1 del d.l. n.  65  del  2015  abbia  dato  attuazione  ai
principi  enunciati  dalla   stessa,   assicurando   un   trattamento
pensionistico adeguato, pur nel contemperamento di tale esigenza  con
il principio dell'equilibrio di  bilancio  e  con  gli  obiettivi  di
finanza pubblica, concentrando  le  limitate  risorse  disponibili  a
favore delle categorie di pensionati con i trattamenti piu' bassi; 
    che l'interveniente sottolinea poi come la  giurisprudenza  della
Corte costituzionale abbia: valorizzato da tempo, nella  materia,  il
principio   del    bilanciamento    complessivo    degli    interessi
costituzionali  nel  quadro   delle   compatibilita'   economiche   e
finanziarie, sicche' «soltanto le fasce  piu'  basse  debbono  essere
integralmente  tutelate»;  ritenuto  legittime  riduzioni  temporanee
della rivalutazione delle pensioni; affermato l'insussistenza  di  un
diritto all'aggancio costante delle pensioni agli stipendi;  asserito
che spetta alla discrezionalita' del legislatore stabilire la  misura
dei trattamenti di quiescenza e la  variazione  dell'ammontare  degli
stessi attraverso il  bilanciamento  dei  valori  contrapposti  delle
esigenze di vita dei  destinatari  e  delle  concrete  disponibilita'
finanziarie ed esigenze di bilancio; 
    che, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in assenza
di  precisi  parametri  cui  attenersi   nella   determinazione   dei
coefficienti di rivalutazione dei trattamenti pensionistici e  tenuto
conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale  nella  sentenza
n. 316 del 2010, considerata la necessita' di garantire  l'equilibrio
di bilancio  e  gli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la  normativa
censurata non sarebbe irragionevole e costituirebbe  espressione  del
potere discrezionale del legislatore; 
    che,  sotto  altra  prospettiva,  tenuto  conto  degli  obiettivi
dell'intervento normativo censurato, non sarebbe  possibile  dubitare
della  legittimita'  costituzionale  dello  stesso  soltanto  perche'
introduce  un  coefficiente  di  rivalutazione  automatica   ritenuto
insufficiente a bilanciare la  perdita  di  potere  di  acquisto  dei
trattamenti pensionistici; 
    che, in proposito,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
osserva come lo  stesso  rimettente  abbia  sottolineato  che,  nella
scelta del meccanismo perequativo da utilizzare, il legislatore  gode
di  una  certa  discrezionalita',  considerato  che,  dal   combinato
disposto degli artt. 36 e 38 Cost., emerge  esclusivamente  l'obbligo
di adeguamento delle pensioni  al  costo  della  vita  ma  non  anche
l'obbligo del  legislatore  di  adottare  un  particolare  meccanismo
perequativo; 
    che,  secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  le
questioni sollevate  sarebbero,  percio',  anzitutto,  inammissibili,
dovendosi  ritenere  insindacabili  le   scelte   discrezionali   del
legislatore «in ordine alle modalita' e ai tempi della  rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici; laddove, come nel  caso  di
specie,  [l']intervento  sia  necessitato  dal  dare  attuazione   ai
principi enunciati nella [...] sentenza n. 70/16 [recte:  n.  70  del
2015], tenendo conto dell'eccezionalita' della  situazione  economica
internazionale, dell'esigenza prioritaria  del  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza  pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche
garantendo l'equilibrio di bilancio dell'ente previdenziale»; 
    che   l'interveniente   sottolinea   infine   come   in   materia
previdenziale assuma rilievo determinante l'attenzione all'equilibrio
del sistema, inteso come tendente alla corrispondenza tra le  risorse
disponibili e le prestazioni erogate e come  la  normativa  censurata
garantirebbe tale equilibrio, sia in ossequio all'art. 3  Cost.,  sia
in adempimento del vincolo imposto dall'art. 81, quarto comma [recte:
terzo comma], Cost., tenuto conto che essa vale a  escludere  effetti
finanziari tali da compromettere gli equilibri di finanza pubblica  e
gli impegni assunti dall'Italia con l'Unione europea; 
    che, in prossimita' della camera di consiglio, S. C.,  costituito
nel giudizio reg. ord. n. 133 del 2017,  ha  depositato  una  memoria
illustrativa, con la quale ha chiesto che le  disposizioni  censurate
siano dichiarate costituzionalmente illegittime in riferimento  «agli
articoli: 2, 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della
Costituzione ed anche all'art. 117 comma 1 in riferimento alle  norme
interposte 6 e 13 della CEDU»; 
    che, dopo avere segnalato  la  pubblicazione,  intervenuta  medio
tempore, della sentenza della Corte costituzionale n. 250  del  2017,
la parte afferma di ritenere che le argomentazioni del giudice a  quo
«esplorino la vicenda sotto un distinto e nuovo profilo», inerente la
violazione del principio del legittimo affidamento; 
    che, a  tale  proposito,  S.  C.  asserisce  che,  nella  specie,
ricorrerebbero «tutti i presupposti essenziali per  l'ingenerarsi  di
un  legittimo  affidamento»,  atteso  che  egli   «ha   maturato   la
convinzione lungo l'intero arco lavorativo e per un periodo  iniziale
del periodo  di  quiescenza  che  il  suo  trattamento  pensionistico
sarebbe stato costantemente aggiornato per tutto il resto  della  sua
esistenza in modo  proporzionale  [...]  ed  adeguato  al  potere  di
acquisto. Non necessariamente al cento%, ma nemmeno allo  zero%,  con
l'aggravio degli effetti permanenti, irreversibili e progressivi  nel
tempo»; 
    che, nel ribadire quanto dedotto nel proprio atto di costituzione
in giudizio a proposito  della  violazione  degli  artt.  3,  secondo
comma, 36,  primo  comma,  e  38,  secondo  comma,  Cost.,  la  parte
costituita  afferma  che  le  disposizioni  denunciate  violerebbero,
percio',  «innanzitutto  l'art.  2  Cost.  (principio  del  legittimo
affidamento) e l'art. 117, comma 1 Cost. in riferimento agli artt.  6
e 13 CEDU»; 
    che, in prossimita' della camera di consiglio, il Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato  memorie  illustrative,  con  le
quali,  dopo  avere  ribadito  quanto  dedotto  nei  propri  atti  di
intervento in giudizio, rammenta che, successivamente alle  ordinanze
di rimessione, e' intervenuta la sentenza della Corte  costituzionale
n. 250 del 2017, con la quale sarebbero state dichiarate non  fondate
«questioni di  tenore  testuale  analogo  e  concernenti  fattispecie
identiche a quell[e] in esame»,  sicche',  non  avendo  i  rimettenti
fornito «alcun elemento  nuovo  o  spunti  diversi  di  valutazione»,
queste  ultime   dovrebbero   essere   dichiarate   inammissibili   o
manifestamente infondate; 
    che, in prossimita' della camera di consiglio,  anche  l'INPS  ha
depositato, in tutti i cinque giudizi,  delle  memorie  illustrative,
con le quali rappresenta che le questioni sollevate  sarebbero  state
ritenute non fondate dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  n.
250   del   2017,   sicche'   esse   dovrebbero   essere   dichiarate
inammissibili; 
    che, con riguardo al giudizio iscritto al n. 122 reg. ord.  2017,
la rimettente Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale  per
la Lombardia, ha trasmesso copia della propria  sentenza  n.  81  del
2018, depositata il  9  aprile  2018,  con  la  quale  ha  dichiarato
l'estinzione del giudizio principale per  rinuncia  agli  atti  dello
stesso da parte dei ricorrenti. 
    Considerato che, con cinque ordinanze di contenuto in larghissima
parte  coincidente,  la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale
regionale per la Lombardia, ha sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale: a) del comma 25 - in particolare, lettere b), c),  d)
ed e) (reg. ord. n. 122 e n. 123 del 2017), lettera e) (reg. ord.  n.
131 e n. 133 del 2017) e lettera b) (reg. ord. n.  132  del  2017)  -
dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22  dicembre
2011, n. 214, nel testo di tale comma sostituito dall'art.  1,  comma
1, numero 1), del decreto-legge 21 maggio 2015, n.  65  (Disposizioni
urgenti in materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori  sociali  e  di
garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge  17  luglio
2015, n. 109; b) del comma 25-bis dello stesso art. 24, nel testo  di
tale comma inserito dall'art. 1, comma 1, numero 2), del d.l.  n.  65
del 2015 (reg. ord. n. 122, n. 123 e n. 132 del 2017);  c)  dell'art.
1, comma 483, lettera e), della  legge  27  dicembre  2013,  n.  147,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)», nella  parte  in
cui stabilisce  che,  «per  il  solo  anno  2014,  [la  rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici]  non  e'  riconosciuta  con
riferimento  alle  fasce  di  importo  superiori  a  sei   volte   il
trattamento minimo INPS» (reg. ord. n. 122 e n. 133 del 2017); 
    che il giudice a quo espone che, sulla base di tali disposizioni:
la rivalutazione automatica dei  trattamenti  pensionistici  compresi
tra quelli superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e  quelli
fino a sei volte lo stesso trattamento, per gli anni 2012 e 2013,  e'
riconosciuta solo nelle limitate percentuali -  rispettivamente,  del
40 per cento, del 20 per cento e del 10 per cento -  stabilite  dalle
lettere b), c) e d) del comma 25 dell'art. 24 del  d.l.  n.  201  del
2011;  la  rivalutazione  automatica  dei  trattamenti  pensionistici
superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, per gli anni 2012 e
2013, non e' riconosciuta (ai sensi  della  lettera  e  dello  stesso
comma 25) e, per l'anno 2014, «non e'  riconosciuta  con  riferimento
alle fasce di importo superiori a sei  volte  il  trattamento  minimo
INPS» (ai sensi della lettera e del comma 483 dell'art. 1 della legge
n. 147 del 2013); nell'anno 2014,  la  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici, come determinata dal comma 25 dell'art. 24
del d.l. n. 201 del 2011, e' riconosciuta nella misura  del  solo  20
per cento (ai sensi del comma 25-bis dello stesso art. 24); 
    che, secondo il  rimettente,  tale  disciplina  della  cosiddetta
perequazione delle pensioni per gli anni 2012, 2013 e 2014 violerebbe
gli artt. 3, secondo comma (recte: primo comma), 36, primo  comma,  e
38, secondo comma, della Costituzione -  in  relazione  ai  principi,
rispettivamente,  di   ragionevolezza   e   di   proporzionalita'   e
adeguatezza dei trattamenti pensionistici - perche' opererebbe un non
corretto bilanciamento tra le esigenze  di  risparmio  della  finanza
pubblica e l'interesse dei pensionati alla conservazione  del  potere
di acquisto dei trattamenti  pensionistici  e  non  assicurerebbe  la
proporzionalita' e l'adeguatezza  degli  stessi,  in  relazione  alla
diminuzione di tale potere di acquisto causata dall'inflazione; 
    che, dato che le questioni sollevate con le cinque  ordinanze  di
rimessione  hanno  a  oggetto,  per  la   gran   parte,   le   stesse
disposizioni, e queste sono censurate in riferimento  a  parametri  e
con   argomentazioni   coincidenti,   i   giudizi   di   legittimita'
costituzionale  devono  essere  riuniti,  per  essere  congiuntamente
trattati e decisi con un'unica pronuncia; 
    che, preliminarmente, va rilevato che S. C., parte costituita nel
giudizio reg. ord. n. 133 del  2017,  ha  dedotto  la  violazione  di
parametri e  profili  di  incostituzionalita'  ulteriori  rispetto  a
quelli indicati in tale ordinanza di rimessione; 
    che, in  particolare,  tale  parte  ha  dedotto:  con  l'atto  di
costituzione in  giudizio,  la  violazione  dell'art.  3  Cost.  «con
riferimento all'uguaglianza [...] tra [...] cittadini  percettori  di
pensione e cittadini percettori di redditi  di  altra  natura»  e  la
violazione  del  «principio  del  "legittimo  affidamento"»;  con  la
memoria  illustrativa  depositata  in  prossimita'  della  camera  di
consiglio, la violazione dell'«art. 2 Cost. (principio del  legittimo
affidamento)» nonche' dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848; 
    che tali parametri e  profili  di  incostituzionalita'  non  sono
indicati nell'ordinanza menzionata; 
    che le relative censure si traducono, quindi,  in  questioni  non
sollevate nel giudizio iscritto al n. 133  reg.  ord.  2017  e  sono,
percio', inammissibili; 
    che, infatti, in base  alla  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, «[l]'oggetto del giudizio di  legittimita'  costituzionale  in
via incidentale e' limitato alle disposizioni e ai parametri indicati
nelle ordinanze di rimessione; non possono, pertanto, essere presi in
considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni
o profili di costituzionalita' dedotti dalle parti, sia eccepiti,  ma
non fatti  propri  dal  giudice  a  quo,  sia  volti  ad  ampliare  o
modificare successivamente il contenuto delle  stesse  ordinanze  (ex
plurimis, sentenze n. 251, n. 250, n. 35 e n. 29 del 2017; n.  214  e
n. 96  del  2016)»  (sentenza  n.  27  del  2018,  punto  3.1.1.  del
Considerato in diritto;  nello  stesso  senso,  oltre  alle  pronunce
citate da quest'ultima, sentenza n. 12 del 2018); 
    che, sempre in via preliminare, deve essere disattesa l'eccezione
di  inammissibilita'  delle  sollevate  questioni   prospettata   dal
Presidente del Consiglio dei ministri  con  riferimento  all'asserita
insindacabilita'  delle  scelte  discrezionali  del  legislatore  «in
ordine alle modalita' e ai tempi della rivalutazione  automatica  dei
trattamenti  pensionistici;  laddove,  come  nel  caso   di   specie,
[l']intervento  sia  necessitato  dal  dare  attuazione  ai  principi
enunciati nella [...] sentenza n. 70/16  [recte:  n.  70  del  2015],
tenendo  conto   dell'eccezionalita'   della   situazione   economica
internazionale, dell'esigenza prioritaria  del  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza  pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche
garantendo l'equilibrio di bilancio dell'ente previdenziale»; 
    che la discrezionalita' spettante al legislatore nella scelta dei
meccanismi  diretti  ad  assicurare  nel  tempo   l'adeguatezza   dei
trattamenti pensionistici trova pur sempre un limite nel «criterio di
ragionevolezza»,  il  quale  «circoscrive  la  discrezionalita'   del
legislatore  e  vincola  le  sue  scelte  all'adozione  di  soluzioni
coerenti con i parametri costituzionali» (sentenza n.  70  del  2015,
punto 8. del Considerato in diritto); 
    che, pertanto, la sussistenza della discrezionalita'  legislativa
invocata dal Presidente del Consiglio dei  ministri  non  esclude  la
necessita' di verificare nel merito  le  scelte  di  volta  in  volta
operate dal legislatore riguardo ai meccanismi di  rivalutazione  dei
trattamenti pensionistici, quale che sia il contesto giuridico  e  di
fatto nel quale esse si inseriscono, contesto del quale questa Corte,
nel compiere tale verifica, non potra', ovviamente, non tenere conto; 
    che non ha rilievo, ai fini dell'ammissibilita'  delle  questioni
sollevate con l'ordinanza iscritta al n. 122 reg. ord. 2017, il fatto
che la rimettente Corte dei conti, sezione giurisdizionale  regionale
per la Lombardia, con la sentenza n. 81 del  2018,  depositata  il  9
aprile 2018 e trasmessa a questa Corte, abbia dichiarato l'estinzione
del giudizio principale per rinuncia agli atti dello stesso da  parte
dei ricorrenti; 
    che,  infatti,  a  norma  dell'art.  18,  comma  1,  delle  Norme
integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte   costituzionale,
l'estinzione del processo principale non produce effetti sul giudizio
davanti a questa Corte; 
    che, nel  merito,  le  questioni  sollevate  sono  manifestamente
infondate; 
    che, con la sentenza n. 250 del 2017, questa Corte ha  dichiarato
non  fondate  identiche  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
concernenti le stesse disposizioni e sollevate  in  riferimento  (tra
gli altri) agli stessi parametri costituzionali e  sotto  gli  stessi
profili; 
    che, con riguardo ai commi 25 e 25-bis dell'art. 24 del  d.l.  n.
201 del 2011, con la detta sentenza questa Corte, dopo avere ribadito
la necessita' che, nella disciplina  dei  trattamenti  pensionistici,
sia salvaguardata la garanzia di  un  reddito  che  non  comprima  le
«esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la  prestazione
previdenziale» (sentenza n. 240 del 1994) e come tale  obiettivo  sia
raggiungibile «per il tramite e nella misura» dell'art.  38,  secondo
comma, Cost. (sentenza n. 156 del  1991)  -  il  che  comporta  «solo
indirettamente» (sentenza n. 361 del 1996) un aggancio  all'art.  36,
primo comma, Cost., «anche al fine di dare un piu' concreto contenuto
al parametro della adeguatezza» - ha posto in rilievo come, su questo
terreno, si debba esercitare  la  discrezionalita'  del  legislatore,
chiamato a bilanciare, secondo criteri non irragionevoli, l'interesse
dei  pensionati  a  preservare  il  potere  di  acquisto  dei  propri
trattamenti previdenziali con le esigenze finanziarie e di equilibrio
del bilancio dello Stato; 
    che, cio' rimarcato, unitamente alla necessita' che, al  fine  di
assicurare la coerente applicazione del principio  di  ragionevolezza
negli interventi legislativi che  si  prefiggono  risparmi  di  spesa
nella  materia  pensionistica,  questi  ultimi  siano  «accuratamente
motivati», la sentenza n. 250 del 2017 ha reputato che  i  denunciati
commi 25 e 25-bis  siano  frutto  di  scelte  non  irragionevoli  del
legislatore; 
    che, in proposito, questa Corte ha  affermato  che,  dal  disegno
complessivo  di  tali  commi,  emergono  con  evidenza  le   esigenze
finanziarie di cui il  legislatore  ha  tenuto  conto  nell'esercizio
della sua discrezionalita', le quali sono state preservate attraverso
un sacrificio parziale e temporaneo dell'interesse dei  pensionati  a
tutelare   il   potere   di   acquisto   dei   propri    trattamenti,
nell'attuazione dei principi di adeguatezza e di proporzionalita' dei
trattamenti pensionistici, la cui  osservanza  trova  conferma  nella
scelta non irragionevole di riconoscere  la  perequazione  in  misure
percentuali decrescenti all'aumentare  dell'importo  complessivo  del
trattamento  pensionistico,  sino  a  escluderla  per  i  trattamenti
superiori a sei volte il minimo INPS, destinando, cosi', le  limitate
risorse finanziarie disponibili, in via prioritaria,  alle  categorie
di pensionati con i trattamenti piu' bassi; 
    che, allo stesso proposito, questa Corte ha altresi' statuito che
tale scelta legislativa di privilegiare i  trattamenti  pensionistici
di modesto importo soddisfa un canone  di  non  irragionevolezza  che
trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni  di
importo piu' alto rispetto agli effetti dell'inflazione; 
    che la sentenza n. 250 del 2017 ha escluso anche che i denunciati
commi 25 e 25-bis violino il principio di adeguatezza dei trattamenti
pensionistici, di cui all'art. 38, secondo comma, Cost.; 
    che, a tale riguardo, questa Corte ha  anzitutto  negato  che  il
blocco, per gli anni 2012 e 2013, della perequazione dei  trattamenti
pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS sia tale da minare
l'adeguatezza degli stessi, considerati nel  loro  complesso,  atteso
che esso incide  su  trattamenti  di  importo  medio-alto,  i  quali,
proprio  per  la  loro  maggiore  entita',  presentano   margini   di
resistenza   all'erosione   del   potere    di    acquisto    causata
dall'inflazione, peraltro di livello piuttosto contenuto  negli  anni
2011 e 2012; 
    che ad analoga conclusione questa Corte e' pervenuta a  proposito
del  riconoscimento,  sempre  per  gli  anni  2012  e   2013,   della
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  superiori  a
tre volte e fino a sei volte il minimo INPS nelle misure  percentuali
progressivamente decrescenti previste dalle lettere b), c) e  d)  del
denunciato comma 25; 
    che, sul punto, la sentenza n. 250 del 2017 ha osservato:  da  un
lato, che siffatti  «criteri  di  progressivita'»  erano  gia'  stati
ritenuti    «parametrati    sui    valori    costituzionali     della
proporzionalita' e dell'adeguatezza dei  trattamenti  di  quiescenza»
(sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015), il che e' comprovato dal
fatto  che  essi  assicurano  a  tali  trattamenti  una  salvaguardia
dall'erosione del potere di  acquisto  che  aumenta  gradualmente  al
diminuire, con la  riduzione  del  loro  importo,  anche  della  loro
capacita' di resistenza alla  stessa  erosione;  dall'altro,  che  le
anzidette   misure   percentuali   decrescenti   della   perequazione
riconosciuta  a  trattamenti   pensionistici   medi   (quali   devono
considerarsi quelli superiori a cinque volte e pari o inferiori a sei
volte il minimo INPS)  o,  ancorche'  modesti,  tuttavia  pur  sempre
superiori a tre e quattro volte il  trattamento  che  costituisce  il
«nucleo essenziale» della tutela previdenziale (sentenza n.  173  del
2016),  non  sono  irragionevoli,   non   essendo   tali   da   poter
concretamente pregiudicare l'adeguatezza  degli  stessi  trattamenti,
considerati nel loro complesso, a soddisfare le esigenze di vita; 
    che la stessa sentenza n. 250 del 2017  ha  altresi'  argomentato
come tali conclusioni non siano inficiate, rispettivamente, dal fatto
che  il  censurato  blocco   della   perequazione   dei   trattamenti
pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS non preveda alcuna
forma di recupero e produca i propri effetti anche sulla perequazione
per gli anni successivi -  trattandosi  di  normali  conseguenze,  in
difetto di specifiche disposizioni di segno contrario,  delle  misure
di blocco  della  perequazione  -  e  dal  fatto  che,  a  norma  del
denunciato comma 25-bis, gli incrementi  perequativi  attribuiti  per
gli anni 2012 e 2013 con riguardo alle pensioni superiori a tre volte
e fino a sei volte  il  minimo  siano  riconosciuti,  ai  fini  della
determinazione  delle  basi  di  calcolo   per   il   computo   della
perequazione  a  decorrere  dal  2014,  nelle  limitate   percentuali
indicate nello stesso comma; 
    che la  sentenza  n.  250  del  2017  ha  infine  escluso  che  i
denunciati commi 25 e 25-bis violino il principio di proporzionalita'
dei trattamenti pensionistici alla quantita' e  qualita'  del  lavoro
prestato, di cui all'art. 36, primo comma, Cost.; 
    che, a tale riguardo, questa Corte  ha  anzitutto  richiamato  la
sentenza n. 70 del 2015, con la quale, nell'applicare il principio di
proporzionalita' ai trattamenti di  quiescenza,  aveva  statuito  che
cio' non comporta «un'automatica  ed  integrale  coincidenza  tra  il
livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e'  riservata
al legislatore una sfera di discrezionalita' per l'attuazione»  anche
di tale principio, e la sentenza n.  173  del  2016,  con  cui  aveva
rimarcato che la garanzia dell'art. 38  Cost.  e'  «agganciata  anche
all'art. 36 Cost.,  ma  non  in  modo  indefettibile  e  strettamente
proporzionale»,   sicche'   la   determinazione    del    trattamento
pensionistico e del suo adeguamento «tiene conto  anche  dell'impegno
individuale nella quantita' e qualita' del lavoro svolto  nella  vita
attiva» (sentenza n. 250 del 2017); 
    che la stessa sentenza n. 250 del 2017 ha  quindi  statuito  che,
considerato tale orientamento, le argomentazioni in  essa  spese  con
riguardo al principio di adeguatezza, di  cui  all'art.  38,  secondo
comma, Cost., muovono nella direzione della non irragionevolezza  del
bilanciamento  tra  l'interesse  dei   pensionati   e   le   esigenze
finanziarie dello Stato operato dai denunciati commi 25 e  25-bis,  i
quali, inoltre,  rispettano  il  principio  di  proporzionalita'  dei
trattamenti di  quiescenza  alla  quantita'  e  qualita'  del  lavoro
prestato; 
    che questa Corte ha concluso che e'  nella  costante  interazione
tra i principi costituzionali racchiusi  negli  artt.  3,  36,  primo
comma, e 38, secondo comma, Cost. che si devono  rinvenire  i  limiti
alle misure di contenimento della spesa  che,  in  mutevoli  contesti
economici,  hanno  inciso  sui  trattamenti   pensionistici   e   che
l'individuazione di un equilibrio tra i valori coinvolti determina la
non irragionevolezza dei censurati commi 25 e 25-bis; 
    che, con riguardo all'art. 1, comma 483, lettera e), della  legge
n. 147 del 2013, nella  parte  in  cui  disciplina  la  rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici superiori  a  sei  volte  il
minimo INPS per l'anno 2014, nella sentenza n. 250  del  2017  questa
Corte ha richiamato la sentenza  n.  173  del  2016,  con  la  quale,
nell'esaminare l'intero comma 483, aveva statuito che, ancorche'  «la
limitazione   della   rivalutazione   monetaria    dei    trattamenti
pensionistici, per il biennio 2012-2013, di cui al  citato  art.  24,
comma  25,  del  d.l.  n.  201  del  2011  [sia]   stata   dichiarata
costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 70 del
2015», tuttavia «questa stessa sentenza (al punto 7. del  Considerato
in diritto), ha sottolineato  come  da  quella  norma  (fonte  di  un
"blocco integrale" della rivalutazione per  le  pensioni  di  importo
superiore a tre volte il minimo) si "differenzi" (non condividendone,
quindi, le ragioni di incostituzionalita') l'art. 1, comma 483, della
legge 147 del 2013, che, viceversa, "ha  previsto,  per  il  triennio
2014-2016, una rimodulazione nell'applicazione della  percentuale  di
perequazione automatica sul complesso dei trattamenti  pensionistici,
secondo il meccanismo di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448
del 1998, con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore  a
sei volte il trattamento minimo  INPS  e  per  il  solo  anno  2014",
ispirandosi "a criteri  di  progressivita',  parametrati  sui  valori
costituzionali  della  proporzionalita'  e  della   adeguatezza   dei
trattamenti di quiescenza"»; 
    che le ricordate argomentazioni e quelle ulteriori esposte  nella
stessa sentenza n. 250 del 2017 hanno condotto, infine, questa  Corte
a  ritenere  l'infondatezza  delle  censure  sollevate  -  sempre  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.
- nei confronti dell'art. 24, comma 25, lettere b), c), d) ed e), del
d.l. n. 201 del 2011, congiuntamente all'art. 1, comma  483,  lettera
e), della legge n. 147 del 2013 e nei confronti dell'art.  24,  commi
25 e 25-bis, del d.l. n. 201 del 2011 «in collegamento» con l'art. 1,
comma 483, lettere d) ed e), della legge n. 147 del 2013; 
    che  la  rimettente  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale
regionale  per  la  Lombardia,   non   ha   prospettato   profili   o
argomentazioni diversi rispetto a quelli  gia'  esaminati  da  questa
Corte con la sentenza n. 250 del 2017 o comunque idonei a  indurre  a
una   differente   pronuncia   sulle   questioni   di    legittimita'
costituzionale in esame; 
    che   queste   ultime,   pertanto,   devono   essere   dichiarate
manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.