IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA 
                          (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1351 del 2016, proposto da: M. R., rappresentato  e
difeso dagli avvocati Giacomo De Cesaris e  Andrea  De  Cesaris,  con
domicilio eletto presso lo studio  Giulio  Caselli  in  Firenze,  via
Montebello 76; 
    Contro il Ministero  dell'interno  in  persona  del  Ministro  in
carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale
dello Stato presso la quale e'  domiciliato  in  Firenze,  via  degli
Arazzieri 4; 
    per l'annullamento della nota prot. n. 6/F del  24  agosto  2016,
notificata in data 25 agosto 2016, con la  quale  e'  stata  respinta
l'istanza presentata dal ricorrente in data 28 aprile 2016,  tesa  ad
ottenere il rinnovo della licenza di porto fucile per uso  venatorio,
nonche' di ogni ulteriore atto presupposto e conseguente. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'interno; 
    Vista la memoria difensiva della difesa erariale; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  19  dicembre  2017  il
dott. Alessandro Cacciari e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. Il ricorrente ha chiesto il rinnovo  della  licenza  di  porto
d'armi per uso venatorio alla Questura di Grosseto, che ha negato  il
rilascio del titolo ai sensi dell'art. 43, primo  comma,  lettera  a)
del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 - T.U.L.P.S. poiche'  risulta
condannato, con sentenza  irrevocabile  della  Corte  di  appello  di
Firenze in data 25 gennaio 1980,  a  due  anni  di  reclusione  e  L.
200.000 di multa per furto aggravato e falso titolo di credito.  Egli
ha quindi impugnato il diniego con il presente ricorso, notificato il
10 ottobre 2016 e depositato il 24 ottobre 2016, lamentando di  avere
ottenuto  la  riabilitazione  che  escluderebbe  il  prodursi  di  un
automatico effetto ostativo al rilascio del porto d'armi  in  seguito
ad una pregressa condanna alla reclusione, tanto piu' che nel caso di
specie questa risale a molto tempo addietro. Rileva inoltre di  avere
chiesto il rinnovo, e non la prima concessione, del titolo avendo  in
passato gia' ottenuto il porto d'armi per uso venatorio e  deduce  di
avere mantenuto una condotta di  vita  specchiata  dopo  la  condanna
penale irrogata. 
    Si e'  costituita  l'Avvocatura  dello  Stato  per  il  Ministero
dell'interno chiedendo la reiezione del ricorso. 
    Con ordinanza 24 maggio  2017,  n.  741,  e'  stato  ordinato  al
ricorrente di  produrre  copia  della  sentenza  penale  di  condanna
pronunciata a suo carico e alla Questura di Grosseto di produrre  una
relazione sui fatti di causa. L'Amministrazione ha  adempiuto  mentre
il ricorrente, con istanza depositata il 5 luglio 2017, ha chiesto un
differimento del termine stante la difficolta'  di  procurarsi  copia
della sentenza penale, che non e' piu' in suo possesso. 
    Con successiva ordinanza 19  ottobre  2017,  n.  1253,  e'  stato
allora disposto che il deposito della sentenza fosse effettuato dalla
Corte  di  appello  di  Firenze  per   il   tramite   dell'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato.  L'adempimento  e'  stato  effettuato   e
all'udienza del 19 dicembre 2017 la  causa  e'  stata  trattenuta  in
decisione. 
    2. Al fine del decidere viene in rilievo l'art. 43, comma  primo,
del regio decreto n. 773/1931 che recita «Oltre a quanto e' stabilito
dall'art. 11 non puo' essere conceduta la licenza di portare armi: 
        a) a chi ha riportato condanna alla  reclusione  per  delitti
non colposi contro le  persone  commessi  con  violenza,  ovvero  per
furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di  rapina  o
di estorsione; 
        b) a chi ha  riportato  condanna  a  pena  restrittiva  della
liberta' personale per violenza  o  resistenza  all'autorita'  o  per
delitti  contro  la  personalita'  dello  Stato  o  contro   l'ordine
pubblico; 
        c) a chi ha riportato condanna per  diserzione  in  tempo  di
guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. 
    La licenza puo' essere ricusata ai condannati per delitto diverso
da quelli sopra menzionati e a chi non  puo'  provare  la  sua  buona
condotta o non da' affidamento di non abusare delle armi». 
    La fattispecie in esame ricade nell'ambito  di  applicazione  del
disposto di cui alla lettera a) della norma soprariportata, e secondo
il suo tenore letterale il ricorso dovrebbe essere  respinto  poiche'
il ricorrente ha riportato una condanna alla reclusione per furto. Il
disposto e' tuttavia stato oggetto di interpretazioni  diversificate,
tese a superarne una lettura che imponga di negare in ogni caso,  con
effetto automatico, il  rilascio  del  porto  d'armi  a  chi  risulti
condannato  per  i  reati  ivi  menzionati.  La  giurisprudenza,   in
particolare, si e' ripetutamente pronunciata  sugli  effetti  che  la
riabilitazione produce in tale ambito, con orientamenti divergenti. 
    In punto di fatto, il Collegio rileva che il  ricorrente  risulta
riabilitato  con  provvedimento  del  Tribunale  di  sorveglianza  di
Firenze 30 maggio 1991; ha  ottenuto  il  primo  rilascio  del  porto
d'armi per uso venatorio  il  6  marzo  1986  e  i  rinnovi  si  sono
susseguiti senza soluzione di continuita' fino all'attuale istanza. 
    Questa Sezione (ex  multis,  Tribunale  amministrativo  regionale
Toscana II, 17 giugno 2016 n. 1003), aveva  aderito  all'orientamento
secondo cui, una volta intervenuta la  riabilitazione  verrebbe  meno
l'automatismo preclusivo di cui  alla  norma  soprarichiamata,  salva
restando  la   possibilita'   di   un   apprezzamento   discrezionale
prognostico da parte  dell'Amministrazione  che  comprenda  anche  il
fatto (storico) di reato, ma unitamente ad ogni altro fatto  utile  a
tal scopo come i pregressi rilasci o rinnovi del titolo; la  condotta
tenuta nel tempo dall'interessato e, in generale, ogni elemento utile
a far luce sulla personalita' dell'interessato medesimo, compresa  la
riabilitazione.  Tale  lettura  era  propugnata  da  C.d.S.  III,  12
febbraio 2013 n. 822, secondo cui le condanne per  i  reati  indicati
nell'art. 43, comma primo, del regio decreto n. 773/1931, lettera  a)
e b) se sono qualificabili  come  speciali  incapacita'  ex  lege  al
rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni di polizia, e tali da  non
esser  superate  sic  et  simpliciter   dalla   mera   riabilitazione
dell'interessato,    tuttavia    non    possiedono    un    carattere
permanentemente ostativo, che non sia superabile da alcuna situazione
sopravvenuta. Diversamente  opinando,  secondo  questo  arresto,  ove
fosse consentita una motivazione  di  rigetto  avulsa  dalla  realta'
attuale e condizionata da condotte  risalenti  ad  un  passato  ormai
remoto e non piu' riprodotto, la norma sarebbe di dubbia legittimita'
costituzionale per difetto  di  ragionevolezza.  Per  evitare  questa
conseguenza occorre allora effettuare una concreta prognosi che tenga
conto si' di tali eventi, ma pure dei pregressi rilasci o rinnovi del
titolo di polizia; della condotta tenuta dall'interessato  nell'ampio
lasso di tempo successivo alla condanna (ormai, nel caso  di  specie,
risalente a trentasette anni addietro) nonche' di fatti eventualmente
sintomatici della pericolosita' effettiva ed attuale e di ogni  altro
elemento  utile  a   lumeggiarne   la   personalita',   compresa   la
riabilitazione. La condanna, in questo contesto, per quanto remota  e
superata dalla riabilitazione non perde la  sua  rilevanza  in  senso
assoluto ma non possiede un effetto  preclusivo  automatico  e  puo',
semmai, essere posta a base di  una  valutazione  discrezionale,  che
deve tenere conto  anche  degli  ulteriori  elementi  sopredescritti.
Nello stesso senso C.d.S. III, 4 marzo 2015 n. 1072 e 10 luglio  2013
n. 3719, secondo cui l'effetto preclusivo, vincolante ed  automatico,
proprio delle condanne penali  indicate  all'art.  43,  comma  primo,
T.U.L.P.S.  viene  parzialmente  meno  una   volta   intervenuta   la
riabilitazione o l'estinzione del reato; la pregressa  condanna,  per
quanto remota e superata dalla riabilitazione, non perde pero' la sua
rilevanza in senso assoluto  e  puo'  essere  posta  a  base  di  una
valutazione discrezionale. 
    Tale interpretazione e' stata superata dal parere  del  Consiglio
di Stato, Sez. I, 11 luglio 2016 n. 1620  il  quale  esclude  che  la
riabilitazione  elimini  l'effetto  preclusivo  della   condanna   al
rilascio del porto d'armi,  poiche'  il  divieto  di  concederlo  non
rientra tra gli effetti penali della condanna che  la  riabilitazione
estingue. Gli effetti della riabilitazione si esauriscono nell'ambito
penalistico senza ridondare su  altre  conseguenze  giuridiche  delle
condanne. Secondo questa lettura, per «effetti penali della condanna»
devono  intendersi  quelli  che   si   producono   sulla   successiva
applicazione della sola  legge  penale,  sostanziale  o  processuale,
quale  l'ostacolo  a  una   nuova   concessione   della   sospensione
condizionale; del beneficio  della  non  menzione  o  delle  sanzioni
sostitutive. Il divieto di concedere (o  l'obbligo  di  revocare)  il
porto d'armi, come l'esclusione da concorsi, da impieghi o da gare  o
la perdita del diritto elettorale per chi ha riportato certe condanne
sono bensi' effetti di queste, ma non hanno carattere  penalistico  e
non sono quindi  (effetti)  «penali»  delle  stesse.  Essi  pertanto,
secondo  questa  lettura,  non  possono   essere   cancellati   dalla
riabilitazione,  salva   l'esistenza   di   specifiche   disposizioni
normative come l'art. 11  del  T.U.L.P.S.  valevole,  pero',  per  le
autorizzazioni di polizia in generale ma non per quella specifica  al
porto di armi, che resta  regolamentata  dall'art.  43  del  medesimo
T.U.L.P.S. 
    La sentenza del Consiglio di Stato Sez. III, 9 novembre  2016  n.
4660, traente origine dal diniego del rinnovo del porto d'armi  a  un
soggetto riabilitato, riafferma il principio secondo cui  la  licenza
di porto d'armi non puo' essere concessa (e quella gia' rilasciata va
ritirata) nel caso di condanna per uno dei  reati  elencati  all'art.
43, primo comma, T.U.L.P.S. anche se il richiedente  ha  ottenuto  la
riabilitazione. La pronuncia rileva una netta diversita' tra l'ambito
di applicazione degli articoli 11 e 43 T.U.L.P.S. che  giustifica  la
scelta del legislatore di attribuire  rilevanza  alla  riabilitazione
solo quando si applicano le regole generali sulle «autorizzazioni  di
polizia» di cui all'art. 11, e  non  anche  quando  si  applicano  le
regole speciali sulla «licenza di portare armi». L'art.  11  riguarda
lo svolgimento di attivita' lavorative, mentre l'art. 43 si riferisce
ad  uno  specifico  settore  nel  quale  non  e'  in  discussione  la
possibilita' di svolgere o  meno  un'attivita'  lavorativa,  ma  sono
coinvolti i particolari valori concernenti la  tutela  dell'ordine  e
della sicurezza pubblica. La Sezione, nella sentenza in esame, rileva
altresi' che quando il giudice penale, ai sensi degli articoli  53  e
57 della legge 24 novembre 1981, n. 689, abbia disposto  la  condanna
pecuniaria per uno dei reati individuati dall'art. 43,  primo  comma,
T.U.L.P.S. l'autorita' amministrativa non deve disporre senz'altro la
revoca  della  licenza  rilasciata,  ma  puo'  valutare  le  relative
circostanze ai fini dell'esercizio del potere discrezionale  previsto
dal secondo comma dell'art.  43  medesimo.  L'automatismo  preclusivo
quindi, secondo un'interpretazione  letterale  del  richiamato  primo
comma di tale articolo del T.U.L.P.S., pure in caso di commissione di
un reato astrattamente ostativo al rilascio (o  al  mantenimento)  di
licenze di portare armi opera solo in presenza di una condanna  «alla
reclusione» ma non anche quando la  condanna  penale  abbia  disposto
l'applicazione di una pena pecuniaria, o laddove sia stata esclusa la
punibilita' «per tenuita' del fatto» ai sensi dell'art.  131-bis  del
codice penale. 
    L'interpretazione giurisprudenziale  della  norma  rilevante  nel
caso di specie e' quindi attestata  su  tale  conclusione:  l'effetto
preclusivo al rilascio (o al mantenimento) della licenza  di  portare
armi conseguente alla commissione di uno dei reati elencati  all'art.
43, comma primo, T.U.L.P.S., si produce automaticamente solo  qualora
l'interessato sia stato condannato a pena detentiva, e  in  tal  caso
non  resta  alcun  margine   di   apprezzamento   discrezionale   per
l'Amministrazione che e' vincolata a negare (o revocare) la licenza. 
    Nel caso di specie il ricorrente e' stato colpito da una condanna
alla reclusione congiunta con il pagamento di  ammenda  e,  pertanto,
l'applicazione dei principi soprariportati porterebbe inevitabilmente
alla  reiezione  del  ricorso.  Il  Collegio   dubita   pero'   della
legittimita' costituzionale dell'art. 43, comma primo, T.U.L.P.S. 
    3. La questione di legittimita' costituzionale di tale  norma  si
presenta rilevante al fine del decidere poiche',  come  sopraesposto,
la fattispecie ricade pienamente nel suo ambito di applicazione e non
puo' essere trattata prescindendo da essa. 
    4. Sotto  il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione, il Collegio dubita che la  norma  sopraindicata  violi  il
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    La ragionevolezza delle leggi  e'  corollario  del  principio  di
uguaglianza ed esige che le disposizioni normative contenute in  atti
aventi valore di legge siano adeguate, o congruenti, rispetto al fine
perseguito dal legislatore. Si ha  dunque  violazione  del  principio
laddove  si  riscontri  una   contraddizione   all'interno   di   una
disposizione legislativa, oppure tra essa ed  il  pubblico  interesse
perseguito che costituisce un  limite  al  potere  discrezionale  del
legislatore,  impedendone  un  esercizio  arbitrario.  Sotto   questo
profilo, il sindacato giurisdizionale sulle leggi  non  investe  piu'
solo la legittimita' ma anche il merito delle scelte  legislative,  e
per qualificare il fenomeno parte della dottrina parla di «eccesso di
potere legislativo». 
    Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale,  sin  dalle
prime sentenze il giudizio di ragionevolezza  e'  stato  ancorato  al
principio di uguaglianza e, dunque, all'art. 3 Cost.  verificando  se
le differenziazioni introdotte in sede legislativa siano  compatibili
con esso; se cioe' il legislatore abbia trattato  in  modo  diseguale
soggetti (e/o fattispecie) uguali, o in modo uguale casi diversi. 
    Nel caso di specie, il dubbio di costituzionalita'  riguarda  una
norma la quale pone un divieto assoluto ed automatico di concedere il
porto d'armi a soggetti che sono stati condannati alla reclusione per
un reato (il furto) che  e'  estraneo  all'uso  delle  stesse  e  non
incide, in astratto, sul loro utilizzo. La disposizione appare quindi
eccedere  lo  scopo  che  si  propone,   consistente   nella   tutela
dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica  sotto  il  profilo  della
verifica di affidabilita' dei soggetti cui viene concessa la  licenza
di portare armi. Si ricorda,  a  questo  proposito,  che  nel  nostro
ordinamento  esiste  un  generale  divieto  di   girare   armati,   e
l'autorizzazione a portarle ne costituisce eccezione  la  quale  deve
essere assistita da sufficienti garanzie  circa  l'affidabilita'  nel
loro  corretto   uso   da   parte   del   titolare   della   relativa
autorizzazione. In particolare la sentenza di Corte costituzionale n.
440/1993, chiamata a pronunciarsi sulla  legittimita'  costituzionale
delle previsioni dell'art. 11  T.U.L.P.S.  in  ordine  ai  poteri  di
diniego delle  autorizzazioni  di  polizia  a  fronte  dell'accertata
insussistenza del requisito della «buona condotta»,  precisa  che  la
facolta' di portare ed usare  armi  non  costituisce  oggetto  di  un
diritto assoluto, ma e'  eccezione  al  generale  divieto  di  girare
armati  sancito  dall'ordinamento,  e   tale   deroga,   per   essere
giustificata, richiede un preventivo e  puntuale  accertamento  delle
caratteristiche  del  soggetto  richiedente  il  porto  d'armi,   per
acquisire certezza in ordine alla sua idoneita' al loro  uso  e  alla
sua  affidabilita'  morale.  Stando  cosi'  le  cose,  appare   certo
rispondente a tale  finalita'  effettuare  uno  scrutinio  preventivo
sulla vita e  i  precedenti  del  richiedente  il  porto  d'armi  per
verificarne l'affidabilita'; non altrettanto, pero', puo'  dirsi  per
un divieto automatico e generalizzato derivante  da  condanne  penali
dallo stesso subite a lunga distanza di  tempo  e  nemmeno  incidenti
direttamente sull'utilizzo  delle  armi,  come  accade  nel  caso  di
specie. Ipotizzare l'esistenza di un simile divieto generalizzato  ed
assoluto, senza che all'autorita' amministrativa venga concesso alcun
potere di valutazione discrezionale, appare eccessivo  rispetto  allo
scopo della norma, tanto piu' nel caso di specie in cui,  durante  il
rilevante lasso di tempo trascorso dal suo originario  rilascio  fino
al suo diniego, il titolo e' stato sempre rinnovato. 
    In tema di automatismo preclusivo la  Corte  costituzionale,  con
sentenza  n.  202/2013,  si   e'   pronunciata   sulla   legittimita'
costituzionale dell'art. 4 del decreto legislativo 18 luglio 1998, n.
286, nella parte in cui la norma prevede un meccanismo automatico che
impone  all'Amministrazione  competente  il  diniego  di  rilascio  o
rinnovo del permesso  di  soggiorno  allo  straniero  che  sia  stato
condannato per  determinati  reati.  La  Corte  ha  statuito  che  al
legislatore   e'   riconosciuta   un'ampia    discrezionalita'    nel
disciplinare l'ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio
nazionale, in relazione alle esigenze di difesa nazionale e sicurezza
pubblica sottese, e in questo ambito  e'  legittimo  anche  prevedere
casi in cui, a fronte della commissione  di  reati  ritenuti  di  una
certa gravita'  e  particolarmente  pericolosi  per  la  sicurezza  e
l'ordine pubblico,  l'Amministrazione  sia  vincolata  a  revocare  o
negare il permesso di soggiorno  automaticamente  e  senza  ulteriori
considerazioni. In linea generale statuizioni di tal genere non  sono
di per se' manifestamente irragionevoli;  tuttavia  occorre  che  una
simile previsione possa considerarsi rispettosa di un  bilanciamento,
ragionevole e proporzionato  ai  sensi  dell'art.  3  Cost.,  tra  le
opposte esigenze di tutelare l'ordine pubblico e la  sicurezza  dello
Stato e regolare i flussi migratori, da un lato, e di salvaguardare i
diritti   dello   straniero   riconosciutigli   dalla    Costituzione
dall'altro. Nel valutare l'adeguatezza del bilanciamento  tra  questi
valori, al fine del sindacato di legittimita' della norma,  la  Corte
prosegue rilevando che gli automatismi procedurali sono basati su una
presunzione assoluta  di  pericolosita'  e  devono  quindi  ritenersi
arbitrari laddove non rispondono a dati di esperienza  generalizzati,
quando cioe' sia  agevole  formulare  ipotesi  di  accadimenti  reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa. 
    Nel caso di specie  si  puo'  facilmente  formulare  quest'ultima
ipotesi sulla scorta dei dati esperienziali desumibili dagli atti  di
causa: e' dimostrato che il ricorrente ha ottenuto il primo  rilascio
del porto d'armi per uso venatorio il 6 marzo 1986  e  i  rinnovi  si
sono susseguiti  senza  soluzione  di  continuita'  fino  all'attuale
istanza. In trent'anni di utilizzo dell'arma, egli non ha dato  causa
ad alcun episodio connotato dal suo cattivo utilizzo. 
    Sotto un profilo piu'  generale  ed  astratto,  poi,  non  appare
facilmente giustificabile un automatismo preclusivo che  colleghi  il
diniego dell'autorizzazione a portare armi alla commissione del reato
di furto, il quale non e' collegato all'utilizzo delle stesse e  che,
pertanto, poco ragionevolmente puo' essere posto ex  se  a  base  del
diniego   dell'autorizzazione    medesima.    Tanto    piu'    appare
ingiustificabile l'automatismo laddove, come nel caso di  specie,  il
richiedente il porto d'armi abbia ottenuto la riabilitazione la quale
presuppone che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di
buona condotta al fine di un  giudizio  prognostico  sul  suo  futuro
comportamento (art. 179, comma primo, c.p.). 
    Per questi motivi  il  Collegio  ritiene  di  proporre  d'ufficio
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43,  primo  comma,
lettera a) del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 per contrasto con
l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo  della  violazione  del
principio  di  ragionevolezza,  nella  parte  in   cui   prevede   un
generalizzato divieto di rilasciare  il  porto  d'armi  alle  persone
condannate a pena detentiva per il reato di  furto  senza  consentire
alcun  apprezzamento   discrezionale   all'Autorita'   amministrativa
competente. 
    Il giudizio deve quindi essere sospeso e gli atti vanno trasmessi
alla Corte costituzionale, apparendo rilevante e  non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' esposta. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese e' riservate alla decisione definitiva.