ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 392
e 392, primo, secondo e terzo periodo, 394, 527 e 528, della legge 11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il  triennio  2017-2019),
promossi dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  dalla
Regione Veneto, dalla Provincia autonoma di  Bolzano,  dalla  Regione
autonoma Sardegna,  dalla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,
dalla Regione Lombardia, dalla Provincia autonoma di Trento  e  dalla
Regione Siciliana, con ricorsi notificati il 17-22  febbraio,  il  16
febbraio, il 17-22 febbraio, il 16-21 febbraio e il 20 febbraio 2017,
depositati in cancelleria il 22, il 23, il 24, il 27 e il 28 febbraio
2017 e iscritti rispettivamente ai numeri da 18  a  25  del  registro
ricorsi 2017. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 2018 il Giudice  relatore
Nicolo' Zanon; 
    uditi gli  avvocati  Francesco  Saverio  Marini  per  la  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Luca Antonini e  Andrea  Manzi
per la  Regione  Veneto,  Renate  von  Guggenberg  per  la  Provincia
autonoma  di  Bolzano,  Massimo  Luciani  per  la  Regione   autonoma
Sardegna, Fabio  Cintioli  per  la  Regione  Lombardia,  Giandomenico
Falcon  e  Andrea  Manzi  per  la  Provincia  autonoma   di   Trento,
Giandomenico Falcon per la Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,
Marina Valli per la Regione Siciliana, e  gli  avvocati  dello  Stato
Gianni De  Bellis  e  Massimo  Salvatorelli  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con ricorso
notificato il 17-22 febbraio 2017 e depositato il  22  febbraio  2017
(reg. ric. n. 18 del 2017), ha impugnato l'art. 1, commi 392  e  394,
della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2017  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2017-2019), per violazione dei seguenti parametri:  art.  2,
comma 1, lettera a); art. 3, comma 1, lettere f) e l); artt.  4,  12,
48-bis e 50  della  legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  4
(Statuto speciale per la Valle d'Aosta); artt. 117,  terzo  comma,  e
119 della Costituzione, «in combinato disposto» con l'art.  10  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche  al  titolo  V
della parte seconda  della  Costituzione);  normativa  di  attuazione
statutaria di cui alla legge 26  novembre  1981,  n.  690  (Revisione
dell'ordinamento finanziario  della  regione  Valle  d'Aosta),  «come
integrata» dagli artt. 34 e 36 della legge 23 dicembre 1994,  n.  724
(Misure  di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica);   principi
costituzionali di leale collaborazione e ragionevolezza, di cui  agli
artt. 5, 120 e 3 Cost. 
    1.1.-  La  ricorrente  espone  che  le   disposizioni   impugnate
stabiliscono il livello del finanziamento  del  fabbisogno  sanitario
nazionale standard cui concorre lo Stato e  le  modalita'  attraverso
cui le Regioni e le Province autonome concorrono al medesimo  per  le
quote di loro spettanza, in vista del raggiungimento degli  obiettivi
programmatici di finanza pubblica. 
    Evidenzia che il comma 392 dell'art. 1 della  legge  n.  232  del
2016 prevede, in particolare, che «[p]er gli anni  2017  e  2018,  il
livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard
cui concorre lo  Stato,  indicato  dall'intesa  sancita  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano dell'11 febbraio 2016  (Rep.
Atti n. 21/CSR), in attuazione  dell'articolo  1,  comma  680,  della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, e' rideterminato  rispettivamente  in
113.000 milioni di euro e in 114.000 milioni di euro. Per l'anno 2019
il livello  del  finanziamento  del  fabbisogno  sanitario  nazionale
standard cui concorre lo Stato e' stabilito  in  115.000  milioni  di
euro. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di  Trento
e di Bolzano assicurano gli effetti finanziari previsti dal  presente
comma, mediante la sottoscrizione di singoli accordi con lo Stato, da
stipulare entro il 31 gennaio 2017». 
    La ricorrente illustra, ancora, il contenuto del  comma  394  del
medesimo art. 1 della legge n. 232  del  2016,  a  tenore  del  quale
«[c]on i medesimi accordi di cui al comma 392 le  regioni  a  statuto
speciale assicurano il contributo a loro carico previsto  dall'intesa
dell'11 febbraio 2016;  decorso  il  termine  del  31  gennaio  2017,
all'esito degli accordi sottoscritti,  il  Ministro  dell'economia  e
delle finanze, di concerto con il  Ministro  della  salute,  entro  i
successivi trenta giorni, con proprio decreto attua  quanto  previsto
per gli anni 2017 e successivi dalla citata intesa  dell'11  febbraio
2016,  al  fine  di   garantire   il   conseguimento   dell'obiettivo
programmatico di finanza pubblica per il settore sanitario». 
    Ricorda che  l'intesa  dell'11  febbraio  2016  -  menzionata  da
entrambe le disposizioni impugnate - e' stata adottata in  attuazione
dell'art. 1, comma 680, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge  di  stabilita'  2016)»,  e  che  tale  intesa  ha
determinato il fabbisogno del  Servizio  sanitario  nazionale  -  con
l'obbligo di concorrervi tanto per le Regioni ordinarie  che  per  le
Regioni speciali - in 113.063 milioni di euro per l'anno  2017  e  in
114.998 milioni di euro per l'anno 2018. Evidenzia, tuttavia, che  la
menzionata intesa  «ovviamente  non  ha  coinvolto,  ne'  poteva,  la
Regione Valle d'Aosta», rispetto alla  quale  la  relativa  quota  di
concorso avrebbe dovuto concordarsi (ai sensi del  medesimo  art.  1,
comma 680, della legge n. 208 del  2015)  con  «apposita  e  separata
intesa bilaterale». 
    1.2.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste sottolinea
che il comma 392 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016  impone  una
riduzione  del  fabbisogno   finanziario   del   Servizio   sanitario
nazionale, fissando l'ammontare del  finanziamento  statale  per  gli
anni dal 2017 al 2019 e prevedendo, al contempo,  che  le  Regioni  a
statuto speciale e le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
assicurino gli effetti  finanziari  cosi'  determinati,  mediante  la
sottoscrizione di singoli accordi con lo Stato, da stipulare entro il
31 gennaio 2017. Per l'ipotesi in cui, tuttavia, non  si  addivenisse
alla stipula degli accordi entro il suddetto termine,  la  ricorrente
ricorda che il successivo comma 394 del medesimo art. 1 «prevede -  o
sembra prevedere, data la sua confusoria formulazione -  che  sia  il
Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con  il  Ministro
della salute, entro  i  successivi  trenta  giorni,  ad  attuare  con
proprio decreto quanto previsto dall'intesa dell'11  febbraio  2016»,
al  fine  di  garantire  comunque  il  conseguimento   dell'obiettivo
programmatico di finanza pubblica per il settore sanitario. 
    La lesione degli evocati parametri costituzionali e statutari, ad
opera  delle  disposizioni  impugnate,  viene  individuata,   dunque,
nell'imposizione alla Regione  autonoma  ricorrente,  «se  del  caso,
anche in maniera unilaterale», di  un  concorso  alla  riduzione  del
fabbisogno del Servizio sanitario nazionale. 
    1.3.- Ricorda la ricorrente, a tale proposito, che: lo statuto di
autonomia le attribuisce «potesta' legislativa piena» in  materia  di
«ordinamento degli uffici e  degli  enti  dipendenti  dalla  Regione»
(art. 2, comma 1, lettera a), e «quella d'integrazione e  attuazione»
in materia di «finanze regionali e comunali», nonche' in  materia  di
«igiene e sanita', assistenza ospedaliera e  profilattica»  (art.  3,
comma 1, lettere f e l); nei medesimi ambiti materiali, alla  Regione
spetta l'esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative (art.
4 dello statuto di autonomia); alla Regione spetta, oltre al  gettito
delle entrate proprie, una quota  dei  tributi  erariali,  attribuita
dallo Stato, sentito il Consiglio della Valle (art. 12 dello  statuto
di autonomia); in attuazione delle previsioni statutarie, la legge n.
724 del 1994, agli artt. 34 e 36, ha previsto  espressamente  che  la
Valle  d'Aosta  provveda  al  finanziamento  del   proprio   servizio
sanitario autonomamente, cioe' senza  oneri  a  carico  del  bilancio
statale. 
    Alla luce del descritto quadro normativo, dunque,  la  ricorrente
ritiene che il legislatore statale non abbia alcun titolo per imporle
di partecipare «alla manovra finanziaria delineata dall'art. 1, commi
392 e 394», della legge n. 232 del 2016. 
    La   Valle   d'Aosta/Vallee   d'Aoste,   infatti,   assicura   il
finanziamento del Servizio sanitario regionale con  risorse  gravanti
esclusivamente sul proprio bilancio, sicche'  eventuali  economie  di
spesa potrebbero essere destinate  solo  ad  interventi  relativi  al
settore sanitario regionale, con conseguente illegittimita' del «loro
storno a favore del Servizio sanitario nazionale». 
    A sostegno di tale conclusione  viene  richiamata  giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 125 del 2015, n. 187 e n. 115  del  2012,
n.  133  del  2010  e  n.  341  del  2009),  che  dimostrerebbe  come
l'intervento statale previsto dalle disposizioni impugnate,  oltre  a
violare i parametri statutari ricordati, si porrebbe in contrasto con
gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., «in combinato disposto»  con
l'art. 10 della  legge  costituzionale  n.  3  del  2001,  in  quanto
costituirebbe un esercizio della potesta' legislativa concorrente  in
materia di coordinamento della finanza pubblica «del tutto destituito
di fondamento competenziale -  per  il  soggetto  cui  e'  rivolto  e
l'oggetto  disciplinato  -  e   lesivo   dell'autonomia   finanziaria
dell'odierna ricorrente». 
    1.4.- Sarebbero, ancora, violati gli  artt.  48-bis  e  50  dello
statuto di autonomia, unitamente, ancora, alle «norme  di  attuazione
statutaria di cui alle leggi n. 690 del 1981 e n.  724  del  1994»  -
nonche'  i  «principi  costituzionali  di  leale   collaborazione   e
ragionevolezza», di cui agli artt. 3, 5 e 120 Cost. 
    In particolare, la  legge  n.  690  del  1981  -  contenente  una
revisione   dell'ordinamento   finanziario   della   Regione    Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste - emanata in  attuazione  dell'art.  50  dello
statuto di autonomia, e per come «integrata»  dagli  artt.  34  e  36
della legge n. 724 del 1994, pone a carico esclusivo della Regione il
finanziamento del Servizio sanitario regionale e il  procedimento  di
formazione  e  le  modalita'  di  revisione  di  tale   legge   «sono
strutturalmente informati  al  principio  di  leale  collaborazione»,
escludendo  qualunque  «unilateralismo»  da  parte  del   legislatore
statale. 
    La legge n. 690 del 1981, infatti, e'  stata  adottata  d'accordo
fra lo Stato e la Giunta  regionale  (ai  sensi  dell'art.  50  dello
statuto di autonomia) e, in forza della espressa  previsione  di  cui
all'art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320  (Norme  di
attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta),  puo'
essere successivamente modificata «solo con il  procedimento  di  cui
all'art. 48-bis del medesimo statuto  speciale»,  cioe'  con  decreti
legislativi   elaborati   da   commissioni   paritetiche   e   previa
sottoposizione al parere del Consiglio della Regione. 
    Ne  deriverebbe  -  come  sarebbe  stato   gia'   sancito   dalla
giurisprudenza  costituzionale  in  relazione  a  questioni  analoghe
(vengono richiamate, ancora una volta, le sentenze n. 125 del 2015  e
n. 133 del 2010) - che le  disposizioni  impugnate  sarebbero  lesive
degli  evocati  parametri   statutari   e   costituzionali,   laddove
«pretendono, al di fuori  di  ogni  ragionevolezza,  di  disciplinare
unilateralmente aspetti che l'art. 50 dello Statuto speciale -  fonte
di grado costituzionale - riserva alla legislazione attuativa, e piu'
precisamente ad una legge dello Stato  adottata  in  accordo  con  la
giunta regionale [...], suscettibile  di  successive  modifiche  solo
attraverso i peculiari  moduli  concertativi  previsti  dall'art.  48
bis». 
    Le  violazioni   dei   principi   di   leale   collaborazione   e
ragionevolezza, di  cui  agli  artt.  3,  5  e  120  Cost.,  e  delle
«prerogative costituzionali e statutarie  di  cui  la  ricorrente  e'
titolare»,   inoltre,   sarebbero   «ulteriormente   aggravate»   dal
particolare meccanismo «suppletivo» di determinazione del livello  di
concorso previsto dall'art. 1, comma 394,  della  legge  n.  232  del
2016. 
    Secondo  la  Regione  Valle  d'Aosta/Vallee   d'Aoste,   infatti,
quest'ultima disposizione - che la ricorrente  stessa  definisce  «di
non  semplice  interpretazione,  data  la  formulazione   per   nulla
perspicua» - parrebbe prevedere che, in caso di mancato accordo,  sia
lo Stato (attraverso un decreto del Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, adottato di  concerto  con  il  Ministro  della  salute)  ad
attuare quanto prescritto  «per  il  settore  sanitario»  dall'intesa
dell'11 febbraio 2016, attraverso  la  fissazione  unilaterale  delle
quote di concorso, cosi' estendendo alla Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste
«un'intesa che questa  non  ha  sottoscritto»,  e  che  non  potrebbe
coinvolgerla, in quanto essa non grava  sull'erario  per  il  settore
sanitario. Inoltre, sarebbero «del tutto irragionevoli i termini  per
la stipula dell'accordo», non potendosi immaginare che una  «seria  e
credibile trattativa politica, specie su temi cosi' delicati»,  possa
essere  intavolata  «nel  ristretto  margine   di   circa   un   mese
(dall'entrata in vigore della legge, il 1° gennaio 2017,  al  termine
ultimo per stipulare l'accordo, il 31 dello stesso mese)». 
    Il  complesso  di  queste  previsioni,  dunque,  si  porrebbe  in
contrasto con  la  giurisprudenza  costituzionale,  secondo  cui  «il
principio di leale collaborazione in materia di  rapporti  finanziari
tra lo Stato e le Regioni speciali impone  la  tecnica  dell'accordo»
(viene citata la sentenza n. 74 del 2009),  in  quanto  «espressione»
della particolare autonomia in materia finanziaria di cui  godono  le
Regioni a statuto speciale (vengono citate le  sentenze  n.  193  del
2012, n. 82 del 2007 e n. 353 del 2004). 
    1.5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    L'Avvocatura generale dello Stato sostiene che, con l'intesa  tra
lo Stato e le Regioni dell'11 febbraio 2016, attuativa  dell'art.  1,
comma 680, della legge n.  208  del  2015,  sarebbe  stato  definito,
nell'ambito della complessiva manovra di finanza  pubblica  a  carico
delle Regioni - pari a 3.980 milioni di euro  per  l'anno  2017  e  a
5.480 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2018  -  il  «contributo
del settore sanitario», pari rispettivamente a 3.500 e 5.000  milioni
di euro, con conseguente riduzione di pari importo  del  livello  del
finanziamento del Servizio sanitario nazionale. 
    Poiche' le autonomie speciali (con la  parziale  eccezione  della
Regione Siciliana) provvedono al finanziamento dei  servizi  sanitari
regionali con risorse proprie, la difesa  statale  asserisce  che  la
suddetta  riduzione  non  avrebbe  garantito  i  complessivi  effetti
finanziari previsti, sicche' la medesima intesa dell'11 febbraio 2016
avrebbe previsto la stipula di  singoli  accordi  bilaterali  tra  lo
Stato e le autonomie speciali, per concordare «la quota di manovra» a
carico di queste ultime, «pena l'applicazione» di  una  «clausola  di
salvaguardia»  che  avrebbe  comportato  un'ulteriore  riduzione  del
finanziamento statale del Servizio sanitario nazionale. 
    A fronte della mancata stipula di  tali  accordi,  il  comma  394
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016 avrebbe «riaperto il  termine
per la sottoscrizione di dette intese»,  spostandolo  al  31  gennaio
2017 e confermando gli effetti della «clausola di salvaguardia». 
    Dal complesso normativo  cosi'  ricostruito,  la  difesa  statale
deduce che «l'eventuale censura andrebbe, semmai, riferita alla norma
originaria, ovvero all'articolo 1, comma 680, della legge 208/2015». 
    Sottolinea, pero',  che  la  concreta  attuazione  della  manovra
prevista da tale ultima disposizione sarebbe stata  «condivisa  dalle
regioni e province autonome» proprio con  l'intesa  dell'11  febbraio
2016, «inclusa l'automatica applicazione della manovra a carico delle
regioni a statuto ordinario, ed  il  rinvio  a  singoli  Accordi  per
ciascuna  Autonomia  speciale»,  sicche'  sarebbe  da  escludere   la
sussistenza di qualsiasi imposizione unilaterale della manovra e,  di
conseguenza, il contrasto con i parametri statutari e  costituzionali
richiamati dalla ricorrente. 
    Ad analoghe conclusioni dovrebbe pervenirsi  anche  in  relazione
all'art. 1, comma 392, della legge n. 232 del 2016, che introdurrebbe
«una nuova manovra a carico del settore sanitario per gli anni  2017,
2018 e 2019». Anche in questo caso,  infatti,  mentre  l'applicazione
alle Regioni a statuto ordinario sarebbe «garantita  dalla  riduzione
del livello del fabbisogno  sanitario  standard»,  per  le  autonomie
speciali si rinvierebbe «a singoli Accordi con il Governo». 
    Secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  in  particolare,  le
disposizioni  impugnate,  intervenendo   sul   fabbisogno   sanitario
ritenuto  congruo  per  l'erogazione  dei   livelli   essenziali   di
assistenza   in   condizioni   di   appropriatezza   ed   efficienza,
influirebbero  «anche  sul  livello  della  spesa   sanitaria   della
ricorrente, sebbene la stessa non riceva finanziamenti specifici  per
la funzione sanitaria». 
    Ricorda,  a  questo  proposito,  la   difesa   statale   che   il
finanziamento del Servizio sanitario nazionale «e' calcolato su  base
nazionale (in quanto destinato a funzioni soggette  al  rispetto  dei
livelli essenziali delle prestazioni)»,  sicche',  a  fronte  di  una
riduzione del finanziamento erariale per il comparto delle Regioni  a
statuto ordinario, sarebbe previsto «che anche le Autonomie  speciali
realizzino un risparmio». 
    Anche le autonomie speciali, infatti, secondo  la  giurisprudenza
costituzionale richiamata dall'Avvocatura generale dello Stato  (sono
citate le sentenze n. 127 del 2015,  n.  193  e  n.  148  del  2012),
potrebbero  essere  obbligate  a  partecipare   agli   obiettivi   di
risanamento della finanza pubblica generale, al fine di rispettare  i
vincoli   di   bilancio   imposti   dall'Unione   europea,   mediante
l'imposizione di misure, quali quelle di cui si  discute,  concordate
ed aventi carattere transitorio (sono richiamate le sentenze  n.  127
del 2016, n. 19 del 2016 - recte: 2015 -, n. 99 del 2014, n. 193 e n.
118 del 2012). 
    2.- La Regione Veneto, con ricorso notificato il 16 febbraio 2017
e depositato il 23 febbraio 2017 (reg.  ric.  n.  19  del  2017),  ha
impugnato, tra gli altri, i commi 392, 527 e 528  dell'art.  1  della
legge n. 232 del 2016. 
    Il comma 392, in particolare, e' censurato per  violazione  degli
artt. 3, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e 119 Cost. e del principio di
leale collaborazione di  cui  agli  artt.  5  e  120  Cost.,  nonche'
dell'art. 5, comma 1,  lettera  g),  della  legge  costituzionale  20
aprile 2012,  n.  1  (Introduzione  del  principio  del  pareggio  di
bilancio nella Carta costituzionale), dell'art.  11  della  legge  24
dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per  l'attuazione  del  principio
del pareggio di bilancio ai  sensi  dell'articolo  81,  sesto  comma,
della Costituzione) e dell'art. 5, comma  1,  della  legge  5  maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in
attuazione dell'articolo 119 della Costituzione). 
    Il comma 527, a sua volta, e' denunciato per  contrasto  con  gli
artt. 3, 117,  secondo  e  terzo  comma,  e  119  Cost.  nonche'  per
violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5
e 120 Cost. 
    Infine, il comma 528 e' censurato per  violazione  dell'art.  119
Cost. 
    2.1.- Con riferimento, in particolare,  all'art.  1,  comma  392,
della legge n.  232  del  2016,  la  ricorrente  evidenzia  che  tale
disposizione prevede  una  riduzione,  rispetto  a  quanto  stabilito
nell'intesa sancita l'11 febbraio 2016  dalla  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano, del  livello  di  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato. 
    L'accordo  citato,  infatti,  aveva   previsto,   in   attuazione
dell'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015,  un  livello  di
finanziamento pari a 113.063 milioni di euro per il 2017 e a  114.998
milioni di euro per il 2018. 
    2.1.1.- Tale livello di finanziamento viene ora rideterminato  in
113.000 milioni di euro per il 2017 e in 114.000 milioni di euro  per
il 2018 (mentre viene fissato a 115.000 milioni di euro per il 2019),
sicche' la Regione Veneto si duole della riduzione,  per  il  biennio
2017-2018, pari a circa un miliardo di  euro,  senza  che  sia  stata
prevista o attuata una nuova intesa con le Regioni, a fronte di  «una
prassi»  -  che   la   ricorrente   giudica   conforme   al   riparto
costituzionale delle competenze in materia di tutela della  salute  e
«allo schema  costituzionale  che  ne  governa  il  finanziamento»  -
invalsa fin dall'anno 2000 e incentrata, per  la  determinazione  del
fabbisogno sanitario nazionale standard, su «un  sistema  di  accordi
tra Stato e Regioni» (i cosiddetti Patti  per  la  salute),  recepiti
annualmente in disposizioni di legge, in considerazione del fatto che
la responsabilita' dell'erogazione dei servizi sanitari ricade  sulle
Regioni, costituendo la voce prevalente (pari all'incirca all'80  per
cento  del  totale,  a  giudizio  della  ricorrente)  dei  rispettivi
bilanci. 
    Tale prassi, secondo la ricorrente, sarebbe stata  «completamente
disattesa» con la disposizione impugnata (e prima ancora,  per  altri
aspetti, derogata con la  legge  n.  208  del  2015).  Non  essendosi
concluso, in sostituzione dell'ultimo ormai scaduto, un Patto per  la
salute per il triennio 2017-2019,  la  norma  censurata  perverrebbe,
«per  la  prima  volta  nella   legislazione   italiana   dell'ultimo
quindicennio», alla  determinazione  unilaterale  da  parte  statale,
«senza nessuna forma di intesa, accordo  o  patto»,  del  livello  di
finanziamento  del  fabbisogno  sanitario  nazionale   standard   cui
concorre lo Stato. Cio'  e'  accaduto  nonostante  il  fatto  che  la
competenza in materia di «tutela della salute»,  ai  sensi  dell'art.
117, terzo comma, Cost., sia di tipo concorrente  e  costituisca  «il
principale settore dell'azione legislativa,  amministrativa  e  anche
fiscale delle Regioni» e  nonostante  sia  di  carattere  concorrente
anche la competenza relativa al coordinamento della finanza pubblica,
in quanto «anche ai sensi dell'art. 119, II comma,  Cost.  lo  Stato,
infatti, deve limitarsi alla fissazione dei principi fondamentali». 
    In definitiva, per la  Regione  ricorrente,  la  mancanza  di  un
accordo, «o comunque la violazione unilaterale dell'intesa sancita in
data 11 febbraio 2016», si porrebbe «in radicale  contrasto  con  gli
artt. 5 e 120 Cost.» e, in particolare,  «con  i  criteri  stabiliti»
dalla sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale. 
    Verrebbe  in  rilievo,  infatti,  non   gia'   «una   misura   di
contenimento  della  spesa   regionale   generica»,   cui   applicare
«semplicisticamente»  i  criteri   elaborati   dalla   giurisprudenza
costituzionale sulla prevalenza della funzione di coordinamento della
finanza pubblica, bensi' una riduzione della spesa «relativa a quella
particolarissima materia che e' la  tutela  della  salute»,  rispetto
alla quale, a parere della ricorrente, il legislatore statale sarebbe
tenuto al pieno rispetto del principio di leale  collaborazione,  con
la previsione di «adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni,
a difesa delle loro competenze». 
    L'intesa s'imporrebbe, «in un ambito particolarissimo come quello
considerato,  pena  il  venir  meno  di  ogni  sostanziale  contenuto
dell'autonomia  regionale,   data   la   rilevanza   quantitativa   e
qualitativa che la materia tutela della  salute  assume  nel  sistema
regionale». 
    2.1.2.- Secondo  la  ricorrente,  peraltro,  la  norma  impugnata
difetterebbe di un'adeguata  istruttoria  sulla  «sostenibilita'  del
definanziamento» (in violazione quindi degli artt. 3 e  97  Cost.)  e
sull'adeguatezza delle risorse stanziate, essendo mancato un adeguato
confronto  preventivo  con  le  Regioni,  chiamate  a  garantire  sui
territori, «tramite i  propri  modelli  organizzativi  e  la  propria
programmazione», il diritto alla salute di cui all'art. 32  Cost,  il
quale ultimo verrebbe, cosi', compromesso e «degradato» sullo  stesso
piano di altri interessi. E cio'  in  contrasto  con  quanto  sarebbe
stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 275  del
2016,  secondo  cui  dovrebbe  essere  «la   garanzia   dei   diritti
incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo
a condizionarne la doverosa erogazione». 
    A riprova di quanto sostenuto, la Regione Veneto evidenzia che la
norma impugnata determina una contrazione delle risorse a  fronte  di
un  aumento  delle  prestazioni  da  erogare  in  conseguenza   della
definizione dei nuovi livelli  essenziali  di  assistenza  (d'ora  in
avanti: LEA) e riduce il  previsto  livello  di  finanziamento  della
principale  competenza  attribuita  alle  Regioni,  sia  in   termini
assoluti, sia rispetto al tasso «tendenziale di crescita» programmato
dal Documento di finanza pubblica  (DEF)  per  il  2014  (in  cui  si
prevedevano 118,680 miliardi di euro per il 2017 e  121,316  miliardi
di euro per il 2018). 
    L'esercizio della funzione statale di coordinamento della finanza
pubblica, dunque, sarebbe avvenuto anche in  violazione  «del  canone
generale  della  ragionevolezza  e  proporzionalita'  dell'intervento
normativo» (viene richiamata la sentenza n. 22  del  2014),  perche',
«d'un tratto, senza adeguata preventiva concertazione e senza che sia
intervenuto alcun  processo  di  riorganizzazione  sostanziale  delle
funzioni assegnate alle  Regioni»,  sarebbe  stato  rideterminato  il
livello di finanziamento statale. 
    L'art. 3 Cost. risulterebbe violato  anche  «sotto  il  principio
dell'eguaglianza sostanziale a  causa  dell'evidente  pregiudizio  al
godimento  dei  diritti  conseguente  al  mancato  finanziamento  dei
relativi servizi» (viene richiamata la sentenza n. 10 del 2016). 
    La descritta violazione degli artt. 3, 97 e 32 Cost., secondo  la
ricorrente,   ridonderebbe    in    «una    ingente    compromissione
dell'autonomia  regionale  nell'ambito,  quello  della  tutela  della
salute, che, in termini quantitativi, maggiormente  impegna  l'azione
legislativa e amministrativa regionale». 
    2.1.3.-  Verrebbe  in  rilievo,  peraltro,  una   riduzione   «di
carattere  sostanzialmente  permanente»,  in  contrasto  con   quanto
stabilito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale  in  ordine
al carattere necessariamente transitorio delle  norme  che  impongono
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (vengono  citate  le
sentenze n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015, n. 44 del 2014, n.
236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e n. 148 del 2012, n.  182  del
2011). 
    2.1.4.- Tale riduzione, inoltre, sarebbe stata attuata  -  ancora
una  volta  in  violazione  del   principio   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' di cui all'art. 3 Cost. - con «un  taglio  meramente
lineare sul comparto regionale genericamente considerato» e,  quindi,
senza alcuna considerazione  ne'  dei  costi  standard  di  cui  agli
articoli da 25 a 32 del decreto legislativo  6  maggio  2011,  n.  68
(Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni  standard  nel  settore  sanitario),  ne'  dei
livelli di spesa di Regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati
livelli  di  efficienza  nella  gestione  della  sanita'  e  che  non
potrebbero ulteriormente razionalizzare la  spesa  «senza  mettere  a
repentaglio  la  garanzia  del  diritto  alla  salute»,  non  potendo
«mantenere  l'equilibrio  finanziario  e  nel   contempo   rispettare
l'erogazione dei Lea». 
    2.1.5.- Sarebbero, dunque,  lese  anche  le  competenze  tutelate
dagli artt. 118  (con  particolare  riferimento  alla  programmazione
sanitaria) e 119 (con riguardo alla autonomia impositiva) Cost. 
    2.1.6.- La disposizione impugnata, determinando uno «scollamento»
tra un livello  di  finanziamento  del  fondo  sanitario,  che  viene
«pesantemente ridotto», e  la  necessita'  di  garantire  i  LEA,  si
porrebbe, altresi', in contrasto con l'art. 5, comma 1,  lettera  g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e con l'art. 11 della  legge  n.  243
del 2012, che impongono il concorso dello Stato al finanziamento  dei
livelli essenziali delle  prestazioni  inerenti  ai  diritti  sociali
nelle fasi avverse del ciclo economico. 
    2.1.7.- Infine, «a ulteriore dimostrazione della  violazione  del
principio di leale collaborazione e del difetto di  istruttoria»,  la
ricorrente sottolinea  il  mancato  coinvolgimento  della  Conferenza
permanente per il coordinamento della finanza pubblica, pur «imposto»
dall'art. 5, comma 1, della  legge  n.  42  del  2009,  e  «ribadito»
dall'art. 33 del d.lgs. n. 68 del 2011. 
    2.2.- Con riferimento all'art. 1, commi 527 e 528, della legge n.
232 del 2016, la ricorrente espone che la prima di tali  disposizioni
«protrae al 2020 il periodo temporale di vigenza dell'obbligo per  le
Regioni di assicurare il contributo alla  finanza  pubblica»  di  cui
all'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure
urgenti per la competitivita' e la  giustizia  sociale),  convertito,
con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89. 
    In forza di tale modifica, le Regioni sono tenute ad  assicurare,
per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020, un contributo alla  finanza
pubblica pari a 750 milioni di euro annui, cui si  aggiunge,  per  il
medesimo lasso temporale,  un  contributo  aggiuntivo  pari  a  3.452
milioni di euro annui. 
    In forza del comma 528, invece, viene prorogato al 2020 anche  il
contributo richiesto alle Regioni dall'art. 1, comma 680, della legge
n. 208 del 2015,  sicche'  la  misura  dei  contributi  alla  finanza
pubblica richiesti annualmente alle Regioni, e prorogati al 2020  dai
commi 527 e 528 in esame, ammonta  a  complessivi  7.682  milioni  di
euro. 
    2.2.1.-  La  ricorrente  censura,  innanzitutto,  il  comma   527
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016. 
    2.2.1.1.- A  tale  scopo,  evidenzia,  in  primo  luogo,  che  il
contributo previsto dall'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66  del  2014,
stabilito inizialmente in 750 milioni di euro per ciascuno degli anni
dal 2015 al 2017, e' gia' stato esteso al  2018  ed  incrementato  di
3.452 milioni di euro dall'art. 1, comma 398, della legge 23 dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)». 
    L'art. 1, comma 681, della legge n. 208 del 2015 aveva poi esteso
anche al 2019 tali contributi. 
    La ricorrente sottolinea di aver gia' impugnato sia  l'originaria
disposizione impositiva del contributo sia entrambe  le  disposizioni
di proroga e che la Corte costituzionale si e' gia'  pronunciata  sui
ricorsi aventi ad oggetto l'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014
e l'art. 1, comma 398, della legge n. 190 del 2014, respingendo,  con
le sentenze n. 65 e n. 141 del 2016, le censure della Regione. 
    Ritiene, tuttavia, la ricorrente, che proprio  da  tali  pronunce
emergerebbe, «di fronte all'ennesima proroga della manovra di  taglio
alla spesa regionale del 2014», la violazione degli artt. 117,  terzo
comma, e 119 Cost., ad opera dell'art. 1, comma 527, della  legge  n.
232 del 2016. 
    Nella sentenza n. 141 del  2016,  infatti,  in  riferimento  alla
prima proroga del termine di cui all'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66
del 2014, ampliato di un solo  anno  (ovvero  al  2018)  per  effetto
dell'art. 1, comma 398,  della  legge  n.  190  del  2014,  la  Corte
costituzionale avrebbe affermato che il costante ricorso alla tecnica
normativa  dell'estensione  dell'ambito   temporale   di   precedenti
manovre,  mediante  aggiunta  di  un'ulteriore  annualita'  a  quelle
originariamente previste, finirebbe per porsi  in  contrasto  con  il
canone  della  transitorieta',  se  indefinitamente  ripetuto.   Cio'
premesso, risulterebbe palese,  per  la  ricorrente,  che  la  «terza
proroga consecutiva della stessa  manovra  in  origine  legata  a  un
ambito triennale», operata dall'art. 1, comma 527, della legge n. 232
del 2016, in mancanza di quelle plausibili e riconoscibili ragioni  -
imposte dalla richiamata giurisprudenza costituzionale  -  impeditive
di una ridefinizione e  rinnovazione  complessiva  del  quadro  delle
relazioni finanziarie tra lo Stato e le Regioni, secondo le ordinarie
scansioni triennali dei cicli di bilancio, violerebbe il canone della
transitorieta' richiesto, ai sensi degli artt. 117,  terzo  comma,  e
119 Cost., dalla giurisprudenza costituzionale  (sono  richiamate  le
sentenze n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015, n. 44 del 2014, n.
236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e n. 148 del 2012, n.  182  del
2011). 
    La Regione Veneto ricorda che gia' nelle sentenze n. 43 e  n.  64
del 2016 era stato ribadito dalla Corte costituzionale che il normale
periodo  di  riferimento  delle  politiche  di  bilancio  e'   quello
triennale (richiamando le sentenze n. 178  del  2015  e  n.  310  del
2013), sicche',  a  seguito  del  «raddoppio  del  termine  triennale
originario previsto dalla manovra del 2014»,  nonostante  la  formale
fissazione di un termine finale (ora individuato nell'anno 2020),  si
sarebbe concretizzato proprio quel  «costante  ricorso  alla  tecnica
normativa  dell'estensione  dell'ambito   temporale   di   precedenti
manovre» stigmatizzato dalla sentenza n. 141 del 2016,  asseritamente
ignorata dal legislatore statale. 
    Cio' determinerebbe, a giudizio della ricorrente,  la  violazione
del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3  Cost.,  ridondante
«in un pesante  vulnus  per  l'autonomia  regionale  dato  l'evidente
impatto sulla stessa della proroga del taglio», e  degli  artt.  117,
terzo comma, e 119 Cost., per «difetto sostanziale del  canone  della
transitorieta' della misura statale di  coordinamento  della  finanza
pubblica». 
    Con la  censurata  tecnica  normativa  adottata  dal  legislatore
statale,  infatti,  quest'ultimo,  invece  di  utilizzare  «tutta  la
ponderazione,  le  motivazioni  e  l'assunzione  di  responsabilita'»
necessarie, avrebbe inciso «con  un  intervento  normativo  di  poche
parole» e «a  ripetizione»,  sulla  capacita'  di  spesa  degli  enti
regionali,  proprio  «dove  si   concentra   ormai,   dalla   riforma
costituzionale del 2001,  la  quota  prevalente  dei  servizi  e  dei
diritti dello Stato sociale». 
    2.2.1.2.- La ricorrente evidenzia, altresi', che la  proroga  del
contributo imposto alla Regioni e' stata disposta  anche  in  assenza
della  definizione  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  dei
diritti relativi  all'assistenza  sociale  (cosiddetti  LIVEAS),  mai
determinati «a differenza dei Lea, relativi alla sanita'». 
    A  tale  proposito,  la  ricorrente   ricorda   come   la   Corte
costituzionale, nella sentenza n. 65  del  2016,  abbia  sottolineato
l'utilita' della determinazione,  da  parte  dello  Stato,  ai  sensi
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.,  dei   livelli
essenziali delle prestazioni per  i  servizi  concernenti  i  diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto  il  territorio
nazionale, per offrire alle  Regioni  un  significativo  criterio  di
orientamento nell'individuazione degli obiettivi e  degli  ambiti  di
riduzione delle risorse impiegate, segnando il limite al di sotto del
quale la spesa non sarebbe ulteriormente comprimibile. 
    Tanto premesso, la Regione evidenzia che in relazione  a  nessuna
delle  proroghe  dell'originario  termine  triennale  del  contributo
imposto  al  comparto  regionale  il  legislatore  statale   si   sia
preoccupato «di stabilire  un  benche'  minimo  intervento  normativo
diretto a definire i cd. Liveas». 
    Poiche' l'art. 119, quarto comma, Cost. imporrebbe allo Stato  di
garantire agli enti territoriali «risorse  sufficienti  a  finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» e che si situano
- a parere della ricorrente - in gran parte proprio  nell'ambito  dei
diritti sociali, la mancata definizione dei LIVEAS, che  «interessano
tutta la materia di competenza  residuale  regionale  dell'assistenza
sociale»,   avrebbe    consentito    allo    Stato    di    sottrarsi
«tranquillamente» a questa responsabilita', risultando dunque «libero
di praticare tagli lineari» e «al buio», con una tecnica di  «proroga
a  ripetizione»,  a  prescindere  da  un  «qualsiasi   parametro   di
adeguatezza». 
    Secondo   la   ricorrente,   invece,    «senza    assumersi    la
responsabilita'  politica  e  costituzionale  di  una  riduzione  dei
livelli  essenziali  a  seguito  del   venir   meno   delle   risorse
disponibili», lo Stato avrebbe scelto «la strada di non definirli  in
materie come l'assistenza sociale  (i  Liveas)»,  pur  continuando  a
ricorrere a «tagli lineari, in  cio'  venendo  meno  ad  un  corretto
esercizio di quella funzione di coordinamento della finanza  pubblica
che e' invece richiesto dagli artt. 117, III comma e 119 Cost.» e che
andrebbe esercitato secondo il «canone generale della  ragionevolezza
e proporzionalita' dell'intervento  normativo»  (sono  richiamate  le
sentenze n. 22 del 2014 e n. 236 del 2013). 
    Ne deriverebbe «l'impossibilita' per la  Regione  di  offrire  un
adeguato livello di servizio rispetto ai bisogni della  popolazione»,
in quanto le manovre di finanza pubblica degli  ultimi  anni  -  come
sarebbe attestato dalla stessa Corte dei conti nel rapporto 2016  sul
coordinamento della finanza pubblica - travalicherebbero la  funzione
del «coordinamento» della finanza pubblica e  si  concretizzerebbero,
piuttosto, in misure di  indiscriminato  «contenimento»,  risultando,
pero',  prive  degli  «indispensabili   elementi   di   razionalita',
proporzionalita',   efficacia   e   sostenibilita'   che   dovrebbero
quantomeno informare  la  funzione  di  coordinamento  della  finanza
pubblica». 
    2.2.1.3.- Infine, risulterebbe  violato  anche  il  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., essendo mancato
il coinvolgimento della Conferenza permanente  per  il  coordinamento
della finanza pubblica, previsto dall'art. 5, comma 1, della legge n.
42 del 2009 e «ribadito» dall'art. 33 del d.lgs. n. 68 del 2011. 
    2.2.2.- La Regione Veneto censura anche il comma 528 dell'art.  1
della legge n. 232 del 2016, in  quanto,  nel  modificare  l'art.  1,
comma  680,  della  legge  n.  208  del  2015,  impone  un  ulteriore
contributo al risanamento della finanza pubblica a carico di  Regioni
e Province autonome. 
    In particolare, la ricorrente evidenzia che  la  disposizione  in
esame estende al 2020 l'obbligo  di  assicurare  il  contributo  alla
finanza pubblica «stabilito all'art. 1, comma 680, della legge n. 208
del 2015, e ivi quantificato in 5.480 milioni di euro», introducendo,
altresi', «la possibilita' di prevedere versamenti al bilancio  dello
Stato   da   parte   delle   Regioni   interessate»,   in   sede   di
rideterminazione dei livelli di finanziamento e  delle  modalita'  di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato,  qualora  non  fosse
raggiunta  l'intesa  in  sede  di  autocoordinamento  regionale  «sul
riparto dei tagli e sugli ambiti di spesa coinvolti». 
    La Regione Veneto riconosce che, in  tal  caso,  l'estensione  al
2020  del  periodo  temporale  in  cui  le  Regioni  sono  tenute  ad
assicurare  il  loro  contributo  alla  finanza  pubblica   stabilito
dall'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, «avviene per  la
prima volta», sicche' la fattispecie sembrerebbe «ricalcare,  appunto
a differenza  della  proroga  disposta  dall'art.  1  comma  527,  la
fattispecie decisa [...] con la sentenza n. 141 del  2016  nel  senso
della non fondatezza». 
    Tuttavia, osserva la ricorrente, la disposizione impugnata non si
limiterebbe ad una semplice proroga, ma, nell'introdurre la  suddetta
possibilita' di prevedere versamenti al bilancio dello Stato da parte
delle Regioni interessate, aggiungerebbe «un elemento innovativo  che
non e' stato considerato nella sentenza n. 141  del  2016»,  dove  lo
scrutinio di costituzionalita' riguardava disposizioni che imponevano
alle Regioni semplicemente una riduzione di spesa: la novella di  cui
all'impugnato comma 528 della legge n. 232 del 2016, dunque,  avrebbe
trasformato la Regione «in una sorta di esattore dello Stato, essendo
la stessa chiamata  a  riversare  allo  Stato  risorse  proprie»,  in
contrasto con l'art. 119 Cost. Verrebbe altresi' violato il principio
che sarebbe stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 79 del 2014, in relazione all'illegittimita'  di  un  «obbligo  di
restituzione  di  risorse  gia'  acquisite,  che  vengono  assicurate
all'entrata del bilancio dello Stato, senza alcuna indicazione  circa
la loro destinazione». 
    2.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    Quanto alle censure mosse al comma 392 dell'art. 1 della legge n.
232 del 2016,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ricorda  che  la
definizione del livello del finanziamento del  settore  sanitario  e'
strettamente connessa con la determinazione  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni sociali, che ai sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost. rientra tra le competenze esclusive dello Stato. 
    Inoltre, evidenzia che «la materia della tutela della  salute  di
tipo concorrente deve contemperarsi con il  principio  costituzionale
che impone allo Stato di assicurare l'equilibrio tra le entrate e  le
spese del proprio bilancio», anche in  funzione  del  rispetto  degli
obblighi  economici  e  finanziari  assunti  dall'Italia   «in   sede
comunitaria». 
    In  ogni  caso,  secondo  la  difesa  statale,  il  finanziamento
previsto per l'anno 2017 registrerebbe un incremento di circa il  2,8
per cento rispetto al livello del 2016 (2 miliardi di euro in piu') -
peraltro in misura superiore a quello registrato nel 2016 rispetto al
2015 (1,2 per cento) - sicche' non potrebbe parlarsi di  incongruita'
del livello di finanziamento, tale da incidere sulla  erogazione  dei
LEA in condizioni di efficienza e di appropriatezza. 
    Infine, secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato,  le  Regioni
potrebbero «sostituire gli interventi indicati  dal  legislatore  con
altri  alternativi  di   eguale   impatto   per   il   raggiungimento
dell'equilibrio economico». 
    Quanto alle censure mosse ai commi 527 e 528  dell'art.  1  della
legge n. 232 del 2016, la difesa statale richiama la sentenza n.  141
del 2016 con cui la Corte costituzionale  avrebbe  «respinto  analogo
motivo», riconoscendo carattere transitorio a  similari  disposizioni
di proroga. 
    3.- La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso  notificato  il
17-22 febbraio 2016 e depositato il 23 febbraio 2016 (reg. ric. n. 20
del 2017), ha impugnato, tra gli altri, l'art. 1, commi  392,  primo,
secondo e terzo periodo, e 394 della legge n. 232 del 2016. 
    3.1.- La ricorrente, in via  generale,  premette  che  l'art.  1,
comma 638, della legge  n.  232  del  2016,  detta  una  clausola  di
salvaguardia secondo cui «[l]e disposizioni della presente  legge  si
applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di
Trento e di Bolzano compatibilmente con i  rispettivi  statuti  e  le
relative norme  di  attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».  Tale  clausola  dovrebbe  «in
linea di principio risolvere ogni questione» (vengono  richiamate  le
sentenze n. 141 del 2015 e n. 229 del  2013  e,  con  riferimento  al
richiamo alla legge cost. n. 3 del 2001, le sentenze n. 357 del 2010,
n. 371 del 2008 e n. 181 del 2006). 
    Tuttavia, a parere della ricorrente, i commi impugnati contengono
disposizioni destinate  ad  applicarsi  direttamente  alla  Provincia
autonoma di Bolzano, includendo  espressamente  quest'ultima  «tra  i
propri destinatari, senza essere state  preventivamente  concordate»,
vanificando, cosi', la  predetta  clausola  di  salvaguardia  con  la
propria formulazione testuale (viene richiamata la sentenza n. 88 del
2006). 
    3.2.- La Provincia autonoma di Bolzano, dopo aver ricostruito  il
contenuto normativo dei primi tre periodi del comma 392 e  del  comma
394 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, evidenzia che il  quarto
periodo del comma 392 dispone che  «[p]er  la  regione  Trentino-Alto
Adige  e  per  le  province  autonome  di   Trento   e   di   Bolzano
l'applicazione del presente comma avviene nel  rispetto  dell'accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti enti in data 15 ottobre 2014
e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il  concorso  agli
obiettivi di finanza  pubblica  previsto  dai  commi  da  406  a  413
dell'art. 1 della medesima legge». 
    Ricorda,  dunque,  che,  con  l'intesa  dell'11   febbraio   2016
richiamata nelle norme impugnate, le Regioni «hanno dichiarato che la
parte del contributo al risanamento dei conti pubblici a carico delle
Regioni  a  statuto  speciale  viene  demandata  a  singoli   accordi
bilaterali tra il Governo e le singole Regioni a Statuto speciale»  e
che, in caso di mancato accordo «entro  un  termine  ragionevole,  la
copertura di 3,5 miliardi di euro per il 2017 e di 5 miliardi di euro
per il 2018, si conseguira' con un maggiore contributo delle  Regioni
a  Statuto  ordinario»,  facendo  riferimento  anche  al  comma   680
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, che  la  medesima  Provincia
autonoma ricorrente ha in precedenza impugnato,  innanzi  alla  Corte
costituzionale, con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 10 del 2016. 
    3.2.1.- La  ricorrente  ritiene  che  le  disposizioni  impugnate
violerebbero: gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 79, 80, 103,
104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione  del  testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale  per
il Trentino-Alto Adige), nonche' le correlative norme  di  attuazione
(contenute: nell'art. 2 del d.P.R. 28 marzo  1975,  n.  474,  recante
«Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige
in materia di igiene e sanita'»; nel  decreto  legislativo  16  marzo
1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per
il  Trentino-Alto  Adige  in   materia   di   finanza   regionale   e
provinciale»; nell'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo  1992,  n.
266, recante «Norme di  attuazione  dello  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto  tra  atti  legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta'  statale
di indirizzo e coordinamento»); l'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001;  il
principio di leale collaborazione, in relazione all'art. 120 Cost. ed
all'accordo del 15 ottobre 2014 recepito con legge n. 190  del  2014;
il principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost. 
    3.2.2.-  La  ricorrente,  in  premessa,  ricostruisce  il  quadro
normativo delle proprie prerogative e competenze che assume violate. 
    In primo luogo, ricorda che, in forza del Titolo VI dello statuto
speciale,  la  Provincia  autonoma  di  Bolzano   godrebbe   di   una
particolare autonomia in materia finanziaria. In particolare, sarebbe
previsto  un  «meccanismo  peculiare  per  la   modificazione   delle
disposizioni  recate  dal  medesimo  Titolo  VI»,  che   ammetterebbe
l'intervento del legislatore statale  con  legge  ordinaria  solo  in
presenza di una preventiva  intesa,  in  applicazione  dell'art.  104
dello stesso statuto. Inoltre,  le  norme  statutarie  escluderebbero
l'applicabilita' di disposizioni statali  impositive  di  obblighi  o
concorsi finanziari diversi da quelli previsti dal  Titolo  VI  dello
statuto di autonomia. Infine,  sarebbe  esclusivamente  la  Provincia
autonoma di Bolzano a provvedere all'attuazione  delle  finalita'  di
coordinamento  della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche
disposizioni legislative dello Stato, adeguando, ai sensi dell'art. 2
del d.lgs. n. 266 del  1992,  la  propria  legislazione  ai  principi
fondamentali e nelle materie individuate  dallo  statuto,  adottando,
conseguentemente, autonome misure di razionalizzazione e contenimento
della spesa, anche orientate alla riduzione del debito  pubblico,  ed
idonee  ad  assicurare  il  rispetto  delle  dinamiche  della   spesa
aggregata  delle   amministrazioni   pubbliche,   in   coerenza   con
l'ordinamento dell'Unione europea. 
    Dal complesso delle norme statutarie  (ed  in  particolare  dagli
artt. 103, 104 e 107)  e  di  attuazione  statutaria,  la  ricorrente
evince che «[i]l regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie
speciali e' dominato dal principio dell'accordo e  dal  principio  di
consensualita'» (sono richiamate le sentenze n. 28 del  2016,  n.  82
del 2007, n. 353 del 2004, n. 98 del 2000 e n. 39 del  1984)  e  che,
nelle materie di cui agli artt. 8 e  9  dello  statuto  speciale,  la
Provincia autonoma di Bolzano e'  titolare  di  potesta'  legislativa
«primaria  e  secondaria»  oltre  che  della  «correlativa   potesta'
amministrativ[a] (articolo 16)». 
    Piu'  nello  specifico,  verrebbero  in   rilievo   le   potesta'
legislative in materia di organizzazione  dei  propri  uffici  e  del
relativo personale (art. 8, n. 1, dello statuto speciale), di  igiene
e sanita' (art. 9, n. 10, dello statuto speciale) e di finanza locale
(artt. 80 e 81 dello statuto speciale), in base  alle  quali  le  due
Province autonome finanziano integralmente il settore sanitario,  che
risulterebbe a totale carico del bilancio provinciale,  come  sancito
dall'art. 34 della legge n. 724 del 1994, che appunto prevede, «quale
concorso  delle  Province  autonome  al  riequilibrio  della  finanza
pubblica nazionale»,  il  finanziamento  integrale,  da  parte  delle
Province autonome, del Servizio sanitario  nazionale  nei  rispettivi
territori, senza alcun apporto a carico  del  bilancio  dello  Stato,
mediante  utilizzazione  prioritaria  delle  entrate  derivanti   dai
contributi sanitari e dalle altre imposte  sostitutive,  nonche',  ad
integrazione, le risorse dei propri bilanci. 
    Di   qui   l'applicabilita'   del   principio   espresso    dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale,  secondo  cui  «lo  Stato,
quando non concorre al finanziamento della spesa  sanitaria,  neppure
ha titolo per  dettare  norme  di  coordinamento  finanziario»  (sono
richiamate le sentenze n. 133 del 2010 e n. 341 del 2009). 
    Del resto, osserva ancora la  ricorrente,  spetta  alle  Province
autonome la  potesta'  legislativa  ed  amministrativa  attinente  al
funzionamento  ed  alla  gestione  delle  istituzioni  e  degli  enti
sanitari, con l'obbligo di garantire l'erogazione di  prestazioni  di
assistenza igienico-sanitaria  ed  ospedaliera  «non  inferiori  agli
standards minimi previsti dalle normative nazionale  e  comunitaria»,
compreso lo stato giuridico ed economico del personale addetto. 
    3.2.3.- Tanto premesso, la Provincia autonoma di Bolzano  ritiene
che  le  disposizioni  impugnate,   nell'introdurre   «modalita'   di
regolazione finanziaria relative al concorso statale del  livello  di
finanziamento  del  fabbisogno  sanitario   standard   del   Servizio
sanitario nazionale», anche con riferimento  espresso  alle  Province
autonome, non sarebbero compatibili ne' con l'autonomia finanziaria a
queste ultime riconosciuta nel settore sanitario  ne'  con  l'accordo
sottoscritto in data 15 ottobre 2014 e recepito nei commi  da  406  a
413 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 e nei  commi  502  e  503
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, «approvati ai  sensi  e  per
gli effetti dell'art. 104 dello Statuto speciale e cosi'  sulla  base
di intesa». 
    Ad avviso della ricorrente, se le norme  di  cui  ai  commi  392,
primo, secondo e terzo periodo, e 394 dell'art. 1 della legge n.  232
del 2016 «dovessero essere intese come destinate a fare  carico  alle
Province autonome  di  ulteriori  contributi  alla  finanza  pubblica
nazionale (nello  specifico,  quale  concorso  al  finanziamento  del
fabbisogno sanitario nazionale) rispetto a quelli concordati  con  lo
Stato», sarebbe  direttamente  violato  l'art.  79,  comma  4,  dello
statuto di autonomia, venendo in rilievo - in contrasto con gli artt.
103, 104 e 107 dello statuto di autonomia e con l'art.  120  Cost.  -
«un'unilaterale modifica del citato Accordo del 15 ottobre  2014  con
il Governo, che ha definito, in modo esaustivo, la  natura  e  misura
della  partecipazione  delle  Province  autonome   ai   processi   di
risanamento della finanza pubblica  e  l'entita'  del  concorso  agli
obiettivi di  finanza  pubblica  assicurati  dalla  Regione  e  dalle
Province autonome». 
    Gli    evocati    parametri    sarebbero,    altresi',    violati
dall'attribuzione  «di  un  potere  monocratico  di  decretazione  al
Ministro dell'economia in  caso  di  mancata  intesa  in  un  termine
predefinito dalla legge». 
    3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato,  sulla  base  delle  medesime  argomentazioni
addotte nell'atto di costituzione nel giudizio instaurato su  ricorso
della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ed illustrate  al
precedente punto 1.5. 
    Aggiunge, pero', che le disposizioni impugnate  sono  finalizzate
ad assicurare il rispetto sia dell'art.  79,  commi  4  e  4-septies,
dello statuto di autonomia sia il principio solidaristico di cui agli
artt. 2 e 5 Cost., che imporrebbe a tutti gli enti di partecipare  al
risanamento dei conti pubblici (ai sensi dell'art. 97 Cost.). 
    Le  norme  risulterebbero,  altresi',  coerenti   con   l'accordo
sottoscritto dal Governo  e  dalle  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano in data 15 ottobre 2014, che pure prevede la possibilita'  di
imporre,  sebbene  a  certe  condizioni   predeterminate,   ulteriori
contributi alla finanza pubblica. 
    Inoltre,  secondo   l'Avvocatura   generale   dello   Stato,   le
disposizioni in esame, intervenendo sul fabbisogno sanitario ritenuto
congruo  per  l'erogazione  dei  livelli  essenziali  di  assistenza,
influirebbero  anche  sul  livello  della   spesa   sanitaria   della
ricorrente,  sebbene  la  stessa  non  riceva  finanziamenti  per  la
funzione sanitaria, dal momento che  il  finanziamento  del  Servizio
sanitario nazionale e' calcolato su base  nazionale  e  pertanto,  «a
fronte di una riduzione del finanziamento erariale  per  il  comparto
delle regioni a statuto ordinario, e' previsto che anche le Autonomie
speciali realizzino un risparmio». 
    La difesa statale, a tale proposito,  ricorda  la  giurisprudenza
costituzionale secondo cui lo Stato e'  legittimato  a  imporre  agli
enti regionali, ivi  comprese  le  Regioni  a  statuto  speciale,  di
partecipare agli obiettivi di risanamento  e  di  assestamento  della
finanza pubblica generale, al fine anche di rispettare i  vincoli  di
bilancio imposti dall'Unione europea (sono richiamate le sentenze  n.
127 del 2015 - recte: 2016 -, n. 193 e  n.  148  del  2012),  purche'
attraverso  misure  di  carattere  transitorio  e  nel  rispetto  del
principio consensualistico (vengono richiamate le sentenze n. 127 del
2016, n. 19 del 2016 - recte: 2015 -, n. 99 del 2014, n. 193 e n. 118
del 2012), condizioni che sarebbero entrambe rispettate, nel caso  di
specie. 
    4.- La Regione autonoma Sardegna, con ricorso notificato il 16-21
febbraio 2017 e depositato il 24 febbraio 2017 (reg. ric. n.  21  del
2017), ha impugnato, tra gli altri, i commi 392, 394 e 528  dell'art.
1 della legge n. 232 del 2016. 
    4.1.- La ricorrente, dopo aver ricordato  la  portata  precettiva
dell'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2016 - evidenziando di
aver impugnato anche tale disposizione con il ricorso iscritto al  n.
13 del registro ricorsi 2016 - ha esposto il contenuto dei commi  qui
censurati,   con   i   quali   il   legislatore    statale    avrebbe
«cristallizzato» gli effetti finanziari derivanti dall'intesa dell'11
febbraio 2016,  stipulata  in  attuazione  del  predetto  comma  680,
estendendo di un anno l'orizzonte temporale del contributo imposto al
comparto regionale da tale ultima disposizione. 
    I commi 392, 394 e 528 della legge n. 232 del 2016 sarebbero,  in
particolare,  contrari:  agli  artt.  7,  8,  54  e  56  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna); agli artt. 3, 5, 24, 81, 116, 117, terzo comma, 119 e  136
Cost.; all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6  e
13 della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora
innanzi: CEDU); all'art. 9 della legge n.  243  del  2012,  anche  in
riferimento all'art. 4 dell'accordo tra il Ministro  dell'economia  e
delle finanze e la Regione autonoma Sardegna in  materia  di  finanza
pubblica, sottoscritto in data 21 luglio 2014  e  recepito  dall'art.
42, commi da 9 a 12, del decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133
(Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del  Paese,  la  semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, in  legge
11 novembre 2014, n. 164. 
    4.1.1.- Secondo la Regione autonoma Sardegna, il contributo  alla
finanza pubblica delle Regioni e  delle  Province  autonome,  per  il
periodo  2017-2020,  impone  un  sacrificio   economico   finanziario
particolarmente  elevato,  per  un  importo  che  non   puo'   essere
modificato dalle autonomie speciali, chiamate solo alla  ripartizione
tra di esse tramite un'intesa, da stipulare entro il 31 gennaio 2017,
che  deve  garantire  gli  effetti  finanziari  della  determinazione
assunta dalle autonomie territoriali «in sede di  autocoordinamento»,
salvo,  in  caso  di  inerzia,  il  potere  statale   di   effettuare
unilateralmente il riparto. 
    L'ultimo  periodo  del  comma  impugnato,   inoltre,   detterebbe
«disposizioni di favore» per la sola Regione  autonoma  Trentino-Alto
Adige/Südtirol e per le due Province autonome di  Trento  e  Bolzano,
prevedendo l'applicazione della  normativa  in  esame  «nel  rispetto
dell'Accordo sottoscritto tra il Governo e i predetti enti in data 15
ottobre 2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190». 
    4.1.2.- La Regione autonoma Sardegna ricorda di  aver  stipulato,
in data 21  luglio  2014,  un  analogo  accordo  con  lo  Stato,  per
disciplinare i rapporti economici e finanziari tra Stato  e  Regione,
all'interno della cornice normativa dettata dagli artt. 7 e  8  dello
statuto speciale, e sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa
Corte costituzionale, che  avrebbe  sempre  sollecitato  le  parti  a
seguire il metodo pattizio  per  la  regolamentazione  dei  reciproci
rapporti finanziari, in modo  «congruente  con  le  norme  statutarie
della Regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto» (vengono
citate le sentenze n. 155 del 2015, n. 95  del  2013  e  n.  118  del
2012). 
    Nella  ricostruzione   operata   dalla   ricorrente,   l'art.   3
dell'accordo stipulato in data  21  luglio  2014  stabilisce  che  la
Regione  autonoma  Sardegna,  a  partire  dal  2015,   partecipa   al
conseguimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica  attraverso  il
rispetto del principio di equilibrio di bilancio, ai sensi  dell'art.
9 della legge n. 243 del 2012, a fronte  dell'impegno  assunto  dallo
Stato di rideterminare i contributi  di  finanza  pubblica  a  carico
della Regione Sardegna gia' disposti dalla legislazione  vigente  per
l'anno 2014, i quali costituirebbero «la base per  la  determinazione
dell'obiettivo  del  patto  di  stabilita'   anche   per   gli   anni
successivi». 
    Alcune clausole dell'accordo,  evidenzia  ancora  la  ricorrente,
sono state recepite nei commi da 9 a 12 dell'art. 42 del d.l. n.  133
del 2014, come convertito. 
    Con le disposizioni  impugnate  il  legislatore  statale  avrebbe
«disatteso  un  preciso  impegno  giuridico   assunto   nelle   forme
dell'accordo di finanza pubblica», in quanto: avrebbe  imposto  nuovi
contributi alla finanza pubblica  a  carico  della  Regione  autonoma
Sardegna, senza far precedere tale  imposizione  da  una  regolazione
pattizia tra lo Stato e la  Regione;  avrebbe  imposto  alla  Regione
autonoma Sardegna di conseguire risparmi di spesa in settori che sono
definiti, non in via autonoma  dalla  Regione  medesima,  bensi'  con
decisione assunta dalle altre Regioni e Province autonome (le  quali,
in tal modo, acquistano titolo «per ingerirsi nelle determinazioni di
bilancio della Regione  Autonoma  della  Sardegna»)  o,  in  caso  di
inerzia,  direttamente  dallo  Stato;   recando   una   clausola   di
salvaguardia del solo accordo stipulato tra lo  Stato  e  la  Regione
autonoma Trentino-Alto  Adige/Südtirol  e  le  Province  autonome  di
Trento e Bolzano, avrebbe non solo violato l'accordo stipulato  dallo
Stato con la  Regione  autonoma  Sardegna,  ma  anche  derogato  alle
previsioni di cui ai commi da 9 a 12 dell'art. 42 del d.l. n. 133 del
2014, come convertito, e, in particolare, il comma  10  (in  cui  era
stata trasposta la clausola di cui all'art. 3  del  predetto  accordo
del 2014),  secondo  cui  la  Regione  autonoma  Sardegna  garantisce
l'equilibrio del proprio bilancio ai sensi dell'art. 9 della legge n.
243 del 2012. 
    4.1.3.- Da tale quadro normativo emergerebbe «inequivocabilmente»
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni censurate. 
    Nella sentenza n. 19 del 2015, infatti, la  Corte  costituzionale
avrebbe affermato che la determinazione  unilaterale  preventiva  del
contributo delle autonomie speciali alla manovra, per essere conforme
a Costituzione, dovrebbe lasciare un «margine di negoziabilita'» alle
Regioni autonome, margine che non potrebbe limitarsi  (come,  invece,
accadrebbe nel caso di specie) «ad una rimodulazione interna  tra  le
varie componenti presenti nella citata tabella relative alle  diverse
autonomie  speciali,  con  obbligo  di  integrale  compensazione  tra
variazioni attive  e  passive»,  poiche'  «ogni  margine  di  accordo
comportante un miglioramento individuale dovrebbe  essere  compensato
da un acquiescente reciproco aggravio di  altro  ente,  difficilmente
realizzabile»,  sicche'  «il  meccanismo  normativo   [...]   sarebbe
sostanzialmente svuotato dalla prevedibile indisponibilita' di  tutti
gli  enti  interessati  ad  accollarsi  l'onere   dei   miglioramenti
destinati ad altri e, conseguentemente, sarebbe lesivo del  principio
di leale collaborazione e dell'autonomia finanziaria regionale». 
    In sostanza, non sarebbe conforme a Costituzione una disposizione
di legge statale che rimettesse all'accordo tra le  parti  «solamente
il riparto tra  le  autonomie  speciali  del  contributo  di  finanza
pubblica imposto unilateralmente dallo Stato». 
    Nella successiva  sentenza  n.  82  del  2015,  nel  vagliare  la
legittimita' di un  contributo  straordinario  al  risanamento  della
finanza pubblica, imposto alle sole autonomie speciali e  da  attuare
con le procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009  e,
dunque, secondo il metodo pattizio, la Corte  costituzionale  avrebbe
confermato la necessita' di intraprendere  la  via  dell'accordo,  in
quanto espressione di un criterio generale  che  governa  i  rapporti
finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali, in base al principio
di leale collaborazione. A giudizio  della  ricorrente,  inoltre,  il
contributo non potrebbe protrarsi «senza  limite»,  dovendo  assumere
carattere transitorio. 
    4.1.4.- Tanto premesso,  nella  prospettazione  della  ricorrente
risulterebbe  in  primo  luogo  violato   il   principio   di   leale
collaborazione tra Stato e Regione autonoma  Sardegna,  di  cui  agli
artt.  5  e  117  Cost.  Il  legislatore  statale   avrebbe   infatti
disciplinato lo svolgimento  dei  rapporti  economico-finanziari  tra
Stato e Regione autonoma Sardegna  «senza  prevedere  i  necessari  e
doverosi meccanismi di interlocuzione e di attuazione  del  principio
consensualistico»,  non  essendo  previsto  alcun  accordo  idoneo  a
«superare le rigidita' della fissazione unilaterale del contributo di
finanza pubblica a  carico  del  comparto  delle  Regioni  a  statuto
speciale».  Queste  ultime  verrebbero,   anzi,   esplicitamente   ed
inequivocabilmente  equiparate  alle  Regioni  ordinarie,  in  quanto
l'intesa sul riparto del contributo deve essere adottata con  accordo
fra tutte le Regioni e Province autonome. Il comma  394  dell'art.  1
della legge n. 232 del 2016, inoltre,  nell'imporre  alle  Regioni  a
statuto speciale di assicurare il contributo a loro  carico  previsto
dall'intesa dell'11 febbraio 2016, escluderebbe che le determinazioni
assunte in tale intesa possano essere ulteriormente «negoziabili». 
    4.1.5.-    In    secondo    luogo,    risulterebbero     violati,
contestualmente,  ancora  il  principio  di   leale   collaborazione,
l'autonomia economico-finanziaria della Regione tutelata dagli  artt.
116, 117 e 119 Cost. e dagli artt. 7  e  8  dello  statuto  speciale,
nonche' l'art. 3 Cost. 
    La lesione lamentata  deriverebbe  dalla  salvaguardia  del  solo
accordo  stipulato  tra  Stato  e  Regione   autonoma   Trentino-Alto
Adige/Südtirol e Province autonome di Trento e  Bolzano,  con  totale
pretermissione dell'analogo accordo  stipulato  tra  lo  Stato  e  la
Regione autonoma Sardegna in data 21  luglio  2014,  sicche'  sarebbe
«manifestamente  ingiustificato  il  trattamento   differenziato   (e
deteriore) della Sardegna rispetto alla Regione Trentino-Alto Adige e
alle Province Autonome di Trento e Bolzano», avendo la  stessa  Corte
costituzionale, nella sentenza n. 19 del  2015,  «accomunato»  i  due
atti negoziali quanto ad ampiezza degli effetti  e  ratio  di  tutela
dell'autonomia economico-finanziaria delle Regioni autonome. 
    La ricorrente, del resto, ricorda che l'art. 116 Cost.  riconosce
l'autonomia differenziata «di tutte le (e non solo di alcune) Regioni
a Statuto speciale». 
    La «clausola di maggior  favore  per  la  sola  Regione  Autonoma
Trentino-Alto Adige», peraltro, dimostrerebbe la  soppressione  dello
spazio di autonomia che le parti, con gli  accordi  richiamati  dalla
sentenza n. 19 del 2015,  avevano  regolato  su  base  pattizia,  dal
momento che la previsione specifica a beneficio di una sola autonomia
speciale «non avrebbe alcuna ragion  d'essere  se  il  contributo  di
finanza pubblica qui in esame fosse  ex  se  compatibile  con  quelle
intese». 
    4.1.6.- Gli artt. 5, 117 e 119 Cost., unitamente agli artt. 7 e 8
dello     statuto     speciale,     che     tutelano      l'autonomia
economico-finanziaria  della  Regione  e  impongono,   nei   rapporti
economico-finanziari,  il  «paradigma  della   leale   cooperazione»,
sarebbero  ulteriormente  violati  anche  sotto  un  altro   profilo,
strettamente connesso al principio di ragionevolezza di cui  all'art.
3 Cost.,  per  il  fatto  che  il  legislatore  statale,  intervenuto
successivamente alla stipula degli accordi di  finanza  pubblica  del
2014, ne avrebbe espressamente violato le  clausole,  peraltro  senza
prevedere un meccanismo adeguato di recupero, anche  ex  post,  della
leale cooperazione nei rapporti  economico-finanziari,  in  tal  modo
calpestando «le clausole di un accordo faticosamente raggiunto tra la
Regione e lo Stato» e che  aveva  risolto  in  forma  consensuale  un
risalente contenzioso innanzi alla Corte costituzionale. 
    4.1.7.- Le disposizioni impugnate sarebbero  in  contrasto  anche
con l'art. 9 della legge «rinforzata» n. 243  del  2012,  emanata  in
attuazione del sesto comma dell'art. 81 Cost., per dettare specifiche
previsioni sull'equilibrio dei bilanci delle  Regioni  e  degli  enti
locali, ma, quanto alle autonomie speciali,  compatibilmente  con  le
norme dei rispettivi statuti e con le relative norme  di  attuazione,
con   rimessione,   dunque,   ancora   una   volta    al    principio
consensualistico della definizione dei criteri  di  «equilibrio»  dei
bilanci delle autonomie speciali. 
    Avendo lo Stato  e  la  Regione  autonoma  Sardegna,  proprio  in
ossequio a tale precetto, consensualmente disciplinato  le  modalita'
con le quali il principio dell'equilibrio di bilancio si applica alla
Regione medesima, altri oneri che si sottraessero alla determinazione
consensuale delle parti risulterebbero in violazione dell'accordo del
21 luglio 2014, e, per l'effetto, anche dell'art. 9, comma  6,  della
legge n. 243 del 2012 e  dello  stesso  art.  81  Cost.,  di  cui  le
disposizioni della suddetta legge «rinforzata»  sarebbero  «immediato
svolgimento».  Ne  deriverebbe,  ancora,  la  lesione  dell'autonomia
economico-finanziaria della Regione Sardegna, garantita dagli artt. 7
e 8 dello statuto speciale e dagli artt. 117 e 119 Cost. 
    4.1.8.- Secondo la Regione autonoma Sardegna,  l'incompatibilita'
delle disposizioni impugnate -  da  leggere  unitamente  all'art.  1,
comma  680,  della  legge  n.  208  del  2015  -  con  il   contenuto
dell'accordo del 21 luglio 2014, violerebbe anche le disposizioni  di
cui all'art. 42, commi da 9 a 12, del d.l.  n.  133  del  2014,  come
convertito. Tali disposizioni impedirebbero al  legislatore  statale,
in  assenza  di  preventiva  intesa  con  la  Regione,  di  abrogare,
modificare o comunque derogare le disposizioni del d.l.  n.  133  del
2014, come convertito, che quell'accordo avevano appunto  recepito  e
che, pur non essendo state formalmente inserite nello  statuto  della
Regione o nelle norme di attuazione, sarebbero ugualmente espressione
del  principio  consensualistico  cui  sono   soggetti   i   rapporti
economico-finanziari tra lo Stato e la Regione ricorrente:  principio
che sarebbe, a sua volta, sancito dagli artt. 54, quinto comma, e  56
dello statuto, nonche' dall'art. 9 della legge  «rinforzata»  n.  243
del 2012, anche in relazione, ancora una volta,  agli  artt.  7  e  8
dello statuto e 117 e 119 Cost., che tutelano l'autonomia finanziaria
della Regione. 
    4.1.9.- A giudizio della ricorrente, le sentenze con le quali  la
Corte costituzionale ha scrutinato le vertenze insorte tra lo Stato e
la Regione autonoma Sardegna a causa  della  mancata  esecuzione,  da
parte statale, della riforma del regime delle  entrate  regionali  di
cui all'art. 8 dello statuto speciale (sono richiamate le sentenze n.
95 del 2013, n. 118  e  n.  99  del  2012),  avrebbero  «accertato  e
dichiarato che lo Stato aveva e ha un  preciso  e  specifico  obbligo
giuridico di definire consensualmente con la Regione  il  regime  dei
reciproci  rapporti   economico-finanziari».   Cio'   sarebbe   stato
riconosciuto  dallo  stesso  legislatore  statale  con   l'emanazione
dell'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8  aprile  2013,  n.  35
(Disposizioni urgenti per  il  pagamento  dei  debiti  scaduti  della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli  enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali), convertito, con modificazioni, in legge 6  giugno  2013,  n.
64. Con  la  richiamata  disposizione,  infatti,  era  stato  imposto
l'obbligo  di  concordare  con  la  Regione  autonoma  Sardegna,  nel
rispetto dei saldi di finanza pubblica, e con  le  procedure  di  cui
all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, le modifiche da apportare  al
patto di stabilita' interno per la medesima  Regione.  In  tal  modo,
sarebbe stata riconosciuta «la forza del  giudicato  costituzionale»,
che imponeva un preciso obbligo giuridico, «al  quale  lo  Stato  non
puo' sottrarsi». Sicche', una volta concluso  l'accordo  in  data  21
luglio 2014, non  sarebbe  possibile  violarne  le  clausole:  avendo
invece le disposizioni impugnate imposto nuovi contributi di  finanza
pubblica,  non  concordati,  vi  sarebbe  violazione  del   giudicato
costituzionale, e, dunque, dell'art. 136 Cost. 
    4.1.10.- Risulterebbe, inoltre, violato anche  il  principio  del
legittimo   affidamento,   che   trova   riconoscimento   di    rango
costituzionale ai sensi dell'art. 3 Cost.  nonche',  per  il  tramite
dell'art. 117, primo comma, Cost. (e dell'art. 5 Cost., essendo  «qui
l'affidamento   [...]   posto   a   presidio   dell'autonomia   della
ricorrente»), degli artt. 6  e  13  della  CEDU.  Si  tratterebbe  di
«principio connaturato allo Stato di diritto», applicabile  anche  ai
rapporti tra  Stato  e  Regioni,  che  devono  ispirarsi  alla  leale
collaborazione tra le parti (viene citata  la  sentenza  n.  207  del
2011). In particolare, in capo alla Regione ricorrente, sarebbe sorto
«un  affidamento   legittimo   sulla   stabilita'   del   quadro   di
regolamentazione dei rapporti economici con  lo  Stato»,  indotto  in
ragione: delle disposizioni statutarie e costituzionali  che  fissano
il principio  consensualistico  nei  rapporti  tra  Stato  e  Regione
autonoma Sardegna; del giudicato costituzionale relativo  all'obbligo
di addivenire ad un complessivo accordo di finanza  pubblica  con  la
Regione, poi riconosciuto dallo Stato  con  la  disposizione  di  cui
all'art. 11, comma 5-bis, del d.l. n. 35 del 2013,  come  convertito;
della conseguente stipula dell'accordo di  finanza  pubblica  del  21
luglio 2014; del recepimento delle clausole dell'accordo nell'art. 42
del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, che, invece, sarebbe stato
«inopinatamente sovvertito dal legislatore statale», proprio  con  la
disposizione impugnata, ancora una volta in contrasto con l'autonomia
economico-finanziaria della Regione, tutelata dagli artt. 7 e 8 dello
statuto e dagli artt. 117 e 119 Cost. 
    Secondo la ricorrente, la Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
avrebbe piu' volte  affermato  che  gli  artt.  6  e  13  della  CEDU
proteggono il legittimo affidamento dei soggetti di diritto, che puo'
essere compresso solo a fronte di  imperative  ragioni  di  interesse
generale, tra le quali non rientrerebbe  «l'ottenimento  di  un  mero
beneficio economico per  la  finanza  pubblica»,  che  costituirebbe,
invece,  «l'unica   ragione   giustificatrice»   delle   disposizioni
impugnate. 
    4.1.11.- La Regione autonoma Sardegna evidenzia anche di non aver
mai dubitato  della  validita',  della  stabilita'  e  della  cogenza
dell'accordo  del  21  luglio  2014.  Sottolinea  che,   proprio   in
adempimento  degli  obblighi  con  esso  assunti,  «ha  rinunciato  a
numerose impugnazioni gia' proposte», non  solo  innanzi  alla  Corte
costituzionale, sicche' risulterebbe inciso anche il proprio  diritto
di difesa in giudizio, tutelato dall'art. 24 Cost. 
    4.1.12.- La Regione autonoma Sardegna ricorda che lo  Stato  puo'
imporre  in  via  autoritativa  contributi  straordinari  di  finanza
pubblica alle Regioni ordinarie e alle autonomie  speciali,  ma  solo
per un periodo di tempo limitato e ragionevole  (sono  richiamate  le
sentenze n. 193 e n. 148 del 2012, n. 232  del  2011  e  n.  326  del
2010). Ove tale limite non fosse rispettato, il contributo di finanza
pubblica  imposto  alle  Regioni   costituirebbe   disposizione   «di
dettaglio», in  una  materia  affidata  alla  competenza  legislativa
concorrente, esorbitando dall'ambito di  competenza  riconosciuto  al
legislatore  statale.  Nel  caso  in  esame,   osserva   la   Regione
ricorrente, il contributo di  finanza  pubblica  era  originariamente
previsto  per  un  solo  triennio,  sicche'  esso   poteva   apparire
compatibile con l'obbligo di «temporaneita'» del prelievo.  Tuttavia,
il comma 528 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016 ha esteso per un
altro anno l'ambito di applicazione del contributo e il comma 392 del
medesimo articolo,  nella  ricostruzione  della  ricorrente,  avrebbe
«aumentato il carico finanziario del contributo», in un  contesto  in
cui (tutte) le Regioni «sono sottoposte da diversi anni a  contributi
di finanza pubblica sempre crescenti, alcuni dei quali imposti non in
via  temporanea,  bensi'  senza  limiti  di  tempo»:  il   contributo
inizialmente imposto dal comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del
2015, poi «modificato dai commi 392 e 394 della legge qui impugnata»,
per tali ragioni eluderebbe «l'obbligo di temporaneita' delle  misure
restrittive di finanza pubblica», ponendosi in contrasto  con  l'art.
117, terzo comma, Cost.,  e  con  gli  artt.  7  e  8  dello  statuto
speciale, che tutelano l'autonomia finanziaria della Regione autonoma
Sardegna. 
    4.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato, sulla  base  delle
medesime argomentazioni  articolate  nell'atto  di  costituzione  nel
giudizio  instaurato  su  ricorso  della   Regione   autonoma   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste ed illustrate al precedente punto 1.5. 
    Ha aggiunto, tuttavia, con  specifico  riferimento  alla  censura
incentrata sulla violazione  del  principio  di  eguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost. - per la particolare considerazione riservata, dalle
disposizioni impugnate, al solo accordo concluso  tra  lo  Stato,  la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province  autonome
di Trento e di Bolzano - che la posizione di tali autonomie  speciali
«risulta oggettivamente differenziata» rispetto alle altre. «La norma
sospettata di incostituzionalita'» si  porrebbe  come  «parametro  di
mediazione» fra la  garanzia  assicurata  dall'art.  79,  commi  4  e
4-septies del d.P.R. n. 670 del 1972 e il principio solidaristico  di
cui agli artt.  2  e  5  Cost.,  che  impone  a  tutti  gli  enti  di
partecipare alla tenuta dei  conti  pubblici,  mediante  un  percorso
consensuale che puo' riguardare solo il quantum ed il  quomodo  della
partecipazione medesima, e non anche l'an. 
    5.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  con  ricorso
notificato il 20 febbraio 2017 e depositato il 24  marzo  2017  (reg.
ric. n. 22 del 2017), ha impugnato, tra gli altri, i commi 392, 394 e
528 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016. 
    5.1.- La ricorrente,  in  premessa,  chiarisce  di  non  ignorare
l'esistenza della clausola di  salvaguardia  contenuta  nell'art.  1,
comma 638, della legge n. 232 del  2016,  ma  esclude  che  essa  sia
idonea «a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle
autonomie speciali, e in particolar modo alla Regione  Friuli-Venezia
Giulia (nonche' aventi contenuto lesivo dell'autonomia  stessa,  come
le norme impugnate), possano trovare comunque applicazione». 
    5.1.1.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  illustra  come
segue il contenuto normativo delle disposizioni impugnate. 
    Secondo  la  ricorrente,  esse:  riducono  il   fondo   sanitario
nazionale in misura ulteriore rispetto a quella fissata con  l'intesa
dell'11 febbraio 2016 (comma 392, primo e secondo periodo); impongono
alle Regioni speciali di concorrere a tali misure,  sostenendo  parte
del contributo, determinato mediante intese  bilaterali  (comma  392,
terzo  periodo);  condizionano  l'applicazione  del   meccanismo   al
rispetto (unicamente) dell'accordo sottoscritto tra il Governo  e  le
Province autonome di Trento e Bolzano il 15 ottobre 2014 (comma  392,
quarto periodo); impongono alle  Regioni  speciali,  con  i  medesimi
accordi di cui al comma 392,  di  assicurare  il  contributo  a  loro
carico  previsto  dall'intesa  dell'11  febbraio  2016  (comma  394);
consentono al Ministero dell'economia e delle finanze di attuare  con
proprio decreto l'intesa dell'11 febbraio 2016, al fine di  garantire
il conseguimento dell'obiettivo programmatico di finanza pubblica per
il settore sanitario (comma 394); estendono fino al 2020 la misura di
concorso di cui all'art 1, comma 680, della legge  n.  208  del  2015
(comma 528). 
    5.1.2.- Cosi' ricostruito il quadro normativo, la  ricorrente  ne
sostiene la contrarieta', per la parte di ricorso qui esaminata: agli
artt. 3 e 119 Cost.; 48 e 49 della legge  costituzionale  31  gennaio
1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); al
protocollo  di  intesa  tra  lo   Stato   e   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia per la revisione del protocollo del 29  ottobre
2010 e per la definizione  dei  rapporti  finanziari  negli  esercizi
2014-2017 del 23 ottobre  2014;  al  principio  pattizio  in  materia
finanziaria (desumibile dagli artt. 63,  quinto  comma,  e  65  dello
statuto speciale e dall'art. 27 della legge n.  42  del  2009)  ed  a
quello di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Cio'  perche'  le  disposizioni  censurate   «rappresentano   una
specificazione (ad avviso della ricorrente Regione illegittima [...])
di quanto gia' previsto (anche in quel caso  illegittimamente  [...])
dall'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015». 
    5.1.3.- La ricorrente evidenzia, in  primo  luogo,  che  sia  nel
comma 392 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, sia nel comma  680
dell'art. 1 della legge n. 208  del  2015,  e'  previsto  «un  regime
speciale per  la  regione  Trentino-Alto  Adige  e  per  le  province
autonome di Trento e di Bolzano», in quanto per  esse  l'applicazione
delle  disposizioni  impugnate  avviene  nel  rispetto   dell'accordo
sottoscritto con il Governo in data 15 ottobre 2014  e  recepito  con
legge n. 190 del 2014. 
    Ricorda,  poi,   di   avere   impugnato,   innanzi   alla   Corte
costituzionale, il citato comma 680 dell'art. 1 della  legge  n.  208
del 2015, nella parte in cui  esso  richiede  alla  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  contribuzioni   non   previste   nell'accordo
sottoscritto con il Governo in data 23 ottobre  2014,  nonche'  nella
parte  in  cui,  per  annualita'   successive   al   2017,   richiede
contribuzioni non concordate. 
    Espone, quindi, che, in attuazione del menzionato comma  680,  lo
Stato e le Regioni hanno concluso un'intesa in data 11 febbraio 2016,
nella quale hanno individuato nel fondo sanitario nazionale - di  cui
e' stata conseguentemente concordata la riduzione di 3.500 milioni di
euro per il 2017 e di 5.000 milioni di euro a decorrere  dal  2018  -
«la principale  posta  su  cui  concentrare  la  riduzione  di  spesa
relativa al contributo» (quantificato dalla medesima disposizione  di
legge in 3.980 milioni di euro per il 2017 e in 5.480 milioni di euro
per il 2018 e il 2019) e  hanno  rinviato  «a  successive  intese  le
determinazioni  inerenti   i   restanti   480   milioni   di   euro»,
contemplando, in mancanza, «una clausola  di  salvaguardia  la  quale
prevede che il Fondo sanitario nazionale sia  in  ogni  caso  ridotto
degli importi oggetto dell'intesa». 
    Sottolinea, ancora, la resistente che le Regioni  speciali  e  le
Province autonome che  non  avevano  partecipato  all'intesa  dell'11
febbraio 2016 (tra cui la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia)
avevano rifiutato «di aderire ad  alcun  riparto  che  prevedesse  un
onere a  proprio  carico»,  nelle  more  dell'impugnazione  proposta,
innanzi alla Corte costituzionale, contro il  comma  680  piu'  volte
citato, anche perche', ad eccezione della Regione Siciliana,  nessuna
delle altre autonomie speciali partecipa alla ripartizione del  fondo
sanitario nazionale, che era stato  invece  individuato,  nell'intesa
raggiunta l'11 febbraio 2016, come «oggetto del "taglio"». 
    Del resto, rammenta infine  la  resistente,  la  suddetta  intesa
dell'11 febbraio  2016  prevedeva  espressamente  che  la  parte  del
contributo al risanamento dei conti pubblici a carico delle Regioni a
statuto speciale venisse «demandata a singoli accordi bilaterali  tra
il Governo e le singole  Regioni  a  statuto  speciale»,  e  che,  in
mancanza  del  raggiungimento  di  un  accordo  «entro   un   termine
ragionevole», la copertura integrale  del  contributo  sarebbe  stata
conseguita con una maggiorazione della quota gravante sulle Regioni a
statuto  ordinario,  non  potendo  la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano disporre della posizione delle autonomie speciali senza il
loro assenso. 
    5.1.4.-  Secondo  la  ricorrente,  la  violazione  degli  evocati
parametri  costituzionali  e  statutari  non  sarebbe  esclusa  dalla
previsione di singoli accordi con lo Stato, da stipulare entro il  31
gennaio 2017. 
    La  «misura  complessiva»  del  nuovo  concorso  delle  autonomie
speciali sarebbe, infatti, gia' definita unilateralmente dalla  legge
statale,  sicche'  la  conclusione  dei  previsti   accordi   sarebbe
«obbligata e dovuta  entro  un  termine  molto  stretto  (31  gennaio
2017)»,  a  pena  di  un  intervento  unilaterale  statale   comunque
attuativo della riduzione prevista per gli anni 2017 e successivi. 
    Tutto cio' avverrebbe in violazione dell'accordo concluso tra  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e lo Stato in data 23  ottobre
2014, nel quale, al fine di «definire un "quadro  stabile  e  certo"»
dei rapporti  finanziari,  sarebbe  «precisamente  ed  esaustivamente
quantificato il contributo finalizzato alla sostenibilita' del debito
pubblico  fino  all'anno  2017»,  mentre,  per  quanto  riguarda   le
annualita'  successive  al  2017,   sarebbe   sancito   l'impegno   a
rinegoziare nuovi accordi entro il 30 giugno 2017. 
    In violazione degli obblighi assunti con tale accordo,  lo  Stato
avrebbe  rideterminato  il  contributo  della  Regione  alla  finanza
pubblica, imponendole «di trasferire allo Stato  fondi  "equivalenti"
alla riduzione  del  fondo  sanitario  nazionale  concordata  con  le
Regioni a statuto ordinario, per una quota virtualmente imputata alla
Regione ricorrente». 
    5.1.5.-  Il  nuovo  concorso  regionale  risulterebbe,   inoltre,
costituzionalmente illegittimo  per  irragionevolezza  e  quindi  per
contrasto con l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  essendo  «fondato  e
parametrato sulla riduzione di un  Fondo  al  quale  la  Regione  non
partecipa», dal momento che essa finanzia  integralmente  il  proprio
sistema sanitario con le compartecipazioni ai  tributi  erariali,  ai
sensi dell'art. 1, comma 144, della legge 23 dicembre  1996,  n.  662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). 
    Sarebbe dunque contrario all'evocato parametro un sistema in  cui
il legislatore statale,  avendo  diminuito  il  fabbisogno  di  spesa
sanitaria nazionale, da un lato  riduce  i  trasferimenti  in  favore
delle Regioni a statuto ordinario, dall'altro  «chiede  alla  Regione
Friuli-Venezia   Giulia    la    restituzione    di    parte    delle
compartecipazioni che la  stessa  Regione  introiterebbe  in  eccesso
rispetto al fabbisogno del sistema sanitario regionale», in quanto la
Regione finanzia il sistema sanitario  «a  proprio  rischio»  con  le
proprie entrate fiscali generali e, dunque, non si potrebbe computare
«una quota ideale di un finanziamento statale che non c'e',  al  solo
scopo di poterlo sottrarre alla Regione». 
    Del resto, ricorda  la  ricorrente,  per  le  Regioni  a  statuto
speciale che finanziano il proprio fabbisogno di  spesa  con  risorse
del proprio bilancio, la copertura della  spesa  sanitaria  regionale
sarebbe  «meramente   teorica»,   dipendendo   dall'andamento   delle
compartecipazioni ai tributi erariali  (che  potrebbero  crescere  in
misure inferiore all'andamento della spesa sanitaria programmata),  i
cui proventi sono anche incisi dagli accantonamenti applicati in base
alle misure di coordinamento finanziario fino ad  oggi  consolidatesi
nonche' dalle misure  di  agevolazione  introdotte  dallo  Stato  sui
tributi erariali derivati, cio' che avrebbe influito sulla  capacita'
dell'ente di finanziare la propria spesa  sanitaria.  A  tale  ultimo
proposito, la ricorrente indica, come esempio, il dimezzamento  degli
introiti a titolo  d'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive
(IRAP) - accertati, nell'esercizio 2016, per  circa  200  milioni  di
euro, a fronte dei 400 milioni di euro  del  2015  -  i  cui  effetti
sarebbero stati automaticamente compensati, per  le  sole  Regioni  a
statuto  ordinario  (e   dunque   con   un   ulteriore   profilo   di
irragionevolezza, oltre che di  discriminazione),  con  una  maggiore
aliquota di partecipazione all'imposta sul valore aggiunto (IVA). 
    Tale vizio ridonderebbe sulle competenze che la Regione  esercita
in  materia  di  «igiene   e   sanita',   assistenza   sanitaria   ed
ospedaliera», ai sensi dell'art. 4 (recte: 5), comma 1, n. 16)  dello
statuto di  autonomia  (oppure,  ove  ritenuto  piu'  favorevole,  in
materia di tutela della salute, ai sensi dell'art. 117, terzo  comma,
Cost, in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001). 
    5.1.6.-  Risulterebbe,  inoltre,  «evidente»  la  disparita'   di
trattamento operata dal quarto periodo  del  comma  392  dell'art.  1
della legge n. 232 del 2016, nella parte in  cui  non  estende  anche
alla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia   la   clausola   di
salvaguardia dell'accordo stipulato con il  Governo,  trattandosi  di
situazioni «comparabili con riferimento  agli  obblighi  di  concorso
alla finanza pubblica». 
    5.1.7.- In via subordinata,  con  riferimento  al  primo  periodo
dell'appena citato comma  392,  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia prospetta la violazione del principio di leale  collaborazione
e, ancora, del principio di ragionevolezza e di eguaglianza. 
    Tale disposizione, infatti, avrebbe ridotto  il  fondo  sanitario
nazionale «in misura ulteriore  rispetto  a  quanto  determinato  con
l'intesa dell'11 febbraio 2016»,  e,  nonostante  la  ricorrente  non
abbia  sottoscritto  la  predetta  intesa,  essa   avrebbe   comunque
interesse a che lo Stato non aumenti il contributo di parte regionale
rispetto a quanto concordato, visto che una quota di tale  differenza
sarebbe  posta  a  carico  della  Regione  stessa.  Anzi,   ove   «la
disposizione fosse intesa nel senso  che  l'intera  differenza  ("gli
effetti finanziari previsti dal presente comma") e'  posta  a  carico
delle sole Regioni a statuto  speciale  e  delle  Province  autonome,
palese sarebbe  anche  l'irragionevolezza  e  la  discriminatorieta'»
della norma, in quanto  non  solo  tali  enti  sarebbero  chiamati  a
concorrere secondo quanto sancito dall'intesa dell'11  febbraio  2016
(mentre  non  dovrebbero,  non  partecipando   al   Fondo   sanitario
nazionale), ma in aggiunta sarebbe loro accollata «l'ulteriore misura
di concorso». 
    5.1.8.- In conclusione, la  ricorrente  osserva  che  l'ulteriore
misura di concorso finanziario non potrebbe essere  giustificata  con
la competenza concorrente dello Stato  in  materia  di  coordinamento
della finanza pubblica, giacche' il sistema  sanitario  regionale  e'
integralmente  finanziato  dalla  Regione  e,  quando  lo  Stato  non
concorre al finanziamento della spesa sanitaria, «neppure  ha  titolo
per dettare norme di  coordinamento  finanziario»  (viene  citata  la
sentenza n. 125 del 2015). 
    Il contributo  non  sarebbe  «costituzionalmente  giustificabile»
nemmeno come forma di concorso al miglioramento dei saldi di  finanza
pubblica del conto consolidato della  pubblica  amministrazione,  nel
quadro degli obblighi che derivano dalla  partecipazione  dell'Italia
all'Unione europea, in quanto a tali obblighi la  Regione  ricorrente
fa «ordinariamente fronte» attraverso l'osservanza delle  regole  sul
pareggio di bilancio stabilite dall'art. 9 della  legge  n.  243  del
2012. A tal  proposito,  la  ricorrente  riconosce  che  il  comma  5
dell'art. 9 citato consente la previsione  di  ulteriori  obblighi  a
carico degli enti territoriali, ma, osserva, il  successivo  comma  6
precisa che le disposizioni del comma 5 «si applicano alle regioni  a
statuto speciale e alle province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative
norme di attuazione». Tale compatibilita', a parere della ricorrente,
difetterebbe, sia sotto il profilo del metodo, sia con riferimento al
contenuto. 
    Infine,  neppure   potrebbero   essere   addotte   «straordinarie
contingenze  di  finanza  pubblica»,  in  quanto  queste  ultime  non
parrebbero «concretamente sussistere» e, in ogni caso, non potrebbero
«alterare il riparto costituzionale delle competenze», senza  contare
che la misura non sarebbe «affatto occasionale  ed  eccezionale»,  ma
«addirittura estesa fino al 2020 dal comma  528»,  anche  per  questa
ragione censurato. 
    5.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato,  sulla  base  delle  medesime  argomentazioni
addotte nell'atto di costituzione nel giudizio instaurato su  ricorso
della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ed illustrate  al
precedente punto 1.5. 
    Ha aggiunto, tuttavia, con  specifico  riferimento  alla  censura
incentrata sulla violazione  del  principio  di  eguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost. - per la particolare considerazione riservata, dalle
disposizioni impugnate, all'accordo concluso tra lo Stato, la Regione
autonoma Trentino-Alto  Adige/Südtirol  e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano - che la posizione  di  tali  autonomie  speciali
«risulta oggettivamente differenziata» rispetto alle altre, in quanto
l'accordo sottoscritto dai predetti enti,  diversamente  dagli  altri
accordi stipulati con le altre autonomie speciali, «fissa limiti alle
facolta' dello Stato di modificare i contributi ivi previsti per  far
fronte alle esigenze di finanza pubblica». 
    6.- La Regione Lombardia, con ricorso notificato il  20  febbraio
2017 e depositato il 27 febbraio 2017 (reg. ric. n. 23 del 2017),  ha
impugnato, tra gli altri, il comma 528 dell'art. 1 della legge n. 232
del 2016. 
    6.1.- La ricorrente osserva  che  la  disposizione  impugnata  ha
modificato il comma 680 dell'art. 1 della  legge  n.  208  del  2015,
estendendo l'obbligo per  le  Regioni  di  contribuire  alla  finanza
pubblica  fino  a  tutto  il  2020,  nonche'  stabilendo   che,   nel
rideterminare le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato in caso di mancato raggiungimento dell'intesa entro il 31
gennaio di ciascun anno, sia anche possibile «prevedere versamenti da
parte delle regioni interessate». 
    6.1.1.- In tal modo sarebbe stata imposta, non una  riduzione  di
spesa per ragioni  di  coordinamento  finanziario,  ma  «una  vera  e
propria sottrazione di risorse  alle  Regioni  mediante  un  transito
finanziario all'inverso a favore  dello  Stato»,  in  violazione  del
terzo comma (non essendo tali versamenti collegati all'istituzione di
un apposito fondo  perequativo)  e  del  quinto  comma  (non  essendo
prevista la destinazione di somme aggiuntive) dell'art. 119 Cost.  ed
in contrasto con la stessa giurisprudenza della Corte  costituzionale
(viene citata la sentenza n. 79 del 2014). 
    6.1.2.- Quanto, in particolare, all'estensione  di  un  anno  del
contributo alla finanza pubblica previsto dal comma 680  dell'art.  1
della legge n. 208 del 2015, la ricorrente ha  osservato  che  se  e'
vero che il legislatore statale puo' imporre limiti  alla  spesa  per
finalita' di coordinamento della finanza pubblica e  per  raggiungere
obiettivi di riequilibrio, incidendo anche sulla spesa corrente, cio'
sarebbe tuttavia possibile - secondo la giurisprudenza costituzionale
- solo nel rispetto del  carattere  della  necessaria  transitorieta'
della misura (sono richiamate le sentenze n. 23 e n. 22 del 2014 e n.
287 del 2013). 
    La  disposizione  impugnata,  «lungi  dall'essere   transitoria»,
assumerebbe «sempre piu' il carattere della stabilita'», e, in quanto
tale, sarebbe contraria ai principi sanciti  sul  punto  dalla  Corte
costituzionale. 
    Inoltre consentirebbe allo Stato di imporre una distribuzione del
sacrificio disomogenea, tenendo "anche" conto  del  prodotto  interno
lordo (PIL) e  della  popolazione  residente,  senza  contemplare  il
passaggio per un fondo perequativo ex art. 119, terzo comma, Cost.  e
«senza fare i conti con le premesse  e  gli  obiettivi  indicati  nel
comma 5 dell'art. 119», oltre che omettendo di «enunciare un  vincolo
a carico dello Stato alla futura erogazione». 
    Sempre  nella  sentenza  n.  79  del  2014,  invece,   la   Corte
costituzionale avrebbe distinto tra l'obbligo di tutti gli  enti  del
settore  pubblico  allargato,  incluse  le  Regioni,  di  fornire  un
contributo alla finanza pubblica - secondo criteri omogenei -  e  gli
interventi di perequazione degli squilibri economici,  chiarendo  che
questa seconda strada e' quella che viene percorsa quando si chiedono
sacrifici differenziati e che essa deve necessariamente  passare  per
le forme dell'art. 119, terzo e quinto comma, Cost. 
    La norma impugnata,  in  definitiva,  non  mirerebbe  affatto  ad
attuare «un obbligo indefettibile  di  tutti  gli  enti  del  settore
pubblico allargato» di proporzionalmente contribuire agli oneri delle
manovre di finanza pubblica, ma vorrebbe,  invece,  «consentire  allo
Stato   dei   prelievi   dai   contorni   oltretutto   indefiniti   e
differenziati»,  al  di  fuori  delle  forme  imposte  dai  parametri
costituzionali evocati. 
    6.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    Secondo la difesa statale, in particolare, la sentenza n. 79  del
2014 della Corte costituzionale, citata dalla ricorrente, non avrebbe
dichiarato «illegittimo in se'» il recupero al  bilancio  statale  di
risorse proprie regionali, ma soltanto sancito  l'incostituzionalita'
di meccanismi che commisurano le  riduzioni  di  spesa  all'ammontare
delle spese sostenute dalle  Regioni  per  i  consumi  intermedi,  in
quanto i medesimi determinerebbero un effetto  perequativo  implicito
che non soddisfa i  requisiti  di  cui  all'art.  119  Cost.  Effetto
perequativo implicito che sarebbe stato escluso, in relazione proprio
alle disposizioni  "prorogate"  di  cui  si  discute,  impositive  di
contributi alla finanza pubblica, dalle successive sentenze n.  65  e
n. 141 del 2016, le quali  avrebbero  chiarito  che  le  disposizioni
censurate non  comportano,  neppure  indirettamente,  «una  riduzione
degli squilibri tra le Regioni, mirando piuttosto a coinvolgere tutti
gli enti nell'opera di risanamento, secondo criteri di progressivita'
dello  sforzo,  proporzionati  alla  dimensione  del  PIL   e   della
popolazione, senza alcun effetto di livellamento». 
    In ogni caso,  osserva  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  le
doglianze  regionali  dovrebbero  considerarsi  «superate  alla  luce
dell'Intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni nella  seduta
del 23 febbraio 2017», in cui si  sarebbe  previsto  un  accordo  tra
Governo e Regioni in merito alle proposte normative da  approvare  in
apposito provvedimento, tra cui un  emendamento  volto  ad  eliminare
l'espressa previsione della possibilita'  di  versamenti  diretti  al
bilancio statale, con conseguente sopravvenuta carenza  di  interesse
della Regione ricorrente a coltivare l'impugnazione. 
    6.3.- Con atto depositato il 30 agosto 2017, in forza di delibera
di Giunta regionale del 12  luglio  2017,  la  Regione  Lombardia  ha
parzialmente rinunciato al ricorso, in considerazione del  fatto  che
l'art. 28 del decreto-legge  24  aprile  2017,  n.  50  (Disposizioni
urgenti in  materia  finanziaria,  iniziative  a  favore  degli  enti
territoriali, ulteriori interventi per  le  zone  colpite  da  eventi
sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  in
legge 21 giugno 2017, n. 96, ha soppresso,  all'art.  1,  comma  680,
secondo periodo, della legge n. 208 del 2015, le parole: «inclusa  la
possibilita'  di  prevedere  versamenti  da   parte   delle   regioni
interessate,»,  che  erano  state  aggiunte  proprio  dal  comma  528
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016. 
    La rinuncia, dunque,  opera  solo  per  i  profili  di  doglianza
connessi alla parte  di  disposizione  soppressa,  fatti  «salvi  gli
ulteriori e diversi motivi  di  impugnativa  anche  in  relazione  al
predetto comma 528 dell'art. 1 della  legge  232/2016»,  rispetto  ai
quali  la  Regione  Lombardia  conferma  «il  pieno  interesse   alla
decisione». 
    6.4.- L'Avvocatura generale dello  Stato,  in  data  10  novembre
2017, ha depositato la deliberazione del 19 ottobre 2017 con la quale
il Consiglio dei  ministri  ha  accettato  la  rinuncia  parziale  al
ricorso della Regione Lombardia. 
    7.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 20
febbraio 2017 e depositato il 28 febbraio 2017 (reg. ric. n.  24  del
2017), ha impugnato, tra gli altri, i commi  392,  primo,  secondo  e
terzo periodo, e 394  dell'art.  1  della  legge  n.  232  del  2016,
ritenuti in contrasto, per la parte di ricorso  qui  esaminata,  con:
gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 69, 79, 80, 81, 103, 104 e
107 del d.P.R. n. 670 del  1972,  nonche'  le  correlative  norme  di
attuazione in materia finanziaria (contenute nel d.lgs.  n.  268  del
1992); gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in combinato disposto
con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; il principio di  leale
collaborazione, in relazione all'art. 120 Cost. ed all'accordo del 15
ottobre 2014, recepito con legge n. 190 del  2014;  il  principio  di
ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost.; l'art. 27 della  legge
n. 42 del 2009; l'art. 81 Cost. e l'art. 9 della  legge  n.  243  del
2012. 
    7.1.- La ricorrente,  in  premessa,  chiarisce  di  non  ignorare
l'esistenza della clausola di  salvaguardia  contenuta  nell'art.  1,
comma 638, della legge n. 232 del  2016,  ma  esclude  che  essa  sia
idonea «a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle
autonomie speciali, e in particolar modo alla Provincia  autonoma  di
Trento (nonche' aventi contenuto lesivo dell'autonomia  stessa,  come
le norme impugnate), possano trovare comunque applicazione». 
    7.1.1.- La Provincia autonoma di Trento passa, poi, ad illustrare
il contenuto normativo delle disposizioni impugnate e,  soffermandosi
sul quarto periodo del comma 392, ritiene  che  «la  posizione  della
ricorrente Provincia dovrebbe essere perfettamente salvaguardata, dal
momento che essa corrisponderebbe pienamente a quella concordata  con
lo Stato». Tuttavia, aggiunge che «non e'  chiaro  se  sia  realmente
cosi»,  dal  momento  che  il  periodo   precedente   a   sua   volta
espressamente prevede che anche «le province autonome di Trento e  di
Bolzano» siano tenute a concludere accordi diretti ad assicurare «gli
effetti finanziari previsti dal presente comma», con riferimento alla
disposizione che pone a carico delle Regioni ad autonomia speciale un
contributo da determinarsi mediante accordo con lo Stato,  «correlato
alla riduzione del Fondo sanitario nazionale». 
    Inoltre, anche la norma contenuta nel comma 394 dell'art. 1 della
legge n. 232 del 2016 - che disciplina l'intervento statale  in  caso
di mancata stipula degli accordi entro il 31 gennaio 2017 - «potrebbe
essere ritenuta  applicabile  alla  Provincia  autonoma  di  Trento»,
stante la menzione delle «regioni a statuto  speciale»  unitariamente
considerate. 
    Di qui, l'impugnativa proposta in via cautelativa. 
    7.1.2.-  Secondo  la  ricorrente,   le   disposizioni   censurate
costituiscono  attuazione  illegittima  di   quanto   gia'   previsto
dall'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, il quale, a  sua
volta, imponeva alle autonome speciali  un  ulteriore  contributo  al
risanamento della finanza pubblica,  avendo  cura  di  precisare  (al
terzo periodo), la  necessita'  di  stipulare  appositi  accordi  con
ciascuna di esse e salvaguardando (al quinto  periodo)  la  posizione
della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle  Province
autonome di Trento e di Bolzano, prevedendo che, per  queste  ultime,
l'applicazione delle disposizioni avvenisse nel rispetto dell'accordo
sottoscritto con il Governo in data 15 ottobre 2014  e  recepito  con
legge n. 190 del 2014. 
    Anche in  quel  caso,  tuttavia,  ricorda  inoltre  la  Provincia
autonoma di Trento, non era chiaro come la  disposizione  del  quarto
periodo (impositivo dell'obbligo di assicurare il  finanziamento  dei
LEA, come rideterminato appunto ai  sensi  dell'art.  1,  comma  680,
della legge n. 232 del 2016), che ancora espressamente menzionava  le
Province autonome, si coordinasse con il quinto periodo, sicche'  era
stato  necessario,   ancora   una   volta,   ricorrere   alla   Corte
costituzionale. 
    7.1.3.- La  ricorrente  espone  che,  in  attuazione  dell'appena
menzionato comma 680, lo Stato e le Regioni hanno concluso  un'intesa
in data 11 febbraio 2016, nella quale  hanno  individuato  nel  fondo
sanitario nazionale - di cui e' stata conseguentemente concordata  la
riduzione di 3.500 milioni di euro per il 2017 e di 5.000 milioni  di
euro a decorrere dal 2018 - «la principale posta su  cui  concentrare
la riduzione di spesa relativa  al  contributo»  (quantificato  dalla
medesima disposizione di legge in 3.980 milioni di euro per il 2017 e
in 5.480 milioni di euro per il 2018 e il 2019) e hanno  rinviato  «a
successive intese le determinazioni inerenti i restanti  480  milioni
di euro», contemplando, in mancanza,  una  clausola  di  salvaguardia
secondo cui il fondo sanitario nazionale viene in ogni  caso  ridotto
degli importi oggetto dell'intesa. 
    Sottolinea, ancora, la ricorrente che le Regioni  speciali  e  le
Province autonome che  non  avevano  partecipato  all'intesa  dell'11
febbraio 2016 avevano rifiutato «di  aderire  ad  alcun  riparto  che
prevedesse un onere a proprio carico», nelle  more  dell'impugnazione
proposta, innanzi alla Corte costituzionale, contro il comma 680 piu'
volte citato, anche perche', ad eccezione  della  Regione  Siciliana,
nessuna delle altre autonomie speciali  partecipa  alla  ripartizione
del fondo sanitario nazionale,  che  era  stato  invece  individuato,
nell'intesa  raggiunta  l'11  febbraio  2016,   come   «oggetto   del
"taglio"». 
    Del resto, rammenta infine  la  ricorrente,  la  suddetta  intesa
dell'11 febbraio  2016  prevedeva  espressamente  che  la  parte  del
contributo al risanamento dei conti pubblici a carico delle Regioni a
statuto speciale venisse «demandata a singoli accordi bilaterali  tra
il Governo e le singole  Regioni  a  statuto  speciale»,  e  che,  in
mancanza  del  raggiungimento  di  un  accordo  «entro   un   termine
ragionevole», la copertura integrale  del  contributo  sarebbe  stata
conseguita con una maggiorazione della quota gravante sulle Regioni a
statuto  ordinario,  non  potendo  la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano disporre della posizione delle autonomie speciali senza il
loro assenso. 
    7.1.4.-  In  questo  quadro  si   inseriscono   le   disposizioni
impugnate, le quali, a parere della  ricorrente:  riducono  il  fondo
sanitario nazionale in misura ulteriore rispetto a quella fissata con
l'intesa dell'11 febbraio 2016 (comma 392, primo e secondo  periodo);
impongono  alle  Regioni  speciali  ed  alle  Province  autonome   di
concorrere a  tali  misure,  sostenendo  parte  di  tale  contributo,
determinato mediante intese bilaterali (comma  392,  terzo  periodo);
impongono alle Regioni speciali, con i medesimi  accordi  di  cui  al
comma 392,  di  assicurare  il  contributo  a  loro  carico  previsto
dall'intesa  dell'11  febbraio  2016  (comma  394);   consentono   al
Ministero dell'economia e  delle  finanze  di  attuare,  con  proprio
decreto, l'intesa dell'11 febbraio 2016,  al  fine  di  garantire  il
conseguimento dell'obiettivo programmatico di finanza pubblica per il
settore sanitario (comma 394). 
    Tali previsioni sarebbero costituzionalmente illegittime, ove  si
dovessero interpretare nel  senso  di  imporre  anche  alle  Province
autonome di sostenere il contributo di cui al primo periodo del comma
392, nonostante la precisa clausola di salvaguardia di cui al  quarto
periodo del medesimo comma 392, o nel senso  di  imporre  anche  alle
Province autonome di assicurare il contributo a loro carico  previsto
dall'intesa conclusa in data 11 febbraio 2016. 
    Secondo la ricorrente,  peraltro,  proprio  tale  interpretazione
sembrerebbe essere alla base della nota del 31 gennaio 2017,  con  la
quale il Ministro degli affari regionali ha sottoposto alla Provincia
autonoma di Trento, per  la  sottoscrizione,  una  bozza  di  accordo
relativo ai contributi di cui all'art. 1,  commi  392  e  394,  della
legge n. 232 del 2016,  richiedendo  il  versamento  all'entrata  del
bilancio dello Stato di tali contributi entro il 30 aprile di ciascun
anno (2017, 2018, e  2019)  e  avvisando  che,  in  assenza  di  tale
versamento  nel  suddetto  termine,  i  contributi  sarebbero   stati
trattenuti a valere sulle quote di tributi  erariali  spettanti  alle
Province autonome. 
    7.1.5.- L'imposizione di un ulteriore contributo unilaterale alla
manovra  di  finanza  pubblica,  correlato   al   finanziamento   del
fabbisogno sanitario, violerebbe l'autonomia  finanziaria  dell'ente,
nei termini in cui  essa  e'  garantita  dallo  statuto  speciale,  e
lederebbe, altresi', l'accordo concluso  con  lo  Stato  in  data  15
ottobre 2014 e recepito dall'art. 1, commi da 406 a 413, della  legge
n. 190 del 2014, violando il principio di  leale  collaborazione  (di
cui all'art. 120, secondo  comma,  Cost.)  e  il  principio  pattizio
(desumibile sia dagli artt. 103 e 104  dello  statuto  speciale,  sia
dall'art. 27 della legge n.  42  del  2009)  che  regola  i  rapporti
finanziari tra lo Stato e la Provincia autonoma. 
    In particolare, sarebbe «chiaramente violato» l'art. 79, comma 4,
dello  statuto  di  autonomia,  che   porrebbe   «una   clausola   di
esaustivita' in relazione al concorso della Provincia  autonoma  agli
obblighi di finanza pubblica», nonche' le ulteriori disposizioni  del
medesimo art. 79, come introdotte dalla legge n.  190  del  2014,  in
esecuzione dell'accordo concluso con lo  Stato  in  data  15  ottobre
2014, che gia' avrebbero «precisamente ed esaustivamente quantificato
l'impegno finanziario della Provincia autonoma a titolo  di  concorso
agli obblighi di finanza pubblica  anche  per  gli  anni  considerati
dalla misura qui  impugnata»,  e  che  potrebbero  essere  modificate
esclusivamente con la  procedura  prevista  dall'articolo  104  dello
statuto di autonomia. 
    7.1.6.-  Secondo  la  ricorrente,  la  violazione  degli  evocati
parametri  costituzionali  e  statutari  non  sarebbe  esclusa  dalla
previsione di singoli accordi con lo Stato, da stipulare entro il  31
gennaio 2017. 
    A prescindere dalla gia' operata considerazione, secondo cui  gli
oneri e pesi gravanti sulla finanza provinciale sarebbero gia'  stati
definiti con l'accordo del 2014 e trasfusi nell'art. 79 dello statuto
speciale e nelle altre disposizioni concordate introdotte dalla legge
n. 190 del 2014 (sicche' ogni ulteriore richiesta  sarebbe  «comunque
in violazione delle regole stabilite»), la ricorrente osserva che  la
«misura complessiva» del  nuovo  concorso  delle  autonomie  speciali
sarebbe gia' definita unilateralmente dalla legge statale. 
    Conseguentemente, la conclusione  dei  previsti  accordi  sarebbe
«obbligata e dovuta  entro  un  termine  molto  stretto  (31  gennaio
2017)», a  pena  di  un  intervento  unilaterale  statale  che  attui
comunque,  entro  30  giorni  decorrenti  dal  predetto  termine,  la
riduzione prevista per gli anni 2017 e successivi. 
    Tutto cio', ancora una volta, in violazione dell'accordo concluso
tra la Provincia autonoma di Trento e lo Stato  in  data  15  ottobre
2014, non ricorrendo «le eccezionali esigenze di finanza pubblica che
ne consentirebbero, entro certi limiti, una variazione unilaterale». 
    In violazione degli obblighi assunti con tale accordo,  lo  Stato
avrebbe rideterminato  il  contributo  della  Provincia  autonoma  di
Trento alla finanza pubblica, imponendole «di trasferire  allo  Stato
fondi "equivalenti" alla  riduzione  del  fondo  sanitario  nazionale
concordata  con  le  Regioni  a  statuto  ordinario,  per  una  quota
virtualmente imputata alla Provincia autonoma ricorrente». 
    7.1.7.-  Allo  stesso  modo,  sarebbe  illegittimo,  sempre   per
violazione del principio  di  leale  collaborazione  e  delle  regole
dettate dall'art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  il  comma  394,  se
interpretato nel senso di una attribuzione al Ministro  dell'economia
e finanze, di concerto con  il  Ministro  della  salute,  del  potere
unilaterale di imporre alla Provincia i suddetti contributi,  decorso
il termine del 31 gennaio 2017, anche in assenza di accordo. 
    7.1.8.- Il  nuovo  concorso  provinciale  risulterebbe,  inoltre,
costituzionalmente illegittimo  per  irragionevolezza  e  quindi  per
contrasto con l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  essendo  «fondato  e
parametrato sulla riduzione di un Fondo» al quale  la  Provincia  non
partecipa, dal momento che essa  finanzia  integralmente  il  proprio
sistema sanitario con le compartecipazioni ai  tributi  erariali,  ai
sensi dell'art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994. 
    Sarebbe dunque contrario all'evocato parametro un sistema in  cui
il legislatore statale,  avendo  diminuito  il  fabbisogno  di  spesa
sanitaria nazionale, da un lato  riduce  i  trasferimenti  in  favore
delle Regioni a statuto ordinario, dall'altro «chiede alla  Provincia
autonoma la restituzione di  parte  delle  compartecipazioni  che  la
stessa Provincia introiterebbe  -  secondo  lo  Stato  -  in  eccesso
rispetto al fabbisogno del sistema sanitario regionale», in quanto la
Provincia autonoma di Trento finanzia il sistema sanitario «a proprio
rischio» con le proprie entrate fiscali generali e,  dunque,  non  si
potrebbe computare «una quota ideale di un finanziamento statale  che
non c'e', al solo scopo di poterlo sottrarre alla Provincia». 
    Del resto, ricorda la ricorrente, per le autonomie  speciali  che
finanziano il proprio fabbisogno di spesa  con  risorse  del  proprio
bilancio, la copertura della spesa sanitaria regionale o  provinciale
sarebbe  «meramente   teorica»,   dipendendo   dall'andamento   delle
compartecipazioni ai tributi erariali  (che  potrebbero  crescere  in
misura inferiore all'andamento della spesa sanitaria programmata). 
    Tale  vizio  ridonderebbe  sulle  competenze  che  la   Provincia
autonoma di Trento  esercita  in  materia  di  «organizzazione  degli
uffici e proprio personale», ai sensi degli artt. 8, numero 1), e  16
dello statuto di autonomia, e in materia di «igiene  e  sanita',  ivi
compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera», ai sensi degli  artt.
9, numero 10), e 16 dello statuto di autonomia (oppure, ove  ritenuto
piu'  favorevole,  in  materia  di  tutela  della  salute,  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost, in combinazione con l'art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001). 
    7.1.9.- In via subordinata,  con  riferimento  al  primo  periodo
dell'art. 1, comma 392, della legge n. 232  del  2016,  la  Provincia
autonoma di Trento prospetta la violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e,  ancora,  del  principio  di  ragionevolezza  e  di
eguaglianza. 
    Tale disposizione, infatti, avrebbe ridotto  il  Fondo  sanitario
nazionale «in misura ulteriore  rispetto  a  quanto  determinato  con
l'intesa dell'11 febbraio 2016»,  e,  nonostante  la  ricorrente  non
abbia  sottoscritto  la  predetta  intesa,  essa   avrebbe   comunque
interesse a che lo Stato non aumenti il contributo di parte regionale
rispetto a quanto concordato, visto che una quota di tale  differenza
sarebbe posta a carico della Provincia stessa (ove la  norma  dovesse
essere cosi'  interpretata  e  ritenuta  legittima).  Anzi,  ove  «la
disposizione fosse intesa nel senso  che  l'intera  differenza  ("gli
effetti finanziari previsti dal presente comma") e'  posta  a  carico
delle sole Regioni a statuto  speciale  e  delle  Province  autonome,
palese sarebbe  anche  l'irragionevolezza  e  la  discriminatorieta'»
della norma, in quanto  non  solo  tali  enti  sarebbero  chiamati  a
concorrere secondo quanto sancito dall'intesa dell'11  febbraio  2016
(quando essi non dovrebbero,  non  partecipando  al  fondo  sanitario
nazionale), ma in aggiunta sarebbe loro accollata «l'ulteriore misura
di concorso». 
    7.1.10.- In conclusione, la ricorrente  osserva  che  l'ulteriore
misura di concorso finanziario non potrebbe essere  giustificata  con
la competenza concorrente dello Stato  in  materia  di  coordinamento
della finanza pubblica, giacche' il sistema sanitario provinciale  e'
integralmente finanziato dalla Provincia autonoma di Trento e, quando
lo  Stato  non  concorre  al  finanziamento  della  spesa  sanitaria,
«neppure ha titolo per dettare norme  di  coordinamento  finanziario»
(viene citata la sentenza n. 125 del 2015). 
    Il contributo  non  sarebbe  «costituzionalmente  giustificabile»
nemmeno come forma di concorso al miglioramento dei saldi di  finanza
pubblica del conto consolidato della  pubblica  amministrazione,  nel
quadro degli obblighi che derivano dalla  partecipazione  dell'Italia
all'Unione europea, in quanto a tali obblighi la  Provincia  autonoma
ricorrente fa «ordinariamente fronte» attraverso  l'osservanza  delle
regole sul pareggio di bilancio stabilite dall'art. 9 della legge  n.
243 del 2012. A tal proposito, la ricorrente riconosce che il comma 5
dell'art. 9 citato consente la previsione  di  ulteriori  obblighi  a
carico degli enti territoriali, ma, osserva, il  successivo  comma  6
precisa che le disposizioni del comma 5 «si applicano alle regioni  a
statuto speciale e alle province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative
norme di attuazione». Tale compatibilita', a parere della ricorrente,
difetterebbe, sia sotto il profilo del metodo, sia con riferimento al
contenuto. 
    7.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o, comunque, non  fondato,  riproponendo  le
difese articolate nell'atto di costituzione nel  giudizio  instaurato
su ricorso della Provincia  autonoma  di  Bolzano  ed  illustrate  al
precedente punto 3.3. 
    8.- La Regione Siciliana, con ricorso notificato il  20  febbraio
2017 e depositato il 28 febbraio 2017 (reg. ric. n. 25 del 2017),  ha
impugnato l'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016. 
    8.1.-   La   ricorrente   ritiene   che   la   norma   censurata,
nell'estendere al 2020  il  contributo  alla  finanza  pubblica  gia'
previsto dall'art. 1,  comma  680,  della  legge  n.  208  del  2015,
comporterebbe «ulteriori effetti negativi  sul  bilancio  regionale»,
aggravati dalla contemporanea  introduzione  della  «possibilita'  di
prevedere versamenti da parte delle regioni interessate». 
    8.2.- Le indicate disposizioni  sarebbero  contrastanti  con  gli
artt. 81, ultimo comma, e 97,  primo  comma,  Cost.  «(per  l'aspetto
della  garanzia  degli  equilibri   di   bilancio   delle   pubbliche
amministrazioni)», la  cui  lesione  ridonderebbe,  limitandole,  sia
sulla «potesta' amministrativa regionale sancita dall'art.  20  dello
Statuto, segnatamente negli ambiti attribuiti nelle  materie  di  cui
agli artt. 14, 15, 17», sia sull'autonomia  di  spesa  «come  sancita
dall'art. 36 dello Statuto e 2, comma 1, delle  norme  di  attuazione
dello statuto in materia finanziaria»  (d.P.R.  26  luglio  1965,  n.
1074, recante  «Norme  di  attuazione  dello  Statuto  della  Regione
siciliana in materia finanziaria»). 
    Gli indicati  parametri  statutari  e  di  attuazione  statutaria
sarebbero,  poi,  anche   autonomamente   lesi   dalla   disposizione
censurata, unitamente all'art. 43 del regio  decreto  legislativo  15
maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.
2. 
    Il comma 528 dell'art. 1 della legge n. 232  del  2016,  inoltre,
sarebbe direttamente lesivo dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.  «sul
coordinamento della finanza pubblica», nonche' dell'art. 119,  primo,
secondo, terzo, quarto e ultimo comma, Cost., «anche  in  riferimento
all'art. 10 della legge costituzionale 3 del 2001». 
    Sarebbe, infine, violato il principio di leale collaborazione  di
cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    8.3.- La Regione Siciliana muove  dalla  considerazione  generale
che il contributo da versare in forza del citato art. 1,  comma  680,
della legge n. 208 del 2015, anche in seguito alla modifica  ad  esso
apportata dalla disposizione impugnata,  «va  a  sommarsi  alle  gia'
insostenibili riduzioni di risorse subite dalla stessa Regione  negli
ultimi anni», sicche' sarebbe stato reso impossibile  lo  svolgimento
delle funzioni regionali, in  quanto  la  finanza  regionale  sarebbe
«gia'  gravemente  compromessa  dalla  circostanza  che  al  bilancio
regionale affluisce solo una ridotta  parte  del  gettito  tributario
riscosso o meglio maturato [...] in Sicilia». 
    La riprova sarebbe costituita dal susseguirsi  «delle  precedenti
leggi di bilancio»,  tutte  impositive  di  contributi  alla  finanza
pubblica anche a carico della Regione Siciliana. 
    8.3.1.- Cio' posto, sarebbero, in primo luogo, violati gli  artt.
81, ultimo comma,  e  97,  primo  comma,  Cost.  (in  relazione  alla
garanzia   degli    equilibri    di    bilancio    delle    pubbliche
amministrazioni),  in  quanto  non  sarebbe  stata  prevista  «alcuna
specifica destinazione in ordine al  contributo  che  la  Regione  e'
tenuta a versare anche per l'anno 2020». 
    In particolare, la  previsione  di  un  ulteriore  contributo  in
favore dello Stato «mediante  generico  riferimento  ai  risparmi  di
spesa», da concordarsi annualmente entro il 31 gennaio,  non  sarebbe
idonea  ad  assicurare  la  copertura  finanziaria  richiesta   dalla
disposizione dell'art. 81, ultimo comma,  Cost.,  non  essendo  stati
individuati «specificatamente i capitoli di spesa della  Regione  sui
quali effettuare i risparmi ne' quelli di entrata del bilancio  dello
Stato sui quali i  detti  risparmi  di  spesa  della  Regione  devono
confluire». 
    Quanto alla lesione dell'art. 97,  primo  comma,  Cost.,  sarebbe
compromessa la possibilita' di erogare servizi «anche in  settori  di
primaria importanza», per i  quali  la  Regione  Siciliana  «esercita
competenza legislativa sia esclusiva che concorrente con le  connesse
funzioni amministrative». 
    Verrebbero in rilievo, nello specifico, ambiti relativi a diritti
fondamentali dei cittadini «la cui affermazione e tutela e' garantita
dalle disponibilita' economiche della Regione [...] quali istruzione,
assistenza sociale ecc.». 
    Nella  ricostruzione  regionale,   la   disposizione   censurata,
sottraendo  «ulteriormente  e  genericamente»   somme   al   bilancio
regionale «da riversare allo  Stato  senza  specifica  destinazione»,
inciderebbe  «pesantemente»  sull'espletamento  delle   funzioni   di
competenza regionale. 
    La lesione  delle  citate  disposizioni  costituzionali,  quindi,
ridonderebbe,   incidendole   «pesantemente»,    sulle    prerogative
legislative di cui agli artt. 14, 15 e 17 dello statuto di  autonomia
e  su  quelle  amministrative  di  cui   al   successivo   art.   20,
compromettendo  anche  l'autonomia  finanziaria  regionale  «con   la
sottrazione di somme che,  malgrado  risparmiate  dalla  Regione  per
essere destinate all'esercizio  di  proprie  funzioni  istituzionali,
vanno ad impinguare le casse dello Stato». 
    In  definitiva,  pur  riconoscendo  il  dovere  delle   pubbliche
amministrazioni di concorrere all'equilibrio finanziario del bilancio
dello Stato ed alla sostenibilita' del debito pubblico, la ricorrente
evidenzia che «tale obiettivo, perseguito con la tecnica  annualmente
adottata dal legislatore statale, mette in  crisi  il  raggiungimento
dell'equilibrio  finanziario  del   bilancio   regionale»,   violando
pertanto,  «prevedendosene  l'applicabilita'  a   prescindere   dalle
necessarie norme di attuazione, anche l'art. 43 dello Statuto». 
    8.3.2.-  La  «genericita'  della  destinazione  del  contributo»,
inoltre,  sarebbe  lesiva  dell'art.  2,  comma  1,  delle  norme  di
attuazione dello statuto in materia finanziaria - come sostituite dal
decreto legislativo 11 dicembre 2016, n.  251  (Norme  di  attuazione
dello Statuto della Regione Siciliana recante  modifiche  al  decreto
del Presidente della Repubblica 26 luglio  1965,  n.  1074,  recante:
«Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia
finanziaria») - laddove  ribadisce  che  la  riserva  allo  Stato  di
entrate tributarie presuppone che il loro gettito sia  destinato  con
apposite  leggi  alla  copertura  di  oneri  diretti   a   soddisfare
particolari  finalita'  contingenti  o   continuative   dello   Stato
specificate dalle leggi medesime. 
    8.3.3.- La Regione Siciliana lamenta la violazione dell'art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata  disporrebbe,
con una tecnica legislativa asseritamente elusiva  del  principio  di
transitorieta', l'«estensione del termine  triennale  di  durata  del
concorso da parte del legislatore». 
    La  ricorrente  si  dimostra  consapevole  della   giurisprudenza
costituzionale che ha ritenuto legittime norme  statali  che  fissano
limiti alla spesa delle Regioni, in quanto espressione della funzione
di coordinamento della finanza  pubblica  spettante  allo  Stato,  ma
ricorda che esse devono limitarsi a porre obiettivi  di  riequilibrio
della  spesa,  intesi  nel  senso  di  un  transitorio   contenimento
complessivo, anche  se  non  generale,  della  spesa  corrente  (sono
richiamate, tra le piu' recenti, le sentenze n. 65 del 2016, n. 218 e
n. 189 del 2015). 
    Evidenzia, pero', che  la  stessa  Corte  costituzionale  avrebbe
chiarito  che   «il   costante   ricorso   alla   tecnica   normativa
dell'estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre, mediante
aggiunta  di  un'ulteriore  annualita'   a   quelle   originariamente
previste», finirebbe «per porsi in  contrasto  con  il  canone  della
transitorieta', se indefinitamente ripetuto». 
    E sarebbe appunto questo il caso, dal momento che la disposizione
censurata modificherebbe, vanificandola, la  previsione  di  concorso
triennale sancita dall'art. 1, comma 680,  della  legge  n.  208  del
2015, sovrapponendosi, peraltro, alle precedenti manovre  di  finanza
pubblica, «in assenza  di  plausibili  e  riconoscibili  ragioni  che
impediscano in concreto al  legislatore  di  ridefinire  e  rinnovare
complessivamente, secondo le ordinarie scansioni temporali dei  cicli
di bilancio, il quadro delle relazioni finanziarie tra lo  Stato,  le
Regioni e gli enti locali, alla luce di mutamenti sopravvenuti  nella
situazione economica del Paese». 
    Sarebbe dunque «evidente»  la  violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. «considerato che, in ordine alle manovre di contenimento
della spesa pubblica a carico delle Regioni,  delle  Province  e  dei
Comuni»,  sarebbe  stata  «sancita   l'obbligatorieta'   del   limite
temporale massimo di durata in un triennio». 
    8.3.4.- Per gli stessi motivi, sarebbe violato anche  l'art.  119
Cost., che tutela l'autonomia di spesa della  Regione,  i  cui  commi
primo, secondo, terzo, quarto e sesto, anche in riferimento  all'art.
10 della legge cost. n.  3  del  2001  (invocabile  in  virtu'  della
clausola di maggior favore recata dall'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001) sarebbero altresi' lesi in quanto la disposizione impugnata
pregiudicherebbe   «la   capacita'   della   Regione    di    gestire
responsabilmente le risorse economiche di cui dispone», incrinando il
principio di responsabilita' finanziaria ed impedendo alla stessa  di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuitele. 
    Sotto altro profilo, sarebbe in contrasto con l'evocato parametro
la previsione del passaggio  di  risorse  dal  bilancio  regionale  a
quello statale (senza alcuna prescrizione sulla destinazione  che  lo
Stato  dovrebbe  imprimere  ad   esse),   con   conseguente   lesione
dell'autonomia  finanziaria   di   spesa   e   «capovolgimento»   dei
«meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di risorse  dallo
Stato alla periferia» (viene citata la sentenza n. 205 del 2016). 
    8.3.5.- Ulteriore doglianza e' incentrata  sulla  violazione  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5  e  120  Cost.,
per il fatto che la previsione del passaggio di risorse dal  bilancio
regionale a quello statale «mediante generico riferimento ai risparmi
di spesa da concordarsi annualmente entro il 31 gennaio» non  sarebbe
sufficiente  a  garantire  il  rispetto  del   principio   di   leale
collaborazione.  Difetterebbe,  infatti,   «il   necessario   accordo
riguardo alla destinazione ai capitoli del bilancio dello  Stato  sui
quali i risparmi di spesa della Regione devono confluire». 
    8.3.6.-  Sarebbero,  infine,  direttamente  violati  i  parametri
statutari di  cui  agli  artt.  14,  15,  17,  20,  36  (quest'ultimo
unitamente all'art. 2, comma  1,  delle  norme  di  attuazione  dello
statuto in materia finanziaria) e 43, sui quali ridonderebbe la  gia'
illustrata lesione degli artt. 81, ultimo comma e  97,  primo  comma,
Cost., per le «refluenze negative sul  bilancio  della  Regione»  che
impedirebbero di  far  «fronte  alle  funzioni  amministrative  nelle
materie in cui ha competenza legislativa esclusiva e concorrente». 
    8.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato. 
    La difesa statale sottolinea, preliminarmente, che la gran  parte
delle censure avanzate dalla ricorrente sono  volte  ad  evidenziare,
genericamente  (e,  dunque,  inammissibilmente),   «i   comprensibili
problemi scaturenti a carico della  Regione  per  la  limitazione  di
quanto reso disponibile in bilancio, e la conseguente  difficolta'  a
far fronte, a propria volta, all'esigenza di pareggio di bilancio». 
    Ricorda, tuttavia,  che  la  Corte  costituzionale,  in  numerose
pronunce,   avrebbe    considerato    costituzionalmente    legittima
l'imposizione unilaterale, anche alle Regioni ad autonomia  speciale,
di un contributo al risanamento della finanza pubblica, nel  rispetto
del canone della transitorieta' e del principio consensualistico. 
    L'Avvocatura generale dello Stato poi, sottolinea  che,  in  base
alla disposizione  censurata,  alla  specifica  individuazione  delle
somme «che saranno destinate al contributo regionale a  favore  dello
Stato si procedera' con Accordi annuali tra Stato e Regione», proprio
nell'ottica della leale collaborazione, in vista  dell'individuazione
del sacrificio «per quanto possibile  meno  gravoso  per  la  finanza
regionale». 
    La difesa statale ricorda che la sentenza n. 141 del  2016  della
Corte costituzionale avrebbe «sancito la validita'»  di  disposizioni
legislative che  si  limitano,  proprio  come  quella  impugnata,  ad
estendere di una annualita'  il  confine  temporale  di  operativita'
delle misure di contenimento della spesa. 
    In ogni caso, osserva infine l'Avvocatura generale  dello  Stato,
le doglianze regionali dovrebbero considerarsi  «superate  alla  luce
dell'Intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni nella  seduta
del 23 febbraio 2017», in cui si  sarebbe  previsto  un  accordo  tra
Governo e Regioni in merito alle proposte normative da  approvare  in
apposito provvedimento, tra cui un  emendamento  volto  ad  eliminare
l'espressa previsione della possibilita'  di  versamenti  diretti  al
bilancio statale, con conseguente sopravvenuta carenza  di  interesse
della Regione ricorrente a coltivare l'impugnazione. 
    9.- In vista dell'udienza pubblica sono state depositate memorie. 
    9.1.- La Regione  Veneto,  con  riferimento  all'impugnativa  del
comma 392 dell'art. 1 della  legge  n.  232  del  2016,  richiama  le
sentenze della Corte costituzionale n. 192 e n. 169 del  2017,  dalle
quali si trarrebbero argomenti a sostegno  della  censura  incentrata
sul  carattere  totalmente  unilaterale  e  non  proporzionato  della
determinazione del livello del concorso statale al finanziamento  del
fabbisogno sanitario in relazione al triennio 2017-2019. 
    In particolare, la sentenza n. 169 del 2017, dopo aver  enucleato
la nozione di "spesa costituzionalmente necessaria" in riferimento  a
quella destinata a finanziare il diritto sociale alla salute, avrebbe
posto il principio di leale collaborazione «al centro della  corretta
determinazione delle risorse necessarie a tale fine», allo  scopo  di
garantire  l'effettiva  programmabilita'   e   la   reale   copertura
finanziaria dei servizi. 
    Tale leale collaborazione sarebbe del tutto difettata,  anche  in
considerazione del mancato  rinnovo  del  «tradizionale  Patto  della
Salute». 
    La successiva sentenza n. 192 del 2017 non avrebbe smentito  tale
assunto, avendo ricordato che in  base  all'art.  26,  comma  1,  del
d.lgs. n. 68 del 2011, il fabbisogno sanitario nazionale standard  e'
determinato  tramite  intesa:  «[s]olo  in  relazione   alla   deroga
unilateralmente disposta dalla legge di stabilita' per  il  2016»  la
sentenza avrebbe espresso il principio per  cui  l'accordo  non  puo'
condizionare l'esercizio della funzione legislativa. 
    La  Regione  Veneto  sottolinea,  a  questo  proposito,  che   la
disposizione impugnata non solo ridurrebbe di oltre  un  miliardo  di
euro l'importo che era stato determinato, per  il  2017  e  il  2018,
nell'intesa  dell'11  febbraio  2016,  ma   fisserebbe,   del   tutto
unilateralmente, a 115 miliardi di euro l'importo per il 2019,  senza
che su tale cifra sia mai stata raggiunta  un'intesa  o  avviata  una
qualsiasi procedura concertativa. 
    Evidenzia, poi, che, in conseguenza della mancata  stipula  delle
intese con le autonomie  speciali,  il  Governo  avrebbe  imposto  un
«supplemento  di  manovra  a   carico   delle   regioni   ordinarie»,
rideterminando, con il decreto del Ministero  dell'economia  e  delle
finanze 5 giugno 2017 (Rideterminazione del  livello  del  fabbisogno
sanitario nazionale), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 135  del
13 giugno  2017,  il  livello  del  fabbisogno  sanitario  nazionale,
riducendolo ulteriormente di 423 milioni di euro per  il  2017  e,  a
decorrere dal 2018  (e  dunque  con  carattere  permanente),  di  604
milioni di euro. 
    A sostegno della  censura  relativa  alla  mancanza  di  adeguata
istruttoria  della  riduzione  del  livello  del  finanziamento   del
servizio sanitario nazionale, la Regione Veneto richiama i  risultati
dell'indagine  conoscitiva  della  Commissione  sanita'  del   Senato
pubblicata il 18 gennaio 2018, da cui emergerebbe  che  l'aumento  di
circa un miliardo di euro del finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale per l'anno  2017  non  sarebbe  sufficiente  a  coprire  le
maggiori spese gia' imposte alle Regioni per il rinnovo dei contratti
e delle convenzioni in atto (per un  importo  stimato  di  circa  1,3
miliardi di euro). Richiama altresi' quanto riportato  nell'audizione
della Corte dei conti - innanzi alle Commissioni  congiunte  bilancio
del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati - sulla  nota
di aggiornamento del Documento di economia e  finanza  2017,  da  cui
emergerebbe che la «forte pressione sul contenimento delle risorse si
e'  riflessa  nelle  crescenti  difficolta'  di  alcune  regioni   di
garantire con carattere di  efficienza  e  appropriatezza  i  livelli
essenziali di assistenza». 
    Con  specifico  riguardo  al  servizio  sanitario  della  Regione
Veneto,  la  ricorrente  deduce  la  necessita'  di  ridurre   alcune
prestazioni «in materia di Lea», per effetto  «delle  minori  risorse
disponibili», indicando, a titolo esemplificativo: la  fissazione  di
nuovi  limiti  di  costo  alle  aziende  sanitarie  autorizzate  alla
prescrizione dei nuovi farmaci per l'epatite C, per cui nel corso del
2017 sarebbero  stati  trattati  3.622  pazienti  degli  oltre  5.000
«arruolabili»; l'impossibilita' di trattare con farmaci specifici  il
78 per cento dei pazienti con frattura vertebrale o di  femore  o  in
terapia  con  corticosteroidi;  la  necessita'  di  fronteggiare  una
perdita previsionale complessiva delle aziende sanitarie pari a oltre
161 milioni di euro. 
    Quanto al comma 527 dell'art. 1 della legge n. 232 del  2016,  la
Regione Veneto aggiunge l'auspicio che la  Corte  costituzionale  dia
seguito al secondo "monito" lanciato al legislatore con  la  sentenza
n. 154 del 2017, sottolineando che la disposizione impugnata - questa
volta - e' successiva alla pubblicazione della sentenza  n.  141  del
2016. 
    Illustra, inoltre, offrendo un prospetto in termini  di  cifre  e
differenziali  di  spesa,  la  riduzione  delle  prestazioni  che  il
contributo imposto dalla disposizione  in  esame  ha  determinato  in
ambiti connessi a diritti sociali, quali il fondo  per  le  politiche
sociali e il fondo per  le  autosufficienze,  che  hanno  subito  una
diminuzione degli stanziamenti pari all'80 per cento. 
    Infine, quanto all'art. 1, comma 528,  della  legge  n.  232  del
2016, la Regione Veneto ribadisce  le  argomentazioni  gia'  poste  a
fondamento del ricorso introduttivo. 
    9.2.- La Provincia autonoma di Bolzano illustra  ulteriormente  i
motivi  di   ricorso,   richiamando   giurisprudenza   costituzionale
successiva al deposito dell'atto introduttivo del giudizio. 
    9.3.- La Regione autonoma Sardegna indica le ragioni  per  cui  i
principi espressi nella sentenza n. 154 del 2017, che ha rigettato il
ricorso proposto contro l'art. 1, comma 680, della legge n.  208  del
2015, non sarebbero automaticamente applicabili anche al caso qui  in
esame (a  differenza  di  quanto  ritenuto,  invece,  dall'Avvocatura
generale dello Stato nella memoria  pure  depositata  in  prossimita'
dell'udienza), sottolineando che l'art. 1, comma 394, della legge  n.
232 del 2016 avrebbe ridotto i «margini di negoziabilita'», imponendo
a carico  delle  Regioni  ad  autonomia  differenziata  l'obbligo  di
assicurare «il contributo a loro carico previsto dall'intesa  dell'11
febbraio   2016»,   sicche'   tali   autonomie   speciali    dovranno
«necessariamente "coprire" la somma della quale le Regioni  ordinarie
non si sono fatte carico», in violazione dei parametri costituzionali
e statutari evocati. Tale violazione non  sarebbe  evitabile  neppure
con un'interpretazione adeguatrice, a cio' ostando la littera legis. 
    La ricorrente, infine, sottolinea che non ha mai inteso sottrarsi
al leale confronto  con  il  Governo  e,  per  comprovarlo,  esibisce
documentazione attestante le iniziative  assunte  nei  confronti  del
Presidente del Consiglio dei ministri e dei  Ministri  competenti  al
fine di giungere ad un nuovo accordo che sostituisse quello  concluso
in data 21  luglio  2014,  tutte  rimaste  inascoltate:  da  qui,  in
considerazione del continuo stratificarsi di interventi  normativi  e
dell'inidoneita'  dei  precedenti  accordi  di  finanza  pubblica   a
garantire una  stabilita'  nelle  reciproche  relazioni  finanziarie,
l'«evidente  compromissione»   del   principio   di   veridicita'   e
completezza del bilancio. 
    9.4.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia   argomenta
ulteriormente i motivi di ricorso, alla luce  delle  difese  spiegate
dall'Avvocatura generale dello Stato e  della  sentenza  n.  154  del
2017, che ha deciso il ricorso proposto contro l'art. 1,  comma  680,
della legge n. 208 del 2015. 
    La ricorrente, in  particolare,  conviene  sulle  differenze  che
caratterizzano l'accordo da essa concluso con lo  Stato  in  data  23
ottobre 2014  rispetto  a  quello  stipulato  dalle  autonomie  della
Regione Trentino-Alto  Adige/Südtirol  con  il  Governo  in  data  15
ottobre 2014, ma illustra le ragioni per  cui,  a  suo  giudizio,  al
primo  non  possa  essere  «del  tutto  negata  portata  garantistica
soltanto in ragione della menzione, contenuta all'art.  3,  punto  4,
dell'accordo, della possibilita'  per  lo  Stato  di  modificare  gli
importi concordati», richiamando, in  particolare,  il  principio  di
buona fede che governa i rapporti tra  le  parti  contrattuali.  Tale
principio consentirebbe di imporre nuovi contributi solo in  presenza
di esigenze di finanza pubblica «nuove  e  sopravvenute»  rispetto  a
quelle gia' valutate nell'accordo: queste  sopravvenienze,  a  parere
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, non sussisterebbero. 
    La ricorrente, infine, evidenzia che l'art. 1, comma  394,  della
legge n. 232 del 2016 sembrerebbe suggerire che  dall'intesa  dell'11
febbraio 2016 sia sorto un vincolo giuridico a carico delle Regioni a
statuto speciale, che sembrerebbe addirittura  coercibile  attraverso
un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. 
    La ricorrente, infine, segnala che in data  31  gennaio  2018  ha
concluso un nuovo accordo in materia finanziaria di finanza  pubblica
con il Governo, a dimostrazione  di  non  essersi  mai  sottratta  al
dovere costituzionale di collaborare con lo  Stato  al  coordinamento
della finanza pubblica. 
    9.5.- La Regione Lombardia illustra i motivi di ricorso aventi ad
oggetto disposizioni diverse dall'art. 1, comma 528  della  legge  n.
232 del 2016, limitandosi, quanto a  quest'ultimo,  a  richiamare  il
contenuto della sentenza n. 141 del  2016  ed  il  "monito"  in  essa
contenuta in ordine alla necessita' che  le  misure  di  contenimento
della spesa pubblica rispettino il canone della transitorieta'. 
    9.6.- La Provincia  autonoma  di  Trento  sviluppa  i  motivi  di
ricorso, riportando ampi passi della motivazione  della  sentenza  n.
154 del 2017 che, a suo dire,  confermerebbero  la  fondatezza  delle
doglianze avanzate nell'atto introduttivo. 
    Contesta, poi, la correttezza dell'assunto  posto  a  base  delle
difese dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la riduzione
del  livello  del  finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale
imporrebbe, parallelamente, una corrispondente riduzione del  livello
di  finanziamento  del  Servizio   sanitario   provinciale,   negando
qualsiasi correlazione tra le due grandezze. 
    9.7.- La Regione Siciliana evidenzia che le  modifiche  normative
apportate dal d. l. n. 50 del 2017, come convertito e modificato, non
incidono sul proprio  interesse  a  ricorrere,  in  quanto  le  norme
impugnate continuano  ad  imporre  «un  contributo  insostenibile  in
spregio   al   canone   della   transitorieta'».    Per    dimostrare
l'impossibilita' di svolgere  le  funzioni  istituzionali  «anche  in
ambiti relativi ai diritti fondamentali dei cittadini», la ricorrente
deposita una relazione del ragioniere generale della Regione, da  cui
risulta  che  la  situazione  di  squilibrio  finanziario  «in   atto
esistente per l'intero  triennio  2018-2020»  non  ha  consentito  la
presentazione del bilancio di previsione relativo a tale periodo. 
    Tale squilibrio sarebbe cagionato da «oneri  non  ricompresi  nel
Bilancio di previsione» e dalla riduzione del gettito dell'imposta di
bollo, per un importo complessivo  di  circa  325  milioni  di  euro,
corrispondente al contributo alla finanza  pubblica  per  l'esercizio
2020. Cio' «potrebbe determinare», a  parere  della  ricorrente,  una
riduzione dei livelli di assistenza sanitaria erogati nel  territorio
nell'esercizio  2020  o  «in  alternativa»  un  deficit  del  sistema
sanitario regionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con i  ricorsi  indicati  in  epigrafe,  tutte  le  autonomie
speciali  (ad  eccezione   della   Regione   autonoma   Trentino-Alto
Adige/Südtirol) e le Regioni  Veneto  e  Lombardia  impugnano  alcune
disposizioni della legge  11  dicembre  2016,  n.  232  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2017  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019). 
    In particolare, le Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
impugnano, tra gli altri, l'art. 1, comma 392, della legge n. 232 del
2016, limitatamente ai primi tre periodi, nonche' il successivo comma
394.  La  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste   estende
l'impugnativa agli interi  commi  392  e  394.  Le  Regioni  autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna censurano anche il successivo  comma
528,  il  quale  ultimo  costituisce,  invece,  l'unico  oggetto   di
impugnativa dei ricorsi promossi dalla Regione Siciliana e,  tra  gli
altri, dalla Regione Lombardia. La Regione Veneto,  infine,  impugna,
tra gli altri, l'art. 1, commi 392, 527 e 528, della legge n. 232 del
2016. 
    Tutti  i  ricorsi  ricostruiscono,  in  premessa,  il   contenuto
precettivo  delle  disposizioni  impugnate,  che  conviene,   dunque,
illustrare sinteticamente. 
    L'art. 1, comma 392, della legge n. 232 del 2016, ridetermina  il
livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard
cui concorre  lo  Stato,  per  gli  anni  2017  e  2018,  fissandolo,
rispettivamente, in 113.000 milioni di euro e in 114.000  milioni  di
euro, sulla base dell'intesa sancita in sede di Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano in data 11 febbraio 2016.  Per  l'anno  2019,  la
disposizione  in  esame  stabilisce  che  il  medesimo   livello   di
finanziamento sia pari a 115.000 milioni di euro.  Infine,  prescrive
che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano assicurino gli effetti finanziari cosi' previsti, mediante
la sottoscrizione di singoli accordi con lo Stato, da stipulare entro
il  31  gennaio  2017.  Per   la   Regione   autonoma   Trentino-Alto
Adige/Südtirol e per le Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano,
viene  espressamente  salvaguardato  l'accordo  sottoscritto  tra  il
Governo e i predetti enti in data 15 ottobre 2014. 
    L'art. 1, comma 394, della legge n. 232 del 2016 dispone che, con
i medesimi accordi di cui al  precedente  comma  392,  le  Regioni  a
statuto speciale assicurino il  contributo  a  loro  carico  previsto
dall'intesa dell'11 febbraio 2016, e che, decorso il termine  del  31
gennaio 2017, «all'esito degli  accordi  sottoscritti»,  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, di  concerto  con  il  Ministro  della
salute, entro i successivi trenta giorni, con proprio  decreto  attui
quanto previsto per gli anni 2017 e successivi  dalla  citata  intesa
dell'11  febbraio  2016,  al  fine  di  garantire  il   conseguimento
dell'obiettivo programmatico  di  finanza  pubblica  per  il  settore
sanitario. 
    L'art. 1, comma 527, della legge n. 232 del 2016 estende al  2019
i contributi al contenimento della spesa pubblica gia'  previsti  per
le  Regioni  a  statuto  ordinario  dall'art.  46,   comma   6,   del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89. 
    L'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016 estende al  2020
il contributo alla finanza pubblica gia' previsto dall'art. 1,  comma
680, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2016)», includendo, tra  le  modalita'  dell'intervento
sostitutivo statale, «la  possibilita'  di  prevedere  versamenti  da
parte delle regioni interessate». 
    2.- Cosi' ricostruito il contenuto normativo  delle  disposizioni
impugnate, occorre procedere  alla  sintesi  delle  censure  avanzate
dalle  ricorrenti,  seguendo  l'ordine  di  deposito  dei  rispettivi
ricorsi. 
    2.1.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  sostiene
che l'art. 1, commi 392 e 394, prevederebbe a  suo  carico,  «se  del
caso, anche in maniera unilaterale», un concorso alla  riduzione  del
fabbisogno del Servizio sanitario nazionale, dunque in un ambito  nel
quale la ricorrente provvede autonomamente al relativo finanziamento,
con risorse gravanti esclusivamente sul proprio bilancio, senza oneri
a carico del bilancio statale, sicche' eventuali  economie  di  spesa
potrebbero essere destinate solo ad interventi  relativi  al  settore
sanitario regionale, con conseguente illegittimita' del «loro  storno
a favore del Servizio sanitario nazionale». 
    Sarebbe, per questo, illegittimo un intervento statale  a  titolo
di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  che   si   risolverebbe
nell'imposizione di economie di  spesa  da  destinare  a  favore  del
Servizio sanitario nazionale. 
    Risulterebbero, in tal modo, violati: l'art. 2, comma 1,  lettera
a); l'art. 3, comma 1, lettere f) e l); gli artt. 4 e 12 della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle
d'Aosta), per l'indebita invasione di ambiti di «potesta' legislativa
piena» riconosciuti alla Regione in alcune materie dallo  statuto  di
autonomia. Sarebbero, ancora, lesi gli artt. 117, terzo comma, e  119
della Costituzione, «in combinato disposto» con l'art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte  seconda  della  Costituzione).  Sarebbe,  infine,  violata  la
normativa di attuazione statutaria di  cui  alla  legge  26  novembre
1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento  finanziario  della  regione
Valle d'Aosta), «come integrata» dagli artt. 34 e 36 della  legge  23
dicembre 1994, n. 724  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica). 
    Evidenzia, ancora, la ricorrente che le  disposizioni  impugnate,
dopo aver irragionevolmente fissato un termine troppo  breve  per  il
raggiungimento  di   un'intesa,   pretenderebbero   di   disciplinare
unilateralmente, in mancanza di accordo, aspetti che l'art. 50  dello
statuto speciale riserva ad una legislazione  attuativa  consensuale,
suscettibile di successive modifiche  solo  attraverso  «i  peculiari
moduli concertativi previsti dall'art. 48 bis». 
    Il   particolare   meccanismo,    definito    «suppletivo»,    di
determinazione della  quota  di  concorso  imposta  alla  ricorrente,
sarebbe, dunque, in contrasto con i  parametri  statutari  da  ultimo
evocati,   nonche'   con   i   principi   costituzionali   di   leale
collaborazione   e   ragionevolezza,   essendo    tutto    incentrato
sull'adozione di un decreto ministeriale che, di fatto,  estenderebbe
alla Regione autonoma Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  «un'intesa  che
questa non ha sottoscritto», e  che  non  potrebbe  coinvolgerla,  in
quanto attinente ad un ambito, quello sanitario, per  il  quale  essa
non grava sull'erario. 
    2.2.- La Regione Veneto ritiene che l'art. 1,  comma  392,  della
legge n. 232 del 2016, avrebbe violato gli artt. 117, terzo comma,  e
119 Cost., nonche' il principio di leale collaborazione di  cui  agli
artt. 5 e 120  Cost.,  poiche'  avrebbe  imposto  una  riduzione  del
livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale  standard
cui concorre  lo  Stato,  rispetto  a  quanto  stabilito  nell'intesa
sancita l'11 febbraio 2016 dalla Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, in mancanza di una nuova intesa con le Regioni, a fronte  di
«una prassi» (quella dei cosiddetti Patti per la salute) invalsa  fin
dall'anno 2000. Secondo la ricorrente, in particolare, per ridurre la
spesa «relativa a quella particolarissima materia che  e'  la  tutela
della  salute»,  il  legislatore  statale  sarebbe  tenuto  al  pieno
rispetto del principio di leale collaborazione, con la previsione  di
«adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a  difesa  delle
loro competenze». 
    La  norma  impugnata  difetterebbe,   inoltre,   di   un'adeguata
istruttoria sulla «sostenibilita' del definanziamento» (in violazione
quindi degli artt. 3 e 97 Cost.)  e  sull'adeguatezza  delle  risorse
stanziate in relazione  alla  funzione  regionale  di  garantire  sul
territorio  il  diritto  alla  salute  di  cui  all'art.  32   Cost.,
soprattutto a fronte di un aumento delle prestazioni  da  erogare  in
conseguenza  della  definizione  dei  nuovi  livelli  essenziali   di
assistenza (d'ora in avanti: LEA). 
    Verrebbe  in  rilievo,  peraltro,  una  riduzione  «di  carattere
sostanzialmente permanente», in contrasto con quanto stabilito  dalla
giurisprudenza di questa Corte in ordine al carattere necessariamente
transitorio  che   devono   presentare   norme   che   impongono   il
raggiungimento di obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica. 
    Ancora, il carattere «meramente lineare dei tagli» che verrebbero
imposti alla spesa regionale  interferirebbe  in  ambiti  inerenti  a
fondamentali diritti civili e soprattutto  sociali,  in  mancanza  di
determinazione dei livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS).
Non sarebbero presi in considerazione, infatti, ne' i costi  standard
ne' i livelli di spesa di Regioni virtuose che hanno  gia'  raggiunto
elevati livelli di efficienza nella gestione della sanita' e che  non
potrebbero ulteriormente razionalizzare la  spesa  «senza  mettere  a
repentaglio  la  garanzia  del  diritto  alla  salute»,  non  potendo
«mantenere  l'equilibrio  finanziario  e  nel   contempo   rispettare
l'erogazione dei Lea». 
    Sarebbero lese anche le competenze tutelate dagli artt. 118 e 119
Cost., con particolare riferimento alla programmazione  sanitaria  ed
alla autonomia impositiva. 
    La  disposizione   impugnata,   del   resto,   determinando   uno
«scollamento» tra un livello di finanziamento  del  fondo  sanitario,
che verrebbe «pesantemente ridotto», e la necessita' di  garantire  i
LEA, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 5,  comma  1,  lettera
g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del
principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e con
l'art. 11 della legge 24 dicembre  2012,  n.  243  (Disposizioni  per
l'attuazione  del  principio  del  pareggio  di  bilancio  ai   sensi
dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione), che impongono  il
concorso dello Stato al finanziamento dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni inerenti ai diritti sociali nelle fasi avverse del  ciclo
economico. 
    Infine,  non  vi  sarebbe  stato   alcun   coinvolgimento   della
Conferenza permanente per il coordinamento  della  finanza  pubblica,
che sarebbe imposto, invece, per  la  definizione  delle  manovre  di
finanza pubblica, dall'art. 5, comma 1, della legge 5 maggio 2009, n.
42  (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,   in
attuazione dell'articolo 119 della Costituzione). 
    L'art. 1, comma 527, della legge n. 232 del 2016, dal canto  suo,
sarebbe contrastante con gli artt. 3, 117, secondo e terzo  comma,  e
119 Cost., nonche' con il principio di leale  collaborazione  di  cui
agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Secondo  la  ricorrente,  in  primo  luogo,  la  «terza   proroga
consecutiva della stessa  manovra  in  origine  legata  a  un  ambito
triennale»,  in  mancanza  di  plausibili  e  riconoscibili   ragioni
impeditive di una ridefinizione e rinnovazione complessiva del quadro
delle relazioni finanziarie tra lo Stato e  le  Regioni,  secondo  le
ordinarie scansioni triennali dei cicli di  bilancio,  violerebbe  il
canone della transitorieta' richiesto dalla giurisprudenza di  questa
Corte. 
    Inoltre, la proroga del contributo imposto alle Regioni ordinarie
sarebbe stata disposta «al buio», in assenza  della  definizione  dei
LIVEAS, sicche'  la  manovra  finanziaria  risulterebbe  priva  degli
«indispensabili elementi di razionalita', proporzionalita', efficacia
e sostenibilita'». 
    Per finire, quanto all'art. 1, comma 528, della legge n. 232  del
2016, sarebbe violato  l'art.  119  Cost.,  perche'  la  disposizione
impugnata non si limiterebbe ad una semplice proroga  del  contributo
cui si riferisce, ma, nell'introdurre la  possibilita'  di  prevedere
versamenti al bilancio dello Stato, avrebbe  trasformato  la  Regione
«in una sorta di esattore dello Stato», essendo chiamata a  riversare
a quest'ultimo risorse proprie. 
    2.3.- La Provincia autonoma di Bolzano censura  l'art.  1,  comma
392, della legge n. 232 del 2016, limitatamente ai primi tre periodi,
nonche' l'intero successivo comma 394. 
    Ritiene la ricorrente che tali disposizioni contrastino  con  gli
artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 79, 80, 103,  104  e  107  del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione  del  testo  unico  delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige), nonche' con le norme di  attuazione  statutaria
in  materia  di  «igiene  e  sanita'»,  di   «finanza   regionale   e
provinciale» e di «rapporto tra  atti  legislativi  statali  e  leggi
regionali e provinciali»; con l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; con
il principio di leale collaborazione, in relazione all'art. 120 Cost.
e all'accordo del 15 ottobre 2014, recepito con la legge 23  dicembre
2014 n. 190, recante «Disposizioni per  la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)»; e  con
il principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost. 
    L'impugnativa proposta dalla Provincia  autonoma  di  Bolzano  ha
natura  dichiaratamente  cautelativa,  per  l'ipotesi   in   cui   le
disposizioni censurate venissero interpretate come destinate  a  fare
carico alle Province autonome di ulteriori  contributi  alla  finanza
pubblica   nazionale   (e,   specificamente,   quale   concorso    al
finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale) rispetto  a  quelli
concordati con lo Stato. In tal caso, infatti,  sarebbero  introdotte
forme di concorso al livello di finanziamento del fabbisogno standard
del Servizio sanitario nazionale, come  tali  incompatibili  sia  con
l'autonomia  finanziaria  riconosciuta  alle  Province  autonome  nel
settore sanitario sia con l'accordo sottoscritto in data  15  ottobre
2014. 
    La ricorrente, a tale proposito, ricorda che lo Stato, quando non
concorre al finanziamento  della  spesa  sanitaria,  neppure  avrebbe
titolo per dettare norme di coordinamento finanziario. 
    Infine, violerebbe gli evocati parametri anche l'attribuzione «di
un potere monocratico di decretazione» al  Ministro  dell'economia  e
delle finanze, per  il  caso  di  mancata  intesa  entro  un  termine
predefinito dalla legge. 
    2.4.- La Regione autonoma Sardegna censura l'art. 1,  commi  392,
394 e 528, della legge n. 232  del  2016,  sotto  una  pluralita'  di
profili. 
    In  primo  luogo,  sarebbe  violato   il   principio   di   leale
collaborazione, di cui agli artt.  5  e  117  Cost.,  non  avendo  il
legislatore statale previsto  alcuna  procedura  pattizia  idonea  ad
incidere sul quantum del concorso alla finanza pubblica,  determinato
unilateralmente dallo Stato anche a carico delle  Regioni  a  statuto
speciale, in  tal  modo  equiparate  alle  Regioni  ordinarie,  tutte
coinvolte nell'intesa sul riparto  del  contributo  dell'11  febbraio
2016 e senza che le determinazioni assunte  in  quella  sede  possano
essere ulteriormente «negoziabili». 
    Il principio  di  leale  collaborazione  sarebbe  altresi'  leso,
unitamente all'autonomia economico-finanziaria della Regione tutelata
dagli artt. 117 e  119  Cost.  e  dagli  artt.  7  e  8  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna), ed al principio di eguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,
per effetto della salvaguardia prevista per il solo accordo stipulato
tra Stato, Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol  e  Province
autonome  di  Trento  e  Bolzano,   con   totale   e   ingiustificata
pretermissione dell'analogo accordo  stipulato  tra  lo  Stato  e  la
Regione autonoma Sardegna in data 21 luglio 2014. 
    L'intervento del legislatore statale, in quanto  successivo  alla
stipula degli accordi  di  finanza  pubblica  del  2014,  ne  avrebbe
violato espressamente le  clausole,  senza  prevedere  un  meccanismo
adeguato di recupero, anche ex post,  della  leale  cooperazione  nei
rapporti economico-finanziari. Di qui, la violazione degli  artt.  5,
117 e 119 Cost., che, unitamente agli  artt.  7  e  8  dello  statuto
speciale,  garantiscono   l'autonomia   economico-finanziaria   della
Regione  ricorrente,  imponendo,  nei  relativi  rapporti,  la  leale
cooperazione, nonche' la lesione del principio di  ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost. 
    L'imposizione  di  altri  oneri  sottratti  alla   determinazione
consensuale   delle   parti,   comportando,   ancora,   la    lesione
dell'autonomia   economico-finanziaria   della   Regione    Sardegna,
garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e dagli artt.  117
e 119 Cost., si porrebbe in contrasto anche con l'art. 81 Cost. e con
l'art. 9 della legge «rinforzata» n. 243 del 2012, approvata al  fine
di sottoporre anche la definizione dei criteri  di  «equilibrio»  dei
bilanci  delle  autonomie  speciali  al  principio  consensualistico,
attuato, in materia, dal citato accordo del 21 luglio 2014. 
    Tale accordo, del resto, in quanto recepito dall'art.  42,  commi
da 9 a 12, del  decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure
urgenti per l'apertura dei cantieri,  la  realizzazione  delle  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, in  legge
11 novembre 2014, n. 164,  impedirebbe  al  legislatore  statale,  in
assenza di preventiva intesa con la Regione, di abrogare,  modificare
o comunque derogare le previsioni dei commi sopra menzionati. 
    Cio' sarebbe invece avvenuto con le  disposizioni  impugnate,  da
leggere unitamente all'art. 1, comma 680,  della  legge  n.  208  del
2015. Nonostante il mancato inserimento nello statuto della Regione o
nelle relative  norme  di  attuazione,  infatti,  le  previsioni  del
menzionato accordo di finanza pubblica, come recepite dal legislatore
ordinario,   sarebbero    comunque    espressione    del    principio
consensualistico cui sono soggetti  i  rapporti  economico-finanziari
tra lo Stato e la Regione ricorrente, sancito dagli artt.  54,  comma
5, e 56 dello statuto  speciale,  nonche'  dall'art.  9  della  legge
«rinforzata» n. 243 del 2012, anche in relazione, ancora  una  volta,
agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e agli artt. 117 e 119 Cost.,
che tutelano l'autonomia finanziaria della Regione. 
    La ricorrente  lamenta,  inoltre,  la  violazione  del  giudicato
costituzionale e, dunque, dell'art. 136 Cost., in quanto le  sentenze
con le quali questa Corte ha scrutinato le vertenze  insorte  tra  lo
Stato e la Regione autonoma Sardegna a causa della mancata attuazione
della riforma del regime delle entrate regionali di  cui  all'art.  8
dello statuto speciale, avrebbero «accertato e dichiarato» un vero  e
proprio  obbligo  giuridico  in   capo   allo   Stato   di   definire
consensualmente con la Regione autonoma il regime dei  loro  rapporti
economico-finanziari. 
    Sarebbe altresi' leso il  principio  di  affidamento,  che  trova
riconoscimento di rango costituzionale ai  sensi  dell'art.  3  Cost.
nonche',  per  il  tramite  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.  (e
dell'art. 5 Cost.), degli artt. 6  e  13  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la
legge 4 agosto 1955, n. 848. Sostiene la ricorrente che sarebbe sorto
un  affidamento  in   ordine   alla   «stabilita'   del   quadro   di
regolamentazione dei rapporti economici con  lo  Stato»,  in  seguito
all'accordo concluso in data 21 luglio 2014, la cui violazione  -  in
mancanza di ragioni imperative di interesse generale  -  ridonderebbe
ancora una volta sull'autonomia economico-finanziaria della  Regione,
tutelata dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e dagli artt. 117 e
119 Cost. 
    Anche l'art. 24 Cost.  sarebbe  violato,  in  quanto  la  Regione
autonoma Sardegna, non avendo mai  dubitato  della  validita',  della
stabilita' e della cogenza dell'accordo del 21 luglio  2014,  proprio
in adempimento degli obblighi con esso assunti, avrebbe rinunciato «a
numerose impugnazioni gia'  proposte»,  non  solo  innanzi  a  questa
Corte, con conseguente lesione del diritto di difesa in giudizio. 
    Infine,  il  concorso  alla  finanza  pubblica   previsto   dalle
disposizioni impugnate - che hanno prorogato di un anno  l'originario
contributo imposto dall'art. 1, comma 680, della  legge  n.  208  del
2015 (aumentandone contemporaneamente l'entita')  -  aggiungendosi  a
contributi di finanza pubblica imposti alle Regioni da diversi anni e
in misura sempre crescente, alcuni dei quali senza limiti  di  tempo,
non rispetterebbe il criterio della «transitorieta'» richiesto  dalla
giurisprudenza costituzionale per le misure  restrittive  di  finanza
pubblica, in tal modo ponendosi in contrasto con  l'art.  117,  terzo
comma, Cost., e con gli artt. 7  e  8  dello  statuto,  che  tutelano
l'autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna. 
    2.5.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. 1,
commi 392, 394 e 528 della legge n. 232 del 2016,  prospettandone  il
contrasto con gli artt. 3, 119 e 120 Cost. e con gli  artt.  48,  49,
63, quinto comma, e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.
1 (Statuto speciale della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia);  con  il
protocollo  di  intesa  tra  lo   Stato   e   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia per la revisione del protocollo del 29  ottobre
2010 e per la definizione  dei  rapporti  finanziari  negli  esercizi
2014-2017 del 23 ottobre 2014, richiamato  dall'art.  1,  comma  512,
della legge n. 190 del 2014; con l'art. 27  della  legge  n.  42  del
2009; con i principi pattizio e di leale collaborazione, quest'ultimo
ai sensi dell'art. 120 Cost. 
    In particolare, la ricorrente lamenta il  fatto  che  la  «misura
complessiva»  del  nuovo  concorso  delle   autonomie   speciali   al
risanamento   della   finanza   pubblica   sarebbe   gia'    definita
unilateralmente  dalla  legge  statale,  in  violazione  del   metodo
pattizio.  La  conclusione  dei  previsti  accordi  sarebbe,  dunque,
«obbligata e dovuta entro un termine molto stretto»,  a  pena  di  un
intervento  unilaterale  statale  comunque  attuativo  del  risparmio
previsto per gli anni 2017 e successivi. 
    Tutto cio' si porrebbe in contrasto con l'accordo concluso tra la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e lo Stato in data 23  ottobre
2014, nel quale, al fine di «definire un "quadro  stabile  e  certo"»
dei rapporti  finanziari,  sarebbe  «precisamente  ed  esaustivamente
quantificato il contributo finalizzato alla sostenibilita' del debito
pubblico  fino  all'anno  2017»,  mentre,  per  quanto  riguarda   le
annualita'  successive  al  2017,   sarebbe   sancito   l'impegno   a
rinegoziare nuovi accordi entro il 30 giugno 2017. 
    Il nuovo concorso finanziario  regionale,  inoltre,  risulterebbe
irragionevole, in quanto «fondato e parametrato sulla riduzione di un
Fondo al quale la  Regione  non  partecipa»,  dal  momento  che  essa
finanzia  integralmente  il  proprio   sistema   sanitario   con   le
compartecipazioni ai tributi erariali. Lo Stato, dunque, non potrebbe
chiedere alla Regione Friuli-Venezia Giulia la restituzione di  parte
delle compartecipazioni ai tributi erariali  che  la  stessa  Regione
introiterebbe (presuntivamente) in eccesso rispetto al fabbisogno del
sistema sanitario regionale. 
    Risulterebbe, inoltre, «evidente» la  disparita'  di  trattamento
operata dal quarto periodo del comma 392 dell'art. 1 della  legge  n.
232, nella parte in cui  non  estende  anche  alla  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  la  clausola  di  salvaguardia   dell'accordo
stipulato con il Governo. 
    In via subordinata, con riferimento all'art. 1, comma 392,  della
legge n. 232 del 2016, la ricorrente avrebbe comunque interesse a che
lo Stato non  aumenti  il  contributo  regionale  rispetto  a  quanto
concordato nell'intesa dell'11 febbraio 2016, visto  che  almeno  una
quota di tale  incremento  sarebbe  posta  «a  carico  della  Regione
stessa»,  tenuta,  al  pari  delle  altre  autonomie   speciali,   ad
assicurare  «gli  effetti  finanziari»  previsti  dalla  disposizione
impugnata. 
    Infine, con particolare riferimento all'art. 1, comma 528,  della
legge n. 232 del 2016, la nuova misura di  concorso  finanziario  non
sarebbe «affatto occasionale ed eccezionale», ma «addirittura  estesa
fino  al  2020»,  in   violazione   del   necessario   canone   della
transitorieta'. 
    2.6.- L'impugnazione proposta  dalla  Regione  Lombardia  avverso
l'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016, e' incentrata sulla
prospettata violazione dell'art. 119, terzo e quinto comma, Cost. 
    La Regione Lombardia ha operato una rinuncia parziale ai  profili
di censura collegati alla porzione di disposizione che  stabiliva  la
possibilita'  «di  prevedere  versamenti  da  parte   delle   regioni
interessate», in quanto abrogata dall'art. 28  del  decreto-legge  24
aprile 2017, n. 50  (Disposizioni  urgenti  in  materia  finanziaria,
iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per
le zone  colpite  da  eventi  sismici  e  misure  per  lo  sviluppo),
convertito, con modificazioni, in legge 21 giugno 2017, n. 96. 
    Ne deriva che le censure mosse al citato comma  528  possono  ora
essere sintetizzate nel modo che segue. 
    Tale disposizione, in primo luogo, nell'estendere di un  anno  il
contributo alla finanza pubblica previsto  dall'art.  1,  comma  680,
della legge n. 208 del 2015, imporrebbe un limite alla spesa pubblica
in violazione del canone della necessaria transitorieta'. 
    Sotto altro profilo, consentirebbe  allo  Stato  di  imporre  una
distribuzione del sacrificio disomogenea, tenendo "anche"  conto  del
prodotto interno lordo (PIL) e  della  popolazione  residente,  senza
contemplare il passaggio per un fondo perequativo ai sensi  dell'art.
119, terzo comma, Cost. e «senza fare i conti con le premesse  e  gli
obiettivi indicati nel comma 5 dell'art. 119», oltre che omettendo di
«enunciare un vincolo a carico dello Stato alla futura erogazione». 
    2.7.- La Provincia  autonoma  di  Trento  propone  un'impugnativa
dichiaratamente cautelativa dell'art. 1, commi 392 - limitatamente ai
primi tre periodi - e 394, della legge n. 232 del 2016, per l'ipotesi
in cui le disposizioni censurate  siano  interpretate  nel  senso  di
imporre anche alle Province autonome di sostenere  il  contributo  di
cui al primo periodo del comma 392, nonostante la precisa clausola di
salvaguardia di cui al quarto periodo del medesimo comma 392,  o  nel
senso di imporre  anche  alle  Province  autonome  di  assicurare  il
contributo a loro carico previsto dall'intesa  conclusa  in  data  11
febbraio 2016, oppure, ancora, nel senso di attribuire allo Stato  il
potere unilaterale di imporre alla Provincia i  suddetti  contributi,
decorso il termine del 31 gennaio 2017, anche in assenza di accordo. 
    Tale interpretazione, a parere della  ricorrente,  contrasterebbe
con una serie di disposizioni dello statuto speciale (in  particolare
con gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 69, 79, 80,  81,  103,
104  e  107)  e  delle  correlate  norme  di  attuazione  in  materia
finanziaria (contenute nel decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268,
recante  «Norme  di  attuazione  dello  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e  provinciale»).
Sarebbero, altresi', lesi gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001;  il
principio di leale collaborazione, in relazione all'art.  120  Cost.,
all'accordo del 15 ottobre 2014 ed all'art. 27 della legge n. 42  del
2009; il principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97  Cost.;
l'art. 81 Cost. e l'art. 9 della legge n. 243 del 2012. 
    Secondo la  Provincia  autonoma  di  Trento,  infatti,  l'accordo
concluso con lo Stato in data 15 ottobre 2014 - e recepito  dall'art.
1, commi da 406 a  413,  della  legge  n.  190  del  2014  -  avrebbe
«precisamente ed esaustivamente» quantificato  l'impegno  finanziario
richiesto alla ricorrente a titolo di concorso al  risanamento  della
finanza pubblica per tutti gli anni  presi  in  considerazione  dalle
disposizioni  impugnate.  Tale  accordo  potrebbe  essere  modificato
esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 dello  statuto
di autonomia. 
    La definizione unilaterale della «misura complessiva»  del  nuovo
concorso imposto  alle  autonomie  speciali,  dunque,  violerebbe  il
metodo pattizio, al pari del previsto  intervento  statale  attuativo
del risparmio programmato, in mancanza della conclusione di  apposite
intese, non ricorrendo «le eccezionali esigenze di finanza  pubblica»
che consentirebbero, entro certi limiti, una  variazione  unilaterale
del contenuto dell'accordo concluso con lo Stato. 
    Il  nuovo  concorso  regionale  risulterebbe,   in   ogni   caso,
irragionevole, in quanto parametrato sulla riduzione di  un  fondo  -
quello sanitario - al quale la Provincia non partecipa,  dal  momento
che essa finanzia integralmente il proprio sistema sanitario  con  le
compartecipazioni ai tributi erariali. Secondo la ricorrente, dunque,
lo Stato non potrebbe chiedere alla Provincia autonoma di  Trento  la
restituzione di parte delle compartecipazioni che la stessa Provincia
introiterebbe (presuntivamente) in eccesso rispetto al fabbisogno del
sistema sanitario provinciale. 
    In via subordinata, la ricorrente sottolinea  di  avere  comunque
interesse a che lo Stato non aumenti il contributo regionale rispetto
a quanto concordato, visto che almeno una quota  di  tale  incremento
sarebbe posta «a carico della  Provincia  stessa»,  tenuta,  al  pari
delle  altre  autonomie  speciali,   ad   assicurare   «gli   effetti
finanziari» previsti dalla disposizione impugnata. 
    2.8.- La Regione Siciliana impugna il solo  art.  1,  comma  528,
della legge n. 232 del 2016, articolando  una  serie  di  profili  di
censura. 
    In primo luogo, ritiene lesi gli artt. 81, ultimo  comma,  e  97,
primo comma,  Cost.,  perche'  l'estensione  del  contributo  imposto
dall'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, sommandosi  alle
precedenti manovre finanziarie, graverebbe sul bilancio regionale  in
maniera   tale   da   impedire   lo   svolgimento   delle    funzioni
«indispensabili»  regionali.   Sarebbe   stato,   del   resto,   reso
impossibile   anche   l'adempimento   dell'obbligo    di    garantire
l'equilibrio finanziario del bilancio regionale,  non  essendo  stati
individuati specificatamente i capitoli di spesa  della  Regione  sui
quali effettuare i risparmi ne' quelli di entrata del bilancio  dello
Stato sui quali essi debbano confluire. 
    La disposizione impugnata violerebbe l'art. 43 del regio  decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della
Regione siciliana), convertito in legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 2, essendosi prevista  l'applicabilita'  del  contributo  «a
prescindere dalle necessarie norme di attuazione». 
    Ancora,  la  sottrazione  unilaterale  -  e  in   assenza   delle
condizioni per far  luogo  a  riserva  -  di  gettito  tributario  di
integrale spettanza regionale  contrasterebbe  con  l'art.  36  dello
statuto speciale e con l'art. 2 delle correlate norme  di  attuazione
in  materia  finanziaria,  oltre  che  con  il  principio  di   leale
collaborazione. 
    L'impugnata disposizione, inoltre, sarebbe elusiva del  principio
di transitorieta', e dunque in conflitto con l'art. 117, terzo comma,
Cost. 
    Pure violato risulterebbe  l'art.  119,  primo,  secondo,  terzo,
quarto e ultimo comma, Cost., perche' la disposizione  impugnata,  in
pregiudizio del principio di responsabilita' finanziaria, impedirebbe
alla  Regione  Siciliana  di  finanziare  integralmente  le  funzioni
pubbliche attribuitele. 
    Mancherebbe, poi, in contrapposizione con il principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., la previsione  di  un
«necessario accordo» in ordine  alla  destinazione  ai  capitoli  del
bilancio dello Stato sui quali i  risparmi  di  spesa  della  Regione
dovrebbero confluire. 
    Infine, l'impossibilita' di esercitare le funzioni amministrative
nelle materie di «competenza  legislativa  esclusiva  e  concorrente»
sarebbe  direttamente  lesiva  degli  artt.  14,  15,  17,   20,   36
(quest'ultimo  unitamente  all'art.  2,  comma  1,  delle  norme   di
attuazione dello statuto in materia finanziaria) e 43  dello  statuto
di autonomia. 
    3.- I ricorsi vertono su disposizioni  parzialmente  coincidenti,
sicche' appare opportuna la riunione dei relativi giudizi al fine  di
una decisione congiunta, restando riservata a  separate  pronunce  la
decisione delle questioni relative alle altre disposizioni  impugnate
con i medesimi ricorsi. 
    4.- Vanno prioritariamente decise  alcune  questioni  preliminari
oggetto di eccezione di parte o, comunque, rilevabili di ufficio. 
    4.1.- In primo luogo, le Province autonome di Trento e di Bolzano
e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si  mostrano  consapevoli
della clausola di salvaguardia  contenuta  nell'art.  1,  comma  638,
della legge n. 232 del 2016, secondo  cui  «[l]e  disposizioni  della
presente legge si applicano alle regioni a statuto  speciale  e  alle
province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  compatibilmente  con  i
rispettivi statuti e le  relative  norme  di  attuazione,  anche  con
riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». 
    Ritengono,   tuttavia,   che   i   commi   impugnati   contengano
disposizioni destinate  ad  applicarsi  direttamente  alle  autonomie
speciali,  sicche'  la  portata  garantistica   della   clausola   di
salvaguardia risulterebbe vanificata. 
    Trattasi di una lettura prima facie non implausibile,  visto  che
l'art.  1,  comma  392,  della  legge  n.  232  del   2016   menziona
espressamente le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di
Trento e di Bolzano, mentre il successivo comma 394, pur  riferendosi
alle sole  Regioni  a  statuto  speciale,  rinvia  direttamente  agli
accordi di cui al comma 392, ancora una volta,  dunque,  coinvolgendo
nella previsione normativa, almeno  formalmente,  anche  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano. 
    Deve percio' farsi applicazione  del  principio,  gia'  affermato
dalla giurisprudenza  costituzionale,  secondo  cui  l'illegittimita'
costituzionale di una previsione legislativa  non  e'  esclusa  dalla
presenza di una clausola di salvaguardia, laddove tale clausola entri
in contraddizione con quanto affermato  dalle  norme  impugnate,  con
esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome (da ultimo, sentenze n. 231 e n. 154 del 2017). 
    Del resto, questa e' anche la ragione che  rende  ammissibili  le
impugnative  dichiaratamente  proposte  in  via   cautelativa   dalle
Province autonome di Trento e di Bolzano e, per la parte  concernente
l'art. 1, comma 394, della legge n. 232  del  2016,  anche  da  parte
della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste. 
    Tale modalita' di proposizione dei ricorsi non  incide,  infatti,
sulla loro ammissibilita', atteso che - per  costante  giurisprudenza
costituzionale (da ultimo, sentenze n. 270  e  n.  212  del  2017)  -
possono trovare ingresso, nel giudizio in via  principale,  questioni
promosse  in  via   cautelativa   ed   ipotetica,   sulla   base   di
interpretazioni prospettate  soltanto  come  possibili,  purche'  non
implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni
impugnate. 
    4.2.- Ancora in via preliminare, va rilevato che la seconda parte
dell'impugnato art. 1, comma 528, della legge n.  232  del  2016,  ha
inserito, tra le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato, la possibilita' di prevedere  versamenti  delle  Regioni
interessate, in tal senso modificando  l'art.  1,  comma  680,  della
legge n. 208 del 2015. 
    Tale profilo e' oggetto di specifica considerazione  nei  ricorsi
proposti dalle Regioni Veneto e Lombardia e dalla Regione Siciliana. 
    Successivamente alla proposizione dei ricorsi,  tuttavia,  questa
porzione normativa e' stata abrogata. 
    L'art. 28 del d.l. n. 50 del 2017, come  convertito,  ha  infatti
soppresso, all'art. 1, comma 680, secondo periodo, della legge n. 208
del 2015, le parole: «inclusa la possibilita' di prevedere versamenti
da parte  delle  regioni  interessate,»,  che  erano  state  aggiunte
proprio dall'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016. 
    Cio' determina conseguenze diverse sui singoli ricorsi. 
    La Regione Lombardia ha depositato un atto  di  formale  rinuncia
parziale al ricorso - per i profili di doglianza connessi alla  parte
di disposizione soppressa -accettata dal Presidente del Consiglio dei
ministri. Va dunque dichiarato  estinto  il  processo,  relativamente
alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 528,
della legge n. 232 del  2016,  nella  parte  in  cui  inserisce,  nel
secondo periodo dell'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del  2015,
dopo le parole «modalita' di  acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello  Stato,»  le  parole  «inclusa  la  possibilita'  di  prevedere
versamenti da parte delle regioni interessate,». 
    La Regione Veneto,  dal  canto  suo,  ha  incentrato  il  ricorso
avverso il citato  comma  528,  proprio  sulla  previsione  normativa
aggiunta dalla disposizione impugnata all'art. 1,  comma  680,  della
legge n. 208 del 2015 ed ora soppressa dal d.l. n. 50 del 2017,  come
convertito. La modifica, dunque, appare  satisfattiva  dell'interesse
manifestato  dalla  ricorrente,  sicche',  non   avendo   avuto   mai
applicazione la norma ora abrogata, sussistono entrambe le condizioni
richieste dalla giurisprudenza di questa Corte per una  dichiarazione
di cessazione della materia del contendere (da ultimo, sentenze n. 38
e n. 5 del 2018). 
    La Regione Siciliana, invece, non ha  rinunciato  al  ricorso  in
parte qua, ne' ha fondato le censure mosse  all'art.  1,  comma  528,
della legge n. 232 del 2016 sulla sola modifica apportata all'art. 1,
comma 680, della legge n. 208 del 2015  e  consistente  nell'aggiunta
della porzione normativa poi soppressa dal d.l. n. 50 del 2017,  come
convertito.  Per  questo  motivo,   nella   memoria   depositata   in
prossimita'  dell'udienza  pubblica,   ha   ribadito   che   lo   ius
superveniens non fa venire meno il proprio interesse  alla  decisione
nel merito del ricorso, che andra' complessivamente definito, tenendo
conto   della   restrizione   del   thema   decidendum    conseguente
all'illustrata modifica normativa. 
    4.3.- Tutte le ricorrenti hanno sufficientemente  motivato  sulla
ridondanza delle asserite violazioni di parametri estranei al  Titolo
V della Parte II della Costituzione sul riparto  di  attribuzioni  in
quest'ultimo  previsto.  Di  qui,  l'ammissibilita',   sotto   questo
profilo, delle relative censure. 
    4.4.- Devono  essere,  invece,  dichiarate  inammissibili  alcune
questioni proposte dalla Regione Veneto. 
    Quanto al prospettato contrasto dell'art.  1,  comma  392,  della
legge n. 232 del 2016 con i  parametri  costituzionali  di  cui  agli
artt.  97,  118  e  119  Cost.,  infatti,  manca  qualsiasi  adeguata
motivazione a sostegno delle censure. 
    Secondo la costante giurisprudenza della Corte, i  termini  delle
questioni  di  legittimita'   costituzionale   debbono   essere   ben
identificati,  dovendo  il  ricorrente  individuare  le  disposizioni
impugnate,  i  parametri  evocati  e  le  ragioni  delle   violazioni
prospettate (ex multis, tra le piu' recenti, sentenze n. 247, n.  245
e n. 231 del 2017). 
    Per ragioni analoghe  deve  essere  dichiarata  inammissibile  la
questione  legata  all'asserita  mancata  attuazione   del   disposto
dell'art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012,  e
dell'art. 11 della legge n. 243 del 2012. La censura risulta  infatti
oscura,  poiche'  non  si  comprende  in  che  modo  la  disposizione
impugnata sarebbe lesiva dell'autonomia regionale. La  doglianza  e',
sul punto, apodittica, limitandosi la ricorrente ad affermare che  la
riduzione del  livello  di  finanziamento  del  fabbisogno  sanitario
sarebbe, per cio' stesso, indicativa di una fase  avversa  del  ciclo
economico, tale da  imporre  l'attivazione  dei  meccanismi  previsti
dalle  norme  richiamate.  Del  resto,  nella  memoria   illustrativa
depositata in prossimita' dell'udienza,  la  stessa  Regione  Veneto,
preso atto della decisione assunta dalla sentenza n. 154 del 2017  su
analoga censura, non insiste su di essa. 
    5.- Il merito dei  ricorsi  riguarda  alcune  disposizioni  della
legge n. 232 del 2016 - in particolare l'art. 1, commi 392, 394 e 528
- il cui contenuto precettivo e' strettamente collegato al contributo
alla finanza pubblica imposto a tutti gli enti del livello  regionale
dall'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015. 
    L'art. 1, comma 527, della legge n. 232 del  2016  e'  impugnato,
invece, dalla sola Regione Veneto, dal momento che esso afferisce  al
contributo al contenimento della spesa pubblica gia' previsto per  le
sole  Regioni  a  statuto  ordinario  dall'art.  46,  comma  6,   del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89. 
    E' opportuno, dunque, trattare le censure mosse al  primo  gruppo
di disposizioni separatamente rispetto a quelle  avanzate  contro  il
solo comma 527, ulteriormente distinguendo la posizione degli enti ad
autonomia differenziata da quella delle Regioni a statuto ordinario. 
    6.- Tutte le autonomie speciali  -  ad  eccezione  della  Regione
Siciliana - contestano le disposizioni della legge di bilancio per il
2017 che danno attuazione all'intesa sancita in data 11 febbraio 2016
in sede di Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
Regioni e le Province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  avente  ad
oggetto il contributo alla finanza pubblica di cui all'art. 1,  comma
680, della legge di stabilita' per il 2016. 
    Come chiarito nella sentenza n. 154 del 2017, la disposizione  da
ultimo menzionata determina il concorso  di  tutte  le  Regioni  agli
obiettivi di finanza pubblica, in misura pari a 3.980 milioni di euro
per l'anno 2017 e a 5.480 milioni di euro  per  ciascuno  degli  anni
2018 e 2019, demandando ai medesimi enti il raggiungimento, entro  il
31  gennaio  di  ciascun  anno,  di  un  accordo   -   in   sede   di
autocoordinamento - sulla definizione degli ambiti  e  degli  importi
del rispettivo contributo, nel rispetto dei LEA, facendo sempre salva
la  necessita'  di  raggiungere  un'intesa  bilaterale  con  ciascuna
autonomia speciale e, per le  Province  autonome  e  per  la  Regione
autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol,  nel  rispetto  dell'accordo
raggiunto con il Governo in data 15 ottobre 2014. 
    L'intesa attuativa del citato comma 680 e' stata  sancita,  senza
la partecipazione delle autonomie speciali, in data 11 febbraio 2016.
In essa, le Regioni a statuto ordinario hanno concordato di  imputare
al settore sanitario la maggior parte  del  contributo,  precisamente
per l'importo di 3.500 milioni di euro per l'anno  2017  e  di  5.000
milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, e  rinviando  il  riparto
del contributo residuo pari a 480 milioni di  euro  «alle  successive
intese in Conferenza Stato Regioni da definire entro il 31 gennaio di
ciascun  anno».  Conseguentemente,  nell'intesa  si  e'  prevista  la
rideterminazione del livello del finanziamento del Servizio sanitario
nazionale nei seguenti importi: 113.063 milioni di  euro  per  l'anno
2017 e 114.998 milioni di euro per l'anno 2018. 
    Contestualmente, l'intesa ha impegnato il  Governo  ad  ottenere,
entro un «termine  ragionevole»,  la  stipula  del  previsto  accordo
bilaterale con ciascuna delle autonomie  speciali,  per  definire  la
quota di contributo spettante a ciascuna di esse. 
    La medesima intesa dell'11  febbraio  2016  conteneva  anche  una
sorta di "clausola di salvaguardia", secondo cui, decorso inutilmente
tale termine  senza  la  stipula  degli  accordi  bilaterali  con  le
autonomie speciali, il livello  del  fabbisogno  sanitario  nazionale
sarebbe stato ulteriormente ridotto, al fine di  assicurare  in  ogni
caso gli effetti per la finanza pubblica pari a 3.500 milioni di euro
per l'anno 2017 e a 5.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018,
cosi' di fatto "addossando"  alle  Regioni  a  statuto  ordinario  un
maggiore contributo al risanamento della finanza pubblica. 
    Non essendo stati stipulati i prescritti accordi tra il Governo e
le autonomie speciali, l'impugnato art. 1, comma 392, della legge  n.
232 del  2016  prevede,  per  gli  anni  2017  e  2018,  un'ulteriore
riduzione (rispetto agli importi  inizialmente  previsti  dall'intesa
dell'11 febbraio 2016) del livello del finanziamento  del  fabbisogno
sanitario nazionale  standard  cui  concorre  lo  Stato,  fissandolo,
rispettivamente, in 113.000 milioni di euro  per  l'anno  2017  e  in
114.000 milioni di euro per l'anno  2018  (a  fronte  dei  precedenti
importi rispettivamente di 113.063  milioni  di  euro  e  di  114.998
milioni di euro). 
    Per  l'anno  2019,  invece,  il  livello  del  finanziamento  del
fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo  Stato  viene
stabilito in 115.000 milioni di euro. 
    Accanto a questa sostanziale "maggiorazione" del contributo posto
a carico delle Regioni a statuto  ordinario,  tuttavia,  la  medesima
disposizione ha fissato un nuovo termine per  il  raggiungimento  dei
necessari accordi  tra  il  Governo  e  le  autonomie  speciali  gia'
previsti   dall'intesa   dell'11   febbraio   2016,   disponendo   la
possibilita' di concluderli entro il 31 gennaio 2017, sempre  con  la
clausola del rispetto dell'accordo stipulato in data 15 ottobre  2014
tra il Governo e la Regione autonoma Trentino-Alto  Adige/Südtirol  e
le Province autonome di Trento e di Bolzano. 
    Il successivo comma 394 dell'art. 1 della legge di  bilancio  per
il 2017 ha ribadito l'obbligo delle Regioni  a  statuto  speciale  di
assicurare il contributo a loro carico previsto  dall'intesa  dell'11
febbraio 2016 ed ha disciplinato il meccanismo per  il  conseguimento
degli effetti positivi per la finanza pubblica complessivamente  pari
a 3.500 milioni di euro per l'anno 2017 e 5.000  milioni  di  euro  a
decorrere dall'anno 2018, prevedendo che, decorso il termine  del  31
gennaio 2017, con apposito decreto ministeriale sarebbe stato attuato
«quanto previsto per gli anni 2017 e successivi dalla  citata  intesa
dell'11 febbraio 2016». 
    Nessuna delle autonomie speciali - le quali (ad  eccezione  della
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste) avevano nel  frattempo
impugnato l'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015 innanzi  a
questa Corte - ha  acconsentito  alla  stipula  dell'accordo  con  il
Governo. 
    Quest'ultimo,  quindi,  ha   attivato   l'illustrato   meccanismo
previsto dall'art. 1,  comma  394,  della  legge  n.  232  del  2016,
provvedendo - con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
emanato di concerto con il  Ministro  della  salute,  5  giugno  2017
(Rideterminazione del livello del  fabbisogno  sanitario  nazionale),
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 135 del 13 giugno 2017 -  alla
rideterminazione  del  livello  del  finanziamento   del   fabbisogno
sanitario nazionale  standard  cui  concorre  lo  Stato,  riducendolo
ulteriormente di 423 milioni di euro,  per  l'anno  2017,  e  di  604
milioni di euro, a decorrere dall'anno 2018. 
    6.1.- Cio'  premesso,  va  ricordato  che,  secondo  la  costante
giurisprudenza di questa Corte, i principi fondamentali fissati dalla
legislazione  dello  Stato   nell'esercizio   della   competenza   di
coordinamento  della  finanza  pubblica  si  applicano   anche   alle
autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2017, n.  40  del
2016, n. 82 e n. 46 del  2015),  in  quanto  funzionali  a  prevenire
disavanzi     di     bilancio,     a     preservare      l'equilibrio
economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e
anche a garantire l'unita' economica della Repubblica, come richiesto
dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea (sentenza n. 175 del 2014). 
    I rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali  sono,
tuttavia, regolati dal principio dell'accordo, inteso come vincolo di
metodo (e non gia' di risultato) e declinato nella forma della  leale
collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012). 
    Lo Stato, dunque, puo' imporre contributi  al  risanamento  della
finanza pubblica a carico  delle  autonomie  speciali,  quantificando
l'importo complessivo del concorso,  e  rimettendo  alla  stipula  di
accordi bilaterali con ciascuna autonomia, non  solo  la  definizione
dell'importo gravante su ciascuna  di  esse,  ma,  eventualmente,  la
stessa riallocazione delle risorse  disponibili,  anche  a  esercizio
inoltrato (sentenza n. 19 del 2015). 
    Di tali principi questa Corte ha fatto applicazione nel  definire
i ricorsi proposti  dalle  autonomie  speciali  (ad  eccezione  della
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste) contro l'art. 1, comma
680, della legge di stabilita' per il 2016. 
    Con la sentenza  n.  154  del  2017,  infatti,  questa  Corte  ha
dichiarato inammissibili oppure non fondate le censure proposte dalle
ricorrenti, fornendo un'interpretazione della normativa  conforme  ai
parametri costituzionali e  statutari  di  volta  in  volta  evocati,
sicche'   e'   stata   definitivamente   sancita   la    legittimita'
costituzionale del contributo alla finanza  pubblica  imposto,  anche
alle autonomie speciali, dall'art. 1, comma 680, della legge  n.  208
del 2015. 
    6.2.- Cio' premesso,  i  ricorsi  delle  Regioni  autonome  Valle
d'Aosta/Vallee  d'Aoste  e  Friuli-Venezia  Giulia  e  quelli   delle
Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  pongono  questioni  che
muovono da un comune presupposto interpretativo, che tuttavia  appare
non  rispondente  alla  lettera  ed  alla  ratio  delle  disposizioni
impugnate, con conseguente non fondatezza delle censure prospettate.