ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  della
legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del  Trattato  di
Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea  e  il  Trattato
che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con  atto
finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona  il  13  dicembre
2007) e dell'art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile 1988,  n.
117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), come modificato
dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18
(Disciplina della responsabilita' civile  dei  magistrati),  promosso
dal  Tribunale  ordinario  di  Enna  nel  procedimento  vertente  tra
l'Azienda  sanitaria  provinciale  di  Enna  e  Angela  Restivo,  con
ordinanza del  14  marzo  2016,  iscritta  al  n.  103  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 gennaio  2018  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 marzo 2016, il  Tribunale  ordinario  di
Enna ha sollevato, in riferimento agli artt.  24,  101  e  104  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale: 
    a) dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008,  n.  130  (Ratifica  ed
esecuzione  del  Trattato  di  Lisbona  che  modifica   il   Trattato
sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea
e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e  dichiarazioni,
fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui: 
    -  «ai  sensi  dell'art.  288»  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del  Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge n.  130  del
2008, «cosi' come interpretato dalla  costante  giurisprudenza  della
Corte di Giustizia, si prevede che  la  decisione  della  Commissione
rivolta agli Stati, ormai divenuta inoppugnabile dinnanzi agli organi
giurisdizionali comunitari, sia obbligatoria e vincolante in tutti  i
suoi elementi, anche per i giudici nazionali»; 
    - «ai sensi dell'art. 267 TFUE,  cosi'  come  interpretato  nella
sentenza della C.G.U.E., 30 settembre 2003, causa 224/01, si  prevede
che nell'attivita' interpretativa il giudice debba tenere conto delle
posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali»; 
    b) dell'art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile  1988,  n.
117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), come modificato
dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18
(Disciplina della  responsabilita'  civile  dei  magistrati),  «nella
parte in cui include tra  le  ipotesi  di  manifesta  violazione  del
diritto  dell'Unione  europea  il  contrasto  tra  un   atto   o   un
provvedimento giudiziario e l'interpretazione espressa dalla Corte di
giustizia dell'Unione europea sulla  vincolativita'  delle  decisioni
della Commissione europea per il giudice nazionale». 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del giudizio
di opposizione al decreto con il quale il  Presidente  del  Tribunale
ordinario di Enna aveva ingiunto  all'Azienda  sanitaria  provinciale
della medesima citta' il pagamento di una somma di denaro  in  favore
di  un  allevatore  di  bestiame,  a   titolo   di   indennita'   per
l'abbattimento di quattordici bovini ai sensi dell'art. 1 della legge
della Regione Siciliana 5 giugno 1989, n. 12 (Interventi per favorire
il risanamento e il reintegro degli  allevamenti  zootecnici  colpiti
dalla tubercolosi, dalla brucellosi e da altre malattie  infettive  e
diffusive e contributi alle associazioni degli allevatori). La citata
disposizione regionale prevede che, in vista  del  risanamento  degli
allevamenti, ai proprietari di bovini, ovini o caprini  abbattuti  in
quanto affetti da determinate patologie  (tubercolosi,  brucellosi  o
leucosi) e' corrisposta un'indennita', nella  misura  indicata  nella
tabella allegata alla legge regionale, in aggiunta a quella  prevista
dalle vigenti disposizioni nazionali. 
    Il rimettente riferisce, altresi', che «[t]ra i motivi a sostegno
dell'opposizione»,  l'Azienda  sanitaria  aveva  dedotto,   «in   via
preliminare»,  che  il  fondo  previsto  dalla  legge  regionale   in
questione  non  era  stato  reintegrato,  a  partire  dal  1997,  dal
competente assessorato regionale,  in  quanto  gli  indennizzi  erano
stati considerati «aiuti di Stato» rilevanti ai  fini  dell'art.  87,
paragrafo 1, del  Trattato  che  istituisce  la  Comunita'  economica
europea (CEE), firmato a Roma il 25 marzo 1957, entrato in vigore  il
1° gennaio 1958 (oggi dell'art. 107 TFUE). 
    Secondo quanto si legge nell'ordinanza di rimessione, la  Regione
Siciliana  aveva  adempiuto  all'obbligo  di  comunicazione  previsto
dall'art. 88, paragrafo 3, Trattato CEE (ora dall'art. 108, paragrafo
3,  TFUE),  al  fine  di  ottenere,  per  ogni  singola   annualita',
l'autorizzazione al pagamento  degli  indennizzi.  Con  la  decisione
C(2002)4786  dell'11  [recte:  del  6]  dicembre  2002,   indirizzata
all'Italia, la Commissione europea, pur qualificando la  misura  come
aiuto di Stato - e deplorando, percio', che ad essa fosse stata  data
esecuzione in violazione del citato art. 88,  paragrafo  3,  Trattato
CEE (ossia prima della decisione finale circa la  sua  compatibilita'
con il mercato comune) - ne aveva autorizzato  l'erogazione  per  gli
anni dal 1993 al 1997. Tale decisione dovrebbe ritenersi, allo stato,
«inoppugnabile poiche' nessuna delle parti in  causa  ha  dedotto  di
averla impugnata e neppure ne [ha]  contestato,  incidentalmente,  la
validita'». 
    Di contro, per gli anni dal 2000 al 2006, nonostante  l'art.  25,
comma 16, della legge della Regione Siciliana 22 dicembre 2005, n. 19
(Misure finanziarie urgenti e variazioni al  bilancio  della  Regione
per l'esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie) avesse previsto
un apposito  rifinanziamento  del  fondo,  la  Regione  -  a  seguito
dell'ordinanza del Ministero della sanita' del 14 novembre 2008 e  in
ragione «della nebulosita' del testo normativo» - non  aveva  a  cio'
provveduto, omettendo, pertanto, la comunicazione alla Commissione. 
    1.2.- Risulterebbe dunque evidente - secondo il giudice a  quo  -
come, ai fini della risoluzione della controversia, occorra  valutare
se l'indennizzo previsto dalla legge reg. Siciliana n.  12  del  1989
rientri nella nozione di aiuto di Stato. 
    Al  riguardo,  il  giudice  a  quo  osserva   che,   secondo   la
giurisprudenza della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  (e'
citata, in particolare, la sentenza della grande  sezione  18  luglio
2007, in causa C-119/05,  Lucchini  spa),  e'  demandato,  «in  prima
battuta», al giudice nazionale il compito di valutare se una  misura,
adottata senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui
all'art. 88, paragrafo 3, Trattato CEE (ora art.  108,  paragrafo  3,
TFUE), debba esservi o meno soggetta. In tale  contesto,  il  giudice
nazionale puo' essere chiamato a interpretare la nozione di aiuto  di
Stato, salva restando, in caso di dubbio, la possibilita' di chiedere
chiarimenti alla Commissione europea o, in alternativa, di sottoporre
la  questione  pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia   (facolta',
quest'ultima, che diviene un obbligo ove  si  tratti  di  giudice  di
ultima istanza). Al giudice  nazionale  non  e'  consentito,  invece,
pronunciarsi sulla compatibilita' con il mercato interno della misura
qualificata come aiuto di Stato, essendo tale questione di competenza
esclusiva della Commissione europea, che opera sotto il controllo del
giudice dell'Unione. 
    Sempre secondo la Corte di giustizia, tale competenza esclusiva -
costituente   principio   vincolante    nell'ordinamento    giuridico
nazionale,  in  quanto  corollario  della  preminenza   del   diritto
comunitario - esclude che i  giudici  nazionali  possano  adire  essa
Corte di Lussemburgo  ai  sensi  dell'art.  234  Trattato  CEE  (oggi
dell'art. 267 TFUE), al fine di interrogarla sulla compatibilita' con
il mercato comune di un aiuto di Stato. 
    1.3.- Cio' posto, occorrerebbe tuttavia chiedersi  se  i  vincoli
interpretativi ora ricordati siano compatibili con i principi supremi
di  indipendenza  del  giudice  e  della   separazione   dei   poteri
contemplati dalla nostra Costituzione. 
    Quanto  al  giudizio  di  compatibilita'  tra  un   provvedimento
nazionale  e  il  mercato  comune,  la  valutazione  espressa   dalla
Commissione potrebbe integrare, in  effetti,  «un'ipotesi  di  limite
esterno   della   giurisdizione»,   implicando   apprezzamenti    «di
opportunita' politica e amministrativa». 
    Secondo la Corte di giustizia,  peraltro,  il  giudice  nazionale
rimarrebbe  vincolato  dalle  decisioni  della  Commissione  europea,
divenute inoppugnabili, anche con riguardo alla qualificazione di una
determinata misura come aiuto di Stato: con la conseguenza  che  egli
dovrebbe astenersi dall'applicare le norme interne la cui  attuazione
potrebbe ostacolare l'esecuzione  della  decisione  (sono  citate  le
sentenze 9 marzo 1994, in causa C-133/92, Andresen, e 21 maggio 1987,
in causa 249/85, Albako). Il principio risulterebbe -  a  parere  del
rimettente - di tale chiarezza  da  escludere  la  necessita'  di  un
rinvio  pregiudiziale   alla   Corte   di   giustizia:   rinvio   che
risulterebbe, in ogni caso, «non pertinente», posto che il giudice  a
quo non dubita della  validita'  della  decisione  della  Commissione
sopra indicata, ne'  sussisterebbero  dubbi  interpretativi  riguardo
alla sua portata. 
    Nel giudizio a quo  non  verrebbe,  in  effetti,  in  rilievo  la
correttezza o la validita' della decisione della Commissione,  ma  la
sua efficacia vincolante, in conseguenza della quale il rimettente si
troverebbe assoggettato alle determinazioni assunte  dalle  autorita'
amministrative  europee.  Le  decisioni  della  Commissione,  benche'
inquadrabili tra i provvedimenti amministrativi, verrebbero in questo
modo a influenzare i giudizi  in  corso,  impedendo  al  giudice  «di
vagliare l'ambito di applicazione delle norme nazionali e delle norme
comunitarie». 
    Le ricordate affermazioni della Corte di giustizia  troverebbero,
peraltro, pieno riscontro nella costante giurisprudenza  della  Corte
di  cassazione,  secondo  la  quale  le  decisioni   adottate   dalla
Commissione europea e non piu' impugnabili  ne'  dallo  Stato  membro
designato  come  destinatario,  ne'  dalla   parte   direttamente   e
individualmente interessata, per il decorso del termine di  due  mesi
dal giorno in cui questa ha avuto conoscenza del provvedimento, hanno
efficacia vincolante per il giudice nazionale, in forza del principio
desumibile dagli artt. 288, paragrafo 4, e 263 TFUE. 
    L'imperativita' delle pronunce della Corte di giustizia  -  anche
nella parte in cui  attribuiscono  forza  vincolante  alle  decisioni
amministrative adottate  dalle  istituzioni  europee  -  risulterebbe
inoltre assicurata dal sistema di  responsabilita'  dello  Stato  per
atto giurisdizionale  delineato  dalla  giurisprudenza  della  stessa
Corte di Lussem-burgo. Secondo quanto  affermato  nella  sentenza  30
settembre 2003, in causa C-224/01,  Köbler,  infatti,  la  «posizione
adottata eventualmente  da  un'istituzione  comunitaria»  costituisce
parametro per fondare la responsabilita' dello Stato  per  violazione
del diritto  comunitario  da  parte  dell'organo  giurisdizionale  di
ultima istanza. 
    In questa prospettiva, i commi 3 e 3-bis dell'art. 2 legge n. 117
del 1988, come novellata dalla legge n. 18 del 2015, nel regolare  la
responsabilita' dello Stato per i danni causati nell'esercizio  delle
funzioni giudiziarie, includono tra le ipotesi  di  colpa  grave  del
giudice - peraltro, anche  non  di  ultima  istanza  -  la  manifesta
violazione del diritto dell'Unione europea,  da  determinare  tenendo
conto dell'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia. 
    Il giudice europeo avrebbe dunque delineato, «in  via  pretoria»,
un sistema di responsabilita' dello Stato per violazione del  diritto
comunitario,   non   previsto   espressamente   dai   Trattati,   che
consentirebbe alle istituzioni dell'Unione di influenzare  i  giudizi
in corso tramite l'espressione di una mera «posizione»  e  l'adozione
di provvedimenti amministrativi. 
    1.4.-  Tale  interferenza,  incidendo  sull'indipendenza  esterna
della magistratura, si  scontrerebbe,  tuttavia,  con  le  previsioni
degli artt. 101 e 104 Cost., costituenti attuazione di quel principio
di separazione dei poteri che, in relazione  al  potere  giudiziario,
«si atteggia a  principio  supremo  e  strutturale  della  tradizione
costituzionale  liberale»,  non  suscettibile  di  attenuazioni.   La
giurisprudenza costituzionale ha,  infatti,  costantemente  affermato
che il principio di indipendenza della magistratura non  puo'  essere
inciso da atti vincolanti provenienti dalle pubbliche amministrazioni
o da qualsiasi altra volonta' che  non  sia  quella  obiettiva  della
legge. 
    L'indipendenza della magistratura da  ogni  interferenza  esterna
rappresenta, peraltro, anche una  fondamentale  garanzia  del  giusto
processo.  La  sua  menomazione  implicherebbe,  pertanto,  anche  la
violazione del diritto di accesso al giudice da parte dei consociati,
consacrato «quale diritto supremo e universale» dall'art. 24 Cost., e
integrante percio' esso pure un limite invalicabile  per  il  diritto
comunitario. 
    1.5.- Quanto, infine, alla rilevanza delle questioni, il  giudice
rimettente ricorda come la Corte costituzionale, con la  sentenza  n.
18 del 1989, nel decidere una  serie  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale attinenti a disposizioni della legge n. 117 del  1988,
abbia chiarito che -  ai  fini  del  riscontro  del  requisito  della
rilevanza - debbono considerarsi influenti  sul  giudizio  principale
anche le norme che, sebbene non  direttamente  applicabili  in  esso,
attengono «allo status del giudice, alla sua composizione nonche', in
generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare». 
    Il giudice, d'altra parte, non rimarrebbe indifferente  all'esito
del giudizio di responsabilita' promosso nei confronti  dello  Stato,
giacche' l'obbligo di rivalsa stabilito dall'art. 9 [recte: 7]  della
citata legge n. 117 del 1988 e i riflessi di detto giudizio in ambito
disciplinare,  previsti  dal   successivo   art.   10   [recte:   9],
influirebbero, di per se', «sulla corretta determinazione dell'organo
giurisdizionale». 
    Nella specie, per «non rischiare di incorrere  in  un'ipotesi  di
responsabilita' dello Stato per fatto del magistrato», il  rimettente
dovrebbe escludere a priori qualsiasi opzione interpretativa  diversa
da quella adottata dalla Commissione europea, vedendo cosi'  menomata
la liberta' di  interpretazione  assicuratagli  dall'art.  101  Cost.
Correlativamente,  il  cittadino  ricorrente  verrebbe  privato   del
diritto alla tutela giurisdizionale davanti a un giudice indipendente
e imparziale. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che   le   questioni   siano   dichiarate   manifestamente
inammissibili o, comunque sia, non fondate. 
    2.1.- Secondo l'interveniente, l'inammissibilita' delle questioni
si apprezzerebbe sotto un duplice profilo. 
    In primo luogo, il rimettente si sarebbe limitato a riferire  che
«tra i motivi  a  sostegno  dell'opposizione»  a  decreto  ingiuntivo
proposta dall'Azienda sanitaria provinciale vi e' quello  basato  sul
carattere di aiuto  di  Stato  della  misura  in  discussione,  senza
indicare quali siano gli altri motivi di opposizione, ne' le  ragioni
della loro eventuale infondatezza. In questo modo, il giudice  a  quo
avrebbe  affermato  in  via  puramente  assertiva  il   rapporto   di
pregiudizialita' tra i quesiti di legittimita'  costituzionale  e  la
definizione   del   giudizio   principale,   impedendo   alla   Corte
costituzionale ogni controllo sulla loro effettiva rilevanza. 
    Per altro verso, poi, il rimettente avrebbe ricostruito  in  modo
lacunoso  e  incompleto   il   quadro   normativo   di   riferimento,
precludendosi  cosi'   anche   la   possibilita'   di   pervenire   a
un'interpretazione conforme ai parametri costituzionali evocati. 
    2.2.-  Nel  merito,  le  questioni  sarebbero,  in   ogni   caso,
infondate. 
    E',  in  effetti,  indiscutibile   che,   secondo   la   costante
giurisprudenza della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,  la
valutazione di compatibilita' con il mercato interno  di  una  misura
nazionale  qualificabile  come  aiuto  di  Stato  e'  demandata  alla
competenza esclusiva della Commissione,  la  quale  agisce  sotto  il
controllo del giudice dell'Unione, con la conseguenza che  i  giudici
nazionali non hanno il potere di pronunciarsi al riguardo. 
    A prescindere, peraltro, dalla «sottile questione» relativa  alla
natura giuridica delle decisioni della Commissione europea  -  se  si
tratti effettivamente, cioe', come sostiene  il  giudice  a  quo,  di
provvedimenti  amministrativi  -  risulterebbe   evidente   come   la
disciplina ora ricordata,  lungi  dal  contraddire  il  principio  di
separazione  dei  poteri,  ne  costituisca  logico  corollario.   Non
diversamente da quanto avviene nei rapporti di diritto interno,  tale
principio postula,  infatti,  l'esistenza  di  regole  che  escludano
l'ingerenza  del  potere  giurisdizionale  nelle  attivita'  e  nelle
valutazioni  riservate  agli  organi  del  potere  esecutivo  e  che,
conseguentemente,  affidino  alla  giurisdizione  esclusivamente   il
controllo di legittimita' sull'uso di tali poteri. 
    Nel sistema dei  trattati  europei,  tale  esigenza  risulterebbe
garantita dall'art. 263 TFUE, in base al quale la Corte di  giustizia
dell'Unione europea «esercita un controllo di legittimita'», tra  gli
altri, sugli «atti della Commissione»,  pronunciandosi  «sui  ricorsi
per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione  dei
trattati  o  di  qualsiasi  regola  di  diritto  relativa  alla  loro
applicazione, ovvero per sviamento di potere». 
    Il rimettente - senza contraddire, in  apparenza,  tali  pacifici
assunti   -   sembrerebbe,   tuttavia,    dolersi    della    mancata
disponibilita',  da  parte   del   giudice   nazionale   chiamato   a
pronunciarsi su una controversia in materia di diritti soggettivi, di
un potere di disapplicazione  dell'atto,  non  caducato  dal  giudice
competente a pronunciarsi sui ricorsi di annullamento, sul modello di
quanto previsto dall'art. 5 della  legge  20  marzo  1865,  n.  2248,
recante «Legge sul contenzioso amministrativo (All. E)». Il giudice a
quo non avrebbe, peraltro, considerato che l'indisponibilita'  di  un
simile potere non e' conseguenza dell'asserita soggezione del  potere
giurisdizionale   alle   decisioni   amministrative,   ma    discende
dall'esclusiva competenza giurisdizionale della Corte di giustizia  a
conoscere della  validita'  degli  atti  delle  istituzioni  europee:
competenza che - per intuitive ragioni - non puo' tollerare (neanche)
l'eccezione costituita dalla  delibazione  incidentale  di  validita'
dell'atto, in relazione all'oggetto dedotto nel giudizio nazionale. 
    In una simile cornice, il potere di disapplicazione da parte  del
giudice del singolo Stato membro rimarrebbe surrogato dal  meccanismo
del  rinvio  pregiudiziale  di  validita',  previsto  dall'art.  267,
paragrafo 1, lettera b),  TFUE,  a  tenore  del  quale  la  Corte  di
giustizia e' competente a pronunciarsi, in via  pregiudiziale,  sulla
validita', oltre che sull'interpretazione, degli «atti compiuti dalle
istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione». Il  giudice
nazionale  che  dubiti  della  validita'  di  una   decisione   della
Commissione europea non puo', quindi, sottrarsi  alla  vincolativita'
di tale decisione - stabilita dall'art.  288,  paragrafo  4,  TFUE  -
attraverso il meccanismo della disapplicazione, ma deve,  sul  punto,
adire in via pregiudiziale la Corte di giustizia. 
    Da cio' non discenderebbe, peraltro, alcun vulnus al principio di
soggezione   del   giudice   soltanto   alla    legge,    trattandosi
dell'applicazione di una regola di riparto del potere giurisdizionale
che  deriva  dall'adesione  ai  Trattati  e   che   trova   copertura
costituzionale nell'art. 11 Cost. 
    2.3.- Il giudice a quo parrebbe  lamentare,  tuttavia  -  secondo
l'Avvocatura generale dello Stato  -  anche  l'indisponibilita',  nel
caso concreto, del rimedio del rinvio  pregiudiziale,  in  quanto  la
decisione della  Commissione  di  cui  si  discute  sarebbe  divenuta
inoppugnabile «poiche' nessuna delle parti in  causa  ha  dedotto  di
averla impugnata e neppure ne [ha]  contestato,  incidentalmente,  la
validita'». 
    Al riguardo, sarebbe  peraltro  palese  che  nessun  ostacolo  di
natura processuale si frapponeva a un eventuale rinvio pregiudiziale,
posto  che  -  come  affermato  da  tempo  dalla  giurisprudenza   di
legittimita' - il  giudice,  sia  pure  nel  rispetto  del  principio
dispositivo che regola il processo, ha il dovere di  porsi  d'ufficio
il problema dell'applicazione  del  diritto  dell'Unione  europea  e,
pertanto, di rilevare anche di propria iniziativa tutte le  questioni
di interpretazione o di validita' che l'applicazione di tale  diritto
comporta. In ogni  caso,  ove  pure  si  dovesse  ritenere  che,  nel
giudizio di cui il rimettente  e'  investito,  la  valutazione  della
validita' della decisione resti preclusa  in  ragione  della  mancata
contestazione  di  essa  ad  opera  della  parte  interessata,   tale
preclusione discenderebbe da norme processuali interne, e non gia' da
una inesistente soggezione del potere giurisdizionale alle  decisioni
della Commissione europea. 
    2.4.- Quanto all'altro principio affermato  dalla  giurisprudenza
della Corte di giustizia  -  quello  per  cui  il  giudice  nazionale
sarebbe vincolato dalla decisione della Commissione  in  ordine  alla
qualificazione di una determinata  misura  nazionale  come  aiuto  di
Stato - esso rappresenterebbe il naturale riflesso  della  previsione
del gia'  citato  art.  288,  paragrafo  4,  TFUE,  secondo  cui  «la
decisione  e'  obbligatoria  in  tutti   i   suoi   elementi».   Tale
disposizione comporta che la decisione della  Commissione  europea  -
sino a quando non venga annullata dalla Corte di giustizia, ossia dal
suo giudice naturale - e' vincolante anche per i giudici degli  Stati
membri. 
    Cio' non  esclude,  tuttavia,  che  il  giudice  nazionale  possa
dubitare della validita' della  decisione  e  rimettere  la  relativa
questione al giudice competente, secondo quanto precedentemente posto
in evidenza. 
    2.5.- Sotto altro profilo,  il  giudice  a  quo,  movendo  da  un
riferimento, in se' corretto,  alla  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione, avrebbe tratto la conclusione che il rinvio pregiudiziale
di validita' della decisione della Commissione resti  precluso  dalla
mancata impugnazione, in via principale, della  decisione  stessa  da
parte degli interessati. Tale convincimento sarebbe frutto, peraltro,
di una «sostanziale incomprensione del fenomeno». 
    La preclusione ipotizzata, infatti, non esisterebbe:  o,  meglio,
esisterebbe solo quale eccezione, resa necessaria dalla  riconosciuta
facolta'  degli  interessati  di  adire  direttamente  la  Corte   di
giustizia  con  ricorso  per  annullamento.  Al  riguardo,   verrebbe
segnatamente  in  rilievo  la  nota  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia  -  inaugurata  dalla  sentenza  9  marzo  1994,  in  causa
C-188/92,  TWD  Textilwerke  Deggendorf  -  secondo   la   quale   il
beneficiario di un aiuto di Stato, oggetto  di  una  decisione  della
Commissione direttamente indirizzata soltanto allo  Stato  membro  in
cui era residente tale beneficiario, ma che avrebbe potuto  impugnare
senza dubbio detta decisione e che ha lasciato decorrere  il  termine
perentorio  previsto  dall'art.  263,  paragrafo  6,  TFUE,  si  vede
preclusa la possibilita'  di  contestare  utilmente  la  legittimita'
della decisione davanti ai giudici nazionali. 
    Questa regola - che puo' trovare applicazione nei  soli  casi  in
cui il  beneficiario  dell'aiuto  fosse  chiaramente  legittimato  ad
impugnare direttamente la decisione - trova  agevole  giustificazione
nella considerazione che, diversamente, si finirebbe per  riconoscere
al beneficiario dell'aiuto la possibilita' di eludere il  termine  di
impugnazione stabilito, a pena di decadenza, dal Trattato.  Pur  dopo
il  decorso  di  tale  termine,  l'interessato   potrebbe,   infatti,
contestare la  decisione  davanti  al  giudice  nazionale,  il  quale
avrebbe la facolta' (o, trattandosi di un giudice di ultimo grado, il
dovere)  di  proporre  questione  pregiudiziale  di  validita'  della
decisione. Si tratterebbe, quindi, di una  regola  posta  a  presidio
della certezza  del  diritto,  che  riposa  sulle  medesime  esigenze
sottese alla previsione di  termini  perentori  di  impugnazione  dei
provvedimenti amministrativi. 
    La regola in questione e' destinata, d'altra parte, a operare nei
soli casi di aiuti individuali o, comunque sia, di decisioni su aiuti
di Stato che consentano  la  chiara  identificazione  di  destinatari
individuali,  i  quali  ne  ripetono,  cosi',  la  legittimazione  ad
impugnare direttamente  la  decisione.  Diverso  e'  il  caso  -  che
ricorrerebbe chiaramente nel giudizio a quo -  dei  cosiddetti  aiuti
concessi  in  forma  di  regime,  nel  quale  l'identificazione   dei
destinatari  ha  luogo  solo  in  sede  di  diniego  individuale  del
beneficio, ovvero di richiesta di  restituzione  del  beneficio  gia'
erogato  nelle  ipotesi  di  ritenuta  violazione   dell'obbligo   di
comunicazione preventiva della misura alla Commissione da parte dello
Stato membro ai sensi dell'art. 108, paragrafo  3,  TFUE  (diniego  o
richiesta di restituzione a fronte dei quali soltanto il beneficiario
diviene legittimato a contestare la decisione della Commissione). 
    In una simile cornice, nessuna  lesione  del  diritto  di  difesa
potrebbe  essere  ipotizzata.  Al  privato  sarebbe,  in  ogni  caso,
assicurata la possibilita' di sottoporre la decisione  alla  verifica
di  un  giudice  terzo:  mediante  ricorso  per   annullamento,   ove
direttamente legittimato, mediante rinvio pregiudiziale, negli  altri
casi. 
    2.6.- Con riguardo, poi, alle questioni attinenti alla disciplina
della  responsabilita'  dello  Stato  per  violazioni   del   diritto
dell'Unione   europea   commesse   nell'esercizio   delle    funzioni
giurisdizionali, l'Avvocatura generale dello Stato  ricorda  come  le
disposizioni censurate siano state introdotte dalla legge n.  18  del
2015, a  modifica  della  legge  n.  117  del  1988,  in  adesione  a
specifiche indicazioni provenienti dalle istituzioni europee. 
    Pronunciandosi, a seguito di rinvio pregiudiziale, sul previgente
testo della legge n. 117 del 1988, la grande sezione della  Corte  di
giustizia ha, infatti, affermato, con la sentenza 13 giugno 2006,  in
causa C-173/03,  Traghetti  del  Mediterraneo  spa,  che  il  diritto
comunitario osta a una legislazione nazionale che escluda, in maniera
generale, la responsabilita' dello Stato membro per i danni  arrecati
ai singoli a  seguito  di  una  violazione  del  diritto  comunitario
imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il  motivo
che la violazione consegua a una interpretazione delle norme o a  una
valutazione delle prove operate da tale organo giurisdizionale; e che
osta,  altresi',  a  una  legislazione  nazionale   che   limiti   la
sussistenza di tale responsabilita' ai soli  casi  di  dolo  o  colpa
grave del giudice, ove una tale limitazione conduca  a  escludere  la
responsabilita' dello Stato membro interessato in altri casi  in  cui
sia commessa una violazione  manifesta  del  diritto  vigente,  quale
quella precisata ai punti da 53 a  56  della  sentenza  30  settembre
2003, in causa C-224/01, Köbler. In quest'ultima pronuncia, la  Corte
di giustizia aveva affermato che la responsabilita' dello  Stato  per
una decisione di un  organo  giurisdizionale  di  ultimo  grado,  pur
potendo essere assoggettata, in ragione  della  particolarita'  della
funzione esercitata, a un regime  attenuato  rispetto  a  quello  che
caratterizza la  responsabilita'  per  fatti  ascrivibili  al  potere
legislativo o al  potere  esecutivo,  non  poteva,  tuttavia,  essere
esclusa nel  caso  in  cui  il  giudice  avesse  violato  in  maniera
manifesta il diritto europeo vigente. Ai fini  di  tale  valutazione,
occorre avere riguardo al grado di chiarezza e precisione della norma
violata, al carattere intenzionale della violazione,  alla  posizione
eventualmente adottata da un'istituzione  dell'Unione,  nonche'  alla
eventuale violazione dell'obbligo del  giudice  di  ultimo  grado  di
effettuare il  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia.  La
violazione manifesta sussiste, in ogni caso, quando la  decisione  e'
stata adottata ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte
di giustizia. 
    A  seguito  della  sentenza  Traghetti   del   Mediterraneo,   la
Commissione europea, rilevando che l'Italia  non  aveva  adeguato  il
proprio ordinamento ai principi enunciati nella sentenza  stessa,  ha
avviato una  procedura  di  infrazione  per  violazione  del  diritto
dell'Unione. Violazione che la Corte di  giustizia  ha,  in  effetti,
riscontrato con la sentenza 24  novembre  2011,  in  causa  C-379/10,
Commissione contro Italia. 
    Di qui, dunque, l'intervento novellistico sulla legge n. 117  del
1988, che ha portato all'introduzione degli attuali commi 3  e  3-bis
dell'art. 2: disposizioni che il giudice a quo censura nella parte in
cui includono «tra le ipotesi di  manifesta  violazione  del  diritto
dell'Unione europea il contrasto  tra  un  atto  o  un  provvedimento
giudiziario e l'interpretazione espressa  dalla  Corte  di  giustizia
dell'Unione  europea  sulla  vincolativita'  delle  decisioni   della
Commissione europea per il giudice nazionale». 
    Anche tali  questioni  risulterebbero  infondate.  Il  rimettente
avrebbe, infatti, travisato  i  principi  affermati  dalla  Corte  di
giustizia, la quale - come detto - si sarebbe limitata  ad  affermare
la regola che discende dall'art. 288, paragrafo 4, TFUE (secondo  cui
la decisione, sino a quando non e' annullata dal giudice  competente,
e' obbligatoria). Che la violazione  del  principio  affermato  dalla
Corte di Lussemburgo determini la responsabilita' dello Stato  membro
nei  confronti  dei  singoli  rappresenterebbe,  poi,  un  corollario
necessario al fine di conferire effettivita' al diritto  dell'Unione,
nel quadro del processo di integrazione  europea.  Il  settore  della
concorrenza - entro il quale si colloca la disciplina degli aiuti  di
Stato - e', d'altra parte, tra quelli  maggiormente  interessati  dal
fenomeno di trasferimento della sovranita'  consentito  dall'art.  11
Cost. e in cui, quindi, piu' «pervasiva» e' la presenza  del  diritto
eurounitario. 
    Peraltro,  come  gia'  accennato,  la  Corte  di  giustizia,   in
considerazione della delicatezza e  della  rilevanza  della  funzione
giurisdizionale,    ha    attenuato    la    responsabilita'    dello
«Stato-giudice», affermando che  questa  ricorre  solo  nel  caso  di
violazione «manifesta» del diritto dell'Unione. 
    2.7.-  Con  riferimento,  infine,  al  dubbio   di   legittimita'
costituzionale della legge di ratifica del Trattato di Lisbona, nella
parte in cui, attraverso di essa, avrebbe avuto ingresso il principio
secondo il quale «nell'attivita'  interpretativa  il  giudice  [deve]
tenere conto delle posizioni espresse dalle istituzioni  europee  non
giurisdizionali», il giudice rimettente avrebbe travisato, ancora una
volta, il significato della giurisprudenza della Corte di  giustizia,
la quale non avrebbe, in realta', mai affermato che  il  giudice  sia
vincolato, nella propria interpretazione, dalle valutazioni di organi
non giurisdizionali. 
    Come si evincerebbe chiaramente  dalla  citata  sentenza  Köbler,
nella quale il principio e' stato enunciato, la Corte di giustizia si
e' limitata, in realta', a chiarire che la  scusabilita'  dell'errore
del giudice nazionale e' piu' difficilmente riscontrabile nel caso in
cui egli disponesse di una interpretazione delle norme controverse da
parte di una istituzione  europea  e,  cio'  nonostante,  se  ne  sia
discostato, senza procedere a un rinvio pregiudiziale.  La  Corte  di
giustizia  ha  ritenuto,  peraltro,   riscontrabile   la   violazione
manifesta  del  diritto  dell'Unione  solo  nel  fatto  del   giudice
nazionale di ultima  istanza,  il  quale,  ai  sensi  dell'art.  267,
paragrafo 3, TFUE, ha l'obbligo, e non solo la facolta', di  disporre
il rinvio pregiudiziale: obbligo che - alla luce della giurisprudenza
della   stessa   Corte   di   giustizia    -    sussiste    allorche'
l'interpretazione della norma dell'Unione non  si  imponga  con  tale
evidenza da non dare adito a ragionevoli  dubbi.  Sarebbe,  peraltro,
del  tutto  evidente  come,  in  presenza  di  un'interpretazione  di
un'istituzione europea che contraddica quella che intende seguire  il
giudice nazionale,  si  debba  escludere  che  l'interpretazione  del
diritto dell'Unione non dia adito a «ragionevoli dubbi». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Enna  solleva   questioni   di
legittimita' costituzionale: 
    a) dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008,  n.  130  (Ratifica  ed
esecuzione  del  Trattato  di  Lisbona  che  modifica   il   Trattato
sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea
e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e  dichiarazioni,
fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui: 
    -  «ai  sensi  dell'art.  288»  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del  Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge n.  130  del
2008, «cosi' come interpretato dalla  costante  giurisprudenza  della
Corte di Giustizia, si prevede che  la  decisione  della  Commissione
rivolta agli Stati, ormai divenuta inoppugnabile dinnanzi agli organi
giurisdizionali comunitari, sia obbligatoria e vincolante in tutti  i
suoi elementi, anche per i giudici nazionali»; 
    - «ai sensi dell'art. 267 TFUE,  cosi'  come  interpretato  nella
sentenza della C.G.U.E., 30 settembre 2003, causa 224/01, si  prevede
che nell'attivita' interpretativa il giudice debba tenere conto delle
posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali»; 
    b) dell'art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile  1988,  n.
117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), come modificato
dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18
(Disciplina della  responsabilita'  civile  dei  magistrati),  «nella
parte in cui include tra  le  ipotesi  di  manifesta  violazione  del
diritto  dell'Unione  europea  il  contrasto  tra  un   atto   o   un
provvedimento giudiziario e l'interpretazione espressa dalla Corte di
giustizia dell'Unione europea sulla  vincolativita'  delle  decisioni
della Commissione europea per il giudice nazionale». 
    Ad avviso del rimettente, le disposizioni censurate  violerebbero
gli artt. 101 e 104 della Costituzione,  in  quanto  interferirebbero
sull'indipendenza esterna della magistratura, costituente  attuazione
del principio supremo di separazione  dei  poteri,  consentendo  alle
istituzioni dell'Unione europea di influenzare  i  giudizi  in  corso
anche tramite l'espressione di una mera «posizione» e  l'adozione  di
provvedimenti amministrativi. 
    Le medesime disposizioni si porrebbero,  altresi',  in  contrasto
con l'art. 24 Cost., menomando il diritto alla tutela giurisdizionale
davanti a un giudice indipendente e imparziale: diritto qualificabile
anch'esso come principio supremo dell'ordinamento  costituzionale  e,
dunque, come  "controlimite"  all'ingresso  del  diritto  dell'Unione
europea. 
    2.- Con i quesiti di  legittimita'  costituzionale  sottoposti  a
questa Corte il Tribunale rimettente si duole,  nella  sostanza,  del
fatto che, alla luce della giurisprudenza della  Corte  di  giustizia
dell'Unione  europea,  il  giudice  nazionale  sia  vincolato   dalle
decisioni  della  Commissione  europea  (e,  in  particolare,   dalle
decisioni in materia di aiuti di Stato): e cio'  anche  agli  effetti
dell'insorgenza,   in   caso   di   mancato   adeguamento,   di   una
responsabilita' dello Stato per danni  causati  nell'esercizio  delle
funzioni giudiziarie. In questo modo, il giudice finirebbe per essere
assoggettato alle determinazioni assunte da autorita'  amministrative
europee - quale, appunto, la Commissione - in violazione dei principi
supremi  di  soggezione  del  giudice  soltanto  alla  legge   e   di
indipendenza della magistratura  (artt.  101  e  104  Cost.),  e  con
compromissione, altresi', del diritto di accesso del cittadino  a  un
giudice indipendente e imparziale, desumibile dall'art.  24  Cost.  e
qualificabile   anch'esso   come   principio   supremo    dell'ordine
costituzionale. 
    Secondo il giudice a quo, le questioni  sarebbero  rilevanti  nel
giudizio principale,  avente  ad  oggetto  l'opposizione  al  decreto
ingiuntivo emesso nei confronti di una Azienda sanitaria  provinciale
per il pagamento, a favore  di  un  allevatore,  dell'indennita'  per
l'abbattimento di capi di bestiame infetti prevista dall'art. 1 della
legge della Regione Siciliana 5 giugno 1989, n.  12  (Interventi  per
favorire il risanamento e il reintegro degli  allevamenti  zootecnici
colpiti dalla tubercolosi,  dalla  brucellosi  e  da  altre  malattie
infettive  e  diffusive  e   contributi   alle   associazioni   degli
allevatori).  La   rilevanza   delle   questioni   si   connetterebbe
segnatamente al fatto  che  l'Azienda  sanitaria  ha  dedotto,  quale
motivo preliminare di opposizione, che il fondo previsto dalla citata
legge regionale non era stato reintegrato, a partire  dal  1997,  dal
competente  assessorato  regionale,  in  quanto  gli  indennizzi   in
questione  erano  stati  qualificati  come  «aiuti  di  Stato»  dalla
Commissione europea con la decisione C(2002)4786 dell'11 [recte:  del
6] dicembre 2002. 
    Tale decisione non riguarda, in realta',  direttamente  la  legge
reg. Siciliana n. 12 del 1989, ma successive  disposizioni  regionali
che hanno aumentato i finanziamenti per il pagamento delle indennita'
previste dalla citata legge in  relazione  a  malattie  del  bestiame
verificatesi negli anni dal  1993  al  1997  (cio',  a  fronte  della
riscontrata insufficienza degli stanziamenti precedenti). 
    Nell'occasione,  la  Commissione  ha  fatto  applicazione   degli
indirizzi espressi, in termini generali, nella  comunicazione  2000/C
28/02, relativa agli «orientamenti comunitari per gli aiuti di  Stato
nel settore agricolo»,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  delle
Comunita' Europee del 1° febbraio 2000. In particolare,  ha  rilevato
che l'indennita' in parola, volta a compensare  l'allevatore  per  la
perdita di alcuni capi di bestiame a causa di malattia, rientra nella
nozione di aiuto di Stato delineata dall'art. 87,  paragrafo  1,  del
Trattato che istituisce la Comunita' economica europea (CEE), firmato
a Roma il 25 marzo 1957, entrato in vigore il 1°  gennaio  1958  (ora
art. 107, paragrafo 1, TFUE), trattandosi di  misura  finanziata  con
risorse statali che favorisce il settore  zootecnico  in  Sicilia,  e
pertanto potenzialmente idonea a falsare la concorrenza in un mercato
- quale quello degli animali vivi di specie bovina, ovina e caprina e
delle loro carni - altamente integrato a livello comunitario. 
    Pur deplorando il fatto che all'aiuto fosse stata data esecuzione
prematuramente, in violazione dell'art. 88, paragrafo 3, Trattato CEE
(ora art. 108, paragrafo  3,  TFUE),  la  Commissione  ha,  tuttavia,
approvato la misura (quanto alle  annualita'  considerate)  ai  sensi
dell'art. 87, paragrafo 3, lettera c), Trattato CEE  (ora  art.  107,
paragrafo 3, lettera c, TFUE), in base al quale gli  aiuti  destinati
ad  agevolare  lo  sviluppo  di  talune  attivita'   possono   essere
considerati compatibili con il mercato comune  ove  non  alterino  le
condizioni degli scambi in misura contraria al comune  interesse.  Si
e' ritenuto, infatti, che ricorressero i quattro requisiti  richiesti
a questo fine nel punto 11.4 dei citati «orientamenti»  (presenza  di
una malattia di  interesse  per  le  pubbliche  autorita';  finalita'
preventiva o compensativa  dell'aiuto;  conformita'  dell'aiuto  alla
normativa comunitaria nel  settore  veterinario;  esclusione  di  una
compensazione eccessiva). 
    In simile situazione, il giudice a quo rileva come, ai fini della
risoluzione della  controversia  sottoposta  al  suo  esame,  occorra
valutare se l'indennizzo previsto dalla legge reg.  Siciliana  n.  12
del 1989 sia effettivamente riconducibile alla nozione  di  aiuto  di
Stato: verifica che verrebbe, tuttavia, preclusa al giudice nazionale
dal  censurato  vincolo   di   adeguamento   alle   decisioni   della
Commissione. 
    3.- Le eccezioni di inammissibilita'  delle  questioni  formulate
dall'Avvocatura generale dello Stato non sono fondate. 
    Quanto alla mancata esposizione, da parte del  rimettente,  degli
ulteriori  motivi   dedotti   dall'Azienda   sanitaria   a   sostegno
dell'opposizione a decreto ingiuntivo oggetto del giudizio principale
e delle ragioni della loro eventuale infondatezza, va  rilevato  come
il giudice a quo abbia riferito che il motivo basato sul carattere di
aiuto di Stato della misura in discussione - al quale  ineriscono  le
questioni sollevate  -  assume  rilievo  preliminare  ai  fini  della
decisione della controversia. Si tratta di valutazione che,  per  sua
natura, compete al giudice rimettente e che giustifica  -  sul  piano
dell'assolvimento  dell'onere  di  motivazione  sulla   rilevanza   -
l'omessa analisi del complesso  delle  altre  doglianze  della  parte
opponente. 
    L'ulteriore eccezione della difesa  dell'interveniente,  connessa
al carattere, in assunto, lacunoso e incompleto  della  ricostruzione
del quadro normativo  di  riferimento  operata  dal  giudice  a  quo,
attiene, nella specie, piu' propriamente al merito delle questioni. 
    4.- Nel merito, le questioni aventi ad oggetto l'art. 2 legge  n.
130 del 2008 non sono fondate. 
    4.1.- Al riguardo, giova preliminarmente  rammentare  che  l'art.
107 TFUE vieta, in linea di principio - dichiarandoli  «incompatibili
con il mercato interno» - «gli aiuti  concessi  dagli  Stati,  ovvero
mediante  risorse  statali,  sotto  qualsiasi  forma»  (formula   che
abbraccia   pacificamente   anche   gli    aiuti    provenienti    da
amministrazioni pubbliche non centrali, quali Regioni  o  altri  enti
territoriali) «che, favorendo talune  imprese  o  talune  produzioni,
falsino o minaccino di falsare la concorrenza», «nella misura in  cui
incidano sugli scambi tra Stati membri». 
    Il divieto non e', tuttavia, assoluto e incondizionato. Lo stesso
art. 107 TFUE prevede, infatti, una serie di deroghe,  distinguendole
in due categorie: da un lato, le ipotesi di compatibilita' "di  pieno
diritto",  ricorrendo  le  quali  la  Commissione   non   ha   poteri
discrezionali in merito (paragrafo 2), dall'altro, i  casi  di  aiuti
"potenzialmente compatibili",  i  quali  possono  essere  autorizzati
all'esito di una valutazione discrezionale delle istituzioni  europee
(paragrafo 3). 
    Il successivo art. 108 TFUE prefigura una rigorosa  procedura  di
controllo sulla compatibilita' degli  aiuti  con  la  disciplina  del
Trattato, che vede come protagonista la Commissione e che  si  svolge
con modalita' diverse, secondo che si tratti di aiuti gia'  esistenti
ovvero di aiuti nuovi (nozione che abbraccia anche  le  modifiche  di
aiuti esistenti). 
    In base alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, la
valutazione della compatibilita' di un aiuto di Stato con il  mercato
interno rientra nella competenza  esclusiva  della  Commissione,  che
opera sotto il controllo del giudice dell'Unione, con la  conseguenza
che ai giudici nazionali non e' consentito pronunciarsi sul punto (ex
plurimis, Corte di giustizia, sentenza  26  ottobre  2016,  in  causa
C590/14 P, Dimosia Epicheirisi Ilektrismou AE; sentenza 15  settembre
2016, in causa C574/14, PGE Gornictwo i Energetyka Konwencjonalna SA;
sentenza 19 marzo 2015, in causa C672/13, OTP Bank Nyrt). 
    Nell'attuazione del sistema del controllo degli aiuti, ai giudici
nazionali  spetta  un  ruolo  "complementare  e  distinto".  Ad  essi
compete, in specie, la salvaguardia, fino alla  decisione  definitiva
della Commissione, dei diritti dei singoli in caso  di  inadempimento
dell'obbligo di notifica preventiva della misura alla Commissione  da
parte degli Stati membri, previsto dall'art. 108, paragrafo 3,  TFUE.
A tal fine, i giudici nazionali possono interpretare e  applicare  la
nozione di «aiuto di Stato» per valutare se un provvedimento adottato
senza seguire il procedimento di controllo preventivo debba esservi o
meno soggetto, salva restando, in caso di dubbio, la possibilita'  di
chiedere  chiarimenti  alla  Commissione  o,   in   alternativa,   di
sottoporre la questione in via pregiudiziale alla Corte di  giustizia
(facolta', quest'ultima, che diviene un  obbligo  ove  si  tratti  di
giudice di ultima istanza,  ai  sensi  dell'art.  267,  paragrafo  3,
TFUE).  Inoltre,  spetta  ai  giudici  nazionali  trarre   tutte   le
conseguenze della violazione del citato art. 108, paragrafo 3,  TFUE,
sia per quanto  riguarda  la  validita'  degli  atti  che  comportano
l'attuazione delle  misure  di  aiuto,  sia  per  quanto  attiene  al
recupero degli aiuti concessi in violazione di tale norma. 
    Sempre per  affermazione  della  Corte  di  giustizia,  in  forza
dell'art. 288, paragrafo 4, TFUE, la decisione della Commissione, una
volta intervenuta - e fin  tanto  che  non  venga  rimossa  nei  modi
previsti (profilo sul quale si  tornera'  poco  piu'  avanti)  -  e',
peraltro, obbligatoria in tutti i suoi  elementi  (dunque,  anche  in
relazione alla qualificazione della misura come aiuto di  Stato)  nei
confronti dello Stato destinatario. L'obbligatorieta' vale per  tutti
gli organi dello Stato,  compresi  i  giudici  (Corte  di  giustizia,
sentenza 13 febbraio 2014, in causa C69/13, Mediaset spa),  imponendo
loro - in base al principio di "primazia" del diritto  dell'Unione  -
di non  applicare  le  norme  interne  contrastanti  (che  potrebbero
ostacolare, cioe', l'attuazione della decisione stessa)  (in  termini
generali, Corte di giustizia,  sentenza  21  maggio  1987,  in  causa
249/85, Albako). 
    Si tratta di conclusione recepita in modo  uniforme  anche  dalla
giurisprudenza della Corte  di  cassazione  (tra  le  altre,  sezione
lavoro, sentenza 5 settembre 2013, n. 20413; sezione  quinta  civile,
12 settembre 2012, n. 15207; sezione quinta civile, 11  maggio  2012,
n. 7319). 
    4.2.- Cio' premesso, con particolare riguardo ai modi con i quali
possono essere fatti valere eventuali vizi che inficino la  decisione
della Commissione, occorre muovere  dal  rilievo  che,  per  costante
giurisprudenza della Corte di giustizia, i giudici nazionali non sono
competenti a dichiarare l'invalidita' degli  atti  delle  istituzioni
dell'Unione  (ex  plurimis,  Corte  di  giustizia,  grande   sezione,
sentenza 18 luglio 2007, in  causa  C-119/05,  Lucchini  spa;  grande
sezione, sentenza 10 gennaio 2006, in causa  C-344/04,  International
Air Transport Association e altro). Al fine di  garantire  l'uniforme
applicazione del diritto dell'Unione, l'art.  263  TFUE  attribuisce,
infatti, in via esclusiva il controllo  sulla  legittimita'  di  tali
atti  alla  Corte  di  giustizia.  Si  tratta  di  una  regola  sulla
giurisdizione che - lungi dall'attentare  ai  «principi  supremi»  di
soggezione del giudice  alla  sola  legge  e  di  indipendenza  della
magistratura - si correla alla partecipazione dell'Italia  all'Unione
europea,  trovando  copertura  nel  quadro   delle   limitazioni   di
sovranita' consentite dall'art. 11 Cost. 
    Cio' non significa, peraltro, che il giudice nazionale, il quale,
per motivi dedotti dalle parti o  rilevati  d'ufficio,  dubiti  della
validita' di un atto delle istituzioni dell'Unione - e, in specie, di
una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato - debba,
cio' nonostante, uniformarsi senz'altro ad essa. Al contrario, in tal
caso egli puo' - e anzi deve - sospendere  il  giudizio  in  corso  e
investire la Corte di giustizia di un procedimento pregiudiziale  per
accertamento di validita',  ai  sensi  dell'art.  267,  paragrafo  1,
lettera b), TFUE (per tutte, Corte di giustizia, grande  sezione,  10
gennaio  2006,  in  causa  C-344/04,  International   Air   Transport
Association e altro; sentenza  22  ottobre  1987,  in  causa  314/85,
Foto-Frost). 
    4.3.- Il rimettente si duole, nondimeno, specificamente del fatto
che - alla luce di quanto affermato tanto dalla Corte  di  giustizia,
quanto dalla giurisprudenza di legittimita' - il rinvio pregiudiziale
di validita' non sia ammesso quando ci si trovi a fronte di decisioni
ormai  definitive,  in  quanto  non   impugnate   ne'   dallo   Stato
destinatario, ne' dai privati interessati con ricorso di annullamento
nel termine previsto dall'art. 263, paragrafo 6, TFUE (due mesi dalla
notificazione o  dalla  conoscenza  dell'atto),  cosi'  come  sarebbe
avvenuto - in assunto - nel caso oggetto del giudizio principale. 
    La doglianza non e', tuttavia, fondata, proprio alla  luce  della
giurisprudenza richiamata. 
    L'art. 263 TFUE consente, in effetti, di proporre il  ricorso  di
annullamento non solo agli Stati membri e  alle  istituzioni  europee
(paragrafo 2), ma anche ai privati  («[q]ualsiasi  persona  fisica  o
giuridica»), quando si tratti di atti adottati nei loro confronti,  o
che li riguardino «direttamente e individualmente» (paragrafo 4). 
    A fronte di cio', la Corte  di  giustizia  -  con  giurisprudenza
costante, a partire dalla sentenza 9 marzo 1994, in  causa  C-188/92,
TWD Textilwerke Deggendorf - ha affermato che il soggetto legittimato
ad impugnare una decisione della Commissione in materia di  aiuti  di
Stato, il quale abbia  lasciato  inutilmente  decorrere  il  relativo
termine perentorio,  non  puo'  poi  contestare  la  validita'  della
decisione davanti ai giudici nazionali (in tal senso, tra  le  molte,
Corte di giustizia, sentenza 5 marzo 2015, in  causa  C667/13,  Banco
Privado Português SA e altro; sentenza 9  giugno  2011,  nelle  cause
riunite C-71/09 P, C-73/09 P e C-76/06  P,  Comitato  «Venezia  vuole
vivere» e altri; grande sezione, 18 luglio 2007, in  causa  C-119/05,
Lucchini spa). Tale preclusione  non  implica,  peraltro,  affatto  -
nemmeno essa -  una  subordinazione  della  funzione  giurisdizionale
(nazionale) a quella amministrativa (europea),  ma  discende  -  come
chiaramente indicato  dalla  stessa  Corte  di  giustizia  -  da  una
elementare  esigenza  di  certezza  del  diritto  (evitare  che  atti
dell'Unione, produttivi di effetti giuridici, possano essere messi in
discussione  all'infinito).  Adottando   una   soluzione   contraria,
infatti, l'interessato  potrebbe  agevolmente  eludere  il  carattere
definitivo della  decisione  nei  suoi  confronti,  conseguente  alla
scadenza del  termine  perentorio  di  impugnazione,  contestando  in
qualsiasi tempo la validita' dell'atto davanti al giudice  nazionale,
in  modo  da  indurlo  (o  da  obbligarlo)  a  proporre   un   rinvio
pregiudiziale di validita' (in senso conforme,  nella  giurisprudenza
di legittimita', Corte  di  cassazione,  sezione  quinta  civile,  11
maggio 2012, n. 7319, citata dallo stesso rimettente). 
    La preclusione in parola opera,  peraltro  -  sempre  secondo  la
richiamata,  costante  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  -
soltanto nei confronti del soggetto che era legittimato  a  impugnare
direttamente la  decisione.  Alla  luce  della  ricordata  previsione
dall'art. 263, paragrafo 4, TFUE, nel campo degli aiuti di Stato tale
legittimazione sussiste solo quando si discuta di un aiuto  di  Stato
individuale  o,  comunque  sia,  quando  si  possa  ritenere  che  la
decisione concerna specificamente il soggetto a causa di  determinate
sue qualita'  particolari  o  di  una  situazione  di  fatto  che  lo
caratterizza rispetto a qualsiasi altro e, quindi,  lo  individua  in
modo analogo al destinatario della decisione stessa. In  presenza  di
un regime di aiuti rivolto  a  un  determinato  settore,  non  basta,
quindi, che il soggetto eserciti un'impresa appartenente  al  settore
interessato e sia,  percio',  un  beneficiario  meramente  potenziale
della misura, affinche' egli possa ritenersi abilitato a impugnare in
via diretta la decisione della Commissione inerente  a  detto  regime
(ex plurimis, Corte di giustizia,  sentenza  17  settembre  2015,  in
causa C33/14 P, Mory SA e altri; sentenza 29 aprile  2004,  in  causa
C-298/00 P, Italia contro  Commissione;  sentenza  19  ottobre  2000,
nelle cause riunite C-15/98  e  C-105/99,  Italia  e  Sardegna  Lines
contro Commissione). In una simile evenienza, quindi, la  preclusione
a  dedurre  l'illegittimita'  della  decisione  davanti  ai   giudici
nazionali non scatta. 
    Proprio questa e', in effetti - con ogni evidenza - la situazione
che ricorre nel giudizio a quo. Nella specie, si discute, infatti, di
un regime di indennizzi destinato in modo indifferenziato a tutti gli
allevatori di bovini,  ovini  e  caprini  siciliani:  regime  che  ha
assunto rilievo in capo all'allevatore ingiungente solo  nel  momento
in cui, avendo abbattuto dei capi di bestiame infetti,  si  e'  visto
denegare  il  beneficio.   Contrariamente   a   quanto   si   afferma
nell'ordinanza di rimessione, nessun ostacolo incontra,  dunque,  per
questo verso, l'eventuale rinvio pregiudiziale di validita' da  parte
del giudice rimettente. E cio' a  prescindere  dal  rilievo  che,  in
qualche pronuncia, la Corte di giustizia ha ritenuto che  il  giudice
possa proporre, comunque sia, il rinvio  pregiudiziale  di  validita'
d'ufficio, allorche' le parti del giudizio, legittimate  a  impugnare
la decisione della Commissione e decadute dalla relativa facolta' per
scadenza del termine,  non  ne  abbiano  fatto  richiesta  (Corte  di
giustizia, sentenza 10 gennaio 2006,  in  causa  C-222/04,  Cassa  di
Risparmio di Firenze spa e altri). 
    4.4.- Il sistema in discorso - che, per quanto  detto,  non  reca
alcun vulnus ai principi espressi dagli artt. 101 e 104 Cost.  -  non
menoma  neppure  l'evocato  «diritto  di  accesso   a   un   giudice»
(indipendente e imparziale) da parte del soggetto interessato, che il
rimettente ricollega alla previsione dell'art. 24 Cost. 
    La Corte di  giustizia  ha  sottolineato,  in  effetti,  in  piu'
occasioni come il  sistema  di  tutela  giurisdizionale  dell'Unione,
fondato su due livelli - europeo e nazionale - tra loro  comunicanti,
sia completo e coerente (per tutte, Corte di  giustizia,  sentenza  5
ottobre 2006, in causa C-232/05, Commissione  contro  Francia).  Alla
sua stregua, infatti, il privato che vi  abbia  interesse  beneficia,
comunque sia, (almeno) di  un  rimedio  processuale  per  far  valere
l'illegittimita'  delle  decisioni  della  Commissione.   Egli   puo'
ricorrere direttamente alla Corte  di  giustizia  per  l'annullamento
dell'atto, se attinto da esso in modo diretto e individualizzato;  in
caso contrario, puo' contestare, comunque sia - indipendentemente dal
termine per il ricorso di annullamento - la sua validita' davanti  ai
giudici nazionali, affinche' chiedano alla Corte di  pronunciarsi  al
riguardo con domanda pregiudiziale. 
    4.5.- Alla luce delle considerazioni che precedono, le  questioni
relative all'art. 2 della legge n. 130  del  2008  vanno  dichiarate,
dunque, non fondate. 
    5.- Le medesime considerazioni rendono,  altresi',  inammissibili
per difetto di rilevanza le questioni aventi  ad  oggetto  l'art.  2,
commi 3 e 3-bis, legge n. 117 del 1988,  nel  testo  novellato  dalla
legge n. 18 del 2015. 
    Tali  disposizioni  sono,  infatti,   censurate   dal   Tribunale
rimettente nella parte in cui si prestano a configurare come  ipotesi
significativa, ai fini dell'insorgenza  di  una  responsabilita'  per
danni  conseguenti  all'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie,  «il
contrasto  tra   un   atto   o   un   provvedimento   giudiziario   e
l'interpretazione  espressa  dalla  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea  sulla  vincolativita'  delle  decisioni  della   Commissione
europea per il giudice nazionale». L'insussistenza, nel caso  oggetto
del giudizio a quo - per le ragioni dianzi indicate - dell'obbligo di
adeguamento alla decisione della Commissione europea  in  materia  di
aiuti  di  Stato,  nei  termini  in  cui  e'  postulato  dal  giudice
rimettente, fa si' che le questioni  risultino  senz'altro  prive  di
rilevanza,   venendo   meno   il   presupposto    della    ipotizzata
responsabilita' civile. 
    Per  tale  assorbente  motivo,  la   ragione   pregiudiziale   in
precedenza indicata, le questioni relative  all'art.  2,  commi  3  e
3-bis, legge n. 117 del 1988, nel testo novellato dalla legge  n.  18
del 2015, vanno dichiarate, dunque, inammissibili.