ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma l,
lettera c), della legge della Regione Campania 28 luglio 2017, n. 22,
recante   «Disposizioni   sui   tempi   per   gli    interventi    di
riqualificazione ambientale delle cave ricadenti in aree di crisi  ed
in Zone Altamente Critiche (ZAC) e per le cave abbandonate del  Piano
Regionale delle Attivita' Estrattive. Modifiche alla legge  regionale
13 dicembre 1985, n. 54», promosso dal Presidente del  Consiglio  dei
ministri con ricorso  notificato  il  29  settembre-4  ottobre  2017,
depositato in cancelleria il 4 ottobre 2017, iscritto al  n.  78  del
registro ricorsi 2017 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Campania; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  3  luglio  2018  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei  ministri  e  l'avvocato  Lidia  Buondonno  per  la
Regione Campania. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  ricorso  notificato  il  29  settembre-4  ottobre  2017,
depositato il 4 ottobre 2017 e iscritto al n. 78 del registro ricorsi
del 2017, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
l'art. 2, comma l, lettera c), della legge della Regione Campania  28
luglio  2017,  n.  22,  recante  «Disposizioni  sui  tempi  per   gli
interventi di riqualificazione ambientale  delle  cave  ricadenti  in
aree di crisi ed in Zone Altamente  Critiche  (ZAC)  e  per  le  cave
abbandonate del Piano Regionale delle Attivita' Estrattive. Modifiche
alla legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54». 
    La norma impugnata modifica l'art. 25 delle norme  di  attuazione
del «Piano Regionale  delle  Attivita'  estrattive  (P.R.A.E.  2006)»
aggiungendo alla fine del comma 20 - il quale  cosi'  prevede:  «Ogni
consorzio, istituito nel singolo comparto delle aree suscettibili  di
nuove estrazioni, deve provvedere, qualora le  cave  abbandonate  non
sono coltivate dal proprietario o titolare di un diritto equipollente
e siano da affidare in regime concessorio, alla  loro  ricomposizione
ambientale in misura  corrispondente  ad  una  superficie  estrattiva
complessiva non inferiore ai 17,5 Ha con possibilita' di coltivazione
e di commercializzazione del materiale estratto per  un  periodo  non
superiore ai 3 anni riferito alla singola cava» - le seguenti parole:
«prorogabile di ulteriori 3 anni. L'istanza di  proroga  deve  essere
presentata prima della scadenza prevista, deve essere in relazione  a
particolari  circostanze  non  dipendenti  dalla  volonta'  o   dalle
capacita' degli esercenti, deve essere  opportunamente  dimostrata  e
puo' essere rilasciata dal dirigente competente a condizione che  non
siano apportate modifiche sostanziali al progetto su cui  sono  stati
espressi i pareri della Conferenza di  servizi  e  di  compatibilita'
ambientale». 
    Avverso tale  disposizione  il  Governo  solleva  due  ordini  di
censure. 
    In primo luogo, la norma  denunciata  -  consentendo  la  proroga
delle concessioni aventi  ad  oggetto  la  ricomposizione  ambientale
delle  cave  abbandonate   con   possibilita'   di   coltivazione   e
commercializzazione dei materiali estratti - violerebbe  l'art.  117,
primo  comma,  della  Costituzione,  per  contrasto  con  i  «vincoli
derivanti  dall'ordinamento  comunitario»  in  tema  di  liberta'  di
stabilimento e di tutela della concorrenza dettati dall'art. 12 della
direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio  del  12
dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, i cui principi
sono stati attuati dagli artt. 14 e 16  del  decreto  legislativo  26
marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai
servizi nel  mercato  interno).  A  sostegno  della  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale sono  citati  i  precedenti  di  questa
Corte n. 117 del 2015, n. 2 del 2014, n. 171 del  2013,  n.  114  del
2012, n. 213 del 2011, n. 340 e n. 233 del 2010, nonche' la  sentenza
del 14 luglio 2016 della Corte di Giustizia,  quinta  sezione,  nelle
cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl e altri. 
    Sotto altro aspetto, l'articolo censurato eccederebbe la potesta'
legislativa regionale, sia  perche'  i  citati  parametri  interposti
sarebbero espressivi della sfera di competenza esclusiva dello  Stato
in materia di  «tutela  della  concorrenza»,  sia  perche'  (piu'  in
generale)  la  disciplina  dei  contratti  pubblici  dovrebbe  essere
ricondotta alle materie della «tutela della concorrenza» (per  quanto
concerne la disciplina delle procedure di gara)  e  dell'«ordinamento
civile» (con riguardo alla definizione e all'esecuzione del  rapporto
contrattuale) di cui all'art. 117, secondo comma, lettere e)  ed  l),
Cost. 
    1.1.- Con la memoria depositata in vista  dell'udienza  pubblica,
il  Governo  in  replica  alla  difesa  regionale  ha  insistito  per
l'accoglimento del ricorso. 
    2.- La Regione Campania si e' costituita in  giudizio,  eccependo
l'inammissibilita' del ricorso e la sua infondatezza. 
    2.1.- Con memoria depositata il 7  giugno  2018,  la  Regione  ha
rilevato in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso in  quanto
carente  di  adeguata  argomentazione  a   sostegno   delle   censure
prospettate, limitandosi l'impugnativa del Governo  a  individuare  i
parametri costituzionali ritenuti violati. 
    Nel merito il ricorso sarebbe comunque infondato. 
    L'intervento  normativo  in   contestazione,   finalizzato   allo
sviluppo razionale e  qualificato  delle  attivita'  estrattive,  non
interverrebbe sui presupposti di concessione  o  autorizzazione  alla
coltivazione delle cave, limitandosi a prevedere la possibilita'  per
i consorzi gia'  esercenti  l'attivita'  estrattiva  di  ottenere  un
eventuale  allungamento  dei  termini  per  il  completamento   delle
attivita' di ricomposizione ambientale, per un tempo congruo (e  sino
ad un massimo di 3 anni) e  commisurato  alle  esigenze  contingenti,
ferme restando  le  condizioni,  i  vincoli  e  le  prescrizioni  del
rapporto originario. 
    La Regione aggiunge che l'istanza di allungamento dei termini non
verrebbe concessa  automaticamente  al  richiedente,  essendo  invece
assoggettata a una valutazione,  affidata  all'autorita'  competente,
circa la sussistenza di «particolari circostanze non dipendenti dalla
volonta' o dalle capacita' degli esercenti». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo  dell'art.  2,
comma l, lettera c), della legge della  Regione  Campania  28  luglio
2017, n. 22, recante «Disposizioni sui tempi per  gli  interventi  di
riqualificazione ambientale delle cave ricadenti in aree di crisi  ed
in Zone Altamente Critiche (ZAC) e per le cave abbandonate del  Piano
Regionale delle Attivita' Estrattive. Modifiche alla legge  regionale
13 dicembre 1985, n.  54»,  in  riferimento  all'art.  117,  primo  e
secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione. 
    2.- Preliminarmente, va respinta l'eccezione di  inammissibilita'
del ricorso. 
    Contrariamente all'assunto della Regione resistente, secondo  cui
l'atto introduttivo del  giudizio  sarebbe  privo  di  una  «adeguata
motivazione che dimostri le violazioni contestate», le doglianze  del
ricorrente - oltre  a  individuare  con  precisione  la  disposizione
impugnata, i  parametri  costituzionali  e  la  normativa  interposta
ritenuta rilevante - illustrano con sufficiente chiarezza le  ragioni
poste a fondamento delle  promosse  questioni  di  costituzionalita'.
L'affermazione secondo cui la proroga automatica delle concessioni in
esame, impedendo l'ingresso di altri potenziali  operatori  economici
nel mercato, costituirebbe una barriera  all'accesso  non  consentita
dal diritto  europeo,  il  quale  prescriverebbe  procedure  di  gara
trasparenti e ripetute anche per  il  conseguimento  del  diritto  di
gestire beni  o  risorse  pubbliche  scarse,  viene  argomentata  con
plurimi riferimenti giurisprudenziali e normativi. 
    3.- Con la prima censura, il Governo sostiene che la disposizione
regionale -  consentendo  la  proroga  delle  concessioni  aventi  ad
oggetto la  ricomposizione  ambientale  delle  cave  abbandonate  con
possibilita' di  coltivazione  e  commercializzazione  dei  materiali
estratti - violerebbe l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  quanto  si
porrebbe  in  contrasto  con  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario in tema di liberta' di stabilimento  e  di  tutela  della
concorrenza dettati dall'art. 12 della direttiva 12 dicembre 2006, n.
2006/123/CE  (direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del   Consiglio
relativa ai servizi nel mercato interno), come attuato dagli artt. 14
e 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59  (Attuazione  della
direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). 
    3.1. - La questione non e' fondata. 
    3.2.- Non vi e' dubbio  che  anche  l'attivita'  di  sfruttamento
delle cave ricada nel campo applicativo della direttiva  2006/123/CE,
attuata dal d.lgs. n. 59 del 2010, dal momento che tali  fonti  hanno
ad   oggetto   «qualunque   attivita'   economica,    di    carattere
imprenditoriale   o   professionale,   svolta   senza   vincolo    di
subordinazione, diretta allo scambio di  beni  o  alla  fornitura  di
altra prestazione» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 59 del  2010).  La
citata disposizione riguarda in particolare il caso specifico in  cui
il numero di «autorizzazioni»  -  come  vanno  qualificate  anche  le
concessioni, in quanto atti formali che i prestatori devono  ottenere
dalle autorita' competenti per esercitare un'attivita'  (considerando
n. 39 e art. 4, n. 6, della direttiva 2006/123/CE) - sia  limitato  a
causa della  scarsita'  delle  risorse  naturali  o  delle  capacita'
tecniche utilizzabili. 
    Al fine  di  garantire  la  libera  circolazione  dei  servizi  e
l'apertura del mercato a una concorrenza non  falsata  e  piu'  ampia
possibile negli Stati membri, l'art. 12  prevede  l'obbligo  per  gli
Stati membri di adottare «una procedura di selezione tra i  candidati
potenziali, che presenti garanzie di imparzialita' e di trasparenza e
preveda, in particolare,  un'adeguata  pubblicita'  dell'avvio  della
procedura e del suo svolgimento e  completamento»  e  il  conseguente
rilascio di un'«autorizzazione»  per  una  durata  adeguata,  ma  pur
sempre limitata, senza possibilita' di  «prevedere  la  procedura  di
rinnovo automatico», ne' di «accordare altri vantaggi  al  prestatore
uscente o a persone  che  con  tale  prestatore  abbiano  particolari
legami». 
    In definitiva, alla luce  del  diritto  europeo,  la  regolazione
dell'accesso ai mercati in base a concessione e' compatibile  con  il
principio  della  concorrenza  a  condizione  che:  la   scelta   del
concessionario   avvenga   in   base   a   criteri   oggettivi,   non
discriminatori e nell'ambito di procedure di evidenza  pubblica;  non
sia previsto alcun  diritto  di  proroga  automatico  in  favore  del
titolare  della  concessione  scaduta  o  in   scadenza,   il   quale
sottrarrebbe, di fatto, il rinnovo della concessione  demaniale  alle
garanzie di tutela della concorrenza; la durata delle concessioni non
sia  eccessivamente  lunga,  in  quanto  durate  eccessive  stimolano
gestioni  inefficienti;  non  vengano  riconosciute  esclusive,   ne'
preferenze, nel conferimento o rinnovo delle concessioni. 
    In applicazione di tali principi, questa Corte  ha  ripetutamente
affermato che il rinnovo o la proroga  automatica  delle  concessioni
del demanio marittimo (sentenze n. 40 del 2017, n. 171 del  2013,  n.
213 del 2011) e idrico (sentenza n. 114 del 2012) viola  l'art.  117,
primo  comma,  Cost.,  per  contrasto   con   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario in tema di liberta' di stabilimento e di
tutela della concorrenza, dal momento che coloro  che  in  precedenza
non gestivano il bene  demaniale  non  hanno  la  possibilita',  alla
scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio  gestore
se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza
un valido programma di investimenti. 
    Queste conclusioni sono state avvalorate dalla Corte di Giustizia
che, con la sentenza del 14 luglio 2016 nelle cause riunite  C-418/14
e C-67/15, Promoimpresa srl e  altri,  ha  statuito  che  il  diritto
dell'Unione europea osta a che le concessioni per  l'esercizio  delle
attivita'  turistico-ricreative  nelle  aree  demaniali  marittime  e
lacustri siano prorogate in modo automatico in assenza  di  qualsiasi
procedura di selezione dei potenziali candidati. 
    3.3.- La citata disciplina in tema di contendibilita' dei  titoli
concessori non e' tuttavia evocata in modo pertinente con riferimento
alla fattispecie normativa qui in contestazione, che non determina in
realta'  alcuna  alterazione  ingiustificata  degli   equilibri   del
mercato, come emerge  con  chiarezza  dall'analisi  della  disciplina
regionale in cui si inquadra la disposizione censurata. 
    La  legge  della  Regione  Campania  13  dicembre  1985,  n.   54
(Coltivazione di cave e torbiere), come modificata dalla legge  della
Regione Campania 13 aprile 1995, n.  17  (Modifiche  ed  integrazioni
alla  legge  regionale  13  dicembre  1985,  n.  54,  concernente  la
disciplina della coltivazione  delle  cave  e  delle  torbiere  nella
Regione  Campania)  disciplina  la  funzione  di   pianificazione   e
localizzazione territoriale delle attivita' estrattive.  Nel  sistema
in essa delineato, la  coltivazione  e'  consentita  solo  quando  la
trasformazione del suolo che essa comporta  e'  prevista  dal  «piano
regionale  delle  attivita'  estrattive»  (P.R.A.E.,  approvato   con
ordinanze 7 giugno  2006,  n.  11,  e  6  luglio  2006,  n.  12,  del
Commissario ad acta). Nell'ottica di contemperare le  esigenze  della
produzione  con  quelle  di  tutela  dell'assetto  del  territorio  e
dell'ambiente, il piano: delimita le aree potenzialmente utilizzabili
a fini estrattivi; stabilisce  i  tipi  e  le  quantita'  massime  di
sostanze estraibili rapportati ai  fabbisogni  stimati  del  mercato;
indica  i  criteri  e  le  metodologie  per  la  coltivazione  e   la
ricomposizione ambientale delle cave  nuove  e  per  il  recupero  di
quelle abbandonate; indica i criteri per le destinazioni finali delle
cave a sistemazione avvenuta, perseguendo, ove possibile, il restauro
naturalistico, gli usi pubblici e gli usi sociali (art. 2 della legge
reg. Campania n. 54 del 1985). 
    L'art. 4 della medesima  legge  regionale  definisce  altresi'  i
titoli  che   legittimano   la   coltivazione   dei   giacimenti,   e
segnatamente: l'autorizzazione cui e' subordinata la coltivazione dei
giacimenti in disponibilita' dei privati o  di  enti  pubblici  e  la
concessione cui e'  invece  subordinata  la  coltivazione  di  quelli
appartenenti al patrimonio indisponibile di enti pubblici o di quelli
privati quando il proprietario non intraprenda l'attivita' o  non  vi
dia sufficiente sviluppo. 
    La scelta del concessionario avviene a seguito  di  procedura  di
gara ad evidenza pubblica, svolta secondo  il  criterio  dell'offerta
economicamente piu'  vantaggiosa,  al  fine  di  valutare,  non  solo
l'offerta economica,  ma  anche  altri  aspetti,  quali  l'esperienza
pregressa, gli ulteriori requisiti di capacita' tecnica  economica  e
finanziaria  e  le  modalita'  di  esecuzione  degli  interventi   di
coltivazione e di ricomposizione ambientale (art. 11, comma 3,  delle
norme di attuazione del P.R.A.E.). 
    Le istanze di autorizzazione o di concessione sono  corredate  da
un progetto di recupero ambientale contenente l'insieme di azioni che
si intendono realizzare per il recupero e il ripristino dell'area  di
cava una volta dismessa  l'attivita'  estrattiva.  La  ricomposizione
ambientale,  in  particolare,   deve   prevedere:   la   sistemazione
idrogeologica, cioe' la modellazione  del  terreno  atta  ad  evitare
frane o ruscellamenti e le misure  di  protezione  dei  corpi  idrici
suscettibili di inquinamento; il risanamento paesaggistico, cioe'  la
ricostituzione dei  caratteri  generali  ambientali  e  naturalistici
dell'area, in rapporto con la situazione preesistente e  circostante;
la restituzione del terreno agli usi produttivi agricoli, analoghi  a
quelli precedentemente praticati (art. 9 della legge reg. Campania n.
54 del 1985). A garanzia dell'esecuzione delle opere per il  recupero
ambientale  sono  imposti  il  versamento  di  una  cauzione   o   la
prestazione di idonee garanzie a carico del richiedente relativamente
agli interventi atti a garantire il recupero o la ricomposizione  del
paesaggio naturale alterato (art. 6 della medesima legge reg. e  art.
13 delle norme di attuazione del P.R.A.E.). 
    Le aree suscettibili di nuove estrazioni -  ovvero  le  «porzioni
del territorio regionale  in  cui  sono  presenti  una  o  piu'  cave
autorizzate   nelle   quali   sono   consentiti    la    prosecuzione
dell'attivita' estrattiva, l'ampliamento o l'apertura di  nuove  cave
nel rispetto dei criteri di soddisfacimento del fabbisogno  regionale
calcolato per provincia» -  sono  suddivise  in  comparti  estrattivi
aventi un'estensione massima di 35 Ha (ettari) (art. 25  delle  norme
di attuazione del P.R.A.E.). 
    All'interno di ciascun comparto, il rilascio delle autorizzazioni
e concessioni estrattive  e'  subordinato  alla  costituzione  di  un
consorzio obbligatorio tra tutti gli  aventi  titolo  e  alla  previa
approvazione di un progetto unitario di gestione produttiva (art.  24
della legge reg. Campania n. 54 del 1985 e art.  21  delle  norme  di
attuazione del P.R.A.E.). 
    Al  consorzio  obbligatorio  e'  imposto  un  preciso  onere   di
attivita'  con  riferimento  alle  «cave  abbandonate»  -  per   tali
dovendosi intendere, ai sensi dell'art. 3 delle norme  di  attuazione
del P.R.A.E., quelle in cui l'attivita' estrattiva e'  cessata  prima
dell'entrata in vigore  della  legge  regionale  n.  54  del  1985  -
ricadenti all'interno del comparto. Qualora esse non siano  coltivate
dal  proprietario,  il   consorzio   deve   provvedere   alla   «loro
ricomposizione ambientale in misura corrispondente ad una  superficie
estrattiva complessiva non inferiore ai 17,5 Ha con  possibilita'  di
coltivazione e di commercializzazione del materiale estratto  per  un
periodo non superiore ai 3 anni riferito alla  singola  cava.»  (art.
25, comma 20, delle norme di attuazione del P.R.A.E.). 
    Tutto quanto precisato e'  rilevante  per  una  corretta  lettura
della disposizione regionale impugnata, la quale - intervenendo sulle
norme tecniche di attuazione del piano - si limita ad aggiungere alla
disposizione da ultimo citata che la coltivazione coatta  delle  cave
abbondonate e' «prorogabile  di  ulteriori  3  anni»  e  a  precisare
altresi' che «[l]'istanza di proroga  deve  essere  presentata  prima
della scadenza prevista,  deve  essere  in  relazione  a  particolari
circostanze non dipendenti dalla volonta'  o  dalle  capacita'  degli
esercenti,  deve  essere  opportunamente  dimostrata  e  puo'  essere
rilasciata dal  dirigente  competente  a  condizione  che  non  siano
apportate  modifiche  sostanziali  al  progetto  su  cui  sono  stati
espressi i pareri della Conferenza di  servizi  e  di  compatibilita'
ambientale». 
    3.4.-  Con  la  descritta  disciplina  dunque,  sul   ragionevole
presupposto che non sussiste un mercato disponibile a investire nello
sfruttamento di un bene ormai divenuto infruttifero  quale  una  cava
abbandonata, e' prescritto ai proprietari e ai concessionari  (scelti
con  gara)  delle  cave  attive  situate  all'interno  del   comparto
estrattivo di riunirsi in  consorzio  e  di  provvedere  al  recupero
ambientale delle cave  abbandonate,  quale  condizione  per  ottenere
l'autorizzazione o la concessione. Il titolo abilitativo (concessorio
o  autorizzatorio)  allo  svolgimento  dell'impresa  estrattiva,  pur
avendo un effetto ampliativo, costituisce percio', al contempo, fonte
di un obbligo specifico  in  capo  al  privato,  diretto  a  mitigare
l'impatto di determinate attivita' antropiche. 
    In questi termini, l'obbligo di ricomposizione  ambientale  della
cava abbandonata, anche quando comporti la sua residua  coltivazione,
non  e'  orientato  a  finalita'  di  lucro,  in  quanto  l'eventuale
attivita' di coltivazione  deve  essere  specificamente  finalizzata,
nelle forme in cui  avviene,  cosi'  come  nei  suoi  proventi,  alla
ricomposizione del contesto naturale e paesaggistico  dei  luoghi.  I
relativi  lavori  sono   finanziati,   infatti,   sia   mediante   lo
sfruttamento residuo del giacimento - se nella  cava  abbandonata  e'
accertata la disponibilita' di risorse idonee a consentire almeno  in
parte la copertura dei costi - sia utilizzando i fondi  che  derivano
dall'auto-contribuzione al consorzio  posta  a  carico  degli  stessi
esercenti (gli artt. 10, comma 12, e 11, comma  10,  delle  norme  di
attuazione del P.R.A.E. introducono l'obbligo, a carico dei  titolari
di autorizzazione  e  di  concessione  di  attivita'  estrattiva,  di
versare  alla  Regione  Campania  un  contributo   ambientale   annuo
commisurato  al  volume  di  materiale  estratto,  in   aggiunta   al
contributo gia' imposto dall'art. 18 della legge regionale n. 54  del
1985, la cui disciplina e' poi confluita  nell'art.  19  della  legge
della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1,  recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e  pluriennale  della  Regione
Campania - Legge finanziaria 2008»). 
    In tale contesto normativo, la possibilita'  di  un  differimento
triennale  del  termine  per  il  completamento  delle  attivita'  di
recupero ambientale - comprensive se del  caso  anche  della  residua
coltivazione e  commercializzazione  dei  materiali  estratti  -  non
accorda alcun «vantaggio al prestatore uscente», ma e' diretto solo a
consentire, anche con l'obbligo di impiego a tale fine  di  eventuali
proventi  dalla  coltivazione,  l'ultimazione  degli  interventi   di
riqualificazione necessari nell'ipotesi in cui il termine  originario
(definito   al   momento   del   rilascio    dell'autorizzazione    e
dell'aggiudicazione della concessione) non sia stato sufficiente  per
causa non imputabile agli esercenti. 
    Non sono neppure adombrabili effetti distorsivi  incidenti  sulla
procedura per la selezione del concessionario della cava  attiva,  in
quanto e' la stessa disposizione censurata a precisare che la proroga
puo'  essere  rilasciata  «a  condizione  che  non  siano   apportate
modifiche sostanziali» al progetto di recupero ambientale previamente
approvato. Senza contare che, essendo la facolta' di proroga prevista
in via generale dal P.R.A.E., di tale facolta'  deve  tenersi  sempre
conto al momento di stabilire le regole della procedura di  selezione
dei candidati potenziali. 
    Tenuto conto infine della sua funzione di garanzia  del  recupero
ambientale  del  territorio  -  che  consentirebbe  fra  l'altro   di
ricondurla nell'area dei motivi imperativi di interesse pubblico che,
in base all'art. 12, paragrafo 3, della  direttiva  2006/123/CE,  gli
Stati membri possono tenere in considerazione  nella  disciplina  dei
meccanismi di selezione  degli  operatori  -  la  previsione  risulta
proporzionata alla finalita' che  la  ispira:  il  prolungamento  del
termine di  adempimento  dell'obbligo  di  ricomposizione  ambientale
infatti non e' automatico - in quanto richiede la previa verifica  di
specifiche  circostanze  «non  dipendenti  dalla  volonta'  o   dalle
capacita' degli esercenti» - ed e' accordato per un periodo limitato,
che non appare eccessivo, come risulta dal raffronto  con  i  termini
"ordinari"  delle  autorizzazioni  e  concessioni   per   l'attivita'
estrattiva  (per  la  coltivazione  di  cave  ricomprese  nelle  aree
suscettibili di  nuove  estrazioni  e  riserva,  l'autorizzazione  e'
rilasciata per una durata massima di 20 anni e la concessione per  un
periodo massimo di 12 anni: artt. 10, comma 9, e 11, comma  8,  delle
norme di attuazione del P.R.A.E.). 
    4.- Con il secondo motivo di ricorso, il Governo lamenta  che  la
disposizione  regionale  avrebbe  invaso  la   potesta'   legislativa
esclusiva dello Stato, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettere
e) ed l), Cost., per un duplice ordine di  considerazioni:  i  citati
parametri interposti sarebbero espressivi della sfera  di  competenza
esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza»;  piu'
in  generale  la  disciplina  dei  contratti  pubblici  deve   essere
ricondotta alle materie della «tutela della concorrenza» (per  quanto
concerne la disciplina delle procedure di gara)  e  dell'«ordinamento
civile»  (quanto  alla  definizione  e  all'esecuzione  del  rapporto
contrattuale). 
    4.1.- Nemmeno tale censura puo' essere accolta. 
    4.2.- A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la
mancata menzione della materia «cave e torbiere»  nei  cataloghi  del
novellato  art.  117  Cost.  ne  ha  imposto  la  riconduzione   alla
competenza residuale delle regioni, con il limite del rispetto  degli
standard ambientali  e  paesaggistici  fissati  dalle  leggi  statali
(sentenze n. 66 del 2018, n. 210 del 2016, n. 199 del 2014 e  n.  246
del 2013). 
    Se e' vero che la tutela della concorrenza, attesa la sua  natura
trasversale, funge da limite alla disciplina che le  regioni  possono
dettare nelle materie di competenza concorrente o residuale (sentenze
n. 165 del 2014, n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012), si deve  tuttavia
rilevare che l'analisi della specifica norma impugnata sopra condotta
alla luce del suo oggetto e della sua ratio  ha  fatto  emergere  che
essa non interferisce sull'assetto concorrenziale del mercato - e non
interseca quindi il corrispondente  titolo  di  potesta'  legislativa
statale - stante  l'inidoneita'  della  cava  abbandonata  a  fornire
«un'occasione di guadagno» per il privato, e  la  sua  attitudine  ad
assumere rilevanza ai soli fini della salvaguardia dell'ambiente. 
    Nemmeno il riferimento alla materia  dei  contratti  pubblici  e'
pertinente. Le concessioni in esame, infatti, non  hanno  ad  oggetto
una  prestazione  di  servizi  determinata  dall'ente  aggiudicatore,
bensi'   l'esercizio   di   un'attivita'   economica   con   clausola
prescrittiva di recupero ambientale. 
    Tale conclusione - come  ricorda  anche  la  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea nella sentenza 14  luglio  2016,  in  C-418/14  e
C-67/15, Promoimpresa srl e altri, punti 44-47 - e'  corroborata  dal
considerando 15 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento  europeo  e
del  Consiglio,  del  26  febbraio  2014,   sull'aggiudicazione   dei
contratti di concessione, il quale precisa che «taluni accordi aventi
per  oggetto  il  diritto  di  un  operatore  economico  di   gestire
determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto
privato   o   pubblico»,   mediante   i    quali    l'amministrazione
aggiudicatrice «fissa unicamente le condizioni generali d'uso,  senza
acquisire lavori o servizi  specifici,  non  dovrebbero  configurarsi
come concessione di servizi» ai  sensi  di  tale  direttiva.  E,  del
resto, lo stesso codice dei  contratti  pubblici  (approvato  con  il
decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante «Attuazione  delle
direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei
contratti di concessione, sugli appalti pubblici  e  sulle  procedure
d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua,  dell'energia,
dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per  il  riordino  della
disciplina vigente  in  materia  di  contratti  pubblici  relativi  a
lavori,  servizi  e  forniture»)  esclude  dal  proprio   ambito   di
applicazione il caso in cui un soggetto pubblico o privato si impegni
a realizzare un'opera pubblica a sua totale cura  e  spesa  e  previo
ottenimento di tutte le necessarie autorizzazioni (art. 20).