ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  comma
1, e 8, comma 1, della legge della Regione Veneto 5  settembre  2017,
n. 28 (Nuove disposizioni in materia di  uso  dei  simboli  ufficiali
della  Regione  del  Veneto  modifiche  e  integrazioni  alla   legge
regionale 20 maggio 1975, n. 56 "Gonfalone e stemma della  Regione"),
promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 9-11 ottobre 2017,  depositato  in  cancelleria  il  13
ottobre  2017,  iscritto  al  n.  83  del  registro  ricorsi  2017  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  49,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore
Franco Modugno; 
    uditi l'avvocato dello Stato Leonello Mariani per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli  avvocati  Mario  Bertolissi,  Luigi
Manzi e Ezio Zanon per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 9-11 ottobre  2017,  depositato  il
successivo 13 ottobre e iscritto al n. 83 del registro ricorsi  2017,
il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in  riferimento
agli artt. 3, 5 e 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 8,
comma 1, della legge della Regione Veneto 5  settembre  2017,  n.  28
(Nuove disposizioni in materia di uso  dei  simboli  ufficiali  della
Regione del Veneto modifiche e integrazioni alla legge  regionale  20
maggio 1975, n. 56 "Gonfalone e stemma  della  Regione"),  pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 87 dell'8  settembre
2017, nella parte in cui aggiungono, rispettivamente,  l'art.  7-bis,
comma 2, lettere a), d), f) ed n), e l'art. 7-septies, comma 1,  alla
legge  della  Regione  Veneto  20  maggio  1975,  n.  56   (Bandiera,
gonfalone, fascia e stemma della Regione). 
    1.1.-  Quanto  alla  prima  delle  disposizioni   impugnate,   il
ricorrente rileva che il nuovo art. 7-bis della legge reg. Veneto  n.
56 del 1975, sotto la rubrica «[u]so della  bandiera  e  dei  simboli
ufficiali della Regione», stabilisce i luoghi e i casi nei quali deve
essere esposta la bandiera della Regione Veneto. 
    Riguardo ai luoghi, il comma 2 del citato art. 7-bis prevede  che
la bandiera regionale debba essere esposta  anche  all'esterno  degli
edifici  sedi  delle  prefetture  e  degli  uffici  periferici  delle
amministrazioni dello Stato, nonche' degli «altri organismi pubblici»
- compresi, dunque, gli organismi  pubblici  statali  e  nazionali  -
diversi dalla Regione,  dai  Comuni,  dalle  Province,  dalla  Citta'
metropolitana, dai consorzi e unioni di enti locali e dalle comunita'
montane (lettera a). L'obbligo di esposizione della  bandiera  veneta
e' esteso, altresi', agli enti pubblici - tra i quali rientrano anche
gli enti pubblici statali e nazionali - che ricevono in via ordinaria
finanziamenti o contributi a carico del bilancio  regionale  (lettera
d), nonche' alle imbarcazioni di proprieta' di organismi pubblici,  e
quindi  anche  ai  natanti  di  proprieta'  di  organismi  statali  e
nazionali (lettera n). 
    Per quel che attiene poi ai casi, la norma  censurata  stabilisce
che la bandiera della Regione debba essere  esposta  «ogni  qualvolta
sia esposta la  bandiera  della  Repubblica  o  dell'Unione  Europea»
(lettera f). 
    Ad avviso del ricorrente, nello stabilire obblighi di esposizione
della bandiera veneta all'esterno di edifici sedi di organi e  uffici
statali e di enti e organismi pubblici statali o  nazionali,  nonche'
su imbarcazioni di  proprieta'  di  questi  ultimi,  la  disposizione
censurata si porrebbe in contrasto con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera g), Cost., che riserva alla  potesta'  legislativa  esclusiva
statale la materia dell'«ordinamento e organizzazione  amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici nazionali». 
    In proposito, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ricorda
come i casi e i modi di esposizione della  bandiera  nazionale  e  di
quella dell'Unione europea siano disciplinati dalla legge  statale  5
febbraio 1998, n. 22 (Disposizioni generali sull'uso  della  bandiera
della Repubblica italiana e  di  quella  dell'Unione  europea).  Tale
legge - emanata in attuazione dell'art. 12  Cost.  e  in  conseguenza
dell'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - all'art. 2,  commi
1 e 2, impone l'esposizione delle due  bandiere  all'esterno  di  una
serie di edifici pubblici. 
    Il  secondo  periodo  del  comma  2  dell'art.  1  qualifica   le
disposizioni della stessa legge n. 22 del 1998 come  «norme  generali
regolatrici della materia», autorizzando il Governo  a  emanare,  nel
loro rispetto, un regolamento in delegificazione per i  casi  di  cui
alle lettere a), b), d) ed e) del  comma  1  e  di  cui  al  comma  2
dell'art. 2 (ossia in rapporto all'esposizione delle bandiere  presso
le sedi degli organi costituzionali e di  rilievo  costituzionale,  i
ministeri, gli uffici giudiziari, le scuole e universita' statali,  i
seggi  elettorali  e  le  rappresentanze  diplomatiche  e   consolari
italiane all'estero). Il primo periodo del medesimo comma 2 dell'art.
1  consente,  invece,  alle  Regioni  di  emanare   norme   attuative
limitatamente ai casi di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 2,
ossia con esclusivo riguardo all'esposizione della bandiera nazionale
e dell'Unione europea presso gli edifici sedi dei consigli regionali,
provinciali e comunali, in occasione delle riunioni degli stessi. 
    Il successivo comma 3 dell'art. 2 stabilisce,  altresi',  che  il
regolamento e le norme regionali possono, nei limiti delle rispettive
competenze dianzi indicate, dettare  una  disciplina  integrativa  in
merito alle modalita' di uso  ed  esposizione  della  bandiera  della
Repubblica italiana e  di  quella  dell'Unione  europea,  nonche'  di
gonfaloni, stemmi e vessilli, anche con riferimento ad  organismi  di
diritto pubblico diversi da quelli compresi nel comma 1 dello  stesso
art. 2. 
    Sulla base delle previsioni  della  legge  n.  22  del  1998,  il
regolamento adottato con d.P.R. 7 aprile 2000,  n.  121  (Regolamento
recante disciplina dell'uso delle bandiere della Repubblica  italiana
e dell'Unione europea da parte delle amministrazioni  dello  Stato  e
degli enti pubblici) impone l'esposizione delle bandiere nazionale ed
europea anche all'esterno degli edifici sedi di  altri  organismi  di
diritto pubblico, tra i quali le autorita' indipendenti  e  gli  enti
pubblici di carattere nazionale (art. 1, comma 1, lettera c), nonche'
all'interno degli uffici dei titolari di cariche istituzionali  (art.
6), regolando inoltre i modi e i tempi dell'esposizione. 
    L'art.   12   del   regolamento   stabilisce,    altresi',    che
«[l]'esposizione delle bandiere all'esterno e all'interno delle  sedi
delle regioni e degli enti locali e' oggetto dell'autonomia normativa
e   regolamentare   delle   rispettive   amministrazioni»,   con   la
precisazione che, «[i]n ogni caso  la  bandiera  nazionale  e  quella
europea sono esposte congiuntamente al vessillo o  gonfalone  proprio
dell'ente ogni volta che e' prescritta l'esposizione di quest'ultimo,
osservata la prioritaria dignita' della bandiera nazionale». 
    La normativa ora ricordata prefigurerebbe - secondo il ricorrente
- un assetto di  competenze  pienamente  rispettoso  della  sfera  di
autonomia regionale. Lo  Stato  si  sarebbe,  infatti,  riservato  la
regolamentazione dell'uso della bandiera della Repubblica italiana  e
di quella dell'Unione europea con riguardo agli edifici degli  uffici
pubblici statali e degli enti pubblici di carattere nazionale,  senza
mai pretendere di disciplinare casi, tempi e modi di esposizione  dei
simboli ufficiali - gonfaloni, stemmi, vessilli e  bandiere  -  delle
Regioni relativamente alle sedi di organi e uffici regionali. 
    Al contrario, con la disposizione censurata, la  Regione  Veneto,
in violazione della sfera di competenza  legislativa  garantita  allo
Stato, pretenderebbe di conformare l'organizzazione amministrativa di
questo e degli enti  pubblici  nazionali,  stabilendo  dove,  come  e
quando i titolari e i preposti ad organi e uffici dello  Stato  e  di
organismi di rilievo nazionale sono obbligati ad esporre la  bandiera
veneta sugli immobili e sulle imbarcazioni di  proprieta'  di  questi
ultimi. 
    La disposizione  censurata  violerebbe,  in  questo  modo,  anche
l'art.  3  Cost.,  omologando  irrazionalmente  il   trattamento   di
situazioni diverse  tanto  per  il  «titolo  dominicale  [...]  o  di
godimento», quanto sotto il «profilo funzionale» (gli edifici sedi di
uffici pubblici statali, o  comunque  sia  non  regionali,  e  quelli
adibiti a sede di uffici regionali). 
    Violerebbe, ancora, l'art.  5  Cost.,  giacche',  imponendo  agli
edifici sedi di uffici  statali  o  di  enti  pubblici  nazionali  il
simbolo ufficiale della Regione, attenterebbe  «al  principio  stesso
dell'unita' e indivisibilita' nella Nazione». 
    Il ricorrente soggiunge  che  neppure  l'obbligo  di  esposizione
congiunta  della  bandiera  veneta  con  quella  della  Repubblica  o
dell'Unione europea, previsto dalla lettera f) del comma 2 del  nuovo
art. 7-bis della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, rimarrebbe  esente
da  censura.  Tale  previsione  non  potrebbe   ritenersi,   infatti,
legittimata dal ricordato disposto dell'art. 12 del d.P.R. n. 121 del
2000, secondo il quale la bandiera nazionale e quella europea debbono
essere  esposte  congiuntamente  al  vessillo  o  gonfalone   proprio
dell'ente ogni volta che e' prescritta l'esposizione di quest'ultimo,
«osservata la prioritaria dignita' della  bandiera  nazionale».  Tale
disposizione andrebbe, infatti, intesa nel senso che e'  lo  Stato  a
stabilire quando le bandiere  nazionale  ed  europea  debbano  essere
esposte congiuntamente alla bandiera regionale o locale, e  non  gia'
l'inverso. 
    1.2.- Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  impugna,  in
secondo luogo, l'art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n.  28  del
2017, che, introducendo l'art. 7-septies, comma 1, della  legge  reg.
Veneto n. 56 del 1975, prevede la sanzione amministrativa  pecuniaria
applicabile ai trasgressori in caso di violazione delle  disposizioni
dettate dal precedente art. 7-bis, comma 2. 
    Tale disposizione - accessoria rispetto a quella  che  stabilisce
l'obbligo  di   esposizione   della   bandiera   veneta   -   sarebbe
costituzionalmente illegittima per le medesime ragioni  indicate  con
riferimento alla disposizione cui accede. 
    La giurisprudenza costituzionale - ricorda il  ricorrente  -  e',
del   resto,   costante   nell'affermare   che,   per   le   sanzioni
amministrative, la  competenza  legislativa  non  si  radica  in  una
autonoma materia, ma accede alle materie sostanziali:  la  disciplina
delle sanzioni spetta, cioe', al soggetto competente  a  regolare  la
materia la cui inosservanza costituisce  l'atto  sanzionabile.  Nella
specie,   le   Regioni   potrebbero   stabilire,   dunque,   sanzioni
amministrative  solo  in  riferimento  alla   mancata   o   scorretta
esposizione  dei  propri  simboli  all'esterno  e  all'interno  degli
edifici adibiti a sedi degli organi e degli uffici regionali, ma  non
anche con riguardo alle sedi di organi statali o di enti di rilevanza
nazionale. 
    Il ricorrente precisa che la  caducazione,  per  le  ragioni  ora
indicate, della previsione del  comma  1  dell'art.  7-septies  della
legge reg. Veneto n. 56 del 1975 renderebbe  inapplicabile  anche  la
disposizione, ad essa  strettamente  collegata,  del  comma  2  dello
stesso articolo, che rimette alla  Giunta  regionale  la  definizione
delle modalita' e  dei  termini  per  l'applicazione  della  sanzione
amministrativa in questione. 
    1.3.- Il ricorso si conclude con la formulazione di  una  istanza
di sospensione,  in  parte  qua,  dell'efficacia  delle  disposizioni
impugnate, ai sensi dell'art. 35 della legge 11  marzo  1953,  n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale), come sostituito dall'art. 9  della  legge  5  giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento  della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). 
    La richiesta e' motivata con il grave e irreparabile  pregiudizio
all'interesse  pubblico  conseguente  al   «danno   d'immagine»   che
deriverebbe dall'eventuale irrogazione di sanzioni nei  confronti  di
titolari di cariche istituzionali di primaria  importanza  a  livello
locale, quali i prefetti o i capi degli  uffici  giudiziari,  per  la
mancata esposizione della bandiera veneta all'esterno  degli  edifici
adibiti a sedi dei loro  uffici:  irrogazione  atta  a  ripercuotersi
negativamente sul piano del  prestigio,  dell'autorevolezza  e  della
credibilita' delle istituzioni. 
    2.- Si e' costituita la Regione Veneto, chiedendo il rigetto  del
ricorso. 
    2.1.- In via preliminare, la resistente  osserva  come  il  fatto
stesso che la Costituzione si occupi,  all'art.  12,  della  bandiera
della Repubblica implichi il riconoscimento di uno stretto legame tra
l'unita' costituzionale e il suo simbolo.  Il  valore  del  tricolore
risulterebbe, tuttavia, oggi  profondamente  diverso  da  quello  che
assumeva nello Stato liberale. La bandiera, nello  Stato  pluralista,
sarebbe, infatti, «simbolo di una unita' nazionale che, se esiste sul
piano politico, e' pero' da costruire, sul  piano  dell'integrazione,
[...] nel rispetto del pluralismo e  delle  differenze»:  prospettiva
nella quale essa sarebbe chiamata a convivere, con pari dignita', con
i molteplici altri simboli nei quali le componenti del pluralismo  si
riconoscono. 
    Questa differente concezione della bandiera risulterebbe  sottesa
alla giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la  competenza
legislativa delle Regioni, sia ordinarie sia speciali, in materia  di
adozione e definizione  di  simboli  rappresentativi  della  Regione,
rilevando come  tale  competenza  poggi  sul  principio  fondamentale
dell'autonomia espresso dall'art. 5 Cost.: principio teso a conferire
il massimo rilievo alle collettivita'  locali,  e  particolarmente  a
quelle regionali (e' citata la sentenza n. 365 del 1990). 
    In tale cornice, la  dedotta  violazione  dell'art.  3  Cost.  si
rivelerebbe insussistente, in  quanto  il  principio  di  eguaglianza
andrebbe   coordinato   con    i    principi    di    sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, sanciti all'art.  118,  primo  comma,
Cost. 
    Altrettanto dovrebbe dirsi con riguardo alla  denunciata  lesione
dell'art. 5 Cost., che lo  Stato  avrebbe  invocato  menzionando  una
parte soltanto del suo contenuto -  vale  a  dire  la  qualificazione
della Repubblica come «una e indivisibile» - tacendo della successiva
espressione «riconosce e promuove le autonomie locali»,  che  afferma
il principio del pluralismo. 
    Quanto,  poi,  all'asserita  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera g), Cost., la resistente osserva come l'ordinamento  e
l'organizzazione amministrativa dello Stato  -  che  la  disposizione
evocata assegna alla competenza legislativa esclusiva dello  Stato  -
siano cosa ben diversa dall'ordinamento della Repubblica. 
    Prevedendo, con la  legge  censurata,  l'obbligo  di  esporre  la
bandiera regionale all'esterno di  edifici  statali  e  in  ulteriori
circostanze, nonche' ogni qualvolta sia  esposta  la  bandiera  della
Repubblica o dell'Unione europea, la Regione  Veneto  avrebbe  inteso
abbinare i principi costituzionali di unita' e indivisibilita'  della
Repubblica  al  principio  -  egualmente  degno  -  del   «pluralismo
autonomistico». L'ordine formale delle competenze,  di  cui  all'art.
117  Cost.,  non  sarebbe  al  riguardo  risolutivo,  dovendo  essere
valutato in  correlazione  al  disposto  dell'art.  114  Cost.  e  al
principio di leale collaborazione,  considerato  il  ruolo  assegnato
alle Regioni,  definite  dalla  Corte  costituzionale,  nella  citata
sentenza n. 365 del 1990, come «soggetti reali del nostro ordinamento
(che risulta unitariamente dalla loro molteplicita'), punti sicuri di
riferimento della sua consistenza democratica». 
    La  legge  n.  22  del  1998,  richiamata  dal  ricorrente,   non
detterebbe, a sua volta, una disciplina generale  e  inderogabile  in
ordine all'esposizione di qualsiasi bandiera all'esterno di organismi
di diritto pubblico, ma si limiterebbe a individuare in modo uniforme
le sedi degli organi tenuti ad esporre la bandiera nazionale e quella
della Unione europea, affidando ad  ulteriori  norme  di  attuazione,
statali e regionali, il compito di  introdurre  una  disciplina  piu'
circostanziata, nonche' previsioni di carattere integrativo. 
    La normativa regionale impugnata non  inciderebbe  sugli  aspetti
regolati dalla citata legge statale, ma si limiterebbe ad integrarla,
garantendo, in ogni caso di esposizione della bandiera regionale,  la
prioritaria  dignita'  della  bandiera  nazionale.  Si   tratterebbe,
quindi, di «una volonta'  di  addizione  e  non  di  sottrazione;  di
integrazione e non di divisione». L'esposizione della bandiera veneta
all'esterno degli edifici che ospitano le  prefetture  e  gli  uffici
periferici dell'amministrazione statale mirerebbe, in particolare, ad
esaltare il raccordo tra tali uffici e la realta' territoriale in cui
operano, realizzando «quell'istanza di sintesi  della  pluralita'  in
una unita' che non cancelli, ma piuttosto salvaguardi le differenze»:
istanza  non  dissimile,   peraltro,   da   quella   che   giustifica
l'accostamento della bandiera  nazionale  alla  bandiera  dell'Unione
europea nelle sedi dei massimi organi dello Stato. 
    2.2.- Le medesime considerazioni sarebbero riferibili anche  alla
norma, di natura accessoria, relativa alle sanzioni, recata dall'art.
8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017. 
    2.3.-  La  resistente  contesta,  infine,  la   sussistenza   dei
presupposti per  la  sospensione  dell'efficacia  delle  disposizioni
impugnate, sottolineando, in ogni caso, come la legge reg. Veneto  n.
28 del 2017 sia rimasta inattuata, «sia perche' le autorita'  statali
periferiche attendono di sapere dai loro superiori come  comportarsi,
sia perche' la Regione del  Veneto  attende  a  sua  volta  [...]  la
decisione [della] Corte». 
    3.- In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria,  con  la  quale  ha
replicato agli argomenti  difensivi  della  Regione,  insistendo  per
l'accoglimento delle questioni. 
    Quanto  all'assunto  della  resistente,  secondo  il   quale   la
normativa censurata troverebbe il proprio fondamento nel principio di
riconoscimento  e  promozione  delle  autonomie   locali,   affermato
dall'art. 5 Cost., sarebbe agevole obiettare che lo Stato non ha  mai
inteso contestare la potesta' delle Regioni di disciplinare  l'uso  e
le modalita' di esposizione delle proprie bandiere  e,  amplius,  dei
propri simboli ufficiali. E'  stato  contestato,  invece,  il  potere
delle Regioni, per un verso,  di  imporre  l'esposizione  della  loro
bandiera su edifici e beni mobili - quali le imbarcazioni  -  non  di
pertinenza regionale; per altro verso, di disciplinare,  direttamente
o indirettamente, l'uso e le modalita' di esposizione della  bandiera
italiana - simbolo dell'unita' nazionale - prescrivendo  obblighi  di
esposizione congiunta dei vessilli. 
    L'ulteriore affermazione  della  difesa  regionale,  stando  alla
quale il  principio  di  cui  all'art.  3  Cost.  andrebbe  letto  in
connessione con i  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e
adeguatezza, enunciati dall'art. 118 Cost., risulterebbe inconferente
rispetto  alla  censura  formulata  in  rapporto  al  primo  di  tali
parametri, intesa a porre in evidenza la palese irrazionalita' di una
disciplina che omologa situazioni ictu oculi diverse. 
    Quanto, infine, alla lamentata violazione dell'art. 117,  secondo
comma, lettera g), Cost., la tesi difensiva della Regione -  per  cui
l'«ordinamento e organizzazione amministrativa dello  Stato  e  degli
enti pubblici nazionali» sarebbe cosa diversa dall'ordinamento  della
Repubblica   -    risulterebbe    smentita    dalla    giurisprudenza
costituzionale, la quale ha avuto modo di chiarire  come  le  Regioni
non siano abilitate ad imporre nuovi compiti od obblighi ai  titolari
di uffici statali, pena la violazione del  parametro  evocato.  Nella
specie, di contro, prescrivendo l'esposizione della  bandiera  veneta
all'esterno di edifici sedi di uffici pubblici statali e di organismi
ed enti pubblici statali e nazionali, nonche' sulle  imbarcazioni  di
questi ultimi, la Regione Veneto avrebbe automaticamente gravato  del
relativo  obbligo   i   titolari   di   quegli   organi   e   uffici,
assoggettandoli  altresi'  alle  sanzioni  previste  per  i  casi  di
inadempienza. 
    Contrariamente a quanto sostiene la  resistente,  l'ordine  delle
competenze stabilito dall'art. 117 Cost. sarebbe decisivo al fine  di
escludere ogni possibilita' di intervento delle Regioni nella materia
considerata, o, meglio, di circoscrivere tale intervento  nei  limiti
fissati dalle leggi dello Stato. Non gioverebbe, in senso  contrario,
fare appello alle previsioni dell'art. 114 Cost., il quale,  se  pure
riconosce che  le  Regioni  -  al  pari  dello  Stato,  delle  Citta'
metropolitane,  delle  Province  e  dei  Comuni  -  sono   componenti
costitutive della Repubblica  (primo  comma),  precisa  pero'  che  i
poteri e le funzioni degli enti autonomi  diversi  dallo  Stato  sono
stabiliti  e  si  svolgono  «secondo   i   principi   fissati   dalla
Costituzione» (secondo comma) e, dunque, quanto alle Regioni, secondo
le regole enunciate dall'art. 117 Cost. 
    Ancora meno, poi, potrebbe giovare alla tesi della Regione Veneto
il richiamo al principio di  leale  collaborazione.  Quest'ultima  si
realizza,  infatti  -   secondo   le   costanti   indicazioni   della
giurisprudenza costituzionale - tramite accordi e intese, e non certo
mediante   l'imposizione   unilaterale   di   obblighi,    presidiati
addirittura da sanzioni in caso di inosservanza. 
    L'affermazione della  resistente,  per  cui  la  legge  regionale
impugnata si sarebbe limitata ad integrare  la  disciplina  stabilita
dalla legge n. 22 del 1998, fraintenderebbe i termini  del  problema,
posto che, in base alla citata legge statale, la potesta' attuativa e
integrativa delle Regioni risulta circoscritta alle sedi degli organi
consiliari  regionali,  provinciali  e  comunali.   Sarebbe   errato,
d'altronde, affermare che la legge regionale in  discussione  non  ha
inciso sulla disciplina dei casi e  dei  modi  di  esposizione  della
bandiera italiana e di quella dell'Unione  europea,  posto  che  tale
disciplina e' stata, al contrario, sicuramente incisa - quantomeno in
via indiretta  -  dalla  previsione  di  un  obbligo  di  esposizione
aggiuntiva della bandiera regionale. 
    4.- Anche la Regione Veneto ha depositato una memoria, insistendo
per il rigetto delle questioni. 
    La resistente rileva che la legge n.  22  del  1998  ha  previsto
l'esposizione delle  bandiere  italiana  ed  europea  all'esterno  di
edifici di organismi pubblici  che  fanno  capo,  non  soltanto  allo
Stato, ma anche alle Regioni e agli enti locali  enumerati  dall'art.
114 Cost. (art. 2, comma 1, della legge n. 22 del 1998). 
    Con la legge impugnata, la Regione Veneto avrebbe inteso,  a  sua
volta, valorizzare - a prescindere dal mero  dato  della  titolarita'
dell'edificio - gli elementi  del  territorio  e  della  popolazione:
elementi che rafforzerebbero, anziche' svalutare, proprio l'unita'  e
indivisibilita'  della  Repubblica,  attraverso  l'affermazione   del
principio pluralistico. Si sarebbe voluto, in altri termini, «coprire
un vuoto», prevedendo che la bandiera della Regione - che rappresenta
tutti gli elementi costitutivi dell'ente (territorio,  popolazione  e
autorita' democraticamente eletta) - sia  esposta,  congiuntamente  a
quella della Repubblica italiana e dell'Unione europea,  anche  nelle
sedi di organismi statuali situati nell'ambito del  territorio  della
Regione. 
    La Regione non avrebbe, dunque, affatto  preteso  di  «conformare
l'organizzazione amministrativa dello Stato», ma soltanto  attribuire
il giusto risalto alle comunita' che, ai sensi dell'art.  114  Cost.,
costituiscono l'ordinamento della Repubblica, in quella che e'  stata
felicemente definita come «alleanza delle autonomie». 
    In conclusione, quindi, la legge reg. Veneto n. 28 del  2017  non
violerebbe l'art. 5 Cost., ma anzi lo attuerebbe,  senza  interferire
con la riserva di competenza di cui all'art. 1, comma 2, della  legge
n. 22 del 1998, la quale  concerne  la  bandiera  italiana  e  quella
europea, e non la bandiera regionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  promosso,  in
riferimento agli artt. 3, 5 e 117, secondo comma, lettera  g),  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3,
comma 1, e 8, comma 1, della legge della Regione Veneto  5  settembre
2017, n. 28  (Nuove  disposizioni  in  materia  di  uso  dei  simboli
ufficiali della Regione del  Veneto  modifiche  e  integrazioni  alla
legge regionale 20 maggio 1975,  n.  56  "Gonfalone  e  stemma  della
Regione"). 
    La prima delle due disposizioni e' impugnata dal ricorrente nella
parte in cui, aggiungendo l'art. 7-bis, comma 2, lettere a),  d),  f)
ed n), alla  legge  della  Regione  Veneto  20  maggio  1975,  n.  56
(Bandiera,  gonfalone,  fascia  e  stemma  della  Regione),   prevede
l'obbligo  di  esposizione  della  bandiera  della   Regione   Veneto
all'esterno  degli  edifici  sedi  delle  prefetture,  degli   uffici
periferici delle amministrazioni dello Stato e degli altri  organismi
pubblici, anche statali o nazionali (lettera  a),  all'esterno  degli
enti pubblici - comprensivi  anche  degli  enti  pubblici  statali  e
nazionali - che ricevono in via ordinaria finanziamenti o  contributi
a carico del bilancio regionale (lettera d),  sulle  imbarcazioni  di
proprieta' di organismi pubblici,  e  quindi  anche  sui  natanti  di
proprieta' di organismi statali e nazionali (lettera n), nonche' ogni
qualvolta sia esposta la bandiera italiana o europea (lettera f). 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  la  norma
impugnata violerebbe l'art. 117, secondo comma,  lettera  g),  Cost.,
che attribuisce alla  competenza  legislativa  esclusiva  statale  la
materia dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato
e degli enti pubblici nazionali», introducendo obblighi - per di piu'
sanzionati - a carico dei soggetti preposti a organi e uffici statali
e ad organismi ed  enti  a  carattere  nazionale,  in  contrasto  con
l'assetto delle competenze delineato dalla legge 5 febbraio 1998,  n.
22 (Disposizioni generali sull'uso della  bandiera  della  Repubblica
italiana e di quella dell'Unione europea) e dal d.P.R. 7 aprile 2000,
n. 121 (Regolamento recante disciplina dell'uso delle bandiere  della
Repubblica  italiana   e   dell'Unione   europea   da   parte   delle
amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici). 
    La disposizione regionale censurata violerebbe, altresi',  l'art.
3 Cost., omologando il trattamento di situazioni palesemente diverse,
tanto sul piano del titolo dominicale o di godimento, quanto sotto il
profilo funzionale (gli edifici sedi di uffici  statali,  o  comunque
sia non regionali, e gli edifici sedi di uffici  regionali),  nonche'
l'art. 5 Cost.,  perche',  imponendo  agli  edifici  sedi  di  uffici
statali o di enti  pubblici  nazionali  il  simbolo  ufficiale  della
Regione, attenterebbe al principio di unita' e indivisibilita'  della
Repubblica. 
    Per le medesime ragioni  sarebbe  costituzionalmente  illegittimo
anche l'art. 8, comma 1, della legge reg.  Veneto  n.  28  del  2017,
nella parte in cui, aggiungendo l'art. 7-septies, comma 1, alla legge
reg. Veneto n. 56 del 1975,  stabilisce  la  sanzione  amministrativa
applicabile ai trasgressori nel caso di violazione delle disposizioni
in tema di obblighi di esposizione della bandiera veneta  di  cui  al
nuovo art. 7-bis, comma 2, di tale ultima legge, e dunque  anche  nei
confronti dei soggetti preposti  a  organi  e  uffici  statali  e  ad
organismi ed enti a carattere statale o nazionale. 
    2.- Giova far precedere  lo  scrutinio  delle  questioni  da  una
ricognizione del quadro normativo di riferimento. 
    2.1.- La Costituzione dedica, come  e'  noto,  alla  bandiera  un
apposito  articolo  -  l'art.  12  -   collocato   nella   partizione
preliminare intitolata «[p]rincipi fondamentali». In  base  ad  esso,
«[l]a bandiera della Repubblica  e'  il  tricolore  italiano:  verde,
bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni». 
    L'inserimento  nella  Costituzione  di  una  disposizione   sulla
bandiera nazionale fu ritenuto pacificamente  opportuno  in  sede  di
Assemblea costituente, in quanto, come ebbe a rilevare il  Presidente
della Commissione dei 75, on. Ruini,  esso  rispondeva  all'esigenza,
«che vi e' in tutte le Costituzioni, di precisare, anche per  ragioni
internazionali, i caratteri del vessillo della propria  Nazione».  La
bandiera rappresenta, in effetti, sin  da  epoche  remote,  un  segno
distintivo della personalita' dello Stato sul  piano  internazionale.
Nell'eta' moderna, essa ha peraltro assunto anche  un  altro  e  piu'
profondo significato: quello, cioe', di strumento di  identificazione
della Nazione nel  suo  Stato.  La  bandiera  costituisce,  in  altri
termini, l'espressione in simbolo dello Stato nazionale. 
    La bandiera e', peraltro, l'unico dei  simboli  della  Repubblica
del  quale  la  Costituzione  si  occupa.  Per  corrente   notazione,
l'effetto piu' rilevante di tale scelta risiede nel carattere  rigido
impresso all'emblema nazionale: individuando nel «tricolore italiano»
la bandiera della Repubblica  ed  erigendolo  a  simbolo  dell'unita'
nazionale,  il  Costituente  ha  escluso  che   tale   strumento   di
identificazione possa essere mutato dalla  maggioranza  politica  del
momento,  aggiungendovi,  ad  esempio,  i   simboli   della   propria
ideologia, che non riflettono, per necessita' di cose, quella unita'. 
    Questa Corte ha avuto modo, peraltro, di  porre  in  evidenza  la
diversa valenza che la bandiera  nazionale  assume  nella  democrazia
pluralista delineata dalla  Costituzione  repubblicana,  rispetto  al
regime che l'ha preceduta.  Cio'  e'  avvenuto,  in  specie,  con  la
sentenza  n.  189  del  1987,   dichiarativa   della   illegittimita'
costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 24 giugno 1929, n.  1085
(Disciplina della esposizione delle bandiere estere), nella parte  in
cui prevedevano il divieto,  penalmente  sanzionato,  di  esporre  in
pubblico bandiere estere senza  la  preventiva  autorizzazione  delle
autorita' politiche locali. Nell'occasione, questa Corte ha  rilevato
come, nello Stato autoritario, la  bandiera  costituisse  il  simbolo
«della sovranita' nazionale, d'uno Stato che  "non  riconosce"  altri
valori oltre quelli dei quali si  fa  detentore  ed  impositore»:  da
cio', e dalla conseguente «impossibilita' "in radice" d'un  confronto
tra valori "validi", quelli nazionali, ed ideologie "non valide"», il
generale divieto di esposizione di bandiere estere. 
    Nel  mutato  clima  politico,  per  converso,  le  bandiere  «non
costituiscono   piu'   l'emblema,   il   simbolo   della   sovranita'
territoriale,  concepita  nel  senso  sopra  indicato,  ma  designano
simbolicamente un certo Paese, l'identita' d'un determinato Stato» e,
eventualmente,  le  idealita'   che   esso   propone   al   confronto
internazionale. Situazione nella quale  la  ragione  del  divieto  e'
venuta meno: «[l]o Stato democratico non puo' temere il confronto con
le idealita' perseguite  da  popoli  di  altri  Stati  e  da  Nazioni
diverse». 
    2.2.- Per lungo tempo, peraltro, l'unica disciplina  a  carattere
generale dell'uso della bandiera nazionale da parte  delle  pubbliche
istituzioni - profilo che particolarmente interessa in questa sede  -
e' rimasta quella recata da  norme  emanate  nel  precedente  periodo
fascista (segnatamente, il regio decreto-legge 24 settembre 1923,  n.
2072, recante «Norme per l'uso della bandiera nazionale», convertito,
con modificazioni, nella legge 24 dicembre 1925, n. 2264). 
    La prima regolamentazione della materia di epoca repubblicana  la
si  deve  ad  un  atto  di  normazione  secondaria  (il  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  3  giugno  1986,   recante
«Disposizioni per l'uso della  bandiera  della  Repubblica  da  parte
delle amministrazioni dello  Stato  e  degli  enti  pubblici»).  Tale
provvedimento e' stato indi surrogato dalla legge  n.  22  del  1998,
tuttora vigente e ampiamente richiamata dal Presidente del  Consiglio
dei ministri a sostegno del  ricorso:  legge  che  regola,  peraltro,
l'uso non soltanto della  bandiera  della  Repubblica,  ma  anche  di
quella dell'Unione europea. 
    La legge del 1998 - che si autodichiara adottata  «in  attuazione
dell'articolo   12    della    Costituzione    e    in    conseguenza
dell'appartenenza dell'Italia all'Unione europea» (art. 1, comma 1) -
prevede, in  specie,  l'esposizione  permanente  delle  due  bandiere
all'esterno di una serie di edifici pubblici, a cominciare da  quelli
ove hanno la sede centrale gli organi  costituzionali  e  di  rilievo
costituzionale (art. 2, commi 1 e 2). 
    Qualificando  le  proprie  disposizioni  come   «norme   generali
regolatrici della materia» (art. 1,  comma  2),  la  legge  del  1998
affida, peraltro, a un regolamento governativo in  delegificazione  e
alla  normazione  regionale  il  compito  di   emanare   disposizioni
attuative e  integrative.  Il  discrimen  tra  l'area  di  intervento
dell'uno e dell'altra e' segnato dalla  tipologia  dell'edificio.  E'
infatti previsto che le Regioni possano emanare norme  di  attuazione
solo in rapporto ai casi di cui all'art.  2,  comma  1,  lettera  c),
della stessa legge n. 22 del 1998, ossia esclusivamente per cio'  che
concerne l'esposizione delle bandiere, nazionale ed  europea,  presso
le sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali (in  occasione
delle loro riunioni). In tutti gli altri  casi  indicati  dal  citato
art. 2, e' deputato a provvedere il regolamento (art. 1, comma 2). 
    Nei medesimi limiti di competenza  ora  indicati,  regolamento  e
norme regionali vengono abilitati, altresi', a dettare una disciplina
integrativa riguardo alle  modalita'  di  uso  ed  esposizione  delle
predette due bandiere, nonche' di  «gonfaloni,  stemmi  e  vessilli»,
anche con riferimento a ulteriori organismi di diritto pubblico (art.
2, comma 3). 
    Il regolamento governativo, emanato con d.P.R. n. 121  del  2000,
amplia il novero degli edifici all'esterno dei quali  debbono  essere
esposte la bandiera della Repubblica italiana  e  quella  dell'Unione
europea, includendovi, tra gli altri, quelli adibiti a sede  centrale
o  a  ufficio  periferico,  con  circoscrizione  non  inferiore  alla
provincia, delle autorita' indipendenti  e  degli  enti  pubblici  di
carattere nazionale (art. 1, comma 1); prevede, altresi',  una  serie
di  casi  nei  quali  le  bandiere  debbono  essere   esposte   anche
all'interno degli uffici pubblici (art. 6); regola, poi, le modalita'
e i tempi di esposizione (articoli da 2 a 5 e da 7 a 11). 
    Il regolamento si chiude con una disposizione specifica -  l'art.
12 - relativa alle Regioni e agli  enti  locali.  In  base  ad  essa,
«[l]'esposizione delle bandiere all'esterno e all'interno delle  sedi
delle regioni e degli enti locali e' oggetto dell'autonomia normativa
e  regolamentare  delle  rispettive  amministrazioni».  Si   prevede,
nondimeno, che la bandiera nazionale e quella europea debbano  essere
«esposte congiuntamente al vessillo  o  gonfalone  proprio  dell'ente
ogni volta che e' prescritta l'esposizione di quest'ultimo, osservata
la prioritaria dignita' della bandiera nazionale». 
    2.3.- Uno degli aspetti maggiormente innovativi della  legge  del
1998 e del regolamento del 2000 e' consistito,  dunque,  nella  presa
d'atto del carattere decentrato della Repubblica e del fatto  che  la
bandiera nazionale si trovi conseguentemente a dover convivere con  i
simboli  delle  autonomie  territoriali.  Tale  presa  d'atto  si  e'
manifestata sotto due aspetti: da un  lato,  si  e'  consentito  alle
Regioni e  agli  enti  locali  di  disciplinare  l'esposizione  delle
bandiere, compresa quella nazionale, all'esterno e all'interno  delle
proprie  sedi;  dall'altro,  si  e'   riconosciuta   l'esistenza   di
«vessilli» e «gonfaloni»  di  tali  enti,  la  cui  disciplina  resta
affidata all'autonomia normativa e regolamentare dei medesimi. 
    Per  quanto  attiene,  in  particolare,  alle  Regioni,  sia   ad
autonomia differenziata che ordinaria, gia'  prima  della  legge  del
1998 loro plurimi statuti prevedevano che la  Regione  avesse  propri
simboli ufficiali. Ed  alcune  leggi  regionali  erano,  in  effetti,
intervenute ad individuare tali simboli. 
    Con la sentenza n. 365 del 1990,  questa  Corte  ha  riconosciuto
alle Regioni la competenza a legiferare  in  materia  di  adozione  e
definizione dei propri simboli  anche  in  assenza  di  una  espressa
previsione statutaria,  individuandone  il  generale  fondamento  nel
principio di autonomia enunciato dall'art. 5 Cost., in relazione agli
artt. 115 e seguenti Cost.: principio «teso a  conferire  il  massimo
rilievo alle collettivita' locali, e [...] particolarmente  a  quelle
regionali, come soggetti reali del nostro  ordinamento  (che  risulta
unitariamente dalla loro molteplicita'), punti sicuri di  riferimento
della sua consistenza democratica». La portata del principio  stesso,
cosi' individuata, «implica che  non  puo'  non  ritenersi  contenuto
minimale dell'autonomia della regione il potere di scegliere i  segni
piu' idonei a distinguere l'identita' stessa della collettivita'  che
essa rappresenta». 
    2.4.- Di seguito alla legge n. 22 del 1998, si e' registrato,  in
fatto, un ampio e diffuso  intervento  della  legislazione  regionale
sulla  materia,  particolarmente  con  riguardo  alle  bandiere.   La
legislazione regionale successiva al  1998  non  si  limita,  d'altro
canto, come quella precedente, a descrivere i simboli ufficiali della
Regione, ma regola in modo specifico i luoghi, i casi e i modi  della
loro esposizione: dettando, cosi', una disciplina parallela a  quella
recata dalla legge n. 22 del 1998 e dal d.P.R. n. 121  del  2000  con
riguardo alla bandiera nazionale. 
    Per quel che attiene in particolare alla Regione Veneto, essa  e'
intervenuta a disciplinare i propri simboli  ufficiali  gia'  con  la
legge reg. Veneto  n.  56  del  1975.  Tale  legge,  gia'  nel  testo
originario, includeva tra i simboli ufficiali della Regione,  accanto
al gonfalone e allo  stemma,  anche  la  bandiera  (art.  3,  secondo
comma). Conformemente all'indirizzo dell'epoca, la legge si  limitava
peraltro a individuare  le  caratteristiche  di  quest'ultima,  senza
regolare in alcun modo l'uso della stessa da  parte  delle  pubbliche
autorita'. 
    Disposizioni in ordine all'uso e all'esposizione  della  bandiera
regionale sono state introdotte - all'indomani della legge statale n.
22 del 1998 - con la legge della Regione Veneto 10 aprile 1998, n. 10
(Disposizioni per l'uso e l'esposizione della bandiera della  Regione
del Veneto), successivamente  integrata  dalla  legge  della  Regione
Veneto 24 novembre 2003, n. 35  (Modifica  alla  legge  regionale  10
aprile 1998, n. 10 "Disposizioni  per  l'uso  e  l'esposizione  della
bandiera della Regione del Veneto" e successive modificazioni).  Tale
legge prevedeva, in specie, che la bandiera  dovesse  essere  esposta
(con limiti temporali diversi a seconda dei casi)  all'esterno  delle
sedi   degli    organi    regionali,    provinciali,    comunali    e
circoscrizionali,  nonche'   dei   «seggi   elettorali   durante   le
consultazioni»  tenute  nella  Regione  Veneto   e   degli   «edifici
scolastici» (art. 2). 
    Dopo che la legge regionale statutaria del Veneto 17 aprile 2012,
n. 1 (Statuto del Veneto) aveva stabilito, all'art. 1, comma  4,  che
«[l]a Regione e' rappresentata dalla bandiera, dal gonfalone e  dallo
stemma», la materia e' stata, peraltro, ridisciplinata ex novo, e  in
senso fortemente ampliativo, dalla legge reg. Veneto n. 28 del 2017 -
oggi impugnata - la quale, abrogando la citata legge reg. n.  10  del
1998, ha inserito, tramite novellazione, le disposizioni  in  materia
di uso dei simboli ufficiali all'interno della legge reg.  Veneto  n.
56 del 1975. 
    L'art. 3, comma 1, della legge denunciata  aggiunge,  in  specie,
alla legge del 1975 l'art. 7-bis, il cui comma 1  stabilisce  che  la
bandiera veneta e' esposta all'esterno degli edifici  pubblici  nella
Regione Veneto «nei casi previsti  dalla  legge  e,  previa  espressa
disposizione od autorizzazione del Presidente della Giunta regionale,
in occasione di avvenimenti che rivestano  particolare  importanza  e
solennita' regionale o locale». 
    Di seguito a tale previsione, il comma 2 del medesimo art.  7-bis
reca un lungo elenco  di  ipotesi  nelle  quali  la  bandiera  «viene
altresi'  esposta»:  formula  che,  con   l'impiego   dell'indicativo
presente, imprime  inequivocabilmente  all'adempimento  connotati  di
doverosita'. Cio' e' peraltro confermato dalla disposizione di cui al
successivo art. 7-septies (aggiunto dall'art. 8, comma 1, della legge
reg. Veneto n. 28 del 2017) - sulla quale parimente si  appuntano  le
censure del ricorrente - ove si stabilisce che «[l]a violazione delle
norme di cui al comma 2 dell'articolo 7-bis  comporta  a  carico  dei
trasgressori l'applicazione della sanzione amministrativa da euro 100
(cento) a euro 1.000 (mille)». 
    Il dato saliente  agli  odierni  fini  -  costituente,  al  tempo
stesso, anche un tratto  distintivo  della  legislazione  veneta  nel
folto panorama  della  normativa  regionale  in  materia  -  e'  che,
diversamente dall'abrogato art. 2, comma 2, della legge  reg.  Veneto
n. 10 del 1998, la disposizione impugnata prescrive l'esposizione del
vessillo regionale anche su edifici adibiti a sede di organi e uffici
statali, nonche' su edifici e natanti di enti  e  organismi  pubblici
nazionali. 
    Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri investono in
modo specifico le previsioni di cui alle lettere a), d), f) ed n) del
comma 2 del nuovo art. 7-bis, in forza delle quali la bandiera veneta
deve  essere  esposta:  «a)  all'esterno  degli  edifici  sedi  della
Prefettura e degli  uffici  periferici  delle  amministrazioni  dello
Stato, della Regione, dei  comuni  e  delle  province,  della  Citta'
metropolitana, nonche' sedi di consorzi ed  unioni  di  enti  locali,
delle comunita' montane e degli altri organismi pubblici» (locuzione,
quest'ultima, che nella sua genericita'  si  presta  a  ricomprendere
anche gli organismi pubblici nazionali); «d) all'esterno  degli  enti
pubblici che ricevono in via ordinaria finanziamenti o  contributi  a
carico del bilancio regionale» (non esclusi, dunque, anche in  questo
caso, gli enti pubblici nazionali); «f) ogni qualvolta sia esposta la
bandiera  della  Repubblica  o  dell'Unione   Europea»;   «n)   sulle
imbarcazioni di proprieta' della Regione, dei comuni, delle  province
e della Citta' metropolitana e degli altri organismi pubblici nonche'
delle  imbarcazioni  private  acquistate  con  il  contributo,  anche
parziale,   della   Regione   del   Veneto»   (laddove,   di   nuovo,
l'indifferenziata espressione «organismi  pubblici»  risulta  atta  a
conglobare anche gli organismi nazionali). 
    3.-  Cio'  premesso,  le  questioni  con  le  quali  si  denuncia
l'incompatibilita' dell'art. 3, comma 1, della legge reg.  Veneto  n.
28 del 2017 con gli artt. 5 e 117, secondo comma, lettera g),  Cost.,
sono fondate. 
    3.1.- Seguendo l'ordine delle censure prospettato dal ricorrente,
che   riflette   il    relativo    rapporto    di    pregiudizialita'
logico-giuridica  (sul  carattere  pregiudiziale  delle  censure  che
denunciano la violazione del  riparto  delle  competenze  legislative
rispetto a quelle che investono il contenuto  della  norma  regionale
denunciata, sentenza n. 81 del 2017), deve rilevarsi, anzitutto, come
la disposizione impugnata invada la competenza legislativa  esclusiva
dello   Stato   in   materia   di   «ordinamento   e   organizzazione
amministrativa dello Stato e degli  enti  pubblici  nazionali»  (art.
117, secondo comma, lettera g, Cost.). 
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte   e',   infatti,   costante
nell'affermare che le Regioni -  pena  la  violazione  del  parametro
costituzionale ora indicato - «non possono porre a carico di organi e
amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto
a quelli individuati con legge statale» (sentenze n. 9 del  2016,  n.
104 del 2010, n. 10 del 2008 e n. 322 del  2006;  in  senso  analogo,
altresi', sentenze n. 2 del 2013, n. 159 del 2012 e n. 134 del 2004). 
    Tale preclusione opera anche  con  riguardo  alla  previsione  di
«forme  di  collaborazione  e  di  coordinamento»,  le   quali,   ove
coinvolgano compiti  e  attribuzioni  di  organi  dello  Stato,  «non
possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle
Regioni, nemmeno nell'esercizio  della  loro  potesta'  legislativa»,
dovendo trovare il loro fondamento o il  loro  presupposto  in  leggi
statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra  gli  enti
interessati (sentenze n. 9 del 2016, n. 104 del 2010, n. 10 del 2008,
n. 322 e n. 30 del 2006; analogamente, sentenza  n.  213  del  2006).
Cio', a prescindere  dalla  improprieta'  del  richiamo  dell'odierna
resistente al principio di leale collaborazione,  di  fronte  ad  una
previsione normativa introdotta in  modo  affatto  unilaterale  dalla
Regione. 
    Con riguardo a tematica che presenta qualche assonanza con quella
dei simboli, questa Corte ha avuto anche modo di affermare,  in  sede
di conflitto di attribuzioni, che non spetta alla Regione  il  potere
di disciplinare l'ordine delle precedenze tra le  cariche  pubbliche,
coinvolgendo in tale ordine  anche  organi  statali,  trattandosi  di
intervento che - se  pure  limitato  alle  sole  cerimonie  locali  -
incide, comunque sia, sulla  materia  «ordinamento  e  organizzazione
amministrativa  dello  Stato  e  degli  enti   pubblici   nazionali»,
attribuita dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  g),  Cost.  alla
competenza esclusiva dello Stato per assicurarne l'esercizio unitario
(sentenza n. 311 del 2008). 
    Va da se', per altro verso, che, alla  luce  dell'univoco  tenore
della norma costituzionale evocata, i  principi  ora  ricordati  sono
destinati a valere allo stesso modo anche  in  rapporto  agli  organi
degli «enti pubblici nazionali». 
    Nel caso in esame, la disposizione  regionale  impugnata  pone  a
carico di organi e amministrazioni  dello  Stato  (a  cominciare  dai
prefetti), nonche' di  organismi  ed  enti  pubblici  nazionali,  uno
specifico obbligo di  facere  (l'esposizione  della  bandiera  veneta
all'esterno degli edifici in cui gli uffici in questione hanno  sede,
o sulle imbarcazioni di proprieta' degli organismi). 
    Il carattere meramente materiale dell'attivita', in se' e per se'
considerata, non esclude che si tratti di obbligo riconducibile  alla
sfera dell'«organizzazione amministrativa», posto  che  l'esposizione
pubblica di un simbolo ufficiale e' destinata ad assumere una valenza
connotativa delle funzioni che gli uffici ed  enti  considerati  sono
chiamati ad esercitare (e degli stessi uffici ed enti). 
    Ne' puo' farsi leva,  in  senso  contrario  -  come  ipotizza  la
resistente - sul ricordato riconoscimento, da parte di questa  Corte,
gia' prima della riforma del  Titolo  V  della  Parte  seconda  della
Costituzione, della competenza delle Regioni a legiferare in  materia
di adozione e definizione  dei  simboli  regionali,  sulla  base  del
generale principio di autonomia espresso dall'art. 5 Cost.  (sentenza
n. 365 del 1990). Nel frangente non e' infatti in discussione  -  per
valersi delle parole della sentenza ora  citata  -  il  potere  della
Regione «di scegliere i segni piu' idonei a  distinguere  l'identita'
stessa della collettivita' che essa rappresenta», ma la pretesa della
Regione di imporre l'uso di tali segni ad organi ed enti che, se pure
operanti  nel  territorio   regionale,   sono   espressivi   di   una
collettivita' distinta e piu' vasta (quella dell'intiera nazione). 
    Questa stessa considerazione rende non rilevante la circostanza -
sulla quale pure pone l'accento la difesa regionale -  che  la  norma
impugnata intervenga in un ambito distinto da quello  regolato  dalla
legge n. 22 del 1998, la quale si occupa della sola esposizione della
bandiera nazionale e di quella della  Unione  europea,  affidando  ad
ulteriori norme di attuazione, statali e  regionali,  il  compito  di
introdurre una disciplina piu' circostanziata, nonche' previsioni  di
carattere integrativo. Da cio' non e' lecito, comunque sia,  inferire
che il legislatore regionale sia abilitato  a  vincolare  all'impiego
del vessillo veneto anche organi  dello  Stato  e  di  enti  pubblici
nazionali. 
    3.2.- Fondata  e',  peraltro,  anche  la  censura  di  violazione
dell'art. 5 Cost., nella parte in cui enuncia il principio di  unita'
e indivisibilita' della Repubblica. 
    Per questo verso, il citato art. 5 Cost. deve essere  letto  alla
luce  della  specifica  disposizione   costituzionale   -   collocata
anch'essa, come detto, tra i  «[p]rincipi  fondamentali»  -  relativa
alla bandiera: ossia l'art. 12, pur non evocato  come  parametro  dal
ricorrente, che individua nel «tricolore italiano» la bandiera  della
Repubblica, erigendola a simbolo dell'unita' nazionale. 
    Traguardato alla luce dell'art. 12, l'art. 5 Cost. esclude che lo
Stato-soggetto possa essere costretto  dal  legislatore  regionale  a
fare uso pubblico di simboli  -  quali,  nella  specie,  le  bandiere
regionali - che la Costituzione  non  consente  di  considerare  come
riferibili all'intera collettivita' nazionale. 
    Non e' condivisibile, al riguardo, la  tesi  della  difesa  della
Regione, secondo  la  quale  la  disposizione  censurata,  lungi  dal
violare l'art. 5 Cost.,  lo  attuerebbe,  nella  parte  in  cui,  pur
qualificando la Repubblica come «una e indivisibile», le affida pero'
il compito di promuovere le autonomie  locali,  affermando  cosi'  il
principio del pluralismo. L'esposizione  della  bandiera  veneta,  in
aggiunta alla (e non gia' in sostituzione della) bandiera  nazionale,
mirerebbe - secondo la  resistente  -  segnatamente  ad  esaltare  il
raccordo tra gli uffici statali e  la  realta'  territoriale  in  cui
operano, realizzando una  istanza  di  sintesi  della  pluralita'  in
unita' non  dissimile,  nella  sostanza,  da  quella  che  giustifica
l'accostamento - voluto dallo  stesso  legislatore  statale  -  della
bandiera nazionale alla bandiera dell'Unione europea nelle  sedi  dei
massimi organi dello Stato. 
    Al riguardo, va osservato che l'unita' e l'indivisibilita'  della
Repubblica, costituzionalmente imposte come tratti che qualificano lo
Stato-soggetto espressivo della comunita' nazionale,  comportano  che
le  Regioni  non  possano   avanzare   la   pretesa   di   affiancare
imperativamente alla bandiera  della  Repubblica,  configurata  dalla
Costituzione quale elemento simbolico "tipizzante", i vessilli  delle
autonomie locali in tutte le ipotesi in cui  il  simbolo  stesso  sia
chiamato a palesare il carattere "nazionale" dell'attivita' svolta da
determinati organismi, enti o uffici. 
    Ne' e' probante, in contrario, il  richiamo  della  Regione  alla
esposizione congiunta delle bandiere italiana e dell'Unione  europea,
prevista dalla  stessa  legislazione  statale.  A  prescindere  dalla
chiara eterogeneita' dei rapporti tra Unione europea e  Stati  membri
rispetto  ai  rapporti  tra  Repubblica  italiana  e  Regioni,   vale
osservare che con la legge n. 22 del 1998 lo  Stato  ha  disposto  la
contemporanea esposizione delle due bandiere,  italiana  ed  europea,
all'esterno degli uffici pubblici italiani, allo stesso modo  in  cui
le  Regioni  ben  possono  prevedere  l'esposizione  congiunta  delle
bandiere regionale e italiana - nonche' europea - nei loro  uffici  e
negli uffici degli enti locali. Lo Stato italiano non ha preteso, per
contro, di imporre l'esposizione della bandiera nazionale ad organi e
uffici rappresentativi della comunita' sovranazionale di cui l'Italia
e' parte, come invece ha inteso fare, mutatis  mutandis,  la  Regione
Veneto con la norma impugnata, nei rapporti con lo Stato. 
    3.3.- L'art. 3, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del  2017,
va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo  nella  parte
in cui, aggiungendo alla legge reg. Veneto  n.  56  del  1975  l'art.
7-bis, comma 2, lettere a),  d),  f)  ed  n),  prevede  l'obbligo  di
esporre la bandiera regionale all'esterno di edifici adibiti  a  sede
di organi e uffici statali e di enti e organismi pubblici  nazionali,
nonche' su imbarcazioni di proprieta' di questi ultimi. 
    3.4.- La questione sollevata  in  riferimento  all'art.  3  Cost.
resta assorbita. 
    4.- Per quanto attiene, invece, alle questioni che  investono  la
disposizione sanzionatoria di cui all'art. 7-septies, comma 1,  della
legge reg. Veneto n. 56 del 1975, introdotta dall'art.  8,  comma  1,
della legge reg. Veneto n. 28 del 2017,  occorre  rilevare  che  tale
disposizione individua le condotte  sanzionate  tramite  mero  rinvio
alla norma impositiva  dell'obbligo  di  esposizione  della  bandiera
regionale (nuovo art. 7-bis, comma 2, della legge reg. Veneto  n.  56
del 1975). 
    L'ablazione parziale  di  quest'ultima  norma,  conseguente  alla
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  nei  termini  dianzi
indicati, comporta, dunque, che la disposizione  sanzionatoria  resti
applicabile esclusivamente  in  rapporto  a  fattispecie  diverse  da
quelle dichiarate illegittime e alle quali si riferiscono le  censure
del ricorrente, senza che sia necessario alcun ulteriore ed  autonomo
intervento  di  limitazione  della  sfera   di   operativita'   della
disposizione stessa. 
    Le questioni aventi ad oggetto il citato art. 8, comma 1, debbono
essere dichiarate pertanto non  fondate  (per  una  ipotesi  analoga,
sentenza n. 121 del 2018, punto 11.3 del Considerato in diritto). 
    5.-  La  decisione  sul  merito  del  ricorso  assorbe,   infine,
l'istanza cautelare di sospensione dell'efficacia delle  disposizioni
impugnate,  formulata  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
(sentenze n. 5 del 2018, n. 145 e n. 141 del 2016).