ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'intero testo e degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera a), e 27 del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), promossi dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, dalla Regione Lombardia, dalla Regione Puglia, dalla Regione Abruzzo, dalla Regione Veneto, dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione autonoma Sardegna, dalla Regione Calabria e dalla Provincia autonoma di Bolzano, con ricorsi, il primo, spedito per la notifica il 1° settembre, gli altri notificati il 30 agosto, il 1°-6 settembre, il 4-6 settembre, il 4 settembre, il 4-7 settembre, il 1°-6 settembre, il 4-7 settembre e il 4-11 settembre 2017, depositati in cancelleria il 5, 6, 7, 8, 13 e 14 settembre 2017, iscritti, rispettivamente, ai numeri da 63 a 71 e 73 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri da 41 a 45, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; uditi nell'udienza pubblica del 19 giugno 2018 i Giudici relatori Franco Modugno e Augusto Antonio Barbera; uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Piera Pujatti per la Regione Lombardia, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia, Fabio Franco per la Regione Abruzzo, Andrea Manzi per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Massimo Luciani per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per la Regione autonoma Sardegna, Aristide Police e Nicola Greco per la Regione Calabria, Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017 e depositato il 5 settembre 2017 (reg. ric. n. 63 del 2017), la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha promosso questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e 120 della Costituzione, nonche' agli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), 3, 4 e 10 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), di alcune disposizioni del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2017. 1.1.- La ricorrente premette che il d.lgs. n. 104 del 2017 e' stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Ad avviso della ricorrente, l'atto normativo realizzerebbe un pervasivo riassetto del riparto delle competenze fra Stato e Regioni in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), lesivo delle sue competenze costituzionali. La Regione censura, anzitutto, l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, denunciando la violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 del proprio statuto, nonche' degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e terzo comma, e 120 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). La norma impugnata aggiunge al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi, anche: cod. ambiente), l'art. 7-bis, recante «Competenze in materia di VIA e di verifica di assoggettabilita' a VIA». La nuova disposizione, ai commi 2 e 3, ridisegna la distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni in relazione ai progetti da sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilita' a VIA, assegnando allo Stato i progetti di cui agli Allegati II e II-bis e alle Regioni quelli di cui agli Allegati III e IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006. Stabilisce, inoltre, al comma 4, che in sede statale l'autorita' competente e' il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che esercita le proprie competenze in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo per le attivita' istruttorie relative al procedimento di VIA, soggiungendo che il provvedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA e' adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre il provvedimento di VIA e' adottato nelle forme e con le modalita' di cui al nuovo art. 25, comma 2, e all'art. 27, comma 8, cod. ambiente, che non contemplano piu' - diversamente dal passato - il parere delle Regioni interessate. La nuova disposizione prevede, ancora, al comma 7, che nell'ipotesi in cui un progetto sia sottoposto a verifica di assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano assicurare che le procedure siano svolte in conformita' agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo, altresi', che il procedimento di VIA si svolge con le modalita' di cui al citato art. 27-bis: con la conseguenza che tale procedura risulterebbe disciplinata «integralmente dal centro». Il comma 8 circoscrive, poi, la potesta' normativa, legislativa e regolamentare, delle Regioni e delle Province autonome alla disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonche' all'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. La potesta' normativa in parola viene vincolata al rispetto della legislazione europea e di quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo solo il potere di stabilire regole particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per le modalita' della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la destinazione alle finalita' di cui all'art. 29, comma 8, dei proventi derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, con espressa esclusione della derogabilita' dei termini procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis. Il comma 9 sottopone, da ultimo, le Regioni e le Province autonome a penetranti controlli e obblighi informativi, stabilendo che, a decorrere dal 31 dicembre 2017 e con cadenza biennale, esse debbano informare il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo una serie di dati. Tale «pervasiva interferenza» con le competenze regionali risulterebbe costituzionalmente illegittima, tanto in rapporto allo strumento attraverso il quale e' stata attuata, quanto nei contenuti. 1.1.1.- Sotto il primo profilo, il censurato art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, violerebbe anzitutto l'art. 76 Cost. per eccesso di delega. Il profondo riassetto delle competenze fra Stato e Regioni operato con la norma impugnata risulterebbe, infatti, privo di qualsiasi fondamento esplicito nelle norme della legge di delegazione. In base all'art. 1 della legge n. 114 del 2015, il legislatore delegato, nell'attuare le direttive elencate negli Allegati A e B, avrebbe dovuto attenersi, in primo luogo, ai principi e ai criteri direttivi generali sanciti dagli artt. 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea). Nessuno di tali principi e criteri direttivi autorizzerebbe, peraltro, la modifica del riparto di competenze tra Stato e Regioni. Da essi emergerebbe, al contrario, la «massima attenzione» per la salvaguardia delle attribuzioni dei singoli livelli di governo, essendo previsto nell'art. 32, comma 1, lettera g), che, nei casi di sovrapposizione di competenze tra amministrazioni diverse, «i decreti legislativi individuano, attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili». Ancora piu' significativo risulterebbe, peraltro, il silenzio sul punto, considerati i principi e criteri direttivi specifici enunciati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, alla luce dei quali la normativa delegata avrebbe dovuto perseguire i seguenti obiettivi: «a) semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale; b) rafforzamento della qualita' della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali; c) revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio da adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni; d) destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale, nonche' alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Il combinato disposto degli artt. 1 e 14 di tale legge lascerebbe, quindi, chiaramente intendere come le Camere abbiano conferito al Governo una mera delega di revisione, riordino e semplificazione delle norme preesistenti, senza autorizzare l'introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, un simile intervento e' ammissibile solo nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato: in mancanza di essi, la delega deve essere intesa, di contro, in senso "minimale", tale, cioe', da non consentire l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative. A comprova del fatto che il silenzio della legge n. 114 del 2015 assurga a indice della volonta' delle Camere di non consentire interventi innovativi del legislatore delegato sul piano della disciplina dei rapporti tra Stato e Regioni, militerebbe anche la considerazione che tale legge, nel disciplinare il procedimento di formazione del decreto delegato, ha prescritto il coinvolgimento delle Regioni nella forma del mero parere, e non gia' dell'intesa. Tale soluzione si giustificherebbe, infatti, solo sul presupposto che le Camere abbiano abilitato il Governo a una "blanda" operazione di riordino e semplificazione della materia, che intacca in misura minima o non intacca affatto le competenze regionali, cosi' da non richiedere l'attivazione di piu' penetranti strumenti di collaborazione. Ove si ritenesse, al contrario, che le Camere abbiano voluto implicitamente consentire al Governo di riformare le competenze statali e regionali in materia di VIA, lo strumento del mero parere si rivelerebbe del tutto inidoneo a consentire una seria interlocuzione fra i livelli di governo coinvolti, stante la quantita' e l'intensita' delle competenze regionali sacrificate. In questa prospettiva, gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 risulterebbero illegittimi per violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), nella parte in cui prevedono il mero parere e non l'intesa, conformemente a quanto gia' deciso dalla Corte costituzionale, in situazione analoga, con la sentenza n. 251 del 2016. Proprio la prescrizione del mero parere, anziche' dell'intesa, avrebbe del resto consentito al Governo di disattendere del tutto sette delle nove condizioni che le Regioni avevano indicato come irrinunciabili nel parere 17/52/SR8/C5 (Parere sullo schema di decreto legislativo della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), reso in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sullo schema di decreto delegato. La Regione ricorrente chiede pertanto che la Corte - ove ritenesse che gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 abilitino il Governo al riassetto delle competenze statali e regionali - sollevi avanti a se' stessa questione di legittimita' costituzionale delle citate disposizioni, dichiarando l'illegittimita' costituzionale in via derivata dell'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017. 1.1.2.- Dal punto di vista contenutistico, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), nonche' con gli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, in combinato disposto con l'art. 117, primo e terzo comma, Cost., anche in relazione alla "clausola di maggior favore" di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. L'art. 2 dello statuto attribuisce alla Regione autonoma la competenza legislativa piena in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale; agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna; strade e lavori pubblici di interesse regionale; acque pubbliche destinate ad irrigazione ed a uso domestico. Tale competenza incontra il solo limite degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. L'art. 3 riconosce, poi, alla Regione autonoma la potesta' di emanare - sempre entro i limiti dianzi indicati - norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica, per adattarle alle condizioni regionali, in tutta una serie di materie che si intrecciano con quelle implicate nella valutazione di impatto ambientale: industria e commercio, disciplina dell'utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico, disciplina dell'utilizzazione delle miniere, igiene e sanita', antichita' e belle arti. Infine, l'art. 4 demanda alla Regione autonoma le funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potesta' legislativa a norma degli artt. 2 e 3, salve quelle attribuite ai Comuni e agli altri enti locali dalle leggi della Repubblica. A fronte di questo ampio elenco di competenze regionali, l'operazione effettuata dallo Stato, con l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, apparirebbe evidentemente illegittima e sproporzionata. A seguito dell'intervento normativo censurato, infatti, la Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste: a) si troverebbe confinata - nei casi di progetto sottoposto a verifica di assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale - al ruolo di mero "custode" delle norme e delle procedure prescritte dallo Stato (comma 7): ruolo ulteriormente gravato da un obbligo di informazione periodica (comma 9); b) vedrebbe limitata la propria potesta' normativa, tanto legislativa quanto regolamentare, alla disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, salva la sola facolta' di dettare norme particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti e altre specifiche finalita' (comma 8); c) subirebbe l'integrale «regolazione dal centro» della procedura di VIA regionale - cristallizzata nella disciplina dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 - e perderebbe ogni possibilita' di interlocuzione nel procedimento di VIA statale, essendo stato eliminato il parere regionale precedentemente prescritto dall'art. 25, comma 2, del citato decreto legislativo. In pratica, la Regione speciale sarebbe stata «"declassata" a ufficio territoriale dello Stato», peraltro in palese violazione del principio di leale collaborazione, essendo state disattese tutte le proposte di emendamento formulate dalla Conferenza Stato-Regioni. Tale "declassamento" non troverebbe alcuna giustificazione nel diritto europeo. La direttiva 2014/52/UE apparirebbe, al contrario, «attenta alle specificita' territoriali, ed incline a valorizzare [...] le competenze degli enti sub-statali», come attesterebbero, tra l'altro, le indicazioni del considerando n. 9 (nel quale si pone in evidenza «l'importanza economica e sociale di una corretta pianificazione territoriale» e la rilevanza di «opportuni piani di utilizzo del suolo e politiche a livello nazionale, regionale e locale») e del novellato art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2011/92/UE (in forza del quale «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie affinche' le autorita' che possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilita' in materia di ambiente o in virtu' delle loro competenze locali o regionali, abbiano la possibilita' di esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e sulla domanda di autorizzazione»). L'impugnato "declassamento" risulterebbe, altresi', incompatibile con il riparto costituzionale delle competenze delineato dall'art. 117 Cost. Alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, benche' la disciplina della VIA sia in larga parte riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, cio' non sarebbe incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che attengano alle proprie competenze, specie in materia di governo del territorio e di tutela della salute. La competenza statale in questione, se pure di natura "trasversale", rimarrebbe soggetta, comunque sia, ai limiti della ragionevolezza e della proporzionalita', non valendo di per se' ad escludere ogni margine di competenza delle Regioni, alle quali e' consentito, ad esempio, incrementare gli standard di tutela dell'ambiente prefigurati dalla legge statale. La conclusione varrebbe a fortiori per la ricorrente, in forza delle ulteriori competenze attribuite dallo statuto speciale. La consapevolezza dell'esistenza di incomprimibili competenze delle Regioni speciali emergerebbe, peraltro, anche dal parere della commissione ambiente del Senato della Repubblica, nel quale si raccomandava di adottare gli emendamenti al riguardo suggeriti dalla Conferenza Stato-Regioni (parere espresso il 16 maggio 2017 dalla XIII Commissione permanente del Senato della Repubblica), nonche' dal parere della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e Interni, nel quale si auspicavano modifiche proprio per salvaguardare le condizioni delle autonomie speciali (parere espresso il 10 maggio 2017 dalla I Commissione permanente Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e Interni della Camera dei deputati). 1.2.- Vengono altresi' censurati l'art. 16, comma 2, e l'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017. L'art. 16 stabilisce che il «provvedimento unico regionale» sostituisce ogni tipologia di autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del progetto sottoposto a VIA regionale. Tali atti vengono acquisiti - ai sensi dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce l'art. 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) - nell'ambito di una conferenza di servizi, convocata in «modalita' sincrona» ai sensi dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990. La nuova normativa statale disciplinerebbe «in ogni minuto dettaglio» il procedimento per il rilascio della VIA regionale, privando il legislatore regionale di ogni spazio di autonomia. 1.2.1.- La ricorrente lamenta la lesione dell'art. 76 Cost., poiche', secondo quanto gia' posto in evidenza, dal combinato disposto dei principi e criteri direttivi desunti dagli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 emergerebbe l'intenzione delle Camere di conferire al Governo una delega «minimale», con «meri» obiettivi di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA (art. 14, comma 1, lettera a), mentre il Governo avrebbe fatto «tabula rasa» delle previgenti discipline regionali e avrebbe uniformato tutte le procedure «in maniera pervasiva e vincolante». 1.2.2.- Gli articoli impugnati sarebbero illegittimi anche rispetto all'art. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), nonche' agli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, in combinato disposto con l'art. 117, primo e terzo comma, Cost., in riferimento alla «clausola di maggior favore», di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. La titolarita' in capo alla Regione autonoma di una pluralita' di potesta' legislative piene e integrative-attuative in materie strettamente connesse alla VIA, nonche' delle corrispondenti funzioni amministrative, impedirebbe allo Stato di dettare «in modo unilaterale e vincolante» il procedimento per la VIA, in lesione del principio di leale collaborazione; la pretesa del legislatore statale di disciplinare dal centro e in modo uniforme la VIA regionale, senza considerare le specificita' locali, apparirebbe, inoltre, «manifestamente irragionevole» e contraria ai principi di buon andamento (art. 97 Cost.), sussidiarieta' e differenziazione (art. 118 Cost.). Anche a voler ritenere che lo Stato abbia avocato a se', tramite «chiamata in sussidiarieta'», la disciplina del procedimento, «l'integrale regolazione apprestata dal legislatore nazionale» violerebbe i principi di ragionevolezza e proporzionalita' (e' richiamata la sentenza n. 303 del 2003). 1.3.- La ricorrente impugna, altresi', l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 104 del 2017 per violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, nonche' degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. La ricorrente rileva come la norma impugnata abbia ampiamente novellato gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali contengono gli elenchi dei procedimenti sottoposti a VIA statale (Allegato II), a verifica di assoggettabilita' a VIA statale (Allegato II-bis), a VIA regionale (Allegato III) e a verifica di assoggettabilita' a VIA regionale (Allegato IV). Rispetto al testo previgente, risultano drasticamente ridotti i procedimenti di competenza regionale, con corrispondente incremento di quelli di competenza statale. Anche tale intervento esulerebbe dal circoscritto perimetro della delega di armonizzazione e semplificazione conferita dalle Camere con gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, salvo a voler considerare quest'ultima costituzionalmente illegittima per la previsione di insufficienti strumenti di leale collaborazione. L'«impoverimento» degli elenchi regionali lederebbe, altresi', le competenze legislative piene e integrative-attuative riconosciute alla ricorrente dai citati artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), e 3 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, nonche' delle parallele competenze amministrative ad essa riconosciute dal successivo art. 4. Risulterebbero violate, inoltre, le ulteriori competenze di cui la Regione gode ai sensi dell'art. 117 Cost., in virtu' della "clausola di maggior favore" di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, a cominciare da quelle in materia di tutela della salute e governo del territorio. La riscrittura degli Allegati suindicati sarebbe stata operata, ancora - in violazione degli artt. 5 e 120 Cost. - al di fuori di meccanismi di leale collaborazione: l'acquisizione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, peraltro in larga parte disatteso, costituirebbe, infatti, uno strumento del tutto insufficiente a compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali. La nuova sistematica degli elenchi non risponderebbe, per altro verso, ad alcun canone di razionalita', ma soltanto a «un'ispirazione tutoria e centralistica fine a se' stessa». Nella distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni, infatti, sarebbero stati adottati criteri del tutto scollegati dal dato territoriale - ad esempio, la potenza termica o la dimensione dello specchio acqueo - privi di valore sintomatico riguardo alla dimensione regionale o sovraregionale dell'intervento, assegnando alla competenza statale anche progetti che pacificamente interessano una sola Regione. Risulterebbero in tal modo violati, oltre all'art. 3 Cost., anche gli artt. 97 e 118 Cost., essendo stati completamente disattesi i principi di buon andamento e sussidiarieta'. 1.4.- Sarebbe illegittimo anche l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, per asserita violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, dell'art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), nonche' degli artt. 3, 5, 76, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. La norma censurata stabilisce che «[l]e Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti esercitando le potesta' normative di cui all'articolo 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'articolo 5 del presente decreto, entro il termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto. Decorso inutilmente il suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all'articolo 117, quinto comma, Cost., secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della legge n. 234 del 2012». La disposizione si porrebbe in contrasto con i parametri evocati, stante l'assoluta genericita' e vaghezza del presupposto al quale e' connessa l'attivazione del potere sostitutivo dello Stato: vale a dire, il difetto di "idoneita' allo scopo" delle norme regionali e provinciali adottate in forza del nuovo art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006. In mancanza di qualsiasi criterio atto a delimitare la discrezionalita' dello Stato, il potere sostitutivo potrebbe essere esercitato sulla base di valutazioni squisitamente politiche, che troverebbero un unico contrappeso - «tenue e anch'esso tutto politico» - nella sottoposizione dell'atto sostitutivo alla Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 41 della legge n. 234 del 2012: con la conseguenza che il legislatore statale sarebbe posto «nella condizione di rimodulare a piacere i confini costituzionali delle competenze». Sfuggente e indefinito risulterebbe, peraltro, lo stesso «scopo» cui le norme regionali devono tendere, individuato tramite il richiamo alle potesta' normative previste dal citato art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni e alle Province autonome in materia di VIA, nonche' l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. Le funzioni cosi' delineate sarebbero, peraltro, tutte a esercizio eventuale e facoltativo, sicche' rispetto a esse non potrebbe configurarsi alcun potere sostitutivo dello Stato, il quale, secondo la pacifica giurisprudenza costituzionale, e' esercitabile solo in relazione ad atti e attivita' vincolati nell'an. Nella specie, solo la competenza normativa relativa all'organizzazione e alle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative potrebbe ritenersi ad esercizio obbligatorio: senonche', da un lato, non si comprenderebbe quale sia rispetto a essa lo scopo, posto che la nuova disciplina statale gia' determina in modo esaustivo ogni aspetto delle funzioni in questione, soprattutto con il nuovo art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006; dall'altro, risulterebbe ancora piu' difficile valutare l'idoneita' allo scopo di norme regionali di cosi' scarso rilievo, una volta che il successo della riforma dipende tutto dall'efficacia della «pervasiva disciplina dello Stato». Tali criticita' risulterebbero acuite dall'autonomia speciale di cui gode la ricorrente, che dovrebbe garantirle un presidio ancora maggiore rispetto a interventi unilaterali dello Stato: non a caso, in sede di Conferenza Stato-Regioni erano stati proposti correttivi finalizzati a garantire una maggiore compatibilita' tra potere sostitutivo e competenze delle Regioni speciali (punto 53 del citato parere). 2.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso. 2.1.- Con riguardo alle questioni che investono l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 e, in via subordinata, gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, il resistente eccepisce in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso, in ragione del fatto che non e' mai stata promossa dalla Regione ricorrente questione di legittimita' costituzionale della legge delega. Al riguardo, l'Avvocatura generale dello Stato ricorda come, secondo la giurisprudenza costituzionale, la legge di delegazione legislativa possa essere autonomamente impugnata allorche' contenga un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione parziale della stessa, ovvero stabilisca norme attributive di competenze che incidano in modo diretto e immediato sulle attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni e delle Province autonome. Ne deriva che ogni qualvolta i contenuti della legge di delega, per il loro grado di determinatezza e inequivocita', possano dar luogo a effettive lesioni delle competenze regionali o provinciali, tale legge deve essere impugnata tempestivamente nel termine di sessanta giorni stabilito dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Qualora, infatti, si riconoscesse la possibilita' di impugnare il decreto legislativo senza aver preventivamente impugnato la legge delega che risulti immediatamente lesiva si consentirebbe, da un lato, l'elusione del predetto termine stabilito a pena di decadenza; dall'altro, la sopravvivenza, «ancorche' formale», di una normativa (quella della legge delega) i cui effetti immediati e diretti (stabiliti dal decreto legislativo) siano stati dichiarati costituzionalmente illegittimi. Di qui anche l'inammissibilita' della richiesta della Regione ricorrente di autorimessione, da parte della Corte costituzionale, della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, nella parte in cui prevedono il mero parere e non l'intesa: richiesta che assumerebbe, per l'appunto, carattere elusivo del termine per l'impugnazione della legge delega. 2.1.1.- Nel merito, le censure della ricorrente risulterebbero, in ogni caso, infondate. Quanto alla pretesa esorbitanza dell'intervento dai limiti tracciati dalla legge di delegazione, risulterebbe evidente come, nel caso in esame, l'oggetto, i principi e criteri direttivi della delega debbano essere desunti non soltanto dalla legge n. 114 del 2015, ma anche dalla direttiva 2014/52/UE che il Governo e' stato chiamato ad attuare. Tale direttiva reca una disciplina puntuale delle fasi del procedimento di VIA (art. 1, paragrafo 1, numero 1, lettera a), che vincola rigorosamente gli Stati membri e, dunque, il Governo italiano nella sua qualita' di legislatore delegato, riducendo fortemente i margini di discrezionalita' di quest'ultimo e, pertanto, la possibilita' di differenziare su base regionale tale procedimento. Non vi sarebbe, quindi, alcuna ragione per intendere la delega al riassetto in senso minimale e formale, dovendosi ritenere, al contrario, che essa giustifichi anche interventi sostanziali quale quello che il ricorso regionale contesta. La norma censurata rende, infatti, omogenea su tutto il territorio nazionale l'applicazione delle nuove regole per i procedimenti di VIA e di assoggettabilita' a VIA proprio al fine di recepire fedelmente la nuova direttiva, che impone di superare la pregressa situazione di frammentazione e contraddittorieta' del quadro regolamentare, dovuta alle diversificate discipline regionali, e di assicurare l'efficace applicazione per tutti gli operatori delle semplificazioni introdotte. La previgente disciplina attribuiva, in effetti, alle Regioni e alle Province autonome la potesta' generale di disciplinare il procedimento di VIA (art. 7, comma 7, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo anteriore): potesta' che non avrebbe piu' ragione di essere mantenuta, una volta che la direttiva 2014/52/UE prevede regole dettagliate insuscettibili di varianti negli ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di infrazione. Peraltro, la disposizione impugnata, oltre a prevedere che le Regioni e le Province autonome possano disciplinare l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative loro attribuite in materia di VIA, in conformita' alla normativa europea e nel rispetto di quanto previsto dalla nuova disciplina, fa salvo il potere di tali enti di stabilire regole particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per la consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, nonche' per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale. In tale quadro, sarebbe stato razionalizzato anche il riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, prevedendo che siano sottoposti alla procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA in sede statale i progetti di cui agli Allegati II e II-bis, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, e alla procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA in sede regionale i progetti di cui agli Allegati III e IV. 2.1.2.- Con riguardo, poi, alla censura di illegittima compressione delle potesta' legislative e delle competenze amministrative regionali connesse alla VIA, il resistente rileva come, anche alla luce della definizione offerta dall'art. 1, paragrafo 1, numero 1), lettera a), della direttiva 2014/52/UE, la VIA consista in un procedimento mediante il quale vengono preventivamente individuati gli effetti significativi sull'ambiente di determinate attivita' antropiche (progetti, opere, infrastrutture e impianti produttivi). Al riguardo, l'art. 4, comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 elenca dettagliatamente i fattori sui quali possono ricadere gli impatti ambientali negativi, individuandoli segnatamente nella popolazione e salute umana; nella biodiversita', con particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti; nel territorio, suolo, acqua, aria e clima; nei beni materiali, patrimonio culturale e paesaggio; nell'interazione tra tali fattori. Sarebbe, quindi, evidente come la disciplina della VIA si collochi nell'ambito della materia, di competenza esclusiva statale, «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Si tratta di materia che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si connota come «trasversale» e «prevalente», in maniera tale che la normativa statale ad essa relativa si impone integralmente nei confronti delle Regioni: conclusione che si imporrebbe anche in rapporto alle Regioni ad autonomia speciale. I ripetuti riferimenti della Regione ricorrente alla giurisprudenza costituzionale in tema di "intreccio" di materie sarebbero, pertanto, non pertinenti. Nel caso della VIA non vi sarebbe, infatti, alcun "intreccio" di materie. Come gia' ampiamente riconosciuto dalla Corte costituzionale, l'esercizio della valutazione ambientale puo' certamente incidere sull'esercizio di funzioni regionali, ma cio' non escluderebbe che la relativa regolamentazione vada ascritta in via esclusiva alla competenza statale in materia ambientale, salva l'esigenza - quando tale incidenza sia particolarmente significativa - che la legislazione statale preveda passaggi collaborativi con la Regione interessata (e' citata, in specie, la sentenza n. 232 del 2009). Cio' sarebbe puntualmente avvenuto con il d.lgs. n. 104 del 2017, il cui art. 12, novellando l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha previsto il necessario coinvolgimento, non soltanto della Regione, ma di tutte le amministrazioni anche solo potenzialmente interessate. Con riguardo alla VIA di competenza statale, d'altro canto, l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevede, nei procedimenti per i quali sia riconosciuto un concorrente interesse regionale, che un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate partecipi all'attivita' istruttoria della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale strategica (VAS). Non conferente risulterebbe, quindi, il richiamo della Regione ricorrente alla sentenza n. 251 del 2016, la quale ha ritenuto che la decretazione legislativa statale debba essere in taluni casi assistita da passaggi collaborativi "forti" con il sistema regionale: ma cio' esclusivamente qualora la medesima si muova nell'ambito di un "intreccio inestricabile" di competenze, e non gia' quando si sia di fronte ad un fenomeno di semplice «incidenza» delle norme statali in materia di competenza esclusiva su funzioni regionali; fenomeno che caratterizza naturalmente le materie "trasversali", quali la tutela dell'ambiente o la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). Le norme del d.lgs. n. 104 del 2017 volte a garantire l'omogeneita' procedimentale delle valutazioni di impatto ambientale su tutto il territorio nazionale risulterebbero, in effetti, ascrivibili proprio a quest'ultima materia, avendo la giurisprudenza costituzionale chiarito che norme procedimentali a carattere semplificatorio possono costituire «livelli essenziali delle prestazioni» ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in grado di vincolare i legislatori regionali. 2.1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, in ogni caso, l'inammissibilita', per genericita' e carenza di motivazione, della censura relativa alla presunta violazione delle norme dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, congiuntamente a quella dell'art. 117, terzo comma, Cost. Per un verso, infatti, la Regione non avrebbe indicato le ragioni per le quali la disciplina della VIA dettata dallo Stato inciderebbe sulle richiamate competenze statutarie; per altro verso, avrebbe invocato simultaneamente la disciplina statutaria e quella costituzionale, senza motivare circa l'applicabilita' dell'una o dell'altra al caso di specie, alla stregua della clausola di adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Ai fini dell'ammissibilita' della censura, la Regione avrebbe dovuto, in particolare, individuare - fornendone adeguata motivazione - per quali materie la Costituzione pone un regime competenziale di maggior favore per la Regione speciale rispetto alla disciplina statutaria, e per quali materie accade l'opposto, invocando, di conseguenza, il parametro adeguato per ciascuna materia. 2.1.4.- Con riferimento, infine, al mancato recepimento da parte del Governo delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e dalle Province autonome in sede di Conferenza Stato-Regioni, per il resistente, l'istituto del mero parere, oltretutto neppure obbligatorio, non impedisce al procedente di determinarsi in modo differente dalle risultanze dell'attivita' consultiva. Tutte le proposte delle Regioni sarebbero state, peraltro, dettagliatamente analizzate nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, con l'indicazione, per quelle non accolte, delle ragioni del mancato accoglimento. 2.2.- Sulla presunta violazione dell'art. 76 Cost., da parte dell'art. 16, comma 2 e dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, l'infondatezza della censura sarebbe palese ove si consideri che la delega era volta all'attuazione della direttiva 2014/52/UE. Essa avrebbe richiesto agli Stati membri di individuare il grado e le modalita' dell'integrazione del procedimento di VIA in altri procedimenti a carattere autorizzatorio, prevedendo che in detto provvedimento autorizzatorio fosse necessariamente contenuta la decisione motivata di valutazione di impatto ambientale. Alla luce di cio', sarebbe intervenuta la modifica del contestato art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006; i principi e criteri direttivi della legge delega, volti ad attuare la direttiva europea, avrebbero dovuto integrarsi con le previsioni di questa, da cui si dovrebbe evincere l'esistenza di «norme ben precise che orientavano il legislatore delegato e ne vincolavano l'operato». L'Avvocatura nota che l'integrazione procedimentale richiesta dalla direttiva 2014/52/UE si sarebbe potuta raggiungere solo attraverso un procedimento unico o comunque tramite l'integrazione con gli altri procedimenti di settore. Dall'art. 2, paragrafo 2, della richiamata direttiva, si dedurrebbe che «gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per dare attuazione alla direttiva relativamente all'integrazione delle valutazioni dell'impatto ambientale nelle procedure nazionali». Considerando che gli elementi di tali procedure nazionali possono variare, appare conseguente la previsione di cui all'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che ha introdotto una disciplina specifica per le procedure di VIA incardinate nel procedimento autorizzatorio unico regionale, confermando la scelta gia' operata con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi in attuazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), di riforma della legge n. 241 del 1990. 2.3.- L'impugnato art. 24, inoltre, razionalizzerebbe un istituto gia' esistente e non innoverebbe la disciplina previgente, come modificata dall'art. l, comma 4, del citato d.lgs. n. 127 del 2016. Esso, infine, rappresenterebbe una disposizione di coordinamento con il d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di adeguare il procedimento unico regionale alla norma europea. 2.4.- Egualmente infondate risulterebbero le questioni che investono le modifiche degli allegati disposte dall'art. 22, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 e la correlata riduzione degli elenchi dei procedimenti di competenza regionale. 2.4.1.- Quanto, infatti, al ventilato eccesso di delega, la revisione del quadro allocativo delle competenze a livello statale o regionale dovrebbe ritenersi, in realta', pienamente ricompresa nell'ambito dei principi e criteri direttivi specifici di cui all'art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114 del 2015, che demandavano al Governo il compito di armonizzare e razionalizzare le procedure di VIA, nonche' di rafforzarne la qualita', allineandole ai principi della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali (quali quelle energetiche e infrastrutturali). Ma, soprattutto, la nuova ripartizione delle competenze in materia di VIA risponderebbe pienamente al piu' generale principio e criterio direttivo - richiamato dalla stessa ricorrente - di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, relativo all'ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse»: principio e criterio direttivo che, lungi dal "cristallizzare" il quadro previgente delle competenze, avrebbe imposto al legislatore delegato di verificare il puntuale rispetto, da parte del precedente assetto, dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, alla luce dell'esperienza maturata, procedendo, nel caso di riscontrata non conformita', ai necessari adeguamenti. Con la modifica degli Allegati da II a IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, il Governo avrebbe inteso, per l'appunto, razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, attraendo al livello statale le procedure per i progetti relativi alle infrastrutture e agli impianti energetici, tenuto conto delle esigenze di uniformita', efficienza e del dirimente criterio della dimensione sovraregionale degli impianti da valutare (che rende ontologicamente inadeguato il livello di valutazione regionale), fatte salve puntuali e limitate eccezioni. Cio', con la precisazione che la valutazione di adeguatezza, o non, del livello regionale non potrebbe che essere effettuata ex ante e per «classi di casi», senza che rilevi l'eventualita' che, in concreto, un singolo progetto resti privo di impatti extraregionali. Se pure e' vero, d'altro canto, che il criterio dimensionale degli impianti da valutare non trova un ancoraggio nella direttiva europea da attuare, esso troverebbe, pero', fondamento nell'art. 118, primo comma, Cost., ai fini della corretta allocazione delle funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo. Al riguardo, occorrerebbe considerare che, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2017, la ripartizione delle competenze relative alle varie categorie progettuali di VIA risaliva al decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale): dunque, ad epoca anteriore alla riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che ha riscritto in modo profondamente innovativo il citato art. 118 Cost., ponendo a fondamento dell'allocazione di funzioni amministrative i principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. Di conseguenza, la precedente ripartizione delle funzioni non soltanto era molto risalente nel tempo, ma rispondeva a un quadro costituzionale sensibilmente diverso dall'attuale: sicche' il legislatore delegato, anche alla luce dell'esperienza maturata medio tempore, ben poteva - e anzi doveva - rivisitare profondamente tale ripartizione alla luce dei principi dianzi richiamati. 2.4.2.- Quanto, poi, all'asserita violazione delle competenze legislative e amministrative regionali, non potrebbe che ribadirsi come non ricorra, in materia di VIA, un "intreccio" di competenze, ma, trattandosi di materia di competenza esclusiva dello Stato, si debba parlare di mera incidenza sull'esercizio di funzioni regionali. 2.4.3.- Tale considerazione varrebbe anche ad escludere la violazione del principio di leale collaborazione, ventilata dalla Regione ricorrente sull'assunto dell'insufficienza del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, previsto dalla legge delega, a compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali. 2.4.4.- Per quel che concerne, poi, la dedotta violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost., il criterio dimensionale, per la determinazione della competenza in materia di VIA, sarebbe stato adottato dal legislatore nazionale quale discrimine per individuare i progetti che "potenzialmente" assumano una rilevanza sovraregionale. Sebbene, infatti, la procedura di VIA implichi una valutazione "sito specifica", e nonostante la locazione delle opere possa ricadere in un ambito territoriale ristretto (anche meramente comunale), i potenziali impatti ambientali travalicano l'ambito territoriale direttamente interessato, richiedendo valutazioni di area vasta (sovraregionale) per la natura stessa dei complessi fenomeni di inquinamento o, comunque, di impatto quali-quantitativo sulle risorse ambientali coinvolte. 2.5.- Con riferimento, infine, alle questioni che investono l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva come l'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, attribuisca alle Regioni e alle Province autonome il compito di dettare, in via legislativa o regolamentare, misure a carattere strettamente organizzativo in ordine ai procedimenti di VIA di propria competenza. Si tratterebbe di adempimento a carattere sicuramente obbligatorio («disciplinano»), giustificato dall'esigenza di evitare che la carenza di adeguate soluzioni organizzative pregiudichi, a livello regionale, lo svolgimento dei procedimenti di VIA nel rispetto delle innovative regole stabilite dal legislatore delegato e - quel che piu' conta - comprometta la piena attuazione della direttiva europea nella quale siffatte regole si radicano. Gli ulteriori contenuti, a carattere facoltativo, delle normative regionali e provinciali, previsti dal citato art. 7-bis, comma 8, non ne esaurirebbero il perimetro, e neppure ne rappresenterebbero la parte principale. In questa prospettiva "l'idoneita' allo scopo", della quale la ricorrente denuncia la vaghezza, si colorerebbe di ben precisi significati, consistenti segnatamente nella sussistenza delle condizioni organizzative indispensabili per garantire l'integrale attuazione della direttiva europea. Il censurato potere sostitutivo statale troverebbe, pertanto, sicuro fondamento nell'art. 117, quinto comma, Cost., in forza del quale le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, «nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalita' di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza». Tale disposizione sarebbe direttamente applicabile anche alle autonomie speciali, senza la mediazione della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. La rigorosa delimitazione dei presupposti di esercizio del potere sostitutivo sarebbe confermata dalla previsione della norma censurata in base alla quale, per l'attivazione della sostituzione statale, non e' sufficiente il mancato rispetto del termine di centoventi giorni, ma e' necessario accertare, altresi', l'assenza all'interno degli ordinamenti regionali di disposizioni idonee, comunque sia, a raggiungere gli scopi sopra indicati. 3.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha depositato una memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso. 3.1.- In replica alle difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri, la ricorrente reitera l'argomentazione secondo la quale la drastica ridistribuzione di competenze in materia di VIA operata dal d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe inciso su numerosi ambiti di competenza della Regione, sia in forza del suo statuto di autonomia, sia in forza dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 3.2.- Insiste la ricorrente che l'inestricabile intreccio delle competenze determinato dalla disciplina impugnata, legittimerebbe la Regione a dedurne l'incostituzionalita' per eccesso di delega, dal momento che il riassetto delle competenze operato dal Governo non troverebbe alcuna base di legittimazione ne' nei criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione, ne' - contrariamente a quanto asserito dall'Avvocatura generale dello Stato - nella direttiva europea che il Governo era chiamato ad attuare. 3.3.- L'illegittimita' costituzionale della disciplina impugnata discenderebbe, peraltro, anche dalla violazione del principio di leale collaborazione, posto che il riassetto di competenze e' stato operato all'infuori di qualsiasi meccanismo partecipativo "forte" delle Regioni. 3.4.- Egualmente infondato sarebbe l'ulteriore assunto dell'Avvocatura, secondo il quale la disciplina in materia di VIA afferirebbe in via prevalente alla materia «tutela dell'ambiente», di competenza esclusiva statale: circostanza che legittimerebbe la mancata previsione di strumenti concertativi ed escluderebbe la configurazione della "chiamata in sussidiarieta'". Per un verso, infatti, la Corte costituzionale ha riconosciuto l'obbligo del legislatore statale di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione in senso "forte" anche nel caso in cui la disciplina, pur ascrivendosi prevalentemente a una materia di competenza legislativa esclusiva statale, coinvolga una pluralita' di interessi e competenze regionali (sono citate le sentenze n. 230 del 2013 e n. 33 del 2011). Per altro verso, poi, la dedotta incostituzionalita' risulterebbe avvalorata in ragione dell'autonomia della Regione ricorrente. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, la normativa riconducibile alla materia trasversale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e' applicabile solo laddove non entrino in gioco le competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti ad autonomia differenziata. La Corte costituzionale ha affermato, in particolare, che, a seguito della riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potesta' legislativa primaria della Regione a statuto speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali»: e cio' anche sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente». Di conseguenza, non e' invocabile il solo limite dell'ambiente, in se' e per se' considerato, il quale va congiunto con il limite statutario delle riforme economico-sociali, sia pure riferite alle tematiche ambientali (sono citate le sentenze n. 212 del 2017, n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002). Limite non invocato e, comunque sia, non sussistente nel caso in esame. Il d.lgs. n. 152 del 2006 reca, d'altra parte, tuttora, all'art. 35, comma 2-bis - a chiusura della Parte II, dedicata alle procedure per la VAS, la VIA e l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) - una specifica clausola di salvaguardia, secondo la quale «[l]e Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalita' del presente decreto ai sensi dei relativi statuti». Senonche', le disposizioni contestate si rivolgono senza alcuna clausola di salvaguardia - pur richiesta in sede di parere - e senza adeguato coordinamento anche alle regioni ad autonomia speciale e alle province autonome, con conseguente violazione di tutti i parametri statutari evocati. 4.- Con ricorso notificato il 30 agosto 2017 e depositato il 5 settembre 2017, la Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26, comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017. 4.1.- L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sostituisce l'art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma dispone che «[p]er i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, dopo una valutazione caso per caso, puo' disporre, con decreto, l'esclusione di tali progetti dal campo di applicazione delle norme di cui al Titolo III, Parte II del presente decreto, qualora ritenga che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi». 4.1.1.- Secondo la ricorrente, la norma, in precedenza diretta a regolare i progetti di difesa nazionale, estende ora la possibilita' di deroga, con una valutazione caso per caso, ai progetti aventi come unico obiettivo la risposta ad emergenze che riguardino la protezione civile. Verrebbe incisa cosi' la materia «protezione civile», di competenza concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., dato che il decreto ministeriale che porterebbe all'esclusione di alcuni progetti dal campo di applicazione delle norme sulla VIA non prevedrebbe alcun coinvolgimento della Regione interessata, in violazione degli artt. 5 e 120 Cost., sotto il profilo della leale collaborazione. 4.1.2.- Nella specie sussisterebbe un concorso di competenze statali e regionali (ambiente, salute e protezione civile), senza che le Regioni siano coinvolte nel processo decisionale. Si prefigura altresi' un dubbio sulla ragionevolezza della compressione della leale collaborazione, in violazione dell'art. 3 Cost., «per mancanza di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto alle finalita' dichiarate». La norma determinerebbe una disamina "caso per caso", senza alcun riferimento all'ente territorialmente prossimo e quindi maggiormente idoneo alla valutazione; si genererebbero, inoltre, «inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze». 4.2.- Quanto alla seconda delle disposizioni censurate, la ricorrente rileva come l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, introducendo l'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, riscriva sostanzialmente le competenze regionali in materia di VIA, circoscrivendole a profili organizzativi e a modalita' di esercizio delle funzioni amministrative conferite. 4.2.1.- In questo modo, la norma impugnata violerebbe la potesta' legislativa concorrente della Regione in materia di «tutela della salute», prevista dall'art. 117, terzo comma, Cost. Le norme in materia di VIA, di derivazione comunitaria, se pure certamente riferibili alla materia della tutela dell'ambiente, sarebbero tuttavia ascrivibili anche ad alcune materie di competenza concorrente regionale, e segnatamente, per l'appunto, a quella della tutela della salute. Lo stretto collegamento fra la disciplina ambientale, in particolare quella dei rifiuti, e la tutela della salute e' considerato, del resto, pacifico dalla giurisprudenza costituzionale (e' citata, in specie, la sentenza n. 75 del 2017). L'attinenza della disciplina della VIA a tale ambito di materia e' reso, d'altronde, palese dalle premesse della direttiva 2014/52/UE, che, al considerando n. 41, afferma espressamente che l'obiettivo da essa perseguito e' quello di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana, grazie alla definizione dei requisiti minimi per la valutazione dell'impatto ambientale dei progetti. Lo stesso art. 4, comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 conferma che la VIA mira a proteggere la salute umana. Per altro verso, la Corte costituzionale ha posto in evidenza come l'attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell'ambiente non escluda interventi del legislatore regionale diretti a soddisfare, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato (viene citata la sentenza n. 407 del 2002). Inoltre, pur riconoscendo specificamente che le norme in materia di VIA rientrano nel perimetro dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Corte ha anche riscontrato la presenza di ambiti materiali di spettanza regionale, soprattutto nel campo della tutela della salute (sono citate le sentenze n. 234 del 2009 e n. 398 del 2006). 4.2.2.- Nel caso di specie, la violazione della potesta' legislativa regionale sarebbe resa ancora piu' evidente dal nuovo testo dell'art. 7 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall'art. 4 del d.lgs. n. 104 del 2017, nel quale si conferma la competenza legislativa e amministrativa delle Regioni e delle Province autonome in materia di VAS e di AIA. La diversa disciplina a fronte di materie che presentano un analogo riparto della potesta' legislativa tra Stato e Regioni (VIA e VAS) non potrebbe essere giustificata sulla base del generico richiamo, contenuto nella legge delega, ai principi di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA, «anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni di carattere ambientale». In nessun caso, d'altra parte, l'attuazione di tali condivisibili principi potrebbe legittimare un intervento, quale quello operato dal decreto legislativo censurato, inteso a ridisegnare ex novo l'assetto dei rapporti tra Stato e Regioni. Al contrario, la semplificazione, l'armonizzazione e la razionalizzazione non potrebbe «che fondarsi sul riparto di competenze». Di qui, dunque, la violazione anche dell'art. 76 Cost. 4.2.3.- La diversa disciplina prevista per la VAS e la VIA comporterebbe, altresi', la violazione dell'art. 3 Cost., «per mancanza di proporzionalita' in ragione delle identiche finalita' dichiarate», di «proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualita' della vita, provvedere al mantenimento della specie e conservare la capacita' di riproduzione degli ecosistemi» (art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall'art. 1 del d.lgs. n. 104 del 2017). L'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto il profilo della irragionevole compromissione della potesta' normativa regionale conseguente, in particolare, alla previsione di cui all'art. 7-bis, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 152 del 2006. La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, riconosciuto che le Regioni possono stabilire, in materia ambientale, livelli di tutela piu' elevati rispetto alla disciplina statale: intervento che rimarrebbe, tuttavia, precluso dalla limitazione della potesta' legislativa regionale ai soli profili organizzativi. 4.3.- L'impugnato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che disciplina il provvedimento autorizzatorio unico regionale, obbligatorio in caso di VIA regionale, prevedrebbe una «dettagliata regolazione» del provvedimento stesso, quale modalita' «esclusiva e obbligatoria di procedimento». 4.3.1.- Per la ricorrente la disposizione sarebbe illogica dal momento che l'art. 16, comma 1, dispone per i progetti soggetti a VIA statale che il provvedimento non sia unico, salvo richiesta del proponente, mentre «in caso di VIA regionale vige la obbligatorieta' del procedimento unico», gravando l'interessato di preventivi oneri istruttori. Il provvedimento unico statale, inoltre, considererebbe solo alcuni atti abilitativi, indicati dal citato art. 16, comma 2, lettere da a) ad h); la finalita' di integrare le valutazioni di impatto ambientale, inoltre, sarebbe rimessa agli Stati membri, secondo quanto previsto dal considerando n. 21 della direttiva (UE) n. 2014/52, nonche' dall'art. 2, comma 2, della direttiva 2011/92/UE. 4.3.2.- La ricorrente lamenta altresi' che la norma censurata riunirebbe nell'autorizzazione unica procedimenti relativi a materie diverse rispetto a quella ambientale, in contrasto con i principi costituzionali sulla delega legislativa, di cui all'art. 76 Cost. 4.3.3.- Ad avviso della ricorrente, con l'introduzione della norma impugnata l'autorita' competente in materia di VIA «diviene sportello unico» quale «luogo, fisico o virtuale» cui rivolgersi per ottenere quanto necessario all'autorizzazione dei progetti. La disposizione si porrebbe in contrasto con il d.lgs. n. 127 del 2016, che poneva in capo all'autorita' competente l'onere procedimentale dell'apertura della fase istruttoria. La previsione impugnata sarebbe difforme anche rispetto alla legge delega n. 114 del 2015, la quale richiedeva un riordino attraverso l'integrazione dei soli procedimenti in materia ambientale (sono richiamate le sentenze n. 293 del 2010 e n. 199 del 2003). Siffatta norma, infine, inciderebbe su procedimenti non attinenti all'ambiente (governo del territorio, tutela della salute, ovvero la protezione civile nel caso dell'autorizzazione antisismica). 4.3.4.- Fa presente la ricorrente che, secondo questa Corte, soluzioni innovative del sistema legislativo previgente sarebbero ammissibili solo in presenza di principi e criteri direttivi «idonei a circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato» (sentenza n. 293 del 2010). 4.3.5.- Esulerebbe, inoltre, dalla delega, «il riassetto generale dei rapporti tra Stato e Regioni in materie non di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost.», in quanto la disciplina per operare tale riassetto dovrebbe coinvolgere le Regioni, sia nel rapporto tra principi fondamentali e legislazione di dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, sia, a fortiori, nell'esercizio del potere di avocazione da parte dello Stato di funzioni amministrative e legislative sulla base dell'art. 118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale residuale (richiamata la sentenza n. 80 del 2012). La Regione ricorrente ritiene che l'autorizzazione unica, «solo» regionale, non determini una piu' penetrante difesa dell'ambiente, in quanto la finalita' della norma non sarebbe quella di fissare standard uniformi sul territorio nazionale; il provvedimento unico regionale delineato dall'impugnato art. 16, comma 2, (in difformita' alla delega legislativa), imporrebbe altresi' termini perentori all'autorita' competente in materia di VIA regionale e determinerebbe in capo alla stessa delle responsabilita' «significative» al di fuori delle normative e dei procedimenti in materia ambientale», senza l'attribuzione di adeguati strumenti operativi, violando «il canone costituzionale del buon andamento» (sono richiamate le sentenze n. 40 e n. 135 del 1998). 4.3.6.- Il procedimento delineato, infine, non prevedrebbe forme di coordinamento con altri procedimenti, generando un'incertezza applicativa con possibile pregiudizio della garanzia di buon andamento dell'amministrazione pubblica, di cui all'art. 97 Cost.; la ricorrente dubita della ragionevolezza di tale scelta in violazione dell'art. 3 Cost., e del principio di leale collaborazione, per mancanza di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto alle finalita' dichiarate. 4.4.- La Regione Lombardia impugna, inoltre, l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, che, sostituendo l'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che «[l]e tariffe da applicare ai proponenti, determinate sulla base del costo effettivo del servizio, per la copertura dei costi sopportati dall'autorita' competente per l'organizzazione e lo svolgimento delle attivita' istruttorie, di monitoraggio e controllo delle procedure di verifica di assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS sono definite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze». La ricorrente lamenta il mancato coinvolgimento delle Regioni nella determinazione delle tariffe, essendo questa basata su un elemento - il «costo effettivo del servizio» - la cui quantificazione non puo' prescindere da un confronto con tutte le autorita' competenti in materia di VIA (e dunque anche le Regioni). L'assenza di tale confronto comporterebbe una lesione della potesta' organizzativa delle Regioni, considerato anche il fatto che l'introduzione, con l'art. 16 del d.lgs. n. 104 del 2017, dell'autorizzazione unica regionale implica che il provvedimento finale sia connesso a competenze che esulano dalla tutela dell'ambiente e ricadono nelle materie di competenza regionale. L'irragionevolezza della scelta legislativa risulterebbe esaltata dalla previsione dell'art. 33, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (non modificato), secondo la quale «[p]er le finalita' di cui al comma 1, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono definire proprie modalita' di quantificazione e corresponsione degli oneri da porre in capo ai proponenti». In sostanza, dunque, il legislatore, da un lato, avrebbe riconosciuto alle Regioni la potesta' di attuare una propria definizione tariffaria; dall'altro, avrebbe obliterato del tutto l'esigenza di consultarle. La disposizione censurata risulterebbe, quindi, incompatibile con il principio di leale collaborazione, in violazione degli artt. 5 e 120 Cost., e comprimerebbe il potere della Regione di individuare le migliori condizioni di esercizio delle funzioni di propria competenza, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza (riaffermati anche dall'art. 3-quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006), in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. 4.5.- La ricorrente rileva, ancora, che gli artt. 22, commi da 1 a 4, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, modificano gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, sottraendo alle Regioni un considerevole numero di tipologie progettuali soggette a VIA o a verifica di assoggettabilita' a VIA, riguardanti materie di potesta' legislativa anche regionale, per attribuirle alla competenza amministrativa dello Stato. L'art. 26, comma 1, lettera a), dispone poi le conseguenti abrogazioni. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, in materia ambientale, il legislatore statale puo' emanare anche norme di dettaglio, purche' finalizzate alla tutela dell'ambiente: condizione non riscontrabile nella specie. Le disposizioni censurate non ampliano, infatti, i casi di sottoposizione a valutazione o verifica ambientale e, dunque, non pongono ulteriori garanzie a difesa dell'ambiente, ma si limitano a disporre uno spostamento verso il centro delle competenze, senza che cio' sia richiesto dalla direttiva europea e dalla legge delega, la quale si limita a richiamare l'esigenza di regolare aspetti procedurali in materia di VIA, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 76 Cost. Le norme censurate violerebbero, altresi', l'art. 118 Cost., ridimensionando le competenze amministrative regionali e quelle a suo tempo conferite, per categorie di progetti, dalla stessa Regione agli enti locali: e cio' a prescindere da valutazioni in ordine all'adeguatezza, o non, del livello costituzionale coinvolto, con ulteriore violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), per mancata previa intesa tra lo Stato e le Regioni interessate. Ne', d'altra parte, potrebbe ravvisarsi la necessita' di un esercizio unitario delle funzioni, poiche' i progetti indicati dalla norma sono attribuiti allo Stato a prescindere dal fatto che essi ricadano nel territorio di piu' Regioni. 4.6.- La Regione Lombardia impugna, da ultimo, l'art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale reca una clausola di invarianza finanziaria, stabilendo, al comma 1, che «[d]all'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», e, al comma 2, che «[f]ermo il disposto di cui all'articolo 21, le attivita' di cui al presente decreto sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». In sostanza, quindi, si sarebbero imposti alle Regioni nuovi adempimenti, con conseguenti nuovi oneri, intervenendo anche su materie di competenza concorrente, senza alcuna previsione finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse». Ad avviso della ricorrente, la disposizione violerebbe gli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 Cost. Essa si porrebbe in contrasto con la legge di delega n. 114 del 2015, che all'art. 1, comma 4, prevede la possibilita' di riconoscere risorse in relazione a spese non contemplate dalle leggi vigenti e che non riguardino l'attivita' ordinaria delle amministrazioni, nei limiti occorrenti per l'adeguamento alla direttiva. L'irrazionalita' della scelta operata dal legislatore delegato e la sua incoerenza rispetto agli scopi perseguiti dalla legge n. 114 del 2015 risulterebbero, d'altra parte, palesi, specie alla luce dell'introduzione, con il menzionato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017 (pure impugnato dalla ricorrente), del provvedimento autorizzatorio unico, che implicherebbe una modifica dello svolgimento delle funzioni regionali. La norma censurata non avrebbe, peraltro, alcuna attinenza con la tutela dell'ambiente, rimanendo, dunque, estranea al perimetro della legislazione statale esclusiva. 4.7.- In rapporto a tutte le disposizioni censurate, la Regione sottolinea di essere legittimata a denunciare la violazione anche dei parametri di cui agli artt. 3 e 76 Cost., non attinenti al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in quanto tale violazione implica, per le ragioni esposte, la compromissione delle attribuzioni regionali, ridondando quindi sul riparto delle competenze. 5.- Si e' costituito, con atto depositato il 6 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso. 5.1.- La difesa statale eccepisce l'infondatezza della censura relativa all'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017. La scelta del legislatore troverebbe fondamento nel corretto recepimento della «Direttiva VIA» che pone in evidenza come, in alcuni casi riguardanti la protezione civile, l'osservanza della direttiva 2011/92/UE potrebbe avere effetti negativi sull'ambiente, «ed e' dunque opportuno, ove del caso, autorizzare gli Stati membri a non applicare la direttiva». L'art. 1, paragrafo 3, della direttiva rimette inoltre agli Stati membri di decidere con una valutazione "caso per caso" e, ove disposto dalla normativa nazionale, di non applicare la direttiva a progetti o parti di essi aventi quale unico obiettivo la difesa o la protezione civile, qualora l'applicazione possa pregiudicare tali obiettivi. I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, sostituiti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, allineerebbero la disciplina nazionale alla direttiva, distinguendo i progetti relativi a difesa e protezione civile (comma 10) dalle altre condizioni di esenzione (comma 11). La disciplina si rivelerebbe garantista, grazie alla riserva del potere di esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne assumerebbe la responsabilita' politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei confronti dell'Unione europea. Non si ravviserebbero ragioni per ridurre lo standard di tutela ambientale, consentendo che le esclusioni citate possano essere disposte dalla singola Regione. 5.2.- Con riferimento alla violazione delle norme costituzionali in tema di riparto delle competenze legislative, la disciplina della VIA sarebbe considerata dalla giurisprudenza costituzionale espressione della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: l'esclusivita' della competenza statale, pur in presenza di un'incidenza sull'esercizio di competenze afferenti ad «ambiti materiali di spettanza regionale», determinerebbe la «prevalenza» della normativa statale (sentenza n. 234 del 2009). 5.3.- Neppure si ritiene leso il principio di leale collaborazione, poiche' l'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), riferendosi «ai progetti aventi quale unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile (oltre a quelli riferibili alla difesa nazionale)», rientrerebbe nel campo di applicazione della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), che all'art. 5 disciplinerebbe gli interventi da operarsi «durante la (e a seguito della) "dichiarazione dello stato di emergenza"»; il decreto ministeriale, adottato per escludere taluni progetti dal campo di applicazione delle norme in materia di VIA, sarebbe successivo rispetto alla valutazione - operata dal Dipartimento della protezione civile «d'intesa con la Regione interessata» - degli interventi sulla protezione civile. A norma dell'art. 5, comma 2, della citata legge n. 225 del 1992, per l'attuazione degli interventi di protezione civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza, secondo l'Avvocatura, «si provvede con apposita ordinanza di protezione civile da emanarsi una volta "acquisita l'intesa delle regioni territorialmente interessate"». 5.3.1.- La partecipazione regionale sarebbe assicurata, infine, per i progetti di protezione civile, successivi allo stato di emergenza. 5.4.- L'Avvocatura contesta la fondatezza delle questioni aventi ad oggetto l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 sulla scorta di considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017). 5.5.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce altresi' l'infondatezza della censura dell'impugnato art. 16, comma 2 del d.lgs. 104 del 2017, poiche' il coordinamento del procedimento di VIA con altri procedimenti sarebbe «implicitamente, ma chiaramente», necessario dallo stesso oggetto della delega. Quest'ultimo consisterebbe nell'attuazione della direttiva 2014/52/UE, la quale, all'art. 2, prevede che «la valutazione dell'impatto ambientale puo' essere integrata nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre procedure o nelle procedure da stabilire per rispettare gli obiettivi della presente direttiva». 5.5.1.- Per il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe stato possibile giungere a tale risultato solo attraverso la previsione di un procedimento unico o comunque tramite l'integrazione e il coordinamento con gli altri procedimenti di settore. Poiche' la direttiva prevede che «gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per dare attuazione alla direttiva relativamente all'integrazione delle valutazioni dell'impatto ambientale nelle procedure nazionali», ritiene che gli elementi di tali procedure nazionali possano variare. In simile contesto, l'art. 16, comma 2, avrebbe previsto una disciplina per le procedure di VIA incardinate nel procedimento autorizzatorio unico regionale, confermando la scelta operata con la riforma della legge n. 241 del 1990, cosi' come modificata dal d.lgs. n. 127 del 2016. 5.6.- Prive di fondamento risulterebbero, altresi', le censure mosse all'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017. Tale disposizione sostituisce, infatti, esclusivamente l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, lasciando impregiudicate le competenze regionali stabilite dal successivo art. 33, comma 2. Dalla lettura coordinata delle due previsioni emergerebbe come il comma 1 contenga una norma di principio, che indica i criteri generali per la determinazione delle tariffe, destinata ad applicarsi sia alla VIA statale, sia alla VIA regionale. In pari tempo, tuttavia, il medesimo comma 1 reca una previsione concernente solo la VIA statale: ossia la delega a un decreto del Ministro dell'ambiente per la definizione in concreto delle tariffe. Che tale previsione riguardi solo le tariffe statali lo si desumerebbe chiaramente dal comma 2, che affida alle Regioni l'attuazione del comma 1 nella concreta definizione dei profili tariffari. Di qui l'infondatezza delle doglianze della ricorrente: le Regioni non soltanto risulterebbero "coinvolte" nella definizione delle tariffe concernenti la VIA regionale, ma ne sarebbero, anzi, le principali protagoniste, dovendo semplicemente rispettare la norma di principio statale. 5.7.- Per quanto attiene, poi, alle questioni che investono gli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, con le quali si lamenta la sottrazione alle competenze regionali di un rilevante numero di tipologie progettuali, la difesa dello Stato ne eccepisce l'inammissibilita' per genericita' e carenza di motivazione. Mancherebbe del tutto la specifica individuazione dei progetti la cui sottrazione alla VIA regionale comporterebbe l'asserita lesione dell'art. 118 Cost. e, conseguentemente, qualunque argomento a sostegno dell'adeguatezza del livello regionale allo svolgimento della relativa funzione amministrativa: elementi, questi, imprescindibili per poter apprezzare una denuncia di violazione del principio di sussidiarieta'. Quanto al merito, l'Avvocatura ribadisce le considerazioni gia' svolte in relazione al ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017) circa la piena riconducibilita' dell'intervento modificativo censurato tanto ai principi e criteri direttivi specifici enunciati dall'art. 14, comma 1, della legge n. 114 del 2015, quanto al principio e criterio direttivo generale di cui all'art. 32, comma 1, lettera g) della legge n. 234 del 2012. Ribadisce, altresi', come la modifica degli allegati al d.lgs. n. 152 del 2006 risponda all'obiettivo di razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, sulla base del dirimente criterio della dimensione sovraregionale degli impianti: criterio che troverebbe fondamento nell'art. 118, primo comma, Cost., per la corretta allocazione di dette funzioni. 5.8.- Inammissibili per genericita' e difetto di motivazione in punto di violazione dei parametri costituzionali evocati sarebbero - secondo l'Avvocatura - anche le censure che investono l'art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017. Nel merito, le censure sarebbero basate sull'erroneo assunto che la disciplina di riferimento avrebbe posto non meglio precisati «nuovi e maggiori oneri procedimentali in capo alle amministrazioni regionali», riconducibili, in specie, al «provvedimento autorizzatorio unico» introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017. Tale ultimo intervento sarebbe, peraltro, confermativo e speculare rispetto alle scelte gia' operate con la riforma dell'art. 14, comma 4, della n. 241 del 1990, di cui al d.lgs. n. 127 del 2016. La doglianza della Regione risulterebbe inoltre illogica, posto che la stessa ricorrente, per un verso, lamenta di essere stata spogliata delle proprie precedenti competenze e, per l'altro, della impossibilita' di adottare misure di implementazione finanziaria, strumentale e di personale. La Regione avrebbe omesso, infine, di tener conto di quanto disposto dall'art. 33, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede la totale copertura di tutti i costi sopportati dall'autorita' competente a valere sulle tariffe da applicare ai proponenti, nonche' la possibilita' per gli enti territoriali di definire proprie modalita' di quantificazione e corresponsione di tali tariffe. 6.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017, depositato il 6 settembre 2017 (reg. ric. n. 65 del 2017), la Regione Puglia ha promosso le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: a) in via principale, dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo del tardivo esercizio della delega legislativa, nonche' del principio di leale collaborazione; b) in via subordinata, degli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo dell'eccesso di delega; degli artt. 3, comma 1, lettera g), 14 e 18, comma 3, per violazione degli artt. 3, 9, 24 (evocato solo in relazione all'art. 18, comma 3), 76 e 97 Cost. 6.1.- Con riferimento alla prima censura la ricorrente rileva che il decreto legislativo impugnato e' stato adottato sulla base della delega conferita dalla legge n. 114 del 2015. L'art. 1, comma 2, di tale legge individua il termine per l'esercizio della delega mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, in forza del quale, relativamente alle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, «il Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive». La direttiva 2014/52/UE, che il Governo era chiamato nel frangente ad attuare, all'art. 2, paragrafo 1, prevede come termine di recepimento il 16 maggio 2017: di conseguenza, la delega avrebbe dovuto essere esercitata entro il 16 gennaio 2017. Ai fini della verifica del rispetto di tale termine, dovrebbe aversi riguardo alla data di emanazione del decreto legislativo da parte del Presidente della Repubblica, a norma dell'art. 87 Cost.: adempimento che vale ad immettere l'atto nell'ordinamento giuridico della Repubblica. Nella specie, il decreto legislativo impugnato e' stato emanato dal Presidente della Repubblica solo il 16 giugno 2017. Risulterebbe, pertanto, evidente che il termine della delega non e' stato rispettato dal Governo, con conseguente illegittimita' dell'intero decreto per violazione dell'art. 76 Cost., che prevede tra i vincoli della delegazione legislativa il «tempo limitato». La conclusione non muterebbe neppure qualora si volesse fare riferimento alla data di deliberazione del Consiglio dei ministri (9 giugno 2017), o addirittura a quella della deliberazione preliminare (10 marzo 2017, come si desume dal preambolo del decreto impugnato). Anche tali date risultano, infatti, entrambe posteriori al termine di esercizio della delega. 6.2.- L'intero d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, altresi', illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione. Le materie sulle quali incide la direttiva andrebbero individuate non soltanto - e certamente - nell'ambiente, ma anche nella tutela della salute, nella pianificazione territoriale e, piu' in generale, nell'uso del territorio, nella protezione del patrimonio culturale, nella difesa e nella protezione civile, tutte di competenza regionale. Nel settore preso in considerazione dalla direttiva si determinerebbe, quindi, un intreccio di campi materiali dello Stato e delle Regioni, che, se pure abilita lo Stato ad assumere la competenza legislativa, lo obbliga, tuttavia - secondo la giurisprudenza costituzionale - ad instaurare procedure collaborative nell'esercizio della medesima. Con la sentenza n. 251 del 2016, la Corte costituzionale ha, infatti, esteso l'ambito applicativo della leale collaborazione anche al sistema delle fonti normative e, in particolare, ai decreti legislativi. Secondo la citata pronuncia, in presenza di un concorso di competenze, inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si riveli prevalente, non e' costituzionalmente illegittimo l'intervento del legislatore statale, se necessario a garantire l'esigenza di unitarieta' sottesa alla riforma del settore. Tuttavia, esso deve muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione: principio che trova il suo luogo idoneo di espressione nella Conferenza Stato-Regioni. Nella specie, il d.lgs. n. 104 del 2017 e' stato deliberato - come risulta dal suo preambolo - dopo l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni, espresso nella seduta del 4 maggio 2017. Tenuto conto, tuttavia, del fatto che la disciplina di recepimento della direttiva europea incide profondamente sul riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni, l'acquisizione del semplice parere di detta Conferenza non sarebbe sufficiente a rendere legittimo il decreto legislativo, dovendosi ritenere necessario l'avvio di procedure collaborative nella fase di attuazione della delega volte al conseguimento dell'intesa. Al riguardo, la Regione Puglia lascia alla Corte costituzionale la valutazione «se sollevare davanti a se' stessa la questione di legittimita' costituzionale della legge di delega», che non ha espressamente previsto l'intesa per la deliberazione del decreto legislativo, oppure se censurare direttamente il vizio in capo al decreto legislativo. A cio' va aggiunto che il parere della Conferenza sarebbe stato, nella specie, negativo, avendo le Regioni posto nove condizioni irrinunciabili per il superamento di tale giudizio: condizioni totalmente disattese dal legislatore delegato. 6.3.- In via subordinata, la ricorrente censura in modo specifico le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, che rispettivamente modificano gli artt. 6 e 7, introducono l'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 e modificano gli Allegati alla parte seconda di tale ultimo decreto. Con tali disposizioni, il d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe ampiamente inciso sul riparto delle competenze amministrative di Stato e Regioni in materia di VIA, attribuendo alla competenza dello Stato una serie di procedimenti in precedenza di spettanza regionale. Al riguardo, verrebbero in particolare rilievo non soltanto le ipotesi che l'impugnato art. 22, comma 1, lettere a), c), i) e l), ha aggiunto all'Allegato II (il quale, ai sensi dell'art. 7-bis, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, inserito dal decreto impugnato, individua i progetti sottoposti a VIA in sede statale), ma anche quelle abrogazioni che, elidendo parole che circoscrivevano l'ambito di applicazione della fattispecie, ne hanno esteso la portata (art. 22, comma l, lettera b). Peraltro, anche laddove il medesimo art. 22, comma l, ha operato sostituzioni, cio' ha comportato un'estensione della competenza statale, come nel caso della lettera d), che, nel sostituire il punto 7-quater, ha inserito nell'Allegato anche l'attivita' di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche in mare. L'Allegato II-bis, nell'individuare ex novo i «[p]rogetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza statale», estenderebbe la competenza statale (ad esempio, con le previsioni di cui al punto 1, lettere a) e d) a detrimento della precedente competenza regionale). Tutto cio', per tacere dei casi nei quali il decreto legislativo ricorre «alla tecnica della "sostituzione" delle ipotesi», rendendo poco agevole il riscontro di una estensione della competenza (come, ad esempio, nel caso di cui all'art. 22, comma 1, lettera f, relativo allo «stoccaggio», per il quale le soglie sono state tutte dimezzate, con ampliamento della competenza, tranne l'ultima, che rimane immutata). Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate violerebbero l'art. 76 Cost. per eccesso di delega, posto che ne' la legge di delegazione, ne' la direttiva europea che il Governo era chiamato ad attuare, avrebbero richiesto una revisione delle competenze interne o fornito una base adeguata per legittimarla. 6.4.- Vengono impugnati altresi' gli artt. 3, comma 1, lettera g), l'art. 14 e l'art. 18, comma 3. 6.4.1.- La prima disposizione prevedrebbe l'esonero di alcuni progetti dalla valutazione ambientale. Premette la ricorrente che l'art. 1 della direttiva 2014/52/UE stabilisce che «gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della presente direttiva, qualora l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della presente direttiva». La direttiva farebbe riferimento «a una mera facolta' e non a un obbligo» e il legislatore delegato avrebbe imposto il principio direttivo del «rafforzamento della qualita' della procedura di valutazione di impatto ambientale»; in assenza di un obbligo per il legislatore di prevedere questa facolta', «nulla autorizzava il legislatore delegato nello stesso senso». L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), prevedrebbe una duplice possibilita' di esonero dalla VIA; per un verso, «per i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile»; per altro verso, in altri « casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo», qualora l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto. 6.4.2.- L'art. 14, nel riformulare l'art. 25 del d.lgs. n. 152 del 2006, non contemplerebbe piu' il parere della Regione interessata nell'ambito delle valutazioni ambientali di competenza statale; cio' rileverebbe sotto un duplice profilo. Per un verso, nessuna norma di delega legislativa avrebbe previsto, fra i propri principi e criteri direttivi, la modifica del coinvolgimento regionale nelle procedure amministrative, ne' il depotenziamento della partecipazione. Nella formulazione pregressa, la disposizione muoveva dalla considerazione che le attivita' sul territorio sottoposte a VIA, anche se di competenza dello Stato, riguardavano anche le Regioni, per il loro rilievo sulle competenze di queste ultime. Appare alla ricorrente irragionevole ravvedere in un mero parere «per sua natura non vincolante» un ostacolo alla semplificazione normativa. Le amministrazioni interessate, al contrario, potrebbero fornire utili elementi all'esame del Ministero dell'ambiente. Nulla avrebbe autorizzato il legislatore delegato «a irrompere nell'assetto del riparto delle competenze in materia di VIA» eliminando simile forma di compensazione del coinvolgimento regionale attraverso il parere; allo stato attuale le Regioni verrebbero deprivate di ogni forma di partecipazione, in modo irragionevole e senza una base legislativa di riferimento. In ragione del rilevato intreccio delle competenze in materia, la rimozione di questa forma di partecipazione sarebbe altresi' in contrasto con il principio di leale collaborazione. Tale previsione normativa si porrebbe in contrasto con l'art. 76 Cost., per mancanza di un criterio direttivo nella legge di delega; essa, inoltre, in combinato disposto con l'impugnato art. 18, comma 3, violerebbe altresi' gli artt. 3, 9 e 97 Cost., per irragionevolezza, in quanto potrebbe non essere realizzato «un serio sindacato giurisdizionale sulla decisione ministeriale», in assenza di particolari oneri motivazionali per agire in deroga alla normativa stessa. Neppure vi sarebbero elementi per compensare «la recessivita' del bene-ambiente tutelato dall'art. 9 Cost.» e la deroga al principio di buon andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione; tale esenzione, infatti, non contemplerebbe valutazioni successive «in grado di "sanare" la deroga iniziale». Con riferimento all'esenzione motivata da esigenze di protezione civile, la decisione sottesa verrebbe adottata in violazione del principio di leale collaborazione. Infatti, la ponderazione di interessi che dovrebbero condurre alla rinuncia del perseguimento della tutela ambientale, in vista del raggiungimento dei richiamati obiettivi di protezione civile (di competenza concorrente), dovrebbe contemplare meccanismi cooperativi. Ove il giudizio di prevalenza previsto dalla norma fosse conforme al quadro costituzionale, l'esercizio della competenza concorrente, che prevale su quella esclusiva in materia ambientale, necessiterebbe della previa intesa regionale. 6.4.3.- L'impugnato art. 18, comma 3, infine, prevede che «[n]el caso di progetti a cui si applicano le disposizioni del presente decreto realizzati senza la previa sottoposizione al procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA, al procedimento di VIA ovvero al procedimento unico di cui all'articolo 27 o di cui all'articolo 27-bis, in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, ovvero in caso di annullamento in sede giurisdizionale o in autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA o dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto gia' realizzato o in corso di realizzazione, l'autorita' competente assegna un termine all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento e puo' consentire la prosecuzione dei lavori o delle attivita' a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale [...]». Per la ricorrente, la disposizione non corrisponde ad alcun criterio direttivo e si porrebbe in contrasto anche con il principio di ragionevolezza, il perseguimento della tutela ambientale (art. 9 Cost.), il principio di legalita' (art. 97 Cost.) e di difesa dei propri diritti e interessi legittimi in giudizio (art. 24 Cost.). Il decreto consentirebbe, infatti, che nonostante la violazione in termini di valutazioni ambientali (per erroneo esonero o altra illegittimita'), «possano continuare a essere assentite le attivita' di riferimento, entro un termine non specificato in via legislativa». 7.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso. 7.1.- Infondata, secondo la difesa dello Stato, sarebbe la censura, riferita all'intero d.lgs. n. 104 del 2017, in violazione dell'art. 76 Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega legislativa. La ricorrente avrebbe, infatti, richiamato il testo attualmente vigente dell'art. 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, trascurando il fatto che esso e' stato oggetto di modifica ad opera dell'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2014), entrata in vigore il 18 agosto 2015. La legge delega per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE (la richiamata legge n. 114 del 2015) e' entrata invece in vigore il 15 agosto 2015, quando era ancora vigente il precedente testo dell'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale prevedeva che il Governo dovesse adottare i decreti legislativi entro il termine di due mesi (e non gia' di quattro mesi, come nella versione novellata) antecedenti quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. Alla luce del principio di irretroattivita' delle leggi, stabilito dall'art. 11, comma 1, delle disposizioni preliminari al codice civile, la modifica del termine generale per l'esercizio delle deleghe legislative per l'attuazione delle direttive europee, operata dalla legge n. 115 del 2015, senza alcuna previsione che ne affermi la portata retroattiva, potrebbe riguardare solo le deleghe legislative ad essa successive: non, dunque, quella di cui alla legge n. 114 del 2015, entrata in vigore in data antecedente. Il termine che il Governo doveva rispettare nella specie era, pertanto - secondo il resistente - quello dei due mesi antecedenti alla data di scadenza della direttiva (16 maggio 2017): ossia il 16 marzo 2017, termine poi prorogato al 16 giugno 2017 in applicazione di quanto espressamente previsto dall'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012. 7.2.- Quanto alla dedotta illegittimita' dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione in relazione al procedimento di adozione del decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l'inammissibilita' della censura, in ragione del fatto che non e' mai stata promossa dalla Regione Puglia questione di legittimita' costituzionale della legge delega, allegando, a sostegno dell'eccezione, considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione alla similare doglianza prospettata nel ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017). Nel merito, la censura risulterebbe, ad ogni modo, infondata, anche in questo caso per ragioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso ora indicato. In particolare, posto che la normativa sulla VIA rientra nelle materie - "traversali" e prevalenti - della tutela dell'ambiente e della fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, di competenza esclusiva statale, la Regione ricorrente avrebbe confuso il paradigma giurisprudenziale dell'«intreccio» di materie - al quale si riferisce la richiamata sentenza n. 251 del 2016, di questa Corte - con quello della semplice «incidenza» delle norme dettate dello Stato in materie di competenza esclusiva su funzioni regionali: fenomeno, questo, che caratterizza naturalmente le materie «trasversali». In tale ipotesi, e' sufficiente che la legislazione statale disciplini l'esercizio della funzione prevedendo passaggi collaborativi con la Regione interessata: onere che sarebbe stato assolto con la previsione del nuovo art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006. 7.3.- Con riguardo, infine, alla questione che investe gli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, l'Avvocatura generale dello Stato ne eccepisce del pari l'inammissibilita', avendo la Regione evocato il solo parametro dell'art. 76 Cost., senza alcuna motivazione sulla «ridondanza» del vizio sulle competenze costituzionalmente riconosciute alla Regione. La questione sarebbe, in ogni caso, infondata. L'Avvocatura ribadisce, anche a questo riguardo, quanto dedotto in rapporto al ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017), e cioe' che la modifica del quadro allocativo delle competenze sarebbe ricompresa nel «potere/dovere», conferito al Governo dall'art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114 del 2015, di «armonizzazione» e «razionalizzazione» delle procedure di VIA, nonche' di «rafforzamento» della loro qualita', allineandole ai principi della coerenza e della sinergia con altre normative e politiche europee e nazionali, e risulterebbe, anzi, imposta dal principio e criterio direttivo generale, di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, relativo all'ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze». 7.4.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la censura dell'art. 14 sarebbe manifestamente inammissibile per difetto di motivazione circa la presunta «ridondanza» del vizio prospettato sulla lesione di competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., ovvero di altre norme costituzionali poste a presidio di prerogative regionali. 7.5.- Le censure sull'art. 3, comma l, lettera g), in relazione all'art. 76 Cost., sarebbero inammissibili in assenza di alcuna motivazione circa la presunta «ridondanza» dei vizi prospettati sulla lesione di competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni. La censura, in ogni caso, sarebbe generica, dal momento che non sarebbe dato comprendere se la Regione Puglia ha censurato la disciplina contenuta effettivamente nella disposizione richiamata (che ha sostituito l'art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, e che e' riferita alle sole esenzioni dei progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e la risposta ad emergenze di protezione civile), ovvero quella contenuta nella successiva lettera h) (che ha sostituito l'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 152 del 2006, riferita ai soli "casi eccezionali"). 7.6.- Le doglianze regionali sarebbero poi infondate nel merito. La procedura di VIA di competenza statale, di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedrebbe per tutto l'iter procedurale un adeguato coinvolgimento delle amministrazioni interessate, introducendo obblighi informativi e di pubblicita'; alla Regione inoltre non sarebbe sottratto alcun potere di esprimere il proprio parere e le proprie osservazioni nei procedimenti di VIA di competenza statale, poiche' l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevedrebbe la partecipazione, all'attivita' istruttoria della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del Ministero, di un esperto designato dagli enti territoriali interessati. 7.7.- Anche le residue censure sarebbero non fondate. 7.7.1.- Quanto alla censura mossa in relazione alle esenzioni dei progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e la risposta ad emergenze di protezione civile, la scelta del legislatore troverebbe il suo fondamento nel corretto recepimento della «Direttiva VIA». I commi 10 e 11 dell'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo di allineare la disciplina nazionale alle novita' introdotte dalla richiamata direttiva. La disciplina sarebbe particolarmente garantista in termini di potenziale esclusione dei progetti dalla disciplina recata dal Titolo III, della Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, grazie alla riserva del potere di esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne assumerebbe la responsabilita' politicoamministrativa su valere per tutto il territorio nazionale e nei confronti dell'Unione Europea. Non sarebbe ridotto lo standard di tutela ambientale. 7.8.- L'impugnato art. 18, comma 3, ricalcherebbe quanto gia' previsto nel previgente art. 29 del d.lgs. n. 152 del 2006; la possibilita' di consentire la prosecuzione delle attivita' sarebbe solo eventuale e rimessa ad una specifica decisione della medesima autorita' misurata sulle peculiarita' del caso concreto, in assenza della quale dovra' arrestarsi, risultando sospesa in attesa dello svolgimento del nuovo procedimento di VIA. 7.9.- In relazione alla cosiddetta «VIA postuma», l'Avvocatura fa presente che la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 26 luglio 2017, nelle cause riunite da C-196/16 a C-197/16, ha stabilito che in caso di omissione di una valutazione di impatto ambientale di un progetto «il diritto dell'Unione, da un lato, impone agli Stati membri di rimuovere le conseguenze illecite di tale omissione e, dall'altro, non osta a che una valutazione di tale impatto sia effettuata a titolo di regolarizzazione, dopo la costruzione e la messa in servizio dell'impianto interessato, purche' le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano agli interessati l'occasione di eludere le norme di diritto dell'Unione o di disapplicarle e la valutazione effettuata a titolo di regolarizzazione non si limiti alle ripercussioni future di tale impianto sull'ambiente». In maniera coerente, il legislatore delegato avrebbe previsto che l'autorita' competente assegna un termine all'interessato, entro il quale avviare un nuovo procedimento, e puo' consentire la prosecuzione dei lavori o delle attivita' a condizione che essa avvenga in termini di sicurezza riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale; ove il termine fosse scaduto, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di VIA, adottato ai sensi degli artt. 25, 27 o 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, abbia contenuto negativo, l'autorita' competente, inoltre, dispone la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e a spese del responsabile, definendone i termini e le modalita'. In caso di inottemperanza, l'autorita' competente provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente. 7.10.- Con riferimento all'ipotizzato eccesso di delega, il d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbe coerente con la norma nazionale di delega e con le norme di diritto UE, le quali assumerebbero valore di parametro interposto, potendo autonomamente giustificare l'intervento del legislatore delegato (sentenze n. 131 del 2013, n. 272 del 2012, n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 163 del 2000, n. 134 del 2013 e n. 32 del 2005). 8.- La Regione ha depositato una memoria illustrativa, insistendo nelle conclusioni gia' formulate. 8.1.- Relativamente alla censura dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, per tardivo esercizio della delega, la ricorrente osserva - in replica alle difese dell'Avvocatura generale dello Stato - che il principio di irretroattivita' della legge, da questa invocato, riguarda le norme che descrivono fattispecie, non quelle che disciplinano termini e procedimenti (salvo che l'effetto retroattivo risulti espressamente escluso). Risulterebbe ad ogni modo dirimente il rilievo che, anche qualora si ritenesse operante il termine dei due mesi (anziche' dei quattro mesi) antecedenti il termine di recepimento della direttiva, previsto dal testo originario dell'art. 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, l'esercizio della delega rimarrebbe tardivo. Per ammissione della stessa Avvocatura, infatti, in tale ipotesi il termine sarebbe scaduto il 16 marzo 2017 e, dunque, in data anteriore a quella di emanazione del decreto delegato. Solo in applicazione della proroga prevista dall'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, sarebbe possibile arrivare al 16 giugno 2017. Tale disposizione non sarebbe, tuttavia, affatto richiamata dalla legge n. 114 del 2015, la quale, con riguardo ai termini di esercizio della delega, fa riferimento al solo comma 1 dell'art. 31. In presenza di una legge delega che faccia espresso riferimento al solo termine "ordinario" di esercizio, non sarebbe possibile applicare analogicamente la proroga automatica prevista da altra disposizione non oggetto di richiamo. Diversamente opinando, uno dei requisiti previsti dall'art. 76 Cost. per la delegazione legislativa (il limite temporale di esercizio) risulterebbe stabilito in via generale e per sempre dalla legge n. 234 del 2012, rispetto a tutti i casi di recepimento del diritto europeo: conclusione, questa, non in linea con il dettato costituzionale, in base al quale la legge di delegazione dovrebbe soddisfare i previsti requisiti di validita' «con un atto di volonta', che, volta per volta, sia [...] diretto a disciplinare la rimessione al Governo della disciplina di uno specifico settore». 8.2.- Con riguardo, poi, alla censura dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione, infondata apparirebbe l'eccezione di inammissibilita' per mancata impugnazione della legge delega, formulata dall'Avvocatura generale dello Stato. La mancata partecipazione regionale nella forma dell'intesa rileverebbe, infatti, non solo come vizio in procedendo, ma anche come vizio sostanziale di lesione del riparto delle competenze costituzionalmente stabilito, il quale non e' nella disponibilita' dello Stato e delle Regioni. Di conseguenza, non si potrebbe ritenere che la mancata impugnazione della legge delega comporti la rinuncia alla competenza: anzi, proprio la circostanza che la concreta lesione delle competenze regionali si sia verificata solo all'esito dell'adozione del decreto legislativo lascerebbe impregiudicata l'impugnabilita' di quest'ultimo. Stante, inoltre, l'intima connessione tra legge delega e decreto delegato, resterebbe sempre offerta alla Corte costituzionale la possibilita' di sollevare davanti a se' la questione di legittimita' costituzionale della disposizione delegante. Nel merito, la tesi della difesa dello Stato - secondo la quale la disciplina statale accentratrice sarebbe giustificata dal fatto che la direttiva 2014/52/UE, prevede regole dettagliate delle procedure di valutazione ambientale, che non ammettono varianti negli ordinamenti nazionali - non potrebbe essere condivisa. La giurisprudenza costituzionale avrebbe, infatti, superato l'originario assunto secondo il quale la competenza a recepire le direttive spetterebbe sempre allo Stato, pena il rischio di procedure di infrazione nel caso di inerzia regionale: problema che risulterebbe, peraltro, integralmente superato con l'introduzione dei meccanismi sostitutivi, di cui agli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo comma, Cost. Il diritto europeo non potrebbe, pertanto, legittimare alcuna deroga del riparto costituzionale delle competenze, il quale, nel caso considerato, avrebbe postulato l'utilizzo di adeguati strumenti cooperativi, visto il concorrente interesse regionale e statale nella disciplina della materia. 9.- Con ricorso notificato il 4-6 settembre 2017 e depositato il 7 settembre 2017 (reg. ric. n. 66 del 2017), la Regione Abruzzo ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26, comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, identiche a quelle formulate dalla Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) e sorrette dai medesimi argomenti. 10.- Costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 13 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso venga respinto sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in riferimento al richiamato ricorso della Regione Lombardia. 11.- Con ricorso notificato il 4 settembre 2017 e depositato l'8 settembre 2017 (reg. ric. n. 67 del 2017), la Regione Veneto ha impugnato: a) l'art. 3, comma 1, lettere g) e h), del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli artt. 3, 76, 97, 117, commi terzo e quarto, 118 e 120 Cost.; b) gli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli artt. 76, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.; c) l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli artt. artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost. 11.1.- L'art. 3, comma 1, lettera g), sarebbe invasivo della competenza regionale in materia di «protezione civile» e lesivo del principio di leale collaborazione, poiche' non prevede alcuna forma di partecipazione delle Regioni nell'ambito del procedimento derogatorio, in un ambito di competenza legislativa ripartita. Per la ricorrente i progetti afferenti a situazioni emergenziali di protezione civile sarebbero inevitabilmente collegati al territorio ove la situazione si e' verificata, ritenendo necessaria la partecipazione «istruttoria e/o codecisoria» degli enti territoriali «al fine di salvaguardare la stessa ragionevolezza della disposizione di legge», che altrimenti si porrebbe in contraddizione con l'art. 3 Cost. e con il canone del buon andamento. 11.1.1.- La Regione Veneto dubita che la disposizione afferisca alla «tutela dell'ambiente», di competenza esclusiva dello Stato, poiche' essa farebbe prevalere «gli interessi afferenti alla protezione civile rispetto a quelli ambientali». Sul punto questa Corte avrebbe statuito che in presenza di una competenza esclusiva dello Stato, ove siano coinvolti interessi e funzioni regionali, s'impone una «fisiologica dialettica» tra Stato e Regioni improntata alla leale collaborazione (sentenza n. 169 del 2017). La Regione sarebbe esautorata dalla mancata distinzione dei progetti assoggettati a VIA regionale ovvero statale con l'effetto che il Ministero dell'ambiente potrebbe sottrarre alla competenza delle Regioni la VIA di progetti affidati alla propria potesta' decisoria, in violazione dell'art. 118 Cost., comprimendo una competenza amministrativa regionale. 11.1.2.- La disposizione censurata modificherebbe il riparto delle competenze in materia di VIA, in contrasto con i principi e criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che vincolerebbe il legislatore delegato a introdurre esclusivamente regole di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale. Secondo la Regione Veneto, l'ambito della delega legislativa escluderebbe la disciplina del riparto delle competenze decisorie in materia di valutazione di impatto ambientale, contemplando unicamente gli aspetti procedurali, da modificare in ragione della rinnovata disciplina comunitaria. Si configurerebbe un eccesso di delega, che ridonda in una lesione dell'art. 117, comma terzo, Cost., con riguardo alla competenza legislativa regionale in materia di «protezione civile», e, al contempo, in una lesione dell'art. 118 Cost., in quanto opera una espropriazione delle competenze amministrative regionali in materia di VIA, delineate dall'ordinamento. 11.2.- E' impugnato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 104 del 2017, che ha modificato l'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione prevede: «[f]atto salvo quanto previsto dall'art. 32, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare puo', in casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto, qualora l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della normativa nazionale ed europea in materia di valutazione di impatto ambientale. In tali casi il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: a) esamina se sia opportuna un'altra forma di valutazione; b) mette a disposizione del pubblico coinvolto le informazioni raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla lettera a), le informazioni relative alla decisione di esenzione e le ragioni per cui e' stata concessa; c) informa la Commissione europea, prima del rilascio dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano l'esenzione accordata fornendo tutte le informazioni acquisite». La norma introdurrebbe un'ulteriore ipotesi di deroga alla disciplina generale, senza prevedere alcun criterio direttivo che guidi l'autorita' amministrativa in ordine all'an dell'esercizio del relativo potere. Il che attesterebbe l'irragionevolezza della norma e la sua contrarieta' al principio di legalita'. Ne' a giustificare tale genericita' si potrebbe addurre il fatto di avere riprodotto una previsione della direttiva europea, la quale non contiene per sua natura, «salvo le rare ipotesi di norme self executing», disposizioni immediatamente precettive. La disposizione impugnata altererebbe il riparto delle competenze in materia di VIA, senza che sia prevista alcuna forma di partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte delle Regioni, in lesione del principio di leale collaborazione. 11.2.1.- La violazione degli artt. 76 e 97 Cost., alterando il riparto di competenze esistente tra Stato e Regioni, ridonderebbe in una lesione degli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost., oltreche' del principio di leale collaborazione, in quanto non contemplerebbe la partecipazione delle Regioni, nelle ipotesi in cui il progetto afferisca ad una materia di competenza regionale ovvero sia assoggettato a VIA regionale. 11.3.- Per effetto dell'impugnato art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, osserva la ricorrente, il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA e' demandato a quattro allegati che, a loro volta, sono stati ampiamente modificati dall'art. 22, commi da 1 a 4, del medesimo decreto, nonche' dalla disposizione abrogatrice contenuta nell'art. 26, comma 1, lettera a), dello stesso provvedimento. A seguito di tali disposizioni, si e' realizzata una complessiva redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, le quali non sono piu' competenti in materia di VIA ed in materia di verifica di assoggettabilita' a VIA per una consistente serie di tipologie progettuali che vengono analiticamente passate in rassegna. Il legislatore delegato, dunque, avrebbe provveduto a modificare, non soltanto le procedure inerenti alla valutazione di impatto ambientale, al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE, ma avrebbe anche disposto una complessiva ristrutturazione del quadro delle competenze decisorie in materia. Una simile operazione normativa - deduce la ricorrente - si porrebbe in contrasto con i principi e criteri direttivi dettati dall'art. 14 della legge delega n. 114 del 2015, riguardando gli stessi solo aspetti di armonizzazione, semplificazione e razionalizzazione delle procedure, senza che il Governo fosse autorizzato ad alterare il riparto di competenze esistenti tra Stato e Regioni. Il denunciato vizio di eccesso di delega si riverbererebbe anche in una lesione delle competenze amministrative della Regione, in violazione dell'art. 118 Cost., essendo state sottratte alle Regioni le potesta' decisorie di cui godevano in materia. Ancorche' la tutela dell'ambiente sia materia di competenza esclusiva dello Stato, le modifiche apportate alla normativa previgente avrebbero richiesto l'ordinario procedimento legislativo o specifiche direttive in tal senso: il che avrebbe salvaguardato, in sede parlamentare, la normale dialettica democratica tra maggioranza e opposizione. L'utilizzo "improprio" del potere legislativo avrebbe dunque integrato una violazione degli artt. 76 Cost., in uno con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. Per altro verso, coinvolgendo la riforma anche numerose competenze regionali (energia, trasporto, viabilita' e, in genere, salute) sarebbe stato necessario prevedere un coinvolgimento delle autonomie locali attraverso «un'intesa in sede di conferenza intergovernativa», secondo quanto avrebbe affermato questa Corte nella sentenza n. 251 del 2016, con conseguente violazione del principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 Cost. Vizio, questo, che non resterebbe confinato solo all'interno della legge di delega, ma si proietterebbe anche sul decreto delegato, in quanto lesivo delle attribuzioni regionali. 11.4.- L'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, nello stabilire disposizioni in tema di tariffe da applicare ai proponenti, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., in quanto non e' prevista alcuna forma di partecipazione, neppure consultiva, delle autonomie territoriali, malgrado il novellato art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 consenta alle Regioni ed alle Province autonome di disciplinare con proprie leggi o regolamenti l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA. Le peculiarita' procedurali derivanti dalla normativa regionale renderebbero, per converso, necessaria una consultazione delle Regioni stesse nella determinazione delle tariffe concernenti i procedimenti VIA di loro competenza. Da cio' deriverebbe la lesione del principio di leale collaborazione e la irragionevolezza di una disciplina che «attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto senza prevedere adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorita' competenti a disciplinare il relativo procedimento e i suoi aspetti organizzatori». Irragionevolezza, soggiunge la Regione ricorrente, che ridonderebbe in una lesione dell'autonomia legislativa in materia di organizzazione amministrativa, prevista dall'art. 117, quarto comma, Cost., nonche' in una lesione dell'autonomia amministrativa di cui all'art. 118 Cost., e dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost., posto che le valutazioni amministrative e finanziarie in materia di VIA vengono ad essere condizionate dalla remunerativita' delle tariffe stabilite unilateralmente dallo Stato. Si osserva, infine, che la partecipazione delle Regioni al processo decisionale, potendo comportare semplificazioni procedurali, potrebbe determinare risparmi di spesa, con la conseguenza che la mancanza di tale partecipazione finirebbe per tradursi anche in un inutile aggravio di spese con violazione del principio di buon andamento dell'agire pubblico. 12.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si e' costituito il 13 ottobre 2017 chiedendo il rigetto del ricorso. 12.1.- La difesa statale eccepisce l'infondatezza della censura di cui all'impugnato art. 3, comma l, lettera g), reiterando le medesime argomentazioni fatte proprie per avversare i ricorsi delle Regioni Lombardia e Abruzzo, quanto alla violazione del riparto delle competenze e del principio di leale collaborazione. 12.2.- Eccepisce altresi' la non fondatezza della censura di cui all'art. 3, comma l, lettera h), che conferirebbe al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere, in casi eccezionali, di esentare un progetto specifico dall'applicazione delle disposizioni di cui al Titolo III della Parte II del d.lgs. n. 152 del 2016. L'infondatezza si evincerebbe dalla richiamata direttiva 2014/52/UE, in base alla quale «puo' risultare opportuno in casi eccezionali esonerare un progetto specifico dalle procedure di valutazione previste dalla presente direttiva, a condizione di informare adeguatamente la Commissione e il pubblico interessato»; l'art. 2, paragrafo 4, della direttiva disporrebbe che «[f]atto salvo l'articolo 7, gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della presente direttiva, qualora l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della presente direttiva. In tali casi gli Stati membri: a) esaminano se sia opportuna un'altra forma di valutazione; b) mettono a disposizione del pubblico coinvolto le informazioni raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla lettera a), le informazioni relative alla decisione di esenzione e le ragioni per cui e' stata concessa; c) informano la Commissione, prima del rilascio dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano l'esenzione accordata e le forniscono le informazioni che mettono eventualmente a disposizione, ove necessario, dei propri cittadini. [...]». A parere del resistente, il legislatore delegato si sarebbe avvalso di una facolta' concessa dalla norma europea. La fattispecie di esenzione atterrebbe «alla disciplina giuridica della VIA», e rientrerebbe in modo univoco «nella competenza esclusiva dello Stato sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». 12.2.1.- Non fondati sarebbero anche i rilievi che fanno riferimento ai principi di ragionevolezza e di legalita'. Il potere ministeriale di esenzione sarebbe circondato da rigorose garanzie, sia di tipo sostanziale sia di tipo procedurale. Sul piano sostanziale la norma non si limiterebbe a legittimare l'esercizio in casi eccezionali, ma richiederebbe una valutazione circa gli effetti negativi che potrebbero discendere in ordine alle finalita' del progetto, esigendo che siano rispettati gli obiettivi della direttiva. Sotto il profilo procedurale il Ministro sarebbe chiamato ad esaminare l'opportunita' di un'altra forma di valutazione e si prefigurerebbero obblighi informativi nei confronti del pubblico coinvolto e (prima del rilascio dell'autorizzazione) della Commissione europea. La scelta del legislatore delegato di riprodurre la previsione europea senza ulteriori aggiunte, dunque, discenderebbe dalla constatazione che essa gia' circostanzia a sufficienza il potere di esenzione. 12.3.- Con riguardo agli impugnati artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), infondata risulterebbe la censura di eccesso di delega, in quanto la revisione dell'assetto delle competenze amministrative e la riallocazione delle stesse ai diversi livelli territoriali di governo risponderebbero appieno ai criteri di semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e di rafforzamento della qualita' della procedura di VIA, in sinergia con altre normative e politiche nazionali ed europee, quali, in particolare, quelle energetiche ed infrastrutturali. Non sarebbe poi fondato il rilievo secondo il quale, in base alla sentenza n. 251 del 2016, la legge di delegazione avrebbe dovuto prevedere l'intesa con le Regioni, in quanto - a differenza dell'ipotesi allora scrutinata da questa Corte - nella specie non e' dato intravedere un «intreccio inestricabile» con materie regionali, dal momento che le norme che riguardano la VIA rientrano nella competenza esclusiva statale in tema di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». D'altra parte, l'art. 12 del d.lgs. n. 104 del 2017 ha previsto, novellando l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, il necessario coinvolgimento della Regione e di tutte le amministrazioni potenzialmente interessate, mentre l'art. 6 del decreto impugnato prevede che all'attivita' istruttoria della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale partecipi un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate alla realizzazione del progetto oggetto di procedura VIA. Previsioni, quelle citate, con le quali il legislatore statale avrebbe adempiuto all'onere collaborativo in considerazione della "incidenza" che l'esercizio delle funzioni di valutazione di impatto ambientale presentano rispetto all'esercizio di funzioni regionali. 12.4.- Sarebbero infondate anche le censure riguardanti l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017. Tale norma, infatti, si e' limitata a sostituire, in tema di tariffe applicabili nei confronti dei proponenti, esclusivamente l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, mentre lascerebbe inalterate le competenze regionali dettate dal comma 2 dello stesso articolo. Il comma 1 novellato, quindi, introdurrebbe solo una norma di principio, relativa ai criteri da applicare per la determinazione delle tariffe, valida sia per la VIA statale che per quella regionale, mentre il rinvio ad un decreto del Ministro dell'ambiente per la definizione in concreto delle tariffe riguarderebbe esclusivamente la VIA statale. Cio' emergerebbe con chiarezza, sostiene l'Avvocatura generale dello Stato, proprio dal citato comma 2 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, che affida alle Regioni e alle Province autonome la possibilita' di definire concretamente i profili tariffari. 13.- La Regione Veneto ha depositato memoria, con la quale insiste nelle censure, contestando la fondatezza dei rilievi svolti dalla Avvocatura generale dello Stato, sia a proposito della conformita' del decreto legislativo all'art. 76 Cost., sia in merito al fatto che la competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale renderebbe prive di fondamento doglianze regionali. 14.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 4 settembre 2017 e depositato l'8 settembre 2017 (reg. ric. n. 68 del 2017), ha promosso questioni di legittimita' costituzionale del d.lgs. n. 104 del 2017, nella sua interezza, e in subordine degli artt. 5, comma 1, 8, 16, commi 1 e 2, 22, commi da 1 a 4, 23, comma 4, 24 e 26, comma 1, lettera a), in quanto riferibili anche alle Province autonome, deducendo la violazione di vari parametri costituzionali e statutari. 14.1.- Un primo gruppo di tre censure coinvolge l'intero decreto, per eccesso di delega prospettato sotto vari profili. Si deduce, anzitutto, che il decreto delegato sarebbe illegittimo perche' adottato oltre il termine prescritto dalla legge di delegazione e, quindi, in violazione dell'art. 76 Cost., nonche' dell'art. 77 Cost. L'adozione del decreto legislativo a termine scaduto, infatti, costituirebbe violazione del divieto per il Governo di adottare atti aventi forza di legge senza delegazione delle Camere, salvi i casi di straordinaria necessita' ed urgenza. Si osserva, al riguardo, che il decreto legislativo impugnato e' stato emanato il 16 giugno 2017, ed e' quindi con riferimento a tale data che deve essere valutata - a norma dell'art. 14, comma 2, della legge n. 400 del 1988 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) - la tempestivita' dell'atto rispetto al termine fissato dalla legge di delegazione. Tale termine, individuato dall'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015, deve infatti ritenersi scaduto il 16 gennaio 2017. Cio' in quanto quel termine risulta fissato con rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale, a sua volta, dispone che «in relazione alle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, il Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive». Considerato che l'art. 2 della direttiva 2014/52/UE fissa il termine per il proprio recepimento al 16 maggio 2017, la delega sarebbe scaduta quattro mesi prima e cioe' il 16 gennaio 2017. E' ben vero, si osserva, che l'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 fissava il termine in origine in «due mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive» e che tale disposizione e' stata modificata, portando il termine a quattro mesi, con l'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015, n. 115, successiva all'entrata in vigore della legge delega n. 114 del 2015. Ma il rinvio non puo' che intendersi operato alla fonte nel suo complesso, risultando comprensivo, quindi, delle eventuali modifiche successivamente apportate alla stessa. Cio' in linea con quanto affermato da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 2014, ove si afferma che il rinvio si presume formale e mobile, anziche' materiale o recettizio, salvo che risulti una contraria volonta' del legislatore o il rinvio recettizio sia desumibile da elementi univoci e concludenti. Si richiama, a proposito della necessita' che il legislatore delegato tenga conto dei mutamenti del quadro normativo entro cui si colloca la legislazione delegata, anche la sentenza n. 219 del 2013. Tuttavia, soggiunge il ricorrente, anche a voler considerare come recettizio il rinvio, il termine sarebbe comunque scaduto il 16 marzo 2017, in quanto il rinvio "secco" e recettizio al comma 1 dell'art. 31 della legge n. 234 del 2012 escluderebbe la possibilita' di proroga prevista dal comma 3 dello stesso articolo. Il fatto che il Governo abbia preteso di giovarsi della proroga starebbe peraltro a significare che lo stesso Consiglio dei ministri ha interpretato il rinvio come di tipo dinamico, «cioe' come rinvio alla fonte e non come rinvio alla norma fissata una volta per tutte nel tempo». La conseguenza sarebbe, in ogni caso, quella della tardivita' dell'esercizio della delega. Poiche' il decreto impugnato e' riduttivo delle competenze e delle prerogative della Provincia autonoma, la violazione degli indicati parametri ridonderebbe in lesione della autonomia provinciale (si richiamano, al riguardo, la gia' citata sentenza n. 219 del 2013 e la sentenza n. 303 del 2003). 14.2.- In subordine, la Provincia ricorrente deduce la illegittimita' dell'intero decreto legislativo impugnato per violazione delle procedure stabilite dall'art. 1, commi 1 e 3, della legge delega n. 114 del 2015, nonche' dall'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, lamentando conseguentemente la violazione degli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., e, in linea ulteriormente subordinata, del principio di leale collaborazione. Anche, infatti, a voler ritenere - contro il tenore letterale della disposizione di delega e il supposto carattere recettizio del rinvio da essa operato - che possa trovare applicazione nella specie la proroga prevista dal comma 3 dell'art. 31 della legge n. 234 del 2012, l'emanazione del decreto impugnato sarebbe affetta da un vizio di procedura sub specie di "abuso del procedimento". Interpretando il rinvio contenuto nell'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 come rinvio fisso, il termine per l'esercizio della delega doveva ritenersi scaduto nei due mesi antecedenti il termine previsto per il recepimento della direttiva, e cioe' il 16 marzo 2017. L'ultimo giorno utile per l'esercizio della delega, il Governo ha trasmesso lo schema di decreto alle competenti commissioni parlamentari all'evidente fine di far operare il meccanismo di proroga di cui all'art. 31, comma 3, terzo periodo, della legge n. 234 del 2012, ove si stabilisce che «[q]ualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi». In questo modo, il Governo avrebbe violato la delega sotto un diverso profilo. L'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015 prevedeva, infatti, che gli schemi dei decreti attuativi delle direttive comprese nell'Allegato B, e dunque anche della direttiva 2014/52/UE, dovessero essere trasmessi, «dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge», alle Camere per l'espressione del parere dei competenti organi parlamentari. Disposizione, questa, peraltro analoga a quella dettata dall'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012. Dunque, il Governo avrebbe dovuto acquisire il previo parere della Conferenza Stato-Regioni, obbligatorio in ordine agli schemi di decreto legislativo nelle materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome, in ragione dell'art. 2, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - citta' ed autonomie locali). Alla Conferenza Stato-Regioni lo schema di decreto legislativo e' stato peraltro trasmesso, per il prescritto parere, soltanto lo stesso giorno (16 marzo 2017). In quella data, dunque, lo schema di decreto non avrebbe potuto essere trasmesso alle Commissioni parlamentari, proprio perche' non preceduto dai pareri previsti dalla legge, fra i quali va annoverato quello della indicata Conferenza Stato-Regioni. Tale inversione dell'ordine dei pareri costituirebbe, anzitutto, violazione della previsione a tal proposito dettata dalla legge di delega e, al tempo stesso, rimedio strumentale al fine di ottenere, in violazione della stessa legge di delega, la proroga del termine di esercizio della delega legislativa, eludendo anche il termine per il recepimento della direttiva comunitaria, fissato al 16 maggio 2017, con correlativa violazione, sotto questo profilo, dell'art. 117, primo comma, Cost., oltre che dell'art. 76 della stessa Carta costituzionale. In ulteriore subordine, la ricorrente denuncia che attraverso la censurata inversione dell'ordine dei pareri si sarebbe realizzata una violazione del principio di leale collaborazione sancito dall'art. 120, secondo comma, Cost. Tutte le segnalate violazioni ridonderebbero in lesioni delle prerogative costituzionali della Provincia autonoma, in quanto l'omessa previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni avrebbe impedito alle Commissioni parlamentari di prendere cognizione delle posizioni delle Regioni e Province autonome ed esprimersi sulle relative osservazioni. 14.3.- Viene poi denunciata l'illegittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, se ed in quanto applicabili alle Province autonome. Per effetto di tali disposizioni una lunga serie di funzioni di competenza provinciale, anche per disposto statutario, sarebbero state avocate alla competenza dello Stato. Il d.lgs. n. 104 del 2017 non contiene, d'altra parte, alcuna clausola di salvaguardia delle competenze delle autonomie speciali, nonostante la stessa fosse stata richiesta tanto dalla Conferenza Stato-Regioni nel parere reso il 4 maggio 2017, quanto dalle Commissioni affari costituzionali e ambiente della Camera dei deputati e dalle Commissioni del Senato. Le disposizioni impugnate hanno inoltre operato con la tecnica della novella, modificando la disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006 e gli Allegati alla Parte II, rispettivamente intitolati «Progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano». Le Province risultano, inoltre, espressamente menzionate nei commi 5, 7, 8 e 9 del nuovo art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017. Tutto lascerebbe supporre, dunque, che le norme censurate pretendano di applicarsi anche alla Provincia autonoma ricorrente. Cio' posto, la Provincia autonoma di Trento osserva che l'effetto combinato degli artt. 5, comma 1, che ridefinisce le competenze in materia di VIA e di verifica di assoggettabilita' a VIA, dell'art. 22, che modifica gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, e dell'art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale dispone le correlative abrogazioni delle disposizioni anteriormente vigenti in materia, e' quello di avocare allo Stato competenze relative a progetti - dei quali il ricorso fornisce analitica indicazione - che rientrerebbero sicuramente in materie di competenza legislativa, e conseguentemente amministrativa (art. 16 dello Statuto), della Provincia autonoma. Le materie interessate sarebbero, in specie: - la produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, di competenza concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., combinato con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; - i porti lacuali, di competenza primaria (art. 8, n. 11, dello statuto speciale), e piu' in generale i porti, di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10 della legge cost. n. 3 del 200l); - il turismo, di competenza primaria (art. 8, n. 20, dello statuto speciale), o se piu' favorevole di competenza residuale (art. 117, quarto comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001); - la «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» e le «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale», di potesta' primaria (art. 8, numeri 17 e 18 del richiamato statuto speciale); - le miniere e cave (art. 8, n. 14, dello statuto speciale); - gli aeroporti, di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001). Tali progetti intersecherebbero, inoltre, le competenze provinciali in materia di urbanistica e piani regolatori (art. 8, n. 5, dello statuto speciale) e di tutela del paesaggio (art. 8, n. 6, dello statuto speciale), e - in rapporto proprio ai profili che attengono alla VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA - i titoli su cui si radica la competenza provinciale in materia di ambiente, e dunque, oltre alle materie appena citate, quelle in punto di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali (art. 8, n. 13, dello statuto speciale), protezione civile, apicultura e parchi (art. 8, n. 16, dello statuto speciale), agricoltura (art. 8, n. 21, dello statuto speciale), igiene e sanita' (art. 9, n. 10, dello statuto speciale), ora tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001) e utilizzazione delle acque pubbliche (art. 9, n. 9, dello statuto speciale). Nell'ambito di queste materie, le competenze amministrative anche in tema di VIA e di verifica di assoggettabilita', sarebbero di spettanza provinciale, a norma dell'art. 16 dello statuto speciale regionale. 14.3.1.- La ricorrente denuncia, al riguardo, anzitutto il vizio di eccesso di delega (art. 76 Cost.), sotto i profili dell'assenza nella legge delega di un principio che autorizzi l'avocazione allo Stato di una serie di funzioni gia' esercitate dalle Regioni e dalle Province autonome, e della violazione dei principi dettati dall'art. 32 della legge n. 234 del 2012. Viene sottolineato come il d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto della novella legislativa censurata, fosse stato emanato sulla base di una legge delega che prevedeva espressamente il rispetto delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali e faceva salvo il rispetto degli statuti e delle relative disposizioni di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano (art. 1, comma 8, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione»). Il riparto delle competenze tra Stato e autonomie locali non avrebbe potuto, dunque, essere toccato in assenza di un diverso indirizzo parlamentare che, nella specie, ha fatto difetto. Nel caso di specie, inoltre, la delega era stata conferita al limitato fine di attuare una direttiva europea che, a sua volta, nulla dice in punto di competenze, posto che il considerando n. 37 prende atto delle diverse «strutture istituzionali» degli Stati membri, autorizzandoli a «designare piu' autorita'» in materia di VIA. L'intervento sui rapporti di competenza tra Stato e Regioni non poteva ritenersi ricompreso, ancora, in alcuno dei principi e criteri direttivi enunciati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che non coinvolgevano il riparto delle competenze istituzionali. Dovevano al contrario osservarsi i criteri generali fissati dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, che impongono, quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni «il rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali». 14.3.2.- Viene dedotta anche la violazione degli artt. 8 (in particolare, numeri 1, 3, 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 20 e 21), 9 (in particolare, numeri 3, 9, e 10) e 16 dello statuto della Provincia autonoma e degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., nonche', ulteriormente, l'eccesso di delega per mancanza di intesa costituzionalmente necessaria. La ricorrente rileva, in ordine alla denunciata sottrazione di competenze amministrative, che quelle conferite dallo statuto non possono formare oggetto di chiamata in sussidiarieta', vigendo per esse il principio del parallelismo di cui all'art. 16 dello statuto speciale regionale, mentre per quelle derivanti dalla Costituzione mancherebbero i presupposti ai quali la giurisprudenza costituzionale subordina la chiamata in sussidiarieta'. L'apprezzamento delle esigenze unitarie compiuto dal decreto delegato non sarebbe, infatti, ne' ragionevole, ne' proporzionato, essendo state allocate presso lo Stato un numero elevatissimo di funzioni gia' esercitate dalle Regioni e dalle Province autonome. Mancherebbe, poi, il requisito dell'accordo con le autonomie regionali, essendo stata operata detta allocazione, senza una previa intesa ed anzi col dissenso della Provincia autonoma di Trento. Il che, oltre a violare il principio di leale collaborazione, implicherebbe anche un vizio di eccesso di delega, dal momento che, nel caso di specie, la legge di delega doveva ritenersi integrata da un limite implicito che imponeva l'acquisizione della intesa, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016, con riguardo al caso di intreccio di competenze non risolubile con il criterio della prevalenza, e ancor prima dalla sentenza n. 303 del 2003, per la chiamata in sussidiarieta'. 14.4.- Si denuncia, poi, l'illegittimita' costituzionale del solo art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui introduce i commi 7, 8 e 9 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006. In particolare, il comma 7 impone alla Provincia autonoma di regolare le proprie procedure in materia di VIA o di verifica di assoggettabilita' a VIA in conformita' a varie disposizioni novellate del d.lgs. n. 152 del 2006, tutte di estremo dettaglio e autoapplicative; il comma 8 ribadisce tali obblighi di conformazione, vincolando la potesta' delle Regioni e delle Province autonome di regolare l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni in materia di VIA al rispetto di quanto previsto nel medesimo decreto, con la sola possibilita' di introdurre regole particolari per specifici aspetti; il comma 9 viene contestato in quanto, nello stabilire obblighi informativi, fa riferimento alle Province autonome, confermando cosi' che la disciplina in questione si rivolge anche ad esse. Si tratta di oggetti - sottolinea la ricorrente - che la Provincia autonoma di Trento ha gia' organicamente regolato nell'ambito della propria autonomia legislativa, mediante la legge provinciale 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale della valutazione dell'impatto ambientale. Modificazioni della legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie)», con la quale ha dato esecuzione alla direttiva 2011/92/UE, concernente la VIA. Competenza, questa, mai contestata dallo Stato, che aveva, anzi, introdotto una specifica clausola di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome nell'art. 35, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, conformemente, come gia' osservato, a quanto stabilito dalla relativa legge delega. Clausola che, secondo la ricorrente, dovrebbe ritenersi ancora operante, in quanto le norme oggetto di censura sono state inserite, con la tecnica della novellazione, proprio nel corpo dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, mentre, al contrario, le norme qui contestate sono state espressamente rivolte alle Province autonome. Risulterebbe pertanto violato l'art. 8 dello statuto speciale, relativo alla potesta' primaria di autoorganizzazione comprensiva del procedimento di VIA, competenza da tempo esercitata, in conformita' all'art. 19-bis del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), ove e' espressamente menzionata la VIA, anche per le opere soltanto delegate. E' ovvio, sostiene la ricorrente, che, a maggior ragione, quelle funzioni sono riservate alla Provincia autonoma nell'ambito delle materie che statutariamente sono attribuite alla competenza legislativa provinciale. Non potrebbe al riguardo venire in discorso la competenza esclusiva statale in tema di ambiente, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., in quanto l'incisione delle materie statutarie e' preclusa dalla clausola di maggior favore prevista dall'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Si deduce, inoltre, la violazione dell'art. 117, quinto comma, Cost., che sancisce, in generale, il potere delle Province autonome di dare immediata attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie nelle materie di competenza esclusiva, salvo adeguarsi, nei limiti statutari, alle leggi statali di attuazione degli atti comunitari. Tale potere e' ribadito dalla legge di attuazione n. 234 del 2012, che fa salve, per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome, le previsioni dettate dai rispettivi statuti speciali e le relative norme di attuazione. Sicche' le disposizioni censurate verrebbero a sovrapporsi alla disciplina provinciale, senza che ricorrano le ipotesi sostitutive previste dall'art. 41, comma 1, della stessa legge n. 234 del 2012. Sarebbero violati anche gli artt. 3 e 97 Cost. La dettagliatissima disciplina statale, infatti, sarebbe sproporzionata nell'assicurare uniformita' all'attuazione della direttiva europea; mentre la prescrizione di un modello unitario coinvolgerebbe anche il principio di buon andamento della amministrazione, che risulterebbe leso anche perche' appare irrazionale - e fonte di cattiva amministrazione - consentire una legislazione locale se questa deve essere meramente riproduttiva di quella nazionale. Violazioni, quelle denunciate, che ridonderebbero sulle competenze provinciali, in quanto atte a comprimere le competenze statutarie nelle materie di competenza provinciale, gia' passate in rassegna. 14.4.1.- In ulteriore subordine, la ricorrente fa presente che ove la Corte costituzionale accogliesse le censure relative all'art. 5, essa non sarebbe tenuta ad adeguarsi agli artt. da 19 a 26 e da 27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, se non nei limiti di cui allo statuto speciale. In caso contrario, la Provincia autonoma impugna l'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 19 nel d.lgs. n. 152 del 2006, e l'art. 16, comma 2, nella parte in cui introduce l'art. 27-bis nel medesimo decreto. 14.4.1.1.- L'art. 8 disciplinerebbe analiticamente lo svolgimento del procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA (dalle modalita' di trasmissione dello studio preliminare alle modalita' di pubblicazione, alla istruttoria, ai termini del procedimento, ai modi, ai tempi e ai limiti delle possibilita' di interlocuzione con gli interessati). 14.4.1.2.- L'art. 16, comma 2, e' impugnato nell'ipotesi che la disposizione da esso introdotta sia vincolante e/o applicabile anche alle Province autonome, come sembrerebbe indicare il nuovo art. 7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9 (in senso contrario potrebbero deporre l'art. 7-bis, comma 7, secondo periodo, per cui «il procedimento di VIA di competenza regionale si svolge con le modalita' di cui all'art. 27-bis», e lo stesso testo dell'art. 27-bis, a partire dalla sua intitolazione, che non cita le province autonome). Esso recherebbe una disciplina «ugualmente analitica e minuziosa» del procedimento di VIA di competenza regionale. Le disposizioni sarebbero invasive delle competenze primarie, di cui agli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale, in base ai quali la Provincia autonoma ricorrente avrebbe una potesta' primaria di auto-organizzazione, comprensiva della disciplina del procedimento di VIA; tali disposizioni, inoltre, stabilirebbero le competenze legislative e le funzioni amministrative provinciali, le quali, in virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, non dovrebbero essere incise dalla competenza esclusiva statale in materia di ambiente. Attraverso le norme censurate si produrrebbe altresi' la lesione della competenza provinciale a dare attuazione al diritto dell'Unione europea, riconosciuta dall'art. 117, quinto comma, Cost. Sarebbe violato anche il principio direttivo che limita l'intervento del legislatore delegato alla «armonizzazione» delle procedure, e non consentiva, pertanto, la loro totale uniformita'. 14.4.1.3.- Per corrispondenti ragioni risulterebbe illegittimo (ove applicabile anche alla Provincia ricorrente), l'art. 24, sostitutivo dell'art. 14, comma 4, della richiamata legge n. 241 del 1990. Secondo la ricorrente, solo formalmente il procedimento atterrebbe alla VIA, dal momento che interviene su ogni profilo di un progetto, costretto nelle modalita' specifiche della conferenza di servizi disciplinata dalla legislazione statale anziche' dalla disciplina provinciale, con interi ambiti di materia sottratti alla disciplina regionale. In altre parole, la disciplina statale della conferenza di servizi non opererebbe come limite verticale all'interno della materia, ma come diretta disciplina della fattispecie, sottratta alla disciplina provinciale. Evidente sarebbe altresi' la violazione dell'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992 n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento), che vieterebbe la sostituzione di discipline statali alle discipline provinciali, ponendo invece il rispettivo rapporto nei termini di un dovere di adeguamento, limitato dalle regole statutarie e presidiato da questa Corte. Anche questa censura e' formulata dalla ricorrente per l'ipotesi che tale disposizione si dovesse ritenere applicabile alle Province autonome, nonostante essa menzioni solo progetti di competenza regionale (e non provinciale), sia perche' essa verrebbe immessa nella legge n. 241 del 1990, che contiene, all'art. 29, comma 2-quinquies, la clausola di garanzia per cui «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Dovrebbe prevalere l'interpretazione costituzionalmente conforme, anche in forza del citato art. 2 del d.lgs. n. 266, che risulterebbe altrimenti violato. 14.5.- Viene denunciata l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, recante disposizioni di attuazione dello statuto di autonomia, e per violazione degli artt. 8 e 9 dello statuto medesimo, nonche' degli artt. 117, quinto comma, e 120 Cost. Si lamenta, altresi', la violazione dell'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987. La norma censurata, dedicata alle disposizioni transitorie e finali, impone alla ricorrente obblighi di adeguamento che sarebbero in contrasto con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale, dettando disposizioni di attuazione dello Statuto, prevede che la Provincia autonoma di Trento adegui la propria legislazione a quella statale entro sei mesi dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale o entro il maggior termine previsto dalla stessa legge, restando nel frattempo applicabili le disposizioni provinciali. La immediata applicabilita' e' prevista solo per le "norme comunitarie direttamente applicabili" e non - sottolinea la ricorrente - per la disciplina statale attuativa del diritto dell'UE. La norma censurata risulterebbe pertanto in contrasto con la disciplina di attuazione dello statuto, in quanto essa riduce a centoventi giorni il termine di adeguamento della disciplina provinciale a quella statale. Inoltre, stabilendo la perentorieta' di tale termine, alla Provincia sarebbe inibito procedere ad emanare norme di adeguamento, in violazione degli artt. 117, quinto comma, come attuato dall'art. 41 della legge n. 234 del 2012, e 120, quinto comma, Cost., i quali impongono che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di leale collaborazione e sussidiarieta'. La norma censurata, inoltre, sarebbe illegittima anche nella parte in cui stabilisce che, decorso il termine previsto, si applicano i poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost. secondo le previsioni dettate dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012, in quanto in contrasto con l'art. 8 del richiamato d.P.R. n. 526 del 1987, di attuazione dello statuto speciale, il quale prevede un potere sostitutivo solo in caso di accertata inattivita' degli organi regionali e provinciali che comporti inadempimento agli obblighi comunitari e, comunque sia, previa concessione di un ulteriore termine alla Provincia autonoma. La norma sarebbe illegittima anche se interpretata come disposizione direttamente sostitutiva, ai sensi dell'art. 41 della legge n. 234 del 2012, e quindi direttamente operante nell'ordinamento provinciale, in quanto sprovvista del necessario carattere della cedevolezza, e comunque in contrasto con l'art. 2, commi 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. 14.6.- Con un ultimo gruppo di censure la ricorrente lamenta la violazione della propria autonomia amministrativa (art. 16 dello statuto speciale, in relazione agli artt. 8 e 9; art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992) oltre che dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione (art. 118 e 120 Cost.), derivanti dall'introduzione del provvedimento unico in materia ambientale. 14.6.1.- Sarebbe illegittimo l'art. 16, comma 1, il quale novella l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo il provvedimento unico in materia ambientale per i procedimenti di VIA di competenza statale. Il nuovo art. 27 stabilisce «[n]el caso di procedimenti di VIA di competenza statale, il proponente puo' richiedere all'autorita' competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo di ogni autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta, o atto di assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto (comma 1, primo periodo). Il comma 2 dispone che «[i]l provvedimento unico di cui al comma 1 comprende il rilascio dei seguenti titoli laddove necessario: a) autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della parte II del presente decreto; b) autorizzazione riguardante la disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee di cui all'art. 104 del presente decreto; c) autorizzazione riguardante la disciplina dell'immersione in mare di materiale derivante da attivita' di escavo e attivita' di posa in mare di cavi e condotte di cui all'art. 109 del presente decreto; d) autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; e) autorizzazione culturale di cui all'art. 21 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; f) autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n 616; g) nulla osta di fattibilita' di cui all'art. 17, comma 2, del decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105; h) autorizzazione antisismica di cui all'art. 94 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». 14.6.2.- I commi successivi dell'impugnato art. 27 regolano le fasi del procedimento che seguono alla iniziativa; al comma 8, la disposizione stabilisce che «[...]l'autorita' competente convoca una conferenza di servizi», alla quale partecipano il proponente e tutte le Amministrazioni competenti «o comunque potenzialmente interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi in materia ambientale richiesti dal proponente». La medesima disposizione precisa che «la conferenza di servizi si svolge secondo le modalita' di cui all'art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241»; che «[i]l termine di conclusione dei lavori della conferenza di servizi e' di duecentodieci giorni»; che «[l]a determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi, che costituisce il provvedimento unico in materia ambientale, reca l'indicazione espressa del provvedimento di VIA ed elenca, altresi', i titoli abilitativi compresi nel provvedimento unico»; che «la decisione di rilasciare i titoli di cui al comma 2 e' assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, ai sensi dell'art. 25»; che «[i] termini previsti dall'art. 25, comma 2, quarto periodo, sono ridotti alla meta' e, in caso di rimessione alla deliberazione del Consiglio dei ministri, la conferenza di servizi e' sospesa per il termine di cui all'art. 25, comma 2, quinto periodo»; che «[t]utti i termini del procedimento si considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241». Il successivo comma 9 prevede che «[l]e condizioni e le misure supplementari relative all'autorizzazione integrata ambientale di cui al comma 2, lettera a), e contenute nel provvedimento unico, sono rinnovate e riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' di cui agli articoli 29-octies, 29-decies e 29-quattuordecies» e che «le condizioni e le misure supplementari relative agli altri titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono rinnovate e riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' previste dalle relative disposizioni di settore da parte delle amministrazioni competenti per materia». Infine, il comma 10 stabilisce che «[l]e disposizioni contenute nel presente articolo si applicano in deroga alle disposizioni che disciplinano i procedimenti riguardanti il solo primo rilascio dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2». 14.6.3.- La Provincia ricorrente osserva che le funzioni coinvolte «sono state incrementate in misura esorbitante», tanto che l'intera disposizione sembrerebbe scritta come se tutte le amministrazioni coinvolte fossero amministrazioni statali. Fa presente la ricorrente che taluni provvedimenti indicati (come quelli relativi agli scarichi nel sottosuolo, alla autorizzazione paesaggistica, alla autorizzazione culturale e alla autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico) sarebbero di competenza della Provincia autonoma, che ha potesta' legislativa ed amministrativa in materia di acque, di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale e di tutela del paesaggio (art. 8, numeri 3, 6, 17 e 24, e art. 9, comma 9, in combinazione con l'art. 16 dello statuto di autonomia). Essa lamenta, dunque, che, nel regolare proprie funzioni, lo Stato l'abbia espropriata della potesta' decisoria. Cosi' facendo, lo Stato finirebbe per esercitare, mediante i meccanismi di decisione finale della conferenza di servizi statale, le funzioni amministrative proprie della ricorrente, in violazione dell'art. 16 dello statuto speciale, nonche' dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Inoltre, osserva che il legislatore statale avrebbe scelto il modulo procedimentale della conferenza di servizi «con modalita' sincrona», prevista dall'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990 (richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7); la norma impugnata richiama soltanto la disposizione (art. 14-ter, comma 7) che prevede la possibilita' per la conferenza di servizi di deliberare sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza, mentre non richiama l'art. 14-quinquies che regola i rimedi per le amministrazioni dissenzienti. Ove il rinvio contenuto nell'art. 27, comma 8, al solo art. 14-ter della legge n. 241 del 1990 (anziche' all'art. 14-ter e seguenti) e la mancata menzione dell'art. 14-quinquies, fossero da intendere come una volonta' legislativa di escludere l'applicabilita' della disciplina dettata dall'art. 14-quinquies per i dissensi qualificati, e in particolare per quelli manifestati dalle Province autonome, la disposizione impugnata sarebbe ulteriormente illegittima: (i) per violazione dell'autonoma amministrativa della Provincia autonoma in relazione a tutte le competenze da essa esercitate in materia ambientale (acque, paesaggio, opere idrauliche, viabilita'), che verrebbero scavalcate da una decisione deliberata da organi di altro ente; (ii) per violazione anche la potesta' legislativa della Provincia autonoma, visto che secondo il comma 10, il procedimento unico comporta una deroga alle disposizioni che disciplinano i procedimenti dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, in relazione al primo rilascio; (iii) per violazione del principio di sussidiarieta' e perche' l'assorbimento della funzione dell'ente autonomo non avverrebbe in una cornice di leale collaborazione. L'istituto del rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella sua conformazione rispettosa della leale collaborazione, sarebbe infatti una condizione necessaria per la legittimita' costituzionale delle previsioni di conferenze di servizi decisorie, ove siano coinvolti enti di livello regionale (e' richiamata la sentenza n. 179 del 2012). Questa ulteriore censura non avrebbe ragione di essere, a parere della ricorrente, ove il richiamo all'art. 14-quater (e attraverso di questo al 14-quinquies), contenuto nell'art. 14-ter, comma 7, potesse assicurare comunque l'applicazione della disciplina di garanzia per il dissenso della ricorrente Provincia autonoma. 15.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato il 13 ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo che il ricorso venga rigettato. 15.1.- In merito alla pretesa violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l'Avvocatura generale dello Stato deduce preliminarmente l'inammissibilita' del motivo di ricorso, in quanto la legge di delega non ha formato oggetto di impugnazione. Si osserva, al riguardo, che ove i contenuti della delega diano luogo ad effettiva lesione delle competenze regionali o provinciali, gli stessi devono formare oggetto di tempestiva impugnazione a norma dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953: cio' a fine di consentire a questa Corte di eliminare gli eventuali profili di illegittimita' senza aspettare che tali vizi vengano riprodotti o addirittura ampliati nei decreti delegati. Il motivo relativo alla denunciata tardivita' dell'esercizio della delega legislativa, con conseguente violazione degli artt. 76 e 77 Cost., sarebbe comunque infondato. L'Avvocatura dello Stato osserva che il rinvio operato dalla legge di delega n. 114 del 2015, ai termini di cui all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, poi modificato ad opera della legge n. 115 del 2015, entrata in vigore il 18 agosto 2015, ha natura recettizia. Innanzi tutto, perche' la legge non puo' avere portata retroattiva e, dunque, la legge novellatrice del termine, non puo' che riguardare le fattispecie di delegazione legislativa successive, e non certo quelle di cui alla legge n. 114 del 2015, entrata in vigore tre giorni prima. In secondo luogo, ove la legge n. 115 del 2015 fosse ritenuta di portata retroattiva, la stessa avrebbe potuto generare l'effetto di produrre la scadenza di una delega ancora in corso, come si sarebbe verificato almeno in un caso (si cita, al riguardo, la delega per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE, non ancora esercitata al momento della entrata in vigore della legge n. 115 del 2015, e per la quale, ove i nuovi e ridotti termini - da quattro a due mesi antecedenti al termine di recepimento della direttiva - fossero stati ritenuti di immediata applicabilita', il termine per l'esercizio della delega sarebbe addirittura decorso prima della entrata in vigore della stessa legge n. 115 del 2015). Simili approdi risulterebbero ulteriormente evidenziati dalla incoerenza che si determinerebbe nel disporre la abbreviazione dei termini di recepimento di direttive, allo scopo verosimile di favorirne una celere attuazione, con il contrario effetto di precludere il potere delegato di attuazione. Quanto all'ulteriore rilievo della ricorrente, secondo cui il rinvio "secco" all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, avrebbe comportato l'impossibilita' di avvalersi del meccanismo di proroga del termine previsto in via generale dall'art. 31, comma 3 della stessa legge, la censura risulterebbe infondata per piu' ragioni. La legge di delega n. 114 del 2015, infatti, rievoca le "procedure" nonche' gli artt. 31 e 32 della legge n. 234 del 2012, nella loro interezza, richiamando, cosi', anche le regole relative ai pareri delle Commissioni parlamentari e i loro riflessi sui termini di esercizio della delega legislativa. Inoltre, si osserva, l'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012 contiene una norma di carattere generale destinata ad applicarsi a tutte le leggi di delegazione europea, a meno che queste non dispongano diversamente. Pertanto, una volta che la legge n. 114 del 2015 ha previso come obbligatorio il parere delle Commissioni parlamentari, senza ulteriori puntualizzazioni, ne deriva l'integrale applicabilita' della disciplina dettata dalla stessa legge n. 234 del 2012, in dipendenza di tale opzione. Pertanto, la natura recettizia del rinvio operato all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, non impediva al Governo di usufruire della proroga di cui all'art. 31, comma 3, della medesima legge. 15.2.- Sarebbero infondati pure i rilievi subordinati, concernenti la pretesa illegittimita' della procedura in ragione della scelta del Governo di trasmettere contestualmente lo schema di decreto delegato alle Commissioni parlamentari ed alla Conferenza Stato-Regioni, in violazione di quanto stabilito dall'art. 1, comma 3, della richiamata legge di delega n. 114 del 2015 e dall'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, in merito al fatto che la trasmissione alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica dello schema di decreto delegato debba avvenire solo «dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge». Ma, sostiene l'Avvocatura, e' proprio la pretesa obbligatorieta' del parere della Conferenza Stato-Regioni ad essere non fondata, in quanto la disciplina della valutazione di impatto ambientale non rientrerebbe fra le "materie" di competenza regionale, essendo ascrivibile, per consolidata giurisprudenza costituzionale, alla «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di competenza statale esclusiva, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e non vi sarebbe alcun "intreccio" con diversi ambiti materiali, ma soltanto "incidenza" rispetto a funzioni regionali. Deriverebbe da cio' che il Governo non aveva l'obbligo di consultare la detta Conferenza, in ordine allo schema di decreto legislativo per l'attuazione della «direttiva VIA»: dunque, il parere richiesto avrebbe natura facoltativa e sfuggirebbe, pertanto, dal campo di applicazione delle norme la cui violazione viene censurata dalla ricorrente; esso poteva di conseguenza essere richiesto anche contestualmente alla trasmissione alle Camere dello schema di decreto. Risulterebbe correlativamente rispettato anche il principio di leale collaborazione. 15.3.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte verso gli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, in ragione del profondo riassetto e allocazione presso lo Stato di numerose funzioni gia' provinciali in tema di VIA. Si ribadisce, infatti, che la valutazione di impatto ambientale rientra nella tutela dell'ambiente di esclusiva competenza statale, imponendosi dunque alle Regioni ed alle stesse autonomie speciali. Le funzioni amministrative statutariamente garantite alle Province autonome sono dunque, in base all'art. 16 dello statuto speciale, solo quelle relative alle materie per le quali la Provincia autonoma puo' adottare norme legislative. 15.4.- A proposito, poi, della lamentata violazione degli artt. 8, 9 e 16 delle disposizioni statutarie, e degli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost, in riferimento all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nonche' al prospettato eccesso di delega per mancanza di intesa costituzionalmente necessaria, l'Avvocatura generale dello Stato ne deduce la infondatezza, anzitutto ribadendo il principio che, in tema di VIA, sussisterebbe la competenza esclusiva dello Stato, vertendosi in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Pertanto, sulla base del principio del parallelismo amministrativo di cui all'art. 16 dello statuto di autonomia, le funzioni amministrative in materia di VIA non rientrerebbero fra quelle statutariamente garantite alla Provincia autonoma ricorrente. Nella specie sarebbe dunque inconferente il richiamo alla chiamata in sussidiarieta', applicandosi questa soltanto nella ipotesi in cui lo Stato si appropri di funzioni amministrative in materie di legislazione regionale: il che non si verifica nel caso di specie. Conseguentemente, non si richiedeva alcuna intesa con le Regioni, posto che tale modulo procedurale riguarda la chiamata in sussidiarieta' in relazione all'esercizio di funzioni amministrative, ma non per il procedimento di formazione legislativa. Inconferente sarebbe la pretesa irragionevolezza per sproporzione dell'intervento di riallocazione delle funzioni amministrative, tenuto conto della gia' rilevata applicazione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione, mentre improprio si rivela il richiamo alla sentenza n. 251 del 2016, in quanto l'intesa si impone come contenuto obbligatorio della legge di delegazione solo nel caso di intreccio inestricabile tra ambiti competenziali statali e regionali: il che non avviene in materia di VIA. 15.5.- L'Avvocatura ribadisce la esclusivita' della competenza statale in materia, la quale non presenterebbe alcun intreccio con le materie legislative rimesse alla Provincia autonoma, rievocando la giurisprudenza costituzionale formatasi al riguardo. Quanto, poi, alla disciplina del procedimento amministrativo, il legislatore statale disporrebbe di un ulteriore titolo di competenza esclusiva nel dettare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Pertanto, la circostanza che in materia di VIA la Provincia autonoma avesse dettato una propria disciplina, non inibiva allo Stato di intervenire nuovamente per dettare regole tese a consentire l'uniforme svolgimento del procedimento di VIA su tutto il territorio nazionale. D'altra parte, sia pure ridimensionato, residua per le Regioni e le Province autonome il potere di disciplinare con proprie norme (art. 7-bis¸comma 8, del d.lgs. n. 152 del 206, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017) l'organizzazione e l'esercizio delle funzioni amministrative loro conferite in materia di VIA, anche con regole intese a semplificare i procedimenti, l'accesso del pubblico e degli altri soggetti pubblici interessati e il coordinamento dei provvedimenti di competenza regionale e locale. A sua volta, la clausola di salvaguardia dettata dall'art. 35-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, non opera per la VIA, essendo materia di competenza esclusiva statale, ma si riferisce a profili che ricadano nelle materie previste dagli statuti speciali. 15.6.- Le disposizioni impugnate, prosegue l'Avvocatura, sarebbero illegittime, in quanto invasive, secondo la Provincia ricorrente, di numerose competenze legislative provinciali, derivanti dalle disposizioni statutarie (artt. 8, 9 e 16) e costituzionali (art. 117, terzo e quarto comma, Cost, in combinazione con la clausola di equiparazione di cui all'art. 3 della legge cost. n. 3 del 2001). Le stesse disposizioni sarebbero, ad avviso della ricorrente, lesive della norma di attuazione dello statuto speciale recata dall'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, in base alla quale "[a]i fini dell'esercizio delle funzioni delegate con il presente decreto le Province autonome di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in materia di organizzazione degli uffici, di contabilita', di attivita' contrattuale, di lavori pubblici e di valutazione di impatto ambientale". Anche queste censure sarebbero infondate. Si ribadisce, al riguardo, che la pretesa lesione di competenze legislative provinciali non sussisterebbe, in quanto la materia della VIA rientra nell'ambito della legislazione statale esclusiva in tema di tutela dell'ambiente, senza che sia registrabile alcun riflesso o "frazionabilita'" del regime competenziale in questo o quell'ambito materiale di spettanza provinciale. A proposito, poi, della pretesa violazione dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, si tratterebbe di disposizione relativa alle sole funzioni delegate dallo Stato, diverse ed ulteriori rispetto a quelle garantite statutariamente alla Provincia autonoma; disposizione che sarebbe nella specie rispettata in ragione del fatto che, come gia' osservato, le competenze provinciali in tema di VIA sono state ridotte ma non azzerate. 15.7.- Le censure degli artt. 8 e 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbero prive di fondamento, essendo le disposizioni impugnate necessarie a garantire l'omogenea applicazione delle norme sulla VIA sul territorio nazionale, a seguito dell'entrata in vigore delle regole piu' stringenti, di cui alla direttiva 2014/52/UE. 15.8.- Infondata anche la doglianza di cui all'impugnato art. 24 (ove applicabile alle Province autonome). Per l'Avvocatura la disciplina rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato sulla tutela dell'ambiente e, per quanto concerne il procedimento di VIA regionale, nella competenza esclusiva in materia di livelli essenziali delle prestazioni; la possibilita' di ricondurre alcuni istituti del procedimento amministrativo - compresa la conferenza di servizi - alla competenza statale sui livelli essenziali delle prestazioni sarebbe affermata all'art. 29, commi 2-bis e 2-ter, della legge n. 241 del 1990, che dunque si colloca, sotto questo aspetto, in linea di continuita' con le pronunce del giudice costituzionale. Di conseguenza, l'impugnato art. 24 non realizzerebbe alcuna espropriazione delle competenze provinciali, ne' alcun contrasto con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, atteso che tale norma di attuazione dello statuto speciale si riferirebbe alla diversa fattispecie delle materie statutariamente spettanti alla Provincia autonoma, rispetto alle quali essa regolerebbe le modalita' di adeguamento della legislazione provinciale ai limiti recati dalla legislazione statale. 15.9.- L'Avvocatura dello Stato passa poi ad esaminare la pretesa violazione della competenza provinciale a dare immediata attuazione alle direttive europee nelle materie provinciali; competenza, questa, gia' prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 ed ora sancita dall'art. 117, quinto comma, Cost. e ribadita dall'art. 59 della legge n. 234 del 2012, che mantiene ferme, per le autonomie speciali, le disposizioni contenute negli statuti di autonomia e nelle relative norme di attuazione. Pure tali doglianze risulterebbero infondate, ancora una volta partendo dalla premessa che la VIA rientra nella competenza esclusiva statale in tema di tutela dell'ambiente e di previsione dei livelli essenziali delle prestazioni. L'art. 117, quinto comma, Cost. consente, infatti, alle Regioni e alle Province autonome di provvedere all'attuazione ed esecuzione degli atti dell'Unione europea soltanto nelle materie di loro competenza. Nella specie, pertanto, non sarebbe stato esercitato alcun potere sostitutivo, venendo dunque meno la pertinenza del richiamo all'art. 41, comma 1, della legge n. 234 del 2012 e la pretesa violazione dell'art. 117, quinto comma Cost. 15.10.- Le censure di violazione degli artt. 3 e 97 Cost. sarebbero, invece, anzitutto inammissibili per genericita', in quanto la ricorrente avrebbe speso argomenti apodittici per dedurre la violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e buon andamento della pubblica amministrazione. Non sarebbero stati infatti chiariti i profili di peculiarita' organizzative e istituzionali incisi dalla disciplina statale, ne' spiegate le ragioni per le quali le limitazioni degli spazi rimessi alla legislazione locale comprometterebbero la buona amministrazione. Nel merito, si tratterebbe comunque di doglianze infondate, in quanto la disciplina impugnata mira ad attuare la direttiva europea in modo uniforme, in linea con il carattere di particolarmente dettaglio delle procedure stabilite in sede comunitaria e non drogabili da parte degli ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di infrazione. Infine, nessuna lesione sarebbe riscontrabile in riferimento ai principi e criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge delega n. 114 del 2015, in quanto l'intervento legislativo censurato avrebbe pienamente realizzato l'obiettivo della "armonizzazione" e gli altri principi di semplificazione e razionalizzazione tracciati dalla legge di delega. 15.11.- In relazione all'impugnato art. 23, comma 4, sarebbero non fondate le doglianze correlate agli obblighi di adeguamento della legislazione provinciale ai limiti introdotti dalla legislazione statale, in base alle disposizioni di attuazione dello statuto speciale previste dal d.lgs. n. 266 del 1992, dal momento che gli obblighi di adeguamento di cui all'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, riguardando la tutela dell'ambiente e i livelli essenziali, di competenza esclusiva dello Stato, esulano dal citato d.lgs. n. 266 del 1992. A proposito poi del termine "perentorio" di adeguamento, lo stesso non equivale ad escludere definitivamente il potere di adeguamento della Provincia autonoma, ma legittima esclusivamente l'intervento sostitutivo dello Stato. Cio' e' dimostrato dal rinvio all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si stabilisce il carattere cedevole dell'intervento sostitutivo dello Stato stesso. 15.12.- Parimenti infondate si rivelerebbero le censure rivolte al potere sostitutivo di cui alla norma censurata, laddove - richiamando l'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 - stabilisce l'obbligo per le Regioni e Province autonome di dettare norme di organizzazione e disciplina delle modalita' di esercizio delle funzioni ammnistrative loro attribuite in materia di VIA, trattandosi di un obbligo connesso alle esigenze di funzionamento unitario delle procedure in materia. Il potere sostitutivo di cui all'art. 23, comma 4, del decreto impugnato rinverrebbe, dunque, la propria legittimazione direttamente nell'art. 117, quinto comma, Cost, applicabile alle autonomie speciali, senza la mediazione dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e della clausola di adeguamento automatico ivi prevista. A proposito, poi, dell'esigenza - lamentata nel ricorso - di un ulteriore termine di diffida, lo stesso e' assicurato dall'art. 43, comma 2, della legge n. 234 del 2012, che rinvia all'art. 8 della legge cost. n. 3 del 2001, ove appunto si prevede che la procedura sostitutiva sia preceduta da diffida. 16.- La Provincia autonoma di Trento ha depositato, il 29 maggio 2018, una diffusa memoria, nella quale ha formulato deduzioni per contrastare la fondatezza dei rilievi svolti dall'Avvocatura generale dello Stato nell'atto di costituzione in giudizio. 16.1.- A proposito della preliminare eccezione di inammissibilita', per mancata impugnazione della legge delega, la Provincia ricorrente rammenta che l'istituto della acquiescenza non e' applicabile nel giudizio di legittimita' costituzionale in via principale, dal momento che anche la mera riproduzione di una norma reitera la lesione, legittimando il ricorso, sottolineando come argomenti contrari non siano desumibili dalla sentenza n. 261 del 2017, riferendosi questa non alla riproduzione, ma alla semplice applicazione della legge di delega. 16.2.- Quanto al rinvio operato dall'art. 1, comma 2, della legge delega n. 114 del 2015, all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, la Provincia autonoma ricorrente contesta la tesi dell'Avvocatura che invoca il principio di irretroattivita' della legge, in quanto trattandosi di successione temporale connessa ad un procedimento vale il principio tempus regit actum. Sicche' gli inconvenienti esemplificati dall'Avvocatura potevano trovare altrimenti rimedio, considerato, fra l'altro, che residuava intatto - decaduto il potere normativo del Governo - il potere normativo del Parlamento.