ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'intero  testo  e
degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1;
14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4;  23,
commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera  a),  e  27  del  decreto
legislativo 16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione  della  direttiva
2014/52/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  16  aprile
2014,  che  modifica  la   direttiva   2011/92/UE,   concernente   la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio  2015,
n.  114),  promossi  dalla  Regione  autonoma  Valle   d'Aosta/Vallee
d'Aoste, dalla Regione Lombardia, dalla Regione Puglia, dalla Regione
Abruzzo, dalla Regione Veneto, dalla Provincia  autonoma  di  Trento,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione  autonoma
Sardegna, dalla  Regione  Calabria  e  dalla  Provincia  autonoma  di
Bolzano, con ricorsi,  il  primo,  spedito  per  la  notifica  il  1°
settembre, gli altri notificati il 30 agosto, il 1°-6  settembre,  il
4-6 settembre, il 4 settembre, il 4-7 settembre, il  1°-6  settembre,
il 4-7 settembre e il 4-11 settembre 2017, depositati in  cancelleria
il 5, 6, 7, 8, 13 e 14 settembre 2017, iscritti, rispettivamente,  ai
numeri da 63 a 71 e 73 del registro ricorsi 2017 e  pubblicati  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri da 41 a  45,  prima  serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    uditi nell'udienza pubblica del 19 giugno 2018 i Giudici relatori
Franco Modugno e Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli  avvocati  Francesco  Saverio  Marini  per  la  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Piera Pujatti per  la  Regione
Lombardia, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia, Fabio Franco  per
la Regione Abruzzo, Andrea Manzi per la Regione Veneto,  Giandomenico
Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma  di  Trento,  Massimo
Luciani per la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  e  per  la
Regione autonoma Sardegna, Aristide Police  e  Nicola  Greco  per  la
Regione Calabria, Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma  di
Bolzano e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017 e depositato il 5
settembre 2017 (reg. ric. n. 63 del 2017), la Regione autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97,  117,  primo,
terzo e quinto comma, 118 e  120  della  Costituzione,  nonche'  agli
artt. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), 3, 4 e 10  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle
d'Aosta), di alcune disposizioni del decreto  legislativo  16  giugno
2017, n. 104 (Attuazione della direttiva  2014/52/UE  del  Parlamento
europeo e  del  Consiglio,  del  16  aprile  2014,  che  modifica  la
direttiva  2011/92/UE,  concernente   la   valutazione   dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli
articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2017. 
    1.1.- La ricorrente premette che il d.lgs. n.  104  del  2017  e'
stato adottato sulla base della delega  legislativa  conferita  dagli
artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per
il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di  altri  atti
dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014), al fine  di
dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del  Parlamento  europeo  e
del  Consiglio  del  16  aprile  2014,  che  modifica  la   direttiva
2011/92/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  13  dicembre
2011,  concernente  la   valutazione   dell'impatto   ambientale   di
determinati progetti pubblici e privati. 
    Ad avviso della ricorrente,  l'atto  normativo  realizzerebbe  un
pervasivo riassetto del riparto delle competenze fra Stato e  Regioni
in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA),  lesivo  delle
sue competenze costituzionali. 
    La Regione censura, anzitutto, l'art. 5 del  d.lgs.  n.  104  del
2017, denunciando la violazione degli artt. 2, primo  comma,  lettere
a), d), f) e m), 3 e 4 del proprio statuto, nonche' degli artt. 3, 5,
76, 117, primo e  terzo  comma,  e  120  Cost.,  anche  in  relazione
all'art.  10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 
    La norma impugnata aggiunge al decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi,  anche:
cod. ambiente), l'art. 7-bis, recante «Competenze in materia di VIA e
di verifica di assoggettabilita' a VIA». 
    La nuova disposizione, ai commi 2 e 3, ridisegna la distribuzione
delle competenze fra Stato e Regioni  in  relazione  ai  progetti  da
sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilita' a VIA,  assegnando
allo Stato i progetti di cui agli Allegati II e II-bis e alle Regioni
quelli di cui agli Allegati III e IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del
2006.  Stabilisce,  inoltre,  al  comma  4,  che  in   sede   statale
l'autorita' competente e' il Ministero dell'ambiente e  della  tutela
del territorio e del mare, che  esercita  le  proprie  competenze  in
collaborazione con il Ministero dei beni e delle attivita'  culturali
e del turismo per le attivita' istruttorie relative  al  procedimento
di  VIA,  soggiungendo  che   il   provvedimento   di   verifica   di
assoggettabilita' a VIA e' adottato  dal  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare, mentre  il  provvedimento  di
VIA e' adottato nelle forme e con le modalita' di cui al  nuovo  art.
25, comma  2,  e  all'art.  27,  comma  8,  cod.  ambiente,  che  non
contemplano piu' - diversamente dal passato - il parere delle Regioni
interessate. 
    La  nuova  disposizione  prevede,  ancora,  al   comma   7,   che
nell'ipotesi  in  cui  un  progetto  sia  sottoposto  a  verifica  di
assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e
le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano assicurare che le
procedure siano svolte in conformita' agli articoli da 19 a 26  e  da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo, altresi', che  il
procedimento di VIA si svolge con le modalita' di cui al citato  art.
27-bis:  con  la  conseguenza   che   tale   procedura   risulterebbe
disciplinata «integralmente dal centro». 
    Il comma 8 circoscrive, poi, la potesta' normativa, legislativa e
regolamentare,  delle  Regioni  e  delle   Province   autonome   alla
disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di  esercizio  delle
funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonche'
all'eventuale conferimento di tali funzioni o  di  compiti  specifici
agli altri enti territoriali sub-regionali. La potesta' normativa  in
parola viene vincolata al rispetto della legislazione  europea  e  di
quanto previsto dal d.lgs. n. 152  del  2006,  fatto  salvo  solo  il
potere  di  stabilire  regole  particolari   e   ulteriori   per   la
semplificazione   dei   procedimenti,   per   le   modalita'    della
consultazione  del  pubblico  e  di   tutti   i   soggetti   pubblici
potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti  e
delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la
destinazione alle finalita' di cui all'art. 29, comma 8, dei proventi
derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie,
con   espressa   esclusione   della   derogabilita'    dei    termini
procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis. 
    Il comma 9  sottopone,  da  ultimo,  le  Regioni  e  le  Province
autonome a penetranti controlli e  obblighi  informativi,  stabilendo
che, a decorrere dal 31 dicembre 2017 e con  cadenza  biennale,  esse
debbano informare il  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti
di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo  una  serie
di dati. 
    Tale  «pervasiva  interferenza»  con  le   competenze   regionali
risulterebbe costituzionalmente illegittima, tanto in  rapporto  allo
strumento attraverso il quale e' stata attuata, quanto nei contenuti. 
    1.1.1.- Sotto il primo profilo, il censurato art. 5 del d.lgs. n.
104 del 2017, violerebbe anzitutto l'art. 76  Cost.  per  eccesso  di
delega. Il profondo riassetto delle competenze fra  Stato  e  Regioni
operato con  la  norma  impugnata  risulterebbe,  infatti,  privo  di
qualsiasi  fondamento  esplicito   nelle   norme   della   legge   di
delegazione. 
    In base all'art. 1 della legge n. 114 del  2015,  il  legislatore
delegato, nell'attuare le direttive elencate negli Allegati  A  e  B,
avrebbe dovuto attenersi, in primo luogo, ai principi  e  ai  criteri
direttivi generali sanciti  dagli  artt.  31  e  32  della  legge  24
dicembre  2012,  n.  234   (Norme   generali   sulla   partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e  delle
politiche dell'Unione europea). Nessuno di tali  principi  e  criteri
direttivi  autorizzerebbe,  peraltro,  la  modifica  del  riparto  di
competenze tra Stato e Regioni. Da essi emergerebbe, al contrario, la
«massima attenzione»  per  la  salvaguardia  delle  attribuzioni  dei
singoli livelli di governo, essendo previsto nell'art. 32,  comma  1,
lettera g), che,  nei  casi  di  sovrapposizione  di  competenze  tra
amministrazioni  diverse,   «i   decreti   legislativi   individuano,
attraverso le piu' opportune forme di  coordinamento,  rispettando  i
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione e le competenze  delle  regioni  e  degli  altri  enti
territoriali,  le  procedure  per  salvaguardare  l'unitarieta'   dei
processi decisionali, la trasparenza,  la  celerita',  l'efficacia  e
l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara  individuazione
dei soggetti responsabili». 
    Ancora piu' significativo risulterebbe, peraltro, il silenzio sul
punto, considerati i principi e criteri direttivi specifici enunciati
dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015,  alla  luce  dei  quali  la
normativa delegata avrebbe dovuto perseguire  i  seguenti  obiettivi:
«a)  semplificazione,  armonizzazione   e   razionalizzazione   delle
procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione  al
coordinamento  e  all'integrazione  con  altre  procedure  volte   al
rilascio di  pareri  e  autorizzazioni  a  carattere  ambientale;  b)
rafforzamento  della  qualita'  della  procedura  di  valutazione  di
impatto ambientale,  allineando  tale  procedura  ai  principi  della
regolamentazione intelligente (smart regulation) e della  coerenza  e
delle sinergie con altre normative e politiche europee  e  nazionali;
c)  revisione  e  razionalizzazione  del  sistema  sanzionatorio   da
adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE,  al  fine  di  definire
sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive  e  di  consentire  una
maggiore   efficacia   nella   prevenzione   delle   violazioni;   d)
destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per
finalita' connesse al potenziamento  delle  attivita'  di  vigilanza,
prevenzione e monitoraggio ambientale,  alla  verifica  del  rispetto
delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale,
nonche' alla  protezione  sanitaria  della  popolazione  in  caso  di
incidenti o calamita' naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica». 
    Il  combinato  disposto  degli  artt.  1  e  14  di  tale   legge
lascerebbe, quindi, chiaramente  intendere  come  le  Camere  abbiano
conferito al  Governo  una  mera  delega  di  revisione,  riordino  e
semplificazione   delle   norme   preesistenti,   senza   autorizzare
l'introduzione di soluzioni sostanzialmente  innovative  rispetto  al
sistema legislativo previgente. Secondo  la  costante  giurisprudenza
costituzionale, infatti, un simile intervento e' ammissibile solo nel
caso in cui siano stabiliti principi e  criteri  direttivi  idonei  a
circoscrivere  la  discrezionalita'  del  legislatore  delegato:   in
mancanza di essi, la delega deve essere intesa, di contro,  in  senso
"minimale", tale,  cioe',  da  non  consentire  l'adozione  di  norme
delegate sostanzialmente innovative. 
    A comprova del fatto che il silenzio della legge n. 114 del  2015
assurga a indice  della  volonta'  delle  Camere  di  non  consentire
interventi  innovativi  del  legislatore  delegato  sul  piano  della
disciplina dei rapporti tra Stato e  Regioni,  militerebbe  anche  la
considerazione che tale legge, nel disciplinare  il  procedimento  di
formazione del decreto  delegato,  ha  prescritto  il  coinvolgimento
delle Regioni nella forma del mero parere, e  non  gia'  dell'intesa.
Tale soluzione si giustificherebbe, infatti, solo sul presupposto che
le Camere abbiano abilitato il Governo a una "blanda"  operazione  di
riordino e semplificazione  della  materia,  che  intacca  in  misura
minima o non intacca affatto le competenze regionali,  cosi'  da  non
richiedere   l'attivazione   di   piu'   penetranti   strumenti    di
collaborazione. 
    Ove si ritenesse, al contrario,  che  le  Camere  abbiano  voluto
implicitamente consentire  al  Governo  di  riformare  le  competenze
statali e regionali in materia di VIA, lo strumento del  mero  parere
si  rivelerebbe  del  tutto   inidoneo   a   consentire   una   seria
interlocuzione  fra  i  livelli  di  governo  coinvolti,  stante   la
quantita' e l'intensita' delle competenze regionali  sacrificate.  In
questa prospettiva, gli artt. 1 e 14 della  legge  n.  114  del  2015
risulterebbero illegittimi per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), nella parte in cui prevedono il
mero parere e non l'intesa, conformemente a quanto gia' deciso  dalla
Corte costituzionale, in situazione analoga, con la sentenza  n.  251
del  2016.  Proprio  la  prescrizione  del  mero   parere,   anziche'
dell'intesa, avrebbe del resto consentito al Governo di  disattendere
del tutto sette delle nove condizioni che le Regioni avevano indicato
come irrinunciabili nel parere 17/52/SR8/C5 (Parere sullo  schema  di
decreto legislativo della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio  del  16  aprile  2014,  che  modifica  la  direttiva
2011/92/UE concernente  la  valutazione  dell'impatto  ambientale  di
determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1  e
14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), reso  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano sullo schema di decreto delegato. 
    La  Regione  ricorrente  chiede  pertanto  che  la  Corte  -  ove
ritenesse che gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015  abilitino
il Governo al  riassetto  delle  competenze  statali  e  regionali  -
sollevi avanti a se' stessa questione di legittimita'  costituzionale
delle    citate    disposizioni,     dichiarando     l'illegittimita'
costituzionale in via derivata dell'art. 5  del  d.lgs.  n.  104  del
2017. 
    1.1.2.-  Dal  punto  di  vista  contenutistico,  la  disposizione
impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 2, primo comma, lettere
a), d), f) e m), nonche' con gli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, in combinato disposto con l'art. 117, primo e
terzo comma, Cost., anche in  relazione  alla  "clausola  di  maggior
favore" di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    L'art. 2 dello  statuto  attribuisce  alla  Regione  autonoma  la
competenza legislativa piena in materia di ordinamento degli uffici e
degli enti dipendenti dalla Regione e stato  giuridico  ed  economico
del personale; agricoltura  e  foreste,  zootecnia,  flora  e  fauna;
strade e lavori pubblici  di  interesse  regionale;  acque  pubbliche
destinate ad irrigazione ed a uso domestico. Tale competenza incontra
il  solo  limite  degli  obblighi  internazionali,  degli   interessi
nazionali,   nonche'   delle   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali della Repubblica. 
    L'art. 3 riconosce, poi, alla Regione  autonoma  la  potesta'  di
emanare - sempre entro i limiti dianzi indicati -  norme  legislative
di integrazione e di attuazione delle  leggi  della  Repubblica,  per
adattarle alle condizioni regionali, in tutta una  serie  di  materie
che si intrecciano con quelle implicate nella valutazione di  impatto
ambientale:  industria  e  commercio,  disciplina  dell'utilizzazione
delle   acque   pubbliche   ad    uso    idroelettrico,    disciplina
dell'utilizzazione delle miniere,  igiene  e  sanita',  antichita'  e
belle arti. 
    Infine, l'art.  4  demanda  alla  Regione  autonoma  le  funzioni
amministrative sulle materie nelle quali ha  potesta'  legislativa  a
norma degli artt. 2 e 3, salve quelle attribuite  ai  Comuni  e  agli
altri enti locali dalle leggi della Repubblica. 
    A  fronte  di  questo  ampio  elenco  di  competenze   regionali,
l'operazione effettuata dallo Stato, con l'art. 5 del d.lgs.  n.  104
del 2017, apparirebbe evidentemente illegittima e  sproporzionata.  A
seguito dell'intervento  normativo  censurato,  infatti,  la  Regione
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste: 
    a) si troverebbe confinata - nei casi di  progetto  sottoposto  a
verifica di assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale -
al ruolo di mero "custode" delle norme e delle  procedure  prescritte
dallo Stato (comma 7): ruolo ulteriormente gravato da un  obbligo  di
informazione periodica (comma 9); 
    b)  vedrebbe  limitata  la  propria  potesta'  normativa,   tanto
legislativa quanto regolamentare, alla disciplina dell'organizzazione
e delle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad  esse
attribuite in materia di VIA, salva la sola facolta' di dettare norme
particolari e ulteriori per la  semplificazione  dei  procedimenti  e
altre specifiche finalita' (comma 8); 
    c) subirebbe l'integrale «regolazione dal centro» della procedura
di VIA regionale - cristallizzata nella disciplina  dell'art.  27-bis
del d.lgs. n. 152 del  2006  -  e  perderebbe  ogni  possibilita'  di
interlocuzione  nel  procedimento  di  VIA  statale,  essendo   stato
eliminato il parere regionale  precedentemente  prescritto  dall'art.
25, comma 2, del citato decreto legislativo. 
    In pratica, la Regione speciale  sarebbe  stata  «"declassata"  a
ufficio territoriale dello Stato», peraltro in palese violazione  del
principio di leale collaborazione, essendo state disattese  tutte  le
proposte di emendamento formulate dalla Conferenza Stato-Regioni. 
    Tale "declassamento" non troverebbe  alcuna  giustificazione  nel
diritto europeo. La direttiva 2014/52/UE apparirebbe,  al  contrario,
«attenta alle specificita' territoriali,  ed  incline  a  valorizzare
[...] le competenze degli enti sub-statali», come attesterebbero, tra
l'altro, le indicazioni del considerando n. 9 (nel quale si  pone  in
evidenza  «l'importanza  economica  e   sociale   di   una   corretta
pianificazione territoriale» e la rilevanza di  «opportuni  piani  di
utilizzo del suolo e  politiche  a  livello  nazionale,  regionale  e
locale») e  del  novellato  art.  6,  paragrafo  1,  della  direttiva
2011/92/UE (in forza del quale «[g]li Stati membri adottano le misure
necessarie affinche' le autorita' che possono essere  interessate  al
progetto,  per  la  loro  specifica  responsabilita'  in  materia  di
ambiente o in  virtu'  delle  loro  competenze  locali  o  regionali,
abbiano  la  possibilita'  di  esprimere   il   loro   parere   sulle
informazioni   fornite   dal   committente   e   sulla   domanda   di
autorizzazione»). 
    L'impugnato "declassamento" risulterebbe, altresi', incompatibile
con il riparto costituzionale delle  competenze  delineato  dall'art.
117  Cost.  Alla  luce  di  quanto  affermato  dalla   giurisprudenza
costituzionale, benche' la disciplina della VIA sia  in  larga  parte
riconducibile alla competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  in
materia di tutela dell'ambiente, cio' non sarebbe  incompatibile  con
interventi specifici del legislatore  regionale  che  attengano  alle
proprie competenze, specie in materia di governo del territorio e  di
tutela della salute. La competenza statale in questione, se  pure  di
natura "trasversale", rimarrebbe soggetta, comunque  sia,  ai  limiti
della ragionevolezza e della proporzionalita', non valendo di per se'
ad escludere ogni margine di competenza delle Regioni, alle quali  e'
consentito,  ad  esempio,  incrementare  gli   standard   di   tutela
dell'ambiente prefigurati dalla legge statale. 
    La conclusione varrebbe a fortiori per la  ricorrente,  in  forza
delle ulteriori competenze  attribuite  dallo  statuto  speciale.  La
consapevolezza  dell'esistenza  di  incomprimibili  competenze  delle
Regioni  speciali  emergerebbe,  peraltro,  anche  dal  parere  della
commissione ambiente  del  Senato  della  Repubblica,  nel  quale  si
raccomandava di adottare gli emendamenti al riguardo suggeriti  dalla
Conferenza Stato-Regioni (parere espresso il  16  maggio  2017  dalla
XIII Commissione permanente del Senato della Repubblica), nonche' dal
parere della Commissione affari costituzionali, della Presidenza  del
Consiglio dei ministri e Interni, nel quale si auspicavano  modifiche
proprio per salvaguardare  le  condizioni  delle  autonomie  speciali
(parere espresso il 10 maggio 2017  dalla  I  Commissione  permanente
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri  e
Interni della Camera dei deputati). 
    1.2.- Vengono altresi' censurati l'art. 16, comma 2, e l'art.  24
del  d.lgs.  n.  104  del  2017.  L'art.   16   stabilisce   che   il
«provvedimento  unico  regionale»  sostituisce  ogni   tipologia   di
autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla
osta   comunque   denominati,   necessari   alla   realizzazione    e
all'esercizio del progetto sottoposto  a  VIA  regionale.  Tali  atti
vengono acquisiti - ai sensi dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017,
che sostituisce l'art. 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di  accesso  ai  documenti  amministrativi)  -  nell'ambito  di   una
conferenza di servizi, convocata in  «modalita'  sincrona»  ai  sensi
dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990. 
    La  nuova  normativa  statale  disciplinerebbe  «in  ogni  minuto
dettaglio» il procedimento  per  il  rilascio  della  VIA  regionale,
privando il legislatore regionale di ogni spazio di autonomia. 
    1.2.1.- La ricorrente lamenta  la  lesione  dell'art.  76  Cost.,
poiche',  secondo  quanto  gia'  posto  in  evidenza,  dal  combinato
disposto dei principi e criteri direttivi desunti dagli artt. 1 e  14
della legge n. 114 del 2015 emergerebbe l'intenzione delle Camere  di
conferire al Governo una delega «minimale», con «meri»  obiettivi  di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA (art. 14, comma 1, lettera a), mentre il Governo avrebbe fatto
«tabula  rasa»  delle  previgenti  discipline  regionali  e   avrebbe
uniformato tutte le procedure «in maniera pervasiva e vincolante». 
    1.2.2.-  Gli  articoli  impugnati  sarebbero  illegittimi   anche
rispetto all'art. 2, primo comma, lettere a),  d),  f),  m),  nonche'
agli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste,  in
combinato disposto con l'art. 117, primo e  terzo  comma,  Cost.,  in
riferimento alla «clausola di maggior favore»,  di  cui  all'art.  10
della legge cost. n. 3 del 2001. 
    La titolarita' in capo alla Regione autonoma di una pluralita' di
potesta'  legislative  piene  e  integrative-attuative   in   materie
strettamente connesse alla VIA, nonche' delle corrispondenti funzioni
amministrative,  impedirebbe  allo  Stato   di   dettare   «in   modo
unilaterale e vincolante» il procedimento per la VIA, in lesione  del
principio di leale collaborazione; la pretesa del legislatore statale
di disciplinare dal centro e in modo uniforme la VIA regionale, senza
considerare   le   specificita'   locali,    apparirebbe,    inoltre,
«manifestamente  irragionevole»  e  contraria  ai  principi  di  buon
andamento (art. 97 Cost.), sussidiarieta'  e  differenziazione  (art.
118 Cost.). 
    Anche a voler ritenere che lo Stato abbia avocato a se',  tramite
«chiamata  in  sussidiarieta'»,  la  disciplina   del   procedimento,
«l'integrale  regolazione  apprestata  dal   legislatore   nazionale»
violerebbe  i  principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  (e'
richiamata la sentenza n. 303 del 2003). 
    1.3.- La ricorrente impugna, altresi', l'art. 22, commi 1, 2, 3 e
4 del d.lgs. n. 104 del 2017 per  violazione  degli  artt.  2,  primo
comma, lettere a), d), f) e m),  3  e  4  dello  statuto  reg.  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, nonche' degli artt. 3, 5, 76,  117,  primo  e
terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione  all'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001. 
    La ricorrente rileva come la  norma  impugnata  abbia  ampiamente
novellato gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152  del  2006,  i
quali contengono  gli  elenchi  dei  procedimenti  sottoposti  a  VIA
statale (Allegato II), a verifica di assoggettabilita' a VIA  statale
(Allegato II-bis), a VIA regionale (Allegato III)  e  a  verifica  di
assoggettabilita' a VIA regionale (Allegato IV). 
    Rispetto al testo previgente, risultano drasticamente  ridotti  i
procedimenti di competenza regionale, con  corrispondente  incremento
di quelli di competenza statale. 
    Anche tale intervento esulerebbe dal circoscritto perimetro della
delega di armonizzazione e semplificazione conferita dalle Camere con
gli artt. 1 e  14  della  legge  n.  114  del  2015,  salvo  a  voler
considerare  quest'ultima  costituzionalmente  illegittima   per   la
previsione di insufficienti strumenti di leale collaborazione. 
    L'«impoverimento» degli elenchi regionali lederebbe, altresi', le
competenze legislative  piene  e  integrative-attuative  riconosciute
alla ricorrente dai citati artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e
m), e 3 dello statuto  reg.  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  nonche'
delle parallele competenze amministrative ad  essa  riconosciute  dal
successivo art. 4.  Risulterebbero  violate,  inoltre,  le  ulteriori
competenze di cui la Regione gode ai sensi dell'art.  117  Cost.,  in
virtu' della "clausola di maggior favore" di cui  all'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001, a  cominciare  da  quelle  in  materia  di
tutela della salute e governo del territorio. 
    La riscrittura degli Allegati suindicati sarebbe  stata  operata,
ancora - in violazione degli artt. 5 e 120 Cost. -  al  di  fuori  di
meccanismi di leale collaborazione: l'acquisizione  del  mero  parere
della Conferenza Stato-Regioni, peraltro in  larga  parte  disatteso,
costituirebbe, infatti,  uno  strumento  del  tutto  insufficiente  a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali. 
    La nuova sistematica degli elenchi non risponderebbe,  per  altro
verso, ad alcun canone di razionalita', ma soltanto a «un'ispirazione
tutoria e centralistica fine a se' stessa». Nella distribuzione delle
competenze fra Stato e Regioni,  infatti,  sarebbero  stati  adottati
criteri del tutto scollegati dal dato territoriale - ad  esempio,  la
potenza termica o la dimensione dello  specchio  acqueo  -  privi  di
valore   sintomatico   riguardo   alla   dimensione    regionale    o
sovraregionale dell'intervento, assegnando  alla  competenza  statale
anche progetti che pacificamente interessano una sola Regione. 
    Risulterebbero in tal modo violati, oltre all'art. 3 Cost., anche
gli artt. 97 e 118 Cost., essendo  stati  completamente  disattesi  i
principi di buon andamento e sussidiarieta'. 
    1.4.- Sarebbe illegittimo anche l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n.
104 del 2017, per asserita violazione degli  artt.  2,  primo  comma,
lettere  a),  d),  f)  e  m),  3  e  4  dello  statuto   reg.   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, dell'art. 8 del d.P.R. 19 novembre  1987,  n.
526 (Estensione alla regione Trentino  Alto-Adige  ed  alle  province
autonome di Trento e  Bolzano  delle  disposizioni  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.  616),  nonche'  degli
artt. 3, 5, 76, 117, primo, terzo e quinto comma, 118  e  120  Cost.,
anche in relazione art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    La norma censurata stabilisce che «[l]e  Regioni  e  le  Province
autonome di  Trento  e  di  Bolzano  adeguano  i  propri  ordinamenti
esercitando le potesta' normative di cui all'articolo 7-bis, comma 8,
del d.lgs. n. 152 del  2006,  come  introdotto  dall'articolo  5  del
presente decreto, entro il termine perentorio  di  centoventi  giorni
dall'entrata in vigore dello stesso decreto. Decorso  inutilmente  il
suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o  provinciali
vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi  di  cui
all'articolo 117, quinto comma, Cost., secondo quanto previsto  dagli
articoli 41 e 43 della legge n. 234 del 2012». 
    La disposizione si porrebbe in contrasto con i parametri evocati,
stante l'assoluta genericita' e vaghezza del presupposto al quale  e'
connessa l'attivazione del potere sostitutivo  dello  Stato:  vale  a
dire, il difetto di "idoneita' allo scopo" delle  norme  regionali  e
provinciali adottate in forza del nuovo  art.  7-bis,  comma  8,  del
d.lgs. n. 152 del 2006. In mancanza  di  qualsiasi  criterio  atto  a
delimitare la discrezionalita' dello  Stato,  il  potere  sostitutivo
potrebbe essere esercitato sulla base  di  valutazioni  squisitamente
politiche, che troverebbero un unico contrappeso - «tenue e anch'esso
tutto politico» - nella  sottoposizione  dell'atto  sostitutivo  alla
Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 41 della  legge  n.  234
del 2012: con la conseguenza che il legislatore statale sarebbe posto
«nella condizione di rimodulare a piacere  i  confini  costituzionali
delle competenze». 
    Sfuggente e indefinito risulterebbe, peraltro, lo stesso  «scopo»
cui  le  norme  regionali  devono  tendere,  individuato  tramite  il
richiamo alle potesta' normative  previste  dal  citato  art.  7-bis,
comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti  l'organizzazione  e
le modalita' di esercizio delle  funzioni  amministrative  attribuite
alle Regioni e alle Province autonome  in  materia  di  VIA,  nonche'
l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli
altri enti territoriali sub-regionali. 
    Le  funzioni  cosi'  delineate  sarebbero,  peraltro,   tutte   a
esercizio eventuale  e  facoltativo,  sicche'  rispetto  a  esse  non
potrebbe configurarsi alcun potere sostitutivo dello Stato, il quale,
secondo la pacifica giurisprudenza  costituzionale,  e'  esercitabile
solo in relazione  ad  atti  e  attivita'  vincolati  nell'an.  Nella
specie, solo la competenza normativa  relativa  all'organizzazione  e
alle modalita' di esercizio delle  funzioni  amministrative  potrebbe
ritenersi ad esercizio obbligatorio: senonche', da un  lato,  non  si
comprenderebbe quale sia rispetto a essa lo scopo, posto che la nuova
disciplina statale gia' determina  in  modo  esaustivo  ogni  aspetto
delle funzioni in questione, soprattutto con il nuovo art. 27-bis del
d.lgs.  n.  152  del  2006;  dall'altro,  risulterebbe  ancora   piu'
difficile valutare l'idoneita' allo scopo di norme regionali di cosi'
scarso rilievo, una volta che il successo della riforma dipende tutto
dall'efficacia della «pervasiva disciplina dello Stato». 
    Tali criticita' risulterebbero acuite dall'autonomia speciale  di
cui gode la ricorrente, che dovrebbe garantirle  un  presidio  ancora
maggiore rispetto a interventi unilaterali dello Stato: non  a  caso,
in sede di Conferenza Stato-Regioni erano stati  proposti  correttivi
finalizzati  a  garantire  una  maggiore  compatibilita'  tra  potere
sostitutivo e competenze delle Regioni speciali (punto 53 del  citato
parere). 
    2.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso. 
    2.1.- Con riguardo alle questioni  che  investono  l'art.  5  del
d.lgs. n. 104 del 2017 e, in via subordinata, gli artt. 1 e 14  della
legge n. 114 del 2015, il resistente  eccepisce  in  via  preliminare
l'inammissibilita' del ricorso, in ragione del fatto che non  e'  mai
stata promossa dalla Regione  ricorrente  questione  di  legittimita'
costituzionale della legge delega. 
    Al riguardo, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ricorda  come,
secondo la giurisprudenza costituzionale,  la  legge  di  delegazione
legislativa possa essere autonomamente impugnata  allorche'  contenga
un  principio  di  disciplina  sostanziale  della   materia   o   una
regolamentazione  parziale  della  stessa,  ovvero  stabilisca  norme
attributive di competenze che incidano in modo  diretto  e  immediato
sulle attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni e delle
Province autonome. 
    Ne deriva che ogni qualvolta i contenuti della legge  di  delega,
per il loro grado di  determinatezza  e  inequivocita',  possano  dar
luogo a effettive lesioni delle competenze regionali  o  provinciali,
tale legge deve  essere  impugnata  tempestivamente  nel  termine  di
sessanta giorni stabilito dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale). Qualora, infatti, si riconoscesse la possibilita' di
impugnare il decreto legislativo senza aver preventivamente impugnato
la legge delega che risulti immediatamente lesiva  si  consentirebbe,
da un lato, l'elusione del  predetto  termine  stabilito  a  pena  di
decadenza; dall'altro, la sopravvivenza, «ancorche' formale», di  una
normativa (quella della legge  delega)  i  cui  effetti  immediati  e
diretti (stabiliti dal decreto legislativo)  siano  stati  dichiarati
costituzionalmente illegittimi. 
    Di qui anche l'inammissibilita'  della  richiesta  della  Regione
ricorrente di autorimessione, da parte  della  Corte  costituzionale,
della questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  14
della legge n. 114 del 2015, nella parte in  cui  prevedono  il  mero
parere e non l'intesa:  richiesta  che  assumerebbe,  per  l'appunto,
carattere elusivo del termine per l'impugnazione della legge delega. 
    2.1.1.- Nel merito, le censure della  ricorrente  risulterebbero,
in ogni caso, infondate. 
    Quanto  alla  pretesa  esorbitanza  dell'intervento  dai   limiti
tracciati dalla legge di delegazione, risulterebbe evidente come, nel
caso in esame, l'oggetto, i principi e criteri direttivi della delega
debbano essere desunti non soltanto dalla legge n. 114 del  2015,  ma
anche dalla direttiva 2014/52/UE che il Governo e' stato chiamato  ad
attuare. Tale direttiva reca una disciplina puntuale delle  fasi  del
procedimento di VIA (art. 1, paragrafo 1, numero 1, lettera  a),  che
vincola rigorosamente gli Stati membri e, dunque, il Governo italiano
nella sua qualita' di legislatore delegato,  riducendo  fortemente  i
margini  di  discrezionalita'  di  quest'ultimo   e,   pertanto,   la
possibilita' di differenziare su base  regionale  tale  procedimento.
Non vi sarebbe, quindi, alcuna ragione per  intendere  la  delega  al
riassetto  in  senso  minimale  e  formale,  dovendosi  ritenere,  al
contrario, che essa giustifichi anche  interventi  sostanziali  quale
quello che il ricorso regionale contesta. 
    La  norma  censurata  rende,  infatti,  omogenea  su   tutto   il
territorio  nazionale  l'applicazione  delle  nuove  regole   per   i
procedimenti di VIA e di assoggettabilita' a VIA proprio al  fine  di
recepire fedelmente la nuova direttiva, che  impone  di  superare  la
pregressa  situazione  di  frammentazione  e  contraddittorieta'  del
quadro regolamentare, dovuta alle diversificate discipline regionali,
e di assicurare l'efficace applicazione per tutti gli operatori delle
semplificazioni introdotte. La previgente disciplina  attribuiva,  in
effetti, alle Regioni e alle Province autonome la  potesta'  generale
di disciplinare il procedimento di VIA (art. 7, comma 7, lettera  e),
del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo anteriore):  potesta'  che  non
avrebbe piu' ragione di essere mantenuta, una volta che la  direttiva
2014/52/UE prevede  regole  dettagliate  insuscettibili  di  varianti
negli  ordinamenti  nazionali,  pena  il  rischio  di  procedure   di
infrazione. Peraltro, la disposizione impugnata,  oltre  a  prevedere
che  le  Regioni  e  le  Province   autonome   possano   disciplinare
l'organizzazione  e  le  modalita'  di   esercizio   delle   funzioni
amministrative loro attribuite in materia di VIA, in conformita' alla
normativa europea e nel  rispetto  di  quanto  previsto  dalla  nuova
disciplina, fa salvo il potere  di  tali  enti  di  stabilire  regole
particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti,  per
la  consultazione  del  pubblico  e  di  tutti  i  soggetti  pubblici
potenzialmente  interessati,  nonche'  per   il   coordinamento   dei
provvedimenti  e  delle  autorizzazioni  di  competenza  regionale  e
locale. 
    In tale quadro, sarebbe stato  razionalizzato  anche  il  riparto
delle competenze amministrative tra Stato e Regioni,  prevedendo  che
siano  sottoposti  alla  procedura  di  VIA  e   alla   verifica   di
assoggettabilita' a VIA in  sede  statale  i  progetti  di  cui  agli
Allegati II e II-bis, Parte II, del d.lgs. n. 152 del  2006,  e  alla
procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA  in  sede
regionale i progetti di cui agli Allegati III e IV. 
    2.1.2.-  Con  riguardo,  poi,   alla   censura   di   illegittima
compressione  delle   potesta'   legislative   e   delle   competenze
amministrative regionali connesse  alla  VIA,  il  resistente  rileva
come,  anche  alla  luce  della  definizione  offerta  dall'art.   1,
paragrafo 1, numero 1), lettera a), della  direttiva  2014/52/UE,  la
VIA  consista  in  un  procedimento   mediante   il   quale   vengono
preventivamente individuati gli effetti  significativi  sull'ambiente
di determinate attivita' antropiche (progetti, opere,  infrastrutture
e impianti produttivi). Al riguardo, l'art. 4, comma 4,  lettera  b),
del d.lgs. n. 152 del 2006  elenca  dettagliatamente  i  fattori  sui
quali   possono   ricadere   gli   impatti    ambientali    negativi,
individuandoli segnatamente nella popolazione e salute  umana;  nella
biodiversita', con particolare attenzione alle specie e agli  habitat
protetti; nel territorio,  suolo,  acqua,  aria  e  clima;  nei  beni
materiali, patrimonio culturale  e  paesaggio;  nell'interazione  tra
tali fattori. 
    Sarebbe,  quindi,  evidente  come  la  disciplina  della  VIA  si
collochi nell'ambito della materia, di competenza esclusiva  statale,
«tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s),  Cost.  Si  tratta  di  materia  che,  per
costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si  connota  come
«trasversale» e  «prevalente»,  in  maniera  tale  che  la  normativa
statale ad essa relativa si impone integralmente nei confronti  delle
Regioni: conclusione che si imporrebbe anche in rapporto alle Regioni
ad autonomia speciale. 
    I   ripetuti   riferimenti   della   Regione   ricorrente    alla
giurisprudenza costituzionale  in  tema  di  "intreccio"  di  materie
sarebbero, pertanto, non  pertinenti.  Nel  caso  della  VIA  non  vi
sarebbe, infatti, alcun "intreccio" di materie. Come gia'  ampiamente
riconosciuto   dalla   Corte   costituzionale,   l'esercizio    della
valutazione ambientale puo'  certamente  incidere  sull'esercizio  di
funzioni  regionali,  ma  cio'  non  escluderebbe  che  la   relativa
regolamentazione vada  ascritta  in  via  esclusiva  alla  competenza
statale  in  materia  ambientale,  salva  l'esigenza  -  quando  tale
incidenza sia particolarmente significativa  -  che  la  legislazione
statale preveda passaggi collaborativi con la Regione interessata (e'
citata, in specie,  la  sentenza  n.  232  del  2009).  Cio'  sarebbe
puntualmente avvenuto con il d.lgs. n. 104 del 2017, il cui art.  12,
novellando l'art. 23 del d.lgs. n.  152  del  2006,  ha  previsto  il
necessario coinvolgimento, non soltanto della Regione, ma di tutte le
amministrazioni anche solo potenzialmente interessate. 
    Con riguardo alla  VIA  di  competenza  statale,  d'altro  canto,
l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevede, nei procedimenti  per  i
quali sia riconosciuto un concorrente  interesse  regionale,  che  un
esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate
partecipi all'attivita'  istruttoria  della  Commissione  tecnica  di
verifica dell'impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale
strategica (VAS). 
    Non conferente risulterebbe, quindi, il  richiamo  della  Regione
ricorrente alla sentenza n. 251 del 2016, la quale ha ritenuto che la
decretazione  legislativa  statale  debba  essere  in   taluni   casi
assistita da passaggi collaborativi "forti" con il sistema regionale:
ma cio' esclusivamente qualora la medesima si muova nell'ambito di un
"intreccio inestricabile" di competenze, e non gia' quando si sia  di
fronte ad un fenomeno di semplice «incidenza» delle norme statali  in
materia di competenza esclusiva su funzioni regionali;  fenomeno  che
caratterizza naturalmente le materie "trasversali", quali  la  tutela
dell'ambiente  o  la  fissazione   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). 
    Le  norme  del  d.lgs.  n.  104  del  2017  volte   a   garantire
l'omogeneita' procedimentale delle valutazioni di impatto  ambientale
su  tutto  il  territorio  nazionale  risulterebbero,   in   effetti,
ascrivibili proprio a quest'ultima materia, avendo la  giurisprudenza
costituzionale  chiarito  che  norme   procedimentali   a   carattere
semplificatorio  possono   costituire   «livelli   essenziali   delle
prestazioni» ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., in grado di vincolare i legislatori regionali. 
    2.1.3.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  eccepisce,  in
ogni  caso,  l'inammissibilita',  per  genericita'   e   carenza   di
motivazione, della censura relativa alla  presunta  violazione  delle
norme dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, congiuntamente
a quella dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Per un verso, infatti, la Regione non avrebbe indicato le ragioni
per le quali la disciplina della VIA dettata dallo Stato  inciderebbe
sulle richiamate competenze  statutarie;  per  altro  verso,  avrebbe
invocato  simultaneamente   la   disciplina   statutaria   e   quella
costituzionale, senza  motivare  circa  l'applicabilita'  dell'una  o
dell'altra  al  caso  di  specie,  alla  stregua  della  clausola  di
adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3  del
2001. Ai fini dell'ammissibilita' della censura, la  Regione  avrebbe
dovuto, in particolare, individuare - fornendone adeguata motivazione
- per quali materie la Costituzione pone un regime  competenziale  di
maggior favore per  la  Regione  speciale  rispetto  alla  disciplina
statutaria, e per  quali  materie  accade  l'opposto,  invocando,  di
conseguenza, il parametro adeguato per ciascuna materia. 
    2.1.4.- Con riferimento, infine, al mancato recepimento da  parte
del Governo delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e  dalle
Province  autonome  in  sede  di  Conferenza  Stato-Regioni,  per  il
resistente,  l'istituto   del   mero   parere,   oltretutto   neppure
obbligatorio, non impedisce al procedente  di  determinarsi  in  modo
differente dalle risultanze dell'attivita' consultiva. 
    Tutte  le  proposte  delle  Regioni  sarebbero  state,  peraltro,
dettagliatamente analizzate nella relazione illustrativa dello schema
di decreto legislativo, con l'indicazione, per  quelle  non  accolte,
delle ragioni del mancato accoglimento. 
    2.2.- Sulla presunta violazione  dell'art.  76  Cost.,  da  parte
dell'art. 16, comma 2 e dell'art. 24 del  d.lgs.  n.  104  del  2017,
l'infondatezza della censura sarebbe palese ove si consideri  che  la
delega era volta  all'attuazione  della  direttiva  2014/52/UE.  Essa
avrebbe richiesto agli Stati membri di  individuare  il  grado  e  le
modalita'  dell'integrazione  del  procedimento  di  VIA   in   altri
procedimenti a carattere  autorizzatorio,  prevedendo  che  in  detto
provvedimento  autorizzatorio  fosse  necessariamente  contenuta   la
decisione motivata di valutazione di impatto ambientale. Alla luce di
cio', sarebbe intervenuta la modifica del contestato art. 27-bis  del
d.lgs. n. 152 del 2006; i principi e criteri  direttivi  della  legge
delega, volti ad  attuare  la  direttiva  europea,  avrebbero  dovuto
integrarsi con le previsioni di questa, da cui si  dovrebbe  evincere
l'esistenza di «norme ben  precise  che  orientavano  il  legislatore
delegato e ne vincolavano l'operato». 
    L'Avvocatura nota  che  l'integrazione  procedimentale  richiesta
dalla  direttiva  2014/52/UE  si  sarebbe  potuta  raggiungere   solo
attraverso un procedimento unico o  comunque  tramite  l'integrazione
con gli altri procedimenti di settore. 
    Dall'art.  2,  paragrafo  2,  della  richiamata   direttiva,   si
dedurrebbe che «gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per
dare attuazione alla direttiva relativamente  all'integrazione  delle
valutazioni  dell'impatto  ambientale  nelle  procedure   nazionali».
Considerando che gli elementi di  tali  procedure  nazionali  possono
variare, appare conseguente la previsione di cui all'art.  16,  comma
2, del d.lgs. n. 104 del  2017,  che  ha  introdotto  una  disciplina
specifica per  le  procedure  di  VIA  incardinate  nel  procedimento
autorizzatorio unico regionale, confermando la  scelta  gia'  operata
con il decreto legislativo 30 giugno  2016,  n.  127  (Norme  per  il
riordino della disciplina in materia  di  conferenza  di  servizi  in
attuazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), di riforma
della legge n. 241 del 1990. 
    2.3.- L'impugnato art. 24, inoltre, razionalizzerebbe un istituto
gia' esistente e  non  innoverebbe  la  disciplina  previgente,  come
modificata dall'art. l, comma 4, del citato d.lgs. n. 127  del  2016.
Esso, infine, rappresenterebbe una disposizione di coordinamento  con
il d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di adeguare il procedimento  unico
regionale alla norma europea. 
    2.4.-  Egualmente  infondate  risulterebbero  le  questioni   che
investono le modifiche degli allegati disposte dall'art. 22, commi  1
e 4, del d.lgs. n. 104  del  2017  e  la  correlata  riduzione  degli
elenchi dei procedimenti di competenza regionale. 
    2.4.1.- Quanto, infatti,  al  ventilato  eccesso  di  delega,  la
revisione del quadro allocativo delle competenze a livello statale  o
regionale  dovrebbe  ritenersi,  in  realta',  pienamente  ricompresa
nell'ambito  dei  principi  e  criteri  direttivi  specifici  di  cui
all'art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114  del  2015,
che demandavano al Governo il compito di armonizzare e razionalizzare
le procedure di VIA, nonche' di rafforzarne la qualita', allineandole
ai principi della coerenza e delle sinergie  con  altre  normative  e
politiche  europee  e   nazionali   (quali   quelle   energetiche   e
infrastrutturali). 
    Ma,  soprattutto,  la  nuova  ripartizione  delle  competenze  in
materia di VIA risponderebbe pienamente al piu' generale principio  e
criterio direttivo - richiamato dalla  stessa  ricorrente  -  di  cui
all'art. 32, comma 1, lettera  g),  della  legge  n.  234  del  2012,
relativo  all'ipotesi  in  cui  si  verifichino  «sovrapposizioni  di
competenze  tra  amministrazioni  diverse»:  principio   e   criterio
direttivo che, lungi dal "cristallizzare" il quadro previgente  delle
competenze, avrebbe imposto al legislatore delegato di verificare  il
puntuale rispetto, da parte del precedente assetto, dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione,
alla  luce  dell'esperienza  maturata,  procedendo,   nel   caso   di
riscontrata non conformita', ai necessari adeguamenti. 
    Con la modifica degli Allegati da II a IV, Parte II,  del  d.lgs.
n.  152  del  2006,  il  Governo  avrebbe  inteso,   per   l'appunto,
razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e
Regioni, attraendo al livello statale le  procedure  per  i  progetti
relativi alle infrastrutture e agli impianti energetici, tenuto conto
delle esigenze di uniformita', efficienza e  del  dirimente  criterio
della dimensione sovraregionale degli impianti da valutare (che rende
ontologicamente inadeguato  il  livello  di  valutazione  regionale),
fatte salve puntuali e limitate eccezioni. Cio', con la  precisazione
che la valutazione di adeguatezza, o non, del livello  regionale  non
potrebbe che essere effettuata ex ante e per «classi di casi»,  senza
che rilevi l'eventualita' che, in concreto, un singolo progetto resti
privo di impatti extraregionali. 
    Se pure e' vero, d'altro  canto,  che  il  criterio  dimensionale
degli impianti da valutare non trova un  ancoraggio  nella  direttiva
europea da attuare, esso troverebbe, pero', fondamento nell'art. 118,
primo comma, Cost., ai fini della corretta allocazione delle funzioni
amministrative  ai  diversi  livelli  territoriali  di  governo.   Al
riguardo, occorrerebbe considerare che, prima dell'entrata in  vigore
del d.lgs. n. 104 del 2017, la ripartizione delle competenze relative
alle varie categorie progettuali  di  VIA  risaliva  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 12  aprile  1996  (Atto  di  indirizzo  e
coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge  22
febbraio  1994,  n.  146,  concernente  disposizioni  in  materia  di
valutazione di impatto ambientale): dunque, ad epoca  anteriore  alla
riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che  ha  riscritto
in modo profondamente innovativo il citato art. 118 Cost., ponendo  a
fondamento dell'allocazione di funzioni amministrative i principi  di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione.  Di  conseguenza,  la
precedente  ripartizione  delle  funzioni  non  soltanto  era   molto
risalente  nel  tempo,  ma  rispondeva  a  un  quadro  costituzionale
sensibilmente diverso dall'attuale: sicche' il legislatore  delegato,
anche alla luce dell'esperienza maturata medio tempore, ben poteva  -
e anzi doveva - rivisitare profondamente tale ripartizione alla  luce
dei principi dianzi richiamati. 
    2.4.2.- Quanto, poi,  all'asserita  violazione  delle  competenze
legislative e amministrative regionali, non  potrebbe  che  ribadirsi
come non ricorra, in materia di VIA, un  "intreccio"  di  competenze,
ma, trattandosi di materia di competenza esclusiva  dello  Stato,  si
debba parlare di mera incidenza sull'esercizio di funzioni regionali. 
    2.4.3.-  Tale  considerazione  varrebbe  anche  ad  escludere  la
violazione del principio di  leale  collaborazione,  ventilata  dalla
Regione ricorrente sull'assunto dell'insufficienza  del  mero  parere
della  Conferenza  Stato-Regioni,  previsto  dalla  legge  delega,  a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali. 
    2.4.4.- Per quel che concerne, poi, la dedotta  violazione  degli
artt.  3,  97  e  118  Cost.,  il  criterio  dimensionale,   per   la
determinazione della competenza in  materia  di  VIA,  sarebbe  stato
adottato dal legislatore nazionale quale discrimine per individuare i
progetti che "potenzialmente" assumano una rilevanza sovraregionale. 
    Sebbene, infatti, la procedura di VIA  implichi  una  valutazione
"sito  specifica",  e  nonostante  la  locazione  delle  opere  possa
ricadere  in  un  ambito  territoriale  ristretto  (anche   meramente
comunale),  i  potenziali  impatti  ambientali  travalicano  l'ambito
territoriale direttamente  interessato,  richiedendo  valutazioni  di
area vasta  (sovraregionale)  per  la  natura  stessa  dei  complessi
fenomeni di inquinamento o, comunque, di  impatto  quali-quantitativo
sulle risorse ambientali coinvolte. 
    2.5.- Con  riferimento,  infine,  alle  questioni  che  investono
l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del  2017,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri rileva come l'art. 7-bis, comma 8, del  d.lgs.
n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104  del  2017,
attribuisca alle Regioni e  alle  Province  autonome  il  compito  di
dettare, in via  legislativa  o  regolamentare,  misure  a  carattere
strettamente organizzativo  in  ordine  ai  procedimenti  di  VIA  di
propria  competenza.  Si  tratterebbe  di  adempimento  a   carattere
sicuramente obbligatorio («disciplinano»), giustificato dall'esigenza
di  evitare  che  la  carenza  di  adeguate  soluzioni  organizzative
pregiudichi, a livello regionale, lo svolgimento dei procedimenti  di
VIA nel rispetto delle innovative regole  stabilite  dal  legislatore
delegato e - quel che piu' conta - comprometta  la  piena  attuazione
della direttiva europea nella quale siffatte regole si radicano. 
    Gli ulteriori contenuti, a carattere facoltativo, delle normative
regionali e provinciali, previsti dal citato art. 7-bis, comma 8, non
ne esaurirebbero il perimetro, e  neppure  ne  rappresenterebbero  la
parte principale. In questa  prospettiva  "l'idoneita'  allo  scopo",
della quale la ricorrente denuncia la vaghezza, si colorerebbe di ben
precisi significati, consistenti segnatamente nella sussistenza delle
condizioni organizzative  indispensabili  per  garantire  l'integrale
attuazione della direttiva europea. 
    Il censurato potere  sostitutivo  statale  troverebbe,  pertanto,
sicuro fondamento nell'art. 117, quinto comma, Cost.,  in  forza  del
quale le Regioni e  le  Province  autonome,  nelle  materie  di  loro
competenza, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli  accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea, «nel rispetto  delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina  le
modalita'  di  esercizio  del   potere   sostitutivo   in   caso   di
inadempienza». Tale  disposizione  sarebbe  direttamente  applicabile
anche alle autonomie speciali, senza la mediazione della clausola  di
cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    La rigorosa delimitazione dei presupposti di esercizio del potere
sostitutivo sarebbe confermata dalla previsione della norma censurata
in base alla quale, per l'attivazione della sostituzione statale, non
e' sufficiente il mancato rispetto del termine di centoventi  giorni,
ma e' necessario accertare,  altresi',  l'assenza  all'interno  degli
ordinamenti  regionali  di  disposizioni  idonee,  comunque  sia,   a
raggiungere gli scopi sopra indicati. 
    3.-  La  Regione  autonoma  Valle   d'Aosta/Vallee   d'Aoste   ha
depositato una memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso. 
    3.1.- In replica alle difese svolte dal Presidente del  Consiglio
dei ministri, la ricorrente reitera l'argomentazione secondo la quale
la drastica ridistribuzione di competenze in materia di  VIA  operata
dal d.lgs. n. 104 del 2017  avrebbe  inciso  su  numerosi  ambiti  di
competenza della Regione, sia in forza del suo statuto di  autonomia,
sia in forza dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in relazione
all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    3.2.- Insiste la ricorrente che l'inestricabile  intreccio  delle
competenze determinato dalla disciplina impugnata, legittimerebbe  la
Regione a dedurne l'incostituzionalita' per eccesso  di  delega,  dal
momento che il riassetto delle competenze  operato  dal  Governo  non
troverebbe alcuna base di legittimazione ne'  nei  criteri  direttivi
enunciati dalla legge di delegazione, ne' - contrariamente  a  quanto
asserito dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  nella  direttiva
europea che il Governo era chiamato ad attuare. 
    3.3.- L'illegittimita' costituzionale della disciplina  impugnata
discenderebbe, peraltro, anche  dalla  violazione  del  principio  di
leale collaborazione, posto che il riassetto di competenze  e'  stato
operato all'infuori di  qualsiasi  meccanismo  partecipativo  "forte"
delle Regioni. 
    3.4.-   Egualmente   infondato   sarebbe   l'ulteriore    assunto
dell'Avvocatura, secondo il quale la disciplina  in  materia  di  VIA
afferirebbe in via prevalente alla materia «tutela dell'ambiente», di
competenza  esclusiva  statale:  circostanza  che  legittimerebbe  la
mancata previsione  di  strumenti  concertativi  ed  escluderebbe  la
configurazione della "chiamata in sussidiarieta'". 
    Per un verso, infatti, la Corte  costituzionale  ha  riconosciuto
l'obbligo del legislatore  statale  di  assicurare  il  rispetto  del
principio di leale collaborazione in senso "forte" anche nel caso  in
cui la disciplina, pur ascrivendosi prevalentemente a una materia  di
competenza legislativa esclusiva statale, coinvolga una pluralita' di
interessi e competenze regionali (sono citate le sentenze n. 230  del
2013 e n. 33 del 2011). 
    Per altro verso, poi, la dedotta incostituzionalita' risulterebbe
avvalorata  in  ragione  dell'autonomia  della  Regione   ricorrente.
Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  la  normativa
riconducibile alla materia trasversale di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. e' applicabile solo laddove non  entrino  in
gioco le competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti
ad autonomia differenziata. La Corte costituzionale ha affermato,  in
particolare, che, a seguito della riforma  del  Titolo  V,  Parte  II
della Costituzione, il legislatore  statale  conserva  il  potere  di
vincolare la potesta' legislativa primaria della  Regione  a  statuto
speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme
economico-sociali»: e cio' anche sulla base del titolo di  competenza
legislativa nella materia «tutela dell'ambiente». Di conseguenza, non
e' invocabile  il  solo  limite  dell'ambiente,  in  se'  e  per  se'
considerato, il quale va congiunto con  il  limite  statutario  delle
riforme  economico-sociali,  sia   pure   riferite   alle   tematiche
ambientali (sono citate le sentenze n. 212 del 2017, n. 51 del 2006 e
n.  536  del  2002).  Limite  non  invocato  e,  comunque  sia,   non
sussistente nel caso in esame. 
    Il d.lgs. n. 152 del 2006 reca, d'altra parte, tuttora,  all'art.
35, comma 2-bis - a chiusura della Parte II, dedicata alle  procedure
per la VAS, la VIA e l'autorizzazione integrata  ambientale  (AIA)  -
una specifica  clausola  di  salvaguardia,  secondo  la  quale  «[l]e
Regioni a statuto speciale e le Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano provvedono alle finalita' del presente decreto ai  sensi  dei
relativi statuti». Senonche', le disposizioni contestate si rivolgono
senza alcuna clausola di salvaguardia -  pur  richiesta  in  sede  di
parere -  e  senza  adeguato  coordinamento  anche  alle  regioni  ad
autonomia  speciale  e  alle  province  autonome,   con   conseguente
violazione di tutti i parametri statutari evocati. 
    4.- Con ricorso notificato il 30 agosto 2017 e  depositato  il  5
settembre 2017, la Regione Lombardia (reg. ric. n. 64  del  2017)  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi  da  1  a  4,  26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    4.1.- L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sostituisce l'art.
6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma dispone che  «[p]er
i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa
nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo  la  risposta
alle emergenze che  riguardano  la  protezione  civile,  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,  di  concerto
con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e  del  turismo,
dopo una valutazione caso  per  caso,  puo'  disporre,  con  decreto,
l'esclusione di tali progetti dal campo di applicazione  delle  norme
di cui al Titolo III, Parte II del presente decreto, qualora  ritenga
che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi». 
    4.1.1.- Secondo la ricorrente, la norma, in precedenza diretta  a
regolare i progetti di difesa nazionale, estende ora la  possibilita'
di deroga, con una valutazione caso per caso, ai progetti aventi come
unico obiettivo la risposta ad emergenze che riguardino la protezione
civile. Verrebbe incisa cosi'  la  materia  «protezione  civile»,  di
competenza concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., dato
che il decreto ministeriale che porterebbe all'esclusione  di  alcuni
progetti  dal  campo  di  applicazione  delle  norme  sulla  VIA  non
prevedrebbe  alcun  coinvolgimento  della  Regione  interessata,   in
violazione degli artt. 5 e 120 Cost., sotto il  profilo  della  leale
collaborazione. 
    4.1.2.- Nella specie  sussisterebbe  un  concorso  di  competenze
statali e regionali (ambiente, salute e protezione civile), senza che
le Regioni siano coinvolte nel  processo  decisionale.  Si  prefigura
altresi' un dubbio  sulla  ragionevolezza  della  compressione  della
leale collaborazione, in violazione dell'art. 3 Cost., «per  mancanza
di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto  alle  finalita'
dichiarate». La norma determinerebbe una disamina  "caso  per  caso",
senza alcun riferimento all'ente territorialmente prossimo  e  quindi
maggiormente idoneo  alla  valutazione;  si  genererebbero,  inoltre,
«inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze». 
    4.2.-  Quanto  alla  seconda  delle  disposizioni  censurate,  la
ricorrente  rileva  come  l'art.  5  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,
introducendo l'art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  riscriva
sostanzialmente  le  competenze  regionali   in   materia   di   VIA,
circoscrivendole a profili organizzativi e a modalita'  di  esercizio
delle funzioni amministrative conferite. 
    4.2.1.- In questo modo, la norma impugnata violerebbe la potesta'
legislativa concorrente della Regione in  materia  di  «tutela  della
salute», prevista dall'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Le norme in materia di VIA, di derivazione comunitaria,  se  pure
certamente  riferibili  alla  materia  della  tutela   dell'ambiente,
sarebbero tuttavia ascrivibili anche ad alcune materie di  competenza
concorrente regionale, e segnatamente, per l'appunto, a quella  della
tutela della  salute.  Lo  stretto  collegamento  fra  la  disciplina
ambientale, in particolare quella dei  rifiuti,  e  la  tutela  della
salute e'  considerato,  del  resto,  pacifico  dalla  giurisprudenza
costituzionale (e' citata, in specie, la sentenza n. 75 del 2017). 
    L'attinenza della disciplina della VIA a tale ambito  di  materia
e'  reso,  d'altronde,  palese   dalle   premesse   della   direttiva
2014/52/UE, che, al considerando n.  41,  afferma  espressamente  che
l'obiettivo da essa perseguito e'  quello  di  garantire  un  elevato
livello di protezione dell'ambiente e della salute umana, grazie alla
definizione dei requisiti  minimi  per  la  valutazione  dell'impatto
ambientale dei progetti. Lo stesso art. 4, comma 4, lettera  b),  del
d.lgs. n. 152 del 2006 conferma che  la  VIA  mira  a  proteggere  la
salute umana. 
    Per altro verso, la Corte costituzionale  ha  posto  in  evidenza
come l'attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva
in  materia  di  tutela  dell'ambiente  non  escluda  interventi  del
legislatore regionale diretti a soddisfare, nell'ambito delle proprie
competenze,  ulteriori  esigenze  rispetto  a  quelle  di   carattere
unitario definite dallo Stato (viene citata la sentenza  n.  407  del
2002). Inoltre, pur  riconoscendo  specificamente  che  le  norme  in
materia di VIA rientrano nel perimetro dell'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., la Corte  ha  anche  riscontrato  la  presenza  di
ambiti materiali di spettanza regionale, soprattutto nel campo  della
tutela della salute (sono citate le sentenze n. 234 del 2009 e n. 398
del 2006). 
    4.2.2.-  Nel  caso  di  specie,  la  violazione  della   potesta'
legislativa regionale sarebbe resa ancora  piu'  evidente  dal  nuovo
testo dell'art. 7  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  come  modificato
dall'art. 4 del d.lgs. n. 104 del 2017,  nel  quale  si  conferma  la
competenza  legislativa  e  amministrativa  delle  Regioni  e   delle
Province autonome in materia di VAS e di AIA. 
    La diversa disciplina a  fronte  di  materie  che  presentano  un
analogo riparto della potesta' legislativa tra Stato e Regioni (VIA e
VAS)  non  potrebbe  essere  giustificata  sulla  base  del  generico
richiamo,   contenuto   nella   legge   delega,   ai   principi    di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA, «anche in relazione al coordinamento e  all'integrazione  con
altre procedure volte al  rilascio  di  pareri  e  autorizzazioni  di
carattere ambientale». 
    In nessun caso, d'altra parte, l'attuazione di tali condivisibili
principi potrebbe legittimare un intervento, quale quello operato dal
decreto legislativo censurato, inteso a ridisegnare ex novo l'assetto
dei rapporti tra Stato e Regioni. Al contrario,  la  semplificazione,
l'armonizzazione e la razionalizzazione non  potrebbe  «che  fondarsi
sul riparto di competenze».  Di  qui,  dunque,  la  violazione  anche
dell'art. 76 Cost. 
    4.2.3.- La diversa disciplina  prevista  per  la  VAS  e  la  VIA
comporterebbe,  altresi',  la  violazione  dell'art.  3  Cost.,  «per
mancanza di proporzionalita' in  ragione  delle  identiche  finalita'
dichiarate», di «proteggere  la  salute  umana,  contribuire  con  un
migliore  ambiente  alla   qualita'   della   vita,   provvedere   al
mantenimento della specie e conservare la capacita'  di  riproduzione
degli ecosistemi» (art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato
dall'art. 1 del d.lgs. n. 104 del 2017). 
    L'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto il profilo  della
irragionevole  compromissione  della  potesta'  normativa   regionale
conseguente, in particolare, alla previsione di cui  all'art.  7-bis,
commi  7  e  8,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006.  La  giurisprudenza
costituzionale ha,  infatti,  riconosciuto  che  le  Regioni  possono
stabilire, in materia ambientale,  livelli  di  tutela  piu'  elevati
rispetto  alla  disciplina  statale:   intervento   che   rimarrebbe,
tuttavia,  precluso  dalla  limitazione  della  potesta'  legislativa
regionale ai soli profili organizzativi. 
    4.3.- L'impugnato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104  del  2017,
che  disciplina  il  provvedimento  autorizzatorio  unico  regionale,
obbligatorio in caso di VIA regionale, prevedrebbe  una  «dettagliata
regolazione» del provvedimento stesso, quale modalita'  «esclusiva  e
obbligatoria di procedimento». 
    4.3.1.- Per la ricorrente la disposizione  sarebbe  illogica  dal
momento che l'art. 16, comma 1, dispone per i progetti soggetti a VIA
statale che il provvedimento  non  sia  unico,  salvo  richiesta  del
proponente, mentre «in caso di VIA regionale vige la  obbligatorieta'
del procedimento unico», gravando l'interessato di  preventivi  oneri
istruttori. 
    Il provvedimento  unico  statale,  inoltre,  considererebbe  solo
alcuni atti abilitativi,  indicati  dal  citato  art.  16,  comma  2,
lettere da a) ad h); la finalita'  di  integrare  le  valutazioni  di
impatto ambientale,  inoltre,  sarebbe  rimessa  agli  Stati  membri,
secondo quanto previsto dal considerando n. 21 della  direttiva  (UE)
n. 2014/52, nonche' dall'art. 2, comma 2, della direttiva 2011/92/UE. 
    4.3.2.- La ricorrente lamenta altresi'  che  la  norma  censurata
riunirebbe nell'autorizzazione unica procedimenti relativi a  materie
diverse rispetto a quella ambientale, in  contrasto  con  i  principi
costituzionali sulla delega legislativa, di cui all'art. 76 Cost. 
    4.3.3.- Ad avviso  della  ricorrente,  con  l'introduzione  della
norma impugnata l'autorita' competente in  materia  di  VIA  «diviene
sportello unico» quale «luogo, fisico o virtuale» cui rivolgersi  per
ottenere  quanto  necessario  all'autorizzazione  dei  progetti.   La
disposizione si porrebbe in contrasto con il d.lgs. n. 127 del  2016,
che poneva in capo all'autorita'  competente  l'onere  procedimentale
dell'apertura della fase istruttoria. La previsione impugnata sarebbe
difforme anche rispetto alla legge delega n. 114 del 2015,  la  quale
richiedeva   un   riordino   attraverso   l'integrazione   dei   soli
procedimenti in materia ambientale (sono richiamate  le  sentenze  n.
293 del 2010 e n. 199 del 2003). Siffatta norma, infine,  inciderebbe
su procedimenti non attinenti all'ambiente (governo  del  territorio,
tutela  della  salute,  ovvero  la   protezione   civile   nel   caso
dell'autorizzazione antisismica). 
    4.3.4.- Fa presente la  ricorrente  che,  secondo  questa  Corte,
soluzioni innovative del  sistema  legislativo  previgente  sarebbero
ammissibili solo in presenza di principi e criteri direttivi  «idonei
a  circoscrivere  la  discrezionalita'  del   legislatore   delegato»
(sentenza n. 293 del 2010). 
    4.3.5.- Esulerebbe, inoltre, dalla delega, «il riassetto generale
dei rapporti tra  Stato  e  Regioni  in  materie  non  di  competenza
esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  Cost.»,  in
quanto la disciplina per operare tale riassetto dovrebbe  coinvolgere
le Regioni, sia nel rapporto tra principi fondamentali e legislazione
di  dettaglio,  nelle  materie  di  competenza  concorrente,  sia,  a
fortiori, nell'esercizio del potere  di  avocazione  da  parte  dello
Stato di funzioni amministrative e legislative sulla  base  dell'art.
118, primo  comma,  Cost.,  nelle  materie  di  competenza  regionale
residuale (richiamata la sentenza n. 80 del 2012). 
    La Regione ricorrente ritiene che l'autorizzazione unica,  «solo»
regionale, non determini una piu' penetrante difesa dell'ambiente, in
quanto la  finalita'  della  norma  non  sarebbe  quella  di  fissare
standard uniformi sul territorio nazionale;  il  provvedimento  unico
regionale delineato dall'impugnato art. 16, comma 2, (in  difformita'
alla  delega  legislativa),  imporrebbe  altresi'  termini  perentori
all'autorita' competente in materia di VIA regionale e determinerebbe
in capo alla stessa delle responsabilita' «significative» al di fuori
delle normative e dei  procedimenti  in  materia  ambientale»,  senza
l'attribuzione di adeguati strumenti operativi, violando  «il  canone
costituzionale del buon andamento» (sono richiamate le sentenze n. 40
e n. 135 del 1998). 
    4.3.6.- Il procedimento delineato, infine, non prevedrebbe  forme
di coordinamento  con  altri  procedimenti,  generando  un'incertezza
applicativa  con  possibile  pregiudizio  della  garanzia   di   buon
andamento dell'amministrazione pubblica, di cui all'art. 97 Cost.; la
ricorrente dubita della ragionevolezza di tale scelta  in  violazione
dell'art. 3 Cost., e  del  principio  di  leale  collaborazione,  per
mancanza di proporzionalita' e di rispondenza  logica  rispetto  alle
finalita' dichiarate. 
    4.4.- La Regione Lombardia impugna, inoltre, l'art. 21 del d.lgs.
n. 104 del 2017, che, sostituendo l'art. 33 del  d.lgs.  n.  152  del
2006, stabilisce  che  «[l]e  tariffe  da  applicare  ai  proponenti,
determinate sulla base del  costo  effettivo  del  servizio,  per  la
copertura  dei  costi  sopportati   dall'autorita'   competente   per
l'organizzazione e lo svolgimento  delle  attivita'  istruttorie,  di
monitoraggio   e   controllo   delle   procedure   di   verifica   di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS sono  definite  con  decreto
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze». 
    La ricorrente lamenta il  mancato  coinvolgimento  delle  Regioni
nella determinazione delle  tariffe,  essendo  questa  basata  su  un
elemento - il «costo effettivo del servizio» - la cui quantificazione
non  puo'  prescindere  da  un  confronto  con  tutte  le   autorita'
competenti in materia di VIA (e dunque anche le  Regioni).  L'assenza
di  tale  confronto  comporterebbe   una   lesione   della   potesta'
organizzativa  delle  Regioni,  considerato  anche   il   fatto   che
l'introduzione,  con  l'art.  16  del  d.lgs.  n.   104   del   2017,
dell'autorizzazione unica  regionale  implica  che  il  provvedimento
finale  sia  connesso  a  competenze   che   esulano   dalla   tutela
dell'ambiente e ricadono nelle materie di competenza regionale. 
    L'irragionevolezza della scelta legislativa risulterebbe esaltata
dalla previsione dell'art. 33, comma 2, del d.lgs. n.  152  del  2006
(non modificato), secondo la quale «[p]er  le  finalita'  di  cui  al
comma 1, le Regioni e le Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
possono   definire   proprie   modalita'   di    quantificazione    e
corresponsione degli oneri  da  porre  in  capo  ai  proponenti».  In
sostanza, dunque, il legislatore, da un  lato,  avrebbe  riconosciuto
alle  Regioni  la  potesta'  di  attuare  una   propria   definizione
tariffaria; dall'altro, avrebbe obliterato del  tutto  l'esigenza  di
consultarle. 
    La disposizione censurata risulterebbe, quindi, incompatibile con
il principio di leale collaborazione, in violazione degli artt.  5  e
120 Cost., e comprimerebbe il potere della Regione di individuare  le
migliori  condizioni  di  esercizio   delle   funzioni   di   propria
competenza, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione  e
adeguatezza (riaffermati anche dall'art. 3-quinquies  del  d.lgs.  n.
152 del 2006), in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e
118 Cost. 
    4.5.- La ricorrente rileva, ancora, che gli artt. 22, commi da  1
a 4, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.  104  del  2017,
modificano gli Allegati alla Parte II del d.lgs.  n.  152  del  2006,
sottraendo  alle  Regioni  un  considerevole  numero   di   tipologie
progettuali soggette a VIA o a verifica di assoggettabilita'  a  VIA,
riguardanti materie di  potesta'  legislativa  anche  regionale,  per
attribuirle alla competenza amministrativa dello  Stato.  L'art.  26,
comma 1, lettera a), dispone poi le conseguenti abrogazioni. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  chiarito  che,  in  materia
ambientale, il  legislatore  statale  puo'  emanare  anche  norme  di
dettaglio, purche' finalizzate alla tutela dell'ambiente:  condizione
non  riscontrabile  nella  specie.  Le  disposizioni  censurate   non
ampliano, infatti, i casi di sottoposizione a valutazione o  verifica
ambientale  e,  dunque,  non  pongono  ulteriori  garanzie  a  difesa
dell'ambiente, ma si limitano a disporre  uno  spostamento  verso  il
centro delle competenze, senza che cio' sia richiesto dalla direttiva
europea e dalla  legge  delega,  la  quale  si  limita  a  richiamare
l'esigenza di regolare aspetti procedurali in  materia  di  VIA,  con
conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 76 Cost. 
    Le norme censurate  violerebbero,  altresi',  l'art.  118  Cost.,
ridimensionando le competenze amministrative regionali e quelle a suo
tempo conferite, per categorie di progetti, dalla stessa Regione agli
enti  locali:  e  cio'  a  prescindere  da  valutazioni   in   ordine
all'adeguatezza, o non, del  livello  costituzionale  coinvolto,  con
ulteriore violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e
120 Cost.), per mancata previa intesa  tra  lo  Stato  e  le  Regioni
interessate. 
    Ne', d'altra parte,  potrebbe  ravvisarsi  la  necessita'  di  un
esercizio unitario delle funzioni, poiche' i progetti indicati  dalla
norma sono attribuiti allo Stato a prescindere  dal  fatto  che  essi
ricadano nel territorio di piu' Regioni. 
    4.6.- La Regione Lombardia impugna,  da  ultimo,  l'art.  27  del
d.lgs. n. 104 del 2017, il quale  reca  una  clausola  di  invarianza
finanziaria, stabilendo,  al  comma  1,  che  «[d]all'attuazione  del
presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a  carico
della finanza pubblica», e, al comma 2, che «[f]ermo il  disposto  di
cui all'articolo 21, le attivita' di cui  al  presente  decreto  sono
svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili  a
legislazione vigente». 
    In sostanza, quindi, si  sarebbero  imposti  alle  Regioni  nuovi
adempimenti, con  conseguenti  nuovi  oneri,  intervenendo  anche  su
materie  di   competenza   concorrente,   senza   alcuna   previsione
finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse». 
    Ad avviso della ricorrente, la disposizione violerebbe gli  artt.
76, 117, terzo comma, e 118 Cost. 
    Essa si porrebbe in contrasto con la legge di delega n.  114  del
2015, che all'art. 1, comma 4, prevede la possibilita' di riconoscere
risorse in relazione a spese non contemplate dalle  leggi  vigenti  e
che non riguardino l'attivita' ordinaria delle  amministrazioni,  nei
limiti occorrenti per l'adeguamento alla direttiva. 
    L'irrazionalita' della scelta operata dal legislatore delegato  e
la sua incoerenza rispetto agli scopi perseguiti dalla legge  n.  114
del 2015 risulterebbero, d'altra  parte,  palesi,  specie  alla  luce
dell'introduzione, con il menzionato art. 16, comma 2, del d.lgs.  n.
104 del 2017 (pure impugnato  dalla  ricorrente),  del  provvedimento
autorizzatorio  unico,   che   implicherebbe   una   modifica   dello
svolgimento delle funzioni regionali. La norma censurata non avrebbe,
peraltro, alcuna attinenza con la  tutela  dell'ambiente,  rimanendo,
dunque, estranea al perimetro della legislazione statale esclusiva. 
    4.7.- In rapporto a tutte le disposizioni censurate,  la  Regione
sottolinea di essere legittimata a denunciare la violazione anche dei
parametri di cui agli artt. 3 e 76 Cost., non  attinenti  al  riparto
delle competenze tra Stato  e  Regioni,  in  quanto  tale  violazione
implica, per le ragioni esposte, la compromissione delle attribuzioni
regionali, ridondando quindi sul riparto delle competenze. 
    5.- Si e' costituito, con atto depositato il 6 ottobre  2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso. 
    5.1.- La difesa statale eccepisce  l'infondatezza  della  censura
relativa all'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    La scelta del  legislatore  troverebbe  fondamento  nel  corretto
recepimento della «Direttiva VIA»  che  pone  in  evidenza  come,  in
alcuni casi riguardanti  la  protezione  civile,  l'osservanza  della
direttiva 2011/92/UE potrebbe avere effetti  negativi  sull'ambiente,
«ed e' dunque opportuno, ove del caso, autorizzare gli Stati membri a
non applicare la direttiva». L'art. 1, paragrafo 3,  della  direttiva
rimette inoltre agli Stati membri di  decidere  con  una  valutazione
"caso per caso" e, ove disposto dalla  normativa  nazionale,  di  non
applicare la direttiva a progetti o parti di essi aventi quale  unico
obiettivo la difesa o la protezione  civile,  qualora  l'applicazione
possa pregiudicare tali obiettivi. 
    I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
sostituiti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, allineerebbero  la
disciplina nazionale alla direttiva, distinguendo i progetti relativi
a difesa e protezione civile (comma 10)  dalle  altre  condizioni  di
esenzione (comma 11). 
    La disciplina si rivelerebbe garantista, grazie alla riserva  del
potere di esenzione dalla VIA in capo  al  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del  territorio  e  del  mare,  che  ne  assumerebbe  la
responsabilita' politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei
confronti dell'Unione europea.  Non  si  ravviserebbero  ragioni  per
ridurre  lo  standard  di  tutela  ambientale,  consentendo  che   le
esclusioni citate possano essere disposte dalla singola Regione. 
    5.2.- Con riferimento alla violazione delle norme  costituzionali
in tema di riparto delle competenze legislative, la disciplina  della
VIA   sarebbe   considerata   dalla   giurisprudenza   costituzionale
espressione della competenza esclusiva statale in materia di  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost.: l'esclusivita' della competenza  statale,  pur  in
presenza di un'incidenza sull'esercizio di  competenze  afferenti  ad
«ambiti  materiali  di  spettanza   regionale»,   determinerebbe   la
«prevalenza» della normativa statale (sentenza n. 234 del 2009). 
    5.3.-  Neppure  si   ritiene   leso   il   principio   di   leale
collaborazione, poiche' l'impugnato art.  3,  comma  1,  lettera  g),
riferendosi «ai progetti aventi quale  unico  obiettivo  la  risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile  (oltre  a  quelli
riferibili  alla  difesa  nazionale)»,  rientrerebbe  nel  campo   di
applicazione della legge 24 febbraio 1992, n.  225  (Istituzione  del
Servizio  nazionale  della  protezione  civile),   che   all'art.   5
disciplinerebbe gli interventi da operarsi «durante la (e  a  seguito
della)  "dichiarazione  dello  stato  di  emergenza"»;   il   decreto
ministeriale, adottato per escludere taluni  progetti  dal  campo  di
applicazione delle  norme  in  materia  di  VIA,  sarebbe  successivo
rispetto alla valutazione - operata dal Dipartimento della protezione
civile «d'intesa con la Regione interessata» - degli interventi sulla
protezione civile. 
    A norma dell'art. 5, comma 2, della citata legge n. 225 del 1992,
per l'attuazione degli interventi di protezione civile da effettuarsi
durante lo stato di emergenza, secondo l'Avvocatura, «si provvede con
apposita  ordinanza  di  protezione  civile  da  emanarsi  una  volta
"acquisita l'intesa delle regioni territorialmente interessate"». 
    5.3.1.- La partecipazione regionale sarebbe  assicurata,  infine,
per i  progetti  di  protezione  civile,  successivi  allo  stato  di
emergenza. 
    5.4.- L'Avvocatura contesta la fondatezza delle questioni  aventi
ad oggetto l'art. 5 del d.lgs.  n.  104  del  2017  sulla  scorta  di
considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso della
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric.  n.  63  del
2017). 
    5.5.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce altresi'  l'infondatezza
della censura dell'impugnato art. 16, comma  2  del  d.lgs.  104  del
2017, poiche' il coordinamento del  procedimento  di  VIA  con  altri
procedimenti sarebbe  «implicitamente,  ma  chiaramente»,  necessario
dallo  stesso  oggetto  della  delega.   Quest'ultimo   consisterebbe
nell'attuazione della direttiva 2014/52/UE,  la  quale,  all'art.  2,
prevede che  «la  valutazione  dell'impatto  ambientale  puo'  essere
integrata nelle procedure esistenti di  autorizzazione  dei  progetti
negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre  procedure
o nelle procedure da stabilire per  rispettare  gli  obiettivi  della
presente direttiva». 
    5.5.1.- Per il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  sarebbe
stato  possibile  giungere  a  tale  risultato  solo  attraverso   la
previsione di un procedimento unico o comunque tramite l'integrazione
e il coordinamento con gli altri procedimenti di settore. Poiche'  la
direttiva  prevede  che  «gli  Stati  membri  dispongono   di   varie
possibilita'  per  dare  attuazione  alla   direttiva   relativamente
all'integrazione  delle  valutazioni  dell'impatto  ambientale  nelle
procedure nazionali», ritiene che  gli  elementi  di  tali  procedure
nazionali possano variare. In simile contesto, l'art.  16,  comma  2,
avrebbe previsto una disciplina per le procedure di  VIA  incardinate
nel  procedimento  autorizzatorio  unico  regionale,  confermando  la
scelta operata con la riforma della legge n. 241 del 1990, cosi' come
modificata dal d.lgs. n. 127 del 2016. 
    5.6.- Prive di fondamento risulterebbero,  altresi',  le  censure
mosse all'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    Tale disposizione sostituisce, infatti, esclusivamente l'art. 33,
comma 1, del d.lgs. n. 152  del  2006,  lasciando  impregiudicate  le
competenze regionali stabilite dal successivo art. 33, comma 2. 
    Dalla lettura coordinata delle due previsioni emergerebbe come il
comma 1 contenga  una  norma  di  principio,  che  indica  i  criteri
generali per la determinazione delle tariffe, destinata ad applicarsi
sia alla  VIA  statale,  sia  alla  VIA  regionale.  In  pari  tempo,
tuttavia, il medesimo comma 1 reca una previsione concernente solo la
VIA statale: ossia la delega a un decreto del Ministro  dell'ambiente
per la definizione in concreto delle  tariffe.  Che  tale  previsione
riguardi solo le tariffe statali lo si  desumerebbe  chiaramente  dal
comma 2, che affida alle  Regioni  l'attuazione  del  comma  1  nella
concreta definizione dei profili  tariffari.  Di  qui  l'infondatezza
delle  doglianze  della   ricorrente:   le   Regioni   non   soltanto
risulterebbero   "coinvolte"   nella   definizione   delle    tariffe
concernenti la VIA regionale, ma ne sarebbero,  anzi,  le  principali
protagoniste, dovendo semplicemente rispettare la norma di  principio
statale. 
    5.7.- Per quanto attiene, poi, alle questioni che  investono  gli
artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del  d.lgs.  n.
104 del 2017, con le quali si lamenta la sottrazione alle  competenze
regionali di un rilevante numero di tipologie progettuali, la  difesa
dello Stato ne eccepisce l'inammissibilita' per genericita' e carenza
di motivazione. Mancherebbe del tutto la specifica individuazione dei
progetti  la  cui  sottrazione  alla  VIA   regionale   comporterebbe
l'asserita lesione dell'art. 118 Cost. e, conseguentemente, qualunque
argomento a sostegno  dell'adeguatezza  del  livello  regionale  allo
svolgimento della relativa funzione amministrativa: elementi, questi,
imprescindibili per poter apprezzare una denuncia di  violazione  del
principio di sussidiarieta'. 
    Quanto al merito, l'Avvocatura ribadisce le  considerazioni  gia'
svolte in relazione al ricorso  della  Regione  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017) circa  la  piena  riconducibilita'
dell'intervento modificativo censurato tanto ai  principi  e  criteri
direttivi specifici enunciati dall'art. 14, comma 1, della  legge  n.
114 del 2015, quanto al principio e criterio  direttivo  generale  di
cui all'art. 32, comma 1, lettera g) della legge  n.  234  del  2012.
Ribadisce, altresi', come la modifica degli allegati al d.lgs. n. 152
del 2006 risponda all'obiettivo di razionalizzare  il  riparto  delle
competenze  amministrative  tra  Stato  e  Regioni,  sulla  base  del
dirimente criterio della dimensione  sovraregionale  degli  impianti:
criterio che troverebbe fondamento nell'art. 118, primo comma, Cost.,
per la corretta allocazione di dette funzioni. 
    5.8.- Inammissibili per genericita' e difetto di  motivazione  in
punto di violazione dei parametri costituzionali evocati sarebbero  -
secondo l'Avvocatura - anche le censure che investono l'art.  27  del
d.lgs. n. 104 del 2017. 
    Nel merito, le censure sarebbero basate sull'erroneo assunto  che
la disciplina di  riferimento  avrebbe  posto  non  meglio  precisati
«nuovi e maggiori oneri procedimentali in capo  alle  amministrazioni
regionali»,   riconducibili,    in    specie,    al    «provvedimento
autorizzatorio unico» introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n.
104 del 2017. Tale ultimo intervento sarebbe, peraltro,  confermativo
e  speculare  rispetto  alle  scelte  gia'  operate  con  la  riforma
dell'art. 14, comma 4, della n. 241 del 1990, di cui al d.lgs. n. 127
del 2016. 
    La doglianza della Regione risulterebbe inoltre  illogica,  posto
che la stessa ricorrente, per  un  verso,  lamenta  di  essere  stata
spogliata delle proprie precedenti competenze e, per  l'altro,  della
impossibilita' di adottare  misure  di  implementazione  finanziaria,
strumentale e di personale. 
    La Regione avrebbe omesso,  infine,  di  tener  conto  di  quanto
disposto dall'art. 33, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 152 del  2006,  ove
si  prevede  la  totale  copertura  di  tutti  i   costi   sopportati
dall'autorita' competente a valere  sulle  tariffe  da  applicare  ai
proponenti, nonche' la possibilita'  per  gli  enti  territoriali  di
definire proprie modalita' di  quantificazione  e  corresponsione  di
tali tariffe. 
    6.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017, depositato il  6
settembre 2017 (reg. ric. n. 65  del  2017),  la  Regione  Puglia  ha
promosso le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: 
    a) in via principale, dell'intero d.lgs. n.  104  del  2017,  per
violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo del tardivo esercizio
della  delega   legislativa,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione; 
    b) in via subordinata, degli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104
del 2017,  per  violazione  dell'art.  76  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'eccesso di delega; degli artt. 3, comma 1, lettera g), 14 e  18,
comma 3, per violazione  degli  artt.  3,  9,  24  (evocato  solo  in
relazione all'art. 18, comma 3), 76 e 97 Cost. 
    6.1.- Con riferimento alla prima censura la ricorrente rileva che
il decreto legislativo impugnato e' stato adottato sulla  base  della
delega conferita dalla legge n. 114 del 2015. L'art. 1, comma  2,  di
tale legge individua il termine per l'esercizio della delega mediante
rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del  2012,  in  forza
del quale, relativamente alle deleghe legislative  conferite  con  la
legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive,  «il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
antecedenti a  quello  di  recepimento  indicato  in  ciascuna  delle
direttive». 
    La  direttiva  2014/52/UE,  che  il  Governo  era  chiamato   nel
frangente ad attuare, all'art. 2, paragrafo 1, prevede  come  termine
di recepimento il 16 maggio 2017: di conseguenza, la  delega  avrebbe
dovuto essere esercitata entro il 16  gennaio  2017.  Ai  fini  della
verifica del rispetto di tale termine, dovrebbe aversi riguardo  alla
data di emanazione del decreto legislativo da  parte  del  Presidente
della Repubblica, a norma dell'art. 87 Cost.: adempimento che vale ad
immettere l'atto nell'ordinamento giuridico della Repubblica. 
    Nella specie, il decreto legislativo impugnato e'  stato  emanato
dal Presidente della Repubblica solo il 16 giugno 2017. Risulterebbe,
pertanto,  evidente  che  il  termine  della  delega  non  e'   stato
rispettato dal Governo, con  conseguente  illegittimita'  dell'intero
decreto per violazione dell'art. 76 Cost., che prevede tra i  vincoli
della delegazione legislativa il «tempo limitato». 
    La conclusione non muterebbe  neppure  qualora  si  volesse  fare
riferimento alla data di deliberazione del Consiglio dei ministri  (9
giugno 2017), o addirittura a quella della deliberazione  preliminare
(10 marzo 2017, come si desume dal preambolo del decreto  impugnato).
Anche tali date risultano, infatti, entrambe posteriori al termine di
esercizio della delega. 
    6.2.- L'intero d.lgs. n. 104  del  2017  risulterebbe,  altresi',
illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione. 
    Le materie sulle quali incide la direttiva andrebbero individuate
non soltanto - e certamente - nell'ambiente, ma  anche  nella  tutela
della salute, nella pianificazione territoriale e, piu' in  generale,
nell'uso del territorio, nella protezione del  patrimonio  culturale,
nella  difesa  e  nella  protezione  civile,  tutte   di   competenza
regionale. 
    Nel  settore  preso  in   considerazione   dalla   direttiva   si
determinerebbe, quindi, un intreccio di campi materiali dello Stato e
delle  Regioni,  che,  se  pure  abilita  lo  Stato  ad  assumere  la
competenza  legislativa,  lo   obbliga,   tuttavia   -   secondo   la
giurisprudenza costituzionale - ad instaurare procedure collaborative
nell'esercizio della medesima. 
    Con la sentenza n. 251 del  2016,  la  Corte  costituzionale  ha,
infatti, esteso l'ambito applicativo della leale collaborazione anche
al sistema delle  fonti  normative  e,  in  particolare,  ai  decreti
legislativi. Secondo la citata pronuncia, in presenza di un  concorso
di competenze, inestricabilmente connesse,  nessuna  delle  quali  si
riveli prevalente, non e' costituzionalmente illegittimo l'intervento
del legislatore statale, se  necessario  a  garantire  l'esigenza  di
unitarieta' sottesa alla riforma del  settore.  Tuttavia,  esso  deve
muoversi  nel  rispetto  del  principio  di   leale   collaborazione:
principio  che  trova  il  suo  luogo  idoneo  di  espressione  nella
Conferenza Stato-Regioni. 
    Nella specie, il d.lgs. n. 104 del 2017  e'  stato  deliberato  -
come risulta dal suo preambolo - dopo l'acquisizione del parere della
Conferenza Stato-Regioni, espresso nella seduta del  4  maggio  2017.
Tenuto conto, tuttavia, del fatto che la  disciplina  di  recepimento
della  direttiva  europea  incide  profondamente  sul  riparto  delle
competenze tra lo Stato e le  Regioni,  l'acquisizione  del  semplice
parere  di  detta  Conferenza  non  sarebbe  sufficiente  a   rendere
legittimo  il  decreto  legislativo,  dovendosi  ritenere  necessario
l'avvio di procedure collaborative nella  fase  di  attuazione  della
delega volte al conseguimento dell'intesa. 
    Al riguardo, la Regione Puglia lascia alla  Corte  costituzionale
la valutazione «se sollevare davanti a se'  stessa  la  questione  di
legittimita' costituzionale  della  legge  di  delega»,  che  non  ha
espressamente previsto l'intesa  per  la  deliberazione  del  decreto
legislativo, oppure se censurare direttamente il  vizio  in  capo  al
decreto legislativo. 
    A cio' va aggiunto che il parere della Conferenza sarebbe  stato,
nella specie, negativo,  avendo  le  Regioni  posto  nove  condizioni
irrinunciabili  per  il  superamento  di  tale  giudizio:  condizioni
totalmente disattese dal legislatore delegato. 
    6.3.- In via subordinata, la ricorrente censura in modo specifico
le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104  del
2017, che rispettivamente modificano gli artt.  6  e  7,  introducono
l'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  e  modificano  gli  Allegati
alla parte seconda di tale ultimo decreto. 
    Con  tali  disposizioni,  il  d.lgs.  n.  104  del  2017  avrebbe
ampiamente inciso sul  riparto  delle  competenze  amministrative  di
Stato e Regioni in materia di VIA, attribuendo alla competenza  dello
Stato una serie di procedimenti in precedenza di spettanza regionale. 
    Al riguardo, verrebbero in particolare rilievo  non  soltanto  le
ipotesi che l'impugnato art. 22, comma 1, lettere a), c), i) e l), ha
aggiunto all'Allegato II (il quale, ai sensi dell'art.  7-bis,  comma
2, del d.lgs. n.  152  del  2006,  inserito  dal  decreto  impugnato,
individua i progetti sottoposti a VIA  in  sede  statale),  ma  anche
quelle abrogazioni che, elidendo parole che circoscrivevano  l'ambito
di applicazione della fattispecie, ne hanno esteso la  portata  (art.
22, comma l, lettera b). Peraltro, anche laddove il medesimo art. 22,
comma l, ha operato sostituzioni, cio'  ha  comportato  un'estensione
della competenza statale, come nel caso della lettera  d),  che,  nel
sostituire  il  punto  7-quater,  ha  inserito  nell'Allegato   anche
l'attivita' di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche in mare. 
    L'Allegato  II-bis,  nell'individuare  ex  novo   i   «[p]rogetti
sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza statale»,
estenderebbe la competenza statale (ad esempio, con le previsioni  di
cui al punto 1,  lettere  a)  e  d)  a  detrimento  della  precedente
competenza regionale). 
    Tutto cio', per tacere dei casi nei quali il decreto  legislativo
ricorre «alla tecnica della "sostituzione" delle  ipotesi»,  rendendo
poco agevole il riscontro di una estensione della  competenza  (come,
ad esempio, nel caso di cui all'art. 22, comma 1, lettera f, relativo
allo «stoccaggio», per il quale le soglie sono state tutte dimezzate,
con  ampliamento  della  competenza,  tranne  l'ultima,  che   rimane
immutata). 
    Ad   avviso   della   ricorrente,   le   disposizioni   censurate
violerebbero l'art. 76 Cost. per eccesso di delega, posto che ne'  la
legge di delegazione, ne' la direttiva europea  che  il  Governo  era
chiamato  ad  attuare,  avrebbero  richiesto  una   revisione   delle
competenze interne o fornito una base adeguata per legittimarla. 
    6.4.- Vengono impugnati altresi' gli artt. 3,  comma  1,  lettera
g), l'art. 14 e l'art. 18, comma 3. 
    6.4.1.- La prima disposizione  prevedrebbe  l'esonero  di  alcuni
progetti dalla valutazione ambientale.  Premette  la  ricorrente  che
l'art. 1 della direttiva 2014/52/UE stabilisce che «gli Stati membri,
in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto
specifico  dalle  disposizioni  della  presente  direttiva,   qualora
l'applicazione  di  tali  disposizioni  incida  negativamente   sulla
finalita'  del  progetto,  a  condizione  che  siano  rispettati  gli
obiettivi della presente direttiva». 
    La direttiva farebbe riferimento «a una mera facolta' e non a  un
obbligo» e il  legislatore  delegato  avrebbe  imposto  il  principio
direttivo  del  «rafforzamento  della  qualita'  della  procedura  di
valutazione di impatto ambientale»; in assenza di un obbligo  per  il
legislatore di  prevedere  questa  facolta',  «nulla  autorizzava  il
legislatore delegato nello stesso senso». 
    L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), prevedrebbe una  duplice
possibilita' di esonero dalla VIA; per un verso, «per  i  progetti  o
parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale  e
per  i  progetti  aventi  quali  unico  obiettivo  la  risposta  alle
emergenze che riguardano la protezione civile»; per altro  verso,  in
altri « casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle
attivita' culturali e del turismo», qualora  l'applicazione  di  tali
disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto. 
    6.4.2.- L'art. 14, nel riformulare l'art. 25 del  d.lgs.  n.  152
del 2006, non contemplerebbe piu' il parere della Regione interessata
nell'ambito delle valutazioni ambientali di competenza statale;  cio'
rileverebbe sotto un duplice profilo. 
    Per  un  verso,  nessuna  norma  di  delega  legislativa  avrebbe
previsto, fra i propri principi e criteri direttivi, la modifica  del
coinvolgimento  regionale  nelle  procedure  amministrative,  ne'  il
depotenziamento della partecipazione. Nella  formulazione  pregressa,
la disposizione muoveva dalla considerazione  che  le  attivita'  sul
territorio sottoposte a VIA, anche  se  di  competenza  dello  Stato,
riguardavano anche le Regioni, per il loro rilievo  sulle  competenze
di queste ultime. 
    Appare alla ricorrente irragionevole ravvedere in un mero  parere
«per sua natura non  vincolante»  un  ostacolo  alla  semplificazione
normativa. Le amministrazioni interessate, al  contrario,  potrebbero
fornire utili elementi all'esame del Ministero  dell'ambiente.  Nulla
avrebbe autorizzato il legislatore delegato «a irrompere nell'assetto
del riparto delle competenze in materia  di  VIA»  eliminando  simile
forma di compensazione del  coinvolgimento  regionale  attraverso  il
parere; allo stato attuale le Regioni verrebbero  deprivate  di  ogni
forma di partecipazione, in  modo  irragionevole  e  senza  una  base
legislativa di riferimento. In ragione del rilevato  intreccio  delle
competenze in materia, la rimozione di questa forma di partecipazione
sarebbe  altresi'  in   contrasto   con   il   principio   di   leale
collaborazione. 
    Tale previsione normativa si porrebbe in contrasto con l'art.  76
Cost., per mancanza di un criterio direttivo nella legge  di  delega;
essa, inoltre, in combinato disposto con l'impugnato art.  18,  comma
3,  violerebbe  altresi'  gli  artt.   3,   9   e   97   Cost.,   per
irragionevolezza, in quanto potrebbe non essere realizzato «un  serio
sindacato giurisdizionale sulla decisione ministeriale»,  in  assenza
di particolari oneri motivazionali per agire in deroga alla normativa
stessa. Neppure vi sarebbero elementi per compensare «la recessivita'
del  bene-ambiente  tutelato  dall'art.  9  Cost.»  e  la  deroga  al
principio  di  buon  andamento   e   imparzialita'   della   pubblica
amministrazione;  tale   esenzione,   infatti,   non   contemplerebbe
valutazioni successive «in grado di "sanare" la deroga iniziale». 
    Con riferimento all'esenzione motivata da esigenze di  protezione
civile, la decisione sottesa  verrebbe  adottata  in  violazione  del
principio  di  leale  collaborazione.  Infatti,  la  ponderazione  di
interessi che dovrebbero condurre  alla  rinuncia  del  perseguimento
della tutela ambientale, in vista del raggiungimento  dei  richiamati
obiettivi di protezione civile (di competenza concorrente),  dovrebbe
contemplare meccanismi cooperativi. Ove  il  giudizio  di  prevalenza
previsto  dalla  norma  fosse  conforme  al  quadro   costituzionale,
l'esercizio della  competenza  concorrente,  che  prevale  su  quella
esclusiva in materia ambientale, necessiterebbe della  previa  intesa
regionale. 
    6.4.3.- L'impugnato art. 18, comma 3, infine, prevede che  «[n]el
caso di progetti a cui si  applicano  le  disposizioni  del  presente
decreto realizzati senza la previa sottoposizione al procedimento  di
verifica di assoggettabilita' a VIA, al procedimento di VIA ovvero al
procedimento unico di cui  all'articolo  27  o  di  cui  all'articolo
27-bis, in violazione delle disposizioni di cui  al  presente  Titolo
III, ovvero in caso di annullamento  in  sede  giurisdizionale  o  in
autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA o
dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto gia' realizzato o  in
corso di realizzazione, l'autorita'  competente  assegna  un  termine
all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento  e  puo'
consentire la prosecuzione dei lavori o delle attivita' a  condizione
che tale prosecuzione avvenga in termini di  sicurezza  con  riguardo
agli eventuali  rischi  sanitari,  ambientali  o  per  il  patrimonio
culturale [...]». 
    Per la ricorrente,  la  disposizione  non  corrisponde  ad  alcun
criterio direttivo e si porrebbe in contrasto anche con il  principio
di ragionevolezza, il perseguimento della tutela ambientale  (art.  9
Cost.), il principio di legalita' (art. 97 Cost.)  e  di  difesa  dei
propri diritti e interessi legittimi in giudizio (art. 24 Cost.).  Il
decreto consentirebbe,  infatti,  che  nonostante  la  violazione  in
termini di  valutazioni  ambientali  (per  erroneo  esonero  o  altra
illegittimita'), «possano continuare a essere assentite le  attivita'
di riferimento, entro un termine non specificato in via legislativa». 
    7.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso. 
    7.1.- Infondata,  secondo  la  difesa  dello  Stato,  sarebbe  la
censura, riferita all'intero d.lgs. n. 104 del  2017,  in  violazione
dell'art.  76  Cost.,  per  tardivita'  dell'esercizio  della  delega
legislativa. 
    La ricorrente avrebbe, infatti, richiamato il  testo  attualmente
vigente  dell'art.  32,  comma  1,  della  legge  n.  234  del  2012,
trascurando il fatto che esso e' stato oggetto di modifica  ad  opera
dell'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015, n. 115
(Disposizioni   per   l'adempimento    degli    obblighi    derivanti
dall'appartenenza dell'Italia  all'Unione  europea  -  Legge  europea
2014), entrata in vigore il 18 agosto 2015. 
    La legge delega per l'attuazione della direttiva  2014/52/UE  (la
richiamata legge n. 114 del 2015) e' entrata invece in vigore  il  15
agosto 2015, quando era ancora vigente il precedente testo  dell'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale prevedeva  che  il
Governo dovesse adottare i decreti legislativi entro  il  termine  di
due mesi (e non gia' di quattro mesi, come nella versione  novellata)
antecedenti  quello  di  recepimento  indicato  in   ciascuna   delle
direttive. 
    Alla  luce  del  principio  di  irretroattivita'   delle   leggi,
stabilito dall'art. 11, comma 1, delle  disposizioni  preliminari  al
codice civile, la modifica del termine generale per l'esercizio delle
deleghe legislative per l'attuazione delle direttive europee, operata
dalla legge n. 115 del 2015, senza alcuna previsione che  ne  affermi
la  portata  retroattiva,  potrebbe  riguardare   solo   le   deleghe
legislative ad essa successive: non, dunque, quella di cui alla legge
n. 114 del 2015, entrata in vigore in data antecedente. 
    Il termine che il Governo doveva  rispettare  nella  specie  era,
pertanto - secondo il resistente - quello dei  due  mesi  antecedenti
alla data di scadenza della direttiva (16 maggio 2017): ossia  il  16
marzo 2017, termine poi prorogato al 16 giugno 2017  in  applicazione
di quanto espressamente previsto dall'art. 31, comma 3,  della  legge
n. 234 del 2012. 
    7.2.- Quanto alla dedotta illegittimita'  dell'intero  d.lgs.  n.
104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione in
relazione al procedimento di adozione del decreto, il Presidente  del
Consiglio dei ministri eccepisce l'inammissibilita' della censura, in
ragione del fatto che non e' mai stata promossa dalla Regione  Puglia
questione  di  legittimita'  costituzionale   della   legge   delega,
allegando,  a  sostegno  dell'eccezione,  considerazioni  analoghe  a
quelle svolte in relazione alla similare  doglianza  prospettata  nel
ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric.  n.  63
del 2017). 
    Nel merito, la censura risulterebbe,  ad  ogni  modo,  infondata,
anche in  questo  caso  per  ragioni  analoghe  a  quelle  svolte  in
relazione al ricorso ora  indicato.  In  particolare,  posto  che  la
normativa sulla VIA rientra nelle materie - "traversali" e prevalenti
-  della  tutela  dell'ambiente  e  della  fissazione   dei   livelli
essenziali delle prestazioni, di  competenza  esclusiva  statale,  la
Regione ricorrente avrebbe  confuso  il  paradigma  giurisprudenziale
dell'«intreccio» di materie - al quale  si  riferisce  la  richiamata
sentenza n. 251 del 2016, di questa Corte - con quello della semplice
«incidenza» delle norme dettate dello Stato in materie di  competenza
esclusiva su funzioni regionali: fenomeno, questo,  che  caratterizza
naturalmente  le  materie  «trasversali».   In   tale   ipotesi,   e'
sufficiente che la legislazione statale disciplini l'esercizio  della
funzione   prevedendo   passaggi   collaborativi   con   la   Regione
interessata: onere che sarebbe stato assolto con  la  previsione  del
nuovo art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    7.3.- Con riguardo, infine, alla questione che investe gli  artt.
3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, l'Avvocatura generale  dello
Stato ne eccepisce del pari  l'inammissibilita',  avendo  la  Regione
evocato  il  solo  parametro  dell'art.  76   Cost.,   senza   alcuna
motivazione   sulla   «ridondanza»   del   vizio   sulle   competenze
costituzionalmente riconosciute alla Regione. 
    La questione sarebbe, in ogni caso, infondata. 
    L'Avvocatura ribadisce, anche a questo riguardo,  quanto  dedotto
in rapporto al ricorso della  Regione  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste
(reg. ric. n. 63 del 2017),  e  cioe'  che  la  modifica  del  quadro
allocativo delle competenze sarebbe ricompresa  nel  «potere/dovere»,
conferito al Governo dall'art. 14, comma 1, lettere a)  e  b),  della
legge n. 114 del  2015,  di  «armonizzazione»  e  «razionalizzazione»
delle  procedure  di  VIA,  nonche'  di  «rafforzamento»  della  loro
qualita', allineandole ai principi della coerenza  e  della  sinergia
con altre normative e politiche europee e nazionali, e  risulterebbe,
anzi, imposta dal principio e criterio  direttivo  generale,  di  cui
all'art. 32, comma 1, lettera  g),  della  legge  n.  234  del  2012,
relativo  all'ipotesi  in  cui  si  verifichino  «sovrapposizioni  di
competenze». 
    7.4.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la censura
dell'art. 14 sarebbe  manifestamente  inammissibile  per  difetto  di
motivazione circa la  presunta  «ridondanza»  del  vizio  prospettato
sulla lesione  di  competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle
Regioni dagli artt. 117, 118 e  119  Cost.,  ovvero  di  altre  norme
costituzionali poste a presidio di prerogative regionali. 
    7.5.- Le censure sull'art. 3, comma l, lettera g),  in  relazione
all'art. 76 Cost.,  sarebbero  inammissibili  in  assenza  di  alcuna
motivazione circa la presunta «ridondanza» dei vizi prospettati sulla
lesione di competenze costituzionalmente riconosciute  alle  Regioni.
La censura, in ogni caso,  sarebbe  generica,  dal  momento  che  non
sarebbe dato  comprendere  se  la  Regione  Puglia  ha  censurato  la
disciplina contenuta  effettivamente  nella  disposizione  richiamata
(che ha sostituito l'art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006,  e
che e' riferita alle sole esenzioni dei progetti aventi  quale  unico
obiettivo  la  difesa  nazionale  e  la  risposta  ad  emergenze   di
protezione civile), ovvero quella contenuta nella successiva  lettera
h) (che ha sostituito l'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 152 del 2006,
riferita ai soli "casi eccezionali"). 
    7.6.- Le doglianze regionali sarebbero poi infondate nel  merito.
La procedura di VIA di competenza statale, di  cui  all'art.  23  del
d.lgs. n. 152 del 2006, prevedrebbe per tutto l'iter  procedurale  un
adeguato   coinvolgimento    delle    amministrazioni    interessate,
introducendo obblighi informativi  e  di  pubblicita';  alla  Regione
inoltre non sarebbe sottratto alcun potere di  esprimere  il  proprio
parere  e  le  proprie  osservazioni  nei  procedimenti  di  VIA   di
competenza statale, poiche' l'art. 6  del  d.lgs.  n.  104  del  2017
prevedrebbe  la  partecipazione,  all'attivita'   istruttoria   della
Commissione  tecnica  di   verifica   dell'impatto   ambientale   del
Ministero,  di  un  esperto   designato   dagli   enti   territoriali
interessati. 
    7.7.- Anche le residue censure sarebbero non fondate. 
    7.7.1.- Quanto alla censura mossa in relazione alle esenzioni dei
progetti aventi quale  unico  obiettivo  la  difesa  nazionale  e  la
risposta ad emergenze di protezione civile, la scelta del legislatore
troverebbe  il  suo  fondamento  nel   corretto   recepimento   della
«Direttiva VIA». 
    I commi 10  e  11  dell'art.  6  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo
di allineare la disciplina nazionale alle  novita'  introdotte  dalla
richiamata   direttiva.   La   disciplina   sarebbe   particolarmente
garantista in termini di potenziale  esclusione  dei  progetti  dalla
disciplina recata dal Titolo III, della Parte II del  d.lgs.  n.  152
del 2006, grazie alla riserva del potere di esenzione  dalla  VIA  in
capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio  e  del
mare, che ne assumerebbe la responsabilita' politicoamministrativa su
valere per tutto il territorio nazionale e nei confronti  dell'Unione
Europea. Non sarebbe ridotto lo standard di tutela ambientale. 
    7.8.- L'impugnato art. 18, comma  3,  ricalcherebbe  quanto  gia'
previsto nel previgente art. 29  del  d.lgs.  n.  152  del  2006;  la
possibilita' di consentire la prosecuzione  delle  attivita'  sarebbe
solo eventuale e rimessa ad una specifica  decisione  della  medesima
autorita' misurata sulle peculiarita' del caso concreto,  in  assenza
della quale dovra' arrestarsi, risultando  sospesa  in  attesa  dello
svolgimento del nuovo procedimento di VIA. 
    7.9.- In relazione alla cosiddetta «VIA postuma», l'Avvocatura fa
presente che la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea
del 26 luglio 2017, nelle cause riunite da C-196/16  a  C-197/16,  ha
stabilito che in caso di omissione  di  una  valutazione  di  impatto
ambientale di un progetto «il diritto dell'Unione, da un lato, impone
agli Stati membri  di  rimuovere  le  conseguenze  illecite  di  tale
omissione e, dall'altro, non osta  a  che  una  valutazione  di  tale
impatto  sia  effettuata  a  titolo  di  regolarizzazione,  dopo   la
costruzione e la messa in servizio dell'impianto interessato, purche'
le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione  non  offrano
agli  interessati  l'occasione  di  eludere  le  norme   di   diritto
dell'Unione o di disapplicarle e la valutazione effettuata  a  titolo
di regolarizzazione non si limiti alle ripercussioni future  di  tale
impianto sull'ambiente». 
    In maniera coerente, il legislatore delegato avrebbe previsto che
l'autorita' competente assegna un termine all'interessato,  entro  il
quale  avviare  un  nuovo  procedimento,   e   puo'   consentire   la
prosecuzione dei lavori o  delle  attivita'  a  condizione  che  essa
avvenga in  termini  di  sicurezza  riguardo  agli  eventuali  rischi
sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale;  ove  il  termine
fosse scaduto, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di  VIA,
adottato ai sensi degli artt. 25, 27 o 27-bis del d.lgs. n.  152  del
2006, abbia  contenuto  negativo,  l'autorita'  competente,  inoltre,
dispone la demolizione delle opere realizzate e il  ripristino  dello
stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e a  spese  del
responsabile, definendone i  termini  e  le  modalita'.  In  caso  di
inottemperanza, l'autorita' competente  provvede  d'ufficio  a  spese
dell'inadempiente. 
    7.10.- Con  riferimento  all'ipotizzato  eccesso  di  delega,  il
d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbe coerente con  la  norma  nazionale  di
delega e con le norme di diritto UE, le quali assumerebbero valore di
parametro interposto, potendo autonomamente giustificare l'intervento
del legislatore delegato (sentenze n. 131 del 2013, n. 272 del  2012,
n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 163 del 2000, n. 134 del  2013  e
n. 32 del 2005). 
    8.- La Regione ha depositato una memoria illustrativa, insistendo
nelle conclusioni gia' formulate. 
    8.1.- Relativamente alla censura dell'intero d.lgs.  n.  104  del
2017, per tardivo esercizio della delega, la ricorrente osserva -  in
replica alle difese dell'Avvocatura generale dello  Stato  -  che  il
principio  di  irretroattivita'  della  legge,  da  questa  invocato,
riguarda  le  norme  che  descrivono  fattispecie,  non  quelle   che
disciplinano termini e procedimenti (salvo che l'effetto  retroattivo
risulti espressamente escluso). 
    Risulterebbe ad ogni modo dirimente il rilievo che, anche qualora
si ritenesse operante il termine dei due mesi (anziche'  dei  quattro
mesi) antecedenti il termine di recepimento della direttiva, previsto
dal testo originario dell'art. 32, comma 1, della legge  n.  234  del
2012, l'esercizio della delega  rimarrebbe  tardivo.  Per  ammissione
della stessa Avvocatura, infatti, in tale ipotesi il termine  sarebbe
scaduto il 16 marzo 2017 e, dunque, in data  anteriore  a  quella  di
emanazione del decreto delegato. 
    Solo in applicazione della proroga prevista dall'art.  31,  comma
3, della legge n. 234 del 2012,  sarebbe  possibile  arrivare  al  16
giugno  2017.  Tale  disposizione  non  sarebbe,  tuttavia,   affatto
richiamata dalla legge n. 114 del 2015, la  quale,  con  riguardo  ai
termini di esercizio della delega, fa riferimento  al  solo  comma  1
dell'art. 31. 
    In presenza di una legge delega che faccia  espresso  riferimento
al solo termine  "ordinario"  di  esercizio,  non  sarebbe  possibile
applicare analogicamente la  proroga  automatica  prevista  da  altra
disposizione non oggetto di richiamo. Diversamente opinando, uno  dei
requisiti previsti dall'art. 76 Cost. per la delegazione  legislativa
(il limite temporale di  esercizio)  risulterebbe  stabilito  in  via
generale e per sempre dalla legge n. 234 del 2012, rispetto a tutti i
casi di recepimento del diritto europeo: conclusione, questa, non  in
linea con il dettato costituzionale, in base al  quale  la  legge  di
delegazione dovrebbe soddisfare i  previsti  requisiti  di  validita'
«con un atto di volonta', che, volta per volta, sia [...]  diretto  a
disciplinare  la  rimessione  al  Governo  della  disciplina  di  uno
specifico settore». 
    8.2.- Con riguardo, poi, alla censura dell'intero d.lgs.  n.  104
del 2017, per  violazione  del  principio  di  leale  collaborazione,
infondata apparirebbe l'eccezione  di  inammissibilita'  per  mancata
impugnazione della legge delega, formulata  dall'Avvocatura  generale
dello Stato. 
    La  mancata  partecipazione  regionale  nella  forma  dell'intesa
rileverebbe, infatti, non solo come vizio  in  procedendo,  ma  anche
come vizio  sostanziale  di  lesione  del  riparto  delle  competenze
costituzionalmente stabilito, il quale non  e'  nella  disponibilita'
dello Stato e delle Regioni. Di conseguenza, non si potrebbe ritenere
che la mancata impugnazione della legge delega comporti  la  rinuncia
alla competenza: anzi, proprio la circostanza che la concreta lesione
delle  competenze  regionali  si  sia   verificata   solo   all'esito
dell'adozione  del  decreto  legislativo  lascerebbe   impregiudicata
l'impugnabilita' di quest'ultimo. 
    Stante, inoltre, l'intima connessione tra legge delega e  decreto
delegato, resterebbe sempre  offerta  alla  Corte  costituzionale  la
possibilita' di sollevare davanti a se' la questione di  legittimita'
costituzionale della disposizione delegante. 
    Nel merito, la tesi della difesa dello Stato - secondo  la  quale
la disciplina statale accentratrice sarebbe  giustificata  dal  fatto
che  la  direttiva  2014/52/UE,  prevede  regole  dettagliate   delle
procedure di valutazione ambientale, che non ammettono varianti negli
ordinamenti  nazionali  -   non   potrebbe   essere   condivisa.   La
giurisprudenza costituzionale avrebbe, infatti, superato l'originario
assunto secondo il  quale  la  competenza  a  recepire  le  direttive
spetterebbe sempre allo  Stato,  pena  il  rischio  di  procedure  di
infrazione nel caso di inerzia regionale: problema che  risulterebbe,
peraltro, integralmente superato con  l'introduzione  dei  meccanismi
sostitutivi, di cui agli artt. 117,  quinto  comma,  e  120,  secondo
comma, Cost. 
    Il diritto europeo non  potrebbe,  pertanto,  legittimare  alcuna
deroga del riparto costituzionale delle  competenze,  il  quale,  nel
caso considerato, avrebbe postulato l'utilizzo di adeguati  strumenti
cooperativi, visto il concorrente interesse regionale e statale nella
disciplina della materia. 
    9.- Con ricorso notificato il 4-6 settembre 2017 e depositato  il
7 settembre 2017 (reg. ric. n. 66 del 2017), la  Regione  Abruzzo  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi  da  1  a  4,  26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104  del  2017,  identiche  a
quelle formulate dalla Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) e
sorrette dai medesimi argomenti. 
    10.- Costituitosi in giudizio a  mezzo  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, con atto depositato il 13 ottobre  2017,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso  venga  respinto
sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in  riferimento
al richiamato ricorso della Regione Lombardia. 
    11.- Con ricorso notificato il 4 settembre 2017 e depositato  l'8
settembre 2017 (reg. ric. n. 67  del  2017),  la  Regione  Veneto  ha
impugnato: 
    a) l'art. 3, comma 1, lettere g) e h),  del  d.lgs.  n.  104  del
2017, per violazione degli artt.  3,  76,  97,  117,  commi  terzo  e
quarto, 118 e 120 Cost.; 
    b) gli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1  a  4,  e  26,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, per  violazione  degli  artt.
76, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.; 
    c) l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del  2017,  per  violazione  degli
artt. artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost. 
    11.1.- L'art. 3, comma 1,  lettera  g),  sarebbe  invasivo  della
competenza regionale in materia di «protezione civile» e  lesivo  del
principio di leale collaborazione, poiche' non prevede  alcuna  forma
di  partecipazione  delle  Regioni   nell'ambito   del   procedimento
derogatorio, in un ambito di competenza legislativa ripartita. Per la
ricorrente  i  progetti  afferenti  a  situazioni   emergenziali   di
protezione civile sarebbero inevitabilmente collegati  al  territorio
ove  la  situazione  si  e'  verificata,  ritenendo   necessaria   la
partecipazione «istruttoria e/o codecisoria» degli enti  territoriali
«al fine di salvaguardare la stessa ragionevolezza della disposizione
di legge», che altrimenti si porrebbe in contraddizione con l'art.  3
Cost. e con il canone del buon andamento. 
    11.1.1.- La Regione Veneto dubita che la  disposizione  afferisca
alla «tutela dell'ambiente», di  competenza  esclusiva  dello  Stato,
poiche'  essa  farebbe  prevalere  «gli  interessi   afferenti   alla
protezione civile rispetto a quelli  ambientali».  Sul  punto  questa
Corte avrebbe statuito che in presenza di  una  competenza  esclusiva
dello Stato, ove siano  coinvolti  interessi  e  funzioni  regionali,
s'impone una «fisiologica dialettica» tra Stato e Regioni  improntata
alla leale collaborazione (sentenza n. 169 del 2017). 
    La Regione  sarebbe  esautorata  dalla  mancata  distinzione  dei
progetti assoggettati a VIA regionale ovvero  statale  con  l'effetto
che il Ministero dell'ambiente  potrebbe  sottrarre  alla  competenza
delle Regioni la VIA  di  progetti  affidati  alla  propria  potesta'
decisoria,  in  violazione  dell'art.  118  Cost.,  comprimendo   una
competenza amministrativa regionale. 
    11.1.2.- La  disposizione  censurata  modificherebbe  il  riparto
delle competenze in materia di VIA, in contrasto  con  i  principi  e
criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che
vincolerebbe il  legislatore  delegato  a  introdurre  esclusivamente
regole di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione  delle
procedure di valutazione di impatto ambientale. 
    Secondo la Regione  Veneto,  l'ambito  della  delega  legislativa
escluderebbe la disciplina del riparto delle competenze decisorie  in
materia di valutazione di impatto ambientale, contemplando unicamente
gli aspetti procedurali, da modificare  in  ragione  della  rinnovata
disciplina comunitaria. Si configurerebbe un eccesso di  delega,  che
ridonda in  una  lesione  dell'art.  117,  comma  terzo,  Cost.,  con
riguardo  alla  competenza  legislativa  regionale  in   materia   di
«protezione civile», e, al contempo, in  una  lesione  dell'art.  118
Cost.,  in  quanto  opera   una   espropriazione   delle   competenze
amministrative   regionali   in    materia    di    VIA,    delineate
dall'ordinamento. 
    11.2.- E' impugnato anche l'art. 3,  comma  1,  lettera  h),  del
d.lgs. n. 104 del 2017, che ha modificato l'art.  6,  comma  11,  del
d.lgs. n. 152 del  2006.  La  disposizione  prevede:  «[f]atto  salvo
quanto previsto dall'art.  32,  il  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare puo', in  casi  eccezionali,  previo
parere del Ministro dei  beni  e  delle  attivita'  culturali  e  del
turismo, esentare in tutto o in parte  un  progetto  specifico  dalle
disposizioni di cui al titolo III della parte  seconda  del  presente
decreto,  qualora  l'applicazione   di   tali   disposizioni   incida
negativamente sulla finalita' del progetto, a  condizione  che  siano
rispettati gli obiettivi della  normativa  nazionale  ed  europea  in
materia di  valutazione  di  impatto  ambientale.  In  tali  casi  il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: 
    a) esamina se sia opportuna un'altra forma di valutazione; 
    b) mette a disposizione del pubblico  coinvolto  le  informazioni
raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla lettera a), le
informazioni relative alla decisione di esenzione e  le  ragioni  per
cui e' stata concessa; 
    c)  informa  la   Commissione   europea,   prima   del   rilascio
dell'autorizzazione,  dei   motivi   che   giustificano   l'esenzione
accordata fornendo tutte le informazioni acquisite». 
    La  norma  introdurrebbe  un'ulteriore  ipotesi  di  deroga  alla
disciplina generale, senza prevedere  alcun  criterio  direttivo  che
guidi l'autorita' amministrativa in ordine all'an dell'esercizio  del
relativo potere. Il che attesterebbe l'irragionevolezza della norma e
la sua contrarieta' al principio di  legalita'.  Ne'  a  giustificare
tale genericita' si potrebbe addurre il fatto di avere riprodotto una
previsione della direttiva europea, la quale  non  contiene  per  sua
natura, «salvo le rare ipotesi di norme self executing», disposizioni
immediatamente precettive. La disposizione impugnata  altererebbe  il
riparto delle competenze in materia di VIA, senza  che  sia  prevista
alcuna forma di partecipazione, decisoria  o  istruttoria,  da  parte
delle Regioni, in lesione del principio di leale collaborazione. 
    11.2.1.- La violazione degli artt. 76 e 97  Cost.,  alterando  il
riparto di competenze esistente tra Stato e Regioni, ridonderebbe  in
una lesione degli artt. 117, commi  terzo  e  quarto,  e  118  Cost.,
oltreche' del  principio  di  leale  collaborazione,  in  quanto  non
contemplerebbe la partecipazione delle Regioni, nelle ipotesi in  cui
il progetto afferisca ad una materia di competenza  regionale  ovvero
sia assoggettato a VIA regionale. 
    11.3.- Per effetto dell'impugnato art. 5 del d.lgs.  n.  104  del
2017, osserva la ricorrente, il riparto di  competenze  tra  Stato  e
Regioni in materia di VIA e' demandato a quattro allegati che, a loro
volta, sono stati ampiamente modificati dall'art. 22, commi da 1 a 4,
del  medesimo  decreto,  nonche'   dalla   disposizione   abrogatrice
contenuta  nell'art.  26,  comma  1,   lettera   a),   dello   stesso
provvedimento. A seguito di tali disposizioni, si e'  realizzata  una
complessiva redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni,  le
quali non sono piu' competenti in materia di VIA  ed  in  materia  di
verifica di assoggettabilita' a VIA  per  una  consistente  serie  di
tipologie progettuali che vengono analiticamente passate in rassegna.
Il legislatore delegato, dunque, avrebbe provveduto a modificare, non
soltanto  le  procedure  inerenti   alla   valutazione   di   impatto
ambientale, al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE,  ma
avrebbe anche disposto una complessiva  ristrutturazione  del  quadro
delle competenze decisorie in materia. 
    Una simile operazione normativa  -  deduce  la  ricorrente  -  si
porrebbe in contrasto con i  principi  e  criteri  direttivi  dettati
dall'art. 14 della legge delega n.  114  del  2015,  riguardando  gli
stessi   solo   aspetti   di   armonizzazione,   semplificazione    e
razionalizzazione  delle  procedure,  senza  che  il  Governo   fosse
autorizzato ad alterare il riparto di competenze esistenti tra  Stato
e Regioni. 
    Il denunciato vizio di eccesso di delega si riverbererebbe  anche
in una lesione delle  competenze  amministrative  della  Regione,  in
violazione dell'art. 118 Cost., essendo state sottratte alle  Regioni
le potesta' decisorie di cui godevano in materia. 
    Ancorche' la  tutela  dell'ambiente  sia  materia  di  competenza
esclusiva  dello  Stato,  le  modifiche  apportate   alla   normativa
previgente avrebbero richiesto l'ordinario procedimento legislativo o
specifiche direttive in tal senso: il che avrebbe  salvaguardato,  in
sede parlamentare, la normale dialettica democratica tra  maggioranza
e opposizione. L'utilizzo "improprio" del potere legislativo  avrebbe
dunque integrato una violazione degli artt. 76 Cost., in uno con  gli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. 
    Per  altro  verso,  coinvolgendo  la   riforma   anche   numerose
competenze regionali (energia, trasporto, viabilita'  e,  in  genere,
salute) sarebbe stato necessario prevedere  un  coinvolgimento  delle
autonomie  locali  attraverso  «un'intesa  in  sede   di   conferenza
intergovernativa», secondo  quanto  avrebbe  affermato  questa  Corte
nella sentenza n.  251  del  2016,  con  conseguente  violazione  del
principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120  Cost.  Vizio,
questo, che non resterebbe confinato solo all'interno della legge  di
delega, ma si proietterebbe anche sul  decreto  delegato,  in  quanto
lesivo delle attribuzioni regionali. 
    11.4.- L'art. 21 del d.lgs. n.  104  del  2017,  nello  stabilire
disposizioni in tema  di  tariffe  da  applicare  ai  proponenti,  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, quarto comma,  118  e
119 Cost., nonche' con il principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost.,  in  quanto  non  e'  prevista  alcuna  forma  di
partecipazione, neppure  consultiva,  delle  autonomie  territoriali,
malgrado il novellato art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  consenta
alle Regioni ed alle Province autonome di  disciplinare  con  proprie
leggi o regolamenti l'organizzazione  e  le  modalita'  di  esercizio
delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia  di  VIA.
Le  peculiarita'  procedurali  derivanti  dalla  normativa  regionale
renderebbero,  per  converso,  necessaria  una  consultazione   delle
Regioni stesse  nella  determinazione  delle  tariffe  concernenti  i
procedimenti VIA di loro competenza. 
    Da  cio'  deriverebbe  la  lesione   del   principio   di   leale
collaborazione  e  la  irragionevolezza   di   una   disciplina   che
«attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto senza  prevedere
adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorita' competenti
a  disciplinare  il  relativo   procedimento   e   i   suoi   aspetti
organizzatori». Irragionevolezza, soggiunge  la  Regione  ricorrente,
che ridonderebbe in una lesione dell'autonomia legislativa in materia
di organizzazione  amministrativa,  prevista  dall'art.  117,  quarto
comma, Cost., nonche' in una lesione dell'autonomia amministrativa di
cui all'art. 118 Cost., e dell'autonomia finanziaria di cui  all'art.
119 Cost., posto che le valutazioni amministrative e  finanziarie  in
materia di VIA vengono ad essere condizionate  dalla  remunerativita'
delle tariffe stabilite unilateralmente dallo Stato. 
    Si osserva,  infine,  che  la  partecipazione  delle  Regioni  al
processo decisionale, potendo comportare semplificazioni procedurali,
potrebbe determinare risparmi di spesa, con  la  conseguenza  che  la
mancanza di tale partecipazione finirebbe per tradursi  anche  in  un
inutile aggravio di  spese  con  violazione  del  principio  di  buon
andamento dell'agire pubblico. 
    12.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si e' costituito il  13
ottobre 2017 chiedendo il rigetto del ricorso. 
    12.1.- La difesa statale eccepisce l'infondatezza  della  censura
di cui all'impugnato art. 3,  comma  l,  lettera  g),  reiterando  le
medesime argomentazioni fatte proprie per avversare i  ricorsi  delle
Regioni Lombardia e Abruzzo, quanto alla violazione del riparto delle
competenze e del principio di leale collaborazione. 
    12.2.- Eccepisce altresi' la non fondatezza della censura di  cui
all'art. 3,  comma  l,  lettera  h),  che  conferirebbe  al  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere,  in
casi eccezionali, di esentare un progetto specifico dall'applicazione
delle disposizioni di cui al Titolo III della Parte II del d.lgs.  n.
152 del 2016. 
    L'infondatezza  si   evincerebbe   dalla   richiamata   direttiva
2014/52/UE, in base alla quale  «puo'  risultare  opportuno  in  casi
eccezionali  esonerare  un  progetto  specifico  dalle  procedure  di
valutazione  previste  dalla  presente  direttiva,  a  condizione  di
informare adeguatamente la Commissione e  il  pubblico  interessato»;
l'art. 2, paragrafo 4, della direttiva disporrebbe che «[f]atto salvo
l'articolo 7, gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare
in tutto o in parte un progetto specifico  dalle  disposizioni  della
presente  direttiva,  qualora  l'applicazione  di  tali  disposizioni
incida negativamente sulla finalita' del progetto, a  condizione  che
siano rispettati gli obiettivi della presente direttiva. In tali casi
gli Stati membri: a) esaminano se sia  opportuna  un'altra  forma  di
valutazione; b) mettono a  disposizione  del  pubblico  coinvolto  le
informazioni raccolte con le altre forme di valutazione di  cui  alla
lettera a), le informazioni relative alla decisione di esenzione e le
ragioni per cui e' stata concessa; c) informano la Commissione, prima
del  rilascio  dell'autorizzazione,  dei  motivi   che   giustificano
l'esenzione accordata e le forniscono  le  informazioni  che  mettono
eventualmente a disposizione, ove necessario, dei  propri  cittadini.
[...]». 
    A parere del  resistente,  il  legislatore  delegato  si  sarebbe
avvalso di una facolta' concessa dalla norma europea. La  fattispecie
di esenzione atterrebbe «alla  disciplina  giuridica  della  VIA»,  e
rientrerebbe in modo univoco «nella competenza esclusiva dello  Stato
sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». 
    12.2.1.-  Non  fondati  sarebbero  anche  i  rilievi  che   fanno
riferimento ai principi di ragionevolezza e di legalita'. 
    Il  potere  ministeriale  di  esenzione  sarebbe  circondato   da
rigorose garanzie, sia di tipo sostanziale sia di  tipo  procedurale.
Sul piano sostanziale la  norma  non  si  limiterebbe  a  legittimare
l'esercizio in casi eccezionali,  ma  richiederebbe  una  valutazione
circa gli effetti negativi che potrebbero discendere in  ordine  alle
finalita' del progetto, esigendo che siano rispettati  gli  obiettivi
della direttiva. Sotto il profilo  procedurale  il  Ministro  sarebbe
chiamato ad esaminare l'opportunita' di un'altra forma di valutazione
e si prefigurerebbero obblighi informativi nei confronti del pubblico
coinvolto  e   (prima   del   rilascio   dell'autorizzazione)   della
Commissione europea. La scelta del legislatore delegato di riprodurre
la previsione europea senza ulteriori aggiunte, dunque, discenderebbe
dalla constatazione che  essa  gia'  circostanzia  a  sufficienza  il
potere di esenzione. 
    12.3.- Con riguardo agli impugnati artt. 5, comma 1, 22, commi da
1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), infondata risulterebbe  la  censura
di eccesso di delega,  in  quanto  la  revisione  dell'assetto  delle
competenze amministrative e la riallocazione delle stesse ai  diversi
livelli territoriali di governo risponderebbero appieno ai criteri di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e
di rafforzamento della qualita' della procedura di VIA,  in  sinergia
con altre normative e  politiche  nazionali  ed  europee,  quali,  in
particolare, quelle energetiche ed infrastrutturali. 
    Non sarebbe poi fondato il rilievo secondo il quale, in base alla
sentenza n. 251 del 2016, la  legge  di  delegazione  avrebbe  dovuto
prevedere  l'intesa  con  le  Regioni,  in  quanto  -  a   differenza
dell'ipotesi allora scrutinata da questa Corte - nella specie non  e'
dato intravedere un «intreccio inestricabile» con materie  regionali,
dal momento che le  norme  che  riguardano  la  VIA  rientrano  nella
competenza esclusiva statale  in  tema  di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema». D'altra parte, l'art. 12 del d.lgs. n. 104 del 2017
ha previsto, novellando l'art. 23 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  il
necessario coinvolgimento della Regione e di tutte le amministrazioni
potenzialmente interessate, mentre l'art.  6  del  decreto  impugnato
prevede che all'attivita' istruttoria della  Commissione  tecnica  di
verifica dell'impatto ambientale partecipi un esperto designato dalle
Regioni e dalle Province autonome interessate alla realizzazione  del
progetto oggetto di procedura VIA. Previsioni, quelle citate, con  le
quali   il   legislatore   statale   avrebbe   adempiuto    all'onere
collaborativo in considerazione  della  "incidenza"  che  l'esercizio
delle  funzioni  di  valutazione  di  impatto  ambientale  presentano
rispetto all'esercizio di funzioni regionali. 
    12.4.- Sarebbero infondate anche le censure riguardanti l'art. 21
del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    Tale norma, infatti, si e' limitata  a  sostituire,  in  tema  di
tariffe applicabili  nei  confronti  dei  proponenti,  esclusivamente
l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152  del  2006,  mentre  lascerebbe
inalterate le competenze regionali dettate dal comma 2  dello  stesso
articolo. Il comma 1 novellato, quindi, introdurrebbe solo una  norma
di principio, relativa ai criteri da applicare per la  determinazione
delle  tariffe,  valida  sia  per  la  VIA  statale  che  per  quella
regionale, mentre il rinvio ad un decreto del Ministro  dell'ambiente
per  la  definizione  in   concreto   delle   tariffe   riguarderebbe
esclusivamente  la  VIA  statale.  Cio'  emergerebbe  con  chiarezza,
sostiene l'Avvocatura generale dello Stato, proprio dal citato  comma
2 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, che affida alle Regioni  e
alle Province autonome la possibilita' di  definire  concretamente  i
profili tariffari. 
    13.- La Regione  Veneto  ha  depositato  memoria,  con  la  quale
insiste nelle censure, contestando la fondatezza dei  rilievi  svolti
dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  sia  a  proposito   della
conformita' del decreto legislativo all'art. 76 Cost., sia in  merito
al  fatto  che  la  competenza  esclusiva  dello  Stato  in   materia
ambientale renderebbe prive di fondamento doglianze regionali. 
    14.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 4
settembre 2017 e depositato l'8 settembre 2017 (reg. ric. n.  68  del
2017), ha  promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale  del
d.lgs. n. 104 del 2017, nella sua interezza,  e  in  subordine  degli
artt. 5, comma 1, 8, 16, commi 1 e 2, 22, commi da 1 a 4,  23,  comma
4, 24 e 26, comma 1, lettera a),  in  quanto  riferibili  anche  alle
Province  autonome,  deducendo  la  violazione  di   vari   parametri
costituzionali e statutari. 
    14.1.- Un primo gruppo di tre censure coinvolge l'intero decreto,
per eccesso di delega prospettato sotto vari profili. 
    Si deduce, anzitutto, che il decreto delegato sarebbe illegittimo
perche'  adottato  oltre  il  termine  prescritto  dalla   legge   di
delegazione e, quindi, in  violazione  dell'art.  76  Cost.,  nonche'
dell'art. 77 Cost.  L'adozione  del  decreto  legislativo  a  termine
scaduto, infatti, costituirebbe violazione del divieto per il Governo
di adottare atti  aventi  forza  di  legge  senza  delegazione  delle
Camere, salvi i casi di straordinaria necessita' ed urgenza. 
    Si osserva, al riguardo, che il decreto legislativo impugnato  e'
stato emanato il 16 giugno 2017, ed e' quindi con riferimento a  tale
data che deve essere valutata - a norma dell'art. 14, comma 2,  della
legge n.  400  del  1988  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e
ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri)  -  la
tempestivita' dell'atto rispetto al termine fissato  dalla  legge  di
delegazione. Tale termine, individuato dall'art. 1,  comma  2,  della
legge n. 114 del 2015, deve infatti ritenersi scaduto il  16  gennaio
2017. Cio' in quanto quel termine risulta fissato con rinvio all'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,  il  quale,  a  sua  volta,
dispone che «in relazione alle deleghe legislative conferite  con  la
legge di delegazione europea per il recepimento delle  direttive,  il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
antecedenti a  quello  di  recepimento  indicato  in  ciascuna  delle
direttive». Considerato che l'art. 2 della direttiva 2014/52/UE fissa
il termine per il proprio recepimento al 16 maggio  2017,  la  delega
sarebbe scaduta quattro mesi prima e cioe' il 16 gennaio 2017. 
    E' ben vero, si osserva, che l'art. 31, comma 1, della  legge  n.
234 del 2012 fissava il termine in origine in «due mesi antecedenti a
quello di recepimento indicato in ciascuna  delle  direttive»  e  che
tale disposizione e' stata modificata, portando il termine a  quattro
mesi, con l'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015,
n. 115, successiva all'entrata in vigore della legge  delega  n.  114
del 2015. Ma il rinvio non puo' che intendersi operato alla fonte nel
suo  complesso,  risultando  comprensivo,  quindi,  delle   eventuali
modifiche successivamente apportate alla stessa. Cio'  in  linea  con
quanto affermato da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 2014, ove
si afferma che il  rinvio  si  presume  formale  e  mobile,  anziche'
materiale o recettizio, salvo che risulti una contraria volonta'  del
legislatore o il rinvio recettizio sia desumibile da elementi univoci
e concludenti. Si richiama,  a  proposito  della  necessita'  che  il
legislatore delegato tenga conto dei mutamenti del  quadro  normativo
entro cui si colloca la legislazione delegata, anche la  sentenza  n.
219 del 2013. 
    Tuttavia, soggiunge il ricorrente, anche a voler considerare come
recettizio il rinvio, il termine sarebbe comunque scaduto il 16 marzo
2017, in quanto il rinvio "secco" e recettizio al comma  1  dell'art.
31 della legge n.  234  del  2012  escluderebbe  la  possibilita'  di
proroga prevista dal comma 3 dello stesso articolo. Il fatto  che  il
Governo abbia preteso di giovarsi della proroga starebbe  peraltro  a
significare che lo stesso Consiglio dei ministri ha  interpretato  il
rinvio come di tipo dinamico, «cioe' come rinvio  alla  fonte  e  non
come rinvio alla norma fissata una volta per  tutte  nel  tempo».  La
conseguenza  sarebbe,  in  ogni   caso,   quella   della   tardivita'
dell'esercizio della delega. 
    Poiche' il decreto impugnato  e'  riduttivo  delle  competenze  e
delle prerogative  della  Provincia  autonoma,  la  violazione  degli
indicati  parametri   ridonderebbe   in   lesione   della   autonomia
provinciale (si richiamano, al riguardo, la gia' citata  sentenza  n.
219 del 2013 e la sentenza n. 303 del 2003). 
    14.2.-  In  subordine,  la   Provincia   ricorrente   deduce   la
illegittimita'  dell'intero   decreto   legislativo   impugnato   per
violazione delle procedure stabilite dall'art. 1, commi 1 e 3,  della
legge delega n. 114 del 2015, nonche' dall'art. 31,  comma  3,  della
legge n. 234 del  2012,  lamentando  conseguentemente  la  violazione
degli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., e, in  linea  ulteriormente
subordinata, del principio di leale collaborazione. 
    Anche, infatti, a voler ritenere -  contro  il  tenore  letterale
della disposizione di delega e il supposto carattere  recettizio  del
rinvio da essa operato - che possa trovare applicazione nella  specie
la proroga prevista dal comma 3 dell'art. 31 della legge n.  234  del
2012, l'emanazione del decreto impugnato sarebbe affetta da un  vizio
di procedura sub specie di "abuso del procedimento". 
    Interpretando il rinvio contenuto nell'art.  1,  comma  2,  della
legge n. 114 del 2015 come rinvio fisso, il termine  per  l'esercizio
della delega doveva ritenersi scaduto nei  due  mesi  antecedenti  il
termine previsto per il recepimento della direttiva, e  cioe'  il  16
marzo 2017. L'ultimo giorno utile per l'esercizio  della  delega,  il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto alle competenti commissioni
parlamentari all'evidente  fine  di  far  operare  il  meccanismo  di
proroga di cui all'art. 31, comma 3, terzo periodo,  della  legge  n.
234 del 2012,  ove  si  stabilisce  che  «[q]ualora  il  termine  per
l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero
i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta  giorni
che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o
5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi». 
    In questo modo, il Governo avrebbe violato  la  delega  sotto  un
diverso profilo. L'art. 1, comma 3,  della  legge  n.  114  del  2015
prevedeva, infatti,  che  gli  schemi  dei  decreti  attuativi  delle
direttive comprese nell'Allegato B, e dunque  anche  della  direttiva
2014/52/UE, dovessero essere trasmessi,  «dopo  l'acquisizione  degli
altri pareri previsti dalla legge», alle Camere per l'espressione del
parere dei  competenti  organi  parlamentari.  Disposizione,  questa,
peraltro analoga a quella dettata dall'art. 31, comma 3, della  legge
n. 234 del 2012. Dunque,  il  Governo  avrebbe  dovuto  acquisire  il
previo parere della Conferenza Stato-Regioni, obbligatorio in  ordine
agli schemi di decreto legislativo nelle materie di competenza  delle
Regioni o delle Province autonome, in ragione dell'art. 2,  comma  3,
del decreto legislativo  28  agosto  1997,  n.  281  (Definizione  ed
ampliamento delle attribuzioni  della  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
Bolzano ed unificazione, per le materie ed  i  compiti  di  interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la  Conferenza
Stato - citta' ed autonomie locali). 
    Alla Conferenza Stato-Regioni lo schema di decreto legislativo e'
stato peraltro trasmesso,  per  il  prescritto  parere,  soltanto  lo
stesso giorno (16 marzo 2017). In quella data, dunque, lo  schema  di
decreto  non  avrebbe  potuto  essere  trasmesso   alle   Commissioni
parlamentari, proprio perche' non preceduto dai pareri previsti dalla
legge, fra i quali va annoverato  quello  della  indicata  Conferenza
Stato-Regioni. 
    Tale inversione dell'ordine dei pareri costituirebbe,  anzitutto,
violazione della previsione a tal proposito dettata  dalla  legge  di
delega e, al tempo stesso, rimedio strumentale al fine  di  ottenere,
in violazione della stessa legge di delega, la proroga del termine di
esercizio della delega legislativa, eludendo anche il termine per  il
recepimento della direttiva comunitaria, fissato al 16  maggio  2017,
con correlativa violazione,  sotto  questo  profilo,  dell'art.  117,
primo comma,  Cost.,  oltre  che  dell'art.  76  della  stessa  Carta
costituzionale. 
    In ulteriore subordine, la ricorrente denuncia che attraverso  la
censurata inversione dell'ordine dei pareri si sarebbe realizzata una
violazione del principio di leale  collaborazione  sancito  dall'art.
120, secondo comma, Cost. 
    Tutte le segnalate violazioni  ridonderebbero  in  lesioni  delle
prerogative  costituzionali  della  Provincia  autonoma,  in   quanto
l'omessa   previa   acquisizione   del   parere   della    Conferenza
Stato-Regioni  avrebbe  impedito  alle  Commissioni  parlamentari  di
prendere cognizione delle posizioni delle Regioni e Province autonome
ed esprimersi sulle relative osservazioni. 
    14.3.- Viene poi denunciata l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del
d.lgs. n. 104 del 2017, se ed in  quanto  applicabili  alle  Province
autonome. 
    Per effetto di tali disposizioni una lunga serie di  funzioni  di
competenza provinciale,  anche  per  disposto  statutario,  sarebbero
state avocate alla competenza dello Stato. 
    Il d.lgs. n. 104 del 2017 non  contiene,  d'altra  parte,  alcuna
clausola di salvaguardia delle competenze delle  autonomie  speciali,
nonostante la stessa fosse stata  richiesta  tanto  dalla  Conferenza
Stato-Regioni  nel  parere  reso  il  4  maggio  2017,  quanto  dalle
Commissioni  affari  costituzionali  e  ambiente  della  Camera   dei
deputati e dalle Commissioni del Senato. 
    Le disposizioni impugnate hanno inoltre operato  con  la  tecnica
della novella, modificando la disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006 e
gli Allegati alla Parte II, rispettivamente intitolati  «Progetti  di
competenza delle regioni e delle province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di
competenza delle regioni e delle province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano». Le Province risultano,  inoltre,  espressamente  menzionate
nei commi 5, 7, 8 e 9 del nuovo art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n.  104  del  2017.
Tutto lascerebbe supporre, dunque, che le norme censurate  pretendano
di applicarsi anche alla Provincia autonoma ricorrente. 
    Cio' posto, la Provincia autonoma di Trento osserva che l'effetto
combinato degli artt. 5, comma 1, che ridefinisce  le  competenze  in
materia di VIA e di verifica di assoggettabilita'  a  VIA,  dell'art.
22, che modifica gli Allegati alla Parte II del  d.lgs.  n.  152  del
2006, e dell'art. 26, comma 1, lettera a),  del  d.lgs.  n.  104  del
2017, il quale dispone le correlative abrogazioni delle  disposizioni
anteriormente vigenti in materia, e' quello  di  avocare  allo  Stato
competenze relative a  progetti  -  dei  quali  il  ricorso  fornisce
analitica indicazione - che rientrerebbero sicuramente in materie  di
competenza legislativa, e conseguentemente  amministrativa  (art.  16
dello Statuto), della Provincia autonoma. 
    Le materie interessate sarebbero, in specie: 
    - la  produzione,  trasporto  e  distribuzione  dell'energia,  di
competenza concorrente ai sensi dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,
combinato con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; 
    - i porti lacuali, di competenza primaria (art. 8, n.  11,  dello
statuto  speciale),  e  piu'  in  generale  i  porti,  di  competenza
concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10 della legge cost.
n. 3 del 200l); 
    - il turismo, di  competenza  primaria  (art.  8,  n.  20,  dello
statuto speciale), o se piu' favorevole di competenza residuale (art.
117, quarto comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001); 
    - la «viabilita',  acquedotti  e  lavori  pubblici  di  interesse
provinciale»  e  le   «comunicazioni   e   trasporti   di   interesse
provinciale», di potesta' primaria  (art.  8,  numeri  17  e  18  del
richiamato statuto speciale); 
    - le miniere e cave (art. 8, n. 14, dello statuto speciale); 
    - gli aeroporti,  di  competenza  concorrente  (art.  117,  terzo
comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001). 
    Tali   progetti   intersecherebbero,   inoltre,   le   competenze
provinciali in materia di urbanistica e piani regolatori (art. 8,  n.
5, dello statuto speciale) e di tutela del paesaggio (art. 8,  n.  6,
dello statuto speciale), e -  in  rapporto  proprio  ai  profili  che
attengono alla VIA e alla verifica di assoggettabilita'  a  VIA  -  i
titoli su cui si radica  la  competenza  provinciale  in  materia  di
ambiente, e dunque, oltre alle materie appena citate, quelle in punto
di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali  (art.  8,
n. 13, dello  statuto  speciale),  protezione  civile,  apicultura  e
parchi (art. 8, n. 16, dello statuto speciale), agricoltura (art.  8,
n. 21, dello statuto speciale), igiene e  sanita'  (art.  9,  n.  10,
dello statuto speciale), ora tutela della  salute  (art.  117,  terzo
comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del  2001)  e  utilizzazione
delle acque  pubbliche  (art.  9,  n.  9,  dello  statuto  speciale).
Nell'ambito di queste materie, le competenze amministrative anche  in
tema  di  VIA  e  di  verifica  di  assoggettabilita',  sarebbero  di
spettanza provinciale, a norma dell'art. 16  dello  statuto  speciale
regionale. 
    14.3.1.- La ricorrente denuncia, al riguardo, anzitutto il  vizio
di eccesso di delega (art. 76 Cost.), sotto  i  profili  dell'assenza
nella legge delega di un principio che  autorizzi  l'avocazione  allo
Stato di una serie di funzioni gia' esercitate dalle Regioni e  dalle
Province autonome, e della violazione dei principi dettati  dall'art.
32 della legge n. 234 del 2012. 
    Viene sottolineato come il d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto  della
novella legislativa censurata, fosse stato emanato sulla base di  una
legge  delega  che  prevedeva   espressamente   il   rispetto   delle
attribuzioni delle Regioni e degli enti  locali  e  faceva  salvo  il
rispetto degli statuti e delle relative  disposizioni  di  attuazione
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di  Trento
e di Bolzano (art. 1, comma 8, della legge 15 dicembre 2004, n.  308,
recante «Delega al  Governo  per  il  riordino,  il  coordinamento  e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e  misure  di
diretta applicazione»). 
    Il riparto delle competenze tra  Stato  e  autonomie  locali  non
avrebbe potuto, dunque, essere  toccato  in  assenza  di  un  diverso
indirizzo parlamentare che, nella specie, ha fatto difetto. 
    Nel caso di specie, inoltre, la delega  era  stata  conferita  al
limitato fine di attuare una direttiva  europea  che,  a  sua  volta,
nulla dice in punto di competenze, posto che il  considerando  n.  37
prende atto  delle  diverse  «strutture  istituzionali»  degli  Stati
membri, autorizzandoli a «designare piu'  autorita'»  in  materia  di
VIA. 
    L'intervento sui rapporti di competenza tra Stato e  Regioni  non
poteva ritenersi ricompreso, ancora, in alcuno dei principi e criteri
direttivi enunciati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che non
coinvolgevano il riparto delle competenze istituzionali. Dovevano  al
contrario osservarsi i criteri generali fissati dall'art.  32,  comma
1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, che impongono, quando  si
verifichino sovrapposizioni di  competenze  tra  amministrazioni  «il
rispetto   dei   principi   di   sussidiarieta',    differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze  delle  regioni  e
degli altri enti territoriali». 
    14.3.2.- Viene dedotta anche la  violazione  degli  artt.  8  (in
particolare, numeri 1, 3, 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 20 e  21),  9
(in particolare, numeri  3,  9,  e  10)  e  16  dello  statuto  della
Provincia autonoma e degli artt. 117, terzo e quarto  comma,  e  118,
primo comma, Cost., nonche', ulteriormente, l'eccesso di  delega  per
mancanza di intesa costituzionalmente necessaria. 
    La ricorrente rileva, in ordine alla  denunciata  sottrazione  di
competenze amministrative, che quelle  conferite  dallo  statuto  non
possono formare oggetto di chiamata in  sussidiarieta',  vigendo  per
esse il principio del parallelismo di cui all'art. 16  dello  statuto
speciale regionale, mentre per quelle  derivanti  dalla  Costituzione
mancherebbero i presupposti ai quali la giurisprudenza costituzionale
subordina la chiamata in sussidiarieta'. 
    L'apprezzamento delle  esigenze  unitarie  compiuto  dal  decreto
delegato non sarebbe, infatti, ne'  ragionevole,  ne'  proporzionato,
essendo state allocate presso lo  Stato  un  numero  elevatissimo  di
funzioni gia' esercitate dalle Regioni  e  dalle  Province  autonome.
Mancherebbe,  poi,  il  requisito  dell'accordo  con   le   autonomie
regionali, essendo stata operata detta allocazione, senza una  previa
intesa ed anzi col dissenso della Provincia autonoma di Trento. 
    Il che, oltre a violare il  principio  di  leale  collaborazione,
implicherebbe anche un vizio di eccesso di delega, dal  momento  che,
nel caso di specie, la legge di delega doveva ritenersi integrata  da
un limite implicito che imponeva l'acquisizione  della  intesa,  alla
luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
251 del 2016, con riguardo al caso di  intreccio  di  competenze  non
risolubile con il criterio della  prevalenza,  e  ancor  prima  dalla
sentenza n. 303 del 2003, per la chiamata in sussidiarieta'. 
    14.4.- Si denuncia, poi, l'illegittimita' costituzionale del solo
art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104  del  2017,  nella  parte  in  cui
introduce i commi 7, 8 e 9 dell'art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del
2006. 
    In particolare, il comma 7  impone  alla  Provincia  autonoma  di
regolare le proprie procedure in materia di  VIA  o  di  verifica  di
assoggettabilita' a VIA in conformita' a varie disposizioni novellate
del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  tutte  di   estremo   dettaglio   e
autoapplicative; il comma 8 ribadisce tali obblighi di conformazione,
vincolando la potesta' delle Regioni e  delle  Province  autonome  di
regolare l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle  funzioni
in materia di  VIA  al  rispetto  di  quanto  previsto  nel  medesimo
decreto, con la sola possibilita' di  introdurre  regole  particolari
per specifici aspetti; il comma 9 viene contestato in  quanto,  nello
stabilire  obblighi  informativi,  fa   riferimento   alle   Province
autonome, confermando cosi' che la disciplina in questione si rivolge
anche ad esse. 
    Si tratta  di  oggetti  -  sottolinea  la  ricorrente  -  che  la
Provincia  autonoma  di  Trento  ha   gia'   organicamente   regolato
nell'ambito della propria autonomia legislativa,  mediante  la  legge
provinciale 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale
della  valutazione  dell'impatto  ambientale.   Modificazioni   della
legislazione in materia  di  ambiente  e  territorio  e  della  legge
provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del
sistema economico e delle famiglie)», con la quale ha dato esecuzione
alla direttiva 2011/92/UE, concernente la  VIA.  Competenza,  questa,
mai contestata dallo Stato, che aveva, anzi, introdotto una specifica
clausola di salvaguardia per le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le
Province autonome nell'art. 35, comma 2-bis, del d.lgs.  n.  152  del
2006, conformemente, come gia' osservato, a  quanto  stabilito  dalla
relativa legge delega. Clausola che, secondo la ricorrente,  dovrebbe
ritenersi ancora operante, in quanto le norme oggetto di censura sono
state inserite, con la tecnica della novellazione, proprio nel  corpo
dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, mentre, al contrario,  le  norme
qui  contestate  sono  state  espressamente  rivolte  alle   Province
autonome. 
    Risulterebbe pertanto violato l'art. 8  dello  statuto  speciale,
relativo alla potesta' primaria di autoorganizzazione comprensiva del
procedimento di VIA, competenza da tempo esercitata,  in  conformita'
all'art. 19-bis del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in  materia
di urbanistica ed opere pubbliche), ove e'  espressamente  menzionata
la VIA, anche per le opere soltanto delegate. E' ovvio,  sostiene  la
ricorrente, che, a maggior ragione, quelle  funzioni  sono  riservate
alla Provincia autonoma nell'ambito delle materie che statutariamente
sono attribuite alla competenza legislativa provinciale. Non potrebbe
al riguardo venire in discorso la  competenza  esclusiva  statale  in
tema di ambiente, a norma dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s)
Cost., in quanto l'incisione delle  materie  statutarie  e'  preclusa
dalla clausola di maggior favore prevista dall'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001. 
    Si deduce, inoltre, la violazione dell'art.  117,  quinto  comma,
Cost., che sancisce, in generale, il potere delle  Province  autonome
di  dare  immediata  attuazione  alle  raccomandazioni  e   direttive
comunitarie nelle materie di competenza esclusiva,  salvo  adeguarsi,
nei limiti statutari, alle leggi statali  di  attuazione  degli  atti
comunitari. Tale potere e' ribadito dalla legge di attuazione n.  234
del 2012, che fa salve, per le Regioni a statuto speciale  e  per  le
Province autonome,  le  previsioni  dettate  dai  rispettivi  statuti
speciali e le relative norme di attuazione. Sicche'  le  disposizioni
censurate verrebbero a sovrapporsi alla disciplina provinciale, senza
che ricorrano le ipotesi sostitutive previste dall'art. 41, comma  1,
della stessa legge n. 234 del 2012. 
    Sarebbero  violati  anche   gli   artt.   3   e   97   Cost.   La
dettagliatissima disciplina statale, infatti, sarebbe  sproporzionata
nell'assicurare uniformita' all'attuazione della  direttiva  europea;
mentre la prescrizione di un modello unitario coinvolgerebbe anche il
principio di buon andamento della amministrazione,  che  risulterebbe
leso  anche  perche'  appare  irrazionale  -  e  fonte   di   cattiva
amministrazione - consentire una legislazione locale se  questa  deve
essere meramente riproduttiva di quella nazionale. Violazioni, quelle
denunciate,  che  ridonderebbero  sulle  competenze  provinciali,  in
quanto atte a comprimere le competenze statutarie  nelle  materie  di
competenza provinciale, gia' passate in rassegna. 
    14.4.1.- In ulteriore subordine, la ricorrente  fa  presente  che
ove la Corte costituzionale accogliesse le censure relative  all'art.
5, essa non sarebbe tenuta ad adeguarsi agli artt. da 19 a  26  e  da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, se non nei limiti di cui allo
statuto speciale. 
    In caso contrario, la Provincia autonoma impugna l'art. 8,  nella
parte in cui introduce l'art. 19 nel d.lgs. n. 152 del 2006, e l'art.
16, comma 2, nella parte in cui introduce l'art. 27-bis nel  medesimo
decreto. 
    14.4.1.1.- L'art. 8 disciplinerebbe analiticamente lo svolgimento
del procedimento  di  verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA  (dalle
modalita' di trasmissione dello studio preliminare alle modalita'  di
pubblicazione, alla istruttoria,  ai  termini  del  procedimento,  ai
modi, ai tempi e ai limiti delle possibilita' di  interlocuzione  con
gli interessati). 
    14.4.1.2.- L'art. 16, comma 2, e' impugnato nell'ipotesi  che  la
disposizione da esso introdotta sia vincolante e/o applicabile  anche
alle Province autonome,  come  sembrerebbe  indicare  il  nuovo  art.
7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9 (in senso  contrario  potrebbero
deporre  l'art.  7-bis,  comma  7,  secondo  periodo,  per  cui   «il
procedimento  di  VIA  di  competenza  regionale  si  svolge  con  le
modalita' di cui  all'art.  27-bis»,  e  lo  stesso  testo  dell'art.
27-bis, a partire dalla sua intitolazione, che non cita  le  province
autonome). Esso recherebbe una  disciplina  «ugualmente  analitica  e
minuziosa» del procedimento di VIA di competenza regionale. 
    Le disposizioni sarebbero invasive delle competenze primarie,  di
cui agli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale, in base ai quali  la
Provincia  autonoma  ricorrente  avrebbe  una  potesta'  primaria  di
auto-organizzazione, comprensiva della disciplina del procedimento di
VIA;  tali  disposizioni,  inoltre,  stabilirebbero   le   competenze
legislative e le funzioni amministrative provinciali,  le  quali,  in
virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n.  3  del
2001, non dovrebbero essere incise dalla competenza esclusiva statale
in materia di ambiente. 
    Attraverso le norme censurate si produrrebbe altresi' la  lesione
della competenza provinciale a dare attuazione al diritto dell'Unione
europea, riconosciuta dall'art.  117,  quinto  comma,  Cost.  Sarebbe
violato anche il principio  direttivo  che  limita  l'intervento  del
legislatore delegato alla «armonizzazione»  delle  procedure,  e  non
consentiva, pertanto, la loro totale uniformita'. 
    14.4.1.3.- Per corrispondenti  ragioni  risulterebbe  illegittimo
(ove  applicabile  anche  alla  Provincia  ricorrente),  l'art.   24,
sostitutivo dell'art. 14, comma 4, della richiamata legge n. 241  del
1990. 
    Secondo  la  ricorrente,   solo   formalmente   il   procedimento
atterrebbe alla VIA, dal momento che interviene su ogni profilo di un
progetto, costretto nelle modalita' specifiche  della  conferenza  di
servizi  disciplinata  dalla  legislazione  statale  anziche'   dalla
disciplina provinciale, con interi ambiti di materia  sottratti  alla
disciplina regionale. In altre parole, la  disciplina  statale  della
conferenza  di  servizi  non   opererebbe   come   limite   verticale
all'interno  della  materia,  ma  come   diretta   disciplina   della
fattispecie, sottratta alla disciplina provinciale. 
    Evidente sarebbe altresi' la violazione dell'art. 2  del  decreto
legislativo 16 marzo 1992 n. 266 (Norme di attuazione  dello  statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto  tra  gli
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'  la
potesta' statale di indirizzo e  coordinamento),  che  vieterebbe  la
sostituzione  di  discipline  statali  alle  discipline  provinciali,
ponendo invece il rispettivo rapporto nei termini  di  un  dovere  di
adeguamento, limitato dalle regole statutarie e presidiato da  questa
Corte.  Anche  questa  censura  e'  formulata  dalla  ricorrente  per
l'ipotesi che tale disposizione si dovesse ritenere applicabile  alle
Province  autonome,  nonostante  essa  menzioni  solo   progetti   di
competenza regionale (e non provinciale), sia perche'  essa  verrebbe
immessa nella legge n. 241 del 1990, che contiene, all'art. 29, comma
2-quinquies, la clausola di garanzia per cui «le  regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e di  Bolzano  adeguano  la
propria legislazione alle disposizioni del presente articolo  secondo
i rispettivi statuti e le relative  norme  di  attuazione».  Dovrebbe
prevalere l'interpretazione  costituzionalmente  conforme,  anche  in
forza  del  citato  art.  2  del  d.lgs.  n.  266,  che  risulterebbe
altrimenti violato. 
    14.5.- Viene  denunciata  l'illegittimita'  costituzionale  anche
dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104  del  2017,  per  violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n.  266  del  1992,  recante  disposizioni  di
attuazione dello statuto di autonomia, e per violazione degli artt. 8
e 9 dello statuto medesimo, nonche' degli artt. 117, quinto comma,  e
120 Cost. Si lamenta, altresi', la violazione dell'art. 8 del  d.P.R.
n. 526 del 1987. 
    La norma censurata,  dedicata  alle  disposizioni  transitorie  e
finali, impone alla ricorrente obblighi di adeguamento che  sarebbero
in contrasto con l'art. 2 del d.lgs.  n.  266  del  1992,  il  quale,
dettando disposizioni di attuazione dello  Statuto,  prevede  che  la
Provincia autonoma di Trento adegui la propria legislazione a  quella
statale entro sei mesi dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta
ufficiale o entro il maggior termine  previsto  dalla  stessa  legge,
restando nel frattempo applicabili le  disposizioni  provinciali.  La
immediata applicabilita' e' prevista solo per le  "norme  comunitarie
direttamente applicabili" e non - sottolinea la ricorrente -  per  la
disciplina statale attuativa del diritto dell'UE. La norma  censurata
risulterebbe pertanto in contrasto con la  disciplina  di  attuazione
dello statuto, in quanto essa riduce a centoventi giorni  il  termine
di  adeguamento  della  disciplina  provinciale  a  quella   statale.
Inoltre, stabilendo la perentorieta' di tale termine, alla  Provincia
sarebbe  inibito  procedere  ad  emanare  norme  di  adeguamento,  in
violazione degli artt. 117, quinto comma, come attuato  dall'art.  41
della legge n. 234 del 2012, e 120,  quinto  comma,  Cost.,  i  quali
impongono che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto  dei
principi  di  leale  collaborazione  e   sussidiarieta'.   La   norma
censurata, inoltre, sarebbe illegittima  anche  nella  parte  in  cui
stabilisce che, decorso il termine previsto, si  applicano  i  poteri
sostitutivi di cui all'art.  117,  quinto  comma,  Cost.  secondo  le
previsioni dettate dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234  del  2012,
in quanto in contrasto con l'art. 8 del richiamato d.P.R. n. 526  del
1987, di attuazione dello  statuto  speciale,  il  quale  prevede  un
potere sostitutivo solo in caso di accertata inattivita' degli organi
regionali e provinciali  che  comporti  inadempimento  agli  obblighi
comunitari e,  comunque  sia,  previa  concessione  di  un  ulteriore
termine alla Provincia autonoma. La norma sarebbe  illegittima  anche
se interpretata come disposizione direttamente sostitutiva, ai  sensi
dell'art. 41 della legge n.  234  del  2012,  e  quindi  direttamente
operante  nell'ordinamento  provinciale,  in  quanto  sprovvista  del
necessario carattere della cedevolezza, e comunque in  contrasto  con
l'art. 2, commi 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. 
    14.6.- Con un ultimo gruppo di censure la ricorrente  lamenta  la
violazione della propria  autonomia  amministrativa  (art.  16  dello
statuto speciale, in relazione agli artt. 8 e 9; art. 4 del d.lgs. n.
266 del 1992) oltre che dei principi di  sussidiarieta'  e  di  leale
collaborazione (art. 118 e 120  Cost.),  derivanti  dall'introduzione
del provvedimento unico in materia ambientale. 
    14.6.1.- Sarebbe illegittimo l'art. 16, comma 1, il quale novella
l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo  il  provvedimento
unico in materia ambientale per i procedimenti di VIA  di  competenza
statale. Il nuovo art. 27 stabilisce «[n]el caso di  procedimenti  di
VIA  di   competenza   statale,   il   proponente   puo'   richiedere
all'autorita' competente che il provvedimento di VIA  sia  rilasciato
nell'ambito  di  un   provvedimento   unico   comprensivo   di   ogni
autorizzazione, intesa, parere,  concerto,  nulla  osta,  o  atto  di
assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente  per
la realizzazione e l'esercizio del progetto (comma 1, primo periodo).
Il comma 2 dispone che «[i]l provvedimento unico di cui  al  comma  1
comprende il rilascio dei  seguenti  titoli  laddove  necessario:  a)
autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della
parte II del presente decreto; 
    b) autorizzazione riguardante la disciplina  degli  scarichi  nel
sottosuolo e nelle acque sotterranee di cui all'art. 104 del presente
decreto; 
    c) autorizzazione riguardante la  disciplina  dell'immersione  in
mare di materiale derivante da attivita' di  escavo  e  attivita'  di
posa in mare di cavi e condotte di  cui  all'art.  109  del  presente
decreto; 
    d) autorizzazione paesaggistica di cui all'art.  146  del  Codice
dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42; 
    e) autorizzazione culturale di cui all'art.  21  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio  di  cui  al  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42; 
    f) autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico di cui  al
regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, e al decreto del  Presidente
della Repubblica 24 luglio 1977, n 616; 
    g) nulla osta di fattibilita' di cui all'art. 17,  comma  2,  del
decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105; 
    h) autorizzazione antisismica di cui all'art. 94 del decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». 
    14.6.2.- I commi successivi dell'impugnato art.  27  regolano  le
fasi del procedimento che seguono alla iniziativa;  al  comma  8,  la
disposizione stabilisce che «[...]l'autorita' competente convoca  una
conferenza di servizi», alla quale partecipano il proponente e  tutte
le Amministrazioni competenti «o comunque potenzialmente  interessate
al rilascio del provvedimento di VIA  e  dei  titoli  abilitativi  in
materia ambientale richiesti dal proponente». 
    La medesima disposizione precisa che «la conferenza di servizi si
svolge secondo le modalita' di cui all'art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5,
6 e 7, della legge 7 agosto 1990,  n.  241»;  che  «[i]l  termine  di
conclusione  dei  lavori  della   conferenza   di   servizi   e'   di
duecentodieci  giorni»;  che   «[l]a   determinazione   motivata   di
conclusione  della  conferenza  di  servizi,   che   costituisce   il
provvedimento  unico  in  materia  ambientale,   reca   l'indicazione
espressa del provvedimento di  VIA  ed  elenca,  altresi',  i  titoli
abilitativi compresi nel provvedimento unico»; che «la  decisione  di
rilasciare i titoli di cui al comma  2  e'  assunta  sulla  base  del
provvedimento di VIA, adottato dal  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, di concerto  con  il  Ministro  dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo,  ai  sensi  dell'art.
25»; che «[i] termini previsti dall'art. 25, comma 2, quarto periodo,
sono ridotti alla meta' e, in caso di rimessione  alla  deliberazione
del Consiglio dei ministri, la conferenza di servizi e'  sospesa  per
il termine di cui all'art. 25, comma 2, quinto periodo»; che «[t]utti
i termini del procedimento si considerano perentori ai  sensi  e  per
gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a  9-quater,  e  2-bis
della legge 7 agosto 1990, n. 241». Il successivo comma 9 prevede che
«[l]e    condizioni    e    le    misure    supplementari    relative
all'autorizzazione integrata ambientale di cui al  comma  2,  lettera
a),  e  contenute  nel  provvedimento   unico,   sono   rinnovate   e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita'  di  cui  agli
articoli  29-octies,  29-decies  e  29-quattuordecies»  e   che   «le
condizioni e le  misure  supplementari  relative  agli  altri  titoli
abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono rinnovate e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' previste dalle
relative disposizioni  di  settore  da  parte  delle  amministrazioni
competenti per materia». Infine, il comma  10  stabilisce  che  «[l]e
disposizioni contenute nel presente articolo si applicano  in  deroga
alle disposizioni che disciplinano i procedimenti riguardanti il solo
primo rilascio dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al
comma 2». 
    14.6.3.-  La  Provincia  ricorrente  osserva  che   le   funzioni
coinvolte «sono state incrementate in misura esorbitante», tanto  che
l'intera  disposizione  sembrerebbe  scritta   come   se   tutte   le
amministrazioni  coinvolte  fossero   amministrazioni   statali.   Fa
presente la ricorrente che taluni provvedimenti indicati (come quelli
relativi  agli   scarichi   nel   sottosuolo,   alla   autorizzazione
paesaggistica, alla autorizzazione culturale  e  alla  autorizzazione
riguardante il vincolo idrogeologico) sarebbero di  competenza  della
Provincia autonoma, che ha potesta' legislativa ed amministrativa  in
materia di acque, di tutela e conservazione del  patrimonio  storico,
artistico e culturale e di tutela del paesaggio (art. 8, numeri 3, 6,
17 e 24, e art. 9, comma 9,  in  combinazione  con  l'art.  16  dello
statuto di  autonomia).  Essa  lamenta,  dunque,  che,  nel  regolare
proprie  funzioni,  lo  Stato  l'abbia  espropriata  della   potesta'
decisoria. 
    Cosi' facendo, lo Stato  finirebbe  per  esercitare,  mediante  i
meccanismi di decisione finale della conferenza di  servizi  statale,
le funzioni amministrative proprie della  ricorrente,  in  violazione
dell'art. 16 dello statuto speciale, nonche' dell'art. 4  del  d.lgs.
n. 266 del 1992. Inoltre, osserva che il legislatore statale  avrebbe
scelto il modulo procedimentale  della  conferenza  di  servizi  «con
modalita' sincrona», prevista dall'art. 14-ter della legge n. 241 del
1990 (richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e  7);  la  norma  impugnata
richiama soltanto la disposizione (art. 14-ter, comma 7) che  prevede
la possibilita' per la conferenza di servizi di deliberare sulla base
delle   posizioni   prevalenti   espresse    dalle    amministrazioni
partecipanti alla conferenza, mentre non richiama l'art. 14-quinquies
che regola i rimedi per le amministrazioni dissenzienti. 
    Ove il rinvio contenuto nell'art.  27,  comma  8,  al  solo  art.
14-ter della legge n.  241  del  1990  (anziche'  all'art.  14-ter  e
seguenti) e la mancata menzione dell'art.  14-quinquies,  fossero  da
intendere come una volonta' legislativa di escludere l'applicabilita'
della  disciplina  dettata  dall'art.  14-quinquies  per  i  dissensi
qualificati, e in particolare per quelli manifestati  dalle  Province
autonome,   la   disposizione   impugnata    sarebbe    ulteriormente
illegittima: (i) per violazione  dell'autonoma  amministrativa  della
Provincia autonoma  in  relazione  a  tutte  le  competenze  da  essa
esercitate in materia ambientale (acque, paesaggio, opere idrauliche,
viabilita'), che verrebbero scavalcate da una decisione deliberata da
organi  di  altro  ente;  (ii)  per  violazione  anche  la   potesta'
legislativa della Provincia autonoma, visto che secondo il comma  10,
il procedimento unico  comporta  una  deroga  alle  disposizioni  che
disciplinano  i  procedimenti  dei  titoli  abilitativi  in   materia
ambientale di cui al comma 2, in relazione al primo  rilascio;  (iii)
per  violazione   del   principio   di   sussidiarieta'   e   perche'
l'assorbimento della funzione dell'ente autonomo  non  avverrebbe  in
una cornice di leale collaborazione. 
    L'istituto del rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella
sua conformazione  rispettosa  della  leale  collaborazione,  sarebbe
infatti una condizione necessaria per la legittimita'  costituzionale
delle previsioni  di  conferenze  di  servizi  decisorie,  ove  siano
coinvolti enti di livello regionale (e' richiamata la sentenza n. 179
del 2012). 
    Questa ulteriore censura non avrebbe ragione di essere, a  parere
della ricorrente, ove il richiamo all'art. 14-quater (e attraverso di
questo al 14-quinquies), contenuto nell'art. 14-ter, comma 7, potesse
assicurare comunque l'applicazione della disciplina di  garanzia  per
il dissenso della ricorrente Provincia autonoma. 
    15.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  depositato  il  13
ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo che il ricorso venga
rigettato. 
    15.1.- In merito alla pretesa violazione  degli  artt.  76  e  77
Cost.,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  deduce  preliminarmente
l'inammissibilita' del motivo di  ricorso,  in  quanto  la  legge  di
delega non  ha  formato  oggetto  di  impugnazione.  Si  osserva,  al
riguardo, che ove i contenuti della delega diano luogo  ad  effettiva
lesione delle competenze regionali o provinciali, gli  stessi  devono
formare oggetto di tempestiva impugnazione a norma dell'art. 39 della
legge n. 87 del 1953: cio' a fine di consentire  a  questa  Corte  di
eliminare gli eventuali profili di illegittimita' senza aspettare che
tali vizi vengano  riprodotti  o  addirittura  ampliati  nei  decreti
delegati. 
    Il motivo  relativo  alla  denunciata  tardivita'  dell'esercizio
della delega legislativa, con conseguente violazione degli artt. 76 e
77  Cost.,  sarebbe  comunque  infondato.  L'Avvocatura  dello  Stato
osserva che il rinvio operato dalla legge di delega n. 114 del  2015,
ai termini di cui all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del  2012,
poi modificato ad opera della legge  n.  115  del  2015,  entrata  in
vigore il 18  agosto  2015,  ha  natura  recettizia.  Innanzi  tutto,
perche' la legge non puo' avere portata  retroattiva  e,  dunque,  la
legge  novellatrice  del  termine,  non  puo'   che   riguardare   le
fattispecie di delegazione legislativa successive, e non certo quelle
di cui alla legge n. 114 del  2015,  entrata  in  vigore  tre  giorni
prima. In secondo luogo, ove la legge n. 115 del 2015 fosse  ritenuta
di portata retroattiva, la stessa avrebbe potuto  generare  l'effetto
di produrre la scadenza di  una  delega  ancora  in  corso,  come  si
sarebbe verificato almeno in un caso (si cita, al riguardo, la delega
per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE, non ancora esercitata al
momento della entrata in vigore della legge n. 115 del 2015, e per la
quale, ove i nuovi  e  ridotti  termini  -  da  quattro  a  due  mesi
antecedenti al termine di recepimento della direttiva - fossero stati
ritenuti di immediata  applicabilita',  il  termine  per  l'esercizio
della delega sarebbe  addirittura  decorso  prima  della  entrata  in
vigore  della  stessa  legge  n.  115  del  2015).   Simili   approdi
risulterebbero ulteriormente  evidenziati  dalla  incoerenza  che  si
determinerebbe  nel  disporre  la  abbreviazione   dei   termini   di
recepimento di direttive, allo  scopo  verosimile  di  favorirne  una
celere attuazione, con il contrario effetto di precludere  il  potere
delegato di attuazione. 
    Quanto all'ulteriore rilievo della  ricorrente,  secondo  cui  il
rinvio "secco" all'art. 31, comma 1, della legge  n.  234  del  2012,
avrebbe comportato l'impossibilita' di avvalersi  del  meccanismo  di
proroga del termine previsto in via generale dall'art.  31,  comma  3
della stessa  legge,  la  censura  risulterebbe  infondata  per  piu'
ragioni. La legge di delega n. 114  del  2015,  infatti,  rievoca  le
"procedure" nonche' gli artt. 31 e 32 della legge n.  234  del  2012,
nella loro interezza, richiamando, cosi', anche le regole relative ai
pareri delle Commissioni parlamentari e i loro riflessi  sui  termini
di esercizio della delega legislativa. 
    Inoltre, si osserva, l'art. 31, comma 3, della legge n.  234  del
2012 contiene una norma di carattere generale destinata ad applicarsi
a tutte le leggi di  delegazione  europea,  a  meno  che  queste  non
dispongano diversamente. Pertanto, una volta che la legge n. 114  del
2015  ha  previso  come  obbligatorio  il  parere  delle  Commissioni
parlamentari, senza ulteriori puntualizzazioni, ne deriva l'integrale
applicabilita' della disciplina dettata dalla stessa legge n. 234 del
2012, in dipendenza di tale opzione. Pertanto, la  natura  recettizia
del rinvio operato all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
non impediva al Governo di usufruire della proroga  di  cui  all'art.
31, comma 3, della medesima legge. 
    15.2.-  Sarebbero   infondati   pure   i   rilievi   subordinati,
concernenti la pretesa  illegittimita'  della  procedura  in  ragione
della scelta del Governo di trasmettere contestualmente lo schema  di
decreto delegato alle Commissioni  parlamentari  ed  alla  Conferenza
Stato-Regioni, in violazione di quanto stabilito dall'art.  1,  comma
3, della richiamata legge di delega n. 114 del 2015 e  dall'art.  31,
comma 3, della legge n. 234 del 2012,  in  merito  al  fatto  che  la
trasmissione alla Camera dei deputati ed al Senato  della  Repubblica
dello  schema  di  decreto  delegato  debba   avvenire   solo   «dopo
l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge». Ma, sostiene
l'Avvocatura, e' proprio la pretesa obbligatorieta' del parere  della
Conferenza  Stato-Regioni  ad  essere  non  fondata,  in  quanto   la
disciplina della valutazione di impatto ambientale  non  rientrerebbe
fra le "materie" di competenza regionale,  essendo  ascrivibile,  per
consolidata giurisprudenza costituzionale, alla «tutela dell'ambiente
e  dell'ecosistema»,  di  competenza  statale  esclusiva,   a   norma
dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  e  non  vi  sarebbe
alcun  "intreccio"  con  diversi  ambiti   materiali,   ma   soltanto
"incidenza" rispetto a funzioni regionali. 
    Deriverebbe da  cio'  che  il  Governo  non  aveva  l'obbligo  di
consultare la detta Conferenza, in  ordine  allo  schema  di  decreto
legislativo per l'attuazione della «direttiva VIA»: dunque, il parere
richiesto avrebbe natura facoltativa  e  sfuggirebbe,  pertanto,  dal
campo di applicazione delle norme la cui violazione  viene  censurata
dalla ricorrente; esso poteva di conseguenza essere  richiesto  anche
contestualmente  alla  trasmissione  alle  Camere  dello  schema   di
decreto. Risulterebbe correlativamente rispettato anche il  principio
di leale collaborazione. 
    15.3.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte  verso  gli
artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del
d.lgs.  n.  104  del  2017,  in  ragione  del  profondo  riassetto  e
allocazione presso lo Stato di numerose funzioni gia' provinciali  in
tema di VIA. Si ribadisce, infatti, che  la  valutazione  di  impatto
ambientale rientra nella tutela dell'ambiente di esclusiva competenza
statale, imponendosi dunque alle Regioni  ed  alle  stesse  autonomie
speciali. Le funzioni amministrative statutariamente  garantite  alle
Province autonome sono dunque, in  base  all'art.  16  dello  statuto
speciale, solo quelle relative alle materie per le quali la Provincia
autonoma puo' adottare norme legislative. 
    15.4.- A proposito, poi, della lamentata violazione  degli  artt.
8, 9 e 16 delle disposizioni statutarie, e degli artt. 117,  terzo  e
quarto comma, Cost, in riferimento all'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, nonche' al prospettato eccesso di delega  per  mancanza  di
intesa costituzionalmente  necessaria,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato ne deduce la infondatezza,  anzitutto  ribadendo  il  principio
che, in tema di VIA,  sussisterebbe  la  competenza  esclusiva  dello
Stato,   vertendosi   in   materia   di   tutela   dell'ambiente    e
dell'ecosistema. Pertanto, sulla base del principio del  parallelismo
amministrativo di cui all'art. 16  dello  statuto  di  autonomia,  le
funzioni amministrative in materia  di  VIA  non  rientrerebbero  fra
quelle statutariamente garantite alla Provincia autonoma  ricorrente.
Nella specie sarebbe dunque inconferente il richiamo alla chiamata in
sussidiarieta', applicandosi questa soltanto nella ipotesi in cui  lo
Stato  si  appropri  di  funzioni  amministrative   in   materie   di
legislazione regionale: il che non si verifica nel  caso  di  specie.
Conseguentemente, non si richiedeva alcuna  intesa  con  le  Regioni,
posto  che  tale  modulo  procedurale   riguarda   la   chiamata   in
sussidiarieta' in relazione all'esercizio di funzioni amministrative,
ma non per il procedimento di formazione legislativa. 
    Inconferente sarebbe la pretesa irragionevolezza per sproporzione
dell'intervento  di  riallocazione  delle  funzioni   amministrative,
tenuto  conto  della  gia'  rilevata  applicazione  dei  principi  di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione, mentre  improprio  si
rivela il richiamo alla sentenza n. 251 del 2016, in quanto  l'intesa
si impone come contenuto obbligatorio della legge di delegazione solo
nel caso di intreccio inestricabile tra ambiti competenziali  statali
e regionali: il che non avviene in materia di VIA. 
    15.5.- L'Avvocatura ribadisce la  esclusivita'  della  competenza
statale in materia, la quale non presenterebbe alcun intreccio con le
materie legislative rimesse alla Provincia  autonoma,  rievocando  la
giurisprudenza costituzionale formatasi  al  riguardo.  Quanto,  poi,
alla  disciplina  del  procedimento  amministrativo,  il  legislatore
statale disporrebbe di un ulteriore titolo  di  competenza  esclusiva
nel dettare i livelli  essenziali  delle  prestazioni  concernenti  i
diritti civili e sociali,  a  norma  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera m), Cost. 
    Pertanto, la circostanza che  in  materia  di  VIA  la  Provincia
autonoma avesse dettato una  propria  disciplina,  non  inibiva  allo
Stato di intervenire nuovamente per dettare regole tese a  consentire
l'uniforme svolgimento del procedimento di VIA su tutto il territorio
nazionale. D'altra parte, sia pure  ridimensionato,  residua  per  le
Regioni e le Province autonome il potere di disciplinare con  proprie
norme (art. 7-bis¸comma 8, del d.lgs.  n.  152  del  206,  introdotto
dall'art.  5  del  d.lgs.  n.  104  del  2017)   l'organizzazione   e
l'esercizio delle funzioni amministrative loro conferite  in  materia
di VIA, anche  con  regole  intese  a  semplificare  i  procedimenti,
l'accesso del pubblico e degli altri soggetti pubblici interessati  e
il coordinamento dei provvedimenti di competenza regionale e  locale.
A sua volta, la clausola di salvaguardia dettata dall'art. 35-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006, non opera per  la  VIA,  essendo  materia  di
competenza esclusiva statale, ma si riferisce a profili che  ricadano
nelle materie previste dagli statuti speciali. 
    15.6.-  Le   disposizioni   impugnate,   prosegue   l'Avvocatura,
sarebbero illegittime,  in  quanto  invasive,  secondo  la  Provincia
ricorrente, di numerose competenze legislative provinciali, derivanti
dalle disposizioni statutarie (artt. 8,  9  e  16)  e  costituzionali
(art. 117, terzo  e  quarto  comma,  Cost,  in  combinazione  con  la
clausola di equiparazione di cui all'art. 3 della legge  cost.  n.  3
del  2001).  Le  stesse  disposizioni  sarebbero,  ad  avviso   della
ricorrente, lesive della norma di attuazione dello  statuto  speciale
recata dall'art. 19-bis del d.P.R. n. 381  del  1974,  in  base  alla
quale "[a]i  fini  dell'esercizio  delle  funzioni  delegate  con  il
presente decreto le Province autonome di Trento e di Bolzano, per  il
rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in  materia
di  organizzazione  degli  uffici,  di  contabilita',  di   attivita'
contrattuale,  di  lavori  pubblici  e  di  valutazione  di   impatto
ambientale". 
    Anche  queste  censure  sarebbero  infondate.  Si  ribadisce,  al
riguardo,  che  la  pretesa   lesione   di   competenze   legislative
provinciali non sussisterebbe, in quanto la materia della VIA rientra
nell'ambito della legislazione statale esclusiva in  tema  di  tutela
dell'ambiente,  senza  che  sia   registrabile   alcun   riflesso   o
"frazionabilita'" del regime competenziale in questo  o  quell'ambito
materiale di spettanza provinciale. A proposito, poi,  della  pretesa
violazione  dell'art.  19-bis  del  d.P.R.  n.  381  del   1974,   si
tratterebbe di disposizione  relativa  alle  sole  funzioni  delegate
dallo  Stato,  diverse  ed  ulteriori  rispetto  a  quelle  garantite
statutariamente alla Provincia  autonoma;  disposizione  che  sarebbe
nella  specie  rispettata  in  ragione  del  fatto  che,  come   gia'
osservato, le competenze  provinciali  in  tema  di  VIA  sono  state
ridotte ma non azzerate. 
    15.7.- Le censure degli artt. 8 e 16, comma 2, del d.lgs. n.  104
del 2017 sarebbero  prive  di  fondamento,  essendo  le  disposizioni
impugnate necessarie a garantire l'omogenea applicazione delle  norme
sulla VIA sul territorio nazionale, a seguito dell'entrata in  vigore
delle regole piu' stringenti, di cui alla direttiva 2014/52/UE. 
    15.8.- Infondata anche la doglianza di cui all'impugnato art.  24
(ove  applicabile  alle  Province  autonome).  Per  l'Avvocatura   la
disciplina rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato  sulla
tutela dell'ambiente e, per quanto concerne il  procedimento  di  VIA
regionale,  nella  competenza  esclusiva  in   materia   di   livelli
essenziali delle prestazioni; la possibilita'  di  ricondurre  alcuni
istituti del procedimento amministrativo - compresa la conferenza  di
servizi -  alla  competenza  statale  sui  livelli  essenziali  delle
prestazioni sarebbe affermata all'art. 29, commi 2-bis e 2-ter, della
legge n. 241 del 1990, che dunque si colloca, sotto  questo  aspetto,
in linea di continuita' con le pronunce del giudice costituzionale. 
    Di conseguenza, l'impugnato  art.  24  non  realizzerebbe  alcuna
espropriazione delle competenze provinciali, ne' alcun contrasto  con
l'art. 2 del d.lgs. n.  266  del  1992,  atteso  che  tale  norma  di
attuazione  dello  statuto  speciale  si  riferirebbe  alla   diversa
fattispecie delle materie statutariamente  spettanti  alla  Provincia
autonoma, rispetto  alle  quali  essa  regolerebbe  le  modalita'  di
adeguamento della legislazione provinciale  ai  limiti  recati  dalla
legislazione statale. 
    15.9.- L'Avvocatura dello Stato passa poi ad esaminare la pretesa
violazione della competenza provinciale a dare  immediata  attuazione
alle direttive europee nelle materie provinciali; competenza, questa,
gia' prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 ed  ora  sancita
dall'art. 117, quinto comma, Cost.  e  ribadita  dall'art.  59  della
legge n. 234 del 2012, che mantiene ferme, per le autonomie speciali,
le disposizioni contenute negli statuti di autonomia e nelle relative
norme di attuazione. 
    Pure tali doglianze risulterebbero infondate,  ancora  una  volta
partendo dalla premessa che la VIA rientra nella competenza esclusiva
statale in tema di tutela dell'ambiente e di previsione  dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni.  L'art.  117,  quinto  comma,   Cost.
consente,  infatti,  alle  Regioni  e  alle  Province   autonome   di
provvedere  all'attuazione  ed  esecuzione  degli  atti   dell'Unione
europea soltanto nelle materie  di  loro  competenza.  Nella  specie,
pertanto, non sarebbe  stato  esercitato  alcun  potere  sostitutivo,
venendo dunque meno la pertinenza del richiamo all'art. 41, comma  1,
della legge n. 234 del 2012 e la pretesa  violazione  dell'art.  117,
quinto comma Cost. 
    15.10.- Le censure  di  violazione  degli  artt.  3  e  97  Cost.
sarebbero, invece, anzitutto inammissibili per genericita', in quanto
la ricorrente avrebbe  speso  argomenti  apodittici  per  dedurre  la
violazione dei principi di ragionevolezza,  proporzionalita'  e  buon
andamento della pubblica amministrazione. Non sarebbero stati infatti
chiariti i profili  di  peculiarita'  organizzative  e  istituzionali
incisi dalla disciplina statale, ne' spiegate le ragioni per le quali
le  limitazioni  degli  spazi  rimessi   alla   legislazione   locale
comprometterebbero  la  buona   amministrazione.   Nel   merito,   si
tratterebbe comunque di doglianze infondate, in quanto la  disciplina
impugnata mira ad attuare la direttiva europea in modo  uniforme,  in
linea con il carattere di particolarmente dettaglio  delle  procedure
stabilite  in  sede  comunitaria  e  non  drogabili  da  parte  degli
ordinamenti nazionali, pena il rischio di  procedure  di  infrazione.
Infine, nessuna  lesione  sarebbe  riscontrabile  in  riferimento  ai
principi e criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge delega n.
114 del 2015, in quanto l'intervento  legislativo  censurato  avrebbe
pienamente realizzato l'obiettivo della "armonizzazione" e gli  altri
principi di semplificazione e razionalizzazione tracciati dalla legge
di delega. 
    15.11.- In relazione all'impugnato art. 23,  comma  4,  sarebbero
non fondate le doglianze correlate agli obblighi di adeguamento della
legislazione provinciale  ai  limiti  introdotti  dalla  legislazione
statale, in  base  alle  disposizioni  di  attuazione  dello  statuto
speciale previste dal d.lgs. n. 266 del 1992,  dal  momento  che  gli
obblighi di adeguamento di cui all'art. 23, comma 4,  del  d.lgs.  n.
104 del  2017,  riguardando  la  tutela  dell'ambiente  e  i  livelli
essenziali, di competenza esclusiva dello Stato, esulano  dal  citato
d.lgs. n. 266 del 1992. A proposito poi del termine  "perentorio"  di
adeguamento, lo stesso non equivale ad escludere  definitivamente  il
potere  di  adeguamento  della  Provincia  autonoma,   ma   legittima
esclusivamente  l'intervento  sostitutivo  dello   Stato.   Cio'   e'
dimostrato dal rinvio all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si
stabilisce il carattere cedevole  dell'intervento  sostitutivo  dello
Stato stesso. 
    15.12.- Parimenti infondate si rivelerebbero le  censure  rivolte
al  potere  sostitutivo  di  cui  alla  norma  censurata,  laddove  -
richiamando l'art. 7-bis, comma  8,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
introdotto dall'art. 5 del  d.lgs.  n.  104  del  2017  -  stabilisce
l'obbligo per le Regioni e Province  autonome  di  dettare  norme  di
organizzazione  e  disciplina  delle  modalita'  di  esercizio  delle
funzioni ammnistrative loro attribuite in materia di VIA, trattandosi
di un obbligo connesso alle esigenze di funzionamento unitario  delle
procedure in materia. Il potere sostitutivo di cui all'art. 23, comma
4,  del   decreto   impugnato   rinverrebbe,   dunque,   la   propria
legittimazione  direttamente  nell'art.  117,  quinto  comma,   Cost,
applicabile alle autonomie speciali, senza la mediazione dell'art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001,  e  della  clausola  di  adeguamento
automatico ivi prevista. A proposito, poi, dell'esigenza -  lamentata
nel ricorso - di un  ulteriore  termine  di  diffida,  lo  stesso  e'
assicurato dall'art. 43, comma 2, della legge n. 234  del  2012,  che
rinvia all'art. 8 della legge cost. n. 3 del  2001,  ove  appunto  si
prevede che la procedura sostitutiva sia preceduta da diffida. 
    16.- La Provincia autonoma di Trento ha depositato, il 29  maggio
2018, una diffusa memoria, nella quale  ha  formulato  deduzioni  per
contrastare la fondatezza dei rilievi svolti dall'Avvocatura generale
dello Stato nell'atto di costituzione in giudizio. 
    16.1.-   A   proposito    della    preliminare    eccezione    di
inammissibilita', per mancata impugnazione  della  legge  delega,  la
Provincia ricorrente rammenta che l'istituto della  acquiescenza  non
e' applicabile nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale, dal momento che anche la mera riproduzione di  una  norma
reitera la  lesione,  legittimando  il  ricorso,  sottolineando  come
argomenti contrari non siano desumibili dalla  sentenza  n.  261  del
2017, riferendosi questa non  alla  riproduzione,  ma  alla  semplice
applicazione della legge di delega. 
    16.2.- Quanto al rinvio operato dall'art. 1, comma 2, della legge
delega n. 114 del 2015, all'art. 31, comma 1, della legge n. 234  del
2012,   la   Provincia   autonoma   ricorrente   contesta   la   tesi
dell'Avvocatura che invoca il  principio  di  irretroattivita'  della
legge, in quanto trattandosi di successione temporale connessa ad  un
procedimento vale  il  principio  tempus  regit  actum.  Sicche'  gli
inconvenienti   esemplificati   dall'Avvocatura   potevano    trovare
altrimenti rimedio, considerato, fra l'altro, che residuava intatto -
decaduto il potere normativo del Governo - il  potere  normativo  del
Parlamento.