ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   231,
secondo comma, del codice penale, e degli artt. 676, comma 1, e  679,
comma 1, del codice di procedura penale, promosso dal  Magistrato  di
sorveglianza di Napoli nel procedimento penale a carico di P. V., con
ordinanza del  2  maggio  2017,  iscritta  al  n.  116  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 novembre 2018  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Napoli, con ordinanza del  2
maggio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13,  primo  e
secondo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 231, secondo comma, del  codice
penale, «alla luce del disposto» degli artt. 676,  comma  1,  e  679,
comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui, in caso
di trasgressioni degli obblighi imposti dalla liberta' vigilata,  non
consente al magistrato di sorveglianza  di  applicare  la  misura  di
sicurezza   patrimoniale   della    confisca    imponendo,    invece,
l'applicazione della misura di sicurezza detentiva con assegnazione a
una casa di lavoro o ad una colonia agricola». 
    Il giudice rimettente  riferisce  di  dover  decidere,  ai  sensi
dell'art.  231,  secondo  comma,  cod.  pen.,  sulla   richiesta   di
aggravamento per trasgressione  delle  prescrizioni  imposte  con  la
misura di sicurezza della liberta' vigilata, nei confronti di V.  P.,
al quale il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza  del
24 febbraio 2015, aveva applicato la predetta misura di sicurezza per
anni tre. 
    In  particolare,  il  rimettente  da'  atto  che   dall'espletata
istruttoria e' emerso che V. P. ha numerosi precedenti penali per  il
reato di detenzione illegale di armi e munizioni (commesso nel 1991 e
nel 1998), di appropriazione indebita  (nel  1990),  di  ricettazione
(nel 1991) e di associazione per delinquere di cui  all'art.  416-bis
cod. pen. (dal 1994 al 2008) e che, dalle informative agli atti, sono
risultate  reiterate  violazioni  della  misura  di  sicurezza  della
liberta'  vigilata.  In  piu'  occasioni,  infatti,   egli   non   ha
ottemperato all'obbligo di firma, fornendo certificazioni mediche non
comprovate,  e  piu'  volte  e'  stato  trovato,  in  occasione   del
controllo, in compagnia di pregiudicati. 
    Riferisce, altresi', che a seguito delle molteplici violazioni V.
P. e' stato diffidato al puntuale rispetto delle prescrizioni sia  in
data 18 settembre 2015, che in data 2 dicembre 2015. 
    Il rimettente,  inoltre,  da'  atto  che,  nel  procedimento  per
l'aggravamento, la difesa di V. P. ha  chiesto  l'applicazione  della
misura di  sicurezza  patrimoniale  della  confisca,  anziche'  della
misura di sicurezza detentiva dell'assegnazione alla casa di lavoro. 
    Il giudice a quo osserva come tale  richiesta,  volta  a  evitare
l'applicazione della misura di sicurezza detentiva, non possa trovare
accoglimento  alla  luce  della  normativa  vigente,  atteso  che  il
magistrato di sorveglianza ha competenza sulle misure di sicurezza ad
esclusione della sola confisca. 
    2.- Tutto cio' premesso, il giudice  rimettente  ritiene  che  il
combinato disposto delle norme censurate sia  in  contrasto  con  gli
indicati parametri costituzionali. 
    In particolare, gli artt. 231 cod. pen., 676  e  679  cod.  proc.
pen. - «nella parte in cui non consentono l'applicazione della misura
di sicurezza patrimoniale della  confisca  in  sede  di  aggravamento
della  misura  di  sicurezza  personale  della   liberta'   vigilata,
imponendo l'applicazione della misura di  sicurezza  detentiva  della
casa di lavoro o della colonia agricola, per carenza  di  competenza»
del magistrato di sorveglianza -  violerebbero  l'art.  3  Cost.,  in
quanto        sarebbe        «irragionevole        un         sistema
penal-processual-penitenziario, in cui il magistrato di  sorveglianza
si ritrova ad  aver  competenza  su  tutte  le  misure  di  sicurezza
detentive e non  detentive,  personali  e  patrimoniali,  eccetto  la
confisca», attribuita alla competenza  del  giudice  dell'esecuzione;
l'art. 13, primo  e  secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  «il  rigido
"automatismo" della regola legale [...], nel  caso  di  trasgressione
degli obblighi della liberta' vigilata» impone di applicare la misura
detentiva (assegnazione a una  colonia  agricola  o  a  una  casa  di
lavoro), anziche' la meno grave misura di sicurezza  della  confisca,
si porrebbe in  contrasto  con  l'esigenza  del  «"minore  sacrificio
necessario"» della liberta' personale; e infine,  l'art  24,  secondo
comma, Cost., sotto il profilo del  diritto  di  difesa,  «alla  luce
della inutilita' di azionare  qualunque  strumento  difensivo  quanto
alla individuazione della misura di sicurezza da applicare, una volta
attualizzata la pericolosita' sociale a seguito della gravita'  della
trasgressione commessa». 
    3.- L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza e difesa
dell'intervenuto  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   ha
preliminarmente  eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni,   in
quanto  il  rimettente  non  avrebbe  sufficientemente  descritto  la
fattispecie concreta e non avrebbe  adeguatamente  motivato  la  loro
rilevanza. 
    Nel merito, le questioni sarebbero non  fondate,  perche'  l'art.
231 cod. pen. prevede una  reazione  graduata  dell'ordinamento  alla
violazione  della  misura  della  liberta'  vigilata,  conferendo  al
magistrato di sorveglianza la facolta', in particolare, di aggiungere
una cauzione alla misura stessa, per assicurarne il rispetto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Napoli, con ordinanza del  2
maggio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13,  primo  e
secondo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 231, secondo comma, del  codice
penale, «alla luce del disposto» degli artt. 676,  comma  1,  e  679,
comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui, in caso
di trasgressioni degli obblighi imposti dalla liberta' vigilata,  non
consente al magistrato di sorveglianza  di  applicare  la  misura  di
sicurezza   patrimoniale   della    confisca    imponendo,    invece,
l'applicazione della misura di sicurezza detentiva con assegnazione a
una casa di lavoro o ad una colonia agricola». 
    Deve egli decidere, ai sensi dell'art. 231, secondo  comma,  cod.
pen., sulla richiesta di aggravamento  della  misura  della  liberta'
vigilata a causa  delle  ripetute  trasgressioni  delle  prescrizioni
poste con il provvedimento di assoggettamento a essa. 
    Riferisce il giudice rimettente che il difensore  del  sottoposto
alla misura ha chiesto che la sua sostituzione con altra misura  piu'
grave avvenga, ex  art.  231,  secondo  comma,  cod.  pen.,  mediante
l'applicazione della confisca - il cui oggetto, peraltro, non risulta
precisato - piuttosto che con l'assegnazione alla casa  di  lavoro  o
alla colonia agricola. 
    Ritiene  il  giudice  che,  integrando  le  contestate   ripetute
violazioni un caso di  «particolare  gravita'  della  trasgressione»,
quale previsto dal secondo comma del citato art. 231,  l'aggravamento
della misura non potrebbe consistere  altro  che  nella  sostituzione
della liberta' vigilata con l'assegnazione a una casa di lavoro  o  a
una colonia agricola,  ossia  con  una  misura  di  privazione  della
liberta' personale. Da  cio',  la  sostanziale  «obbligatorieta'  del
ricorso a misure detentive» che «appare del  tutto  sproporzionata  e
non giustificabile». 
    Il rimettente dubita della legittimita'  costituzionale  di  tale
asserita rigidita' dell'art. 231, secondo comma, cod. pen.  e  chiede
che questa Corte, con  una  pronuncia  di  incostituzionalita'  anche
degli artt. 676, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen.,  modifichi
la regola sulla competenza ad adottare la confisca, quale  misura  di
sicurezza a carattere  patrimoniale,  consentendo  al  magistrato  di
sorveglianza   di    applicare    quest'ultima,    meno    afflittiva
dell'assegnazione alla casa di  lavoro  o  a  una  colonia  agricola.
Sicche', solleva le questioni di  legittimita'  costituzionale  delle
citate disposizioni nella parte in cui non consentono  l'applicazione
della confisca in sede di  aggravamento  della  misura  di  sicurezza
personale della liberta' vigilata,  per  carenza  di  competenza  del
magistrato di sorveglianza a disporla, cosi' non lasciando al giudice
altra opzione che quella  dell'adozione  della  misura  di  sicurezza
detentiva della  casa  di  lavoro  oppure  di  quella  della  colonia
agricola. 
    Da  una   parte,   secondo   il   giudice   rimettente,   sarebbe
irragionevole (e percio' contrario all'art. 3 Cost.) che solo per  la
confisca,  anch'essa  misura   di   sicurezza,   il   magistrato   di
sorveglianza non sia competente alla sua adozione,  dal  momento  che
egli lo e' per l'adozione di tutte le altre misure di sicurezza. 
    D'altra  parte,  l'ineluttabilita'  di   applicare   una   misura
detentiva - l'assegnazione a una casa di lavoro oppure a una  colonia
agricola - come aggravamento di una misura non  detentiva,  quale  la
liberta' vigilata, rappresenterebbe  una  scelta  illogica  e  lesiva
della liberta' personale con incidenza anche sul diritto di difesa (e
percio' contraria agli artt. 13, primo e secondo comma, e 24, secondo
comma, Cost.). 
    2.- Va innanzi tutto  respinta  l'eccezione  di  inammissibilita'
delle questioni sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Il giudice rimettente ha individuato e descritto  la  fattispecie
nei  termini  sopra  riportati  e  ha  motivato  la  rilevanza  delle
questioni in modo plausibile; rilevanza che e' insita nel  fatto  che
egli e' chiamato ad applicare l'art. 231, secondo comma,  cod.  pen.,
in combinato disposto con gli artt. 676, comma 1,  e  679,  comma  1,
cod. proc. pen., la cui  legittimita'  costituzionale  contesta,  con
diffuse argomentazioni, si' da offrire  una  sufficiente  motivazione
anche del dubbio di costituzionalita'. 
    E' invero rimasto in ombra quale sarebbe  in  concreto  l'oggetto
del provvedimento di confisca richiesto dal difensore in sostituzione
della liberta' vigilata, pur di evitare l'applicazione di una  misura
di sicurezza a  carattere  detentivo.  Questa  incertezza  pero'  non
ridonda di per se' sola  in  ambiguita'  della  prospettazione  delle
questioni, che sono ammissibili sotto questo profilo, anche se poi  -
come si vedra' - la prima  questione  di  cui  infra  sub  4  risulta
essere, per altra ragione, manifestamente inammissibile. 
    3.-  Il  dubbio  di  legittimita'   costituzionale   investe   le
disposizioni sopra citate: a) l'art. 231, secondo comma,  cod.  pen.,
che prevede l'aggravamento della misura di sicurezza  della  liberta'
vigilata per trasgressione degli obblighi imposti; b) gli artt.  676,
comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., che dettano  la  regola  di
competenza  rispettivamente  del  giudice   dell'esecuzione   e   del
magistrato di sorveglianza, espressamente prevedendo per il primo  ed
escludendo per il secondo la competenza  ad  adottare  la  misura  di
sicurezza della confisca. 
    Sono  quindi  identificabili  due   questioni   di   legittimita'
costituzionale, ancorche'  strettamente  connesse,  in  via  gradata,
secondo la prospettazione del giudice  rimettente,  ma  comunque  ben
distinte; connessione predicata nel senso  che  l'accoglimento  della
questione sub b), con l'attribuzione al  magistrato  di  sorveglianza
della competenza ad adottare la misura di sicurezza  della  confisca,
consentirebbe - secondo il giudice rimettente - di colmare l'asserito
deficit di tutela della liberta' personale - e cosi' risolvere  anche
la questione sub a)  -  perche'  l'aggravamento  della  misura  della
liberta' vigilata non  necessariamente  comporterebbe  l'assegnazione
alla casa di lavoro o alla colonia agricola, ma potrebbe sfociare  in
un provvedimento di confisca. 
    Ma la questione sub a) ha comunque una  sua  distinta  autonomia,
non necessariamente schermata dall'altra questione. 
    Anche  i  parametri   evocati   dal   giudice   rimettente   sono
distintamente riferibili all'una e all'altra questione: la regola  di
competenza   e'   censurata   con   riferimento   al   principio   di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; la  regola  dell'aggravamento
della misura di sicurezza della liberta' vigilata e'  contestata  con
riguardo  agli  artt.  13,  primo  e  secondo  comma,  e  24   Cost.,
essenzialmente per il dedotto vulnus alla liberta' personale. 
    4.-  Va  logicamente  esaminata  per  prima   la   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 676, comma 1, e 679, comma 1,
cod. proc. pen., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. 
    La questione e' manifestamente inammissibile. 
    L'art. 676, comma 1, cod. proc.  pen.,  prevede  che  il  giudice
dell'esecuzione e' competente a decidere in ordine  alla  confisca  o
alla restituzione delle cose sequestrate, mentre, secondo il disposto
dell'art.  679,  comma  1,  cod.  proc.  pen.,   il   magistrato   di
sorveglianza e' competente su ogni misura di sicurezza ad  esclusione
della  confisca.  Sicche'  alla  regola  generale  che   assegna   al
magistrato  di   sorveglianza   tale   competenza,   si   giustappone
l'eccezione della competenza del giudice dell'esecuzione per la  sola
confisca, quanto alle misure di sicurezza. 
    Tale   complessivo   criterio   di   competenza   rientra   nella
discrezionalita'  del  legislatore,  che  e'  ampia   nella   materia
processuale (ex multis, sentenze n. 65 del 2014 e n.  216  del  2013;
ordinanze n. 48 del 2014 e n. 190 del 2013) e che, nella fattispecie,
e' stata esercitata in modo del tutto coerente e immune da difetti di
ragionevolezza. 
    La misura della confisca  ex  art.  240  cod.  pen.,  sia  quella
facoltativa di cui al primo comma (relativa alle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato e alle cose  che  ne  sono  il
prodotto o il profitto), sia quella obbligatoria di  cui  al  secondo
comma (relativa, in particolare, al prezzo del reato e alle cose,  la
cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o  alienazione  costituisce
reato), e' infatti strettamente connessa all'accertamento  del  reato
commesso. E' pertanto logicamente  conseguenziale  che  competente  a
disporla, sia non gia' il magistrato di sorveglianza  ma  -  peraltro
limitatamente alla  confisca  obbligatoria  (ex  plurimis,  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 20 aprile  2012-10  maggio
2012, n. 17546) - il giudice che ha competenza sull'esecuzione  della
sentenza. 
    Pertanto, l'intervento richiesto alla Corte, teso  a  riconoscere
la competenza a disporre la confisca anche in capo al  magistrato  di
sorveglianza, sia  pure  ai  fini  dell'aggravamento  della  liberta'
vigilata, assumerebbe il carattere di una  "novita'  di  sistema",  e
risulterebbe  collocato  al  di  fuori  dell'area  del  sindacato  di
legittimita' costituzionale, rimesso piuttosto a  scelte  di  riforma
affidate al legislatore (sentenze n. 252 del 2012 e n. 274 del  2011;
ordinanza n. 145 del 2007). 
    5.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  231,
secondo comma, cod. pen., sollevata in riferimento all'art. 13, primo
e secondo comma, Cost., non e' fondata nei termini seguenti. 
    Il nucleo centrale della censura, spogliata  delle  inammissibili
considerazioni che  fa  il  giudice  rimettente  per  rivendicare  la
competenza ad adottare la confisca, sta nella  denunciata  criticita'
della disposizione censurata  quanto  all'ipotesi  -  ritenuta  nella
specie sussistente - della «particolare gravita' della trasgressione»
degli obblighi della  liberta'  vigilata;  obblighi  derivanti  dalle
prescrizioni imposte dal giudice, non tipizzate  altrimenti  che  per
essere «idonee ad evitare le occasioni di  nuovi  reati»  (art.  228,
secondo comma). 
    Da cio' dovrebbe conseguire, nella logica dell'aggravamento della
misura sottesa alla disposizione  censurata,  la  sostituzione  della
liberta' vigilata con altra misura piu' incisiva e di piu' stringente
contrasto della pericolosita' sociale. 
    Nella prospettazione del giudice rimettente la liberta'  vigilata
non puo' essere sostituita altrimenti che con una misura di sicurezza
aggravata, quale l'assegnazione a una colonia agricola oppure  a  una
casa di lavoro. Ossia vi sarebbe  una  rigida  ineludibilita'  di  un
siffatto aggravamento, tenuto conto  del  catalogo  delle  misure  di
sicurezza di cui all'art. 215 cod. pen.  che,  di  fatto,  riduce  la
scelta del magistrato di sorveglianza all'assegnazione alla  casa  di
lavoro oppure alla colonia  agricola;  le  quali,  infatti,  sono  le
uniche due misure richiamate dal censurato  secondo  comma  dell'art.
231 cod. pen. 
    Questa possibile sostituzione di una misura di  sorveglianza  non
detentiva con una detentiva appare al giudice  rimettente  del  tutto
sproporzionata, in ragione della  ben  maggiore  afflittivita'  della
misura di sicurezza detentiva che incide sulla liberta' personale. 
    Vi sarebbe un salto eccessivo e sproporzionato tra la violazione,
seppur di particolare gravita', delle prescrizioni  della  misura  di
sicurezza della liberta' vigilata e la privazione della  liberta'  in
cui consiste l'assegnazione  alla  casa  di  lavoro  o  alla  colonia
agricola. 
    6.-  Della   disposizione   censurata   e'   tuttavia   possibile
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  al  rispetto  della
liberta' personale, diritto  fondamentale  e  inviolabile,  che  puo'
soffrire  la  limitazione   di   forme   di   detenzione,   qual   e'
l'assegnazione sia a una casa di lavoro, sia a una colonia  agricola,
solo nello stretto rispetto del  principio  di  riserva  assoluta  di
legge di cui all'art. 13, secondo comma, Cost. (da  ultimo,  sentenza
n. 180 del 2018). 
    Gia' la formulazione testuale dell'art. 231, secondo comma,  cod.
pen., esclude  ogni  automatismo  che  sarebbe  ex  se  lesivo  della
liberta' personale: il giudice «puo'» - non gia'  deve  -  sostituire
alla liberta' vigilata l'assegnazione a una colonia agricola o a  una
casa di lavoro,  avuto  riguardo  alla  «particolare  gravita'  della
trasgressione o al ripetersi della medesima». 
    Questa  facolta'  non  puo'  comunque  intendersi  come  generica
discrezionalita' del giudice. 
    Con  riferimento  ad  altra  misura   di   sicurezza,   parimente
segregante qual e' l'assegnazione a una casa di cura  e  di  custodia
(art. 219 cod. pen.), questa  Corte  ha  affermato  in  generale  che
«risulta ormai presente nella disciplina sulle misure di sicurezza il
principio secondo il quale si deve escludere l'automatismo che impone
al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una
misura meno drastica, e in particolare una misura piu' elastica e non
segregante come la liberta' vigilata,  accompagnata  da  prescrizioni
stabilite dal giudice medesimo, si riveli  capace,  in  concreto,  di
soddisfare contemporaneamente le esigenze  di  cura  e  tutela  della
persona interessata e di controllo della sua  pericolosita'  sociale»
(sentenza n. 208 del 2009). 
    Ispirate a questo stesso principio sono  le  pronunce  di  questa
Corte (sentenze n. 253 del 2003 e n. 367 del  2004)  che,  esaminando
altre misure di sicurezza limitative della liberta' personale,  hanno
dichiarato l'illegittimita' costituzionale rispettivamente  dell'art.
222 cod. pen. (sul ricovero in un ospedale psichiatrico  giudiziario)
e dell'art. 206 cod. pen. (sull'applicazione provvisoria delle misure
di sicurezza), nella parte  in  cui  non  consentono  al  giudice  di
adottare, in luogo delle misure  previste  da  essi,  una  misura  di
sicurezza non detentiva idonea ad assicurare alla persona inferma  di
mente cure adeguate e a contenere la sua pericolosita' sociale. 
    Emerge, quindi, in modo netto la  residualita'  della  misura  di
sicurezza detentiva quale extrema ratio,  in  sintonia  peraltro  con
analogo principio in materia di custodia cautelare  in  carcere,  che
parimenti  puo'  perseguire  una  finalita'  di   prevenzione   della
commissione di gravi delitti (art. 274,  comma  1,  lettera  c,  cod.
proc. pen.); principio, affermato in varie pronunce di  questa  Corte
(ex plurimis, sentenza n. 57 del 2013), che ha sempre  richiesto  che
il giudice verifichi prima  se  le  esigenze  cautelari  non  possano
essere soddisfatte con altre misure meno  limitative  della  liberta'
personale. 
    Si ha, pertanto, che  nella  fattispecie  del  censurato  secondo
comma dell'art. 231 cod. pen., la facolta', ivi prevista, del giudice
di adottare la misura  di  sicurezza  detentiva  e'  condizionata  al
rispetto del principio suddetto: solo dopo aver  escluso  l'idoneita'
di ogni altra misura di sicurezza  non  detentiva,  il  giudice,  sul
presupposto della perdurante  pericolosita'  sociale  del  sottoposto
alla misura, «puo'» - come prevede la disposizione  -  sostituire  la
liberta' vigilata con l'assegnazione  alla  casa  di  lavoro  o  alla
colonia agricola. 
    Cio' significa, anche, che ben puo' il giudice, che  ritenga  una
misura di sicurezza detentiva essere, allo stato,  sproporzionata  ed
eccedente le finalita' di  prevenzione,  limitarsi  ad  aggravare  la
stessa liberta' vigilata, inasprendo le  prescrizioni  ex  art.  228,
secondo comma, cod. pen., cosi' rimanendo nell'ambito delle misure di
sicurezza non detentive. 
    7.- Cosi' interpretata la disposizione censurata, le  conseguenze
dell'aggravamento della misura di sicurezza della liberta'  vigilata,
a causa della  violazione  delle  sue  prescrizioni  «di  particolare
gravita'», si declinano  secondo  un  criterio  di  progressivita'  e
proporzionalita', che vede come residuale, dopo la possibile ripetuta
adozione  della   stessa   misura   con   prescrizioni   maggiormente
restrittive, la possibilita' dell'assegnazione a una casa di lavoro o
a una colonia agricola, si' da non recare  offesa  all'inviolabilita'
della liberta' personale di chi a  essa  e'  assoggettato  (art.  13,
primo e secondo comma, Cost.) e senza altresi' incidere  sul  diritto
di difesa di quest'ultimo (art. 24 Cost.).