ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  4,  5,
8, 12, 13, 20 e 46  (recte:  comma  1),  della  legge  della  Regione
Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di  stabilita'
regionale 2017) e degli artt. 1, comma 1, 2, comma 1, 5, 6 e 7  della
legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed
integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010,  n.  1  «Norme  in
materia  di  energia  e  piano  di  indirizzo  energetico  ambientale
regionale - D.Lgs. n. 152 del 3 aprile  2006  -  legge  regionale  n.
9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni in materia di  produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n.  54
«Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio  e
sul territorio degli impianti da  fonti  di  energia  rinnovabili  ai
sensi del  D.M.  10  settembre  2010»),  nonche'  dell'Allegato  alla
medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge regionale  30
dicembre 2015,  n.  54  (Recepimento  dei  criteri  per  il  corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10  settembre  2010),  promossi
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorsi notificati  il
25-29 settembre e il 9-14 novembre 2017, depositati in cancelleria il
29 settembre e il  17  novembre  2017,  iscritti  rispettivamente  ai
numeri 77 e 87 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica numeri 46  e  51,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Udito nella udienza pubblica  del  4  dicembre  2018  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati dello  Stato  Gianni  De  Bellis  e  Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25-29 settembre 2017, depositato il
29 settembre 2017 (reg. ric. n.  77  del  2017),  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha impugnato numerose disposizioni della legge
della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla  legge
di stabilita' regionale 2017) e, tra queste, gli artt. 3, 4, 5, 8, 12
(indicato  come  art.  9  per   errore   materiale   nella   delibera
autorizzativa del  ricorso),  13,  20  e  46  (recte:  comma  1),  in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3,  25,  secondo  comma,  117,
primo comma - quest'ultimo in relazione all'art. 12  della  direttiva
2006/1123 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12  dicembre
2006, relativa ai servizi  del  mercato  interno  -,  secondo  comma,
lettere e), l) e s), e terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- In primo luogo, e' impugnato l'art. 3  della  citata  legge
regionale n. 19 del 2017, che aggiunge il comma 5 all'art.  10  della
legge della  Regione  Basilicata  5  luglio  2002,  n.  24  (Variante
generale al piano territoriale di coordinamento del Pollino)  (recte:
all'art. 10 della legge della Regione Basilicata 18 ottobre 2006,  n.
27,  recante  «Variante   normativa   al   piano   di   coordinamento
territoriale del Pollino»). 
    Tale disposizione sarebbe in contrasto con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. in quanto non rispetterebbe le  disposizioni
contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137), la' dove quest'ultimo  prevede  espressamente
la concertazione con lo Stato per la pianificazione paesaggistica. 
    Il  ricorrente  sottolinea   che   il   piano   territoriale   di
coordinamento del pollino ha valenza di piano paesaggistico,  per  il
cui aggiornamento l'art. 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, al  comma  3,
prevede che «le regioni e  il  Ministero,  in  conformita'  a  quanto
stabilito dall'articolo  135,  possono  stipulare  intese,  ai  sensi
dell'articolo 143, comma 2, per disciplinare lo svolgimento congiunto
della  verifica  e  dell'adeguamento  dei  piani  paesaggistici».  In
attuazione di tale disposizione - ricorda ancora il ricorrente  -  e'
stato sottoscritto il 14 settembre 2011 il Protocollo di  intesa  tra
il Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali  (MIBAC),  il
Ministero dell'ambiente e della tutela  del  territorio  e  del  mare
(MATTM) e la Regione Basilicata  per  la  definizione  congiunta  del
piano paesaggistico regionale. In  attuazione  dell'art.  5  di  tale
Protocollo  e'  stato,  poi,  istituito  un  Comitato   tecnico   con
determinazione del  dirigente  generale  del  Dipartimento  ambiente,
territorio e politiche della sostenibilita'  19  settembre  2012,  n.
7502. 
    La tesi del ricorrente e' che, con la disposizione impugnata,  la
Regione avrebbe omesso di dare applicazione agli accordi recepiti nei
provvedimenti suindicati con conseguente  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost.,  che  attribuisce  alla  competenza
esclusiva   dello   Stato   la    materia    tutela    dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali. 
    1.2.- E' impugnato anche l'art. 4 della legge reg. Basilicata  n.
19 del 2017, nella parte in cui, sostituendo un articolo delle  Norme
Tecniche attuative del Piano territoriale paesistico del Metapontino,
disciplina l'uso dell'arenile vincolato (300  metri  dalla  linea  di
battigia) per la realizzazione di  strutture  di  balneazione,  senza
alcuna concertazione con il  MIBAC  e  quindi  in  contrasto  con  il
Protocollo di intesa del 14 settembre 2011 e con l'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    1.3.- L'art. 5 della medesima legge regionale e',  a  sua  volta,
impugnato nella parte in cui detta disposizioni in tema di interventi
edilizi in  assenza  o  in  difformita'  dal  titolo  abilitativo  in
contrasto con gli artt. 31, 33, 34 e 36 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia  edilizia  (Testo
A)». Piu' precisamente il ricorrente sostiene che esso contrasti  con
i citati principi fondamentali in materia di governo del territorio -
e quindi con l'art. 117, terzo comma, Cost. - la' dove sostituisce la
previsione  della  sanzione  della  demolizione  con  quella  di  una
sanzione pecuniaria e quindi introduce - secondo la difesa statale  -
nuove ipotesi di sanatoria di  abusi  edilizi,  in  violazione  anche
della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e
penale, nonche' della riserva di legge  statale  in  materia  penale,
contenuta  nell'art.  25  Cost.  L'impugnata  disposizione   sarebbe,
inoltre, irragionevole, alla luce di quanto stabilito dal legislatore
statale agli artt. 45, comma 3, e 46, del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    1.4.- Viene, inoltre, fatto oggetto di  censure  l'art.  8  della
legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, la' dove, aggiungendo il  comma
4-bis all'art. 6 della legge della Regione Basilicata 7 agosto  2009,
n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia
e  alla  riqualificazione   del   patrimonio   edilizio   esistente),
introduce, unilateralmente e  quindi  in  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., deroghe ai divieti di interventi di
ampliamento,  rinnovo  e  interventi  straordinari   di   riuso   del
patrimonio edilizio esistente, stabiliti  per  tutti  i  Comuni  che,
prima dell'entrata in vigore  della  legge,  erano  muniti  di  piani
paesaggistici. 
    1.5.- Sempre con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., e' censurato anche l'art. 12 della legge  reg.  Basilicata
n. 19 del 2017, in quanto, aggiungendo il comma 7-quater  all'art.  2
della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, prevede - unilateralmente
- la possibile realizzazione di interventi di ampliamento,  nel  caso
di pertinenze  della  residenza,  anche  separatamente  dall'edificio
nell'ambito del lotto fondiario, in deroga ai limiti e alle  distanze
stabiliti dagli  strumenti  urbanistici,  riconoscendo  che  si  puo'
«superare di m. 3,10 l'altezza  massima  consentita  dagli  strumenti
urbanistici vigenti». 
    1.6.- L'art. 13 della legge reg. Basilicata n. 19  del  2017  e',
poi, impugnato nella parte in cui, sostituendo il  comma  1-quinquies
dell'art. 5 della legge reg. Basilicata n. 25 del  2009,  prevede  la
possibilita' di un mutamento delle destinazioni d'uso a residenza per
gli immobili ricompresi «all'interno delle zone omogenee E» di cui al
decreto ministeriale. 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili  di
densita' edilizia,  di  altezza,  di  distanza  fra  i  fabbricati  e
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, al
verde pubblico o a parcheggi da osservare ai  fini  della  formazione
dei  nuovi  strumenti  urbanistici  o  della  revisione   di   quelli
esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.  765),
«in tutte le zone  in  cui  il  piano  dell'autorita'  di  bacino  ha
declassificato  la  pericolosita'  geologica   prevista   nei   piani
paesistici». Tale disposizione violerebbe l'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., nonche' l'art. 3 Cost. per irragionevolezza e  per
l'oscurita' della nozione impiegata di "declassificazione". 
    1.7.- Ulteriori censure vengono promosse nei confronti  dell'art.
20 della citata legge regionale n. 19 del 2017, nella  parte  in  cui
introduce il comma 3 dell'art. 2 della legge reg.  Basilicata  n.  54
del 2015, in quanto introdurrebbe disposizioni in  tema  di  corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia  rinnovabili,  ai  sensi  del  d.m.  10  settembre  2010,  in
contrasto con gli impegni assunti in tema di elaborazione  del  piano
paesaggistico  regionale,  in   seguito   alla   sottoscrizione   del
Protocollo di intesa del 14 settembre 2011, e  quindi  in  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  Esso,  inoltre,  si
porrebbe in contrasto con l'art. 117, terzo comma,  in  relazione  ai
principi fondamentali posti dal legislatore  statale  in  materia  di
produzione, trasporto e  distribuzione  nazionale  dell'energia,  cui
deve essere ricondotta la disciplina degli  impianti  di  energia  da
fonti rinnovabili. 
    1.8.- E' infine impugnato l'art. 46, comma 1,  della  legge  reg.
Basilicata n. 19 del 2017, che, aggiungendo il comma  1-bis  all'art.
76 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 5  (Legge
di stabilita' regionale 2015), ha  riconosciuto  la  possibilita'  di
rilasciare «concessioni demaniali marittime provvisorie e  stagionali
ai Comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere  e/o
attivita' in favore di disabili intellettivi e motori  e  delle  loro
famiglie al fine di realizzare strutture  stagionali  attrezzate  per
l'accoglienza e il godimento del mare». Tale norma, non  contemplando
espressamente procedure selettive per l'individuazione  del  soggetto
titolare delle concessioni  demaniali  marittime,  verosimilmente  di
carattere turistico-ricreativo, si porrebbe in contrasto sia  con  la
sfera di competenza statale in materia di tutela  della  concorrenza,
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., sia con l'art.
117, primo comma, Cost, in  relazione  all'art.  12  della  direttiva
2006/1123/CE. 
    1.9.- Nell'imminenza dell'udienza pubblica, l'Avvocatura generale
dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri,  ha
depositato memoria in cui, nel ribadire le ragioni  del  ricorso,  ha
segnalato che la Regione Basilicata, con legge  regionale  29  giugno
2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilita' regionale  2018),  ha
modificato alcune delle disposizioni impugnate. 
    In particolare, l'art. 47 della citata legge regionale n. 11  del
2018 ha sostituito l'art. 5 della legge regionale n. 19 del 2017,  ma
e' stato anch'esso oggetto di impugnativa, in quanto  il  Governo  ha
ritenuto che le intervenute modifiche siano affette dai medesimi vizi
di illegittimita' costituzionale gia' denunciati. 
    A tal proposito, il ricorrente ha anche  ricordato  che  e',  nel
frattempo, intervenuta la sentenza n. 140 del 2018, in cui  la  Corte
costituzionale ha precisato che l'art. 31 del d.P.R. n. 380 del  2001
- anche nel suo comma 5, che riguarda le deroghe al  principio  della
demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune
- costituisce  parametro  interposto,  qualificabile  come  principio
fondamentale nella materia del governo del territorio. 
    Sulla base di tali indicazioni sarebbe evidente  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 5 della legge  regionale  n.  19  del  2017.
Sarebbe infatti possibile sostituire la demolizione con una  sanzione
pecuniaria, e sarebbero ipotizzabili nuove forme di  sanatoria  degli
abusi edilizi, diverse da quelle previste dall'art. 36 del d.P.R.  n.
380 del 2001, quindi in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    2.- Con successivo ricorso notificato in data 9-14 novembre  2017
e depositato il 17 novembre 2017 (reg.  ric.  n.  87  del  2017),  il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, 2, comma 2, 5,  6
e 7 della legge della Regione Basilicata 11  settembre  2017,  n.  21
(Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1
«Norme  in  materia  di  energia  e  piano  di  indirizzo  energetico
ambientale regionale - D.Lgs. n.  152  del  3  aprile  2006  -  legge
regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni  in  materia
di produzione  di  energia  elettrica  da  fonti  rinnovabili»  e  30
dicembre 2015,  n.  54  «Recepimento  dei  criteri  per  il  corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10  settembre  2010»),  nonche'
dell'Allegato alla medesima legge, che inserisce un allegato D)  alla
legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri  per
il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti
da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010),
in riferimento, nel complesso, agli artt.  42  e  117,  primo  comma,
Cost. - in relazione al principio di libera circolazione delle  merci
di cui all'art. 63 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.  130,  e  al
principio di favore per le fonti rinnovabili, di cui  alla  normativa
internazionale e comunitaria (Protocollo di  Kyoto  alla  Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto  a  Kyoto
l'11 dicembre 1997 e ratificato con legge 1°  giugno  2002,  n.  120;
Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite,  fatto
a Parigi il 12 dicembre 2015; direttive del Parlamento europeo e  del
Consiglio  2001/77/CE  del  27  settembre   2001   sulla   promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita' e 2009/28/CE  del  23  aprile  2009
sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili,  recante
modifica  e  successiva  abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e
2003/30/CE) -, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. 
    2.1.- La difesa statale premette che la citata legge regionale n.
21 del 2017 modifica, tra l'altro, la legge reg. Basilicata n. 54 del
2015, in tema di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio  e
sul territorio degli impianti da fonti  di  energia  rinnovabili,  ai
sensi del decreto ministeriale  10  settembre  2010,  recante  «Linee
guida  per  l'autorizzazione  degli  impianti  alimentati  da   fonti
rinnovabili». Tale  legge  regionale  ha  recepito  quanto  stabilito
congiuntamente tra la Regione Basilicata, il MIBAC  e  il  MATTM,  in
attuazione di uno  degli  impegni  assunti  (art.  2,  punto  4)  nel
Protocollo di intesa per la per la  definizione  delle  modalita'  di
elaborazione congiunta del piano paesaggistico  regionale,  stipulato
ai sensi dell'art. 143, comma  2,  del  d.lgs.  n.  42  del  2004,  e
sottoscritto in data 14 settembre 2011. 
    La stessa legge reg. Basilicata n. 54 del 2015 ha dato attuazione
alle Linee guida contenute nel d.m. 10 settembre 2010 e  adottate  di
concerto tra il Ministero dello Sviluppo Economico,  il  MATTM  e  il
MIBAC, ai sensi di  quanto  previsto  dall'art.  12,  comma  10,  del
decreto legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387  (Attuazione  della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica
prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato   interno
dell'elettricita'). 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda inoltre  che  la
citata legge regionale ha stabilito i criteri e le modalita'  per  il
corretto  inserimento  nel  paesaggio  e  sul  territorio  di  alcune
tipologie  di  impianti  da  fonti  di  energia  rinnovabili   (FER),
limitandosi a quelli di grande generazione al di  sopra  di  1  MW  e
individuando - sulla base della tipologia e potenza  specificate  nel
quadro sinottico allegato alla legge medesima  -  «Aree  e  Siti  non
idonei» all'installazione, riconducibili alle macro-aree tematiche di
cui agli allegati A) e C), nonche' agli elaborati di cui all'allegato
B) della legge stessa. 
    La legge reg. Basilicata n. 54 del  2015  -  prosegue  la  difesa
statale  -  stabiliva,  all'art.  3,  comma  3,  che  «[n]elle   more
dell'approvazione del Piano Paesaggistico Regionale di  cui  all'art.
135 del D.Lgs. n. 42 del 2004 e nel rispetto  dell'Intesa  stipulata,
ai sensi dell'art. 145, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004  tra  Regione,
Ministero dei Beni e le  Attivita'  culturali  e  del  Turismo  e  il
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,  la
Giunta  regionale,  previo  parere   della   Commissione   consiliare
competente, entro 60 giorni dall'entrata  in  vigore  della  presente
legge, emana specifiche linee guida per il corretto inserimento degli
impianti, alimentati da fonti rinnovabili con  potenza  superiore  ai
limiti stabiliti nella tabella  A)  del  D.Lgs.  n.  387/2003  e  non
superiori a 1 MW». 
    Il ricorrente segnala che, in assenza  di  tali  criteri,  si  e'
determinata, nel frattempo, una  incontrollata  proliferazione  degli
impianti, che, per effetto del regime autorizzatorio semplificato, ha
generato importanti e diffusi impatti sul territorio, tali da indurre
la Regione Basilicata a affrontare il problema. 
    Il ricorrente rileva che, tuttavia, la Regione  ha  ritenuto,  in
maniera assolutamente unilaterale, di intervenire, innanzitutto,  con
la delibera della Giunta regionale 2 marzo 2017,  n.  175,  annullata
con sentenza 24 luglio 2017, n.  510,  del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Basilicata; poi con l'art. 20 della legge  regionale
n. 19  del  2017,  impugnato  dal  Governo  ex  art.  127  Cost.  per
violazione della competenza esclusiva statale in  materia  di  tutela
paesaggistica (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). 
    Ad avviso del ricorrente, con le  richiamate  norme  della  legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017, la Regione avrebbe superato i  limiti
della propria competenza, in violazione della Costituzione. 
    2.2.- In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato gli artt. 1, comma 1, e 2,  comma  1,  della  citata  legge
regionale,   nonche'   l'Allegato   alla    medesima,    in    quanto
procederebbero,  in  maniera  unilaterale  -   quindi   senza   alcun
coinvolgimento  dell'amministrazione  statale   competente   -   alla
modifica e integrazione di disposizioni  legislative  regionali  gia'
condivise con lo Stato e "recepite" dalla legge reg. Basilicata n. 54
del  2015.  Sarebbero  cosi'  introdotti  elementi  di  contrasto   e
contraddittorieta' con gli impegni assunti con la sottoscrizione  del
Protocollo di  intesa  per  l'elaborazione  del  piano  paesaggistico
regionale, con conseguente violazione degli artt. 143, comma  2,  del
d.lgs. n. 42 del 2004 e 12, comma 10, del d.lgs.  n.  387  del  2003,
oltre che del d.m. 10 settembre 2010. Le  modifiche  apportate  dalla
legge regionale  n.  21  del  2017  introdurrebbero,  pertanto,  solo
elementi di confusione e contraddizione, in violazione della sfera di
competenza esclusiva statale  in  materia  di  tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali. 
    2.3.- E', poi, impugnato l'art. 5, commi 1 e 2 (recte:  art.  5),
della legge regionale n. 21 del  2017,  nella  parte  in  cui  -  nel
modificare l'art. 5 (recte: l'art. 5, commi 1 e 2) della legge  della
Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in  materia  di
produzione di energia elettrica da fonti  rinnovabili)  -  stabilisce
che agli impianti solari fotovoltaici di potenza fino a  200  kW,  da
collocare  a  terra,  puo'   essere   applicata   la   procedura   di
autorizzazione semplificata (PAS) a condizione che  siano  rispettate
congiuntamente le specifiche tecniche contenute nell'Allegato  2  del
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione  della  direttiva
2009/28/CE  sulla   promozione   dell'uso   dell'energia   da   fonti
rinnovabili,  recante  modifica  e   successiva   abrogazione   delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE),  le  prescrizioni  del  paragrafo
2.2.2. dell'appendice A del piano di indirizzo energetico  ambientale
regionale (PIEAR), nonche' le condizioni di cui alle lettere da a)  a
h)  ivi  specificate  (comma  1  del  novellato  art.  5  legge  reg.
Basilicata n. 12 del 2008),  prevedendo,  altresi',  che  il  mancato
rispetto di una sola di tali condizioni comporta  l'applicazione  del
regime dell'autorizzazione unica (comma 2 del novellato art. 5). 
    Cosi' disponendo, il nuovo testo dell'art. 5, commi 1 e 2,  della
legge regionale n. 8  del  2012,  avrebbe  introdotto  ingiustificati
aggravi alla realizzazione  e  all'esercizio  degli  impianti  solari
fotovoltaici di potenza fino a 200  kW,  da  collocare  a  terra,  in
contrasto con i principi  fondamentali  previsti  dalla  legislazione
nazionale  in  materia  di  produzione,  trasporto  e   distribuzione
nazionale dell'energia, e quindi con l'art. 117, terzo comma, Cost. 
    2.4.- Sono stati, poi, impugnati il comma  3  dell'art.  5  e  il
comma 3 dell'art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del  2012,  come
rispettivamente sostituiti dall'art. 5  e  dall'art.  6  della  legge
regionale n. 21 del 2017, per violazione  dei  principi  fondamentali
fissati dal legislatore statale in materia di energia, nella parte in
cui stabiliscono che la costruzione e  l'esercizio,  rispettivamente,
di nuovi impianti fotovoltaici a terra (art. 5) e  eolici  (art.  6),
anche ubicati nello stesso territorio comunale, sono assoggettati  al
rilascio dell'autorizzazione unica e non alla  procedura  abilitativa
semplificata (PAS), ove siano proposti da un soggetto  gia'  titolare
di altre autorizzazioni, ottenute tramite PAS  o  riconducibili  allo
stesso centro decisionale, ex art.  2359  del  codice  civile  o  per
qualsiasi altra relazione, anche di  fatto,  sulla  base  di  univoci
elementi, e la cui potenza nominale, sommata tra loro  e  con  quella
dell'impianto gia' autorizzato, superi la soglia di  potenza  di  200
kW. 
    Il ricorrente ritiene che, sebbene l'intento  delle  disposizioni
impugnate possa rinvenirsi nell'esigenza di evitare l'elusione  della
soglia di potenza dei 200  kW  per  l'applicazione  della  PAS,  esse
tuttavia introdurrebbero un ingiustificato vincolo per l'applicazione
della  procedura  semplificata  sulla  base  di  un   criterio   solo
soggettivo (peraltro assai generico e quindi di difficile riscontro),
senza  individuare  alcun  limite  spaziale  di  collocazione   degli
impianti che, paradossalmente, potrebbero trovarsi anche a chilometri
di distanza, in contrasto  con  i  principi  fondamentali  posti  dal
legislatore statale in materia e quindi con il terzo comma  dell'art.
117 Cost. 
    2.5.- Ulteriori censure sono rivolte al comma 4 dell' art. 5 e al
comma 4 dell'art. 6, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012,  come
rispettivamente sostituiti dall'art. 5 e dall'art. 6 della legge reg.
Basilicata n. 21 del 2017, la' dove stabiliscono  che  piu'  impianti
fotovoltaici a terra e piu' impianti eolici, autorizzati con la  PAS,
non possono  essere  ceduti  a  terzi  costituenti  un  unico  centro
decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti superi  la
soglia di 200 kW. 
    Tali  previsioni,  pur  ispirate  a  finalita'  antielusive,   si
porrebbero in contrasto, oltre che con i principi fondamentali  della
materia, con l'art. 42 Cost. e con l'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione al principio di libera  circolazione  delle  merci  di  cui
all'art. 63 TFUE, in quanto impedirebbero la cessione di impianti  (o
progetti di impianti) gia' autorizzati e potenzialmente localizzati a
chilometri   di   distanza,   ponendo   un   limite    ingiustificato
all'esercizio del diritto di proprieta'. 
    2.6.- Le medesime censure sono svolte nei confronti dell'«art. 7,
comma 2», della legge reg. Basilicata n. 21  del  2017  (recte:  art.
6-bis, comma 2, della legge regionale n. 8 del 2012, come  introdotto
dall'art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017), nella parte in cui
stabilisce che piu' impianti fotovoltaici e eolici,  autorizzati  con
la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro
decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti superi  la
soglia di 200 kW. 
    2.7.- E' inoltre impugnato l'«art. 7, comma 1», della legge  reg.
Basilicata n. 21 del 2017 (recte: art. 6-bis, comma  1,  della  legge
regionale n. 8 del 2012, come  modificato  dall'art.  7  della  legge
regionale n. 21  del  2017),  nella  parte  in  cui  pone  condizioni
ulteriori - rispetto a quelle individuate dal legislatore  statale  -
per l'applicazione della PAS agli impianti eolici e fotovoltaici  con
potenza nominale inferiore alla tabella A) dell'art.12, comma 5,  del
d.lgs. n. 387 del 2003. Piu' precisamente, secondo il ricorrente,  la
disposizione  regionale  impugnata  enucleerebbe,  nell'ambito  della
categoria degli impianti soggetti a PAS, di cui  agli  artt.  5  e  6
della legge regionale n. 21 del 2017, un'ulteriore classe di impianti
eolici e fotovoltaici,  a  terra  e  su  edificio,  con  una  potenza
inferiore ai 200 kW e pari, rispettivamente, a 0-60 kW e a  0-20  kW,
in relazione ai quali detterebbe una serie di condizioni, in mancanza
delle quali tali impianti non potrebbero essere abilitati nemmeno con
l'autorizzazione unica. 
    Un simile regime autorizzativo  non  corrisponderebbe  al  regime
speciale delineato dagli artt. 4 e 6 del d.lgs.  n.  28  del  2011  e
dalle linee guida di cui  al  d.m.  10  settembre  2010  (in  specie,
paragrafi 11 e 12) e si porrebbe, pertanto, in contrasto  con  l'art.
117, terzo comma, Cost., in considerazione della natura di  principio
fondamentale attribuito ai regimi di abilitazione alla costruzione ed
esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da  fonti
rinnovabili. 
    Inoltre, la mancata previsione  della  possibilita'  di  rilascio
dell'autorizzazione unica, nel caso di  insussistenza  dei  requisiti
per l'accesso alla procedura semplificata, determinerebbe un  divieto
generalizzato di autorizzazione degli impianti  di  cui  al  comma  1
dell'art. 6-bis della  legge  reg.  Basilicata  n.  8  del  2012,  in
contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost. e con  il  principio  di
favore per le fonti rinnovabili di cui alla normativa  internazionale
e comunitaria (Protocollo di Kyoto, Accordo  di  Parigi  e  direttive
2001/77/CE e 2009/28/CE). 
    2.8.- Viene, inoltre, impugnato, per  le  medesime  ragioni  gia'
indicate con riguardo ai commi 1 e 2, relative  alla  violazione  dei
principi fondamentali della materia posti  dal  legislatore  statale,
anche il «comma 3 dell'art. 7» della legge reg. Basilicata n. 21  del
2017 (recte: il comma 3 dell'art. 6-bis della legge  regionale  n.  8
del 2012, come introdotto dall'art. 7 della legge regionale n. 21 del
2017), nella parte in cui stabilisce che, se piu' impianti di cui  al
comma 1 sono riconducibili ad un unico centro decisionale, essi vanno
considerati come unico impianto, per  cui  si  devono  rispettare  le
condizioni contenute negli artt. 5 e 6 della legge reg. Basilicata n.
8 del 2012, come sostituiti dalla legge regionale n. 21 del 2017. 
    2.9.- Infine, il ricorrente impugna congiuntamente gli artt. 5, 6
e 7 della legge reg.  Basilicata  n.  21  del  2017,  per  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nell'assoggettare a PAS
impianti di potenza a partire da  «0»  kW,  non  farebbero  salvo  il
regime della comunicazione, previsto dai  paragrafi  11  e  12  delle
linee guida nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010  e  richiamato
dall'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso, iscritto al n. 77 del registro ricorsi del 2017,
il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   impugnato   varie
disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017,  n.
19 (Collegato alla legge di stabilita' regionale 2017), tra  cui  gli
artt. 3, 4, 5, 8, 12 (indicato come art. 9 per errore materiale nella
delibera autorizzativa del ricorso), 13, 20 e 46 (recte: comma 1), in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 25, secondo  comma  e  117,
primo comma - quest'ultimo in relazione all'art. 12  della  direttiva
2006/1123 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12  dicembre
2006, relativa ai servizi  del  mercato  interno  -,  secondo  comma,
lettere e), l) e s), e terzo comma, della Costituzione. 
    Con successivo ricorso iscritto al n. 87 del registro ricorsi del
2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt.
1, comma 1, 2, comma 1, 5, 6 e 7 della legge della Regione Basilicata
11 settembre 2017,  n.  21  (Modifiche  ed  integrazioni  alle  leggi
regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e  piano
di indirizzo energetico ambientale regionale - D.Lgs. n.  152  del  3
aprile 2006 - legge regionale  n.  9/2007»;  26  aprile  2012,  n.  8
«Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da  fonti
rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei  criteri  per
il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti
da fonti di energia  rinnovabili  ai  sensi  del  D.M.  10  settembre
2010»), nonche' l'Allegato alla  medesima  legge,  che  inserisce  un
allegato D) alla legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2015,  n.
54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio
e sul territorio degli impianti da fonti di  energia  rinnovabili  ai
sensi del D.M. 10 settembre 2010),  in  riferimento,  nel  complesso,
agli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera s), terzo comma, e  primo
comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione  delle
merci di cui all'art. 63 del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione
europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato  di  Lisbona
del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.  130,
e al principio di favore  per  le  fonti  rinnovabili,  di  cui  alla
normativa internazionale e  comunitaria  (Protocollo  di  Kyoto  alla
Convenzione quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti  climatici,
fatto a Kyoto l'11 dicembre 1997 e ratificato  con  legge  1°  giugno
2002, n. 120; Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni
Unite, fatto a Parigi il 12 dicembre 2015; direttive  del  Parlamento
europeo e del  Consiglio  2001/77/CE  del  27  settembre  2001  sulla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita' e 2009/28/CE del 23
aprile  2009  sulla  promozione  dell'uso   dell'energia   da   fonti
rinnovabili,  recante  modifica  e   successiva   abrogazione   delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE). 
    1.1.- Riservata a separate pronunce la decisione delle  ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale promosse con il  ricorso  n.
77 del 2017, i giudizi aventi ad oggetto  le  disposizioni  regionali
indicate al precedente punto 1 debbono  essere  riuniti,  in  ragione
della parziale connessione oggettiva e della parziale  identita'  dei
termini delle questioni ora all'esame di questa Corte. 
    2.- Con  il  primo  ricorso  (reg.  ric.  n.  77  del  2017),  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   promuove,   innanzitutto,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge reg.
Basilicata n. 19 del 2017, che aggiunge il comma 5 all'art. 10  della
legge della Regione  Basilicata  18  ottobre  2006,  n.  27,  recante
«Variante  normativa  al  piano  di  coordinamento  territoriale  del
Pollino» (erroneamente  indicato  come  art.  10  della  legge  della
Regione Basilicata 5 luglio 2002, n. 24, recante  «Variante  generale
al piano territoriale di coordinamento del Pollino»). 
    Secondo  il  ricorrente,  tale  disposizione  -  che   introduce,
unilateralmente, una modifica al piano di coordinamento  territoriale
del Pollino, che ha valenza di piano  paesaggistico  -  lederebbe  la
sfera di competenza esclusiva del legislatore statale in  materia  di
tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Con essa,
infatti, il legislatore regionale avrebbe violato  il  Protocollo  di
intesa siglato il 14 settembre 2011 tra il Ministero per i beni e  le
attivita' culturali  (MIBAC),  il  Ministero  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare (MATTM) e la Regione Basilicata  per
la  definizione  congiunta  del  piano  paesaggistico  regionale,  in
attuazione di quanto disposto dal comma 3 dell'art. 156  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137), in tema di verifica e adeguamento dei piani paesistici. 
    2.1.- La questione e' fondata. 
    2.1.1.-  Questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato,  anche   di
recente, che «[l]a disciplina statale volta a proteggere l'ambiente e
il paesaggio viene [...] "a funzionare come un limite alla disciplina
che le Regioni e le Province autonome dettano  in  altre  materie  di
loro competenza"» (sentenza n.  66  del  2018).  Essa  «richiede  una
strategia  istituzionale  ad  ampio  raggio,  che   si   esplica   in
un'attivita' pianificatoria estesa sull'intero  territorio  nazionale
[...] affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni» (sentenza n.
66 del 2018). E'  in  questa  prospettiva  che  il  codice  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio  pone,  all'art.  135,  un  obbligo   di
elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento  agli
immobili e alle aree dichiarati di  notevole  interesse  pubblico  ai
sensi dell'art. 136 (le c.d. "bellezze naturali"), alle aree tutelate
direttamente dalla legge  ai  sensi  dell'art.  142  (le  c.d.  "zone
Galasso",  come  territori  costieri,  fiumi,  torrenti,  parchi)  e,
infine,  agli  ulteriori  immobili  ed  aree  di  notevole  interesse
pubblico (art. 143, lettera d). Tale obbligo costituisce un principio
inderogabile della legislazione statale, che  e',  a  sua  volta,  un
riflesso della necessaria  «impronta  unitaria  della  pianificazione
paesaggistica» (sentenza n.  64  del  2015),  e  mira  a  «garantire,
attraverso   la   partecipazione   degli   organi   ministeriali   ai
procedimenti   in   materia,   l'effettiva   ed    uniforme    tutela
dell'ambiente» (sentenza n. 210 del 2016). 
    2.1.2.- La disposizione  regionale  impugnata  e'  intervenuta  a
introdurre una "variante" al piano territoriale di coordinamento  del
Pollino, istituito con delibera del Consiglio regionale  21  dicembre
1985, n. 50, sulla base della legge 17 agosto 1942,  n.  1150  (Legge
urbanistica), e varie volte modificato in applicazione  dell'art.  19
della legge della Regione Basilicata 4 agosto 1987, n.  20  (Funzioni
amministrative riguardanti la protezione delle bellezze naturali). 
    Tale piano,  cui  e'  assegnata  valenza  di  "piano  paesistico"
secondo la legge della Regione Basilicata  12  febbraio  1990,  n.  3
(Piani regionali paesistici di  area  vasta),  incide  su  una  parte
rilevante del territorio dell'Ente Parco del Pollino,  istituito  con
d.P.R. 15 novembre 1993,  al  fine  di  salvaguardare  il  patrimonio
naturalistico e ambientale e permettere forme di sviluppo durevole  e
sostenibile   del   territorio.   Tale   territorio   e',   pertanto,
riconducibile ai «parchi  e  [...]  riserve  nazionali  o  regionali,
nonche' [...] territori di protezione esterna dei parchi» di cui alla
lettera f) dell'art. 142, comma 1, del codice dei beni culturali, per
cui  l'art.  135,  comma  1,  del  medesimo   codice   prescrive   la
pianificazione congiunta. 
    Piu' precisamente, la norma regionale impugnata ha introdotto una
previsione  secondo  cui  e'  possibile  realizzare,  in  una   zona,
designata come "a protezione speciale" e ricondotta ai  "Paesaggi  di
rilevante interesse" (Zona C3), un  distributore  di  carburanti  con
annesso fabbricato per  le  attivita'  di  servizio  all'impianto  da
realizzare,  senza  peraltro  richiedere   neppure   l'autorizzazione
paesaggistica (di contro a quanto  prescritto,  ad  esempio,  per  le
opere di adeguamento della viabilita'). 
    Questo intervento si e' avuto dopo che la  medesima  Regione,  in
data 14 settembre 2011,  ha  sottoscritto  un  Protocollo  di  intesa
(species degli accordi fra amministrazioni), con cui si e'  vincolata
a  realizzare  una  forma  di  «collaborazione   istituzionale»   per
«garantire  la  corretta  gestione  del  territorio,  un'efficace  ed
efficiente  tutela  e  valorizzazione  dei  caratteri  paesaggistici,
storici,  culturali   e   naturalistico-ambientali,   attraverso   la
definizione delle  modalita'  di  elaborazione  congiunta  del  Piano
esteso all'intero territorio regionale» (art. 2 del  Protocollo).  La
Regione Basilicata, con la medesima intesa, si e' anche impegnata «ad
assicurare la partecipazione degli organi  del  Ministero  (dei  beni
culturali)  e  del  Ministero  dell'ambiente   al   procedimento   di
conformazione e adeguamento della strumentazione urbanistica  secondo
il disposto del comma 5 dell'articolo 145 del Codice» (art. 4,  comma
3, del Protocollo). 
    In attuazione di tali indicazioni, e' stato istituito un Comitato
tecnico paritetico, cui e' stato affidato il compito  di  definire  i
contenuti  del  nuovo  piano  paesaggistico,  coordinare  le   azioni
necessarie alla sua redazione, verificare il rispetto  dei  tempi  (e
dei  modi)  previsti   nell'apposito   Disciplinare   attuativo   del
Protocollo (art. 5), adottato il 13 aprile 2017. 
    Appare, pertanto, evidente che - in  tale  contesto,  nelle  more
dell'approvazione  congiunta  del   nuovo   piano   paesaggistico   e
dell'adeguamento, pure  congiunto,  degli  strumenti  urbanistici  al
medesimo piano - l'intervento  della  Regione,  volto  a  modificare,
unilateralmente,  la  disciplina  di  un'area  protetta,  in  termini
peraltro di riduzione di  tutela,  costituisce  violazione  non  solo
degli  impegni  assunti  con  il  citato  Protocollo  di  intesa,  ma
soprattutto di quanto prescritto dal codice dei beni culturali e  del
paesaggio che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali
ai procedimenti in materia, mira a garantire «l'effettiva ed uniforme
tutela dell'ambiente» (sentenza  n.  210  del  2016),  affidata  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    Deve, quindi, essere dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art.  3  della  legge  reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    2.2.- Censure analoghe a quelle  appena  richiamate  a  proposito
dell'art. 3 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017  sono  rivolte
all'art. 4 della  medesima  legge  regionale,  nella  parte  in  cui,
sostituendo l'art. 57 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio
2015, n. 4 (Collegato  alla  Legge  di  stabilita'  regionale  2015),
aggiunto al primo capoverso della nota (1) all'art.  36  delle  norme
tecniche attuative del piano territoriale paesistico del Metapontino,
disciplina l'uso dell'arenile vincolato (300  metri  dalla  linea  di
battigia) per la realizzazione di strutture di balneazione. 
    La difesa statale sostiene che tale  disciplina,  adottata  senza
alcuna concertazione con il MIBAC, sia in contrasto con il Protocollo
di intesa del 14  settembre  2011  e  in  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    2.2.1.- Preliminarmente,  deve  rilevarsi  la  tempestivita'  del
ricorso  proposto  nei  confronti  dell'art.  4  della   legge   reg.
Basilicata n. 19 del 2017, anche se esso, nel  sostituire  l'art.  57
della legge reg. Basilicata  n.  4  del  2015  ,  non  impugnato,  ne
riproduce, in buona misura, il testo. E', infatti, avverso la "nuova"
disposizione - anche  con  riguardo  alla  parte  riproduttiva  della
precedente - che si appuntano le censure di violazione del  principio
di pianificazione congiunta e quindi dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera  s),  Cost.,  cosicche'  nessun  dubbio  si  pone  circa   la
tempestivita' dell'impugnazione. 
    2.2.2.- Nel merito la questione e' fondata. 
    Come appena rilevato, l'impugnato art. 4 va a  sostituire  l'art.
57 della legge regionale n. 4 del 2015, riproducendone  il  contenuto
nella parte in cui aveva aggiunto un periodo alla nota  (1)  all'art.
36 delle norme tecniche attuative del piano  territoriale  paesistico
del Metapontino, approvato con legge regionale  n.  3  del  1990.  Si
tratta di uno dei sette  piani  territoriali  vigenti  nella  Regione
Basilicata, approvati con la medesima legge regionale n. 3 del 1990 e
successive  modifiche,  cui  e'  riconosciuta  espressamente  valenza
paesaggistica. 
    Con il citato art. 57 la Regione aveva introdotto e con la  norma
ora impugnata ha  confermato,  unilateralmente,  la  possibilita'  di
localizzare strutture balneari sull'arenile,  incidendo  su  un'area,
quella  dei  «territori  costieri  compresi  in  una   fascia   della
profondita' di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni
elevati sul mare», menzionata  dall'art.  142,  comma  1,  cod.  beni
culturali, e che rientra fra i beni paesaggistici per i quali  l'art.
135 impone la pianificazione paesaggistica congiunta (in  virtu'  del
rinvio all'art. 143, comma 1, lettera c, del medesimo codice). 
    Anche in tal caso, come per l'art. 3, e', pertanto, evidente  che
la Regione Basilicata, nell'introdurre una simile  disciplina  -  che
peraltro segna una riduzione dello standard  di  tutela  di  un  bene
paesaggistico  -  senza   alcuna   concertazione   con   gli   organi
ministeriali  competenti,  ha  violato  l'obbligo  di  pianificazione
congiunta  imposto  dal  legislatore  statale  nell'esercizio   della
competenza   esclusiva   in   materia   di   tutela    dell'ambiente,
dell'ecosistema e  dei  beni  ambientali,  cosi'  venendo  meno  agli
impegni assunti con  il  Protocollo  di  intesa  sottoscritto  il  14
settembre 2011, in vista dell'obiettivo di garantire «un'efficace  ed
efficiente  tutela  e  valorizzazione  dei  caratteri  paesaggistici,
storici,  culturali   e   naturalistico-ambientali»   (art.   2   del
Protocollo). 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art.  4  della  legge  reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    2.3.- E' poi impugnato l'art. 5 della medesima legge regionale n.
19 del 2017, la'  dove  detta  disposizioni  in  tema  di  interventi
edilizi in assenza o in difformita' del titolo abilitativo. 
    Il ricorrente sostiene, anzitutto, che tale disposizione violi  i
principi fondamentali in materia di governo  del  territorio  fissati
dal legislatore statale agli artt. 31, 33, 34 e 36  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno  2001,  n.  380  recante  «Testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia  (Testo  A)».  Essa,  in  particolare,  introdurrebbe  nuove
ipotesi di abusi per cui e' possibile sostituire la  demolizione  con
una sanzione pecuniaria, nonche' nuove ipotesi di sanatoria di  abusi
edilizi, diverse da quelle previste dal legislatore statale. 
    Il censurato art. 5, inoltre, allargherebbe  l'area  del  condono
edilizio rispetto a quanto stabilito  dalla  legge  dello  Stato,  in
violazione  della  competenza  esclusiva  statale   in   materia   di
ordinamento civile e penale, nonche' della riserva di legge (statale)
in materia penale contenuta nell'art. 25 Cost. 
    La medesima disposizione  sarebbe,  infine,  irragionevole,  alla
luce di quanto stabilito dal legislatore statale agli artt. 45, comma
3, e 46 del d.P.R. n. 380 del 2001  (d'ora  in  avanti,  anche,  t.u.
edilizia). 
    2.3.1.- In via preliminare, occorre tener conto del fatto che  il
testo dell'impugnato art. 5 della legge regionale n. 19 del  2017  e'
stato sostituito dall'art. 47, comma 1,  della  legge  della  Regione
Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di  stabilita'
regionale 2018). 
    Tuttavia, la circostanza che la norma impugnata ha comunque avuto
applicazione nel tempo intercorso fra l'entrata in vigore della legge
regionale n. 19 del 2017, e quella della legge regionale  n.  11  del
2018 e' gia'  da  sola  sufficiente  a  escludere  una  pronuncia  di
cessazione della materia del contendere. A tale esito  conduce  anche
la considerazione che la disposizione, come novellata,  non  soddisfa
le  doglianze  del  ricorrente,  che  l'ha   peraltro   autonomamente
impugnata con un successivo ricorso (iscritto al n. 57 del reg.  ric.
del 2018). 
    2.3.2.- Nel merito, non sono fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 5 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017
per violazione degli artt. 25 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    La norma regionale stabilisce che, nel caso di interventi edilizi
realizzati in assenza o in difformita'  dal  titolo  abilitativo,  «i
Comuni,  con  motivata   decisione   autorizzano   il   completamento
funzionale   ai   fini   dell'agibilita'/abitabilita'   delle   opere
realizzate», a condizione che sussistano alcuni  requisiti  e  cioe':
che «sia stato riconosciuto che il ripristino dello stato dei  luoghi
non sia possibile  in  quanto  la  demolizione  delle  opere  abusive
potrebbe pregiudicare strutturalmente la restante parte  delle  opere
esistenti e sia stata pagata la relativa sanzione»;  che  il  mancato
completamento delle opere costituisca «pregiudizio al decoro e/o alla
qualita' urbana dell'area» e il completamento funzionale  costituisca
«oggetto di un apposito  progetto  sul  quale  si  esprime  l'ufficio
tecnico comunale»; infine, che le opere abusive, relative a  immobili
o  aree  tutelate  paesaggisticamente,  non  costituiscano  «elemento
detrattore alla corretta fruizione del paesaggio  e  sia  stato  gia'
espresso parere favorevole alla loro esecuzione  o  conservazione  da
parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo». 
    Dal tenore letterale di tale disposizione emerge chiaramente  che
essa non incide sulla responsabilita' penale dell'autore  dell'abuso,
che resta soggetto alla normativa statale, anche  con  riguardo  alle
sanzioni amministrative che saranno  irrogate.  L'impugnato  art.  5,
infatti,  lungi  dal   delineare   nuove   fattispecie   di   condono
straordinario o un ampliamento di un condono disposto dal legislatore
statale, interviene solo sulla  facolta',  accordata  ai  Comuni,  in
presenza di  determinate  condizioni,  di  escludere  la  demolizione
dell'opera  e  di  autorizzarne,  all'opposto,  il  completamento  in
ragione della impossibilita' del ripristino dello  stato  dei  luoghi
connessa al pregiudizio che da tale ripristino deriverebbe, sul piano
strutturale, ad opere esistenti ovvero al decoro  e/o  alla  qualita'
urbana dell'area allorquando essa  si  inserisca  all'interno  di  un
apposito progetto su cui si esprime l'ufficio tecnico comunale. 
    2.3.3.- Alla luce delle suesposte considerazioni, deve  ritenersi
priva di fondamento anche la censura di violazione dell'art. 3 Cost.,
promossa, sotto il profilo della ragionevolezza,  in  relazione  agli
artt. 45 e 46 del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    Tale censura e', infatti, formulata in riferimento a disposizioni
statali nella specie ininfluenti, dato che  la  norma  regionale  non
configura  alcuna  sanatoria  ulteriore  rispetto  a  quella  di  cui
all'art. 36 del t.u. edilizia, che, ai sensi del successivo art.  45,
determina l'estinzione dei  reati  contravvenzionali  previsti  dalle
norme urbanistiche vigenti, ne'  legittima  atti  di  disposizione  o
altri atti giuridici inerenti alle opere abusive (peraltro  acquisite
al patrimonio del Comune, in quanto non demolite), in deroga all'art.
46 del medesimo t.u. edilizia. 
    2.3.4.-  E',  invece,  fondata  la  questione   di   legittimita'
costituzionale  promossa  nei  confronti  del  citato  art.   5,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.,  per  contrasto  con  i
principi fondamentali fissati dal legislatore statale in  materia  di
governo del territorio in specie agli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380
del 2001. 
    Questa Corte ha di recente (sentenza n. 140 del 2018)  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di una norma regionale che consentiva
ai Comuni - avvalendosi di linee guida regionali - di  adottare  atti
regolamentari e di indirizzo in materia di  misure  alternative  alla
demolizione degli immobili abusivi,  tali  da  eludere  l'obbligo  di
demolire le opere abusive acquisite al proprio patrimonio  e  di  far
diventare le misure alternative un  esito  normale,  al  posto  della
demolizione, cosi' da sminuire l'efficacia  deterrente  dell'apparato
sanzionatorio statale. 
    In tale occasione questa Corte ha affermato che  «la  demolizione
degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio  del  Comune,  con  le
sole deroghe previste dal comma 5 dell'art.  31  d.P.R.  n.  380  del
2001,  costituisce  un  principio  fondamentale  della   legislazione
statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia
di "misure alternative alle demolizioni"» (sentenza n. 140 del  2018,
punto 3.5.1.2 del Considerato in diritto). Tale principio  rivela  la
scelta operata dal legislatore statale di  sanzionare  le  violazioni
piu' gravi della  normativa  urbanistico-edilizia  -  quali  sono  la
realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale
difformita' o con variazioni essenziali rispetto a esso,  di  cui  al
citato art. 31 del t.u. edilizia -  in  ragione  della  gravita'  del
pregiudizio recato all'interesse  pubblico,  imponendo  la  rimozione
dell'opera abusiva e, con essa, il ripristino  dell'ordinato  assetto
del territorio. 
    Tale principio, pertanto, implica che l'opera  abusiva  acquisita
al patrimonio comunale debba, di regola, essere demolita e che  possa
essere conservata in via solo eccezionale. E quindi soltanto se,  con
autonoma deliberazione del consiglio comunale relativa  alla  singola
opera, si ravvisi, sulla base di tutte le circostanze del caso  e  di
«un'analisi puntuale delle  caratteristiche»  della  medesima  opera,
nonche' «rispettosa dei canoni individuati dalla legge  statale,  che
sola puo' garantire  uniformita'  sull'intero  territorio  nazionale»
(sentenza n. 140 del 2018, punto 3.5.2. del Considerato in  diritto),
l'esistenza di uno specifico interesse  pubblico  alla  conservazione
della stessa, prevalente sull'interesse pubblico al ripristino  della
conformita'  del  territorio  alla  normativa   urbanistico-edilizia,
nonche' l'assenza di un  contrasto  fra  conservazione  dell'opera  e
rilevanti   interessi   urbanistici,   ambientali   o   di   rispetto
dell'assetto idrogeologico. 
    Nella specie, il legislatore lucano, la' dove prescrive,  in  via
generale, che i Comuni «autorizzano il  completamento  funzionale  ai
fini dell'agibilita'/abitabilita' delle opere realizzate» in  assenza
o in totale difformita' dal titolo abilitativo, cosi'  escludendo  il
ripristino dello stato dei luoghi in ragione del pregiudizio  che  da
tale  ripristino  deriverebbe,  sul  piano  strutturale,   ad   opere
esistenti ovvero anche al decoro e/o alla qualita' urbana  dell'area,
allorquando  il  completamento  funzionale  dell'opera   abusiva   si
inserisca all'interno di un  apposito  progetto  su  cui  si  esprime
l'ufficio tecnico comunale, configura tale completamento -  non  gia'
la demolizione - quale  esito  "normale",  addirittura  obbligatorio,
della realizzazione di tale opera. In tal modo si inverte il rapporto
fra "regola" (la demolizione) ed "eccezione" (le  misure  alternative
alla demolizione), delineato dal  legislatore  statale  all'art.  31,
comma 5, del t.u. edilizia e si contraddice  la  scelta  fondamentale
espressa dal medesimo legislatore statale di sanzionare con l'obbligo
della  rimozione  degli   interventi   abusivi   e   del   ripristino
dell'ordinato assetto del territorio le piu' gravi  violazioni  della
normativa  urbanistico-edilizia  in   ragione   della   entita'   del
pregiudizio arrecato all'interesse pubblico. 
    Il contrasto della  norma  regionale  impugnata  con  i  principi
fondamentali  dettati  dal  legislatore  statale  emerge  anche   con
riguardo alla previsione di cui all'art. 34, comma 2, del  d.P.R.  n.
380 del 2001, pur espressamente  richiamata.  Quest'ultima,  infatti,
attiene esclusivamente  alla  diversa  e  meno  grave  ipotesi  degli
interventi  «eseguiti  in  parziale  difformita'  dal   permesso   di
costruire» e ha un ambito di  applicazione  assai  piu'  limitato  di
quello della norma regionale impugnata. La  norma  statale,  infatti,
prescrive che «il dirigente o il  responsabile  dell'ufficio  applica
una sanzione pari al doppio del costo di produzione [...] della parte
dell'opera realizzata in difformita' dal permesso di costruire, se ad
uso residenziale, e pari al doppio del valore  venale  [...]  per  le
opere adibite ad usi diversi da quello residenziale» solo allorquando
la demolizione non possa  avvenire  «senza  pregiudizio  della  parte
eseguita in conformita'» e cioe' in un caso specifico, ben diverso da
quelli contemplati dalla norma regionale, in cui non solo si  esclude
la demolizione, ma si impone il completamento dell'opera abusiva, che
risulta addirittura "valorizzata" nell'ambito di specifici  progetti,
approvati dai Comuni, volti a garantire il  decoro  e/o  la  qualita'
urbana. 
    Sulla base dei richiamati argomenti, deve, pertanto,  dichiararsi
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5   della   legge   reg.
Basilicata n. 19 del 2017. 
    2.4.- E',  inoltre,  impugnato  l'art.  8  della  medesima  legge
regionale n.  19  del  2017,  la'  dove  introduce,  unilateralmente,
deroghe ai divieti di  interventi  di  ampliamento  e  rinnovo  e  di
interventi straordinari di riuso del patrimonio  edilizio  esistente,
stabiliti dalla legge della Regione Basilicata 7 agosto 2009,  n.  25
(Misure urgenti e straordinarie volte  al  rilancio  dell'economia  e
alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente), per tutti i
Comuni che, prima dell'entrata in vigore della legge, erano muniti di
piani paesaggistici. Il ricorrente ritiene che, cosi' disponendo,  la
norma regionale leda la sfera  di  competenza  statale  esclusiva  in
materia di tutela dell'ambiente. 
    2.4.1.- La questione e' fondata. 
    La disposizione regionale impugnata ha inserito  il  comma  4-bis
all'art. 6 della legge regionale n. 25 del 2009, con cui  la  Regione
Basilicata  ha  dato  attuazione  al  cosiddetto  "Piano  casa",   in
relazione a  quanto  stabilito  nell'Intesa,  raggiunta  in  sede  di
Conferenza unificata, il 1° aprile 2009, sull'atto concernente misure
per il rilancio dell'economia  attraverso  l'attivita'  edilizia,  in
applicazione dell'art. 11 del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge
6 agosto 2008, n. 133.  Nella  richiamata  intesa  si  precisava  che
simili interventi non avrebbero potuto essere realizzati  in  edifici
abusivi o ubicati nei centri storici o in  aree  di  inedificabilita'
assoluta. 
    Il citato art. 6 della legge reg. Basilicata n. 25 del  2009,  in
specie al comma 4, espressamente  vieta  interventi  di  ampliamento,
rinnovo e riuso del patrimonio edilizio esistente, in  relazione  non
solo a edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo, ma  anche
a  quelli  ubicati   in   aree   qualificate   dagli   strumenti   di
pianificazione  paesaggistica  e  urbanistica  vigenti   al   momento
dell'entrata in vigore della medesima legge regionale come a  vincolo
di «inedificabilita' assoluta» ovvero «dichiarate intrasformabili per
l'uso insediativo  (residenziale,  produttiv[o],  commerciale  e  del
terziario)  d[a]i  rispettivi  piani  paesistici»,  nonche'  in  aree
riconducibili a «parchi e riserve  nazionali  e  regionali»,  di  cui
all'art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali, o, ancora, in
edifici qualificati come beni culturali ai sensi  dell'art.  10  cod.
beni culturali  o,  infine,  a  quelli  ubicati  in  aree  a  rischio
idrogeologico ed idraulico secondo i «Piani  Stralcio  redatti  dalle
Autorita' di Bacino competenti sul territorio regionale». 
    Si tratta di interventi vietati, oltre che  in  attuazione  della
citata intesa (come nel caso di quelli inerenti a edifici  realizzati
in assenza di titolo abilitativo), in ragione  dell'evidente  impatto
paesaggistico su zone e beni tutelati dal codice dei beni culturali e
del paesaggio, per i quali quest'ultimo  impone  allo  Stato  e  alle
Regioni  l'adozione  di   piani   paesaggistici   ovvero   di   piani
urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei  valori
paesaggistici. 
    La deroga ai richiamati divieti, introdotta dalla norma regionale
impugnata,  e'  posta  con  riferimento  all'ipotesi  in  cui   detti
interventi siano  realizzati  in  Comuni  che  avessero  gia',  prima
dell'entrata in vigore della legge regionale n. 25 del  2009,  «Piani
paesistici» (recte: piani a valenza paesaggistica).  Pertanto,  sulla
base della norma regionale impugnata, e' alla  luce  delle  norme  di
attuazione di tali piani che deve valutarsi la  legittimita'  o  meno
dei medesimi interventi. 
    Tale previsione  che,  unilateralmente,  assegna  agli  strumenti
urbanistici comunali (pur a "valenza paesaggistica")  prevalenza  sul
piano paesaggistico regionale, si  pone  in  evidente  contrasto  con
quanto stabilito in relazione alle  previsioni  del  piano  medesimo,
configurate come cogenti e  inderogabili  da  parte  degli  strumenti
urbanistici degli enti locali, dal codice dei beni  culturali  e  del
paesaggio, adottato  dal  legislatore  statale  nell'esercizio  della
propria competenza esclusiva in  materia  di  «tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali». Tale competenza e' comprensiva
tanto della  tutela  del  paesaggio  quanto  della  tutela  dei  beni
ambientali o culturali e  si  impone  al  legislatore  regionale  che
eserciti  la  propria   competenza   nella   materia   "edilizia   ed
urbanistica". Il piano e', infatti, «strumento  di  ricognizione  del
territorio  oggetto  di  pianificazione  non  solo  ai   fini   della
salvaguardia  e  valorizzazione  dei  beni  paesaggistici,  ma  anche
nell'ottica dello sviluppo sostenibile  e  dell'uso  consapevole  del
suolo, in modo da  poter  consentire  l'individuazione  delle  misure
necessarie per il corretto inserimento, nel  contesto  paesaggistico,
degli interventi di trasformazione del territorio» (sentenza  n.  172
del 2018). 
    Poiche' gli strumenti urbanistici comunali sono assoggettati -  e
devono quindi conformarsi - al piano paesaggistico regionale, di  cui
gli artt. 135 e 143 e seguenti cod. beni culturali, essi  definiscono
contenuti  e  modalita'  di  adozione  in  vista  dell'obiettivo   di
garantire la piu' adeguata tutela del paesaggio e dei beni  culturali
ed ambientali,  anche  mediante  la  cooperazione  istituzionale  fra
Regione e Stato. 
    Risulta quindi  evidente  l'illegittimita'  costituzionale  della
norma regionale impugnata che, invertendo unilateralmente il rapporto
fra piano paesaggistico regionale  e  piano  urbanistico  comunale  a
valenza paesaggistica, determina la lesione della competenza  statale
in materia di  «tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali», nel segno peraltro, della riduzione della tutela. 
    Va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art.  8  della  legge  reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  per
violazione dell'art. 117, secondo coma, lettera s), Cost. 
    2.5.- Anche l'art. 12 della legge regionale n.  19  del  2017  e'
impugnato nella parte in cui introduce, unilateralmente,  deroghe  ai
limiti posti dall'art. 2 della legge reg. Basilicata n. 25  del  2009
alla  realizzazione  di  interventi  di  ampliamento  del  patrimonio
edilizio in difformita' rispetto agli strumenti urbanistici comunali.
Il ricorrente assume, infatti, che il  citato  art.  12  della  legge
regionale n. 19 del 2017 violi l'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., la' dove consente -  unilateralmente  -  la  realizzazione  di
interventi di ampliamento, nel caso di  pertinenze  della  residenza,
anche separatamente dall'edificio nell'ambito del lotto fondiario, in
deroga  ai  limiti  e  alle  distanze   stabiliti   dagli   strumenti
urbanistici, prevedendo la  possibilita'  di  «superare  di  m.  3,10
l'altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti». 
    2.5.1.- La questione e' fondata. 
    L'impugnato  art.  12  interviene  a  modificare  la   disciplina
originariamente dettata in tema  di  interventi  di  ampliamento  del
patrimonio edilizio esistente dalla legge regionale n.  25  del  2009
sul "Piano casa", in deroga agli strumenti urbanistici, in linea  con
quanto stabilito dal legislatore  statale  all'art.  2-bis  del  t.u.
edilizia. Quest'ultimo ha riconosciuto alle Regioni  la  possibilita'
di  «prevedere,  con  proprie  leggi  e   regolamenti,   disposizioni
derogatorie al decreto del Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile
1968, n. 1444» e di «dettare disposizioni sugli  spazi  da  destinare
agli  insediamenti  residenziali,  a  quelli  produttivi,  a   quelli
riservati  alle  attivita'  collettive,  al  verde  e  ai  parcheggi,
nell'ambito della definizione o revisione  di  strumenti  urbanistici
comunque  funzionali  a  un  assetto  complessivo  e  unitario  o  di
specifiche aree  territoriali  [...]  ferma  restando  la  competenza
statale in materia di ordinamento civile con riferimento  al  diritto
di proprieta'  e  alle  connesse  norme  del  codice  civile  e  alle
disposizioni integrative». 
    La norma regionale - che inserisce il comma 7-quater  all'art.  2
della legge regionale n. 25  del  2009  -  introduce  una  deroga  al
principio gia' posto dal comma 7 dello stesso art. 2, secondo  cui  i
richiamati interventi di ampliamento  «devono  essere  realizzati  in
continuita' e comunque non separatamente dall'edificio per  il  quale
e' consentito derogare ai limiti di distanze indicati dagli strumenti
urbanistici vigenti, in attuazione  dell'art.  2-bis  del  D.P.R.  n.
380/2001». 
    Essa,  infatti,  prevede  che,  nel  caso  di  «pertinenze  della
residenza», tali interventi «possono essere realizzati  separatamente
dall'edificio  principale  nell'ambito   del   lotto   fondiario»   a
condizione che siano rispettati i limiti indicati dalla legge  e,  in
particolare, «quanto previsto dall'art. 873 del codice civile,  primo
capoverso, e quanto stabilito dall'art. 11, commi 1 e 2» della  legge
della Regione Basilicata 28 dicembre 2007, n. 28 (Disposizioni per la
formazione del Bilancio di Previsione  Annuale  e  Pluriennale  della
Regione Basilicata - Legge Finanziaria 2008), in tema  di  volumetrie
edilizie. 
    Si deve pero' notare che questa misura e' stata introdotta  dalla
Regione a seguito della stipulazione del Protocollo di intesa del  14
settembre 2011,  con  cui  essa  si  e'  vincolata  a  definire  ogni
questione inerente alla «corretta gestione del  territorio»,  secondo
la modalita' procedurale della collaborazione istituzionale, in vista
dell'adozione  del  piano  paesaggistico  regionale.   Pertanto,   la
circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare  una  deroga  ai
limiti  per  la  realizzazione  di  interventi  di  ampliamento   del
patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze,
in  deroga  agli  strumenti  urbanistici,  senza  seguire  l'indicata
modalita' procedurale  collaborativa  e  senza  attendere  l'adozione
congiunta del piano  paesaggistico  regionale,  delinea  una  lesione
della  sfera  di   competenza   statale   in   materia   di   «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», che  si  impone
al legislatore  regionale,  sia  nelle  Regioni  a  statuto  speciale
(sentenza n. 189 del 2016) che a  quelle  a  statuto  ordinario  come
limite all'esercizio di competenze primarie e concorrenti. 
    Il  piano  paesaggistico  regionale,  in  quanto   strumento   di
ricognizione  del  territorio  oggetto  di  pianificazione,  consente
l'individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento,
nel contesto paesaggistico, di tutti gli interventi di trasformazione
del territorio, anche di edilizia e urbanistica. E' per questo motivo
che la legge regionale deve disciplinare le procedure di  adeguamento
degli altri strumenti di  pianificazione  e  le  connesse  misure  di
governo del territorio in linea con le determinazioni del nuovo piano
paesaggistico (sentenza n. 64 del 2015) o, nell'attesa dell'adozione,
secondo  le  modalita'  concertate  e  preliminari  alla  sua  stessa
adozione. 
    Va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 12  della  legge  reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    2.6.- E', inoltre, impugnato l'art. 13 della legge  regionale  n.
19 del  2017,  nella  parte  in  cui  introduce  la  possibilita'  di
mutamento  della  destinazione  d'uso  a  residenza  degli   immobili
ricompresi all'interno delle zone omogenee "E" di cui al d.m. n. 1444
del 1968 «in tutte le zone in cui il piano dell'autorita'  di  bacino
ha declassificato  la  pericolosita'  geologica  prevista  nei  piani
paesistici». 
    Il ricorrente sostiene che tale previsione determini una  lesione
della sfera di competenza legislativa statale in materia  di  «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema  e  dei  beni  culturali»,  in  quanto
adottata unilateralmente. Sostiene anche  che  sia  irragionevole,  e
quindi lesiva dell'art. 3 Cost., in quanto  basata  su  una  nozione,
quella di declassificazione, che sarebbe di significato oscuro. 
    2.6.1.- Preliminarmente, occorre considerare che, successivamente
alla  proposizione  del  ricorso,  l'impugnato   art.   13   -   piu'
precisamente, l'art. 5, comma 1-quinquies della legge regionale n. 25
del 2009 da esso sostituito - e' stato oggetto di modifiche da  parte
dell'art. 49 della legge reg. Basilicata n. 11  del  2018  (Collegato
alla  legge  di  stabilita'  regionale  2018).  Il  testo  del  comma
1-quinquies, novellato dal citato art.  49,  riproduce  quello  della
disposizione impugnata con riguardo alla possibilita' di mutamento di
destinazione d'uso a residenza degli immobili ricompresi  all'interno
delle zone omogenee "E" di  cui  al  d.m.  n.  1444  del  1968  (aree
agricole), in relazione alle «zone il  cui  piano  dell'Autorita'  di
bacino ha declassificato  la  pericolosita'  geologica  prevista  nei
piani paesistici» (ultimo periodo del novellato comma 1-quinquies). 
    Pertanto,  considerato  che  le   uniche,   peraltro   marginali,
modifiche introdotte riguardano  frammenti  normativi  che  non  sono
stati fatti oggetto di censura da parte del ricorrente, le  questioni
di legittimita' costituzionale devono essere estese anche alla  parte
della nuova disposizione, riproduttiva di  quella  impugnata  (ultimo
periodo del comma 1-quinquies dell'art. 5 della legge reg. Basilicata
n. 25 del 2009, come novellato dall'art. 49 della legge regionale  n.
11 del 2018). 
    2.6.2.- La questione di legittimita' costituzionale dell'art.  13
della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa  in  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e' fondata,  restando
assorbita la censura di violazione dell'art. 3 Cost. 
    La disposizione impugnata, al pari del precedente  art.  12  gia'
scrutinato, si inserisce nell'ambito delle previsioni - di  cui  alla
citata legge regionale n.  25  del  2009  -  volte  a  consentire  il
mutamento   di   destinazione   d'uso   a   residenza   di   immobili
originariamente  non  destinati  a  tale  funzione,  in  deroga  agli
strumenti urbanistici vigenti, in vista del riutilizzo del patrimonio
edilizio dismesso e delle aree edificabili libere. 
    Tale disposizione regionale e' stata adottata, in particolare,  a
seguito di quanto espressamente previsto dal legislatore  statale  in
specie con il cosiddetto secondo "Piano casa" disciplinato all'art. 5
del decreto-legge 13 maggio 2011,  n.  70  (Semestre  Europeo  -Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
nella legge 12 luglio 2011, n.  106.  Quest'ultimo,  in  vista  della
«razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente», nonche'  della
«riqualificazione di aree urbane degradate», disponeva che le Regioni
approvassero apposite leggi «per incentivare tali  azioni  anche  con
interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano»  (comma  9),
fra l'altro, «modifiche di destinazione d'uso, purche' si  tratti  di
destinazioni tra loro compatibili o  complementari»  (lettera  c  del
comma 9), e purche' non si riferiscano «ad edifici abusivi o siti nei
centri storici o in aree ad inedificabilita' assoluta» (comma 10)  e,
comunque, fermo restando il  rispetto  delle  «normative  di  settore
aventi  incidenza  sulla  disciplina  dell'attivita'  edilizia  e  in
particolare delle  norme  antisismiche,  di  sicurezza,  antincendio,
igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica,  di
quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema,  nonche'
delle disposizioni contenute nel codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, di cui al decreto legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42»
(comma 11). 
    In  questo  quadro,  la  disposizione  regionale  impugnata,  nel
consentire la destinazione residenziale di immobili siti in  aree  ad
uso agricolo ai sensi del d.m. n.1444 del 1968, la estende alle «zone
il  cui  piano  dell'Autorita'  di  bacino   ha   declassificato   la
pericolosita' geologica prevista nei piani paesistici». 
    Ai sensi dell'art. 63 del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.
152 (Norme in materia ambientale) e successive  modifiche  (d'ora  in
avanti anche cod.  ambiente),  l'Autorita'  di  bacino  distrettuale,
istituita in ciascun distretto idrografico in  cui  e'  ripartito  il
territorio nazionale (art. 64), esercita le funzioni e i  compiti  in
materia di difesa del suolo e di tutela delle acque e gestione  delle
risorse idriche. Il principale organo dell'Autorita' e' la conferenza
istituzionale permanente.  A  essa  partecipano  i  Presidenti  delle
Regioni e delle Province autonome il cui  territorio  e'  interessato
dal distretto idrografico o  gli  assessori  dai  medesimi  delegati,
nonche', necessariamente, il Ministro dell'ambiente  e  della  tutela
del territorio e del mare e il Ministro delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, o i Sottosegretari di Stato dagli stessi delegati, il Capo
del  Dipartimento  della  protezione  civile  della  Presidenza   del
Consiglio dei ministri, e  anche  altri  Ministri  o  sottosegretari,
allorquando sia coinvolto il loro ambito  di  competenza  (comma  5).
L'Autorita' provvede a elaborare il piano di bacino distrettuale e  i
relativi stralci e, nell'attivita'  di  pianificazione,  effettua  la
classificazione della pericolosita' geologica delle aree intesa quale
probabilita'  che   un   fenomeno   potenzialmente   distruttivo   di
determinata intensita' si verifichi in un dato periodo di tempo e  in
una data area. 
    Risulta evidente che tale attivita' incide, in linea  prevalente,
sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva
del legislatore statale.  Pertanto,  il  legislatore  regionale,  nel
consentire la destinazione residenziale anche di quegli immobili siti
in aree agricole, per cui il piano  dell'Autorita'  di  bacino  abbia
declassificato la pericolosita' geologica  gia'  indicata  nei  piani
paesistici, senza peraltro fornire espressi riferimenti  a  specifici
indici  di  tale  pericolosita',  ha  introdotto  una  facolta'   che
inevitabilmente incide sulla tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema.
Cio' puo'  verificarsi  ben  oltre  le  indicazioni  del  legislatore
statale che, come si e' gia' ricordato, imponevano il rispetto  delle
«normative   di   settore   aventi   incidenza    sulla    disciplina
dell'attivita' edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di
sicurezza,  antincendio,  igienico-sanitarie,  di   quelle   relative
all'efficienza   energetica,   di   quelle   relative   alla   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, nonche' delle disposizioni contenute
nel codice dei beni culturali e del  paesaggio,  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (art. 5, comma 11, del d.l. n. 70
del 2011, come convertito). 
    Tale facolta', peraltro,  e'  stata  introdotta  dal  legislatore
lucano a seguito del piu' volte richiamato Protocollo di  intesa  del
14 settembre 2011, con cui la Regione Basilicata si  e'  vincolata  a
definire  ogni  questione  inerente  alla  «corretta   gestione   del
territorio», secondo la modalita'  procedurale  della  collaborazione
istituzionale,  in  vista  dell'adozione  del   piano   paesaggistico
regionale. 
    Nonostante  cio',  la  Regione  ha  esteso  la  possibilita'  del
mutamento di destinazione d'uso a residenza degli immobili siti nelle
zone  omogenee  "E"  (agricole),  di  la'  da  quanto  previsto   dal
legislatore statale, senza seguire l'indicata  modalita'  procedurale
collaborativa  e  senza  attendere  l'adozione  congiunta  del  piano
paesaggistico   regionale,   che   avrebbe   dovuto    recepire    la
declassificazione   della    pericolosita'    dell'area    effettuata
dall'Autorita' di bacino. 
    Cio' determina una lesione della sfera di competenza  statale  in
materia  di  «tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e   dei   beni
culturali», che si impone al legislatore regionale  che  eserciti  la
propria competenza nella materia "governo del territorio". 
    Deve,  pertanto,  dichiararsi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 13 della legge regionale n. 19 del  2017,  nella  parte  in
cui, sostituendo l'art. 5, comma 1-quinquies, della  legge  regionale
n. 25 del 2009, ha consentito il mutamento di  destinazione  d'uso  a
residenza  per  gli  immobili  ricompresi  nelle  zone  omogenee  "E"
(agricole), «in tutte le zone il cui piano dell'autorita'  di  bacino
ha declassificato  la  pericolosita'  geologica  prevista  nei  piani
paesistici» (ultimo periodo del comma 1-quinquies). 
    La declaratoria di illegittimita' costituzionale  si  estende  al
nuovo  testo  del  medesimo  ultimo  periodo  del  comma  1-quinquies
dell'art.  5  della  legge   regionale   n.   25   del   2009,   come
successivamente sostituito dall'art. 49 della legge regionale  n.  11
del 2018, in considerazione del fatto che non solo non e'  mutato  il
contenuto precettivo della norma, ma e' anche rimasto  inalterato  il
tenore letterale della stessa. 
    2.7.- Il ricorrente impugna, inoltre, l'art. 46, comma  1,  della
legge regionale n. 19 del 2017,  che,  modificando  l'art.  76  della
legge della Regione Basilicata  27  gennaio  2015,  n.  5  (Legge  di
stabilita' regionale 2015), ha previsto  la  possibilita'  che  siano
rilasciate «concessioni demaniali marittime provvisorie e  stagionali
ai Comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere  e/o
attivita' in favore di disabili intellettivi e motori  e  delle  loro
famiglie al fine di realizzare strutture  stagionali  attrezzate  per
l'accoglienza e  il  godimento  del  mare».  Tale  disposizione,  non
prevedendo espressamente procedure selettive per l'individuazione del
soggetto   titolare    delle    concessioni    demaniali    marittime
verosimilmente di carattere turistico-ricreativo, violerebbe la sfera
di  competenza  esclusiva  statale  in  materia   di   tutela   della
concorrenza e si porrebbe in contrasto con l'art. 12 della  direttiva
2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del  12  dicembre
2006, relativa ai servizi nel mercato interno, e, quindi, con  l'art.
117, primo comma, Cost. 
    2.7.1.- La  questione  non  e'  fondata,  nei  sensi  di  seguito
precisati. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di osservare  che  la  disciplina
concernente il rilascio delle concessioni su beni demaniali marittimi
investe diversi ambiti  materiali,  attribuiti  alla  competenza  sia
statale, sia regionale (sentenze n. 157 e n. 40  del  2017),  ma  che
particolare  rilevanza,  quanto  ai  criteri  e  alle  modalita'   di
affidamento delle concessioni,  «assumono  i  principi  della  libera
concorrenza  e  della  liberta'  di  stabilimento,   previsti   dalla
normativa comunitaria e nazionale» (sentenze n. 213 del 2011 e n.  40
del 2017; nello stesso  senso  sentenza  n.  157  del  2017).  A  tal
proposito, un ruolo centrale  e'  svolto  dall'art.  16  del  decreto
legislativo  26  marzo  2010,  n.  59  (Attuazione  della   direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno),  che,  attuando
il contenuto dell'art. 12 della direttiva 2006/123/CE,  che  richiede
procedure  di  selezione  improntate  ad   «imparzialita'   e   [...]
trasparenza»,  impone  la  «predeterminazione  dei   criteri   e   la
propalazione  degli  stessi  in  epoca   antecedente   l'affidamento»
(sentenza n. 109 del 2018, punto 9.3.1. del Considerato  in  diritto)
e, al comma 2,  dispone  che  nel  «[...]  fissare  le  regole  della
procedura di selezione le autorita' competenti possono  tenere  conto
di considerazioni  di  salute  pubblica,  di  obiettivi  di  politica
sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti  ed
autonomi, della  protezione  dell'ambiente,  della  salvaguardia  del
patrimonio  culturale  e  di  altri  motivi  imperativi   d'interesse
generale conformi al diritto comunitario» (sentenza n. 109 del  2018,
punto 9.3.1. del Considerato in diritto). Come precisato dalla  Corte
di giustizia dell'Unione europea, nella sentenza 14 luglio  2016,  in
cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl  e  altri,  l'art.
12, paragrafi 1 e 3,  della  direttiva  2006/123/CE,  impone  che  il
rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia  limitato  per
via della scarsita' delle risorse naturali, sia  assoggettato  a  una
procedura  di  selezione  tra  i  candidati  potenziali,   che   deve
presentare tutte le  garanzie  di  imparzialita'  e  di  trasparenza,
escludendo la possibilita' di proroghe automatiche  e  consente  agli
Stati membri di  tener  conto  di  considerazioni  legate  a  «motivi
imperativi  d'interesse  generale»,  anche  se  solo  al  momento  di
stabilire le  regole  della  procedura  di  selezione  dei  candidati
potenziali. 
    In  questo  quadro  deve  essere  collocata  la  norma  regionale
impugnata. 
    Quest'ultima  si  inserisce  nell'art.  76   della   legge   reg.
Basilicata n. 5 del 2015, che, «[i]n  attesa  del  riordino  e  della
revisione definitivi del quadro normativo  nazionale  in  materia  di
demanio  marittimo,  secondo  i  principi  comunitari»,  consente  il
rilascio di «concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali
al fine di consentire l'offerta dei servizi per la  balneazione  agli
ospiti delle strutture», nonche' «al fine di  favorire  le  attivita'
turistiche  balneari  legate  alle  strutture  turistiche  ricettive»
(comma 1). Tale previsione - cui e'  stata  aggiunta,  dall'impugnato
art. 46, comma 1, la norma che dispone la possibilita' di  rilasciare
«concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o
alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attivita' in
favore di disabili intellettivi e motori e  delle  loro  famiglie  al
fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per  l'accoglienza
e il  godimento  del  mare»  -  e'  stata  adottata  dal  legislatore
regionale nel 2015, in deroga al meccanismo prescritto  dall'art.  34
della  legge  della  Regione  Basilicata  2  febbraio  2006,   n.   1
(Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale  e
pluriennale della  Regione  Basilicata  -  Legge  finanziaria  2006).
Quest'ultimo, «[n]elle more  dell'approvazione  ed  attuazione  della
variante al Piano regionale di  utilizzazione  delle  aree  demaniali
marittime»,  aveva  consentito  la  riconferma   delle   «concessioni
demaniali per finalita' turistico ricreative ai gia' concessionari  a
tutto  il  2005,  sia   in   forma   stagionale   che   pluriennale»,
prorogandole. 
    In particolare, l'impugnato art.  46,  comma  1,  aggiungendo  il
comma 1-bis al citato art. 76, non fa  altro  che  prevedere  che  il
rilascio delle concessioni marittime provvisorie e stagionali  -  che
deve  comunque  avvenire  sulla  base  di  procedure   di   selezione
contraddistinte   da   criteri   imparziali   e   trasparenti,   resi
preventivamente noti mediante un'adeguata pubblicita' -  possa  avere
luogo anche in favore di Comuni o associazioni di  volontariato,  che
operino  per  i  disabili   motori   e/o   intellettivi,   in   vista
dell'esigenza di consentire ai  disabili  e  alle  loro  famiglie  il
godimento del mare, esigenza che integra uno dei  «motivi  imperativi
d'interesse  generale  conformi  al  diritto  comunitario»,  di   cui
all'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2010,  e  al  paragrafo  3
dell'art. 12 della direttiva 2006/123/CE. 
    Si noti che «la definizione dei criteri  dettagliati  chiamati  a
guidare la selezione dei concorrenti all'affidamento rientra  tra  le
competenze  legislative  demandate   alle   Regioni   in   esito   al
trasferimento  delle  funzioni  amministrative  legate   al   demanio
marittimo  e  idrico  nel  rispetto  dei  principi  di   concorrenza»
(sentenza n. 109 del 2018). Devono  dunque  ritenersi  legittime  «le
conseguenti, diverse, discipline territoriali  [...]  motivate  dalle
peculiarita' di riferimento e dagli obiettivi di  matrice  collettiva
che ciascuna realta'  regionale,  sulla  base  delle  indicazioni  di
principio contenute nella legislazione statale di  riferimento,  puo'
ritenere  preminenti  nel  procedere  alla   scelta   dei   possibili
utilizzatori» (sentenza n. 109 del 2018). 
    2.8.- E', infine, impugnato l'art. 20 della legge reg. Basilicata
n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce il comma 3  dell'art.  2
della legge reg. Basilicata n. 54  del  2015.  Tale  disposizione  e'
censurata in  quanto,  dettando  disposizioni  in  tema  di  corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia rinnovabili ai sensi del decreto  ministeriale  10  settembre
2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti  alimentati  da
fonti rinnovabili), si porrebbe in contrasto con gli impegni  assunti
in tema di elaborazione del piano paesaggistico regionale, in seguito
alla sottoscrizione del Protocollo di intesa, e quindi in  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo
Stato la competenza esclusiva in materia  di  «tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali». Essa si porrebbe, altresi', in
contrasto con i principi  fondamentali  in  materia  di  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia»  di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost. 
    2.8.1.- Preliminarmente occorre rilevare che l'impugnato art.  20
della legge regionale n. 19 del 2017 ha  sostituito  l'art.  2  della
legge reg. Basilicata n. 54 del 2015.  Quest'ultimo,  successivamente
alla  proposizione  del  ricorso,  e'  stato  nuovamente   modificato
dall'art. 2 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017. Il  novellato
comma 1 di quest'articolo e' stato oggetto  di  autonoma  impugnativa
con il ricorso, iscritto al n. 87 del reg. ric.  del  2017,  promosso
dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  e  sara'  oggetto  di
scrutinio nei successivi punti 3.1.1. e 3.1.2. 
    Nel suo testo originario, l'art. 20 della legge  reg.  Basilicata
n. 19 del 2017 e' stato in vigore per quasi un anno, periodo  durante
il quale deve ritenersi sia stato applicato. Il che e' sufficiente  a
escludere la  possibilita'  di  una  pronuncia  di  cessazione  della
materia del contendere. 
    2.8.2.- Nel merito il ricorso e' fondato. 
    L'art. 20 della  legge  reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  nel
sostituire l'art. 2 della legge regionale n. 54 del  2015,  riproduce
letteralmente i primi due commi del  testo  originario  di  esso,  ma
aggiunge il comma 3, che dispone:  «Nei  buffer  [aree  di  rispetto]
relativi alle  aree  e  siti  non  idonei  e'  possibile  autorizzare
l'installazione di  impianti  alimentati  da  fonti  rinnovabili  nel
rispetto delle modalita' e prescrizioni  indicate  nel  comma  1  del
presente  articolo».  E'  a  tale  comma  che  sono  indirizzate   le
richiamate censure. 
    Tale norma va a incidere sulla disciplina delle  cosiddette  aree
non idonee all'installazione di impianti  di  energia  alimentati  da
fonti rinnovabili, che si pone  al  crocevia  fra  la  materia  della
«tutela  dell'ambiente»  e  quella  della  «produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia» (art. 117, terzo comma, Cost.),
nel cui ambito  questa  Corte  ha  piu'  volte  riconosciuto  che  «i
principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387  del  2003
e, in specie, dall'art. 12 (ex multis,  sentenza  n.  14  del  2018)»
(sentenza n. 177 del 2018) e dalle «Linee  guida»  adottate,  con  il
d.m. 10 settembre 2010, di concerto tra il Ministero  dello  sviluppo
economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare e il Ministero per i beni e le attivita' culturali,  proprio
in attuazione di quanto previsto  dal  citato  art.  12  del  decreto
legislativo 29 dicembre  2003,  n.  387,  recante  «Attuazione  della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica
prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato   interno
dell'elettricita'». Le linee guida - vincolanti in quanto adottate in
sede  di  Conferenza  unificata  e  quindi  espressione  della  leale
collaborazione fra  Stato  e  Regione  -  costituiscono,  in  settori
squisitamente tecnici, il completamento della normativa  primaria,  e
indicano le  specifiche  tecniche  che  necessitano  di  applicazione
uniforme in tutto il territorio nazionale (fra le altre, sentenza  n.
69 del 2018). Dalle stesse si  ricava  la  «ponderazione  concertata»
(sentenza n. 307 del 2013) imposta dal  comma  10  dell'art.  12  del
d.lgs. n. 387  del  2003  ai  fini  del  bilanciamento  fra  esigenze
connesse alla produzione  di  energia  e  interessi  ambientali,  cui
necessariamente le Regioni devono attenersi per identificare le "aree
non idonee" alla localizzazione degli impianti. 
    In particolare, il paragrafo 17 delle citate linee guida allegate
al d.m. 10 settembre 2010 demanda l'individuazione di tali  aree  non
idonee a Regioni e Province autonome, ma nel  rispetto  di  specifici
principi e criteri guida relativi alla localizzazione degli impianti.
La  dichiarazione  di  inidoneita'  deve,  infatti,  risultare  quale
provvedimento finale di un'istruttoria adeguata volta a  prendere  in
considerazione tutta una serie di  interessi  coinvolti  e  cioe'  la
tutela  dell'ambiente,  del   paesaggio,   del   patrimonio   storico
artistico,   delle   tradizioni    agroalimentari    locali,    della
biodiversita'  e   del   paesaggio   rurale.   Inoltre,   gli   esiti
dell'istruttoria devono contenere, in  riferimento  a  ciascuna  area
individuata come non idonea in relazione a specifiche  tipologie  e/o
dimensioni  di  impianti,  la  descrizione   delle   incompatibilita'
riscontrate con gli obiettivi di protezione ambientale. In ogni  caso
l'individuazione delle aree non idonee deve avvenire  a  opera  delle
Regioni attraverso atti di programmazione. 
    Il 14 settembre 2011 la Regione Basilicata, come gia'  ricordato,
ha siglato un Protocollo di intesa con il MIBAC e con  il  MATTM,  in
vista della elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale.
In  particolare,   le   parti   hanno   stabilito   «di   individuare
prioritariamente   e   congiuntamente   la   metodologia    per    il
riconoscimento  delle  aree  non  idonee  alla  localizzazione  degli
impianti da fonti rinnovabili», ai sensi del d.m. 10 settembre 2010 e
«sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3  paragrafo  17  Criteri
per l'individuazione di aree non idonee del citato DM»  (art.  4  del
Protocollo). 
    In attuazione di tale impegno, la Regione Basilicata  ha  avviato
l'istruttoria per l'individuazione delle aree e dei siti non idonei a
cura  di  un  apposito  gruppo   di   lavoro   interistituzionale   e
interdipartimentale,  i  cui  esiti  sono  stati  recepiti  (mediante
appositi allegati) nella legge regionale n. 54 del 2015. 
    La medesima legge regionale n. 54 del 2015, all'art. 3, comma  3,
(poi abrogato dall'art. 1, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 21
del  2017)  ha  anche  vincolato  la  Giunta  regionale,  nelle  more
dell'adozione  del  piano   paesaggistico   regionale,   a   adottare
«specifiche linee guida per il corretto inserimento  degli  impianti,
alimentati da fonti  rinnovabili  con  potenza  superiore  ai  limiti
stabiliti nella tabella A) del d.lgs. n. 387 del 2003 e non superiori
a 1 MW», sempre «nel rispetto dell'Intesa stipulata». 
    In questo quadro risulta evidente l'illegittimita' costituzionale
della norma regionale impugnata, nella parte in cui ha stabilito,  in
via generale e unilaterale, senza  istruttoria  e  senza  un'adeguata
valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale,  che  «Nei
buffer relativi alle aree e siti non idonei e' possibile  autorizzare
l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili» (art. 2,
comma 3, della legge reg. Basilicata n. 54 del  2015),  in  contrasto
con  i  criteri  formati  nel  rispetto  dell'Intesa  siglata  il  14
settembre 2011, oltre che con i principi fondamentali  fissati  nelle
richiamate linee guida a tutela dei molteplici e rilevanti  interessi
coinvolti (sentenza n. 69 del 2018). 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella  parte
in cui, introducendo l'art. 2, comma 3, della legge  reg.  Basilicata
n. 54 del 2015, dispone che «Nei buffer relativi alle aree e siti non
idonei  e'  possibile   autorizzare   l'installazione   di   impianti
alimentati da fonti rinnovabili». 
    3.- Con il secondo  ricorso  (reg.  ric.  n.  87  del  2017),  il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale di diverse disposizioni della legge  reg.
Basilicata n. 21 del 2017, nonche' «dell'Allegato della medesima  che
inserisce un allegato D) alla legge regionale n. 54 del 2015»,  tutte
norme inerenti alla realizzazione  e  all'esercizio  di  impianti  di
energia da fonti rinnovabili. 
    3.1.- In primo luogo, il ricorrente ha  impugnato  gli  artt.  1,
comma 1, e 2, comma 1, della citata legge regionale n. 21  del  2017,
nonche'  l'Allegato  alla  medesima,  in  quanto  procederebbero,  in
maniera   unilaterale   -   quindi   senza    alcun    coinvolgimento
dell'amministrazione statale preposta - alla modifica e  integrazione
di disposizioni legislative regionali gia' condivise con lo Stato, in
specie disponendo l'abrogazione dell'art. 3,  comma  3,  della  legge
reg. Basilicata n. 54 del 2015, e introducendo un nuovo Allegato D) a
tale legge regionale per il «"Recepimento dei criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010". Aree idonee
e  non  idonee»,  in  violazione  degli  impegni   assunti   con   la
sottoscrizione del Protocollo di intesa per l'elaborazione del  piano
paesaggistico regionale, e in contrasto con l'art. 143, comma 2,  del
cod. beni culturali, con l'art. 12, comma 10, del d.lgs. n.  387  del
2003 e con il d.m. 10 settembre 2010, con conseguente  lesione  della
sfera  di  competenza  esclusiva  statale  in  materia   di   «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema  e  dei  beni  culturali»  (art.  117,
secondo comma, lettera s, Cost.). 
    3.1.1.- Occorre, preliminarmente, precisare che l'impugnato  art.
2,  comma  1,  della  legge  reg.  Basilicata  n.  21  del  2017,  e'
intervenuto a modificare il testo dell'art. 2, comma 1,  della  legge
regionale n. 54 del 2015, gia' in precedenza modificato dall'art.  20
della legge reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  nel  senso  che  ha
introdotto un nuovo Allegato D), che ridefinisce  i  criteri  per  il
corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da
fonti di energia rinnovabili ai sensi del d.m. 10 settembre 2010, con
particolare riferimento all'individuazione delle «Aree idonee  e  non
idonee», in specie «[p]er il corretto inserimento nel paesaggio e sul
territorio degli impianti da [fonti di energia rinnovabile] da 0 a  1
MW». 
    Successivamente alla proposizione del  ricorso,  l'art.  2  della
legge regionale n. 54 del 2015, come modificato dall'art. 2, comma 1,
della legge regionale n. 21 del  2017  (norma  impugnata),  e'  stato
ulteriormente modificato  dall'art.  29  della  legge  della  Regione
Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di
previsione  pluriennale  2018/2020  e  disposizioni  in  materia   di
scadenza di termini legislativi e  nei  vari  settori  di  intervento
della Regione Basilicata). Tale norma sopravvenuta  ha  disposto,  al
comma 3, l'abrogazione dell'Allegato D), come introdotto dall'art. 2,
comma 1, della legge regionale n. 21 del  2017,  e  precisato  che  i
«criteri e le modalita' per il corretto inserimento nel  paesaggio  e
sul territorio delle  tipologie  di  impianti  da  fonti  di  energia
rinnovabili» sono  individuati  in  appositi  allegati  «formati  nel
rispetto dell'Intesa stipulata, ai sensi dell'art. 145, comma 2,  del
D. Lgs. 22/11/2004, n. 42, tra  Regione,  Ministero  dei  Beni  e  le
Attivita' Culturali e del Turismo  e  il  Ministero  dell'Ambiente  e
della  Tutela  del  Territorio  e  del  Mare,  sulla   scorta   delle
indicazioni fornite dal D.M. 10/09/2010 per la  individuazione  delle
aree e dei siti non idonei». 
    Nonostante la sopravvenienza normativa, la norma  impugnata,  nel
testo vigente al momento della proposizione del ricorso,  e'  rimasta
in vigore per un lasso di tempo non breve (dal 12 settembre  2017  al
22  novembre  2018),  in  cui  deve   ritenersi   che   abbia   avuto
applicazione.  Pertanto,  sebbene  il  nuovo  testo   normativo   sia
satisfattivo delle doglianze del  ricorrente,  non  si  delineano  le
condizioni  per  una  pronuncia  di  cessazione  della  materia   del
contendere. 
    3.1.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Con la prima delle due norme impugnate, l'art. 1, comma 1,  della
legge regionale n. 21 del 2017, il legislatore lucano ha,  anzitutto,
abrogato la previsione, contenuta nell'art. 3, comma 3,  della  legge
regionale n. 54 del 2015,  che  imponeva  alla  Giunta  regionale  di
provvedere,   nelle   more   dell'adozione   congiunta   del    piano
paesaggistico regionale, in collaborazione  con  gli  organi  statali
competenti, a introdurre «specifiche  linee  guida  per  il  corretto
inserimento degli  impianti,  alimentati  da  fonti  rinnovabili  con
potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del d.lgs.  n.
387/2003 e non superiori a 1 MW», attuative di quelle di cui al  d.m.
10 settembre 2010 e dei criteri individuati congiuntamente con organi
statali e "recepiti" dalla legge regionale n. 54  del  2015.  E  cio'
peraltro nel rispetto dell'intesa stipulata, ai sensi dell'art.  145,
comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004 tra Regione  Basilicata,  MIBAC  e
MATTM, intesa che, come si e' gia' ricordato, all'art.  2,  comma  4,
segnalava fra le proprie principali finalita' quella di  «individuare
prioritariamente   e   congiuntamente   la   metodologia    per    il
riconoscimento  delle  aree  non  idonee  alla  localizzazione  degli
impianti da fonti rinnovabili ai sensi del DM Sviluppo  economico  10
settembre 2010  "Linee  guida  per  l'autorizzazione  degli  impianti
alimentati da fonti  rinnovabili"  sulla  base  dei  criteri  di  cui
all'Allegato 3, paragrafo 17, Criteri per  l'individuazione  di  aree
non idonee, del citato DM». 
    Con l'art. 2, comma 1, della medesima legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, il legislatore regionale ha, di conseguenza, con  un  nuovo
allegato, l'Allegato D), provveduto a individuare le «Aree  idonee  e
non idonee»,  per  «il  corretto  inserimento  nel  paesaggio  e  sul
territorio degli impianti da [fonti di energia rinnovabile] da 0 a  1
MW», in via unilaterale e generale, e comunque  in  maniera  difforme
rispetto a quanto  era  stato  stabilito  all'esito  dell'istruttoria
"congiunta" fra Stato e Regione, poi "recepita" dalla medesima  legge
regionale n. 54 del 2015, nel rispetto dell'intesa  stipulata  il  14
settembre 2011 (art. 4 del Protocollo), ai sensi dell'art. 145, comma
2, del d.lgs. n. 42 del 2004 e in attuazione delle linee guida di cui
al d.m. 10 settembre 2010. 
    Risulta, pertanto, evidente che il legislatore lucano, stabilendo
in via generale e unilaterale, senza  istruttoria  e  valutazione  in
concreto dei luoghi in sede  procedimentale,  l'individuazione  delle
aree non idonee all'installazione degli impianti di energia da  fonti
rinnovabili e anche quella delle aree idonee, previa abrogazione  dei
criteri individuati congiuntamente con gli organi statali, ha violato
non solo l'impegno assunto con il Protocollo di intesa, siglato il 14
settembre 2011 in attuazione dell'art. 145, comma 2, del d.lgs. n. 42
del 2004, ma anche i criteri fissati dal  paragrafo  17  delle  linee
guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che impongono,  fra  l'altro,
un'istruttoria adeguata, volta a prendere in considerazione tutti gli
interessi coinvolti, nonche' la  descrizione  delle  incompatibilita'
riscontrate con gli obiettivi di  protezione  ambientale  e  puntuali
atti di programmazione. Questi criteri - come si e' gia' ricordato  -
«costituiscono, in settori squisitamente  tecnici,  il  completamento
della normativa primaria» (sentenza n. 69 del 2018),  che  definisce,
in specie all'art. 12 del d.lgs.  n.  387  del  2003,  ad  un  tempo,
standard omogenei di «tutela dell'ambiente» e  principi  fondamentali
in  materia  di  «produzione,  trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia», vincolanti per le Regioni. 
    Va, quindi, dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
1, comma 1, e  dell'art.  2,  comma  1,  nonche'  dell'Allegato  alla
medesima legge regionale n. 21 del 2017, che inserisce un allegato D)
alla legge regionale n. 54 del 2015. 
    3.2.- Viene, altresi', impugnato l'art. 5, commi 1  e  2  (recte:
art. 5), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella  parte  in
cui, sostituendo i commi 1 e 2 dell'art. 5 della legge della  Regione
Basilicata  26  aprile  2012,  n.  8  (Disposizioni  in  materia   di
produzione di  energia  da  fonti  rinnovabili),  avrebbe  introdotto
ingiustificati  aggravi  alla  realizzazione  e  all'esercizio  degli
impianti solari fotovoltaici di potenza fino a 200 kW, da collocare a
terra, in contrasto con l'art 117, terzo comma Cost., in relazione ai
principi fondamentali previsti dalla legislazione nazionale,  di  cui
al d.lgs. n. 387 del 2003 e, in particolare, al decreto legislativo 3
marzo 2011,  n.  28  (Attuazione  della  direttiva  2009/28/CE  sulla
promozione  dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili,   recante
modifica  e  successiva  abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e
2003/30/CE), di attuazione della direttiva 2009/28/CE del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili. 
    3.2.1.- In linea preliminare, va  rilevato  che,  successivamente
alla proposizione del ricorso, l'art. 5, commi 1  e  2,  della  legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall'impugnato art. 5,
della legge reg.  Basilicata  n.  21  del  2017,  e'  stato  abrogato
dall'art. 31 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018. 
    Nonostante cio', nel lasso di tempo intercorso tra  l'entrata  in
vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e  l'entrata  in  vigore
della legge regionale n. 38 del 2018, la  disposizione  impugnata  e'
stata applicata. Pertanto, non si profilano  le  condizioni  per  una
pronuncia di cessazione della materia del contendere. 
    3.2.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Questa Corte ha piu' volte, anche recentemente, affermato che «la
disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia da  fonti
rinnovabili rientra, oltre che nella materia «tutela  dell'ambiente»,
anche   nella   competenza   legislativa   concorrente,   in   quanto
riconducibile a  «produzione,  trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia» (art. 117,  terzo  comma,  Cost.),  nel  cui  ambito  i
principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387  del  2003
e, in specie, dall'art. 12 (ex multis,  sentenza  n.  14  del  2018)»
(sentenza  n.  177  del  2018).  Pertanto,  il  legislatore   statale
«attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione  degli
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto
principi che,  per  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non
tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale» (sentenze n. 69
del 2018 e n. 99 del 2012). Principi che  si  desumono  dalle  «Linee
guida» di cui al d.m.  10  settembre  2010,  adottate  in  attuazione
dell'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003,  da  quest'ultimo
decreto e dal d.lgs. n. 28 del 2011, e il cui rispetto si  impone  al
legislatore regionale. 
    In particolare, il d.lgs. n. 28 del 2011 ha provveduto a recepire
la  Direttiva   2009/28/CE,   dettando   misure   concrete   per   il
conseguimento, entro il 2020, della quota del 17 per cento di energia
da fonti rinnovabili sui consumi energetici nazionali. A  tale  scopo
ha provveduto alla  semplificazione  delle  procedure  autorizzative.
L'art. 6 del citato d.lgs. n. 28 del 2011, in specie,  ha  stabilito,
al comma 1, che per gli impianti alimentati da fonti  rinnovabili  di
cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, si applica  la  procedura
abilitativa semplificata (PAS). Fra  tali  impianti  ci  sono  quelli
solari fotovoltaici, che soddisfino determinati requisiti, come,  per
esempio, una potenza inferiore alle soglie indicate dalla  Tabella  A
allegata al d.lgs n.  387  del  2003,  o  anche  la  collocazione  su
edifici, in cui la superficie  complessiva  dei  moduli  fotovoltaici
dell'impianto non sia superiore a quella del tetto dell'edificio  sul
quale i moduli sono collocati, ex art. 21  del  d.m.  6  agosto  2010
(Incentivazione  della  produzione  di  energia  elettrica   mediante
conversione fotovoltaica della fonte solare). Il medesimo art. 6  del
citato d.lgs. n. 28 del 2011 ha anche espressamente riconosciuto,  al
comma  9,  alle  Regioni  la  facolta'  di  estendere  la  soglia  di
applicazione della procedura semplificata agli  impianti  di  potenza
nominale fino ad 1 MW elettrico. 
    La disposizione  regionale  impugnata  si  muove  secondo  quanto
previsto dal comma 9 dell'art. 6 del d.lgs. n. 28  del  2011,  avendo
esteso l'applicazione della PAS  agli  impianti  di  potenza  fino  a
200kW.  Essa,  tuttavia,  detta  una  serie  di  condizioni,  per  il
riconoscimento della PAS, ulteriori rispetto a quelle indicate  dalla
normativa statale, fra cui, a esempio, l'osservanza delle  specifiche
tecniche contenute nell'Allegato 2  del  d.  lgs.  n.  28  del  2011,
imposte dal legislatore statale al  diverso  fine  di  accedere  agli
incentivi nazionali, o anche specifici  vincoli  di  distanze  minime
(indicati alle lettere da a ad h dell'art. 5, comma  1,  della  legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall'art. 5, comma  1,
della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017). Dal mancato rispetto  di
tali condizioni, il  legislatore  regionale  fa  scaturire  l'obbligo
dell'applicazione dell'autorizzazione unica. 
    Questa Corte ha piu' volte chiarito che, in tema di realizzazione
degli  impianti  di  energia   da   fonti   rinnovabili,   l'influsso
determinante e' stato dato dalla  normativa  europea  che,  lungo  un
percorso   inaugurato   dalla   direttiva   2001/77/CE,   in    vista
dell'obiettivo di promuovere il maggiore ricorso all'energia da fonti
rinnovabili, espressamente collegandolo alla necessita' di ridurre le
emissioni di gas a effetto serra, ha richiesto agli Stati  membri  di
dettare regole certe, trasparenti e non discriminatorie, in grado  di
orientare  le  scelte  degli  operatori  economici,   favorendo   gli
investimenti nel settore,  nonche'  di  semplificare  i  procedimenti
autorizzatori (di recente, sentenza n. 177 del 2018).  In  attuazione
di tali indicazioni europee il legislatore statale ha, in specie  con
il d.lgs. n. 28 del 2011, puntualmente disciplinato le varie  ipotesi
in cui l'installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili e'
possibile all'esito di una procedura semplificata (la PAS). 
    In  questo  quadro  risulta  evidente  che  la  norma   regionale
impugnata,  nella  parte  in  cui  stabilisce  condizioni  diverse  e
aggiuntive rispetto a quelle prescritte dal legislatore  statale  per
il rilascio della PAS,  introduce  previsioni  che  si  traducono  in
ingiustificati aggravi  per  la  realizzazione  e  l'esercizio  degli
impianti in questione, in contrasto «con il principio fondamentale di
massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, stabilito  dal
legislatore  statale  in  conformita'  alla   normativa   dell'Unione
europea» (sentenze n. 177 del 2018 e n. 13  del  2014;  nello  stesso
senso, sentenza n. 44 del 2011). 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 5, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella  parte
in cui ha sostituito i commi 1 e  2  dell'art.  5  della  legge  reg.
Basilicata n. 8 del 2012. 
    3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri promuove, inoltre,
questioni di legittimita' costituzionale nei confronti  dell'art.  5,
comma 3, (recte: art. 5), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017,
la' dove ha sostituito il comma 3 dell'art. 5 della  legge  regionale
n. 8 del 2012, nonche' nei confronti dell'art. 6,  comma  3,  (recte:
art. 6) della stessa legge regionale n. 21 del 2017, nella  parte  in
cui ha sostituito il comma 3 dell'art. 6 della legge regionale  n.  8
del 2012, in quanto stabiliscono che sono  assoggettati  al  rilascio
dell'autorizzazione  unica  e  non  alla   PAS   la   costruzione   e
l'esercizio, rispettivamente, di nuovi impianti fotovoltaici a  terra
(art. 5) e eolici (art. 6), anche  ubicati  nello  stesso  territorio
comunale,  proposti  da  un   soggetto   gia'   titolare   di   altre
autorizzazioni ottenute tramite PAS o che  siano  riconducibili  allo
stesso centro decisionale (ex art. 2359  del  codice  civile)  o  per
qualsiasi altra relazione, anche di  fatto,  sulla  base  di  univoci
elementi, la cui potenza nominale, sommata  tra  loro  e  con  quella
dell'impianto gia' autorizzato, superi la soglia di  potenza  di  200
kW. Cosi' disponendo, tali  norme  si  porrebbero  in  contrasto  con
l'art. 117,  terzo  comma,  in  relazione  ai  principi  fondamentali
fissati dal legislatore statale  in  materia  di  energia  e  con  la
finalita'   della   semplificazione,   in    quanto    escluderebbero
l'applicazione della PAS sulla base di un  criterio  solo  soggettivo
(peraltro assai generico e  quindi  di  difficile  riscontro),  senza
individuare alcun limite spaziale  di  collocazione  degli  impianti,
che, quindi, potrebbero trovarsi anche a chilometri di distanza. 
    3.3.1.-   In   linea   preliminare,   occorre   ricordare    che,
successivamente alla proposizione del ricorso,  l'art.  5,  comma  3,
della  legge  reg.  Basilicata  n.  8  del  2012,   come   sostituito
dall'impugnato art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017,  e'
stato abrogato dall'art. 31 della legge reg.  Basilicata  n.  38  del
2018. 
    Nonostante cio',  non  ci  sono  ragioni  per  escludere  che  la
disposizione impugnata sia stata applicata nel tempo  intercorso  tra
l'entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e l'entrata
in vigore della legge regionale n. 38  del  2018.  Pertanto,  non  si
profilano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia
del contendere. Anche l'art. 6, comma 3, della legge regionale  n.  8
del 2012, come sostituito dall'art. 6 della legge regionale n. 21 del
2017 e' stato, a sua  volta,  sostituito  dall'art.  32  della  legge
regionale n. 38 del  2018,  che  ha  dettato  una  nuova  disciplina,
oggetto di autonoma impugnazione con il ricorso iscritto al n. 19 del
reg. ricorsi del 2019. In considerazione della circostanza  che,  nel
periodo in cui e' stata  in  vigore,  la  norma  impugnata  ha  avuto
presumibilmente applicazione, non sussistono  i  presupposti  per  la
dichiarazione di cessazione della materia del contendere. 
    3.3.2.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    Il d.m. 10  settembre  2010,  recante  le  cd  «Linee  guida  per
l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», con
riguardo agli  interventi  soggetti  a  procedura  di  autorizzazione
semplificata (PAS), dispone, al paragrafo  11.6,  che  «I  limiti  di
capacita'  di  generazione  e  di  potenza  indicati  al   successivo
paragrafo 12 sono da intendere come riferiti alla somma delle potenze
nominali, per ciascuna fonte,  dei  singoli  impianti  di  produzione
appartenenti allo stesso soggetto o su cui lo stesso soggetto  ha  la
posizione decisionale dominante, facenti capo al  medesimo  punto  di
connessione alla rete elettrica». 
    Si tratta chiaramente di una norma antielusiva, volta a  impedire
surrettizi "frazionamenti"  degli  impianti,  finalizzati  a  rendere
possibile l'autorizzazione semplificata (basata sul silenzio-assenso)
in luogo dell'autorizzazione unica, con conseguente esclusione  della
valutazione di  compatibilita'  ambientale.  Tale  norma,  unitamente
all'art. 4, comma 3, del d.lgs. n.  28  del  2011,  che  impone  alle
Regioni di individuare «i  casi  in  cui  la  presentazione  di  piu'
progetti  per  la  realizzazione  di  impianti  alimentati  da  fonti
rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue sono
da valutare in termini cumulativi nell'ambito  della  valutazione  di
impatto  ambientale»,  muove  dal  presupposto,  sottolineato   dalla
giurisprudenza  amministrativa,  che,  per   quanto   sia   rilevante
l'obiettivo  di  incentivare  la  produzione  di  energia  da   fonti
rinnovabili, appare altrettanto meritevole di  tutela  l'interesse  a
una corretta valutazione dell'impatto ambientale  degli  impianti  di
cui si discute, al fine di non  sacrificare  oltre  ogni  ragionevole
limite il bene ambientale nel suo complesso. 
    A questo scopo, il  legislatore  statale  ha  stabilito  che,  in
presenza di piu' istanze dirette alla installazione  di  impianti  di
energia da fonti rinnovabili (e quindi anche fotovoltaici a  terra  e
eolici), l'amministrazione competente puo' legittimamente  trarre  la
conclusione di trovarsi al cospetto di  un  unico  progetto,  con  la
conseguenza di assoggettare il medesimo a verifica di  compatibilita'
ambientale in caso di superamento delle soglie  di  potenza  previste
dalla normativa di settore, allorquando  il  collegamento  funzionale
tra le istanze si desuma da alcuni elementi indiziari  o  sintomatici
dell'unicita'  dell'operazione  imprenditoriale,  quali  la  unicita'
dell'interlocutore che ha curato i  rapporti  con  l'Amministrazione,
l'identita' della societa' cui vanno imputati gli  effetti  giuridici
della  domanda  di  autorizzazione  e  la  unicita'  del   punto   di
connessione. Pertanto, anche quest'ultimo elemento - che tecnicamente
indica la circostanza che gli impianti  abbiano  lo  stesso  nodo  di
raccolta dell'energia prodotta per il passaggio dalla media  all'alta
tensione  -  e'  meramente  indiziario  o  sintomatico  dell'unicita'
dell'operazione imprenditoriale, al pari degli altri elementi. 
    In questo  contesto,  appare  evidente  che  le  norme  regionali
impugnate mirano  al  medesimo  scopo,  individuato  dal  legislatore
statale,  di  evitare  comportamenti  surrettizi  dei  privati   che,
mediante una artificiosa parcellizzazione degli interventi di propria
iniziativa,   risultino   in   concreto   preordinati    a    eludere
l'applicazione di una normativa che potrebbe rivelarsi  piu'  gravosa
rispetto a un'altra. A  tal  fine,  esse  individuano  alcuni  indici
sintomatici dell'unicita' dell'operazione imprenditoriale,  suggeriti
dal legislatore statale, indici che ravvisano nella  circostanza  che
le istanze di costruzione ed  esercizio  di  nuovi  impianti,  «anche
ubicati nello stesso territorio comunale» (corrispondente al criterio
della contiguita' delle localizzazioni prescelte), siano proposte  da
«un soggetto gia' titolare di altre autorizzazioni  ottenute  tramite
PAS o [...] siano riconducibili allo stesso  centro  decisionale  (ex
art. 2359 del codice civile) o per qualsiasi altra  relazione,  anche
di fatto, sulla base di  univoci  elementi»  (criterio  dell'unicita'
dell'interlocutore che ha curato i rapporti con  l'Amministrazione  e
dell'identita' della societa' alla quale vanno imputati  gli  effetti
giuridici della domanda di autorizzazione). 
    Si tratta, in altri termini, di previsioni che, lungi  dal  porsi
in contrasto con i  principi  fondamentali  fissati  dal  legislatore
statale in materia di energia, in specie contenuti nelle linee  guida
di  cui  al  d.m.  10  settembre  2010,  ne  costituiscono  specifica
attuazione e comunque implicano il  rispetto  di  tutti  i  requisiti
spaziali stabiliti a tal proposito dalla normativa statale. 
    3.4.- Sono, inoltre, impugnati l'art. 5, comma 4, (recte:  l'art.
5), della  legge  reg.  Basilicata  n.  21  del  2017,  la'  dove  ha
sostituito il comma 4 dell'art. 5 della legge reg.  Basilicata  n.  8
del 2012, e  l'art.  6,  comma  4,  (recte:  l'art.  6)  della  legge
regionale n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 4
dell'art. 6 della legge reg. Basilicata n.  8  del  2012,  in  quanto
stabiliscono, rispettivamente, che piu' impianti fotovoltaici a terra
(art. 5) e eolici (art. 6),  autorizzati  con  la  PAS,  non  possono
essere ceduti  a  terzi  costituenti  un  unico  centro  decisionale,
qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200
kW. Cosi' prevedendo, le richiamate  disposizioni  si  porrebbero  in
contrasto, oltre  che  con  i  principi  fondamentali  della  materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»  (art.
117, terzo comma, Cost.), con l'art. 42 Cost. e con l'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione  delle
merci di cui all'art. 63 TFUE, in quanto impedirebbero la cessione di
impianti (o progetti di impianti) gia' autorizzati  e  potenzialmente
localizzati   a   chilometri   di   distanza,   ponendo   un   limite
ingiustificato all'esercizio del diritto di proprieta'. 
    3.4.1.- Come si e' gia' ricordato, l'intero art.  5  della  legge
regionale n. 8 del 2012, come  sostituito  dall'art.  5  della  legge
regionale n. 21 del 2017, e quindi  anche  l'impugnato  comma  4  del
primo, e' stato abrogato. Tuttavia, non sussistono  elementi  atti  a
escludere che, nel tempo intercorso tra  l'entrata  in  vigore  della
legge regionale n. 21 del 2017, e l'entrata  in  vigore  della  legge
reg. Basilicata n. 38 del 2018, la disposizione impugnata  sia  stata
applicata. Pertanto, non si profilano le condizioni per una pronuncia
di cessazione della materia del contendere. 
    Anche l'art. 6, comma 3, della legge regionale  n.  8  del  2012,
come sostituito dall'impugnato art. 6 della legge regionale n. 21 del
2017 e' stato, a sua  volta,  sostituito  dall'art.  32  della  legge
regionale n. 38 del  2018,  che  ha  dettato  una  nuova  disciplina,
oggetto  di  autonoma  impugnazione  da  parte  del  Presidente   del
Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al  n.  19  del  reg.
ric. 2019. 
    Considerato che, nel lasso di tempo in cui e' stata in vigore, la
norma impugnata ha avuto presumibilmente applicazione, non sussistono
i presupposti per la dichiarazione di cessazione  della  materia  del
contendere. 
    3.4.2.- Nel merito  le  questioni  sono  fondate  in  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Le norme impugnate, come si e' gia'  ricordato,  stabiliscono  il
divieto di cessione a terzi, costituenti un unico centro decisionale,
di piu' impianti fotovoltaici a terra (art. 5, comma 4,  della  legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012) e  eolici  (art.  6,  comma  4,  della
medesima legge regionale), autorizzati con la PAS, qualora  la  somma
delle potenze di tali impianti superi la soglia di 200 kW. 
    Poiche' un simile divieto  non  e'  contemplato  dalla  normativa
statale che fissa i principi fondamentali della materia, e' palese il
contrasto delle norme regionali denunciate con tali principi. 
    Si tratta di un divieto che non puo' legittimamente fondarsi  sul
silenzio del  legislatore  statale,  in  quanto  si  risolve  in  una
limitazione di un diritto - quello  di  cedere  gli  impianti  -  che
costituisce espressione della liberta' di iniziativa economica di cui
all'art. 41 Cost. (pur non evocato dal  ricorrente),  strumentalmente
connessa  al  diritto  di  proprieta'  (degli   impianti),   tutelato
dall'art. 42 Cost., per cui la Costituzione stabilisce una riserva di
legge. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, la'  dove  ha
sostituito l'art. 5, comma 4, della legge reg. Basilicata  n.  8  del
2012, e dell'art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella
parte in cui ha sostituito l'art. 6, comma 4, della  legge  regionale
n. 8 del 2012. 
    3.4.3.-  Restano   assorbite   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale prospettate in riferimento agli artt. 42 e 117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 63 TFUE. 
    3.5.- Analoghe censure sono rivolte dal Presidente del  Consiglio
dei ministri all'art. 7, comma 2 (recte:  all'art.  7),  della  legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017, la' dove ha introdotto l'art.  6-bis,
comma 2, nella legge regionale n. 8 del 2012. Tale comma  e'  infatti
impugnato  nella  parte  in  cui   stabilisce   che   piu'   impianti
fotovoltaici e eolici, autorizzati con la  PAS,  non  possono  essere
ceduti a terzi costituenti un unico centro  decisionale,  qualora  la
somma delle potenze degli impianti superi la soglia  di  200  kW,  in
quanto sarebbe in contrasto, oltre che con  i  principi  fondamentali
della  materia  «produzione,  trasporto  e  distribuzione   nazionale
dell'energia», con l'art. 42 Cost. e con  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., in relazione al principio di libera circolazione  delle  merci
di cui all'art. 63 TFUE. 
    3.5.1.- In linea preliminare, occorre rilevare  che,  sebbene  la
norma impugnata sia stata abrogata  dall'art.  33  della  legge  reg.
Basilicata  n.  38  del  2018,  non  sussistono  le  condizioni   per
dichiarare la cessazione della materia del contendere, poiche' non vi
sono ragioni per escludere che abbia avuto applicazione  nel  periodo
di vigenza della stessa. 
    3.5.2.- Nel merito, la questione e' fondata in  riferimento  agli
artt. 117, terzo comma, e 42 Cost. 
    Si e' gia' detto, con riferimento agli artt. 5 e 6 della medesima
legge regionale n. 21 del 2017 (punto 3.4.2.), che un simile  divieto
di cessione a terzi di impianti non e'  contemplato  dalla  normativa
statale di principio. 
    Pertanto, la norma regionale impugnata, che interviene a porre un
limite a un diritto che costituisce  espressione  della  liberta'  di
iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost. (pur  non  evocato  dal
ricorrente), strumentalmente connessa al diritto di proprieta' (degli
impianti), entrambi garantiti da una riserva di  legge,  si  pone  in
evidente  contrasto  con  quei  principi  fondamentali  e  deve,   di
conseguenza, essere dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    Va, quindi, dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in  cui  ha
introdotto l'art. 6-bis, comma 2, della legge reg.  Basilicata  n.  8
del 2018. 
    3.5.3.-   Resta   assorbita   la   questione   di    legittimita'
costituzionale prospettata in riferimento all'art. 117, primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 63 TFUE. 
    3.6.- E', inoltre, impugnato l'art. 7 della legge reg. Basilicata
n. 21 del 2017, la' dove, inserendo  l'art.  6-bis,  comma  1,  nella
legge regionale n. 8 del 2012, stabilisce  ulteriori  condizioni  per
l'applicazione della PAS agli  impianti  eolici  e  fotovoltaici  con
potenza nominale inferiore alla tabella A) dell'art.12, comma 5,  del
d.lgs. n. 387 del 2003, in mancanza delle  quali  tali  impianti  non
possono essere abilitati nemmeno  con  l'autorizzazione  unica.  Cio'
sarebbe in contrasto con il regime di abilitazione alla costruzione e
all'esercizio degli impianti di produzione di  energia  elettrica  da
fonti rinnovabili delineato dagli artt. 4 e 6 del d.lgs.  n.  28  del
2011 e dalle linee guida (paragrafi 11 e  12),  di  cui  al  d.m.  10
settembre 2010, e quindi in contrasto con l'art.  117,  terzo  comma,
Cost. Viene dedotta anche la violazione del principio di  favore  per
le fonti rinnovabili, di cui al Protocollo di Kyoto,  all'Accordo  di
Parigi  e  alle  direttive  2001/77/CE  e  2009/28/CE,  e  quindi  il
contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost. 
    3.6.1.- Preliminarmente si  deve  rilevare  che,  sebbene  l'art.
6-bis, comma 1, della legge reg.  Basilicata  n.  8  del  2012,  come
introdotto dall'art. 7 della legge reg. Basilicata n.  21  del  2017,
sia stato abrogato dall'art. 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del
2018, non ricorrono i presupposti per una declaratoria di  cessazione
della materia del contendere. Non  ci  sono,  infatti,  elementi  che
inducano a escludere che la norma impugnata sia stata  applicata  nel
periodo di sua vigenza. 
    3.6.2.- La questione proposta in riferimento all'art. 117,  terzo
comma, Cost., e' fondata. 
    Come si e' gia' ricordato, il legislatore statale, «attraverso la
disciplina delle procedure per  l'autorizzazione  degli  impianti  di
produzione di energia da fonti rinnovabili,  ha  introdotto  principi
che, per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non  tollerano
eccezioni sull'intero  territorio  nazionale»  (sentenza  n.  69  del
2018). Principi che si desumono dalle linee guida di cui al  d.m.  10
settembre 2010, previste dall'art. 12, comma 10, del  d.lgs.  n.  387
del 2003, da quest'ultimo e dal d.lgs. n. 28  del  2011  e  che  sono
stati  introdotti  dal  legislatore  statale  in   attuazione   della
normativa dell'Unione europea, in  vista  dell'obiettivo  di  massima
diffusione delle fonti di energia rinnovabile. 
    Occorre anzitutto individuare  tali  principi  nel  caso  oggetto
della norma regionale impugnata, per verificare poi la compatibilita'
di quest'ultima con i primi. 
    Con riguardo agli impianti  eolici  e  fotovoltaici  con  potenza
nominale inferiore alla Tabella A) allegata all'art. 12, comma 5, del
d.lgs. n. 387 del 2003, e cioe' in relazione,  rispettivamente,  agli
impianti eolici di potenza compresa fra 0-60 Kw (par. 12.6),  e  agli
impianti fotovoltaici a terra con potenza compresa fra 0-20 kW  (par.
12.2.), le linee guida, di cui al d.m. 10 settembre 2010, si limitano
a prescrivere la PAS, senza richiedere nessun altro requisito. 
    La norma regionale impugnata, invece, prescrive, per il  rilascio
dell'autorizzazione con procedura semplificata, con riferimento  agli
impianti fotovoltaici a terra  con  potenza  compresa  fra  0-20  kW,
ulteriori  condizioni  tecniche  inerenti  al   rapporto   superficie
radiante dei pannelli/superficie disponibile, alle  dimensioni  degli
impianti,  nonche'   alle   caratteristiche   delle   schermature   e
recinzioni, a distanze minime (art. 6-bis, comma 1, numero 1, lettere
da a a g); con riguardo agli impianti eolici di potenza fra 0-60  Kw,
ulteriori  condizioni  tecniche  inerenti   alle   dimensioni   degli
impianti, alla localizzazione,  alle  distanze  minime  (art.  6-bis,
comma 1, numero 2, lettere da a a f). 
    Risulta evidente che tali condizioni sono  diverse  e  aggiuntive
rispetto a quelle prescritte dal legislatore statale per il  rilascio
della PAS. Esse, pertanto, si traducono in ingiustificati aggravi per
la realizzazione e  l'esercizio  degli  impianti  in  questione,  che
possono essere addirittura preclusivi degli stessi, ove si  consideri
che   non   e'   neanche   prevista   l'applicabilita'   del   regime
dell'autorizzazione  unica  nel  caso  di  mancato   rispetto   delle
condizioni  prescritte.  Cio'  e'  in  contrasto  «con  il  principio
fondamentale  di  massima   diffusione   delle   fonti   di   energia
rinnovabile, stabilito dal legislatore statale  in  conformita'  alla
normativa dell'Unione europea» (sentenze n. 177 del 2018 e n. 13  del
2014; nello stesso senso, sentenza n. 44 del 2011). 
    Va, quindi, dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, la'  dove  ha  inserito
l'art. 6-bis, comma 1, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012. 
    3.6.3.-   Resta   assorbita   le   questione   di    legittimita'
costituzionale prospettata in riferimento all'art. 117, primo  comma,
Cost., in relazione al Protocollo di Kyoto, all'Accordo di  Parigi  e
alle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE. 
    3.7.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna,  inoltre,
l'art. 7, comma 3 (recte: l'art. 7), della legge reg.  Basilicata  n.
21 del 2017, la' dove, inserendo l'art. 6-bis, comma 3,  nella  legge
reg. Basilicata  n.  8  del  2012,  stabilisce  che  «[q]ualora  piu'
impianti di cui al comma 1 sono  riconducibili  ad  un  unico  centro
decisionale, devono essere considerati  un  unico  impianto  per  cui
devono rispettare le condizioni contenute negli artt. 5 e  6».  Cosi'
disponendo, sarebbero violati i principi fondamentali  stabiliti  dal
legislatore in materia di energia e, quindi, l'art. 117, terzo comma,
Cost. 
    3.7.1.-  Anche  in  tal  caso,   occorre   ribadire,   in   linea
preliminare, che, sebbene l'art. 6-bis, comma  3,  della  legge  reg.
Basilicata n. 8 del 2012, come introdotto  dall'art.  7  della  legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017, sia stato abrogato dall'art. 33 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, non ricorrono i presupposti per
una declaratoria di cessazione della materia del contendere.  Non  ci
sono, infatti,  elementi  che  inducano  a  escludere  che  la  norma
impugnata sia stata applicata nel periodo di sua vigenza. 
    3.7.2.- La questione non e' fondata. 
    Come gia' ricordato (par. 3.3.2.), le linee guida, di cui al d.m.
10 settembre 2010, al  paragrafo  11.6.,  ai  fini  dell'applicazione
della PAS, stabiliscono che «I limiti di capacita' di  generazione  e
di potenza indicati al successivo paragrafo 12 sono da intendere come
riferiti alla somma delle potenze nominali, per ciascuna  fonte,  dei
singoli impianti di produzione appartenenti allo stesso soggetto o su
cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante, facenti
capo al medesimo punto di connessione alla rete elettrica [...]». 
    La ratio antielusiva sottesa a tale previsione, volta  a  evitare
comportamenti surrettizi dei privati che,  mediante  una  artificiosa
parcellizzazione degli interventi di propria iniziativa, risultino in
concreto preordinati a eludere l'applicazione di  una  normativa  che
potrebbe rivelarsi piu' gravosa rispetto a un'altra, e' la stessa che
contraddistingue anche la norma regionale impugnata. 
    Quest'ultima, in presenza di piu'  impianti  riconducibili  a  un
unico centro decisionale, ravvisa un  unico  impianto  soggetto  agli
ulteriori adempimenti prescritti dagli artt. 5 e 6 per  gli  impianti
di potenza maggiore (fino a 200 KW), sempre  che  sussistano  -  come
gia' chiarito -  le  condizioni  spaziali  previste  dalla  normativa
statale. 
    Emerge in  maniera  chiara,  pertanto,  che  la  norma  regionale
impugnata, lungi dal porsi in contrasto con i  principi  fondamentali
stabiliti dal legislatore statale, ne costituisce attuazione. 
    3.8.- Sono, infine, impugnati gli artt. 5, 6 e 7 della legge reg.
Basilicata n. 21 del 2017, per violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost. Tali norme, nell'assoggettare a  PAS  impianti  di  energia  da
fonti rinnovabili di potenza a partire da «0» kW, non farebbero salvo
il regime della comunicazione, previsto dai paragrafi 11 e  12  delle
linee guida nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010  e  richiamato
dall'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011. 
    3.8.1.- In linea  preliminare,  occorre  rilevare  che  la  legge
regionale n. 38 del 2018,  entrata  in  vigore  successivamente  alla
proposizione del ricorso, ha inciso sugli artt. 5, 6 e 7 della  legge
regionale n. 21 del 2017. 
    Piu' precisamente, gli artt. 5 e 7 della legge reg. Basilicata n.
21 del 2017 sono stati abrogati per effetto,  rispettivamente,  degli
artt. 31 e 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del  2018.  L'art.  6
della citata legge regionale n.  21  del  2017  e'  stato  modificato
dall'art. 32 della legge regionale  n.  38  del  2018,  autonomamente
impugnato con un successivo ricorso, iscritto al n.  7  del  registro
ricorsi 2019. 
    Tuttavia, il periodo di vigenza delle norme in esame e  l'assenza
di elementi atti a escludere che tali  norme  siano  state  applicate
impediscono di ritenere cessata la materia del contendere. 
    3.8.2.- Le questioni - che  in  ragione  delle  dichiarazioni  di
incostituzionalita' di cui ai precedenti punti 3.2.2, 3.4.2, 3.5.2  e
3.6.2, investono i residui commi degli artt. 5, 6 e 6-bis della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012 - non sono fondate. 
    Nel  quadro  di  semplificazione  delle  procedure  autorizzative
delineato dal d.lgs. n. 28 del 2011, accanto all'autorizzazione unica
(AU) e alla procedura abilitativa semplificata (PAS), e' prevista  la
mera comunicazione al Comune di inizio dei lavori - corredata da  una
dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato  -  per  la
realizzazione e l'esercizio di alcune tipologie di  piccoli  impianti
per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da  fonti  di
energia rinnovabili (FER), assimilabili ad attivita' edilizia libera.
In particolare, le linee guida, di cui al  d.m.  10  settembre  2010,
ricomprendono  in  tale  categoria  impianti  eolici  e  fotovoltaici
contraddistinti   da    specifiche    caratteristiche    strutturali,
tassativamente individuate. 
    Con specifico riguardo  agli  impianti  solari  fotovoltaici,  il
paragrafo 12.1. delle citate linee guida assoggetta al  regime  della
mera comunicazione solo gli impianti «aderenti o integrati nei  tetti
di  edifici  esistenti  con  la  stessa  inclinazione  e  lo   stesso
orientamento della falda e i cui componenti non modificano la  sagoma
degli edifici stessi», con superficie  non  superiore  a  quella  del
tetto su cui e' realizzato l'impianto e che «non ricadono  nel  campo
di applicazione del decreto  legislativo  22  gennaio  2004  e  s.m.i
[...], nei casi previsti  dall'articolo  11,  comma  3,  del  decreto
legislativo n. 115  del  2008»  (lettera  a),  nonche'  gli  impianti
«realizzati su edifici esistenti o sulle  loro  pertinenze»,  «aventi
una capacita' di generazione compatibile con il regime di scambio sul
posto» e «realizzati al di fuori della Zona A, di cui al decreto  del
Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444»  (lettera  b).
Quanto agli impianti eolici, il paragrafo 12.5 delle  medesime  linee
guida prescrive il regime  della  mera  comunicazione  solo  per  gli
impianti «installati sui tetti degli  edifici  esistenti  di  singoli
generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e
diametro non superiore a 1 metro», sempre che i  relativi  interventi
«non ricad[a]no nel campo di applicazione del d.lgs. n. 42 del  2004,
nei casi previsti dall'articolo 11, comma 3, del decreto  legislativo
n. 115 del 2008» (lettera a), nonche'  per  le  «torri  anemometriche
finalizzate  alla  misurazione  temporanea  del  vento»,  «realizzate
mediante  strutture  mobili,   semifisse   o   comunque   amovibili»,
«installate in aree non soggette a vincolo o a tutela» e comunque con
il consenso del  proprietario  del  fondo  e  a  condizione  che  «la
rilevazione non duri piu' di trentasei mesi» e  che  «entro  un  mese
dalla conclusione della rilevazione il soggetto titolare rimuov[a] le
predette apparecchiature ripristinando lo stato dei luoghi»  (lettera
b). Quanto alla potenza, l'art. 6, comma 11, del  d.lgs.  n.  28  del
2011 consente alle Regioni di estendere il regime della comunicazione
«ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con  potenza
nominale  fino  a  50  Kw,  nonche'  agli  impianti  fotovoltaici  di
qualsivoglia potenza da realizzare  sugli  edifici,  fatta  salva  la
disciplina in materia di  valutazione  di  impatto  ambientale  e  di
tutela delle risorse idriche». 
    Appare evidente che si tratta di una disciplina speciale, la  cui
applicabilita'  e'  condizionata  dalla  sussistenza  dei   requisiti
"strutturali" degli impianti tassativamente indicati dal  legislatore
statale, disciplina su cui non incidono le norme regionali impugnate.
Queste ultime, infatti, hanno  un  diverso  ambito  di  applicazione,
proprio perche' dettano i  limiti  all'utilizzo  della  PAS  per  gli
impianti solari fotovoltaici e per gli impianti eolici  in  generale,
senza interferire con la speciale disciplina inerente  al  regime  di
comunicazione previsto, come si e' rilevato, dal legislatore  statale
per specifiche tipologie di impianti eolici  e  solari  fotovoltaici,
tassativamente individuate sulla  base  non  dell'esclusivo  elemento
della potenza, ma di peculiari caratteristiche strutturali.