ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis,
comma  1,  della  legge  del  26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  promosso  dalla  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di
H. B., con ordinanza del 16 novembre  2018,  iscritta  al  n.  5  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  giugno  2019  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di cassazione, sezione prima penale,  con  ordinanza
depositata il 16 novembre 2018  e  iscritta  al  n.  5  del  registro
ordinanze 2019, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), in riferimento agli artt. 3 e
27 della Costituzione, «nella parte in cui non esclude dal novero dei
reati ostativi, ivi indicati, il reato di cui all'art. 630 cod. pen.,
ove per lo stesso sia stata riconosciuta l'attenuante  del  fatto  di
lieve entita', ai sensi della sentenza della Corte costituzionale  n.
68 del 2012». 
    1.1.- Il collegio rimettente premette  di  essere  investito  del
ricorso avverso il provvedimento del  Tribunale  di  sorveglianza  di
Firenze di rigetto del reclamo proposto da H. B.  contro  il  decreto
che aveva dichiarato inammissibile la richiesta  di  permesso  premio
avanzata dal medesimo condannato. Questi si trovava,  dal  24  luglio
2005, in espiazione della pena, determinata in ventuno anni e  cinque
mesi di reclusione, per  effetto  di  diverse  condanne,  oggetto  di
cumulo, per i reati di sequestro di persona a  scopo  di  estorsione,
rapina aggravata e cessione di stupefacenti aggravata  per  l'ingente
quantita'. 
    Precisa il giudice a quo che,  in  relazione  alla  condanna  per
l'art. 630 del  codice  penale  (sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione), era stata  riconosciuta  al  condannato  la  circostanza
attenuante del fatto di lieve entita' introdotta dalla sentenza n. 68
del 2012 della Corte  costituzionale.  Ma,  «[c]io'  nonostante»,  il
Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto non concedibile il beneficio
richiesto, in ragione del fatto che il sequestro di persona  a  scopo
di estorsione e' ricompreso nell'elenco dei reati ostativi  contenuto
nell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.  e  non  rilevando,  al  fine
della    esclusione    della    preclusione,    il     riconoscimento
dell'attenuante. Inoltre, il condannato non aveva prospettato  alcuna
delle offerte di collaborazione effettiva, impossibile o irrilevante,
di cui al comma  1-bis  della  norma  citata,  circostanza  che  pure
avrebbe determinato la non operativita' del meccanismo di preclusione
all'accesso ai benefici penitenziari. Neppure era stata  espiata  per
gli altri reati almeno la meta' della pena, come richiesto  dall'art.
30-ter, quarto comma, lettera c), ordin. penit. per poter ottenere il
permesso premio, avuto riguardo al principio per cui, «in presenza di
plurime condanne riferibili anche a reati ostativi  alla  concessione
dei benefici penitenziari, e' necessario operare lo scioglimento  del
cumulo al fine di  accertare  che  la  pena  inflitta  per  il  reato
ostativo  sia  stata  interamente  espiata  e,  in   caso   positivo,
individuare il dies  a  quo,  rilevante  al  fine  di  verificare  la
sussistenza dei requisiti di legge per la concessione del  beneficio,
dal giorno in cui e' avvenuta la espiazione della pena per  il  reato
ostativo e non dall'inizio della carcerazione». 
    Il ricorrente  aveva  successivamente  impugnato  per  cassazione
l'ordinanza  del  Tribunale  di  sorveglianza,  osservando  che   «il
riconoscimento della attenuante della  lieve  entita'  del  fatto  al
reato di  cui  all'art.  630  cod.  pen.  e'  incompatibile  con  una
valutazione della condotta in termini  di  grave  allarme  sociale  e
dunque risulta in contrasto con la ratio che ispira la disciplina del
divieto di concessione dei benefici penitenziari per  certuni  reati,
considerati  ostativi».  Pertanto,  aveva   eccepito   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  4-bis,  comma  1-bis,  ordin.
penit. «nella parte in cui, non dando rilievo alla  attenuante  della
speciale tenuita' del fatto ai fini del venir meno della  preclusione
ai benefici  penitenziari,  detta  una  disciplina  irragionevolmente
diversa rispetto a quella prevista  nel  caso  di  riconoscimento  di
altre attenuanti». Il  ricorrente  aveva  evidenziato  come  la  pena
espiata per la condanna  per  spaccio  di  stupefacenti  gli  avrebbe
consentito l'accesso al beneficio. 
    1.2.- Aderendo all'eccezione del ricorrente del giudizio  a  quo,
la  Corte  di  cassazione  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis ordin. penit., per contrasto  con  gli
artt. 3 e 27 Cost., «nella parte  in  cui  ricomprende  fra  i  reati
ostativi alla concessione  dei  benefici  penitenziari,  elencati  al
comma 1, e richiamati nel comma 1-bis, anche il reato di cui all'art.
630 cod. pen.  in  relazione  al  quale  sia  stata  riconosciuta  la
speciale attenuante della lieve entita' del fatto, introdotta con  la
sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2012». 
    In punto di rilevanza, il giudice a quo precisa che il ricorrente
H. B., dopo essere stato condannato per il reato di cui all'art.  630
cod. pen. alla pena di diciotto anni di reclusione, aveva ottenuto in
sede esecutiva la riduzione della condanna a tredici anni, «grazie al
riconoscimento della attenuante della lieve entita'  del  fatto,  per
effetto della sopravvenuta  sentenza  n.  68  del  2012  della  Corte
costituzionale». Per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre
1990 n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza),  era  stata
esclusa l'aggravante di  cui  all'art.  80,  comma  2,  del  medesimo
decreto, «[s]icche', se dovesse escludersi l'ostativita' per il reato
di cui all'art. 630 cod. pen, attenuato dalla lieve entita',  avrebbe
potuto ritenersi maturato il diritto  ad  accedere  al  beneficio  ai
sensi dell'art. 30-ter, comma quarto  lett.  c),  Ord.  pen.,  salvo,
ovviamente, le valutazioni  sulla  meritevolezza  del  beneficio,  da
rimettere al giudice di merito,  che  si  e',  invece,  arrestato  al
profilo formale della preclusione in ragione del titolo di reato,  in
assenza  di  prospettazione   della   collaborazione,   effettiva   o
impossibile». 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  la
Corte di cassazione ripercorre preliminarmente le vicende  che  hanno
portato all'introduzione dell'art. 4-bis ordin. penit.  e  che  hanno
successivamente condotto all'attuale formulazione della disposizione.
Evidenzia, in particolare,  come,  inizialmente,  la  preclusione  ai
benefici penitenziari interessasse delitti «tutti caratterizzati  dal
necessario, o  almeno  [...]  normale  inserimento  del  reo  in  una
compagine criminosa, o  ancora  da  sue  specifiche  connessioni  con
organizzazioni criminali» (viene citata la sentenza n. 149 del 2018).
Osserva come, all'esito di diversi interventi legislativi e di alcune
pronunce della Corte costituzionale (si evocano le sentenze n. 68 del
1995 e n. 357 del 1994), ne  sarebbe  poi  risultata  «una  complessa
disciplina, che richiede differenti requisiti  di  ammissibilita'  in
relazione al titolo del reato della condanna in espiazione». 
    Con  particolare  riferimento  alla  questione   in   esame,   il
rimettente ricorda che, in caso di condanna - tra gli altri - per  il
reato di cui all'art. 630 cod. pen.,  i  benefici  penitenziari  sono
concedibili, ai sensi del primo comma dell'art. 4-bis ordin.  penit.,
soltanto «in caso di collaborazione ai sensi  dell'art.  58-ter  Ord.
pen.». In alternativa,  il  comma  1-bis  dello  stesso  art.  4-bis,
prevede che, se la collaborazione e'  impossibile  od  oggettivamente
irrilevante, deve esservi prova della assenza di collegamenti attuali
del condannato con la criminalita' organizzata.  Ancora,  sempre  nei
casi in cui sia impossibile  un'utile  collaborazione,  l'accesso  ai
benefici penitenziari e'  ammesso  anche  nei  casi  in  cui  risulti
accertata  la  limitata  partecipazione   al   fatto   criminoso,   o
l'integrale  accertamento  dei  fatti  e  delle  responsabilita'.  Da
ultimo, il citato comma  1-bis  dispone  che  si  possa  accedere  ai
benefici penitenziari nei casi in cui, anche se la collaborazione che
viene  offerta  risulti   oggettivamente   irrilevante,   sia   stata
riconosciuta al condannato una delle attenuanti previste dagli  artt.
62, primo comma, numero 6), 114 e 116, secondo comma, cod. pen. 
    Viene quindi richiamato l'orientamento  della  giurisprudenza  di
legittimita' secondo cui, al di «[f]uori delle ipotesi tassativamente
previste ai limitati fini  del  riconoscimento  della  collaborazione
cosi' detta irrilevante», il riconoscimento giudiziale di circostanze
attenuanti «non  rileva  ai  fini  della  previsione  legale  di  cui
all'art. 4-bis, comma 1, Ord.  pen.,  relativa  ai  titoli  di  reato
ostativi alla concessione dei benefici penitenziari,  incidendo  tale
eventuale riconoscimento solo in sede di commisurazione della pena». 
    Anche la  giurisprudenza  costituzionale  avrebbe  d'altra  parte
riconosciuto che per i reati ostativi di cui  all'art.  4-bis  citato
l'assenza  di  collegamenti  con  la   criminalita'   organizzata   e
l'avvenuta collaborazione con gli inquirenti  quale  presupposto  per
l'accesso ai benefici  penitenziari  non  sarebbe  in  contrasto  con
l'art. 27 Cost. (vengono citate le sentenze n. 135 del 2003 e n.  273
del 2001). Per le condotte previste da  tale  disposizione,  infatti,
vigerebbe «una sorta di presunzione di non praticabilita'  di  valide
alternative rieducative in assenza di collaborazione», in quanto esse
costituirebbero, «di norma, espressione di una organizzata, e  quindi
con caratteristiche di stabilita' e particolare resistenza, struttura
criminale». 
    1.4.-  Il  giudice  rimettente  osserva,   tuttavia,   che   tale
presunzione non sembra poter valere per  il  reato  di  sequestro  di
persona a scopo estorsivo di cui  all'art.  630  cod.  pen.,  «specie
nella ipotesi attenuata per la lieve entita' del fatto». 
    Si ricorda infatti come tale previsione sia stata oggetto di  una
serie di  interventi  legislativi  negli  anni  Settanta  del  secolo
scorso, volti a inasprire le pene in ragione di  una  diffusione  del
fenomeno criminale e, contestualmente, a  favorire,  le  condotte  di
desistenza. 
    Rileva pero' il rimettente come, anche  a  giudizio  della  Corte
costituzionale (viene citata la sentenza n. 68 del 2012), non  sempre
la  fattispecie  riguarda  fenomeni   espressione   di   criminalita'
organizzata e grave allarme sociale: essa «puo' essere realizzata, in
base a dati di comune esperienza, anche da fatti estemporanei,  senza
una significativa predisposizione  di  uomini  o  mezzi,  ovvero  con
limitata, a poche ore, restrizione della  liberta'  personale  o  con
profitto   patrimoniale   di   entita'   contenuta».   Proprio   tale
considerazione avrebbe portato a riconoscere la irragionevolezza  del
trattamento sanzionatorio stabilito nello stesso art. 630 cod.  pen.,
laddove non prevedeva, come invece nell'art. 311 cod.  pen.,  per  la
«parallela fattispecie» del reato di sequestro di persona a scopo  di
terrorismo o di eversione (art. 289-bis  cod.  pen.),  «una  speciale
attenuante correlata alla lieve entita' del fatto». 
    Il riconoscimento dell'attenuante determinerebbe,  a  parere  del
giudice a quo, non soltanto una diminuzione della pena, ma  anche  il
venir meno della presunzione che il reato costituisca  esclusivamente
espressione tipica di criminalita' organizzata. 
    Tale assunto troverebbe conferma, a parere del rimettente,  anche
nella sentenza n. 213 del 2013, in  cui  la  Corte  costituzionale  -
dichiarando  l'incostituzionalita'  dell'art.  275  del   codice   di
procedura penale nella parte in cui, in ragione  di  una  presunzione
assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria, obbligava  il
giudice della cautela a disporre la custodia in carcere nel  caso  di
gravi indizi di colpevolezza del reato di cui all'art. 630 cod.  pen.
- ha riconosciuto che nella fattispecie del sequestro  di  persona  a
scopo di estorsione possono ricomprendersi fenomeni  criminali  molto
diversi  tra  loro  e  di  diverso  allarme  sociale.  Sarebbe  cioe'
possibile distinguere i casi  di  «sequestri  di  lunga  durata,  con
condizioni  assai  penose  di  restrizione  e  ingenti  richieste  di
riscatto - necessaria espressione  di  una  organizzazione  criminale
ampia, strutturata e con radicato consenso sociale - [d]ai  sequestri
di breve durata,  anche  finalizzati  alla  esazione  di  un  credito
fondato su prestazione illecita, espressione di una occasionalita' di
azione e di una organizzazione rudimentale e approssimativa». 
    Il  delitto  di  cui  all'art.  630  cod.  pen.,  pertanto,   non
richiederebbe   necessariamente   l'esistenza    di    una    stabile
organizzazione criminale ma  potrebbe  essere  realizzato  anche  con
condotte estemporanee, di limitato impatto,  sia  nei  confronti  del
bene della liberta' personale, sia in relazione al  patrimonio  della
vittima. Pertanto,  e  a  maggior  ragione,  dovrebbe  escludersi  la
presunzione di un siffatto collegamento nel caso  in  cui  all'agente
venga riconosciuta l'attenuante della lieve entita' del fatto. 
    1.5.- Ritiene in conclusione il giudice a quo non  manifestamente
infondato il dubbio di legittimita' costituzionale  dell'art.  4-bis,
comma 1, ordin. penit., nella parte in cui comprende nel  novero  dei
reati cosi' detti ostativi di prima fascia anche  la  fattispecie  di
cui all'art. 630 cod. pen. pur attenuata per  la  lieve  entita'  del
fatto. Tale esclusione riposerebbe su una presunzione di elevatissima
pericolosita', collegabile a contesti  di  criminalita'  organizzata,
che non risponderebbe,  per  la  fattispecie  in  esame,  a  dati  di
esperienza generalizzati, riassumibili  nella  formula  dell'id  quod
plerumque accidit. 
    La disposizione impugnata violerebbe  gli  artt.  3  e  27  Cost.
poiche' parrebbe irragionevole limitare il diritto del condannato  ad
accedere ai benefici penitenziari in casi come quello  in  esame,  «a
prescindere da ogni valutazione in concreto, e  caso  per  caso,  sul
percorso  di  emenda  intrapreso,  e  ingiustificatamente   incidere,
quindi, sulla finalita' rieducativa della pena  e  sul  principio  di
individualizzazione  della  stessa,  che   impongono   -   salva   la
ragionevolezza  della   presunzione   legale   di   pericolosita'   -
valutazioni commisurate alle condizioni e ai segnali  di  cambiamento
del singolo individuo». 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,  in
subordine, non fondata. 
    2.1.- Ad avviso dell'Avvocatura generale risulterebbe erroneo  il
presupposto  interpretativo  da  cui  muove  il  giudice  rimettente,
secondo il quale la norma impugnata sarebbe finalizzata a punire  con
maggior rigore i reati che vengono commessi nell'ambito  di  contesti
di  criminalita'  organizzata.  Ritiene,  infatti,  l'Avvocatura  che
l'art.  4-bis,  ordin.  penit.,  a  seguito  di  numerosi  interventi
legislativi succedutisi nel  corso  degli  anni,  sia  oggi  volto  a
disciplinare «un regime penitenziario  improntato  ad  un  piu'  alto
grado di rigore per quei reati che, per  le  gravi  condotte  che  li
caratterizzano, ingenerano un significativo allarme sociale il  quale
non  necessariamente  e'  dovuto  ai  contesti   criminali   in   cui
eventualmente si collochino». Pertanto sarebbe  privo  di  pregio  il
rilievo del giudice rimettente volto a  segnalare  che  il  reato  di
sequestro di persona possa manifestarsi anche fuori dal  contesto  di
un'organizzazione criminale. 
    L'eventuale riconoscimento dell'attenuante  della  lieve  entita'
del fatto rileverebbe pertanto soltanto ai fini della  determinazione
della  pena,  ma  non   sarebbe   idonea   ad   escludere   l'elevata
pericolosita' della condotta criminale, il  che  giustificherebbe  il
trattamento penitenziario differenziato in sede di  esecuzione  della
pena, delineato dall'art. 4-bis ordin. penit. 
    Si  tratterebbe  di  una  scelta  discrezionale  del  legislatore
connessa a valutazioni  di  politica  criminale  e  di  tutela  della
sicurezza pubblica, come tale insindacabile nella misura  in  cui  si
attenga ai canoni della ragionevolezza,  come  piu'  volte  ricordato
dalla giurisprudenza costituzionale (si richiamano le sentenze n. 229
e n. 223 del 2015, n. 248 e n. 81 del 2014, n. 313 del 1995). 
    Sottolinea l'Avvocatura generale che la pericolosita' sociale  di
chi commette il reato di sequestro di persona a scopo  di  estorsione
emergerebbe chiaramente anche nel  caso  di  specie,  avuto  riguardo
all'entita' della pena comminata (tredici anni), tutt'altro che tenue
seppur con il riconoscimento della attenuante della lieve entita' del
fatto. 
    D'altra parte, «[l]'attenuante incide sulla  misura  della  pena,
non sulla pericolosita' oggettiva del comportamento sanzionato», che,
nel caso del sequestro di persona a scopo di estorsione  risulterebbe
in ogni caso indubitabile. Ne conseguirebbe dunque, secondo i  canoni
elaborati dalla Corte costituzionale, la non  irragionevolezza  della
previsione   in   termini    di    coerenza,    non    arbitrarieta',
proporzionalita', congruita' e  adeguatezza  (vengono  richiamate  le
sentenze n. 206 del 1999 e n. 43 del 1997). 
    Cio' troverebbe  conferma  anche  alla  luce  del  fatto  che  la
funzione attuale dell'art.  4-bis  ordin.  penit.  non  consisterebbe
piu', come in origine, nella necessita' di fronteggiare i delitti  di
criminalita' organizzata, avendo tale articolo assunto  «i  connotati
di  una  disposizione  piu'  generale  mirante  a   disciplinare   il
trattamento penitenziario al  cospetto  di  condotte  particolarmente
allarmanti» (viene evocata anche la sentenza n. 306 del  1993,  sulla
non irragionevolezza delle scelte  volte  ad  attribuire  determinati
vantaggi ai soli detenuti che collaborino con la giustizia). 
    2.2.- L'Avvocatura generale sottolinea, inoltre,  che  la  citata
sentenza  n.  68  del  2012,  pur   dichiarando   la   illegittimita'
costituzionale dell'art.  630  cod.  pen.  nella  parte  in  cui  non
riconosceva l'attenuante della lieve entita' del fatto, non  varrebbe
a giustificare la non manifesta infondatezza  della  questione.  Tale
precedente giurisprudenziale, infatti, si sarebbe limitato a rilevare
la disparita' di trattamento tra il reato di cui  all'art.  630  cod.
pen. e  l'omologa  fattispecie  prevista  in  materia  di  terrorismo
dall'art. 289-bis cod. pen., in relazione alla quale l'art. 311  cod.
pen. contempla l'attenuante per i casi di lieve entita' del fatto. 
    Sostiene ancora  l'Avvocatura  che  «se  tra  le  diverse  figure
criminali non deve  esservi  differenza  quanto  alla  concedibilita'
delle attenuanti, neppure deve esservi differenza  quanto  al  regime
dei benefici». Sono state infatti le analogie tra le due fattispecie,
sia in termini di condotta volta  a  privare  taluno  della  liberta'
personale, sia di pena edittale prevista, sia di aggravanti  in  caso
di morte della vittima, a portare la Corte costituzionale a  ritenere
concedibile  anche  nel  caso  previsto  dall'art.  630   cod.   pen.
l'attenuante di lieve entita'. A maggior ragione, allora, «in termini
di coerenza legislativa», risulterebbe «rafforzato  il  convincimento
della legittimita' costituzionale del  trattamento  penitenziario  di
cui all'art. 4-bis ordin. penit., giacche' proprio per  il  reato  di
sequestro di persona a scopo di terrorismo o di  eversione  la  legge
prevede  la  preclusione  dei  benefici   penitenziari,   senza   che
l'eventuale riconoscimento dell'attenuante possa fungere da causa  di
esclusione del regime di maggior rigore». 
    Ne' parrebbe sostenibile una diversa conclusione alla luce  delle
rispettive finalita' della lesione del bene protetto, l'una  volta  a
perseguire  il  vantaggio  economico  e  l'altra   l'attentato   alla
personalita' dello Stato,  perche'  entrambe  denoterebbero  identica
pericolosita' sociale del comportamento criminale. 
    Non sussisterebbe pertanto, a  parere  dell'Avvocatura  generale,
alcuna violazione dei principi costituzionali di cui agli artt.  3  e
27 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Dubita la Corte di cassazione, sezione  prima  penale,  della
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative  della  liberta'),  in
riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in  cui
non esclude dal novero dei delitti  cosiddetti  "ostativi",  elencati
nella disposizione censurata, il reato di cui all'art. 630 del codice
penale (Sequestro di persona a scopo  di  estorsione),  «ove  per  lo
stesso  sia  stata  riconosciuta  l'attenuante  del  fatto  di  lieve
entita', ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 68 del
2012». 
    Ritiene,  in  particolare,   il   rimettente   che   l'esclusione
dall'accesso ai benefici penitenziari in  assenza  di  collaborazione
con la giustizia, sancita dalla disposizione  censurata,  sarebbe  in
contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  e  con  quelli  di
individualizzazione della  pena  e  di  finalita'  rieducativa  della
stessa, ove tale esclusione riguardi un condannato per un fatto  che,
pur  qualificato  ai  sensi  dell'art.  630  cod.  pen.,   e'   stato
riconosciuto di lieve entita'. Infatti, in tal caso, la  «presunzione
di elevatissima pericolosita', collegabile a contesti di criminalita'
organizzata», asseritamente  inerente  a  tutti  i  reati  ricompresi
nell'elenco di cui all'art. 4-bis ordin. penit., non risponderebbe  a
dati di esperienza, riassumibili nella formula dell'id quod plerumque
accidit, determinando il contrasto del medesimo art. 4-bis, in  parte
qua, con gli artt. 3 e 27 Cost. 
    Del resto, non solo il delitto di cui all'art. 630 cod. pen.  non
richiederebbe   necessariamente   l'esistenza    di    una    stabile
organizzazione  criminale,  potendo  essere   realizzato   attraverso
condotte estemporanee, con limitata lesione, sia alla liberta' sia al
patrimonio della vittima, ma  la  presunzione  del  collegamento  con
organizzazioni criminali dovrebbe essere a  maggior  ragione  esclusa
nel caso in cui  all'agente  venga  riconosciuta  l'attenuante  della
lieve entita' del fatto. 
    Ritiene, in definitiva, il giudice a  quo  che  l'art.  630  cod.
pen., all'esito della sentenza n. 68 del 2012 di questa  Corte  -  in
base alla quale la pena  da  tale  articolo  comminata  e'  diminuita
quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o  circostanze
dell'azione ovvero per  la  particolare  tenuita'  del  danno  o  del
pericolo, il fatto risulti di lieve entita' - risulterebbe,  in  tale
specifico caso, non suscettibile di essere  incluso  nell'elenco  dei
reati "ostativi" previsti dalla disposizione censurata. 
    2.- L'ordinanza di rimessione  non  fornisce  informazioni  sulla
fattispecie concreta che ha portato alla condanna  per  il  reato  in
questione, ne' sulle ragioni  della  concessione  dell'attenuante  di
lieve   entita'.   Cio',   tuttavia,   non   determina   profili   di
inammissibilita' della questione, poiche' essa proviene  dal  giudice
della legittimita', che formula la censura in base agli  accertamenti
di fatto compiuti dai giudici del merito e, proprio sulla  scorta  di
questi,  scorge  una  incoerenza  irragionevole,   costituzionalmente
illegittima per lesione degli artt. 3 e 27 Cost., tra la  complessiva
ratio sottostante al disposto di cui all'art. 4-bis ordin. penit., da
una parte, e l'inclusione in esso,  dall'altra,  dell'art.  630  cod.
pen., se e in quanto al reato sia applicata l'attenuante della  lieve
entita' del fatto. 
    Risulta percio' non implausibile affermare, come fa il rimettente
in punto di rilevanza della questione di legittimita' costituzionale,
che se dovesse escludersi il carattere "ostativo" del  reato  di  cui
all'art. 630 cod. pen,  in  quanto  attenuato  dalla  lieve  entita',
potrebbe ritenersi maturato il diritto ad accedere  al  beneficio  ai
sensi dell'art. 30-ter, comma 4, lettera c),  ordin.  penit.,  salve,
ovviamente, le valutazioni del giudice di merito, il  quale  si  era,
invece, arrestato al profilo formale della  preclusione,  proprio  in
ragione del titolo di reato per cui  vi  era  stata  condanna,  e  in
assenza di prospettazione di una  collaborazione  con  la  giustizia,
effettiva o impossibile. 
    3.- Nel merito, la  tesi  del  giudice  a  quo  non  puo'  essere
condivisa e le questioni da esso sollevate non sono percio' fondate. 
    La  stessa  illustrazione  della  ratio  dell'art.  4-bis  ordin.
penit.,  quale  risultante  dall'ordinanza  di  rimessione,  non   e'
corretta. Allo stato attuale, non esaurisce affatto la descrizione di
tale ratio il riferimento alla necessita' di riservare un trattamento
penitenziario di particolare asprezza  ai  condannati  per  reati  di
criminalita' organizzata. Se questa poteva essere la  ratio  iniziale
della disposizione, essa si e' andata progressivamente  perdendo.  Al
tempo presente, l'unica adeguata definizione della disciplina di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit. consiste nel sottolinearne la natura  di
disposizione  speciale,  di  carattere  restrittivo,   in   tema   di
concessione dei benefici  penitenziari  a  determinate  categorie  di
detenuti  o  internati,  che  si  presumono  socialmente   pericolosi
unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la  detenzione
o l'internamento sono stati disposti (sentenza n. 239 del 2014). 
    Del resto, le numerose modifiche intervenute negli anni, rispetto
al nucleo della disciplina originaria, hanno variamente  ampliato  il
catalogo dei reati ricompresi nella disposizione, in virtu' di scelte
di politica criminale tra loro disomogenee, accomunate  da  finalita'
di prevenzione  generale  e  da  una  volonta'  di  inasprimento  del
trattamento penitenziario, in risposta ai diversi fenomeni  criminali
di volta in volta emergenti. L'art. 4-bis ordin. penit. si e', cosi',
trasformato in «un complesso, eterogeneo  e  stratificato  elenco  di
reati» (sentenze n. 32 del 2016  e  n.  239  del  2014),  nel  quale,
accanto ai reati di criminalita' organizzata, compaiono ora, tra  gli
altri, quelli di violenza sessuale (legge 1° ottobre  2012,  n.  172,
recante «Ratifica  ed  esecuzione  della  Convenzione  del  Consiglio
d'Europa per la  protezione  dei  minori  contro  lo  sfruttamento  e
l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme
di adeguamento  dell'ordinamento  interno»),  di  scambio  elettorale
politico-mafioso (legge 23 febbraio 2015, n. 19, recante «Divieto  di
concessione  dei  benefici  ai  condannati  per  il  delitto  di  cui
all'articolo  416-ter  del  codice   penale»),   di   favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina (decreto-legge 18 febbraio 2015, n.  7,
recante «Misure urgenti per il contrasto  del  terrorismo,  anche  di
matrice internazionale, nonche' proroga delle missioni internazionali
delle Forze armate e di  polizia,  iniziative  di  cooperazione  allo
sviluppo e sostegno ai processi  di  ricostruzione  e  partecipazione
alle  iniziative   delle   Organizzazioni   internazionali   per   il
consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione», convertito
con modificazioni, nella legge 17 aprile 2015, n. 43) e,  da  ultimo,
anche quasi tutti i reati contro la pubblica amministrazione (legge 9
gennaio 2019, n. 3, recante «Misure per il contrasto dei reati contro
la pubblica amministrazione, nonche' in materia di  prescrizione  del
reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici»). 
    Il complesso di tali modifiche non e' senza rilievo con  riguardo
allo  stesso  esito  delle   presenti   questioni   di   legittimita'
costituzionale. Al cospetto di una disposizione che, ormai, ricollega
un trattamento penitenziario piu' aspro all'allarme sociale derivante
dal mero titolo di reato  per  cui  e'  condanna,  risulta,  infatti,
incongruo l'argomento del giudice a  quo,  secondo  il  quale  se  la
fattispecie di reato e' assistita dall'attenuante di  lieve  entita',
essa dovrebbe essere, per cio' solo,  espunta  dal  catalogo  di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit., sul presupposto che  il  riconoscimento
di quella attenuante priverebbe di ogni validita', sul piano logico e
statistico,  la  presunzione  del  collegamento  del  condannato  con
organizzazioni criminali. 
    E' evidente che  la  concessione  dell'attenuante  in  parola  e'
rilevante ai soli fini della determinazione della pena  proporzionata
al caso concreto, mentre, nella logica dell'attuale art. 4-bis, comma
1, ordin. penit., una tale concessione non risulta idonea a incidere,
di  per  se'  sola,  sulla  coerenza  della  scelta  legislativa   di
considerare un determinato  reato  di  particolare  allarme  sociale,
ricollegandovi un trattamento piu' rigoroso in  fase  di  esecuzione,
quale che sia  la  misura  della  pena  inflitta  nella  sentenza  di
condanna. 
    D'altra parte, anche a voler accedere  al  terreno  argomentativo
del rimettente, il riferimento alla natura, alla  specie,  ai  mezzi,
alle modalita' o circostanze dell'azione, alla  particolare  tenuita'
del danno o del pericolo - cioe' agli elementi  che  giustificano  la
concessione dell'attenuante - non necessariamente comporta,  ne'  sul
piano  logico,  ne'  su  quello  dell'esperienza,  «una   caduta   di
effettivita'  della  presunzione»  di  collegamento   del   reo   con
organizzazioni criminali: giacche' quegli stessi  elementi  non  sono
necessariamente in contraddizione con l'adesione o la  partecipazione
del condannato  a  pericolose  organizzazioni  criminali,  stabili  e
strutturate. 
    In  definitiva,  lieve  entita'  del  fatto,  da  una  parte,   e
valutazione legislativa di gravita' direttamente connessa  al  titolo
di reato per il quale e' condanna, dall'altra, sono aspetti  che  non
e' congruo porre in comparazione, ai fini perseguiti dal  rimettente.
La previsione di attenuanti, anche diverse da quelle  della  lievita'
del fatto, consente di adeguare la pena  al  caso  concreto,  ma  non
riguarda  la  valutazione  discrezionale  del  legislatore  circa  la
gravita' del titolo di reato per  il  quale  vi  e'  stata  condanna,
l'allarme sociale che  la  commissione  di  quel  reato  determina  e
l'oggettiva   pericolosita'   del   comportamento   descritto   dalla
fattispecie astratta (sentenze n. 88 del 2019 e n.179 del 2017). 
    La stessa giurisprudenza di legittimita'  (Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenze  3  febbraio  2016,  n.  37578,  e  19
settembre 2012, n. 36) ha chiarito che il legislatore, nell'elenco di
cui all'art. 4-bis ordin.  penit.,  ha  voluto  attribuire  esclusivo
rilievo a profili di  carattere  oggettivo,  sulla  scorta  del  mero
titolo di reato giudicato, in ragione della pericolosita'  di  quanti
ne siano stati ritenuti responsabili, a prescindere  dalle  decisioni
in  concreto  assunte  in  tema  di   trattamento   punitivo   e   di
bilanciamento tra circostanze (in questo senso anche l'ordinanza n. 3
del  2018  di  questa  Corte,  con  riferimento  ad  alcuni   delitti
ricompresi nell'art. 4-bis, comma 1-quater, ordin. penit.). 
    Del resto, nessuna attenuante e', di per se' stessa, suscettibile
di assumere rilievo ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari per
i condannati per i reati contemplati dall'art. 4-bis, comma 1, ordin.
penit., fatta eccezione per quelle previste dagli  artt.  62,  numero
6), 114 e 116, secondo comma, cod. pen.: ma si tratta  di  attenuanti
che rilevano a tal fine solo ed esclusivamente  in  presenza  di  una
prospettata  collaborazione  con   la   giustizia   che   si   riveli
«oggettivamente irrilevante»  (comma  1-bis  dell'art.  4-bis  ordin.
penit.). 
    4.-  Infine,  dev'essere  sottolineato,  insieme   all'Avvocatura
generale dello Stato, che nell'elenco di cui  all'art.  4-bis  ordin.
penit. figurano, ab  origine,  i  reati  commessi  con  finalita'  di
terrorismo, tra cui il reato previsto  dall'art.  289-bis  cod.  pen.
(Sequestro  di  persona  a  scopo  di  terrorismo  o  di  eversione),
fattispecie  la  cui  invocazione  quale  tertium  comparationis   ha
determinato, con la sentenza n. 68  del  2012  di  questa  Corte,  la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  630  cod.
pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata e'
diminuita quando il fatto risulta di lieve entita'. 
    In effetti, il reato di sequestro a  scopo  di  terrorismo  e  di
eversione - introdotto dal decreto-legge 21 marzo 1978 n.  59  (Norme
penali e processuali per la prevenzione e  la  repressione  di  gravi
reati) convertito con modificazioni nella legge 18 maggio 1978  n.191
-  "nasce"  comprensivo  dell'attenuante  di  lieve  entita'  di  cui
all'art. 311 cod. pen., riferita specificamente ai delitti contro  la
personalita' dello Stato, per consentire al  giudice  di  rendere  le
pertinenti previsioni sanzionatorie, tutte di  eccezionale  asprezza,
adeguate e proporzionate al reato commesso nel caso concreto. Ebbene,
se l'espressa e contestuale previsione dell'art.  311  cod.  pen.  in
riferimento al sequestro a scopo di terrorismo  o  eversione  non  ha
impedito l'inserimento del reato nell'elenco di  cui  all'art.  4-bis
ordin. penit., non si vede perche', ora, l'estensione dell'attenuante
della lieve entita' all'"omologo" reato  di  cui  all'art.  630  cod.
pen., conseguente alla sentenza n. 68 del 2012, dovrebbe  comportare,
per necessita' costituzionale,  l'espunzione  della  fattispecie  del
sequestro estorsivo, in tale specifico caso, dal medesimo elenco.