ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  38,  commi
1-terdecies, 2-bis e 2-ter del decreto-legge 30 aprile  2019,  n.  34
(Misure urgenti  di  crescita  economica  e  per  la  risoluzione  di
specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella
legge 28 giugno 2019, n. 58, promosso dalla Corte dei conti,  sezione
regionale di controllo per la Calabria, nel procedimento relativo  al
Comune di Reggio Calabria, con ordinanza del 26 agosto 2019, iscritta
al n. 211 del registro ordinanze 2019  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 48,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice relatore Aldo Carosi nella camera  di  consiglio
del 6 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della
Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 19 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 agosto 2019, la Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per la Calabria,  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis  e
2-ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n.  34  (Misure  urgenti  di
crescita economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di
crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n.
58. 
    Il citato art. 38, comma 1-terdecies, sostituisce la  tabella  di
cui al comma 5-bis  dell'art.  243-bis  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali), con la seguente: «Rapporto passivita'/impegni di cui al
titolo I - Durata  massima  del  piano  di  riequilibrio  finanziario
pluriennale 
    Fino al 20 per cento - 4 anni 
    Superiore al 20 per cento e fino al 60 per cento - 10 anni 
    Superiore al 60 per cento e fino al 100 per cento  per  i  comuni
fino a 60.000 abitanti - 15 anni 
    Oltre il 60 per cento per i comuni con  popolazione  superiore  a
60.000 abitanti e oltre il 100 per cento per tutti gli altri comuni -
20 anni». 
    Le ulteriori disposizioni  censurate  stabiliscono:  «2-bis.  Gli
enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione  del
piano di riequilibrio ai sensi  dell'articolo  1,  comma  714,  della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di
deposito della sentenza della Corte costituzionale n.  18  del  2019,
anche se non ancora  approvato  dalla  competente  sezione  regionale
della Corte dei conti ovvero  inciso  da  provvedimenti  conformativi
alla predetta sentenza della sezione  regionale  competente,  possono
riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente  secondo  la
procedura dell'articolo 1, commi 888 e 889, della legge  27  dicembre
2017, n. 205. 2-ter. La riproposizione di cui  al  comma  2-bis  deve
contenere il ricalcolo complessivo del  disavanzo  gia'  oggetto  del
piano  modificato,  nel  rispetto  della  disciplina  vigente,  ferma
restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi». 
    1.1.-  Il  rimettente  riferisce  che,  con  deliberazione  della
Commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, il  Comune  di
Reggio Calabria aveva fatto ricorso alla  procedura  di  riequilibrio
finanziario pluriennale (PRFP) prevista per gli enti  in  predissesto
dall'art. 243-bis del  d.lgs.  n.  267  del  2000,  poi  integrata  e
rimodulata, con successiva deliberazione 15 luglio 2013, n.  142,  in
virtu' dell'art. 1, comma 15, del decreto-legge 8 aprile 2013, n.  35
(Disposizioni urgenti per  il  pagamento  dei  debiti  scaduti  della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli  enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n.
64. 
    Il piano di riequilibrio afferente alla citata  procedura  -  che
prevedeva che il disavanzo derivante  dalla  revisione  straordinaria
dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera e), del d.lgs.  n.  267
del 2000 venisse ripianato in dieci anni - era stato approvato  dalla
Corte dei  conti,  sezioni  riunite  in  speciale  composizione,  con
sentenza 17 luglio 2014, n. 26/2014/EL, a  seguito  dell'impugnativa,
ex art. 243-quater, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, del  diniego
opposto dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per  la
Regione Calabria, con delibera 30 gennaio 2014, n. 11. 
    Successivamente, il Comune di Reggio Calabria, con  deliberazione
del Consiglio comunale 29 giugno 2016, n.  42,  aveva  proceduto,  ai
sensi dell'originaria stesura dell'art. 1, comma 714, della legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», alla rimodulazione del predetto piano,  che,  pero'  non  era
approvata ne' dalla sezione regionale di  controllo  per  la  Regione
Calabria della Corte dei conti, ne' dalle sezioni riunite in speciale
composizione. 
    Quindi, in virtu' della modifica del predetto art. 1, comma  714,
della legge n. 208 del 2015 ad opera dell'art. 1,  comma  434,  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019),  il  Comune   di   Reggio   Calabria   aveva   presentato
un'ulteriore rimodulazione del  piano  di  riequilibrio,  avvalendosi
della facolta' di ripiano trentennale del disavanzo risultante  dalla
revisione straordinaria dei residui  effettuata  ai  sensi  dell'art.
243-bis, comma 8, lettera e), del  d.lgs.  n.  267  del  2000.  Detta
rimodulazione  veniva  approvata  dalla  Corte  dei  conti,   sezione
regionale di controllo per  la  Regione  Calabria,  con  delibera  26
settembre 2017, n. 86. 
    L'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito
dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, e'  stato  pero'
dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza  n.  18  del
2019 di questa Corte. 
    Conseguentemente,  la  Corte  dei  conti,  sezione  regionale  di
controllo per la Regione Calabria, con delibera 6 marzo 2019, n.  31,
ha ritenuto il piano adottato sulla base di detta disposizione  privo
di supporto normativo e pertanto inefficace,  mentre  sarebbe  dovuta
ritenersi efficace la procedura di riequilibrio precedente. 
    E' quindi intervenuto l'art. 38, comma 2-bis, del d.l. n. 34  del
2019, come convertito,  che  consente  agli  enti  locali  che  hanno
proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di  riequilibrio
ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del  2015,  entro
la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza  della  Corte
costituzionale n. 18 del 2019, anche se non  ancora  approvato  dalla
competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero  inciso  da
provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  sezione
regionale competente, di  riproporre  il  piano  per  adeguarlo  alla
normativa vigente, secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889,
della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2018  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2018-2020). 
    Avvalendosi  della  facolta'  di  rimodulazione  prevista   dalla
menzionata  disposizione,  il  Comune   di   Reggio   Calabria,   con
deliberazione del Consiglio  comunale  30  luglio  2019,  n.  37,  ha
riproposto  il  piano  di   riequilibrio   finanziario   pluriennale,
modificandone la durata, giacche' ha previsto una dilazione temporale
del recupero del disavanzo incluso nel piano  in  un  termine  doppio
(ventennale anziche' decennale) rispetto a quello originario. Piu' in
particolare, il  piano  riproposto  prevede  che  il  disavanzo  gia'
oggetto della procedura di riequilibrio venga recuperato in ulteriori
quattordici quote annue che si sommano alle sei annualita' del  piano
gia' decorso, e, quindi, in venti anni complessivi. 
    1.2.- Dopo aver premesso di essere  investito  della  valutazione
della modifica del piano di riequilibrio finanziario pluriennale  del
Comune di Reggio Calabria ai sensi dell'art.  38,  comma  2-bis,  del
d.l. n. 34 del 2019, come convertito, e aver sinteticamente descritto
la  procedura  di  riequilibrio,  il  rimettente  assume  di   essere
legittimato a sollevare  l'incidente  di  costituzionalita'  in  tale
sede, secondo quanto  riconosciuto  da  questa  Corte  nelle  recenti
sentenze n. 105 e n. 18 del 2019, nell'ambito del controllo sul detto
piano,  assimilato,  a  questi  fini,  al  controllo  preventivo   di
legittimita' e a  quello  di  parificazione  dei  bilanci  statali  e
regionali. 
    Inoltre, le questioni sollevate sarebbero rilevanti in quanto  il
rimettente e' chiamato a  pronunciarsi  sulle  rimodulazioni  di  cui
all'art.  38,  commi  2-bis  e  2-ter,  del  d.l.  n.  34  del  2019,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019,  ai  sensi
del successivo comma 2-quater - in base al quale dette  rimodulazioni
sono oggetto di approvazione o di diniego  della  competente  sezione
regionale della Corte dei conti - nonche', in  caso  di  approvazione
della riscrittura, a esprimere ulteriori giudizi  sul  raggiungimento
degli  «obiettivi  intermedi».  Sarebbe  quindi  indispensabile  fare
applicazione  delle  norme  censurate,   delle   quali,   alla   luce
dell'inequivoco   dato   testuale,   il   rimettente    esclude    la
praticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    1.3.- Secondo il giudice rimettente, il  combinato  disposto  dei
commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, dell'art. 38 del  d.l.  n.  34  del
2019, convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  58  del  2019,
nella parte in cui consentirebbe agli  enti  locali  che  si  fossero
avvalsi della facolta' loro concessa dall'art. 1,  comma  714,  della
legge n. 208 del 2015 (come modificato dall'art. 1, comma 434,  della
legge n. 232 del  2016),  di  riproporre  il  piano  di  riequilibrio
finanziario pluriennale gia' approvato, estendendolo a  un  orizzonte
ultradecennale, sarebbe innanzitutto in contrasto  con  il  principio
dell'equilibrio  di  bilancio,  nelle  declinazioni   dell'equilibrio
dinamico e intergenerazionale, di cui agli artt. 81, 97, primo comma,
117, primo comma, Cost. - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, all'art. 3 del  Trattato  sull'Unione  europea  (TUE),
firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992,  entrato  in  vigore  il  1°
novembre 1993 -  e  119,  sesto  comma,  Cost.,  anche  in  combinato
disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost. 
    Cio' in quanto «la pianificazione di risanamento,  contenuta  nel
piano  medesimo,  continu[erebbe]  pero'  ad  essere  incentrata   su
proiezioni di entrata e di spesa, di durata  decennale,  dal  momento
che l'art. 38, ai commi 2-bis e 2-ter, non impone, ne' consente,  una
revisione di tale pianificazione nel suo complesso». Anche  il  piano
di  smaltimento  dei  debiti  commerciali,  secondo  quanto  previsto
dall'art. 1, comma 889, della legge n. 205 del 2017, in base al quale
la  rimodulazione  del  piano  di  riequilibrio  avverrebbe  «[f]ermi
restando i tempi di pagamento dei creditori», continuerebbe ad  avere
una durata decennale, incongruente  con  l'allungamento  della  nuova
pianificazione. 
    In  tal  modo,  il  complesso  delle   disposizioni   in   esame,
«prevedendo la variazione non dell'intero percorso di risanamento  ma
della sola "spalmatura" nel tempo  del  disavanzo  originario,  [...]
rende[rebbe] praticamente impossibile alla sezione  di  controllo  la
verifica della congruita' della  pianificazione  nonche'  del  futuro
rispetto degli "obiettivi intermedi" e  di  quelli  "finali"  di  cui
all'art. 243-quater, comma 6, T.U.E.L.». 
    Il  giudice  rimettente  ritiene,  altresi',  che  il   combinato
disposto dei commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter dell'art. 38 censurato,
consentendo di ripianare uno squilibrio di origine  risalente  in  un
periodo  doppio   rispetto   a   quello   inizialmente   prospettato,
provocherebbe  il  «ribaltamento  su  generazioni  future  di  debiti
risalenti nel tempo, oltre alla liberazione  di  risorse  (in  virtu'
dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo  da  recuperare)
che,  lungi  dall'essere   destinate   al   risanamento   finanziario
dell'ente, [potrebbero  essere]  impiegate  per  espandere  la  spesa
futura».  Tale  procedura  costituirebbe  una  lesione   dell'equita'
intergenerazionale, determinando la traslazione del debito  pregresso
da una generazione all'altra, senza che vi sia una correlata utilita'
per il sacrificio sopportato. 
    Cio'  provocherebbe,  inoltre,  ad  avviso  del  rimettente,  una
deresponsabilizzazione  dei  rappresentanti  eletti  dalla  comunita'
locale, in quanto si  avrebbe  uno  spostamento,  «sulle  generazioni
future, del peso di gestioni finanziarie passate». Tale «scenario  di
riequilibrio ventennale min[erebbe] alla  radice  uno  degli  aspetti
piu' pregnanti della legalita' finanziaria [nel sistema  fondato]  su
una democrazia rappresentativa,  ossia  la  funzionalizzazione  delle
procedure finanziarie al  vincolo  di  mandato  degli  amministratori
verso la comunita' che rappresentano». 
    Le disposizioni in esame sarebbero altresi' in contrasto  con  il
principio  dell'equilibrio  di  bilancio  -   che   trova   copertura
costituzionale,  nelle  declinazioni   dell'equilibrio   dinamico   e
intergenerazionale, negli artt. 81, 97, primo  comma,  e  117,  primo
comma, Cost., in relazione al Preambolo alla CDFUE e all'art. 3 TUE -
nonche' con l'art. 119, sesto comma,  Cost.,  quest'ultimo  anche  in
combinato  disposto  con  gli  artt.  1,  2  e  3  Cost.,  in  quanto
estenderebbero la durata  del  suddetto  piano  di  riequilibrio,  in
origine decennale, a un  orizzonte  ultradecennale  (ventennale,  nel
caso specifico). 
    Il rimettente dubita, inoltre, della legittimita'  costituzionale
dell'art. 38, comma 2-bis, del d.l. n. 34 del 2019, come  convertito,
per contrasto con gli artt. 3, 24, 70, 100, 102,  primo  comma,  103,
104, primo comma, 111 e 113 Cost., in quanto troverebbe  applicazione
in  fattispecie  in  cui  e'  consentito  riproporre  un   piano   di
riequilibrio gia' oggetto di pronuncia della Corte dei conti  che  ha
assunto giuridica stabilita', e sarebbe dunque lesivo  del  principio
di ragionevolezza e certezza del diritto,  riconducibile  all'art.  3
Cost., del principio di separazione dei poteri  -  ravvisabile  nella
lettura congiunta degli artt. 70, 102,  primo  comma,  e  104,  primo
comma,  Cost.  -  del  principio   di   effettivita'   della   tutela
giurisdizionale (art. 24 Cost.)  e  del  giusto  processo  (art.  111
Cost.). 
    Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 3, 24,  111  e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all'art.  1
del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi  il  20  marzo
1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4  agosto  1955,
n. 848, dal momento che la prevista facolta'  di  riproposizione  del
piano di riequilibrio, inserita in un contesto di instabilita'  della
disciplina legislativa del ripiano, estremamente mutevole nel  tempo,
determinerebbe una situazione di incertezza giuridica e  di  mancanza
di  affidamento  in  grado  di  pregiudicare  sia  le   ragioni   dei
consociati, ai quali deve  essere  assicurata  la  piena  trasparenza
contabile,  sia  la  realizzazione  del  diritto  dei  creditori   di
conoscere i tempi di soddisfazione del proprio  credito  al  fine  di
poter programmare le loro attivita' economiche. Cio'  in  quanto,  in
particolare, si tratterebbe di norma-provvedimento idonea a  incidere
su pochi e determinati comuni. 
    Infine, i commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter dell'art. 38 del  d.l.
n. 34 del 2019, come convertito, violerebbero anche l'art. 77  Cost.,
in quanto le norme da essi recate, introdotte in sede di conversione,
sarebbero disomogenee rispetto al contenuto  del  decreto-legge,  che
intendeva disciplinare «la  crescita  economica»  ovvero  «specifiche
situazioni di crisi», e non presenterebbero i caratteri dell'urgenza. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha concluso nel  senso  della  non  fondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate. 
    In  ordine  alla  dedotta  violazione  dell'art.  77  Cost.,  per
mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza,  ha  richiamato  la
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale  il  sindacato  sulla
legittimita' dell'adozione, da parte del Governo, di un  decretolegge
deve  essere  limitato  ai  casi  di  «evidente  mancanza»  di  detti
presupposti, di «manifesta irragionevolezza» o  «arbitrarieta'  della
relativa valutazione». 
    Nel caso di specie, si tratterebbe di un provvedimento  d'urgenza
ab origine a contenuto plurimo,  con  disposizioni  di  varia  natura
riconducibili alle due finalita' indicate dal preambolo del  d.l.  n.
34 del 2019,  come  convertito:  stabilire  misure  per  la  crescita
economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi.  In
questo  contesto,  le  disposizioni  censurate  sarebbero   volte   a
uniformare la normativa sulla procedura di prevenzione  del  dissesto
degli enti locali alla necessita', evidenziata nella sentenza  n.  18
del 2019, che la stessa, per essere legittima, sia supportata  da  un
piano di rientro strutturale di breve periodo.  Al  contempo,  si  e'
inteso evitare  gli  effetti  pregiudizievoli,  anche  in  ordine  al
rischio dell'erogazione dei servizi essenziali, della  necessita'  di
ripianare  la  quota  di   disavanzo   risultante   dalla   revisione
straordinaria  dei  residui  richiesta  dall'art.  243-bis  comma  8,
lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000,  in  un  periodo  massimo  di
dieci anni. 
    Quanto agli ulteriori parametri, il Presidente del Consiglio  dei
ministri evidenzia che il legislatore, nel  disciplinare  la  materia
dei piani di riequilibrio a seguito della sentenza n.  18  del  2019,
avrebbe  tenuto   conto   delle   caratteristiche   dell'istituto   e
dell'affidamento degli enti che avevano impostato  la  programmazione
finanziaria  e  adottato  i  documenti  contabili,  confidando  nella
legittimita' della norma caducata. 
    La rideterminazione  del  disavanzo  da  ripianare  risulterebbe,
infatti, dalla sommatoria dei valori corrispondenti al  disavanzo  da
revisione straordinaria dei residui, ai sensi dell'art. 243, comma 8,
lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000, e al  maggiore  disavanzo  da
riaccertamento dei residui ai sensi dell'art. 3, comma 7, lettere  da
a)  ad  e),  del  decreto  legislativo  23  giugno   2011,   n.   118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42). 
    In quest'ottica,  le  disposizioni  censurate  si  connoterebbero
quale sistema di norme sostanziali, procedurali  e  processuali  che,
nel rispetto dell'art. 81  Cost.,  sarebbero  volte  a  escludere  un
indebito allargamento della spesa degli enti  locali  dando  evidenza
contabile e rilevanza giuridica ad alcune diacronie intercorrenti tra
la realizzazione delle entrate e l'erogazione delle spese. 
    In definitiva, secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato,  alla
luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata  delle  norme
censurate, il disavanzo ulteriore dovrebbe essere inteso non come  un
mero raffronto numerico tra  componenti  contabili,  bensi'  come  un
documento analiticamente corredato dall'elenco  delle  singole  poste
interessate, dalle relative ragioni giuridiche e dalla scadenza delle
singole obbligazioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza in  epigrafe  la  Corte  dei  conti,  sezione
regionale di controllo per la Calabria,  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis  e
2-ter del decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34  (Misure  urgenti  di
crescita economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di
crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n.
58, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, 117, primo  comma,
e  119,  sesto  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  anche  in
combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost. 
    Le norme censurate disciplinano la riformulazione  del  piano  di
riequilibrio degli enti locali che stavano applicando l'art. 1, comma
714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2016)», come modificato dalla legge 11  dicembre  2016,
n. 232 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2017  e  bilancio  pluriennale  per  il  triennio  2017-2019),  nella
versione dichiarata illegittima con la sentenza di questa Corte n. 18
del 2019. 
    Secondo la Sezione rimettente il  combinato  disposto  dei  commi
1-terdecies, 2-bis e 2-ter, dell'art. 38 del d.l.  n.  34  del  2019,
convertito, con modificazioni, nella legge  n.  58  del  2019,  nella
parte in cui consentirebbe agli enti locali che  si  fossero  avvalsi
della facolta' loro concessa dall'art. 1, comma 714, della  legge  n.
208 del 2015, di riproporre  il  piano  di  riequilibrio  finanziario
pluriennale  (PRFP)  gia'  approvato,  estendendolo  a  un  orizzonte
ultradecennale, sarebbe in contrasto con il principio dell'equilibrio
di  bilancio,   nelle   declinazioni   dell'equilibrio   dinamico   e
intergenerazionale, di cui agli artt. 81, 97, primo comma, 117, primo
comma, e 119, sesto comma, Cost. anche in combinato disposto con  gli
articoli 1, 2 e 3 Cost. 
    Cio' in quanto «la pianificazione del risanamento, contenuta  nel
piano  medesimo,  continu[erebbe]  pero'  ad  essere  incentrata   su
proiezioni di entrata e di spesa, di durata  decennale,  dal  momento
che l'art. 38, ai commi 2-bis e 2-ter, non impone, ne' consente,  una
revisione di tale pianificazione nel suo complesso». Anche  il  piano
di  smaltimento  dei  debiti  commerciali,  secondo  quanto  previsto
dall'art. 1,  comma  889,  della  legge  27  dicembre  2017,  n.  205
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in base al quale  la
rimodulazione o riformulazione del piano di  riequilibrio  avverrebbe
«[f]ermi restando i tempi di pagamento dei creditori»,  continuerebbe
ad avere una durata decennale, incongruente con l'allungamento  della
nuova pianificazione. 
    In  tal  modo,  il  complesso  delle   disposizioni   in   esame,
«prevedendo la variazione non dell'intero percorso di risanamento  ma
della sola "spalmatura" nel tempo  del  disavanzo  originario,  [...]
rende[rebbe] praticamente impossibile alla Sezione  di  controllo  la
verifica della congruita' della  pianificazione  nonche'  del  futuro
rispetto degli "obiettivi intermedi" e  di  quelli  "finali"  di  cui
all'art. 243-quater, comma 6, T.U.E.L.». 
    Il  giudice  rimettente  ritiene,  altresi',  che  il   combinato
disposto  dei  commi  1-terdecies,  2-bis  e   2-ter   dell'art.   38
provocherebbe  il  «ribaltamento  su  generazioni  future  di  debiti
risalenti nel tempo, oltre alla liberazione  di  risorse  (in  virtu'
dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo  da  recuperare)
che,  lungi  dall'essere   destinate   al   risanamento   finanziario
dell'ente, [sarebbero] impiegate per espandere la spesa futura». Tale
procedura costituirebbe una lesione dell'equita'  intergenerazionale,
determinando la traslazione del debito pregresso da  una  generazione
all'altra senza che vi sia una correlata utilita' per  il  sacrificio
sopportato. 
    Cio' provocherebbe, inoltre, ad avviso del  Collegio  rimettente,
una deresponsabilizzazione dei rappresentanti eletti dalla  comunita'
locale, in quanto si  avrebbe  uno  «spostamento,  sulle  generazioni
future, del peso di gestioni finanziarie passate». Tale «scenario  di
riequilibrio ventennale min[erebbe] alla  radice  uno  degli  aspetti
piu' pregnanti della legalita' finanziaria [nel sistema  fondato]  su
una democrazia rappresentativa,  ossia  la  funzionalizzazione  delle
procedure finanziarie al  vincolo  di  mandato  degli  amministratori
verso la comunita' che rappresentano». 
    Le disposizioni in esame sarebbero altresi' in contrasto  con  il
principio   dell'equilibrio   di   bilancio   che   trova   copertura
costituzionale,  nelle  declinazioni   dell'equilibrio   dinamico   e
intergenerazionale, negli stessi artt.  81,  97,  primo  comma,  117,
primo comma, - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il  12  dicembre  2007,  e
all'art.  3  del  Trattato  sull'Unione  europea  (TUE),  firmato   a
Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre  1993
- e 119, sesto comma, anche in combinato disposto con gli artt. 1,  2
e 3 Cost., in quanto estenderebbe la durata  del  suddetto  piano  di
riequilibrio finanziario pluriennale, in  origine  decennale,  ad  un
orizzonte ultradecennale (ventennale nel caso specifico). 
    Il rimettente dubita inoltre  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 38,  comma  2-bis,  del  medesimo  d.l.  n.  34  del  2019,
convertito, con modificazioni,  nella  legge  n.  58  del  2019,  per
contrasto con gli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma,  103,  104,
primo comma, 111 e 113 Cost., in quanto - applicandosi a  fattispecie
in cui e' consentito riproporre il piano di riequilibrio gia' oggetto
di pronuncia della Corte dei  conti,  che  avrebbe  quindi  raggiunto
giuridica stabilita' -  lederebbe  i  principi  di  ragionevolezza  e
certezza del diritto (art. 3 Cost.),  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale (art. 24 Cost.), del giusto processo (art. 111 Cost.)
e della separazione dei poteri (artt.  70,  102,  primo  comma,  104,
primo comma, Cost.). Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 3, 24, 111
e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4  novembre  1950,  e
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi  il
20 marzo 1952, entrambi ratificati  e  resi  esecutivi  con  legge  4
agosto 1955,  n.  848,  dal  momento  che  la  prevista  facolta'  di
riproposizione del piano di riequilibrio, inserita in un contesto  di
instabilita' della disciplina legislativa del  ripiano,  estremamente
mutevole nel  tempo,  determinerebbe  una  situazione  di  incertezza
giuridica e di mancanza di affidamento in grado di  pregiudicare  sia
le ragioni dei consociati, ai quali deve essere assicurata  la  piena
trasparenza contabile, sia la realizzazione del diritto dei creditori
di conoscere i tempi di soddisfazione del proprio credito al fine  di
poter programmare le loro attivita' economiche. Cio'  in  quanto,  in
particolare, si tratterebbe di norma-provvedimento idonea a  incidere
su pochi e determinati Comuni. 
    Le disposizioni censurate sarebbero,  infine,  in  contrasto  con
l'art. 77 Cost.,  in  quanto,  introdotte  in  sede  di  conversione,
risulterebbero disomogenee rispetto al  contenuto  del  decreto-legge
che intendeva disciplinare «la crescita economica» ovvero «specifiche
situazioni di crisi» e non presenterebbero i caratteri dell'urgenza. 
    1.1.- Intervenuto in giudizio, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha concluso nel senso della non fondatezza delle questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate. 
    In  ordine  alla  dedotta  violazione  dell'art.  77  Cost.,  per
mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza,  ha  richiamato  la
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il  sindacato  sulla
legittimita' dell'adozione, da parte del Governo, di un  decretolegge
deve  essere  limitato  ai  casi  di  «evidente  mancanza»  di  detti
presupposti o di «manifesta irragionevolezza» o «arbitrarieta'  della
relativa valutazione». 
    Nel caso di specie, si tratterebbe di un provvedimento  d'urgenza
con disposizioni di varia natura, riconducibili  alle  due  finalita'
indicate  dal  suo  preambolo:  stabilire  misure  per  la   crescita
economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi.  In
questo  contesto,  le  disposizioni  censurate  sarebbero   volte   a
uniformare la normativa sulla procedura di prevenzione  del  dissesto
degli enti locali all'esigenza, evidenziata nella sentenza di  questa
Corte n. 18 del 2019,  che  la  stessa,  per  essere  legittima,  sia
supportata da un piano di rientro strutturale di  breve  periodo.  Al
contempo, si e' inteso evitare gli effetti pregiudizievoli, anche  in
ordine al  rischio  dell'erogazione  dei  servizi  essenziali,  della
necessita' di  ripianare  la  quota  di  disavanzo  risultante  dalla
revisione straordinaria dei  residui,  richiesta  dall'art.  243-bis,
comma 8, lettera e), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267,
recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti  locali»
(di seguito anche TUEL), in un periodo massimo di dieci anni. 
    Quanto  all'asserita  lesione  degli  ulteriori   parametri,   il
Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che  il  legislatore,
nel disciplinare la materia dei piani di riequilibrio a seguito della
citata  sentenza  n.  18  del  2019,  avrebbe  tenuto   conto   delle
caratteristiche  dell'istituto  e  dell'affidamento  degli  enti  che
avevano  impostato  la  programmazione  finanziaria  e   adottato   i
documenti  contabili,  confidando  nella  legittimita'  della   norma
caducata. 
    2.- Anzitutto, giova ribadire  la  legittimazione  delle  sezioni
regionali  della  Corte  dei   conti   a   sollevare   incidente   di
costituzionalita' in sede di controllo di legittimità-regolarita' sui
bilanci degli enti locali  (sentenze  n.  105  e  n.  18  del  2019),
assimilato, a questi fini, alla  parifica  dei  rendiconti  regionali
(sentenza n. 49 del 2018). 
    3.-  In  punto  di  rilevanza,  le   questioni   sollevate   sono
ammissibili in considerazione della necessita' di applicare le  norme
sospettate  d'illegittimita'  per  monitorare,  valutare  e  assumere
decisioni in  ordine  alle  modalita'  di  attuazione  del  piano  di
riequilibrio, operazione che deve essere effettuata dalla  Corte  dei
conti con cadenza semestrale, in quanto indefettibile per controllare
l'andamento della procedura di predissesto. 
    4.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,
commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, sollevate in riferimento agli artt.
3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111,  113  e
117, primo comma - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla CDFUE,
all'art.  3  TUE,  all'art.  6  CEDU  e  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale alla CEDU - nonche'  al  «combinato  disposto»  dell'art.
119, sesto comma, con gli artt. 1, 2 e 3, Cost.,  sono  inammissibili
per grave carenza del percorso argomentativo. 
    Il giudice a quo evoca difatti cumulativamente una pluralita'  di
parametri, alcuni dei  quali  interposti,  e  di  principi  di  ampio
respiro, e cio' anche in riferimento a norme  che  hanno  un  diverso
contenuto precettivo. In tal modo, egli non motiva  adeguatamente  in
ordine al contrasto tra i primi e le seconde. 
    In particolare, il rimettente non specifica quali dei  differenti
precetti espressi dai parametri evocati, che sono richiamati  in  una
generica  deduzione  d'insieme  e  che  non   vengono   adeguatamente
esaminati,  sarebbero  stati  in  concreto  lesi  dalle  disposizioni
censurate: specificazione che sarebbe stata tanto piu' necessaria  in
considerazione della evidenziata eterogeneita' delle norme da  queste
ultime poste. 
    Ne' il giudice a quo, pur avendo  affermato  che  si  sarebbe  al
cospetto di una legge-provvedimento, da' conto delle ragioni per  cui
le disposizioni censurate sarebbero ascrivibili a questa  particolare
categoria  di  norme,  avuto  particolare   riguardo   al   requisito
dell'incidenza su un numero limitato di  destinatari:  incidenza  che
egli afferma in maniera meramente assertiva, non avendo fornito alcun
elemento concreto utile a darne riscontro. 
    In conclusione, deve ritenersi che il giudice  a  quo  non  abbia
assolto l'onere di motivazione su di esso incombente in  ordine  alla
non  manifesta  infondatezza  del   dubbio   di   incostituzionalita'
prospettato in riferimento  ai  suddetti  parametri,  alla  luce  del
consolidato orientamento di  questa  Corte  secondo  cui  «non  basta
l'indicazione  delle   norme   da   raffrontare   per   valutare   la
compatibilita' dell'una rispetto al contenuto precettivo  dell'altra,
ma e' necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del
caso,  illustrare  i  passaggi  interpretativi  operati  al  fine  di
enucleare  i  rispettivi  contenuti  di  normazione»  (ex   plurimis,
sentenza n. 212 del 2018). 
    5.- Nel  merito,  e'  pregiudiziale  la  questione  sollevata  in
riferimento all'art. 77  Cost.,  configurandosi  come  potenzialmente
assorbente in caso di eventuale accoglimento (ex multis, sentenze  n.
288 e n. 247 del 2019). 
    5.1.- La questione non e'  fondata.  Il  rimettente  denuncia  il
difetto di omogeneita' delle norme censurate, introdotte in  sede  di
conversione, rispetto a quelle originariamente contenute nel d.l.  n.
34 del 2019. 
    In disparte l'assertivita' di tale  rilievo,  non  specificamente
motivato, si osserva che il  d.l.  in  esame  e'  intitolato  «Misure
urgenti di crescita economica e  per  la  risoluzione  di  specifiche
situazioni di crisi» e che l'articolo in cui si inseriscono  i  commi
censurati e' rubricato «Debiti enti locali». 
    In  generale,  la  giurisprudenza  costituzionale  esige  che  la
disposizione introdotta in sede di conversione non sia palesemente  o
totalmente estranea, o addirittura "intrusa", rispetto a contenuti  e
finalita' del decreto-legge in cui viene inserita (ex multis sentenze
n. 247, n. 226 e n. 181 del 2019).  Con  particolare  riferimento  ai
decreti-legge a contenuto  eterogeneo  ab  origine  quale  quello  in
esame,  occorre  inoltre  considerare   specificamente   il   profilo
teleologico, ossia il rispetto della ratio che li ispira (sentenza n.
154 del 2015), per cui «la verifica di compatibilita' con l'art.  77,
secondo comma, Cost. delle disposizioni introdotte dal Parlamento, in
sede  di  conversione  di  un  decreto-legge,  impone  di   procedere
all'individuazione,  da  un  lato,  della  ratio  del   provvedimento
governativo, e, dall'altro lato,  del  contenuto  delle  disposizioni
aggiunte, per poi raffrontarli» (ordinanza n. 34 del 2013). 
    Applicando i principi illustrati alla fattispecie  in  esame  non
v'e' dubbio  che  il  nesso  teleologico  sussista.  Nel  parere  del
Comitato per la legislazione si legge che il decreto-legge  «contiene
disposizioni di varia natura che appaiono ricondotte ad  una  cornice
unitaria dalle  due  finalita',  invero  assai  ampie,  indicate  dal
preambolo: stabilire misure per la  crescita  economica  e  prevedere
misure per la risoluzione  di  specifiche  situazioni  di  crisi;  il
decreto-legge  appare  cosi'   riconducibile   alla   categoria   dei
"provvedimenti  governativi  ab  origine  a  contenuto  plurimo",  da
ritenere, ciononostante, secondo la Corte costituzionale (sentenza n.
244 del 2016), rispondenti al requisito dell'omogeneita'  allorquando
"le molteplici disposizioni che li compongono,  ancorche'  eterogenee
dal punto di vista materiale, presentano una sostanziale  omogeneita'
di scopo"». Dai lavori preparatori (Camera dei deputati,  Commissioni
riunite V e VI, seduta 21 maggio 2019)  emerge  che,  ai  fini  della
valutazione  di  ammissibilita'   delle   proposte   emendative,   in
considerazione degli  ampi  contenuti  del  decreto-legge,  e'  stato
adottato  «un  criterio  di  ordine   finalistico,   attribuendo   un
particolare rilievo alla coerenza delle  finalita'  perseguite  dalle
proposte emendative con le principali  finalita'  del  provvedimento,
quali risultanti dal titolo  e  dai  Capi  in  cui  e'  suddiviso  il
medesimo provvedimento, vale a dire: misure fiscali per  la  crescita
economica, rilancio degli investimenti privati, tutela  del  made  in
Italy, nonche' risoluzione di specifiche  situazioni  di  crisi».  In
particolare, per quanto concerne  l'emendamento  in  esame,  esso  e'
stato dichiarato ammissibile in  quanto  connesso  a  quelli  recanti
misure in favore degli enti locali, ivi comprese  quelle  volte  alla
riduzione del debito dei predetti enti. 
    Alla  luce  di  tali  considerazioni,  le  norme  non   risultano
"intruse" rispetto alle finalita' del decreto-legge in cui sono state
inserite. 
    6.- Prima di passare all'esame delle  altre  censure  di  merito,
occorre chiarire un equivoco in  cui  incorre  l'Avvocatura  generale
dello Stato, in qualche  modo  condizionata  da  alcune  proposizioni
contenute  nell'ordinanza   di   rimessione,   della   cui   parziale
inesattezza si dira'  in  prosieguo.  Detto  equivoco  risiede  nella
convinzione che  questa  Corte  abbia  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo l'art. 1, comma 714, della legge n. 208  del  2015,  come
sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del  2016,  con
riguardo all'intrinseca durata del  piano  di  riequilibrio  prevista
nell'arco temporale di trent'anni. 
    Per quanto appresso piu' analiticamente argomentato, questa Corte
non ha colpito la misura temporale  del  piano  in  se'  considerata,
bensi' i meccanismi contabili previsti  dalla  disposizione  viziata.
Infatti, con la suddetta pronuncia e' stato  accertato  il  contrasto
con gli «artt. 81 e 97, primo comma,  Cost.,  sia  sotto  il  profilo
della lesione dell'equilibrio e della sana gestione  finanziaria  del
bilancio, sia per  contrasto  con  gli  interdipendenti  principi  di
copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio
del mandato elettivo» (sentenza n. 18 del 2019). 
    Veniva in quel contesto precisato che il piano di riequilibrio e'
ontologicamente finalizzato alla continua ricerca di  una  stabilita'
economica di  media  e  lunga  durata,  nell'ambito  della  quale  la
responsabilita' politica del mandato elettorale si esercita, non solo
attraverso il rendiconto del realizzato, ma  anche  in  relazione  al
consumo   delle    risorse    impiegate.    La    norma    dichiarata
costituzionalmente illegittima si  discostava  radicalmente  da  tali
parametri, consentendo di destinare, per un  trentennio,  in  ciascun
esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme
vincolate al rientro dal disavanzo. 
    Era quindi nell'utilizzazione "sviata" delle somme  destinate  al
rientro il vulnus ai precetti costituzionali e non nella  durata,  in
quanto tale,  del  programma.  E'  evidente  che  consentire  per  un
trentennio - ma il principio vale per qualsiasi deroga  all'immediato
rientro che consenta di allargare l'entita'  del  disavanzo  anziche'
ridurlo - all'ente territoriale  di  "vivere  ultra  vires"  comporta
l'aggravio del deficit strutturale, anziche' il suo risanamento. 
    Cio' e' tanto vero che la  regola  fisiologica  del  rientro  dal
disavanzo e' quella del  rientro  annuale,  al  massimo  triennale  e
comunque non superiore allo scadere del mandato elettorale (art.  42,
comma 12, del decreto legislativo 23 giugno  2011,  n.  118,  recante
«Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42», e art. 188 del d.lgs. n. 267 del 2000). 
    Ogni  periodo  di  durata  superiore  comporta  il  sospetto   di
potenziale dissesto e puo' essere giustificato solo se il  meccanismo
normativo  che  lo  prevede   sia   effettivamente   finalizzato   al
riequilibrio, dimodoche'  «l'istruttoria  relativa  alle  ipotesi  di
risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo  storico,
economico e giuridico» (sentenza n. 18 del 2019). 
    Quanto   all'elusione   del    principio    di    responsabilita'
nell'esercizio della rappresentanza democratica, la violazione  degli
artt. 81 e 97, primo comma, Cost. (allora, l'art. 119,  sesto  comma,
non era stato evocato dal rimettente) era stata individuata:  a)  nel
consentire agli enti locali coinvolti nella procedura di  predissesto
di evitare il controllo  semestrale  della  sezione  regionale  della
Corte dei conti attinente alla corretta attuazione del piano; b)  nel
consentire loro di utilizzare il programma antecedente  di  pagamento
dei creditori, lucrando la  disponibilita'  -  in  termini  di  spesa
corrente   per   l'intero   trentennio   -   derivante   dal   minore
accantonamento  finanziario  delle  somme  necessarie  per   l'intero
periodo di rientro e dall'impiego contra legem delle anticipazioni di
liquidita'; c) nell'aggiramento delle complesse procedure di verifica
di congruita' e sostenibilita' del piano attraverso una rimodulazione
autonoma in termini esclusivamente numerici,  cosi'  sottraendo  alla
Corte  dei  conti  quello  che  la  sezione   rimettente   denominava
correttamente «canone concreto di controllo». 
    7.- Cio' premesso, le censure rivolte all'art. 38,  comma  2-ter,
del d.l. n. 34 del 2019, come convertito,  con  modificazioni,  nella
legge n. 58 del 2019, in riferimento agli artt. 81, 97, primo  comma,
e 119, sesto comma, Cost., sono fondate. 
    Per quel che si dira' piu' specificamente nel prosieguo  e'  solo
questa disposizione a essere in contrasto con i  suddetti  parametri,
mentre le altre due - se interpretate in modo sistematico - risultano
conformi e coerenti con le finalita' del piano di riequilibrio. 
    Il  censurato  comma  2-ter  dell'art.  38  stabilisce   che   la
riproposizione del piano di riequilibrio deve contenere il  ricalcolo
pluriennale, fino a un massimo di venti anni, del  disavanzo  oggetto
del piano modificato «ferma restando la disciplina prevista  per  gli
altri disavanzi». 
    Come  gia'  accennato,  il  legislatore   -   fin   dalla   norma
precedentemente oggetto di declaratoria di incostituzionalita'  (art.
1, comma 714, della legge n. 208 del 2015) - ha consentito, alla luce
di evidenti difficolta' di risanamento di alcune fattispecie concrete
come quelle oggetto del giudizio a quo,  di  modificare  i  piani  di
riequilibrio,  originariamente  concepiti  come  unica  e  definitiva
chance per l'ente locale di evitare il dissesto. 
    Da tale mutato orientamento del legislatore deriva che  a  essere
in contrasto con gli  evocati  parametri  costituzionali  non  e'  la
durata astrattamente fissata nel limite di venti anni  dalla  tabella
dell'art. 38, comma 1-terdecies,  del  d.l.  n.  34  del  2019,  come
convertito, bensi' il meccanismo di  manipolazione  del  deficit  che
consente  -  come  gia'  la   norma   dichiarata   costituzionalmente
illegittima con la  sentenza  n.  18  del  2019  -  di  sottostimare,
attraverso la strumentale tenuta di piu' disavanzi,  l'accantonamento
annuale  finalizzato   al   risanamento   e,   conseguentemente,   di
peggiorare, anziche' migliorare, nel tempo del preteso  riequilibrio,
il risultato di amministrazione. 
    Tale  meccanismo  manipolativo   consente,   tra   l'altro,   una
dilatazione della spesa corrente - pari alla differenza tra la giusta
rata  e  quella  sottostimata  -   che   finisce   per   incrementare
progressivamente l'entita'  del  disavanzo  effettivo.  Il  censurato
comma 2-ter autorizza, infatti, gli enti locali che si trovano  nella
situazione del Comune di Reggio Calabria a tenere separati  disavanzi
di amministrazione ai fini del risanamento e a ricalcolare  la  quota
di  accantonamento  indipendentemente  dall'entita'  complessiva  del
deficit. 
    E' fuor di dubbio che ogni bilancio consuntivo puo' avere un solo
risultato di amministrazione, il quale deriva dalla sommatoria  delle
situazioni giuridiche e contabili degli esercizi  precedenti  fino  a
determinare un esito che puo' essere positivo o negativo.  Consentire
di avere piu' disavanzi significa, in pratica, permettere  di  tenere
piu' bilanci consuntivi in perdita. 
    Da cio' consegue che  la  gestione  del  Comune  in  predissesto,
anziche'  essere  strettamente  raccordata   al   piano   ritualmente
approvato dal Ministero dell'interno e dalla Corte dei conti, riparte
da un quadro incerto e irrazionalmente indeterminato,  preclusivo  di
una serie di operazioni indefettibili per raccordare il  nuovo  piano
di riequilibrio con quello approvato originariamente. 
    Gli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. risultano, dunque,  violati
perche' il censurato art. 38, comma 2-ter, del d.l. n. 34  del  2019,
come convertito, esonera l'ente locale in situazione  di  predissesto
da  una  serie   di   operazioni   indefettibili   per   ripristinare
l'equilibrio e, in particolare, dall'aggiornamento  delle  proiezioni
di entrata e di spesa, dalla ricognizione delle situazioni creditorie
e debitorie, dalla previa  definizione  degli  accordi  con  i  nuovi
creditori e con quelli vecchi eventualmente non soddisfatti,  nonche'
dalla ricognizione e dimostrazione della corretta  utilizzazione  dei
prestiti stipulati per adempiere alle pregresse obbligazioni passive. 
    I predetti principi risultano violati insieme all'art. 119, sesto
comma, Cost. sotto il  profilo  dell'equita'  intergenerazionale,  in
quanto il comma 2-ter del  citato  art.  38  consente  di  utilizzare
risorse vincolate al pagamento  di  debiti  pregressi  per  la  spesa
corrente, in tal modo allargando la forbice del disavanzo. 
    Analoga   violazione   sussiste   sotto    il    profilo    della
responsabilita' di mandato, nella misura  in  cui  l'ente  locale  in
predissesto  viene  esonerato  dal  fornire  contezza  dei  risultati
amministrativi succedutisi nel tempo  intercorso  tra  l'approvazione
del  piano   originario   e   quello   rideterminato.   E'   costante
l'orientamento di questa Corte secondo cui «il bilancio e'  un  "bene
pubblico" nel senso che e' funzionale a sintetizzare e rendere  certe
le scelte dell'ente  territoriale,  sia  in  ordine  all'acquisizione
delle entrate, sia alla  individuazione  degli  interventi  attuativi
delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi e' chiamato  ad
amministrare  una  determinata  collettivita'  ed  a  sottoporsi   al
giudizio finale afferente al  confronto  tra  il  programmato  ed  il
realizzato» (ex plurimis, sentenza n. 184 del 2016). 
    E' evidente che un consistente  lasso  temporale,  senza  neppure
specificare da quale bilancio consuntivo e da quale gestione  annuale
sia  stato  originato  il  deficit,   interrompe   completamente   la
correlazione tra attivita' del rappresentante  politico  e  risultati
imputati alle collettivita' amministrate succedentesi nel tempo. 
    7.1.- E', comunque, utile descrivere sinteticamente il meccanismo
di sottostima consentito dalla disposizione illegittima, che  esonera
dalla elaborazione di alcuni elementi essenziali  che  articolano  il
piano di riequilibrio. 
    Quest'ultimo si fonda: a) su una determinazione aggiornata, sotto
il profilo finanziario e giuridico, del  disavanzo  in  relazione  al
quale vanno  calcolate  le  quote  annuali  costanti  di  risorse  da
accantonare mediante sottrazione  alla  spesa  corrente,  secondo  il
numero di annualita' del piano; b) sull'individuazione dei  creditori
con i quali va  stipulato  un  coerente  sistema  di  rateazione  non
superiore al piano di riequilibrio; c) sulla corretta  e  attendibile
determinazione delle fonti di entrata  per  la  medesima  durata  del
piano di riequilibrio. 
    A questo meccanismo "necessario" il legislatore  ha  aggiunto,  a
partire dal  2013  (decreto-legge  8  aprile  2013,  n.  35,  recante
«Disposizioni urgenti per  il  pagamento  dei  debiti  scaduti  della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli  enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali», convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n.
64), l'istituto  delle  anticipazioni  di  liquidita',  vale  a  dire
anticipazioni di cassa a "lunga restituzione", al fine di  eliminare,
in via del tutto  eccezionale,  la  morosita'  degli  enti  pubblici.
Questa  Corte,  nel  definire  il  perimetro  entro   il   quale   le
anticipazioni di liquidita' non sarebbero entrate in contrasto con la
regola aurea dell'art. 119, sesto comma,  Cost.,  aveva  sottolineato
come la misura di dette anticipazioni non potesse superare  l'entita'
dei  debiti  inevasi  e,  conseguentemente,  quella   del   disavanzo
accertato  prima  che  l'ente  possa  accedere  alla   richiesta   di
anticipazione (sentenza n. 181 del 2015). 
    Corollario di tale complesso ordito normativo e'  che  la  misura
complessiva delle anticipazioni non puo' essere  superiore  a  quella
dei debiti inevasi al momento dell'ultima anticipazione. 
    Tale  regola,  custodita  oltre  che  dalla   clausola   generale
dell'art. 81 Cost. anche dalla  specifica  disciplina  dei  piani  di
riequilibrio (in particolare dai commi 6 e 7  dell'art.  243-bis  del
d.lgs. n. 267 del 2000), e' stata derogata dalla  norma  illegittima.
Questa consente di tenere piu'  disavanzi  (e,  in  definitiva,  piu'
bilanci paralleli) sui quali definire separatamente  ad  libitum  sia
l'uso  irrituale  delle  singole  anticipazioni,   sia   il   calcolo
dell'indebitamento e delle quote annuali di rientro. 
    Cio' spiega in particolare come, nel caso oggetto del giudizio  a
quo, a fronte del deficit accertato dalla Commissione  prefettizia  a
monte  dell'unico  piano  di  riequilibrio  approvato  dal  Ministero
dell'interno e dalla Corte dei conti - pari  a  euro  110.918.410,00,
ripartito in dieci annualita' di accantonamento di 11.091.804,10 - ci
si trovi ora in presenza di anticipazioni di liquidita' pari  a  euro
258.837.831,63 oltre  ad  un  ulteriore  prestito  regionale  per  un
servizio obbligatorio di parte corrente pari a euro  64.974.388,27  a
fronte di una rata di accantonamento ventennale sottostimata in  euro
2.538.485,47 annui. 
    Tale  esito  sarebbe  stato  precluso  se  il  nuovo   piano   di
riequilibrio  avesse  tenuto  conto,  in  ossequio  al  principio  di
continuita' dei bilanci e alle previsioni dei commi 6 e  7  dell'art.
243-bis   del   d.lgs.   n.   267   del   2000,   della    situazione
economico-finanziaria complessiva e di quella debitoria correttamente
stimata, nonche' dei risultati  delle  singole  gestioni  succedutesi
dopo l'approvazione del primo  piano  di  riequilibrio.  E'  costante
l'orientamento  di  questa  Corte  secondo  cui  il   «rendiconto   -
indipendentemente  dalla  compilazione  e  redazione  dei   complessi
allegati al bilancio previsti dal d.lgs.  n.  118  del  2011  -  deve
contenere, in coerenza con  le  risultanze  di  detti  allegati,  tre
elementi fondamentali: a) il risultato  di  amministrazione  espresso
secondo l'art. 42 del decreto in questione;  b)  il  risultato  della
gestione   annuale   inerente   al   rendiconto;    c)    lo    stato
dell'indebitamento e delle eventuali passivita'  dell'ente  applicate
agli esercizi  futuri.  Infatti,  il  primo  risultato  chiarisce  la
situazione economico-finanziaria al termine  dell'esercizio  in  modo
comparabile a quella  dell'anno  precedente  e  a  quella  che  sara'
determinata per l'esercizio successivo.  Il  secondo  enuclea  -  dal
contesto complessivo di cui al precedente punto a)  -  le  risultanze
della gestione annuale integralmente imputabile  agli  amministratori
in   carica.   Il    terzo    fornisce    il    quadro    pluriennale
dell'indebitamento, consentendo una prospettiva di sindacato  sia  in
relazione  ai  vincoli  europei,   sia   in   relazione   all'equita'
intergenerazionale,  strumento  servente  alla   determinazione   dei
costi-benefici afferenti alle generazioni future  con  riguardo  alle
politiche  di  investimento  in  concreto  adottate.  Tali  elementi,
indipendentemente  dalla  tecnicita'  degli  allegati  al   bilancio,
costituiscono appunto la necessaria attuazione degli evocati precetti
costituzionali di natura finanziaria» (sentenza n. 49  del  2018;  in
senso conforme, sentenza n. 274 del 2017). 
    Coerentemente con tali principi, piu' volte richiamati da  questa
Corte, i commi 6 e 7  dell'art.  243-bis  del  d.lgs.  267  del  2000
prevedono, tra i vari adempimenti necessari a redigere e a verificare
la congruita' del piano di riequilibrio: a) la puntuale ricognizione,
con relativa quantificazione, dei  fattori  di  squilibrio  rilevati,
dell'eventuale disavanzo di  amministrazione  risultante  dall'ultimo
rendiconto  approvato  e  di  eventuali  debiti  fuori  bilancio;  b)
l'individuazione, con relativa quantificazione e previsione dell'anno
di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare
l'equilibrio strutturale del bilancio, per  l'integrale  ripiano  del
disavanzo di amministrazione accertato e  per  il  finanziamento  dei
debiti fuori bilancio a partire da  quello  in  corso  alla  data  di
accettazione da parte dei creditori del piano; c) l'indicazione,  per
ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della  percentuale  di
ripiano del  disavanzo  di  amministrazione  da  assicurare  e  degli
importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per
il finanziamento dei debiti fuori bilancio. E' altresi' previsto  dal
comma 7 che, ai fini  della  predisposizione  del  piano,  l'ente  e'
tenuto a effettuare una ricognizione di tutti i debiti fuori bilancio
riconoscibili ai sensi dell'art. 194 del TUEL. 
    Il  perimetro  costituzionale  disegnato  da  tali   disposizioni
consiste nella funzionalita' della procedura  a  ridurre  il  deficit
fino ad azzerarlo nel tempo prescritto. Cio'  mediante  la  scansione
del percorso attraverso i risultati conseguiti nei  singoli  esercizi
attinenti al piano e la definizione di  una  proporzione  accettabile
dei  sacrifici  imposti  alle  future  generazioni  di   amministrati
affinche' l'oneroso rientro dal disavanzo sia comunque compensato dal
traguardo  dell'equilibrio,  presupposto  necessario  per   la   sana
amministrazione. 
    8.- Infine, le censure  rivolte  ai  commi  1-terdecies  e  2-bis
dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, in riferimento
agli artt. 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, Cost.,  non  sono
fondate nei sensi e nei limiti appresso specificati. 
    I commi 1-terdecies e 2-bis dell'art. 38 del d.l. n. 34 del  2019
devono essere inquadrati nel contesto sistematico del  TUEL  dopo  la
declaratoria d'incostituzionalita' del comma 2-ter del medesimo  art.
38. 
    L'art. 38, comma 1-terdecies, sostituisce la tabella  di  cui  al
comma 5-bis dell'art. 243-bis  del  d.lgs.  n.  267  del  2000,  gia'
introdotta dall'art. 1, comma 888, della legge n. 205 del  2017,  con
un nuovo prospetto che tiene conto, ai fini della durata massima  del
piano di riequilibrio, del rapporto tra passivita' maturate e impegni
di parte corrente, rapporto che per la classe dei Comuni  di  entita'
demografica  superiore  ai  60.000  abitanti  puo'  oltrepassare   la
percentuale del cento per cento. 
    L'art. 38, comma 2-bis, dispone: «[g]li  enti  locali  che  hanno
proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di  riequilibrio
ai sensi dell'articolo 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.
208, entro la data del 14 febbraio 2019 di  deposito  della  sentenza
della Corte costituzionale n.  18  del  2019,  anche  se  non  ancora
approvato dalla competente sezione regionale della  Corte  dei  conti
ovvero inciso da provvedimenti conformativi  alla  predetta  sentenza
della sezione regionale competente, possono riproporre il  piano  per
adeguarlo alla normativa vigente secondo la  procedura  dell'articolo
1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205». 
    L'art. 1, comma 888, della legge n. 205 del 2017 dispone  che  il
piano di riequilibrio disciplinato dall'art. 243-bis  del  d.lgs.  n.
267 del 2000 possa essere prolungato dal precedente termine di  dieci
anni fino a un termine «di durata compresa tra quattro e venti  anni»
sulla base del rapporto tra le passivita' da ripianare nel medesimo e
l'ammontare degli  impegni  di  cui  al  titolo  I  della  spesa  del
rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso
alla procedura di riequilibrio o  dell'ultimo  rendiconto  approvato,
secondo  la  tabella  sostituita  dal  precedente  comma  1-terdecies
dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito. 
    Il successivo comma 889 del medesimo art. 1 della  legge  n.  205
del 2017 prevede che «[f]ermi  restando  i  tempi  di  pagamento  dei
creditori,  gli  enti  locali  che  hanno  presentato  il  piano   di
riequilibrio  finanziario   pluriennale   o   ne   hanno   conseguito
l'approvazione, ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico di cui
al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prima  della  data  di
entrata  in  vigore  della  presente  legge,  possono  rimodulare   o
riformulare il predetto piano, al fine di usufruire  delle  modifiche
introdotte dal comma 888 del presente articolo. Gli enti  locali  che
intendono avvalersi di tale  facolta'  trasmettono  la  deliberazione
consiliare contenente la relativa richiesta alla  competente  sezione
regionale della Corte dei  conti  e  al  Ministero  dell'interno  nel
termine di quindici giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge. Il  consiglio  dell'ente  locale,  entro  il  termine
perentorio di quarantacinque giorni dalla data di esecutivita'  della
deliberazione  di  cui  al  periodo  precedente,  approva  il   piano
rimodulato  o  riformulato,  corredato  del  parere  dell'organo   di
revisione economico-finanziaria. Al procedimento di formazione  e  di
approvazione del piano si applicano le  disposizioni  degli  articoli
243-bis, commi 6, 7, 8, 9 e 9-bis,  e  243-quater  del  citato  testo
unico di cui al decreto  legislativo  n.  267  del  2000;  i  termini
previsti dal citato articolo 243-quater sono ridotti alla meta'.  Per
gli enti locali per i quali la  competente  sezione  regionale  della
Corte dei conti, alla data di entrata in vigore della presente legge,
ha gia' accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi
fissati dal piano originario,  ferme  restando  le  eventuali  misure
prescritte ai sensi dell'articolo 148-bis del citato testo unico,  un
ulteriore mancato rispetto degli obiettivi del nuovo piano rimodulato
o riformulato, accertato nell'ambito della procedura di controllo  di
cui all'articolo 243-quater,  comma  6,  del  medesimo  testo  unico,
costituisce reiterazione del  mancato  rispetto  degli  obiettivi  ai
sensi del comma 7 del citato articolo 243-quater». 
    Cosi' ricostruito il quadro sistematico in cui si inseriscono  le
disposizioni    denunciate,    occorre    preliminarmente    ribadire
l'inesattezza dell'affermazione del giudice rimettente,  secondo  cui
il termine decennale sarebbe indefettibile per effetto della sentenza
di questa Corte n. 18 del 2019. E' invece corretto il rilievo in base
al quale e' suo  compito  valutare  la  rimodulazione  del  piano  di
riequilibrio, a seguito di una modifica normativa intervenuta durante
la sua vigenza, e che tale valutazione non e' possibile  in  presenza
di  un  meccanismo  di  calcolo   avulso   dalla   reale   situazione
amministrativo-contabile. 
    Tale meccanismo viene  tuttavia  rimosso  dalla  declaratoria  di
incostituzionalita' dell'art. 38, comma 2-ter, e da cio'  deriva  che
delle altre  due  disposizioni  censurate  puo'  essere  fornita  una
interpretazione costituzionalmente orientata, diversa da  quella  del
giudice a quo. 
    E' costante infatti l'orientamento di questa  Corte  secondo  cui
anche le norme finanziario-contabili afferenti agli enti territoriali
- ancorche' connotate da  un  peculiare  rapporto  con  il  parametro
costituzionale dell'equilibrio dinamico (ex plurimis, sentenza n. 155
del 2015) - sono soggette alla regola «dell'interpretazione  conforme
a Costituzione,  secondo  la  quale,  in  presenza  di  ambiguita'  o
anfibologie del relativo contenuto, occorre dar loro  il  significato
compatibile con i parametri costituzionali. Al contrario,  ove  fosse
possibile  solo  [l'ipotesi  ermeneutica   adottata   dalla   Sezione
rimettente] cio' determinerebbe l'illegittimita' costituzionale dello
stesso principio contabile, dal momento che, cosi' interpretato, esso
diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento -  in  contrasto
con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia'  gravati  dal  ripiano
pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi»  (sentenza  n.
279 del 2016). 
    Una volta chiarito che questa Corte non  ha  mai  individuato  un
limite temporale alla durata del piano di riequilibrio,  e'  altresi'
vero che in piu' occasioni il legislatore statale e'  stato  ammonito
sulle potenziali conseguenze negative delle deroghe alla  fisiologica
situazione dell'equilibrio  del  bilancio,  che  di  regola  andrebbe
ripristinata immediatamente dall'amministrazione, nel corso  del  cui
mandato il disavanzo si e' venuto a formare.  Cosi',  e'  stato  piu'
volte  ribadito  che,  «[f]erma  restando  la  discrezionalita'   del
legislatore nello scegliere i criteri e le modalita' per porre riparo
a situazioni  di  emergenza  finanziaria  come  quelle  afferenti  ai
disavanzi   sommersi,   non   puo'   non   essere   sottolineata   la
problematicita' di soluzioni normative,  mutevoli  e  variegate  come
quelle   precedentemente   descritte,   le   quali   prescrivono   il
riassorbimento  dei   disavanzi   in   archi   temporali   lunghi   e
differenziati,  ben  oltre  il  ciclo  di  bilancio  ordinario,   con
possibili   ricadute   negative   anche   in   termini   di   equita'
intergenerazionale (in senso conforme, sentenza  n.  107  del  2016)»
(sentenza n. 6 del 2017). 
    Nondimeno, con la sentenza n. 18 del  2019  e'  stata  dichiarata
costituzionalmente illegittima  non  la  durata  trentennale  in  se'
considerata,   bensi'   il   meccanismo   privo   di   sostenibilita'
economico-finanziaria  che  la  disposizione  denunciata  autorizzava
secondo prospettive di indebitamento illimitate. 
    In  tale  ottica  non  e'  quindi  la   durata   ventennale   del
riequilibrio  a  essere   dirimente   nel   presente   scrutinio   di
legittimita' costituzionale, bensi' la configurazione astratta  delle
norme di risulta, una volta eliminata la possibilita' di  prendere  a
riferimento risultati di amministrazione separati. 
    Secondo  tale  angolo   di   osservazione,   l'art.   38,   comma
1-terdecies, del d.l. n. 34 del 2019, convertito, con  modificazioni,
nella legge n. 58 del 2019, si limita a  sostituire  la  tabella  che
dovra'  essere  presa  a  riferimento  per  rimodulare  il  piano  di
riequilibrio, ma non  crea  un  automatismo  applicativo,  e  neppure
determina la denunciata arbitrarieta' dei poteri  conferiti  all'ente
locale dalla disposizione contenuta nel comma 2-ter, dal momento  che
il nuovo piano dovra' superare lo scrutinio di  sostenibilita'  della
Corte dei conti. 
    Il comma 2-bis del medesimo art. 38, a sua volta, detta la  nuova
procedura per "riproporre  il  piano",  ma  non  certo  per  renderlo
esecutivo nei termini con cui viene redatto dall'ente locale, poiche'
tale  riproposizione  dovra'  essere  sottoposta  alla  procedura  di
controllo precedentemente evocata. 
    Cio' comporta che una non corretta e inattendibile determinazione
di una nuova rata  di  accantonamento  pluriennale  e  un  uso  delle
anticipazioni di  liquidita'  per  la  copertura  di  nuove  spese  -
fenomeni lamentati dal  giudice  rimettente  -  non  potranno  essere
oggetto di approvazione proprio alla luce dei meccanismi previsti dal
procedimento di modifica del piano di riequilibrio. 
    Il richiamo, contenuto nel citato comma 2-bis, ai commi 888 e 889
della legge n. 205 del 2017  riguarda,  infatti,  l'allungamento  del
limite temporale del piano e i limiti e le  modalita'  attraverso  le
quali il medesimo potra'  essere  sottoposto  all'approvazione  della
Corte dei conti, non certo un arbitrario meccanismo aritmetico,  come
afferma il rimettente. 
    Il comma 889 ribadisce l'intangibilita' dei  tempi  di  pagamento
negoziati con i creditori - e quindi anche  di  quelli  previsti  nel
piano decennale attualmente in vigore - e specifica la procedura  per
l'adozione,  per  il  controllo  della  Corte   dei   conti   e   per
l'approvazione definitiva del nuovo  piano  da  parte  del  Consiglio
comunale. Cio' chiarisce che non vi puo' essere alcuna determinazione
unilaterale dell'entita' e della durata del piano da parte  dell'ente
locale,  in  quanto  esso  dovra'  essere  sottoposto  a  un  attento
sindacato di natura tecnico-giuridica (ex plurimis,  sentenza  n.  39
del 2014) da parte della competente sezione  regionale  di  controllo
della Corte dei conti, secondo i canoni dell'art. 243-bis del  d.lgs.
n. 267 del 2000. Tale sindacato dovra', tra  l'altro,  riguardare  lo
stato di attuazione del vecchio piano  di  pagamento  dei  creditori,
l'esistenza di eventuali debiti fuori bilancio, la  previa  procedura
di riconoscimento  degli  stessi,  la  previa  negoziazione  con  gli
ulteriori creditori  eventualmente  emersi  dopo  l'approvazione  del
piano decennale (con la conseguente diacronica  struttura  del  nuovo
piano, scaglionato secondo obbligazioni passive nuove  e  pregresse),
la verifica che le anticipazioni di liquidita'  siano  effettivamente
servite per il pagamento di debiti maturati negli esercizi  anteriori
e non siano surrettiziamente computate  tra  le  fonti  di  copertura
della  spesa  corrente  e   che   sia   assicurata   l'iscrizione   -
analiticamente specificata - del rimborso dei  prestiti  nella  parte
passiva del bilancio. 
    Dette operazioni sono - come si evince dalla struttura del citato
art. 243-bis e, in particolare, dei suoi commi 6 e 7 -  necessarie  e
propedeutiche per quantificare il disavanzo e  le  sue  modalita'  di
riparto ventennale. 
    Una volta dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
38, comma 2-ter, del  d.l.  n.  34  del  2019,  come  convertito,  il
combinato  delle   ulteriori   disposizioni   censurate   e'   dunque
suscettibile di una interpretazione secundum Constitutionem nei sensi
e nei limiti precisati e  cio'  determina  la  non  fondatezza  delle
censure a esse rivolte. 
    9.- Tenuto conto della tormentata genesi legislativa delle  norme
oggetto  del  presente  giudizio  e  della  ricaduta  della  presente
pronuncia sulle fattispecie concrete interessate da complesse vicende
di risanamento, e' opportuno ribadire che la  normativa  di  risulta,
dopo l'accoglimento delle  questioni  attinenti  all'art.  38,  comma
2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, come  convertito,  e'  immediatamente
applicabile anche in assenza di ulteriori interventi legislativi. 
    Innanzitutto, come gia' precisato per analoga fattispecie,  anche
la presente evidenzia importanti peculiarita' originate indubbiamente
dall'interruzione del  controllo  della  spesa  nel  lasso  temporale
intercorso tra l'approvazione  del  piano  decennale  e  la  presente
pronuncia. E quindi si pone il problema  delle  gestioni  intervenute
senza un aggiornato piano di riequilibrio come questa Corte  ha  gia'
chiarito  in  una  recente  pronuncia,  relativa  a  una  fattispecie
analoga, riferita alla  gestione  contabile  di  una  amministrazione
comunale: «[s]e, da un lato, l'amministrazione  comunale,  fino  alla
data della presente pronuncia, ha gestito realmente partite di  spesa
superiori  a  quelle  costituzionalmente  consentite,  in  tal   modo
peggiorando lo stato dei propri conti, dall'altro lo ha  fatto  sulla
base di disposizioni  legislative  in  vigore  e  di  atti  contabili
dimensionati in rapporto alle potenzialita' consentite dalle medesime
disposizioni. Ne e' derivato che tale gestione si e' dipanata in  una
serie di impegni e pagamenti, in relazione ai quali l'affidamento dei
soggetti venuti in  contatto  con  l'amministrazione  comunale  e  la
funzionalita' di progetti  avviati  secondo  contratti  e  situazioni
negoziali in itinere non possono essere travolti dalla  dichiarazione
di illegittimita' di norme che  hanno  consentito,  durante  la  loro
vigenza, il sovradimensionamento della spesa. [...] A  ben  vedere  -
proprio in ragione della peculiarita' del diritto del bilancio  e  in
particolare del principio di equilibrio dinamico che sposta nel tempo
la continua tensione verso un bilanciato contrappeso  tra  entrate  e
spese - si e' in presenza di una graduazione "naturale" degli effetti
temporali  della  presente  sentenza  sulla  gestione  del   bilancio
comunale e sulle situazioni giuridiche a essa sottese» (sentenza n. 4
del 2020). 
    Con riguardo alla situazione venutasi a  creare  nel  lungo  arco
temporale prima ricordato, l'ente locale dovra' avviare il necessario
risanamento nei termini di legge  precedentemente  precisati.  A  tal
fine,  la  normativa  di  risulta  gia'  consente:  a)  di  calcolare
correttamente  un  unico  risultato   di   amministrazione;   b)   di
determinare  -  nel  rispetto  del  principio  di  continuita'  -  le
risultanze degli esercizi di bilancio successivi al 2013, imputando a
ciascuna     amministrazione     in     carica     le      risultanze
economico-finanziarie  della  propria  gestione;  c)  di  determinare
l'entita' del debito contratto con le anticipazioni di  liquidita'  e
le modalita' del suo rimborso; d) di determinare le quote annuali  di
rientro dal disavanzo e la durata temporale del rientro attraverso il
rapporto passività-impegni di spesa corrente; e) di redigere il piano
in modo da consentire il sindacato in ordine alla sua  sostenibilita'
da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti  ai
fini dell'eventuale approvazione di quest'ultima. 
    10.-  Rimane  fermo   l'ammonimento   di   questa   Corte   circa
l'intrinseca pericolosita' di «soluzioni che trasformino  il  rientro
dal deficit e dal debito in una deroga permanente  e  progressiva  al
principio  dell'equilibrio  del  bilancio  [...].   La   tendenza   a
perpetuare  il  deficit  strutturale  nel   tempo,   attraverso   uno
stillicidio normativo di rinvii, finisce  per  paralizzare  qualsiasi
ragionevole  progetto  di  risanamento,  in  tal  modo  entrando   in
collisione sia con il principio  di  equita'  intragenerazionale  che
intergenerazionale. [...] Di fronte  all'impossibilita'  di  risanare
strutturalmente l'ente in disavanzo, la procedura del predissesto non
puo'  essere   procrastinata   in   modo   irragionevole,   dovendosi
necessariamente porre una cesura con il passato cosi'  da  consentire
ai nuovi amministratori di svolgere il  loro  mandato  senza  gravose
"eredita'". Diverse soluzioni possono essere adottate per  assicurare
tale discontinuita',  e  siffatte  scelte  spettano,  ovviamente,  al
legislatore» (sentenza n. 18 del 2019). 
    Al di la' del fatto che i poteri di prevenzione e  riscontro  sui
bilanci degli enti locali scontano necessariamente la complessita' di
situazioni  locali  di  penuria  finanziaria   endemica,   non   puo'
sottacersi che il quadro costituzionale e normativo  vigente  avrebbe
consentito - e consente - di affrontare le situazioni patologiche  in
modo piu' appropriato di quel che e'  avvenuto  negli  esercizi  piu'
recenti. 
    E' stato gia' segnalato - con riguardo agli enti  territoriali  -
che «l'autonomia finanziaria  di  entrata  e  di  spesa  deve  essere
esercitata nel rispetto dell'equilibrio del bilancio e che  gli  enti
territoriali  devono  contribuire,  insieme  agli  altri  enti  della
finanza   allargata,    all'osservanza    dei    vincoli    derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea» (sentenza n. 4  del  2020).  In
tale prospettiva, l'equilibrio individuale dei  singoli  enti  e'  un
presupposto della sana gestione finanziaria e del corretto  esercizio
dell'autonomia, nonche' del dovere di  concorrere  a  realizzare  gli
obiettivi macroeconomici nazionali e dell'Unione europea. Ne consegue
«che tutte le disfunzioni [...] devono essere rimosse e  non  possono
essere computate  nell'attivazione  dei  meccanismi  di  solidarieta'
previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'art. 119 Cost.  E'  in
ordine  al  deficit  strutturale  imputabile   alle   caratteristiche
socio-economiche della collettivita' e del  territorio,  e  non  alle
patologie organizzative, che deve essere rivolto l'intervento diretto
dello Stato. Le risorse necessariamente stanziate per tali  finalita'
- proprio in virtu' dei superiori precetti  costituzionali  -  devono
essere prioritariamente destinate  dallo  Stato  alle  situazioni  di
accertato squilibrio  strutturale  dei  bilanci  degli  enti  locali»
(sentenza n. 4 del 2020). 
    Quanto ai meccanismi di prevenzione, occorre poi ricordare che il
decreto-legge 10  ottobre  2012,  n.  174  (Disposizioni  urgenti  in
materia di finanza e funzionamento degli enti  territoriali,  nonche'
ulteriori disposizioni in favore delle zone  terremotate  nel  maggio
2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n.
213, ha  previsto  strumenti  puntuali  e  coordinati  per  prevenire
situazioni di degrado progressivo nella finanza locale,  come  quella
in esame. 
    Il comma 3 dell'art.  148-bis  del  d.lgs.  n.  267  del  2000  -
disposizione introdotta dall'art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n.
174 del 2012, come convertito - prevede che,  «[q]ualora  l'ente  non
provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o  la  verifica
delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, e'  preclusa
l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e' stata accertata la
mancata copertura o  l'insussistenza  della  relativa  sostenibilita'
finanziaria», mentre l'art. 243-quater, comma 3, del  d.lgs.  n.  267
del 2000 prevede che, «[i]n caso di approvazione del piano, la  Corte
dei conti vigila sull'esecuzione dello stesso, adottando, in sede  di
controllo effettuato ai sensi dell'articolo 243-bis, comma 6, lettera
a), apposita pronuncia». 
    Questa  Corte  ha  precisato   che   si   tratta   controlli   di
legittimità-regolarita' sui bilanci di natura preventiva, finalizzati
a evitare danni irreparabili all'equilibrio di bilancio (sentenze  n.
39 del 2014 e n. 60 del 2013). La loro  tempestiva  attivazione  dopo
l'approvazione  del  piano  di  rientro  decennale  -  unitamente  al
controllo semestrale ai sensi del combinato disposto dei commi 3 e  6
dell'art. 243-quater del d.lgs. n. 267  del  2000  -  avrebbe  potuto
interdire quelle  gestioni  che  hanno  costretto  il  legislatore  a
intervenire  per  l'ulteriore  prolungamento   della   procedura   di
predissesto. 
    E' vero che nei casi che hanno originato la fattispecie normativa
in esame e quella inerente alla sentenza n.  18  del  2019  gli  enti
locali coinvolti non avevano  reso  ostensibile  l'andamento  storico
delle passivita',  l'indicazione  dei  presupposti  per  attivare  le
anticipazioni di liquidita' e gli altri elementi previsti dai commi 6
e 7 dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000. Tuttavia, la  Corte
dei conti ben dispone, anche in sede  di  controllo,  del  potere  di
ordinare tempestivamente incombenti istruttori secondo  le  modalita'
dell'art.  3,  comma  8,  della  legge  14  gennaio   1994,   n.   20
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), il quale prevede che «la Corte dei conti puo' richiedere alle
amministrazioni  pubbliche  ed  agli  organi  di  controllo   interno
qualsiasi atto o notizia e puo' effettuare  e  disporre  ispezioni  e
accertamenti diretti. Si applica  il  comma  4  dell'articolo  2  del
decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453». 
    Cio',  soprattutto  con  riguardo  all'attuazione  dei  piani  di
riequilibrio piu' problematici, avrebbe probabilmente  consentito  di
prevenire una cosi' rapida espansione dei deficit in lassi  temporali
relativamente brevi.