ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
della legge 25  febbraio  1992,  n.  210  (Indennizzo  a  favore  dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa  di
vaccinazioni  obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazioni   di
emoderivati), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel
procedimento vertente tra il Ministero della salute e A. O. e  altri,
con ordinanza dell'11 ottobre 2019, iscritta al  n.  6  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito il Giudice relatore Nicolo' Zanon nella camera di consiglio
del 26 maggio 2020, svolta ai  sensi  del  decreto  della  Presidente
della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 ottobre 2019 (r.o. n. 6 del  2020),  la
Corte di cassazione, sezione lavoro,  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n.
210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da  complicanze  di
tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,  trasfusioni
e somministrazioni di emoderivati), nella parte in  cui  non  prevede
che il diritto all'indennizzo,  istituito  e  regolato  dalla  stessa
legge, spetti anche, alle condizioni ivi  previste,  a  soggetti  che
abbiano subito lesioni o infermita', dalle  quali  sia  derivata  una
menomazione permanente della integrita' psico-fisica, a causa di  una
vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, contro il contagio da
virus dell'epatite A. 
    La Corte rimettente e' chiamata a valutare  il  ricorso  proposto
dal Ministero della salute contro una sentenza della Corte  d'appello
di Lecce, che ha disposto il versamento dell'indennita' in  questione
a favore di A. O. a suo tempo sottoposta alla vaccinazione contro  il
virus dell'epatite A, e che, in conseguenza  di  cio',  e'  risultata
affetta da «lupus eritematoso sistemico». Il  giudice  di  merito  ha
considerato  provata  la  sussistenza  di  un   nesso   causale   tra
somministrazione del vaccino e patologia successiva.  Inoltre,  sulla
scorta della giurisprudenza costituzionale che ha esteso  il  diritto
all'indennizzo in caso di conseguenze dannose derivanti da specifiche
vaccinazioni  non   obbligatorie,   ma   incentivate   dall'autorita'
sanitaria,  ha  ritenuto  che  tale  diritto   sussista   anche   con
riferimento al vaccino somministrato nel caso di specie. 
    Nella sentenza impugnata si specifica come  l'interessata  avesse
aderito ad una campagna di vaccinazione avviata nel  1997  ed  estesa
contro  il  contagio  da  epatite  A,  e  fosse  stata  sottoposta  a
vaccinazione, nel 2003 e nel 2004, a seguito  di  una  sua  personale
convocazione presso  la  sede  dell'azienda  sanitaria  locale  (ASL)
territorialmente competente.  Dunque,  secondo  l'impugnata  sentenza
della   Corte   di   appello   di    Lecce,    una    interpretazione
costituzionalmente orientata del comma 1 dell'art. 1 della  legge  n.
210 del 1992 legittimerebbe, nel caso di  specie,  il  riconoscimento
del diritto all'indennizzo. 
    Il ricorso per cassazione del Ministero della salute si fonda sul
vizio di violazione di legge, essendo l'indennizzo  previsto  per  le
sole vaccinazioni obbligatorie.  Il  ricorrente  ha  messo  in  luce,
d'altra parte, come le decisioni della  Corte  costituzionale  citate
nella sentenza impugnata riguardassero fattispecie diverse da  quella
considerata nel giudizio (in particolare, il  vaccino  per  morbillo,
parotite e rosolia quanto alla sentenza n. 107 del 2012,  il  vaccino
contro l'epatite C per la sentenza n.  423  del  2000  e  il  vaccino
antipolio per la sentenza n. 27 del 1998). 
    1.1.- La Corte di cassazione, nel sollevare le indicate questioni
di legittimita' costituzionale, muove  dal  presupposto  che  non  vi
siano  margini  per  l'interpretazione  costituzionalmente  orientata
posta a fondamento della sentenza d'appello. La lettera  della  legge
si   riferirebbe   infatti   inequivocabilmente   alle   vaccinazioni
obbligatorie,  mentre  le  sentenze  ricordate,  dichiarative   della
parziale  illegittimita'   costituzionale   della   norma   censurata
riguardano vaccini diversi da quello somministrato nella specie. Cio'
significherebbe che una mera  estensione  della  ratio  decidendi  di
quelle sentenze «determinerebbe la  sostanziale  disapplicazione  ope
iudicis della disposizione censurata». 
    Posta tale premessa, la Corte rimettente  sottolinea  come  siano
soddisfatte tutte le  necessarie  condizioni  di  (ammissibilita'  e)
rilevanza delle questioni sollevate. 
    Osserva,  in  proposito,  che  il   nesso   eziologico   tra   la
somministrazione del vaccino e l'insorgere della  patologia  sofferta
dalla  parte  che  richiede  l'indennizzo  e'  ormai  definitivamente
stabilito, cosi' come risulta accertato che la vaccinazione era stata
fortemente raccomandata dalla autorita' sanitaria. 
    La Giunta regionale della Regione Puglia, nel 2003, aveva infatti
preso atto di come le vaccinazioni raccomandate, al  pari  di  quelle
obbligatorie, fossero comprese nei livelli essenziali di  assistenza,
garantiti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale  e  recepiti
con precedente delibera della medesima Giunta. 
    D'altra  parte,  nel  periodo  in  cui  l'interessata  era  stata
vaccinata (anni 2003 e 2004), era in  corso  una  specifica  campagna
contro l'epatite A, anche perche' era  stato  abbandonato  l'utilizzo
del vaccino combinato contro i virus A e B dell'epatite ed  era  gia'
stata completata una campagna per la vaccinazione contro l'epatite B. 
    La persona interessata, nel caso di  specie,  era  stata  inoltre
individualmente convocata negli ambulatori della  ASL,  mediante  una
comunicazione  che  presentava  la  vaccinazione  «non   tanto   come
prestazione raccomandata, ma quasi come se fosse stata obbligatoria». 
    In punto di  non  manifesta  infondatezza,  la  Corte  rimettente
rileva come l'originaria  tutela  indennitaria  concernente  le  sole
vaccinazioni  obbligatorie  sia  stata  piu'   volte   estesa   dalla
giurisprudenza  costituzionale.  Viene  richiamata  la  ratio   della
sentenza n.  268  del  2017,  che  ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittima la disposizione ancor oggi censurata, nella parte in  cui
non consentiva la corresponsione di indennizzo nel  caso  di  vaccino
antinfluenzale  (non  obbligatorio).  Al  lume  di  tale   pronuncia,
sostiene il  giudice  a  quo  che  l'obiettivo  di  salute  pubblica,
attraverso fenomeni  generalizzati  di  immunizzazione,  puo'  essere
perseguito, sia mediante atti  che  impongano  le  vaccinazioni,  sia
attraverso  atti  che  ne  fanno  oggetto  di  raccomandazione,   che
risultera' efficace in virtu' del naturale  affidamento  dei  singoli
riguardo  alle  indicazioni  dell'autorita'   sanitaria.   L'utilita'
pubblica  delle  vaccinazioni  raccomandate,  in  queste  situazioni,
legittima ed anzi impone la traslazione sulla comunita'  del  rischio
connesso alla pratica  vaccinale,  a  prescindere  dalle  particolari
motivazioni che muovono i singoli (in virtu' degli artt. 2,  3  e  32
Cost.,   secondo   i   principi   enunciati   nella    giurisprudenza
costituzionale in materia). 
    La  Corte  di  cassazione  ribadisce  che  nella  specie  si  era
perseguito un obiettivo di necessaria immunizzazione contro l'epatite
A,  con  toni  di  forte  incentivazione  per  i  singoli,  cosicche'
ricorrerebbero,  anche  per  il  relativo  vaccino,  le  ragioni   di
illegittimita'  costituzionale  piu'  volte  rilevate   dalla   Corte
costituzionale riguardo alla mancata  previsione  di  indennizzi  per
somministrazioni non obbligatorie. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio, ne' vi e' stata costituzione delle parti del giudizio  a
quo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  ha   sollevato
questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
2, 3 e 32 della Costituzione, dell'art. 1, comma 1,  della  legge  25
febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei  soggetti  danneggiati
da  complicanze  di  tipo  irreversibile  a  causa  di   vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di  emoderivati),  nella
parte in cui non prevede che il diritto all'indennizzo,  istituito  e
regolato dalla  stessa  legge,  spetti  anche,  alle  condizioni  ivi
previste, a soggetti che abbiano subito lesioni o infermita', da  cui
sia   derivata   una   menomazione   permanente   della    integrita'
psico-fisica, a  causa  di  una  vaccinazione  non  obbligatoria,  ma
raccomandata, contro il contagio da virus dell'epatite A. 
    Quanto alla rilevanza delle questioni sollevate, il giudice a quo
ha reso specificamente conto  dell'avvenuto  accertamento  del  nesso
causale che, nella vicenda da cui  origina  il  processo  principale,
collega  la  patologia  alla  somministrazione   della   vaccinazione
antiepatite A, al fine di dimostrare la sussistenza  delle  ulteriori
condizioni di applicabilita' della disciplina che la legge n. 210 del
1992 reca in tema di indennizzo. Resta  cosi'  chiarito,  secondo  il
rimettente,  che  solo  l'eventuale  accoglimento   della   questione
sollevata varrebbe  a  legittimare  l'applicazione  della  disciplina
indennitaria in favore della persona interessata. 
    In ordine alla non manifesta infondatezza delle stesse questioni,
ritiene la Corte rimettente che,  in  caso  di  complicanze  di  tipo
irreversibile conseguenti alla  vaccinazione,  contrasterebbe  con  i
parametri costituzionali evocati il diverso trattamento imposto dalla
disposizione censurata, quanto alla  corresponsione  dell'indennizzo,
tra coloro che risultano affetti da lesioni o infermita' provocate da
vaccinazioni  obbligatorie  e  coloro  che  le   medesime   patologie
manifestano a  seguito  di  una  vaccinazione,  non  obbligatoria  ma
raccomandata dall'autorita' sanitaria, come quella  contro  il  virus
dell'epatite A. Risultando tale vaccinazione finalizzata  anche  alla
tutela della salute collettiva, oltre che di quella individuale,  gli
artt. 2, 3 e 32 Cost. renderebbero necessario,  anche  in  tal  caso,
traslare sulla collettivita' le conseguenze negative che  il  vaccino
abbia provocato sul singolo, al  pari  di  quanto  gia'  accade,  per
effetto di  varie  pronunce  di  questa  Corte  (sono  richiamate  le
sentenze n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n. 423 del 2000  e  n.  27
del 1998) riferite a patologie dipendenti dalla  somministrazione  di
vaccinazioni  non  obbligatorie,  ma  raccomandate,  contro  malattie
infettive diverse dall'epatite A. 
    2.- Osserva preliminarmente il giudice  a  quo  che  non  sarebbe
praticabile  un'interpretazione  costituzionalmente  conforme   della
disposizione censurata, volta a riconoscere,  nella  fattispecie,  il
diritto all'indennizzo sulla base dei medesimi  principi  che,  nelle
citate precedenti occasioni, hanno condotto questa Corte a dichiarare
costituzionalmente illegittima la stessa disposizione, nella parte in
cui non prevedeva l'indennizzo, a seguito di  menomazioni  permanenti
derivanti da altre e specifiche pratiche vaccinali, non  obbligatorie
ma raccomandate. Cio' sarebbe impedito, sia dal tenore testuale della
disposizione, sia -  nella  fattispecie  di  cui  e'  causa  -  dalla
impossibilita' di ravvisare, nelle raccomandazioni regionali a favore
della vaccinazione antiepatite A, «atti amministrativi di sostanziale
imposizione d'un obbligo». Ed anzi, l'estensione al  caso  di  specie
dei principi gia' enucleati dalla giurisprudenza  costituzionale  con
riferimento ad altre fattispecie vaccinali si risolverebbe, ad avviso
del rimettente, in una «sostanziale disapplicazione ope iudicis della
disposizione censurata». In  definitiva,  solo  l'accoglimento  delle
sollevate questioni, ad opera di questa Corte, potrebbe porre rimedio
all'illegittimita' costituzionale rilevata. 
    Il ragionamento del rimettente e' corretto. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  piu'  volte  affermato  che
l'univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza  del
quale il tentativo di interpretazione conforme deve cedere  il  passo
al sindacato di legittimita' costituzionale (cosi',  in  particolare,
sentenza n. 232 del 2013 e, piu' di  recente,  sentenze  n.  221  del
2019, n. 83 e n. 82 del 2017).  D'altra  parte,  sempre  secondo  una
giurisprudenza costituzionale ormai costante, quando il giudice a quo
abbia consapevolmente  reputato  che  il  tenore  della  disposizione
censurata impone  una  determinata  interpretazione  e  ne  impedisce
altre, eventualmente  conformi  a  Costituzione,  la  verifica  delle
relative   soluzioni    ermeneutiche    non    attiene    al    piano
dell'ammissibilita', ed e' piuttosto una valutazione che riguarda  il
merito della questione (cosi', ex multis, sentenze n. 50 del  2020  e
n. 133 del 2019). 
    Infine, con piu' diretto riferimento all'odierna fattispecie,  il
mero riscontro della natura raccomandata della vaccinazione,  per  le
cui conseguenze  dannose  si  domandi  indennizzo,  non  consente  ai
giudici comuni di estendere automaticamente a tale fattispecie la pur
comune ratio posta a base delle precedenti, parziali, declaratorie di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,  della  legge  n.
210 del 1992 (analogamente, sia pur in diversa materia,  sentenza  n.
110 del 2012). Infatti,  in  caso  di  complicanze  conseguenti  alla
vaccinazione, il  diritto  all'indennizzo  non  deriva  da  qualunque
generica  indicazione  di  profilassi  proveniente  dalle   autorita'
pubbliche, a quella vaccinazione  relativa,  ma  solo  da  specifiche
campagne informative svolte da  autorita'  sanitarie  e  mirate  alla
tutela della salute,  non  solo  individuale,  ma  anche  collettiva.
All'accertamento in fatto dell'esistenza di raccomandazioni circa  il
ricorso alla vaccinazione in esame, che certamente spetta ai  giudici
comuni, deve percio' necessariamente  seguire  -  nell'ambito  di  un
giudizio di legittimita' costituzionale - la verifica,  da  parte  di
questa Corte, circa la  corrispondenza  di  tali  raccomandazioni  ai
peculiari  caratteri  che,  secondo   una   costante   giurisprudenza
costituzionale, finalizzano il trattamento sanitario raccomandato  al
singolo alla piu' ampia tutela  della  salute  come  interesse  della
collettivita', ed impongono, dunque,  una  estensione  della  portata
normativa della disposizione censurata (sentenza n. 268 del 2017). 
    3.- La verifica in parola fornisce esito positivo e le  questioni
sono percio' fondate. 
    3.1.-  In  primo  luogo,  l'ordinanza  di  rimessione  da'   atto
dell'esistenza,  in  Regione  Puglia,  di  una   campagna   vaccinale
antiepatite A  proprio  nell'epoca  in  cui  il  soggetto  -  che  ha
rivendicato il  diritto  all'indennizzo  -  si  era  sottoposto  alla
somministrazione di quel  vaccino,  a  seguito,  del  resto,  di  una
specifica convocazione da parte dell'autorita' sanitaria. 
    Originata,  infatti,  nel  1997  da  una   peculiare   situazione
epidemica regionale, la campagna vaccinale, peraltro proseguita anche
negli anni successivi, risulta esser stata preceduta da  approfondite
indicazioni  dell'Osservatorio  epidemiologico   regionale,   nonche'
tradotta, esattamente nei periodi rilevanti per il giudizio a quo, in
puntuali delibere del Consiglio e della Giunta regionale. 
    In particolare, con delibera del  2  luglio  1996,  il  Consiglio
della Regione Puglia aveva approvato  un  programma  regionale  delle
vaccinazioni obbligatorie e facoltative,  che  comprendeva  l'offerta
gratuita del vaccino antiepatite A in favore di determinate categorie
a rischio. In coerenza con tale programma, la Giunta  regionale,  con
delibera n. 4272 del 18 luglio  1996,  aveva  tra  l'altro  stabilito
(sulla base dei ricordati studi dell'Osservatorio epidemiologico)  di
promuovere una campagna di vaccinazione antiepatite  A  riguardo,  in
particolare, ai nuovi nati ed ai giovani dodicenni, stabilendo che la
somministrazione  avesse  i  caratteri  della   gratuita'   e   della
volontarieta' e che fosse preceduta ed accompagnata da  un  programma
di informazione della popolazione. 
    A  seguito  di  queste  decisioni,  negli  anni  successivi,   la
copertura  vaccinale  dei  gruppi  di  popolazione  interessati   era
cresciuta esponenzialmente, di pari  passo  ad  una  diminuzione  del
contagio.  Nondimeno,  e  sempre   sulla   base   di   dati   forniti
dall'Osservatorio epidemiologico regionale, con delibera n. 2087  del
27 dicembre  2001,  la  Giunta,  nell'approvare  il  Piano  sanitario
regionale 2002-2004, aveva riproposto l'obiettivo  di  «realizzazione
del  programma  di  vaccinazione  anti-epatite  A,   confermando   il
carattere della gratuita' e  della  volontarieta'».  In  fase  ancora
successiva, la stessa Giunta regionale, con delibera n.  1327  del  4
settembre 2003, aveva stabilito di fornire alle  strutture  sanitarie
locali  "indicazioni  operative"  di  perdurante   attuazione   della
copertura vaccinale contro il virus dell'epatite A nei confronti  dei
soggetti adolescenti. 
    Questo,  dunque,  ricostruito  nei  suoi  tratti  essenziali  dal
giudice a quo, il contesto in  cui  la  parte  privata  del  giudizio
principale, nata nel 1990 e vaccinata con  duplice  applicazione  nel
2003  e  nel  2004,   era   stata   richiesta   di   prestarsi   alla
somministrazione del vaccino. 
    3.2.- Al lume delle  condizioni  poste  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte (sentenze n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n.  423  del
2000 e n. 27 del 1998), anche nel caso di specie si e' effettivamente
in presenza di  un'ampia  e  insistita  campagna  di  informazione  e
raccomandazione da parte delle autorita' sanitarie pubbliche, in  tal
caso regionali, circa la forte opportunita',  per  alcune  classi  di
soggetti, di sottoporsi alla vaccinazione contro l'epatite A. 
    La  campagna  vaccinale  in  esame  si  e'  basata  su   accurati
presupposti scientifici ed epidemiologici, che hanno messo in luce il
rischio di un'ampia diffusione del virus dell'epatite  A,  attraverso
contagi anche  interpersonali.  Essa,  come  del  resto  le  campagne
temporalmente successive, mirava percio' all'obiettivo di una congrua
copertura immunitaria della popolazione, a presidio della  salute  di
ciascun singolo, dei soggetti a  rischio,  dei  piu'  fragili,  e  in
definitiva della collettivita' intera. 
    3.3.- Come si e' visto, la strategia  vaccinale  elaborata  dalla
Regione Puglia ha fatto ricorso alla tecnica  della  raccomandazione,
non  a  quella  dell'obbligo  (a  prescindere  dalle  modalita'   che
caratterizzano il caso di  specie,  in  cui  l'interessata  e'  stata
addirittura  convocata  da   parte   dell'autorita'   sanitaria   per
sottoporsi  alla  vaccinazione).  E  la  natura  raccomandata   della
vaccinazione  escluderebbe,  in  virtu'  del  tenore   testuale   del
censurato art. 1, comma 1, della legge n. 210 del  1992,  il  diritto
all'indennizzo in capo ai soggetti che lamentino,  quale  conseguenza
della stessa, lesioni o infermita' di carattere irreversibile. 
    Tuttavia, come ha pure messo in  evidenza  la  giurisprudenza  di
questa Corte (sentenza n. 268 del 2017),  benche'  la  tecnica  della
raccomandazione esprima  maggiore  attenzione  all'autodeterminazione
individuale  (o,  nel  caso  di  minori,  alla  responsabilita'   dei
genitori) e, quindi, al profilo soggettivo del  diritto  fondamentale
alla salute, tutelato dal primo comma dell'art. 32 Cost., essa e' pur
sempre indirizzata allo scopo di ottenere  la  migliore  salvaguardia
della salute come interesse (anche) collettivo. 
    Ferma la differente impostazione delle  due  tecniche,  quel  che
rileva  e'  l'obiettivo  essenziale  che  entrambe  perseguono  nella
profilassi  delle  malattie  infettive:  ossia  il  comune  scopo  di
garantire e tutelare la  salute  (anche)  collettiva,  attraverso  il
raggiungimento  della  massima   copertura   vaccinale.   In   questa
prospettiva,  incentrata  sulla  salute   quale   interesse   (anche)
obiettivo della collettivita', non vi e' differenza  qualitativa  tra
obbligo  e   raccomandazione:   l'obbligatorieta'   del   trattamento
vaccinale e' semplicemente uno degli strumenti a  disposizione  delle
autorita' sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della
salute collettiva, al pari della raccomandazione. 
    La  stretta  assimilazione  tra   vaccinazioni   obbligatorie   e
vaccinazioni raccomandate e' stata ribadita da questa Corte anche  in
sentenze  piu'  recenti,  nell'ambito  di  giudizi  di   legittimita'
costituzionale proposti in via principale contro  leggi  regionali  o
statali, percio' concernenti  profili  in  parte  diversi  da  quelli
correlati al diritto all'indennizzo, qui in  discussione.  Nondimeno,
in  queste  stesse  pronunce  si  e'  osservato  che  «nell'orizzonte
epistemico   della   pratica   medico-sanitaria   la   distanza   tra
raccomandazione e obbligo e' assai minore di quella che separa i  due
concetti nei rapporti giuridici. In  ambito  medico,  raccomandare  e
prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose  in  vista
di un determinato obiettivo» (sentenza n. 5 del  2018;  nello  stesso
senso, sentenza n. 137  del  2019),  cioe'  la  tutela  della  salute
(anche) collettiva. 
    3.4.- In presenza di  una  effettiva  campagna  a  favore  di  un
determinato trattamento vaccinale, e' naturale che si sviluppi  negli
individui un affidamento nei confronti di  quanto  consigliato  dalle
autorita' sanitarie: e cio' di per se' rende la scelta individuale di
aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla  salvaguardia
anche  dell'interesse  collettivo,  al  di  la'   delle   particolari
motivazioni che muovono i singoli. 
    Questa Corte ha  conseguentemente  riconosciuto  che,  in  virtu'
degli artt. 2, 3 e 32 Cost., e' necessaria  la  traslazione  in  capo
alla collettivita', favorita dalle scelte individuali, degli  effetti
dannosi che da queste eventualmente conseguano. 
    La ragione che fonda il diritto all'indennizzo  del  singolo  non
risiede  quindi  nel  fatto  che  questi  si  sia  sottoposto  a   un
trattamento   obbligatorio:   riposa,   piuttosto,   sul   necessario
adempimento, che si  impone  alla  collettivita',  di  un  dovere  di
solidarieta',  laddove  le  conseguenze  negative  per   l'integrita'
psico-fisica derivino da un  trattamento  sanitario  (obbligatorio  o
raccomandato che sia) effettuato nell'interesse  della  collettivita'
stessa, oltre che in quello individuale. 
    Per questo, la mancata previsione del diritto  all'indennizzo  in
caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni
raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e  32  Cost.:
perche' sono le esigenze di solidarieta' costituzionalmente previste,
oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere
che sia la collettivita' ad accollarsi  l'onere  del  pregiudizio  da
questi subito, mentre sarebbe  ingiusto  consentire  che  l'individuo
danneggiato  sopporti  il  costo  del  beneficio   anche   collettivo
(sentenze n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012). 
    Giova peraltro ribadire, come gia' in altre  occasioni  (sentenze
n. 5 del 2018 e, ancora, n. 268 del  2017),  che  la  previsione  del
diritto all'indennizzo - in  conseguenza  di  patologie  in  rapporto
causale con una vaccinazione  obbligatoria  o,  con  le  precisazioni
svolte, raccomandata - non deriva affatto da valutazioni negative sul
grado di affidabilita' medico-scientifica della  somministrazione  di
vaccini. Al contrario,  la  previsione  dell'indennizzo  completa  il
"patto di solidarieta'" tra individuo  e  collettivita'  in  tema  di
tutela della salute e rende piu' serio e  affidabile  ogni  programma
sanitario volto alla diffusione dei trattamenti  vaccinali,  al  fine
della piu' ampia copertura della popolazione. 
    3.5.- Da ultimo, merita sottolineare che non  avrebbero  rilievo,
ne' in senso contrario all'accoglimento  delle  questioni  sollevate,
ne'  in  vista  di  una  limitazione  della  platea   dei   possibili
destinatari dell'indennizzo (attraverso una pronuncia di accoglimento
"mirata"), considerazioni relative al carattere  meramente  regionale
(e non nazionale) della campagna vaccinale esaminata, oppure  al  suo
essersi indirizzata prevalentemente nei confronti di una  determinata
platea di soggetti "a rischio" (selezionati, per quanto qui rileva in
particolare, in base all'eta'). Nemmeno potrebbe giocare alcun ruolo,
ai fini di una ipotetica limitazione dei  soggetti  cui  l'indennizzo
deve essere corrisposto, la  circostanza,  pure  messa  in  luce  dal
giudice a quo, che la vaccinazione raccomandata in questione, per  le
classi  di  soggetti  considerati  "a   rischio",   appartenga   alle
prestazioni gratuite garantite dal Servizio sanitario  nazionale,  in
quanto ricompresa nei livelli essenziali di assistenza. 
    In  primo  luogo,  la  campagna   vaccinale   e'   stata   bensi'
essenzialmente regionale, ma essa ha trovato anche vari  riscontri  e
corrispondenze nei piani  vaccinali  nazionali  (in  particolare,  di
recente, il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019), nonche'
in una specifica raccomandazione del Ministero della  salute  del  26
luglio  2017  (recante  «Aggiornamento   delle   raccomandazioni   di
prevenzione e immunoprofilassi in relazione alla epidemia di  Epatite
A»),  atti  i  quali  prescindevano  e  prescindono  da   riferimenti
territoriali specifici. 
    In secondo luogo, non ha conseguenze, ai fini qui  rilevanti,  la
circostanza che una campagna  informativa  e  di  raccomandazione  in
favore di un determinato  vaccino  si  indirizzi  direttamente  verso
soggetti considerati  "a  rischio"  (per  eta',  per  abitudini,  per
collocazione geografica). 
    Da una parte, infatti, quel che conta, e' comunque  l'affidamento
che il singolo, chiunque egli sia (soggetto a rischio o non),  ripone
nella raccomandazione  delle  autorita'  sanitarie,  ed  e'  anche  a
partire da questo suo punto di vista che devono  essere  delineati  i
fondamenti della tutela indennitaria. 
    Dall'altra, questa Corte (sentenza  n.  268  del  2017)  ha  gia'
osservato  che,  per  quanto  direttamente  rivolte   a   determinate
categorie   di   soggetti,   le   campagne    di    informazione    e
sensibilizzazione   tese   alla   copertura   vaccinale   coinvolgono
inevitabilmente la generalita' della popolazione,  a  prescindere  da
una pregressa e specifica condizione individuale di salute, di  eta',
di lavoro, di comportamenti: giacche' l'applicazione del trattamento,
anche se in origine pensato soprattutto  per  determinate  classi  di
soggetti, consente sempre di tutelare sia la salute individuale,  sia
quella della piu' ampia collettivita', ostacolando  il  contagio  dei
soggetti non compresi nelle categorie a rischio e contribuendo in tal
modo alla protezione di tutti,  anche  di  coloro  che,  pur  essendo
soggetti in modo specifico al rischio,  non  possono  ricorrere  alla
vaccinazione a causa della propria specifica condizione di salute. In
definitiva, la posizione dei soggetti a rischio non elide affatto  il
rilievo collettivo  che  la  tutela  della  salute  -  attuata  anche
mediante la mera raccomandazione di determinate pratiche vaccinali  -
assume altresi' nei confronti della popolazione in generale. 
    In  terzo  luogo,  e  infine,  nemmeno  la  circostanza  che   la
raccomandazione    sia    accompagnata    dalla    gratuita'    della
somministrazione (come accaduto, nel caso di specie, per  il  vaccino
antiepatite A) potrebbe fondare  alcuna  limitazione  soggettiva  del
novero dei destinatari dell'indennizzo. 
    Del  resto,  in  disparte  la  questione  se  vincoli  di  ordine
finanziario possano giustificare limitazioni del novero dei  soggetti
cui la vaccinazione, in quanto inserita  nei  livelli  essenziali  di
assistenza  (come   e'   per   il   vaccino   antiepatite   A),   sia
somministrabile gratuitamente, di certo quei vincoli non giustificano
alcun esonero dall'obbligo d'indennizzo, in presenza delle condizioni
previste dalla legge. 
    In  definitiva,  la  logica  di  un  accoglimento  "mirato"  (per
categoria di soggetti  o  per  porzione  del  territorio),  oltreche'
contrastare con il fondamento scientifico dell'azione vaccinale  (che
rinviene uno strumento di protezione della salute nella piu'  diffusa
copertura immunitaria), risulterebbe confliggere con la logica stessa
della tutela indennitaria, che ripaga a spese  di  "tutti"  un  danno
subito nell'interesse di "tutti",  falsificando  le  stesse  premesse
della raccomandazione: fino  a  far  degradare  la  scelta  vaccinale
dell'appartenente ad una categoria a rischio, o del residente in  una
data  zona  del  territorio,  a  scelta  di  vaccinazione  volontaria
(ancorche' in ipotesi indispensabile per la  sua  salute),  priva  di
diretti riflessi sociali, cui non dovrebbe  allora  essere  accordata
una tutela costituzionalmente imposta, ma, al piu', un  discrezionale
sussidio (sentenze n. 55 del 2019, n. 293 del 2011, n. 342 del  1996,
n. 226 del 2000). 
    4.- Alla luce di tutte le considerazioni svolte, l'art. 1,  comma
1,  della  legge   n.   210   del   1992   deve   essere   dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte  in  cui  non  prevede  il
diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi  stabiliti  dalla
medesima legge, a  favore  di  chiunque  abbia  riportato  lesioni  o
infermita', da cui sia  derivata  una  menomazione  permanente  della
integrita'  psico-fisica,  a  causa  della  vaccinazione  contro   il
contagio dal virus dell'epatite A.