ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2,  comma
28, e 3, comma 9, della legge della  Regione  Siciliana  16  dicembre
2018, n. 24 (Variazioni al bilancio di previsione della  Regione  per
l'esercizio  finanziario  2018   e   per   il   triennio   2018/2020.
Disposizioni  varie),  promosso  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, con ricorso notificato il 16-21 febbraio  2019,  depositato
in cancelleria il 20 febbraio 2019, iscritto al n.  26  del  registro
ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana; 
    udito il Giudice  relatore  Franco  Modugno  nell'udienza  del  5
maggio 2020 svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte
del 20 aprile 2020, punto 1)  lettere  a)  e  c),  senza  discussione
orale; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il  16-21  febbraio  2019,  depositato  il  successivo  20  febbraio,
iscritto al n. 26 del reg. ric. 2019,  in  forza  della  delibera  di
impugnazione assunta dal Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2019,
ha promosso questioni di legittimita' in via principale: 
    a) dell'art. 2, comma 28, della legge della Regione Siciliana  16
dicembre 2018, n. 24 (Variazioni  al  bilancio  di  previsione  della
Regione per l'esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020.
Disposizioni varie), per violazione degli  artt.  117,  commi  primo,
secondo, lettera m), e terzo - quest'ultimo in relazione all'art.  1,
comma  174,  della  legge  30  dicembre   2004,   n.   311,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2005)» -, e  118  della  Costituzione,
anche in  relazione  al  d.P.C.m.  12  gennaio  2017  (Definizione  e
aggiornamento  dei  livelli  essenziali   di   assistenza,   di   cui
all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502); 
    b) dell'art. 3, comma 9, della legge reg.  Siciliana  n.  24  del
2018, per violazione degli artt. 9, secondo  comma,  e  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. in relazione agli artt. 134, 136 e  146  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137), in materia di tutela dei centri storici, e all'art.  14  del
regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione  dello
statuto della Regione siciliana), convertito in legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 2. 
    2.- L'art. 2 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, rubricato
«Rifinanziamento e riduzioni autorizzazioni di spesa», al  comma  28,
dispone un incremento dell'autorizzazione di spesa per  le  finalita'
dell'art. 7, comma 1, della legge della Regione Siciliana  1°  agosto
1990, n. 20 (Interventi in materia di talassemia). Con il citato art.
2 si dispone,  infatti,  che  «[l]'autorizzazione  di  spesa  di  cui
all'articolo 31, Allegato 1, della legge regionale n. 8/2018, per  le
finalita' della legge regionale 1° agosto 1990, n.  20,  articolo  7,
comma 1, e' incrementata di 1.046 migliaia di  euro  per  l'esercizio
finanziario 2018 (Missione 13, Programma 7, capitolo 413706)». 
    2.1.- Il ricorrente riferisce che,  sin  dal  2016,  erano  stati
«mossi rilievi» critici alla Regione, in sede di Comitato  permanente
per la verifica dell'erogazione dei Livelli Essenziali di  Assistenza
(Comitato LEA), circa la previsione di cui  all'art.  7  della  legge
reg. Siciliana n. 20 del 1990, che conferisce  ai  malati  per  gravi
forme  di  talassemia   un'indennita'   vitalizia   e   un'indennita'
chilometrica, sul presupposto che il diritto  statale  vigente  (ora,
l'art. 52 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017) prevede, per  tali  categorie
di  soggetti,   esclusivamente   il   diritto   all'esenzione   dalla
partecipazione alla spesa sanitaria: l'erogazione di un  vitalizio  e
di un rimborso chilometrico sembravano, dunque, integrare un  livello
ulteriore d'assistenza sanitaria. Afferma che  la  Regione  Siciliana
aveva fornito rassicurazioni allo Stato, qualificando l'indennita' in
questione come intervento  di  carattere  sociale  e  non  sanitario.
Oggetto di rilievo  -  prosegue  il  ricorso  -  era  stata  pure  la
previsione di cui all'art. 41 della legge della Regione  Siciliana  8
maggio 2018, n.  8  (Disposizioni  programmatiche  e  correttive  per
l'anno 2018.  Legge  di  stabilita'  regionale),  che  ha  stabilito,
integrando il menzionato art. 7 della legge reg. Siciliana n. 20  del
1990, l'adeguamento agli indici ISTAT dell'indennita' per i  pazienti
affetti  da  talassemia.  Anche  in  quella  occasione,  la   Regione
Siciliana avrebbe garantito che i costi di tale adeguamento avrebbero
gravato su fondi regionali di natura sociale. 
    Il ricorso si fonda sul rilievo, derivante dall'esame della legge
impugnata, che le risorse per le misure in esame «gravano  ancora  su
fondi di natura sanitaria (missione 13)». 
    2.2.- L'Avvocatura generale dello Stato sostiene che  la  Regione
Siciliana, eseguendo un piano di rientro dal disavanzo sanitario, non
puo' garantire livelli di  assistenza  ulteriori  rispetto  a  quelli
essenziali, e che la norma impugnata, dunque, viola il principio  del
contenimento della spesa pubblica sanitaria - principio  generale  di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. - che si e' tradotto anche nel divieto, per  le  Regioni
sottoposte al piano di rientro sanitario,  di  effettuare  spese  non
obbligatorie di cui all'art. 1, comma 174, della  legge  n.  311  del
2004. Richiama, a sostegno della censura, la sentenza di questa Corte
n.  104  del  2013,   nonche',   con   riferimento   piu'   specifico
all'applicabilita'  del  principio  del  contenimento   della   spesa
pubblica anche alle Regioni ad autonomia speciale, le sentenze n.  62
del 2017, n. 40 del 2016, n. 82 e n. 46 del 2015; richiama, altresi',
la sentenza n. 175 del 2014, poiche' il risanamento dei disavanzi  di
bilancio e' obiettivo prioritario non  solo  in  forza  dei  principi
costituzionali,  ma  anche   in   ossequio   ai   vincoli   derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. 
    2.3.- Precisa, in seguito, che i rapporti finanziari tra Stato  e
autonomie  speciali  sono  regolati  dal  «principio   dell'accordo»,
declinato nella  forma  della  leale  collaborazione,  che  la  norma
impugnata lederebbe per via della violazione dell'intesa raggiunta in
materia di livelli  essenziali  d'assistenza  sanitaria  (LEA)  nella
seduta del 7 settembre 2016, propedeutica all'adozione  del  d.P.C.m.
12 gennaio  2017.  Sarebbe  evidente,  in  tesi,  la  violazione  sia
dell'art. 117,  commi  primo,  secondo,  lettera  m),  e  terzo,  sia
dell'art. 118 Cost., come si desumerebbe dalle sentenze  n.  103  del
2018, n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012 di questa Corte. 
    3.- L'art. 3 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, rubricato
«Modifiche di norme», al comma 9, apporta due  modifiche  alla  legge
della Regione Siciliana 10 luglio 2015, n. 13 (Norme per favorire  il
recupero del patrimonio edilizio  di  base  dei  centri  storici),  e
dispone: «[a]lla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate
le seguenti modifiche: a) all'articolo 1, comma  2,  dopo  le  parole
"normativa vigente" aggiungere le parole "salvo l'obbligo di adeguare
le  norme  di  attuazione  dei  suddetti  strumenti  urbanistici   ai
contenuti della presente legge, per le parti che dovessero  risultare
con essi contrastanti";  b)  all'articolo  3,  dopo  il  comma  5  e'
aggiunto il seguente: "5-bis. Nel caso in cui  l'amministrazione  non
abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto  dal  comma  1,
relativo all'intero centro storico, e' data facolta' al soggetto  che
intende effettuare  interventi  in  conformita'  ai  contenuti  della
presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio  relativo
ad  un  comparto  territoriale,  costituito  da  una  o  piu'  unita'
edilizie, con  l'obbligo  del  comune  di  attivare  il  procedimento
previsto dal medesimo comma 1"». 
    L'Avvocatura generale dello Stato  premette  che  la  legge  reg.
Siciliana n.  13  del  2015  contiene  una  nuova  definizione  delle
tipologie edilizie  dei  centri  storici  e  prevede  che  il  Comune
provveda a individuare l'appartenenza delle singole unita' edilizie a
ciascuna categoria  mediante  uno  studio  di  dettaglio  dell'intero
centro storico (artt. 2 e 3). 
    3.1.- L'integrazione, all'art. 1, comma  2,  del  periodo  «salvo
l'obbligo di adeguare le norme di attuazione dei  suddetti  strumenti
urbanistici ai contenuti della  presente  legge,  per  le  parti  che
dovessero risultare con essi  contrastanti»,  nella  prospettiva  del
ricorrente,  dispone  il  superamento  delle  norme  per   le   "Zone
Territoriali Omogenee A - centro storico", ai sensi del  decreto  del
Ministro per i  lavori  pubblici  2  aprile  1968,  n.  1444  (Limiti
inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza  fra  i
fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati  agli  insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita'
collettive, al verde pubblico o a  parcheggi  da  osservare  ai  fini
della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6  agosto  1967,  n.
765), che venivano invece fatte salve dalla legge regionale del 2015,
nel caso in cui  contrastassero  con  i  contenuti  degli  "studi  di
dettaglio" di cui all'art. 3 della legge regionale medesima. 
    3.2.- L'introduzione del nuovo art. 5-bis dell'art. 3 della legge
reg. Siciliana n. 13 del 2015, ad  opera  del  comma  9  dell'art.  3
impugnato, consentendo la parcellizzazione in stralci dello studio di
dettaglio, vanificherebbe l'obiettivo di  compiere  una  elaborazione
organica  sull'intero  centro  storico  per  l'individuazione   delle
tipologie  edilizie  e  per  la  conseguente   programmazione   degli
interventi che e'  possibile  effettuare.  L'approvazione  di  questi
stralci resterebbe demandata alla conferenza di servizi prevista  dal
comma 1 dell'art. 3, nell'ambito della quale, pero', il parere  della
Soprintendenza ai beni  culturali  e  ambientali  potrebbe  risultare
minoritario. 
    Il ricorrente  sostiene  che,  permettendo  che  la  proposta  di
attribuzione alle tipologie edilizie provenga pure  dai  privati,  si
renderebbe possibile  la  realizzazione  di  interventi  anche  molto
impattanti,  nell'ipotesi  ad  esempio  dell'edilizia   che   venisse
classificata "non qualificata" o  "parzialmente  qualificata",  senza
che sia necessaria l'autorizzazione  della  Soprintendenza  (art.  4,
comma 1, lettera f, della legge  reg.  Siciliana  n.  13  del  2015).
Orbene, il combinato disposto degli artt. 134, 136 e  146  cod.  beni
culturali tutela i centri storici, in  quanto  beni  paesaggistici  e
aree di notevole interesse pubblico, imponendo  che  ogni  intervento
sia preventivamente autorizzato dall'amministrazione, per evitare che
si rechi pregiudizio al  valore  tutelato.  Le  modifiche  introdotte
dalla normativa censurata consentirebbero pero'  di  intervenire  sui
centri storici in modo difforme da quanto in precedenza pianificato e
autorizzato  dalla  Soprintendenza,  minando   cosi'   il   principio
ispiratore   della   legislazione   in   materia,   che   e'   quello
dell'«approccio  unitario  (metodologico  e  valutativo)  sul   "bene
culturale unitario centro  storico"».  A  questo  proposito,  occorre
tenere presente che le norme  del  citato  d.lgs.  n.  42  del  2004,
qualificabili come «norme di grande  riforma  economico-sociale»,  si
impongono  anche  alle  Regioni  dotate  di  autonomia  speciale.   A
testimonianza dell'importanza riconosciuta da questa Corte alle norme
contenute  nel  codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,   il
ricorrente richiama le sentenze n. 66 del 2012, n. 164 del 2009 e  n.
367 del 2007. 
    3.3.- Rileva, infine, il contrasto dell'art. 3,  comma  9,  della
legge regionale impugnata con l'art. 14 dello statuto  della  Regione
Siciliana il quale, pur  contemplando  tra  le  materie  di  potesta'
legislativa regionale quella dell'«urbanistica», alla lettera  f),  e
della «tutela del paesaggio»,  alla  lettera  n),  precisa  che  tali
attribuzioni sono esercitate «nei limiti delle  leggi  costituzionali
dello Stato». 
    4.- La Regione Siciliana ha depositato, in data  25  marzo  2019,
atto di costituzione in giudizio con controdeduzioni. 
    Con riguardo alle censure rivolte all'art.  2,  comma  28,  della
legge regionale impugnata,  essa  riconosce  che  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, in sede  di  Comitato  LEA,  aveva  formulato
«rilievi» circa le misure  regionali  a  beneficio  dei  talassemici,
poiche' riteneva integrassero un livello ulteriore di  assistenza,  e
che, per parte sua, la Regione aveva dato  rassicurazioni  sul  fatto
che le risorse destinate a quelle  spese  non  avrebbero  gravato  su
fondi sanitari, costituendo misure di  carattere  sociale.  La  parte
resistente  afferma  pure  che  la  Regione  ha  ricevuto   ulteriori
osservazioni, dello stesso tenore,  sull'art.  41  della  legge  reg.
Siciliana  n.  8  del  2018,  ed  e'  tornata   ad   assicurare   che
l'adeguamento agli indici ISTAT dell'indennita'  avrebbe  gravato  su
fondi regionali di natura  sociale:  per  questa  ragione,  lo  Stato
avrebbe deciso di non impugnare detto articolo di legge regionale. 
    4.1.- Poiche' il Presidente del Consiglio dei ministri ha  invece
proceduto all'impugnazione dell'art. 2, comma 28,  della  legge  reg.
Siciliana n. 24 del 2018 sulla base del  rilievo  per  cui  le  spese
relative all'indennita' gravano ancora su fondi di natura  sanitaria,
la Regione  precisa  che  gli  uffici  degli  Assessorati  salute  ed
economia hanno attestato che il finanziamento dei  benefici  previsti
dall'art. 7  della  legge  reg.  Siciliana  n.  20  del  1990  e  sue
successive  modifiche  e'  «esclusivamente  a  carico  del   bilancio
regionale e non a carico delle risorse correnti del fondo sanitario».
Per questo, la Regione sostiene che  le  misure  non  costituirebbero
erogazione di livelli di assistenza sanitaria ulteriori  rispetto  ai
LEA, ma  si  sarebbe  verificata  «solo  l'impropria  inclusione  dei
corrispondenti capitoli di bilancio (413706 - indennita' vitalizia  e
413707 -  indennita'  chilometrica)  nell'ambito  della  Missione  13
"Tutela della  salute"»,  anzi  che  nell'ambito  della  Missione  12
"Diritti sociali, politiche sociali e famiglia", circostanza  che  ha
dato adito «ad erronea interpretazione da  parte  dello  Stato».  Gli
uffici  competenti  intenderebbero  rimuovere  definitivamente   tale
imprecisione,  impegnandosi  a   formulare   un'apposita   iniziativa
legislativa con il «primo disegno  di  legge  utile»,  per  includere
l'intervento nella Missione 12. 
    4.2.-   La   Regione   Siciliana,    in    conclusione,    deduce
l'impossibilita' di applicare  la  giurisprudenza  costituzionale  in
materia di piani di  rientro  dal  disavanzo  sanitario  al  caso  di
specie, non ricorrendo il carattere sanitario della spesa e,  dunque,
la violazione del principio  di  contenimento  della  spesa  pubblica
sanitaria.  Ricorda,  infine,  che  ultimamente  questa  Corte,   con
sentenza n. 172 del 2018, ha escluso l'illegittimita' della norma  di
spesa relativa ai minori in adozione di cui alla legge della  Regione
Siciliana 11  agosto  2017,  n.  16  (Disposizioni  programmatiche  e
correttive per l'anno 2017. Legge di stabilita'  regionale.  Stralcio
I), in ragione della natura sociale della misura. 
    5.- In data 27 aprile 2020, in prossimita'  della  decisione,  in
forza delle modalita' previste dall'art. 1, lettera c),  del  decreto
della Presidente della  Corte  costituzionale  del  20  aprile  2020,
avente a oggetto «Ulteriori misure per  lo  svolgimento  dei  giudizi
davanti alla Corte costituzionale, anche con collegamento da  remoto,
durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19», la Regione Siciliana
ha depositato brevi note. In esse richiama la sentenza n. 94 del 2019
di questa Corte che, in linea con la sentenza n.  172  del  2018,  ha
deciso in senso favorevole alla parte  resistente  una  questione  di
legittimita'  costituzionale  analoga  a  quella  oggi  promossa   in
riferimento all'art. 2, comma 28, della legge reg.  Siciliana  n.  24
del 2018, sottolineando che la Corte valuta la  natura  della  misura
per l'attinenza a una certa materia e  non  in  base  all'imputazione
dell'intervento al settore della "Direzione generale  della  salute".
L'intervento recato dalla norma impugnata - ribadisce -  non  avrebbe
carattere sanitario e,  dunque,  l'impropria  inclusione  nell'ambito
della Missione 13 "Tutela della salute" non varrebbe a  sostenere  le
censure. 
    Afferma, in conclusione, che  il  capitolo  relativo  alla  spesa
oggetto del contenzioso sarebbe riclassificato come "Missione 12"  in
sede di predisposizione del disegno  di  legge  di  bilancio  per  il
triennio 2020-2022,  che  sara'  approvato  da  parte  dell'Assemblea
regionale siciliana. Chiede, dunque, che il  ricorso  sia  dichiarato
inammissibile e/o infondato. 
    6.- In data 28 aprile 2020, ai sensi dell'art. 1, lettera c), del
decreto della Presidente della Corte  costituzionale  del  20  aprile
2020 sopra richiamato, anche il Presidente del Consiglio dei ministri
ha  depositato  brevi  note,  insistendo  sull'illegittimita'   della
previsione di cui all'art. 2, comma 28, della legge reg. Siciliana n.
24 del 2018. Sarebbe evidente - si afferma - la  natura  sanitaria  e
non sociale della misura di sostegno ai malati di talassemia  di  cui
si controverte e da cio' deriverebbe l'impossibilita' per la  Regione
Siciliana, sottoposta a piano di rientro dal disavanzo sanitario,  di
garantire tale livello ulteriore di assistenza. Sostiene l'Avvocatura
generale dello Stato che  la  finalita'  del  beneficio  erogato  sia
quella di tutelare, in  maniera  ulteriore  rispetto  a  quanto  gia'
previsto dallo Stato, il bene fondamentale della  salute,  visto  che
l'erogazione avviene direttamente in favore del soggetto malato,  per
tutta la vita e per un importo di non modico  valore  (411,  62  euro
mensili). 
    Queste caratteristiche farebbero differire  il  caso  odierno  da
quello deciso da questa Corte con sentenza n. 94 del 2019, in cui  si
riconosceva  natura   socio-assistenziale   alla   misura   all'epoca
scrutinata. A conferma che  le  misure  in  sostegno  dei  malati  di
talassemia hanno natura sanitaria,  l'Avvocatura  sottolinea  che  lo
Stato prevede un'adeguata forma  d'assistenza,  ricompresa  nei  LEA,
rappresentata dal diritto  all'esenzione  dalla  partecipazione  alla
spesa sanitaria. La Regione Siciliana non potrebbe, pero',  garantire
tale livello ulteriore d'assistenza utilizzando risorse  destinate  a
spese  sanitarie,  dovendo,  invece,  occuparsi  di   rientrare   dal
disavanzo assicurando  al  contempo  l'erogazione  delle  prestazioni
essenziali. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  afferma,  inoltre,  che  la
recente sentenza di questa Corte n. 62 del 2020 avrebbe  rilievo  per
l'odierno  giudizio,  specie  laddove  stabilisce  che  la   funzione
sanitaria regionale va esercitata «coerentemente  con  le  regole  di
bilancio, le quali prevedono la separazione  dei  costi  "necessari",
inerenti alla prestazione  dei  LEA,  dalle  altre  spese  sanitarie,
assoggettate invece al principio della sostenibilita' economica». Con
riguardo alle difese esposte da  parte  resistente,  con  particolare
riferimento  all'impegno  dell'amministrazione   di   modificare   la
Missione cui imputare le spese  di  cui  si  controverte,  la  difesa
statale afferma che, malgrado il tempo trascorso, nessuna  iniziativa
legislativa in proposito e' stata assunta, o comunque sia  portata  a
termine, dalla Regione e che non e' avvenuta,  percio',  l'inclusione
nella "Missione 12". 
    6.1.-   Insiste,   in   conclusione,   pure   sull'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 9, della legge regionale impugnata,
per contrasto  con  i  parametri  costituzionali  e  interposti  gia'
individuati, rilevando l'assenza di controdeduzioni della  resistente
sul  punto,  il  che  confermerebbe  la  fondatezza   delle   censure
formulate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 28, della legge  della
Regione Siciliana 16 dicembre 2018, n. 24 (Variazioni al bilancio  di
previsione della Regione per l'esercizio finanziario 2018  e  per  il
triennio 2018/2020. Disposizioni varie), per violazione  degli  artt.
117, commi primo, secondo, lettera m), e  terzo,  -  quest'ultimo  in
relazione all'art. 1, comma 174, della legge  30  dicembre  2004,  n.
311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria  2005)»  -,  e  118  della
Costituzione,  anche  in  relazione  al  d.P.C.m.  12  gennaio   2017
(Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di
cui all'articolo 1, comma 7,  del  decreto  legislativo  30  dicembre
1992,  n.  502);  ha  altresi'  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 9, della medesima  legge  regionale
per contrasto con gli artt. 9, secondo comma, e 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. in relazione agli artt. 134, 136 e 146 del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137), in materia di tutela dei centri  storici,  e  all'art.  14  del
regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione  dello
statuto della Regione Siciliana), convertito in legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 2. 
    2.- Le materie cui afferiscono  le  disposizioni  impugnate  sono
potenzialmente riconducibili ad ambiti che  lo  statuto  speciale  di
autonomia  della  Sicilia  attribuisce  alla  competenza  legislativa
regionale. 
    In  via  preliminare,  occorre  rilevare  che   il   ricorso   e'
ammissibile,  perche'  fornisce  una  sufficiente  motivazione  circa
«l'impossibilita'   di   operare   il   sindacato   di   legittimita'
costituzionale in base allo statuto speciale» (da ultimo, sentenza n.
43 del 2020). 
    Questa Corte ha gia' affermato che dal ricorso, «valutato nel suo
complesso», deve desumersi il riferimento ai parametri statutari che,
nella  materia  oggetto  della  singola  questione,  possono  fondare
interventi del legislatore regionale (sentenze n.  43  e  n.  16  del
2020). Ritenendosi «sufficiente, ma necessaria,  un'indicazione,  sia
pure sintetica al riguardo» (cosi', gia' le sentenze n. 147 del 2019,
n. 142 del 2015 e n. 288 del 2013),  si  rileva  che  il  ricorso  fa
riferimento all'applicabilita' del principio  di  contenimento  della
spesa pubblica sanitaria alle  Regioni  ad  autonomia  speciale;  del
pari, con riguardo alle questioni relative all'art. 3, comma 9, della
legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, si osserva che le  questioni  si
riferiscono a titoli di competenza statale  esclusiva,  espressamente
confrontata con la competenza statutaria della Regione  resistente  e
con i relativi limiti. 
    3.- Con il primo motivo di ricorso, il Presidente  del  Consiglio
dei ministri ha impugnato  l'art.  2,  comma  28,  della  legge  reg.
Siciliana n. 24 del 2018, il quale dispone che  «l'autorizzazione  di
spesa di cui all'articolo 31, Allegato 1, della legge regionale n.  8
del 2018, per le finalita' della legge regionale 1  agosto  1990,  n.
20, articolo 7, comma 1, e' incrementata di 1.046  migliaia  di  euro
per l'esercizio finanziario 2018 (Missione 13, Programma 7,  capitolo
413706)»,   poiche',   riconducendo   le   spese   per   l'erogazione
dell'indennita' vitalizia  e  chilometrica  in  favore  di  assistiti
affetti da gravi forme di talassemia a  fondi  di  natura  sanitaria,
violerebbe l'art. 117, primo e terzo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, nonche'
l'art. 117, secondo  comma,  lettera  m),  anche  in  riferimento  al
d.P.C.m. 12 gennaio 2017 sulla definizione dei livelli essenziali  di
assistenza (LEA), e l'art. 118 Cost., per contrasto col principio  di
leale collaborazione in materia di garanzia  dei  medesimi  LEA,  dal
momento che il finanziamento  di  tale  indennita'  costituirebbe  un
livello ulteriore d'assistenza che la Regione, in  piano  di  rientro
dal disavanzo sanitario, non puo' garantire. 
    3.1.- La Regione Siciliana conosceva la posizione  critica  dello
Stato  sulla  previsione  dell'indennita'  vitalizia  in  favore   di
pazienti  affetti  da  gravi  talassemie.  Gia'  in  occasione  delle
riunioni del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione  dei
Livelli  Essenziali  di  Assistenza  (Comitato  LEA)  nel   2016,   e
successivamente nel 2018, lo Stato aveva  rivolto,  infatti,  rilievi
specifici alla Regione, in quanto quest'ultima, pur eseguendo  misure
di  rientro  dal  disavanzo  sanitario,   riferiva   le   spese   per
l'indennita' a fondi regionali per la tutela della salute. Dal  canto
suo, pure la Regione Siciliana ha riconosciuto, nelle sue difese, che
vi era stata una «imprecisione»  nell'inclusione  dei  corrispondenti
capitoli di bilancio nella Missione 13 "Tutela della  salute"  e  che
occorreva riferire  le  spese  alla  Missione  12  "Diritti  sociali,
politiche sociali e famiglia". Si impegnava percio'  a  rimediare  in
occasione del primo disegno di legge utile. 
    Tuttavia, con la legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018,  n.
8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2018. Legge di
stabilita' regionale), la Regione ha  autorizzato  le  spese  per  le
indennita' di talassemia sulla Missione 13 "Tutela  della  salute"  -
unitamente a quelle per l'indennita' in favore  di  pazienti  affetti
dalla sindrome  di  Hansen  -  aumentando  poi  le  risorse  all'uopo
stanziate con la legge reg. Siciliana n. 24 dello stesso anno. 
    La  stessa  Regione  ha  proceduto,  dunque,  con  l'introduzione
dell'art. 2, comma 28, della legge reg. n. 24 del 2018,  non  gia'  a
cambiare la "Missione" cui imputare le spese di cui  si  controverte,
bensi' a disporne un incremento (pari a 1.046 migliaia di euro) sulla
medesima "Missione 13". 
    3.2.- Cio' premesso, la questione  e'  fondata,  con  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    La  misura  di  sostegno  in  favore  di  pazienti   affetti   da
talassemia, istituita con legge della  Regione  Siciliana  1°  agosto
1990, n. 20  (Interventi  in  materia  di  talassemia),  all'art.  7,
rifinanziata negli anni successivi (da ultimo con l'art. 31, comma 2,
della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018 e con l'art.  2,  comma  28,
della  legge  reg.  Siciliana  n.  24  del  2018,  oggi   impugnato),
costituisce una forma di assistenza sanitaria  ulteriore  rispetto  a
quella prevista per la medesima categoria di pazienti dalla normativa
statale in materia di livelli essenziali d'assistenza. 
    L'attuale art. 52 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017, sulla definizione
dei LEA, letto insieme all'Allegato 7 al  decreto,  infatti,  prevede
per i malati di talassemia, con esclusione delle talassemie "minori",
il diritto all'esenzione dalla partecipazione  alle  correlate  spese
sanitarie: l'indennita' vitalizia, percepita dagli assistiti in forma
di  erogazione  mensile,  e   l'eventuale   indennita'   chilometrica
rappresentano,   dunque,   prestazioni   di   ulteriore   assistenza.
Aggiungono  una  corresponsione  monetaria  mensile   al   beneficio,
derivante dal risparmio delle quote di compartecipazione  alla  spesa
sanitaria normalmente a carico dell'utenza,  che  gia'  la  normativa
statale riconosce alle persone affette da tali patologie. 
    3.3.- La Regione Siciliana, pur non essendo piu' soggetta a piano
di rientro dal disavanzo  sanitario,  e',  pero',  in  ragione  della
mancata  eliminazione  di  quest'ultimo,  sottoposta  a   misure   di
"monitoraggio"  nell'ambito  di  un  programma  di  consolidamento  e
sviluppo. Per questo, deve considerarsi preclusa la  possibilita'  di
incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia
delle prestazioni essenziali. 
    La vincolativita' del Programma  operativo  di  consolidamento  e
sviluppo  -  adottato  ai  sensi  dell'art.   15,   comma   20,   del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135,  in
continuita' con il Programma operativo 2010-2012 e 2013-2015 - e'  da
considerarsi  espressione  del  principio  fondamentale  diretto   al
contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio
di coordinamento della finanza pubblica, poiche' esso e' adottato per
la prosecuzione del piano di rientro.  Questa  Corte  ha  piu'  volte
stabilito la  vincolativita'  dei  piani  di  rientro  dal  disavanzo
sanitario (ex plurimis, sentenze n. 172 del 2018, n. 278 del 2014, n.
91  del  2012,  n.  163  e  n.  123  del  2011)  e  cio'  vale,   per
consequenzialita' logica  e  sistematica,  anche  in  riferimento  ai
Programmi  di  consolidamento,  funzionali   al   raggiungimento   di
obiettivi  ancora  non  realizzati  in  esecuzione  delle  precedenti
misure. 
    Questa Corte ha altresi' «costantemente affermato che di regola i
principi  fondamentali  fissati  dalla   legislazione   dello   Stato
nell'esercizio  della  competenza  di  coordinamento  della   finanza
pubblica si applicano  anche  ai  soggetti  ad  autonomia  speciale»,
poiche'   essi   sono   funzionali   «a    preservare    l'equilibrio
economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e
anche a garantire l'unita' economica della Repubblica, come richiesto
dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea (sentenza n. 82 del 2015, nonche',  ex
multis, sentenza n. 62 del 2017)» (sentenza  n.  151  del  2017;  con
specifico riferimento alla Regione Siciliana,  sentenza  n.  159  del
2018). 
    La previsione di spese  ulteriori  rispetto  a  quelle  destinate
all'adeguato finanziamento delle prestazioni sanitarie essenziali  da
parte della Regione Siciliana viola, dunque, i principi che  regolano
le materie della  tutela  della  salute  e  del  coordinamento  della
finanza pubblica. 
    3.4.-  Nell'eseguire  le  misure  tendenti  alla  riduzione   del
disavanzo,  la  Regione  deve  occuparsi  di  destinare  le   risorse
disponibili all'integrale  e  soddisfacente  erogazione  dei  livelli
essenziali d'assistenza sanitaria. Questa Corte ha da tempo  chiarito
l'«effetto interdittivo di qualsiasi disposizione  incompatibile  con
gli impegni assunti ai fini del risanamento economico-finanziario del
disavanzo sanitario regionale in modo da garantire contemporaneamente
detto processo  di  risanamento  e  i  LEA,  attraverso  un  rigoroso
percorso di selezione dei servizi finanziabili» (sentenza n.  51  del
2013).  Affermazioni  valevoli  oggi,  anche  alla  luce  di   quanto
recentemente rilevato da questa Corte sull'incapacita' della  Regione
Siciliana di garantire adeguatamente  alcune  prestazioni  ricomprese
nei livelli essenziali, situazione questa il cui  risanamento  merita
invece impegno prioritario. 
    Si e', infatti, affermato che la Costituzione, insieme alle norme
attuative dei suoi principi, qualifica «il diritto alla  salute  come
diritto sociale di primaria importanza e  ne  conforma  il  contenuto
attraverso  la  determinazione  dei  LEA,  di  cui  il  finanziamento
adeguato costituisce condizione necessaria  ma  non  sufficiente  per
assicurare prestazioni  direttamente  riconducibili  al  fondamentale
diritto alla salute». Nel bilancio della Regione  Siciliana  occorre,
dunque, prevedere risorse  finanziarie  «complessivamente  pari  alla
corretta quantificazione dei LEA e le correlate spese [devono] essere
integralmente   vincolate   all'erogazione   dei   predetti   livelli
essenziali» (sentenza n. 62 del 2020). 
    3.5.- L'accoglimento della  questione  per  violazione  dell'art.
117, terzo comma, Cost. comporta l'assorbimento delle altre censure. 
    4.- Con il secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha  impugnato  l'art.  3,  comma  9,  della  legge  reg.
Siciliana n. 24 del 2018, recante «Modifiche di norme», che introduce
due modifiche alla legge della Regione Siciliana 10 luglio  2015,  n.
13 (Norme per favorire il recupero del patrimonio  edilizio  di  base
dei centri storici), disponendo che: «alla legge regionale 10  luglio
2015, n. 13 sono apportate le seguenti modifiche: a) all'articolo  1,
comma 2, dopo le parole  "normativa  vigente"  aggiungere  le  parole
"salvo l'obbligo di adeguare le  norme  di  attuazione  dei  suddetti
strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti
che dovessero risultare con essi contrastanti";  b)  all'articolo  3,
dopo il comma 5 e' aggiunto il seguente:  "5-bis.  Nel  caso  in  cui
l'amministrazione non abbia ancora adottato lo  studio  di  dettaglio
previsto dal comma 1, relativo all'intero  centro  storico,  e'  data
facolta' al soggetto che intende effettuare interventi in conformita'
ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio
stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito  da  una  o
piu' unita'  edilizie,  con  l'obbligo  del  comune  di  attivare  il
procedimento previsto dal medesimo comma  1"».  L'articolo  impugnato
sarebbe illegittimo per contrasto con gli  artt.  9,  secondo  comma,
117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  e,  pure,  con  le  norme
interposte di cui agli artt. 134, 136 e 146 cod.  beni  culturali,  e
con l'art. 14 statuto reg. Siciliana, che attribuisce a  quest'ultima
competenze legislative in materia di  urbanistica  e  di  tutela  del
paesaggio da esercitarsi, pero', nel rispetto  dei  limiti  stabiliti
dallo statuto. 
    5.- Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, l'art. 3, comma 9,
lettera a), consentendo la deroga alla disciplina statale di  cui  al
decreto del Ministro per i lavori pubblici 2  aprile  1968,  n.  1444
(Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza
fra  i  fabbricati  e  rapporti  massimi  tra  spazi  destinati  agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765), violerebbe i parametri sopra richiamati. 
    5.1.- La  questione  deve  essere  dichiarata  inammissibile,  in
quanto non  adeguatamente  motivata  e  posta  in  termini  meramente
assertivi. 
    Il ricorso si limita  ad  affermare  che  l'integrazione  operata
dall'art. 3, comma 9, lettera a),  della  legge  regionale  impugnata
«dispone un completo superamento delle norme per le zone territoriali
omogenee A - centro storico, ai sensi decreto  ministeriale  n.  1444
del 1968, che sono state invece fatte salve dalla legge del 2015». La
valenza derogatoria della disciplina statale  doveva,  pero',  essere
provata, tanto piu' che la lettera della  disposizione  si  riferisce
espressamente alla sola necessita' che le norme di  attuazione  degli
strumenti urbanistici si adeguino ai contenuti della legge regionale. 
    Questa Corte ha costantemente affermato che  l'atto  introduttivo
del giudizio  «deve  contenere  [...]  anche  una  argomentazione  di
merito, sia pure sintetica, a sostegno della  richiesta  declaratoria
di incostituzionalita', posto che l'impugnativa deve fondarsi su  una
motivazione adeguata e non meramente assertiva» (sentenza n. 286  del
2019; ex plurimis, sentenza n. 198 del 2019, n.  152  e  n.  109  del
2018, n. 261, n. 169 e n. 107 del 2017).  L'esigenza  di  un'adeguata
motivazione a fondamento della censura, infatti, «si pone in  termini
perfino  piu'  pregnanti  nei  giudizi  proposti  in  via  principale
rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (sentenza n. 286 del
2019 e, ex plurimis, sentenze n. 109 del 2018, n. 32 del 2017, n. 141
del 2016 e n. 82 del 2015). 
    La censura non supera, dunque, il  vaglio  di  ammissibilita',  a
causa del difetto di motivazione della stessa. 
    6.- Infine, l'art. 3, comma  9,  lettera  b),  della  legge  reg.
Siciliana n. 24 del 2018,  nella  prospettiva  offerta  dal  ricorso,
introdurrebbe la possibilita' per i privati di effettuare  interventi
edilizi di vario genere sugli immobili presenti nei centri storici in
base a  studi  di  dettaglio  parcellizzati  e  che  prescindano  dal
controllo della Soprintendenza ai beni  culturali  e  ambientali.  In
questo modo, la legge regionale impugnata, aggiungendo il comma 5-bis
all'art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015,  determinerebbe
una violazione dei principi in materia di tutela dei beni culturali e
del paesaggio, sia perche' rischia di  pregiudicare  la  salvaguardia
del centro storico come "bene unitario",  sia  perche'  esautora  gli
organi comunali  e  tecnici  dei  poteri  che  la  normativa  statale
attribuisce loro. 
    6.1.- La  questione  non  e'  fondata,  nei  termini  di  seguito
esposti. 
    6.2.- Prima di chiarire la portata della disposizione  impugnata,
occorre precisare che, pur in assenza di una  legge  statale  ad  hoc
sulla tutela dei centri storici, si desume dalle norme del codice dei
beni culturali il principio secondo cui i centri storici,  in  quanto
beni  paesaggistici  "unitari"  e  di  notevole  interesse  pubblico,
meritano una specifica tutela. L'art. 136 del detto codice,  infatti,
qualifica oggi espressamente i centri e i nuclei storici come aree di
notevole interesse pubblico. In considerazione dell'evoluzione  della
concezione del centro storico,  da  considerarsi  non  solamente  una
"zona urbanistica", ma appunto un bene dall'alto valore  culturale  e
ambientale, occorre che i soggetti responsabili della sua  protezione
si dotino di strumenti idonei a coniugare l'esigenza di sviluppo  del
centro urbano con quella di conservazione e valorizzazione  dei  beni
immobili ivi presenti. Il centro storico e'  tutelato,  dunque,  come
"unita' complessa",  a  prescindere  dalla  circostanza  che  al  suo
interno vi siano beni immobili vincolati ai sensi della Parte II cod.
beni culturali. E', d'altro canto,  evidente  che  la  normativa  sui
centri storici si trovi al crocevia fra le  competenze  regionali  in
materia urbanistica o di governo del territorio e la tutela dei  beni
culturali. 
    Bisogna,  dunque,  muovere  dalla   consapevolezza   che   questo
«"patrimonio"  intrinsecamente  comune»   merita   le   «cure   della
"Repubblica"» e che, dunque, nella cornice della  competenza  statale
ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., le varie articolazioni
istituzionali  hanno  il  compito  di  tutelare  e  valorizzare  tale
patrimonio (sentenza n. 140 del 2015). La tutela dei beni culturali e
del paesaggio, d'altronde, «richiede una strategia  istituzionale  ad
ampio raggio, che si esplica in  un'attivita'  pianificatoria  estesa
sull'intero territorio nazionale [...] affidata  congiuntamente  allo
Stato e alle Regioni» (sentenze n. 86 del 2019 e n. 66 del 2018). 
    Cosi', le Regioni hanno dedicato specifiche discipline ai  centri
storici, nell'ambito delle  competenze  in  materia  di  governo  del
territorio  o  urbanistica,   cercando   di   superare   la   visione
parcellizzata  degli   interventi   edilizi   per   privilegiare   la
considerazione  unitaria  dei  nuclei   storici.   In   accordo   con
l'ordinamento  statale,  le  Regioni  stesse  affidano  a   strumenti
urbanistici comunali e al lavoro di uffici  tecnici  territorialmente
competenti l'attuazione delle norme dettate  a  livello  regionale  e
statale. 
    6.3.- Fatte tali premesse, e' ora utile tratteggiare la struttura
e il contenuto della legge reg. Siciliana  sulla  tutela  dei  centri
storici, per comprendere in  quale  trama  la  novella  normativa  si
inserisca e debba essere inquadrata. 
    La legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 si prefigge di  introdurre
norme che  valorizzino  i  centri  storici  siciliani  attraverso  il
recupero del patrimonio edilizio esistente e la rigenerazione di aree
urbane  degradate  (art.  1).  A  tali  fini,  si  e'   prevista   la
possibilita' di intervenire sugli immobili dei centri storici, con il
dovere di rispettare differenti forme e limiti secondo  la  tipologia
di immobile. Cosi', all'art. 2, sono definite le  tipologie  edilizie
presenti nei centri storici, e, all'art. 3, viene  stabilito  che  il
Comune provveda a  individuare  l'appartenenza  degli  immobili  alle
diverse  categorie  mediante  uno  studio  di  dettaglio  riguardante
l'intero centro storico. 
    In particolare, «[l]'appartenenza delle singole  unita'  edilizie
alle tipologie di cui all'articolo 2 e' individuata entro 240  giorni
dalla data di entrata in vigore della  presente  legge,  su  proposta
dell'ufficio tecnico comunale competente, con uno studio con  effetti
costitutivi, composto da una relazione esplicativa delle scelte e  da
una planimetria  in  scala  non  superiore  a  1:500,  approvato  con
deliberazione  del  consiglio  comunale,  previo   parere   reso   in
conferenza  di  servizi,  indetta   dall'ufficio   tecnico   comunale
proponente  che  puo'  avvalersi  anche  di  consulenze  esterne   di
comprovata esperienza, a cui partecipano la soprintendenza per i beni
culturali ed ambientali  competente  per  territorio,  l'ufficio  del
genio civile, nonche'  eventuali  enti  competenti  in  materia».  La
delibera del consiglio comunale deve approvarsi entro 180 giorni  dal
deposito del citato studio e,  in  mancanza  dell'approvazione  della
suddetta  delibera,  l'Assessorato   regionale   del   territorio   e
dell'ambiente, previa diffida  a  provvedere  entro  un  termine  non
superiore a trenta giorni, dispone l'intervento  sostitutivo.  Viene,
inoltre, stabilito che, a seguito  della  pubblicazione  del  verbale
della conferenza di servizi e  dello  studio  di  dettaglio,  possano
formularsi  osservazioni  od  opposizioni;  in  tal  caso,  l'ufficio
tecnico  comunale  indice  un'apposita  conferenza  di  servizi  che,
sentiti gli enti competenti, esprime a maggioranza  un  parere  sulle
eventuali modifiche allo studio di dettaglio, cosicche' il  consiglio
comunale,  tenuto  conto  delle   indicazioni   formulate,   deliberi
l'approvazione dello studio (art. 3).  Vengono  poi  individuati  gli
interventi che e'  possibile  effettuare  secondo  la  tipologia  cui
l'immobile appartiene (artt. 4 e 5). 
    6.4.- Come rilevato, la legge reg. Siciliana n. 13  del  2015  ha
promosso  l'adozione  di  uno  studio  che  individui  le   tipologie
immobiliari presenti nei centri storici in modo organico.  Per  vero,
la legge era stata criticata  perche'  lo  studio  di  dettaglio  non
sembra configurarsi come vero e proprio strumento di  pianificazione,
bensi' come un "catalogo" di tipologie edilizie definite  in  base  a
classificazioni astratte, inadeguato per l'obiettivo di recuperare  e
valorizzare i centri storici. Ciononostante, dal momento che la legge
reg. Siciliana n. 13 del 2015 non  ha  formato  oggetto  di  ricorso,
questa  Corte  ha  il  dovere  di  pronunciarsi  limitatamente   alle
integrazioni alla stessa che sono state sottoposte al suo giudizio. 
    L'introduzione, da parte della norma impugnata, del  comma  5-bis
dell'art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015  non  determina
l'attribuzione al privato della  facolta'  di  effettuare  interventi
sugli immobili del  centro  storico  sulla  base  di  uno  studio  di
dettaglio stralcio relativo a una o piu' unita'  edilizie,  che  egli
trasmette al Comune per l'approvazione. Se cosi' fosse, si dovrebbero
rilevare la compromissione del  ruolo  che  la  normativa  statale  e
regionale attribuisce ai Comuni e agli  uffici  tecnici,  nonche'  il
pregiudizio del valore del centro storico  come  bene  unitario,  che
sarebbe ad ogni modo scalfito dalla possibilita' di  pianificare  gli
interventi immobiliari in base a studi stralcio relativi a uno o piu'
comparti,  avulsi  dal  loro  contesto.  Cio'  contrasterebbe  con  i
principi recati dal codice dei beni culturali che costituiscono norme
di grande riforma economico-sociale (di recente, sentenze n. 172  del
2018 e n. 189 del 2016), attuative dell'art. 9 Cost. (sentenza n.  66
del 2012 e n. 367 del 2007) e che, in quanto tali, vincolano anche le
autonomie speciali (nella materia di cui si tratta, sentenze  n.  118
del 2019, n. 172 del 2018 e n. 189 del 2016). 
    6.5.- Il sistema normativo  derivante  dall'integrazione  operata
dall'art. 3, comma 9, lettera b), della legge reg.  Siciliana  n.  24
del  2018  alla  legge  regionale  n.  13  del  2015   «puo'   essere
interpretat[o] in modo  da  prevenire  l'insorgere  della  denunciata
antinomia normativa» (sentenza n. 189 del 2016). 
    Innanzitutto, la facolta' del privato di proporre uno  studio  di
dettaglio stralcio, relativo a una o piu' unita' edilizie, si  attiva
solo nel caso in cui «l'amministrazione non abbia ancora adottato  lo
studio di dettaglio previsto dal comma  1»,  risultando  inadempiente
agli obblighi introdotti con la legge reg. Siciliana n. 13 del  2015.
Il  trascorrere  del   tempo   nell'impossibilita'   di   programmare
interventi, compresi quelli  di  ristrutturazione  o  recupero,  puo'
determinare il decadimento  del  patrimonio  immobiliare  di  rilievo
storico e artistico. L'introduzione del comma 5-bis dell'art. 3 della
legge reg.  Siciliana  n.  13  del  2015  finisce  per  stimolare  le
amministrazioni comunali rimaste inerti. 
    L'effetto  dell'esercizio  di  detta  facolta'   e'   quello   di
determinare  «l'obbligo  del  comune  di  attivare  il   procedimento
previsto dal comma 1» del medesimo art. 3.  La  proposta  proveniente
dal soggetto privato, che comprensibilmente non si estende all'intero
centro bensi' a unita' edilizie determinate, da lui conosciute  e  in
riferimento alle quali  intende  programmare  interventi,  e'  utile,
dunque, ad azionare il procedimento di cui al comma 1 per  l'adozione
dello studio di dettaglio che  assegna  le  tipologie  edilizie  agli
immobili dell'intero  centro  storico.  I  poteri  di  valutazione  e
controllo sulla pianificazione del centro storico che la  legge  reg.
Siciliana n. 13 del 2015 ha attribuito a tutti gli organismi, tecnici
e politici,  che  figurano  nel  procedimento  scandito  al  comma  1
dell'art. 3, rimangono rigorosamente fermi. In questo senso, «non  si
puo'  comunque  addebitare  alla  norma  denunciata  [...]  di   aver
"svuotato"  le  funzioni   comunali   in   tema   di   pianificazione
urbanistica» (sentenza n. 46 del 2014). Del pari, alla Soprintendenza
per i beni culturali e ambientali non sono sottratte prerogative; non
risulta, percio', indebolito  il  suo  ruolo  autonomo  di  controllo
tecnico e di tutela dei valori paesaggistici. 
    Gli  «interventi  ammessi  e  modalita'  d'attuazione»,  di   cui
all'art. 4 della legge reg. Siciliana n. 13 del  2015,  inoltre,  non
sono modificati dalla legge regionale impugnata, ragion per  cui  non
puo' desumersi dal comma 5-bis dell'art. 3  la  possibilita'  per  il
privato di  effettuare  interventi  «anche  molto  impattanti»,  come
temuto dal  ricorrente,  senza  il  previo  intervento  degli  organi
preposti alla pianificazione urbanistica per  la  tutela  dei  valori
architettonici e paesaggistici del centro storico. 
    Il comma 5-bis dell'art. 3 introduce, cosi',  una  sollecitazione
procedimentale in fase d'impulso all'avvio del procedimento, che  non
modifica l'oggetto di quest'ultimo. Essa potra' essere accolta se  si
verificasse che la tipologia immobiliare individuata per una  o  piu'
unita' edilizie e' quella corretta, ragionando sul  contesto  in  cui
gli immobili s'inseriscono, e potra', dunque, formare parte di quello
studio piu' esteso, relativo al complesso degli immobili presenti nel
centro storico, che il Comune  deve  adottare  secondo  le  procedure
previste, sia pure a fronte di un'iniziativa limitata  a  un  singolo
comparto edilizio. 
    Lo studio di dettaglio proposto dal privato deve, allora,  essere
valutato dai diversi uffici e organismi deputati alla pianificazione,
compresa la Soprintendenza per i beni  culturali  e  ambientali,  per
confluire nella piu' ampia individuazione  delle  tipologie  edilizie
presenti nel centro storico. 
    Sulla scorta di queste considerazioni,  non  e'  pregiudicato  il
valore unitario del bene finche' non si svuota di contenuto il potere
di coloro che sono responsabili di salvaguardarlo. La legge regionale
impugnata,   correttamente    interpretata,    non    sottrae    alle
amministrazioni e agli uffici tecnici competenti gli strumenti  utili
a tutelare il centro storico nel suo complesso,  anche  a  fronte  di
proposte provenienti da soggetti privati. 
    6.6.- In conclusione, la questione di costituzionalita' dell'art.
3, comma 9, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018 non
e' fondata, nei  sensi  di  cui  sopra,  perche'  e'  possibile  dare
un'interpretazione adeguatrice della disposizione impugnata.