ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 625,  primo
comma, del codice penale, come modificato dall'art. 1, comma 7, della
legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale,  al  codice
di procedura penale e all'ordinamento  penitenziario),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Siracusa nel procedimento penale a  carico  di
G. V., con ordinanza del 18 luglio  2019,  iscritta  al  n.  208  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il  Giudice  relatore  Giovanni  Amoroso  nella  camera  di
consiglio del 20 maggio 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Siracusa,  con  ordinanza  del  18
luglio 2019, iscritta al n.  208  del  registro  ordinanze  2019,  ha
sollevato questioni di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 625, primo comma, del
codice penale, nella parte in cui stabilisce il minimo edittale della
multa in euro 927, che appare essere «irragionevolmente  eccessivo  e
sproporzionato in riferimento all'art. 625, co. 2. c.p.». 
    2.- Il giudice rimettente premette  di  procedere  nei  confronti
dell'imputato G. V., in concorso con A. D. M., in relazione al  reato
di cui agli artt. 110, 624 e 625, numero 2), cod. pen., «perche',  in
concorso fra  loro,  al  fine  di  profitto,  dopo  aver  forzato  la
saracinesca del garage  ove  era  custodito,  si  impossessavano  del
motociclo [...] e del casco di proprieta' di M. A.»; reato  aggravato
dalla violenza sulle cose, essendo stata forzata la saracinesca di un
garage, e dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 
    Il giudice  a  quo  riferisce  che  i  due  imputati  sono  stati
arrestati nella flagranza del reato e che, nel corso dell'udienza  di
convalida, G. V. ha ammesso di aver sottratto  il  motociclo,  ma  ha
negato di aver forzato la saracinesca, addebitando  a  se  stesso  la
responsabilita' dell'accaduto. Riferisce il rimettente, poi, di  aver
convalidato l'arresto, di aver applicato la  misura  cautelare  degli
arresti domiciliari soltanto nei confronti di G. V. e di aver accolto
la  sua  richiesta  di  giudizio  abbreviato,  mentre  nei  confronti
dell'altro imputato ha emesso sentenza di condanna, mediante  lettura
del dispositivo per il reato di ricettazione ai sensi  dell'art.  648
cod. pen., cosi' riqualificato il fatto. 
    Il rimettente da' conto che dall'esame degli  atti  di  indagine,
acquisiti al fascicolo del dibattimento in virtu' del rito prescelto,
risulta pienamente provata la responsabilita'  dell'imputato  G.  V.,
per il reato di  furto,  anche  in  ordine  all'aggravante  dell'aver
commesso il fatto con violenza sulle cose di cui all'art. 625,  primo
comma, numero 2), cod. pen.; cio', non solo in  considerazione  delle
attendibili dichiarazioni  rese  dalla  persona  offesa  in  sede  di
denuncia, ma anche alla luce della deposizione dell'imputato in  sede
di interrogatorio. 
    Quanto alla determinazione della pena, il giudice a  quo  afferma
che le circostanze attenuanti generiche non possono essere  concesse,
non emergendo elementi significativi in tal senso, mentre afferma  di
dover applicare l'aumento per recidiva contestata perche'  l'imputato
ha riportato numerose condanne, anche per reati della stessa indole e
perche' si tratta di soggetto che con cadenza regolare  ricade  nella
commissione dei delitti, cosi'  accentuando  la  pericolosita'  della
condotta oggetto del procedimento. 
    La pena applicabile nel caso di specie, a seguito della  modifica
legislativa introdotta dall'art. l, comma 7, della  legge  23  giugno
2017, n. 103 (Modifiche al codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  secondo  il  rimettente,
sarebbe quella «della reclusione da due a sei anni e della  multa  da
euro 927 a euro 1.500»; pena da aumentarsi per la recidiva  ai  sensi
dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., e da diminuirsi per la  scelta
del rito abbreviato. 
    Tutto cio' premesso, il giudice a quo  solleva  le  questioni  di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.,
dell'art. 625, primo comma, cod. pen., come modificato  dall'art.  l,
comma 7, legge n. 103 del 2017, nella parte in cui  prevede  la  pena
edittale minima della multa di euro  927  in  rapporto  con  la  pena
edittale minima della multa di euro  206,  stabilita  dall'art.  625,
secondo comma, cod. pen. per il reato di furto pluriaggravato. 
    In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la pena base che
deve applicare e' quella prevista dal combinato disposto degli  artt.
624 e 625, primo comma, numero 2), cod. pen., e dunque, la reclusione
da due a  sei  anni  e  la  multa  da  euro  927  a  euro  1.500.  In
particolare,  osserva  che  la  recidiva   reiterata,   specifica   e
infraquinquennale, e' circostanza aggravante a effetto speciale, meno
grave di quella di cui all'art. 625, primo  comma,  numero  2),  cod.
pen. e, pertanto, da' luogo a un aumento eventuale fino a un terzo da
applicarsi sulla pena di cui all'art. 625, primo comma, cod. pen., ai
sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen.; inoltre,  l'aumento  per
le due circostanze aggravanti non e'  oggetto  di  bilanciamento  con
alcuna circostanza attenuante,  non  avendo  ritenuto  di  concederne
alcuna. 
    Nell'ordinanza di rimessione si precisa, infine, che il fatto  e'
stato commesso in data 30  maggio  2019  e,  dunque,  successivamente
all'entrata in vigore dell'art. l, comma 7, della legge  n.  103  del
2017. 
    Cio' posto, il giudice a quo ritiene che la previsione del minimo
edittale della multa per il furto monoaggravato (euro  927),  di  cui
all'art.  625,  primo  comma,  cod.  pen.,   sia   significativamente
superiore a quello previsto per il delitto di furto pluriaggravato di
cui all'art. 625, secondo comma, cod. pen., (euro 206)  e,  pertanto,
si pone in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. 
    In punto di non manifesta infondatezza, egli afferma come non sia
giustificato che per un reato meno grave sia previsto un  trattamento
sanzionatorio,   seppur   limitato   alla   sola   pena   pecuniaria,
maggiormente afflittivo rispetto  a  quello  previsto  per  un  reato
oggettivamente piu' grave.  Al  riguardo,  osserva  che  prima  della
modifica normativa la disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  non
sussisteva, in quanto il furto aggravato da una sola circostanza  era
punito, nel minimo, con la multa pari a euro 103 e, dunque,  con  una
pena pecuniaria pari alla meta' del minimo della multa  prevista  per
il furto pluriaggravato stabilito in euro 206  (e  non  inciso  dalla
novella legislativa). 
    Ad avviso del rimettente, dunque, il minimo edittale della  multa
attualmente previsto per  il  furto  monoaggravato  non  risulterebbe
adeguato rispetto all'effettiva responsabilita' penale dell'autore di
tale delitto  e  non  svolgerebbe  la  funzione  rieducativa  di  cui
all'art.  27  Cost.,  risultando  sproporzionato  rispetto  a  quello
previsto per il furto pluriaggravato. 
    Il rimettente precisa, poi, che l'intervento richiesto  a  questa
Corte non sarebbe quello di sostituirsi alle scelte  del  legislatore
in materia sanzionatoria penale, bensi'  di  emendare  le  scelte  di
quest'ultimo   in   riferimento   a   grandezze   gia'    rinvenibili
nell'ordinamento    attraverso    l'individuazione    del     tertium
comparationis  -  da  cui  evincere  la  manifesta  arbitrarieta'   e
irragionevolezza della norma censurata - che, nel caso di specie,  e'
dato dall'art. 625, secondo comma, cod. pen., il quale per  un  reato
oggettivamente piu' grave prevede un trattamento  sanzionatorio  meno
afflittivo in relazione al minimo della pena pecuniaria. 
    La soluzione conforme ai parametri costituzionali, ad avviso  del
giudice a quo, sarebbe quella  volta  a  ripristinare  il  previgente
minimo edittale della multa previsto per il delitto di  cui  all'art.
625, primo comma, cod. pen. stabilito in euro 103. 
    3.- Con atto del 17 dicembre 2019, e' intervenuto nel giudizio di
legittimita' costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano  rigettate  in  ragione  della  loro
infondatezza. 
    In particolare, la difesa dello Stato afferma che  il  rimettente
fonda  la  comparazione  tra  il  trattamento  sanzionatorio   minimo
previsto per il furto monoaggravato e quello previsto  per  il  furto
pluriaggravato solo sulla considerazione del  minimo  edittale  della
multa,  omettendo  di  prendere  in  esame  l'altra  componente   del
trattamento sanzionatorio, vale a dire quella costituita  dalla  pena
detentiva. 
    Solo  nell'ipotesi  in  cui  il  trattamento  complessivo  minimo
contemplato  dall'art.  625,  secondo  comma,  cod.   pen.   per   la
fattispecie di furto pluriaggravato individuata  dal  giudice  a  quo
come  tertium  comparationis  fosse  inferiore  a   quello   previsto
dall'art. 625, primo comma, cod. pen. per il furto monoaggravato,  si
potrebbe  allora  denunciare  l'irragionevolezza  della  scelta   del
legislatore. 
    E, al riguardo, rileva come cio' non accada in quanto l'art. 625,
secondo comma, cod. pen. prevede per il furto pluriaggravato una pena
detentiva minima superiore di un terzo rispetto al minimo edittale di
anni due di reclusione, comminata dal primo comma dell'art. 625  cod.
pen., per il furto monoaggravato; per effetto dell'applicazione degli
ordinari criteri di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene  detentive,
previsti dall'art. 135 cod pen.,  la  pena  minima  edittale  per  il
delitto di furto monoaggravato risulta essere inferiore di ben undici
mesi e 27 giorni di reclusione  rispetto  a  quella  minima  prevista
dall'art. 625, secondo comma, cod. pen.,  per  il  delitto  di  furto
pluriaggravato. 
    Pertanto, ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  lamentata
irragionevolezza e sproporzione del  trattamento  sanzionatorio,  non
sussisterebbe. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Siracusa,  con  ordinanza  del  18
luglio 2019, iscritta al n.  208  del  registro  ordinanze  2019,  ha
sollevato questioni di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 625, primo comma, del
codice penale (furto monoaggravato), nella parte in cui stabilisce il
minimo  edittale  della  multa   in   euro   927,   ritenuto   essere
«irragionevolmente eccessivo e sproporzionato»  in  comparazione  con
l'art. 625, secondo comma,  cod.  pen.  (furto  pluriaggravato),  che
prevede un minimo edittale della multa di euro 206, ossia  in  misura
notevolmente inferiore pur sanzionando una condotta piu' grave. 
    2.- Il giudice a quo afferma di dover pronunciare una sentenza di
condanna, a seguito di giudizio  abbreviato,  nei  confronti  di  una
persona  imputata  del  delitto  di  furto   aggravato   dalla   sola
circostanza di aver usato violenza sulle  cose,  ai  sensi  dell'art.
625, primo comma, numero 2), cod. pen.,  in  relazione  al  quale  e'
stato arrestato nella flagranza del reato e  sottoposto  alla  misura
cautelare degli arresti domiciliari. 
    In ordine alla determinazione della pena, afferma  di  non  poter
riconoscere le circostanze attenuanti generiche, mentre  ritiene  che
ricorra la circostanza aggravante della recidiva reiterata  specifica
infraquinquennale, con la conseguenza  che  la  pena  applicabile  ai
sensi dell'art. 625, primo comma, cod. pen., a seguito della modifica
legislativa introdotta dall'art. l, comma 7, della  legge  23  giugno
2017, n. 103 (Modifiche al codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  sarebbe   quella   della
«reclusione da due a sei anni e  della  multa  da  euro  927  a  euro
1.500», sulla quale deve essere operato l'aumento per la recidiva, ai
sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen. e,  poi,  la  diminuzione
per avere l'imputato scelto di  definire  il  processo  con  il  rito
abbreviato. 
    A parere del rimettente, la norma  censurata  contrasterebbe  con
gli artt. 3 e  27  Cost.,  sotto  il  profilo  della  violazione  del
principio  di  uguaglianza  e  proporzionalita'  e  della   finalita'
rieducativa della pena. 
    Egli  pone  in  comparazione  la  pena  prevista  per  il   furto
monoaggravato (art. 625, primo comma, cod. pen.) con quella stabilita
dal  secondo  comma  della  medesima  disposizione   per   il   furto
pluriaggravato, indicato come  tertium  comparationis,  e  rileva  un
trattamento ingiustificatamente differenziato, irragionevole, nonche'
sproporzionato in relazione alla  diversa  gravita'  delle  condotte:
entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto  pluriaggravato)
sono punite con la pena congiunta della reclusione e della multa. Ma,
mentre la reclusione, sia nel minimo che nel massimo, e' prevista  in
misura piu' elevata per la fattispecie piu' grave, cio' non e' per la
pena  pecuniaria  perche'  il  minimo  della  multa   e'   stabilito,
all'opposto, in misura piu'  elevata  (piu'  del  quadruplo)  per  la
fattispecie meno grave. 
    Secondo il rimettente, a tali vizi di legittimita' costituzionale
questa Corte potrebbe porre  rimedio  attraverso  il  ripristino  del
minimo edittale della multa di  euro  103,  previsto  dall'art.  625,
primo comma, cod. pen., prima della modifica introdotta dalla novella
legislativa. 
    3.- Va preliminarmente rilevato che  l'ordinanza  di  rimessione,
adeguatamente motivata in punto di descrizione della fattispecie,  e'
altresi' correttamente argomentata anche  in  ordine  alla  rilevanza
delle  questioni  e  alla  necessita'  di  fare  applicazione   della
disposizione sospettata di incostituzionalita'; sicche' sotto  questo
profilo le questioni sollevate sono ammissibili. 
    Il rimettente ha, infatti, ritenuto di  non  poter  concedere  le
circostanze attenuanti generiche, di cui all'art. 62-bis cod. pen., e
di dover riconoscere l'aumento della pena per la recidiva  reiterata,
specifica infraquinquennale, dando conto dei motivi per cui deve fare
applicazione della cornice edittale di cui all'art. 625, primo comma,
cod. pen., che, quanto al minimo della pena pecuniaria  della  multa,
ritiene irragionevole e non proporzionata. 
    Egli ha correttamente richiamato la regola del  cumulo  giuridico
di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen,, quale deroga  al  cumulo
materiale degli aumenti di pena,  in  caso  di  concorrenza  di  piu'
circostanze  aggravanti,  ritenendola  utilizzabile  anche   per   le
circostanze aggravanti indipendenti, nelle quali  rientra  quella  di
cui all'art. 625, primo comma,  cod.  pen.,  secondo  la  definizione
rinvenibile nell'art. 69, quarto comma, cod. pen.; e ha proceduto  in
tal senso benche' il quarto comma  dell'art.  63  cod.  pen.  non  le
indichi espressamente. 
    Infatti, la concorrenza dell'aggravante in parola con l'ulteriore
aggravante della recidiva  reiterata  specifica  infraquinquennale  -
cosiddetta ad effetto speciale, in quanto comporta un  aumento  della
pena superiore a un terzo (art. 63, terzo comma, cod. pen.) - fa  si'
che la pena debba essere determinata secondo  la  regola  del  cumulo
giuridico, ai sensi del quarto comma dell'art. 63 cod. pen.,  secondo
cui se concorrono piu' circostanze aggravanti tra  quelle  a  effetto
speciale, si applica soltanto la pena stabilita  per  la  circostanza
piu' grave, con la possibilita' per il giudice di  aumentarla.  E  la
circostanza piu' grave, nel caso di specie, e' proprio quella di  cui
al primo comma dell'art. 625 cod. pen., anziche' la recidiva  di  cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    Cosi' argomentando, il rimettente si e' posto  in  linea  con  la
giurisprudenza di legittimita' secondo cui il criterio di calcolo  di
cui all'art. 63, comma quarto, cod. pen.  «opera  anche  in  caso  di
concorso  tra  circostanze  aggravanti  indipendenti  e  ad   effetto
speciale», diversamente determinandosi un  trattamento  sanzionatorio
non conforme al principio di  legalita'  ed  irragionevolmente  «piu'
grave di quello applicabile in caso di concorso di  piu'  circostanze
ad effetto speciale» (Corte  di  cassazione,  sezione  terza  penale,
sentenze 8 maggio-17  luglio  2019,  n.  31293,  e  8  luglio  2016-7
febbraio 2017, n. 5597). 
    Inoltre, va evidenziato che l'intervento sostitutivo  sollecitato
dal  rimettente,  consistente  nel  chiedere  a   questa   Corte   di
ripristinare la pena pecuniaria nell'ammontare  minimo  pari  a  euro
103, previsto dalla disposizione censurata prima  della  modifica  da
parte della legge  n.  103  del  2017,  e'  aspetto  che  attiene  al
possibile contenuto dell'invocata pronuncia additiva e, pertanto, non
ridonda  in  un  profilo  di  inammissibilita'  della  questione   di
legittimita'  costituzionale,  avendo  il  giudice  a   quo   assolto
all'onere di indicare il  tertium  comparationis,  su  cui  fonda  la
censura di arbitrarieta' e irragionevolezza della norma in esame  (ex
multis, sentenze n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014). 
    4.- Le questioni sollevate devono,  tuttavia,  essere  dichiarate
inammissibili, in riferimento a  entrambi  i  parametri  evocati  dal
giudice rimettente, sotto il diverso profilo piu' avanti specificato. 
    4.1.- Giova innanzi tutto dare conto dell'evoluzione della  norma
censurata nel complessivo contesto normativo. 
    La disposizione di  cui  all'art.  625  cod.  pen.  contempla  le
circostanze speciali del reato di furto e, fin dal  testo  originario
del 1930, nei  suoi  due  commi,  ha  stabilito  un  differenziato  e
crescente  regime  sanzionatorio,  secondo  che  la  condotta   fosse
aggravata da una soltanto  delle  plurime  circostanze  elencate  nel
primo comma della stessa disposizione ovvero risultasse aggravata  da
due o piu' circostanze previste sempre dal primo comma, o da  una  di
tali circostanze  insieme  con  altra  tra  quelle  comuni,  indicate
dall'art. 61 cod. pen. (furto pluriaggravato). 
    Le  fattispecie  in  esame,  sanzionate  entrambe  con  la   pena
congiunta della reclusione e della multa, prima  delle  modifiche  di
cui all'art. 1 della legge n. 103 del 2017, si  connotavano  per  una
cornice edittale pienamente simmetrica: la fattispecie piu' grave era
sanzionata in modo piu' severo, sia nella reclusione che nella multa,
sia nel minimo che nel  massimo.  In  particolare,  il  minimo  della
reclusione era triplicato (da un anno a tre anni) e il  minimo  della
multa era raddoppiato (da lire 1.000 a lire 2.000). Anche nel massimo
era previsto un trattamento significativamente piu'  severo,  sia  in
relazione  alla  misura  della  reclusione,   pari   a   dieci   anni
nell'ipotesi pluriaggravata a fronte di  sei  anni  per  quella  meno
grave; sia con riguardo alla multa, pari a lire  15.000  nella  prima
ipotesi a fronte di lire 10.000 per la seconda. 
    Tale situazione e' rimasta inalterata per lungo tempo,  anche  se
il legislatore e' intervenuto a piu' riprese sia per incrementare  il
catalogo delle aggravanti del primo comma dell'art.  625  cod.  pen.,
sia, mediante l'art. 2 della legge 26 marzo 2001, n. 128  (Interventi
legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini),  per
espungere dall'elenco  due  aggravanti,  contestualmente  trasformate
negli autonomi delitti di furto in abitazione e furto con strappo, di
cui all'art. 624-bis cod.  pen.,  rispettivamente,  primo  e  secondo
comma,  anch'essi  suscettibili  di  essere  aggravati  dalle  stesse
circostanze di cui all'art. 625 cod. pen. 
    In tale contesto normativo parzialmente modificato,  l'originaria
simmetria tra primo e  secondo  comma  dell'art.  625  cod.  pen.  e'
rimasta sostanzialmente immodificata, venendosi a fissare, da ultimo,
in un trattamento sanzionatorio che puniva il furto monoaggravato con
la «reclusione da uno a sei anni» e con «la multa da euro 103 a  euro
1.032», e il furto pluriaggravato con la pena  della  reclusione  «da
tre anni e dieci anni» e la multa «da euro 206 a euro1.549». 
    L'originaria simmetria delle  cornici  edittali  -  in  cui  alla
fattispecie meno grave corrispondeva  un  trattamento  sanzionatorio,
nel minimo e nel massimo di entrambe le pene della reclusione e della
multa, meno grave di quello stabilito per l'ipotesi pluriaggravata  -
e' venuta meno per effetto  delle  modifiche  apportate  dall'art.  1
della legge n. 103 del 2017. 
    4.2.-  Tale  legge,  nel  quadro  della  piu'  ampia  riforma  di
rilevanti istituti del sistema penale, sostanziale e processuale,  ha
significativamente innovato il trattamento  sanzionatorio  di  alcuni
tra i piu' gravi delitti contro il patrimonio, di cui al Capo  I  del
Titolo XIII del codice penale. 
    L'art. 1, commi da 6  a  9,  della  legge  n.  103  del  2017  ha
modificato le cornici edittali, inasprendo  le  pene,  non  solo  del
reato di furto di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen.,  oggetto  delle
censure del rimettente, ma anche dei reati di furto in  abitazione  e
furto con strappo (art. 624-bis cod. pen.), di rapina (art. 628  cod.
pen.) e di estorsione (art. 629 cod. pen.). 
    Come risulta dal dibattito parlamentare, il legislatore, al  fine
di reprimere con maggiore severita' condotte criminose di particolare
allarme sociale, ha agito essenzialmente sui  minimi  edittali  delle
pene, elevandoli con l'effetto  di  limitare  l'accesso  ai  benefici
previsti   dall'ordinamento   penale.   E   infatti,   l'inasprimento
sanzionatorio e' consistito, da un lato,  nell'aumento  della  misura
dei minimi delle pene della reclusione,  lasciando  invariata  quella
dei massimi e,  dall'altro,  nell'innalzamento  degli  importi  delle
multe, nel minimo e nel massimo. 
    In tale quadro si colloca la disposizione  di  cui  all'art.  625
cod. pen., su cui e' intervenuto l'art. 1, comma 7,  della  legge  n.
103 del 2017, il quale ha stabilito che: «[a]ll'articolo  625,  primo
comma, alinea, del codice penale, le parole: "La pena  per  il  fatto
previsto dall'articolo 624 e' della reclusione da uno a  sei  anni  e
della multa da euro 103 a euro 1.032" sono sostituite dalle seguenti:
"La pena per il fatto previsto dall'articolo 624 e' della  reclusione
da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500"». 
    Nessuna  modifica,  invece,   ha   interessato   il   trattamento
sanzionatorio del furto pluriaggravato di cui all'art.  625,  secondo
comma, cod. pen., la cui cornice edittale e'  rimasta  quella  «della
reclusione da tre a dieci anni e della  multa  da  euro  206  a  euro
1.549». 
    Cosi' operando, la novella legislativa del  2017  ha  determinato
che  entrambe   le   fattispecie   (furto   monoaggravato   e   furto
pluriaggravato) continuino a essere  punite  con  la  pena  congiunta
della reclusione e della multa, ma mentre la reclusione  e'  prevista
in misura piu' elevata, sia  nel  minimo  che  nel  massimo,  per  il
delitto pluriaggravato, cio' non e' per la pena pecuniaria perche' il
minimo della multa e' previsto, all'opposto, in misura  piu'  elevata
(piu' del quadruplo) per la fattispecie meno grave. 
    Si  ha,  dunque,  che  il  minimo  della  multa  per   il   furto
monoaggravato e' pari a euro 927, mentre per il furto  pluriaggravato
il minimo della multa e' rimasto, anche dopo la novella, nella misura
originaria di euro 206. 
    Peraltro, prima della riforma del 2017,  analoga  asimmetria  del
trattamento sanzionatorio connotava anche il minimo della multa della
fattispecie delittuosa del  furto  in  abitazione  e  del  furto  con
strappo di cui all'art. 624-bis  cod.  pen.,  introdotto  nel  codice
penale dall'art. 2, comma 2, della legge n. 128  del  2001.  Infatti,
tale nuova e autonoma fattispecie di reato e'  stata  originariamente
sanzionata, quanto al minimo della pena pecuniaria, con la  multa  di
euro 309, in relazione all'ipotesi non aggravata (art. 624-bis, primo
e secondo comma, cod. pen.), mentre la  fattispecie  monoaggravata  e
pluriaggravata dalle circostanze di cui all'art. 625 cod. pen.  e  61
cod. pen. (art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.) e' stata punita  con
la pena pecuniaria di euro 206 di multa. 
    Tale squilibrio sanzionatorio e'  stato  corretto  proprio  dalla
novella legislativa del 2017, che e' intervenuta, elevando la cornice
edittale di entrambe le fattispecie e, quanto al  minimo  della  pena
pecuniaria ha, in questo caso, equiparato la multa per le due ipotesi
delittuose - sia nella configurazione semplice di cui al primo comma,
sia in quelle, assimilate, monoaggravata e pluriaggravata, di cui  al
terzo comma dell'art. 624-bis cod.  pen.  -  nella  piu'  elevata  ma
identica misura di euro 927 di multa. 
    Tale parificazione nel minimo della pena pecuniaria  della  multa
e' poi stata confermata dall'art. 5, comma 1, lettera b), della legge
26  aprile  2019,  n.  36  (Modifiche  al  codice  penale   e   altre
disposizioni in materia di  legittima  difesa)  che,  al  di  la'  di
ulteriori  aggravamenti  di  pena,  ai  fini  che  qui  rilevano,  ha
aumentato la cornice edittale delle fattispecie di cui al terzo comma
dell'art. 624-bis cod. pen., innalzando per entrambe il minimo  della
pena pecuniaria a euro 1.000 di multa. 
    Invece  lo  stesso   legislatore   non   e'   intervenuto   sulla
disposizione censurata, nemmeno nel  senso  della  equiparazione  del
minimo della multa tra  la  fattispecie  del  furto  monoaggravato  e
quella del furto pluriaggravato, come accaduto per il delitto di  cui
all'art. 624-bis, terzo comma, cod. pen. Sicche' e'  rimasto  che  il
minimo della pena della multa per il reato di furto monoaggravato  e'
piu' elevato di quello previsto per il furto pluriaggravato. 
    E' di tutta evidenza, pertanto, che il legislatore del 2017,  nel
considerare solo la fattispecie del furto monoaggravato, abbia creato
un'asimmetria tra primo e secondo  comma  dell'art.  625  cod.  pen.,
quale conseguenza di una difettosa tecnica normativa. Si ha,  quindi,
che all'interno della medesima disposizione (art. 625 cod.  pen.)  vi
e' una pena pecuniaria, nel minimo, piu' elevata per  l'ipotesi  meno
grave, rispetto alla  fattispecie  connotata  da  maggiore  gravita',
seppur all'interno di un trattamento  sanzionatorio  complessivo  che
vede la pena della multa concorrere necessariamente con quella  della
reclusione. 
    Di qui la censura del rimettente  nei  confronti  dell'art.  625,
primo comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e la
richiesta a questa Corte di correggere l'asimmetria  riscontrata  con
una pronuncia additiva sostitutiva della pena pecuniaria del  delitto
di furto monoaggravato. 
    5.- Tutto cio'  premesso,  le  questioni  sollevate  dal  giudice
rimettente devono ritenersi inammissibili. 
    Secondo  il   costante   orientamento   di   questa   Corte,   la
determinazione del trattamento sanzionatorio  per  i  fatti  previsti
come reato e' riservata alla discrezionalita' del legislatore, che e'
particolarmente  ampia  trovando  un  limite  solo  nella   manifesta
irragionevolezza  delle  scelte  operate  nel  definire  la   cornice
edittale delle pene. Il livello, piu' o meno elevato,  del  contrasto
delle  condotte  penalmente   rilevanti   mediante   la   definizione
dell'intervallo tra il minimo e il massimo della pena appartiene alle
scelte di politica criminale del legislatore, come  anche  quella  di
reprimere  con  pene   piu'   gravi   fattispecie   penali   ritenute
maggiormente lesive di beni giuridici  tutelati  e  connotate  da  un
accentuato allarme sociale. 
    Si e', infatti, piu' volte rilevata «l'ampia discrezionalita'  di
cui il legislatore gode nella determinazione delle  cornici  edittali
(ex multis, sentenze n. 233 e n. 222 del 2018, n. 179 del 2017  e  n.
148 del 2016)» (sentenza n. 284 del 2019). Si e' anche precisato  che
le «scelte legislative sono [...] sindacabili soltanto ove trasmodino
nella manifesta irragionevolezza  o  nell'arbitrio,  come  avviene  a
fronte di sperequazioni sanzionatorie tra  fattispecie  omogenee  non
sorrette  da  alcuna  ragionevole  giustificazione»   (ex   plurimis,
sentenza n. 68 del 2012).  E  ancora,  si  e'  sottolineato  che  «il
raffronto tra fattispecie  normative,  finalizzato  a  verificare  la
ragionevolezza  delle  scelte  legislative,  deve  avere  ad  oggetto
casistiche omogenee, risultando altrimenti  improponibile  la  stessa
comparazione» (sentenza n. 161 del 2009). 
    Il limite della discrezionalita' del legislatore e' superato solo
allorche'  le  pene  comminate  siano  manifestamente  sproporzionate
rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato (sentenze n. 73
del 2020, n. 40 del 2019 e n. 233 del 2018). 
    E', altresi', vero che  «la  giurisprudenza  costituzionale  piu'
recente ha gradatamente affrancato il  sindacato  di  conformita'  al
principio di proporzione della pena edittale dalle strettoie  segnate
dalla necessita' di individuare un preciso tertium  comparationis  da
cui mutuare la cornice sanzionatoria destinata a sostituirsi a quella
dichiarata incostituzionale;  e  ha  spesso  privilegiato  (almeno  a
partire dalla sentenza n. 343 del 1993) un modello di sindacato sulla
proporzionalita'  "intrinseca"  della  pena,  che  -  ferma  restando
l'ampia  discrezionalita'  di   cui   il   legislatore   gode   nella
determinazione delle cornici edittali [...] - valuta direttamente  se
la  pena  comminata  debba  considerarsi   manifestamente   eccessiva
rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi  nel  sistema  punti  di
riferimento gia' esistenti per ricostruire in via interinale un nuovo
quadro sanzionatorio in luogo di quello colpito dalla declaratoria di
incostituzionalita', nelle more di  un  sempre  possibile  intervento
legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel  rispetto
dei principi costituzionali» (sentenza n. 284 del 2019). 
    Nell'affermazione di tali principi, questa Corte ha pero'  sempre
ribadito   l'ampia    discrezionalita'    del    legislatore    nella
determinazione  del  trattamento  sanzionatorio   delle   fattispecie
criminose, sindacabile  solo  ove  venga  superato  il  limite  della
manifesta  irragionevolezza  o  arbitrarieta'  oppure  del  manifesto
difetto   di   proporzionalita'.   Ed   e'   nel   quadro   di   tale
discrezionalita' che deve essere considerata la  complessiva  cornice
edittale prevista dal legislatore  in  ordine  al  delitto  di  furto
aggravato di cui all'art. 625 cod. pen. e  segnatamente  l'asimmetria
denunciata dal giudice rimettente. 
    6.- La previsione per  la  fattispecie  del  furto  monoaggravato
della  multa  nella  misura  piu'  elevata  di  quella  prevista  per
l'ipotesi  pluriaggravata,  stante   l'ampia   discrezionalita'   del
legislatore, puo', dunque, ridondare nella violazione  del  principio
di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di proporzionalita' della pena  (art.
27 Cost.) soltanto se detta asimmetria venga esaminata  nel  contesto
del complessivo trattamento sanzionatorio. 
    E'  certamente  vero  che  nel  sistema  sanzionatorio  la   pena
pecuniaria, anche  quando  sia  comminata  congiuntamente  alla  pena
detentiva, conserva una sua  autonomia  non  solo  per  la  specifica
funzione cui mira, ma anche per la necessaria  proporzionalita'  alla
gravita' del fatto. 
    La  pena  pecuniaria  ha,   infatti,   una   specifica   funzione
complementare del trattamento sanzionatorio quando  concorre  con  la
pena detentiva della reclusione in ragione  dell'effetto  miratamente
dissuasivo, intrinseco nella decurtazione del  patrimonio  in  favore
dello Stato (sentenza n. 142 del 2017). 
    Anche  la  pena  pecuniaria,  infatti,  partecipa  alla  funzione
rieducativa di cui all'art. 27, terzo comma, Cost.  (sentenze  n.  15
del  2020  e  n.  233  del  2018).  Inoltre,  la  misura  della  pena
pecuniaria,  che  deve  essere,  al  pari   della   pena   detentiva,
proporzionata alla gravita'  del  fatto  secondo  i  criteri  di  cui
all'art. 133 cod. pen., e' essa sola specificamente parametrata  alle
condizioni economiche del reo, ai sensi dell'art.133-bis  cod.  pen.,
applicabile  per  la  determinazione  dell'ammontare  della  multa  o
dell'ammenda. 
    E ancora, confortano tale autonomia anche le disposizioni di  cui
agli artt. 136 cod. pen. e 102 della legge 24 novembre 1981,  n.  689
(Modifiche al sistema  penale),  dal  momento  che,  nel  caso  della
insolvibilita' del condannato, esse prescrivono la conversione  della
pena  pecuniaria  nella  liberta'  controllata,  o  a  richiesta  del
condannato, in lavoro sostitutivo,  qualora  la  pena  pecuniaria  da
convertire non sia superiore ad euro 516. 
    Tuttavia,  non  e'  irrilevante  il   trattamento   sanzionatorio
complessivo quando la pena  pecuniaria  concorre  congiuntamente  con
quella detentiva e non  e'  invece  a  quest'ultima  alternativa.  In
proposito, questa Corte ha affermato che la ragionevolezza della pena
debba essere giudicata secondo una valutazione complessiva della pena
pecuniaria e della pena detentiva, «dando rilievo all'unitarieta' del
trattamento   sanzionatorio    complessivamente    predisposto    dal
legislatore» (sentenza n. 233 del 2018; cosi' anche sentenza  n.  142
del 2017), in quanto in tal modo si consente al  giudice,  attraverso
la graduabilita' della  pena  detentiva  comminata  congiuntamente  a
quella  pecuniaria,  un  consistente  margine  di   adeguamento   del
trattamento  sanzionatorio  alle  particolarita'  del  caso  concreto
(ordinanze n. 91 del 2008 e n. 475 del 2002). 
    Anche se non appare percorribile quell'operazione di mero calcolo
richiesta dalla difesa dello Stato, fondata  sul  solo  criterio  del
ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva, ai  sensi  dell'art.
135 cod. pen., la  valutazione  complessiva  della  cornice  edittale
definita dal legislatore, come pena  detentiva  congiunta  alla  pena
pecuniaria, potrebbe far emergere la  possibilita',  per  il  giudice
chiamato  a  quantificare  la  multa,  di  operare   un   sostanziale
riequilibrio dell'asimmetria denunciata. 
    Invece, il giudice  rimettente  ha  argomentato  le  sue  censure
considerando soltanto la pena della multa e omettendo di tener  conto
anche del divario del minimo della pena  detentiva  prevista  per  le
ipotesi  del  furto  monoaggravato   e   di   quello   pluriaggravato
(rispettivamente dal primo e secondo comma dell'art. 625 cod.  pen.);
divario,  pari  a  un  anno  di  reclusione  in  piu'  per  il  furto
pluriaggravato, certamente  coerente  per  la  maggiore  gravita'  di
quest'ultimo rispetto al furto monoaggravato. 
    Il rimettente ha, in particolare, omesso di  considerare  se,  in
ipotesi, tale divario,  ove  ritenuto  particolarmente  marcato,  sia
idoneo, o no, a ridimensionare l'asimmetria  denunciata,  relegandola
nell'ambito di meri difetti di tecnica normativa, che questa Corte  -
soprattutto nella materia penale quanto alla dosimetria della pena  -
non e' chiamata per cio' solo a correggere, ove non ridondino  in  un
trattamento    sanzionatorio    manifestamente    irragionevole     e
sproporzionato. 
    E' comunque auspicabile che il legislatore, come  ha  gia'  fatto
con   l'analoga   asimmetria,   sopra   rilevata,   nel   trattamento
sanzionatorio del furto in abitazione o con strappo, monoaggravato  o
pluriaggravato,  corregga  lo  squilibrio  denunciato   dal   giudice
rimettente. 
    7.- L'ordinanza di rimessione, dunque, non si e' confrontata  con
il complessivo trattamento sanzionatorio  della  reclusione  e  della
multa, previste come pene congiunte e non  gia'  alternative  per  il
furto sia monoaggravato che pluriaggravato, e  cio'  costituisce  una
insufficiente motivazione  sulla  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni   di   legittimita'   costituzionale,    con    conseguente
inammissibilita' delle stesse in riferimento a entrambi  gli  evocati
parametri (ex multis, sentenze n. 24 del 2019, n. 231 e  n.  134  del
2018).