ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito dell'inserimento dell'art. 1-bis, comma 5, nel  testo
del decreto-legge  20  aprile  2020,  n.  26,  recante  «Disposizioni
urgenti in materia di consultazioni elettorali per l'anno 2020»,  con
la  legge  di  conversione  19   giugno   2020,   n.   59,   promosso
dall'Associazione «+Europa», con ricorso depositato in cancelleria il
29 luglio 2020 e iscritto al n. 10 del registro conflitti tra  poteri
dello Stato 2020, fase di ammissibilita'. 
    Udito il  Giudice  relatore  Daria  de  Pretis  nella  camera  di
consiglio del 12 agosto 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 23 giugno 2020, punto 4); 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 agosto 2020. 
    Ritenuto che l'Associazione «+Europa», in persona  del  tesoriere
Valerio Federico e del segretario Benedetto Della Vedova, ha promosso
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della
Camera dei deputati e  del  Senato  della  Repubblica,  in  relazione
all'art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge  20  aprile  2020,  n.  26
(Disposizioni urgenti in  materia  di  consultazioni  elettorali  per
l'anno 2020), convertito, con modificazioni, nella  legge  19  giugno
2020, n.  59,  secondo  cui  «[i]n  considerazione  della  situazione
epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19 e tenuto conto
dell'esigenza di assicurare il necessario distanziamento sociale  per
prevenire  il  contagio  da  COVID-19  nel  corso  del   procedimento
elettorale, nonche' di  garantire  il  pieno  esercizio  dei  diritti
civili e politici nello svolgimento delle elezioni  delle  regioni  a
statuto ordinario dell'anno 2020, il numero minimo di  sottoscrizioni
richiesto per la presentazione delle liste  e  delle  candidature  e'
ridotto a un terzo»; 
    che la ricorrente chiede a questa Corte  di  dichiarare,  «previa
concessione delle piu' idonee misure cautelari», che il Parlamento  -
approvando, in sede di conversione, l'impugnato art. 1-bis, comma  5,
del d.l. n. 26 del 2020 - «ha illegittimamente esercitato,  facendone
cattivo utilizzo, il potere  legislativo,  [...]  per  non  aver  ivi
introdotto, in favore dei partiti politici gia' presenti in  seno  al
Parlamento nazionale, la deroga rispetto all'obbligo  della  raccolta
delle sottoscrizioni necessarie per poter presentare le proprie liste
e candidature nell'ambito delle  elezioni  delle  Regioni  a  statuto
ordinario previste per l'anno 2020»; 
    che l'Associazione ricorrente dichiara di essere stata costituita
il 10 gennaio  2018;  di  essersi  presentata  alle  ultime  elezioni
politiche del 4 marzo 2018 ottenendo l'elezione di tre deputati e  un
senatore; e di essere iscritta nel registro dei partiti  politici  di
cui all'art. 4 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149 (Abolizione
del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e
la  democraticita'  dei  partiti  e  disciplina  della  contribuzione
volontaria  e  della  contribuzione  indiretta   in   loro   favore),
convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 13; 
    che, quanto all'ammissibilita' del  conflitto  sotto  il  profilo
soggettivo, la ricorrente afferma di agire  nella  veste  di  partito
politico, in quanto associazione iscritta  nel  registro  di  cui  al
citato art. 4 del d.l. n. 149  del  2013,  come  convertito,  e,  pur
mostrandosi consapevole del costante  orientamento  di  questa  Corte
sfavorevole alla legittimazione  dei  partiti  politici  a  sollevare
conflitto di attribuzione, ne  auspica  il  superamento,  in  ragione
della peculiarita' del caso di specie e della criticita' dell'attuale
momento storico, caratterizzato dal diffondersi di una  pandemia  che
ha indotto il legislatore ad adottare misure eccezionali come  quella
contestata, oltre che per le considerazioni di seguito illustrate; 
    che la ricorrente - richiamando la giurisprudenza  costituzionale
che ha esteso la  nozione  di  potere  dello  Stato  anche  a  figure
soggettive  esterne  allo  Stato  apparato,  allorche'  l'ordinamento
conferisca ad esse la titolarita' e l'esercizio di funzioni pubbliche
costituzionalmente rilevanti e garantite (e' citata la sentenza n. 69
del 1978) - ritiene che la Corte  costituzionale  debba  adottare  un
«approccio sostanzialistico» e quindi riconoscere  anche  ai  partiti
politici la natura di potere  dello  Stato,  in  quanto  titolari  di
funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti; 
    che i  partiti,  quali  «protagonisti  indefettibili  della  vita
politica ed istituzionale del [P]aese», godrebbero, infatti,  di  una
sfera  di  attribuzioni  costituzionalmente  riservata  e   protetta,
svolgendo  funzioni  pubbliche  direttamente  fondate  sul   disposto
dell'art. 49 della Costituzione e costituenti la principale modalita'
di partecipazione democratica dei cittadini alla determinazione della
politica nazionale; 
    che  la  mancata  menzione  in   Costituzione   delle   «funzioni
elettorali» svolte dai  partiti  -  come  quella  di  procedere  alla
raccolta delle firme per la partecipazione alle elezioni regionali  -
non potrebbe ostacolare la loro legittimazione a promuovere conflitti
di attribuzione, trattandosi di funzioni essenziali e imprescindibili
per l'esercizio della  sovranita'  popolare,  che  giustificano,  del
resto, il godimento a favore degli stessi partiti  del  finanziamento
pubblico; 
    che,  in  tale  prospettiva,  l'intervento  del  legislatore   di
regolamentazione  dell'attivita'   pubblica   dei   partiti   avrebbe
trasformato in costituzionalmente rilevante quanto prima era affidato
all'autonoma determinazione del privato; 
    che il conflitto  sarebbe  ammissibile  anche  sotto  il  profilo
oggettivo, rivendicando, la  ricorrente,  prerogative  costituzionali
che le deriverebbero  direttamente  dagli  artt.  48  e  49  Cost.  e
lamentandone la lesione per effetto dell'entrata in vigore  dell'art.
1-bis, comma 5, del  d.l.  n.  26  del  2020,  come  convertito,  che
renderebbe  impossibile  o  estremamente  difficile,  a  causa  della
pandemia in atto, la raccolta delle firme necessarie  per  presentare
le liste alle prossime elezioni per il  rinnovo  degli  organi  delle
Regioni a statuto ordinario; 
    che il Parlamento avrebbe dunque esercitato  illegittimamente  il
proprio potere «nella misura in cui, volendo introdurre  disposizioni
di  favore  in  materia  elettorale  legate  all'attuale   situazione
emergenziale, ha legiferato  in  maniera  irragionevole,  non  avendo
espressamente imposto, a livello nazionale, l'esonero dall'obbligo di
raccolta delle firme per tutti i partiti gia'  presenti  in  seno  al
Parlamento nazionale, finendo in tal modo per ingenerare [...]  anche
un'irragionevole disparita' di trattamento  tra  partiti  nell'ambito
delle differenti Regioni chiamate al voto»; 
    che il fondamento del conflitto dovrebbe essere ricercato proprio
nelle premesse di fatto, relative ai  rischi  connessi  all'emergenza
epidemica, da cui ha preso le mosse il legislatore  per  disporre  la
riduzione del numero delle sottoscrizioni necessarie, trattandosi  di
premesse oggettive (come risulterebbe da un «parere tecnico» allegato
al  ricorso)  che  condizionano  la  coerenza  interna  delle   norme
introdotte in sede di conversione del d.l. n. 26 del 2020; 
    che cio' varrebbe a dimostrare l'esistenza della  materia  di  un
conflitto ex art. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale),  per  menomazione  della   sfera   di   attribuzioni
costituzionalmente assegnate alla ricorrente (e' citata  la  sentenza
di questa Corte n. 110 del 1970); 
    che sarebbe rispettato, altresi',  il  requisito  concernente  la
residualita' del conflitto,  risultando  «impraticabile»  ogni  altra
forma di tutela degli interessi fatti valere dalla ricorrente; 
    che, in particolare,  non  si  potrebbe  percorrere  la  via  del
giudizio incidentale, in mancanza  di  processi  pendenti  nei  quali
proporre l'eccezione di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
contestata, ne' sarebbe  possibile  incardinare  un  nuovo  processo,
trattandosi di norma «immediatamente precettiv[a]», non bisognosa  di
provvedimenti attuativi suscettibili di  impugnazione  davanti  a  un
giudice; 
    che  non  sarebbe  «praticabile»  il  rimedio   dell'impugnazione
giudiziale del  provvedimento  che  escludesse  la  ricorrente  dalle
competizioni elettorali a causa della mancata raccolta  delle  firme,
giacche' questa soluzione comporterebbe l'inevitabile e  irreparabile
pregiudizio derivante dalla sua mancata partecipazione alle elezioni,
determinando la definitiva lesione  del  bene  della  vita  alla  cui
tutela essa aspira; 
    che, nel merito,  la  ricorrente  lamenta,  in  primo  luogo,  la
violazione degli artt. 3, 48 e 49 Cost.; 
    che, per i partiti  politici  gia'  presenti  in  Parlamento,  il
radicamento nel tessuto sociale, al cui accertamento  e'  finalizzata
la raccolta delle firme, dovrebbe essere considerato in re ipsa, come
presuppongono le normative regionali che esonerano da tale  attivita'
le  liste  e  i  gruppi  costituiti  in  Consiglio  regionale   nella
legislatura in corso alla data di indizione delle elezioni; 
    che,  secondo  la  ricorrente,  questi  profili  dovevano  essere
considerati dal legislatore soprattutto nel periodo attuale,  in  cui
le misure di distanziamento sociale rendono  estremamente  difficile,
se non impossibile, procedere alla raccolta delle firme, sia pure  in
numero ridotto, con grave pregiudizio per i partiti  -  tra  i  quali
«+Europa» - non esistenti all'epoca delle ultime elezioni  regionali,
che non possono percio' avvalersi delle  eventuali  deroghe  previste
dalla normativa elettorale delle singole Regioni a statuto ordinario; 
    che da quanto detto deriverebbe  il  contrasto  dell'art.  1-bis,
comma 5, del d.l. n. 26 del  2020,  come  convertito,  con  l'art.  3
Cost.,  per  irragionevolezza  e  per   irrazionale   disparita'   di
trattamento tra i partiti che, «in quanto esistenti nel  corso  delle
precedenti elezioni», potrebbero  beneficiare  dell'eventuale  deroga
prevista a favore di quelli gia' presenti nel Consiglio regionale e i
partiti di piu' recente costituzione,  ai  quali  «simile  beneficio»
verrebbe negato pur a fronte di una situazione di emergenza diffusa e
di carattere oggettivo,  che  colpisce  tutti  i  partiti  in  eguale
misura; 
    che la denunciata disparita' di trattamento emergerebbe  in  modo
evidente dal confronto tra le situazioni in cui versa  «+Europa»  con
riguardo alle elezioni nelle Regioni Liguria, Marche e  Campania,  da
un lato, e nelle Regioni Veneto, Toscana e Puglia,  dall'altro  lato;
potendo,  nelle  prime,  sfruttare  le  previsioni  delle  rispettive
normative  elettorali  di  favore  per  i  partiti  rappresentati  in
Parlamento, e beneficiare cosi'  dell'esonero  dalla  raccolta  delle
firme, non potendo invece, nelle  seconde,  beneficiare  dell'esonero
previsto solo per i partiti o i movimenti gia' presenti in  Consiglio
regionale; 
    che  sarebbe  in  tal  modo  precluso,  o  comunque  reso   molto
difficile, l'esercizio del principale  ruolo  attribuito  ai  partiti
dagli artt. 48 e  49  Cost.,  «ossia  quello  di  rendersi  strumento
attraverso cui si esprime il pluralismo politico dei cittadini»; 
    che la ricorrente lamenta, altresi', la  violazione  dell'art.  3
del Protocollo addizionale alla Convenzione per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, e degli artt. 13 e 15 CEDU, in quanto  lo  Stato
italiano, attraverso l'organo parlamentare, avrebbe leso il diritto a
libere elezioni ex art. 3 del Protocollo addizionale  alla  CEDU,  in
mancanza della dichiarazione prevista all'art. 15 CEDU, che  consente
una deroga agli obblighi previsti  dalla  medesima  Convenzione  solo
«[i]n caso di guerra o [...] di pericolo pubblico che minacci la vita
della nazione»; 
    che cio' giustificherebbe, nell'ipotesi di  mancato  accoglimento
del conflitto, il ricorso alla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo
per violazione del diritto a un ricorso effettivo  previsto  all'art.
13 CEDU; 
    che, infine, la ricorrente chiede alla  Corte  costituzionale  di
«adottare le misure cautelari ritenute piu' idonee ad  evitare»  che,
nelle more della definizione del  presente  giudizio,  gli  interessi
dell'Associazione     «+Europa»     siano     «definitivamente     ed
irrimediabilmente pregiudicati dall'impossibilita' di procedere  alla
raccolta delle sottoscrizioni  necessarie  per  poter  presentare  le
proprie liste e candidature nell'ambito delle elezioni delle  Regioni
a statuto ordinario previste per l'anno 2020»; 
    che sussisterebbero le «gravi ragioni»  cui  il  citato  art.  40
della legge n. 87 del 1953 (applicabile, secondo la ricorrente, anche
ai conflitti tra poteri, in ragione di  quanto  affermato  da  questa
Corte con l'ordinanza n. 225 del 2017) subordina la tutela cautelare,
in quanto se non fosse disposta la sospensione  dell'efficacia  della
disposizione contenuta all'art. 1-bis, comma 5, del d.l.  n.  26  del
2020,  come  convertito,  sarebbe   preclusa   alla   ricorrente   la
possibilita' di presentarsi alle prossime elezioni indette in Veneto,
Toscana e Puglia, a causa dell'impossibilita' di raccogliere,  in  un
periodo di crisi sanitaria come  quella  attuale,  le  sottoscrizioni
necessarie,  con  conseguente  grave  e  irreparabile   danno   «alla
rappresentanza popolare e, quindi, al corpo elettorale». 
    Considerato che l'Associazione «+Europa» ha promosso conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato affinche'  venga  dichiarato  che
non spettava alla Camera dei deputati e al Senato  della  Repubblica,
quali titolari della funzione legislativa,  omettere  di  introdurre,
«in favore dei partiti politici gia' presenti in seno  al  Parlamento
nazionale,  la  deroga  rispetto  all'obbligo  della  raccolta  delle
sottoscrizioni necessarie per poter presentare  le  proprie  liste  e
candidature  nell'ambito  delle  elezioni  delle  Regioni  a  statuto
ordinario previste per l'anno 2020», e, per l'effetto, sia  annullato
l'art. 1-bis, comma 5,  del  decreto-legge  20  aprile  2020,  n.  26
(Disposizioni urgenti in  materia  di  consultazioni  elettorali  per
l'anno 2020), convertito, con modificazioni, nella  legge  19  giugno
2020, n. 59, nella parte in cui non prevede siffatta deroga; 
    che, in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'  chiamata  a
deliberare, in camera di consiglio  e  senza  contraddittorio,  sulla
sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall'art.
37, primo comma, della legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a
decidere se il conflitto insorga tra organi competenti  a  dichiarare
definitivamente la volonta' del potere  cui  appartengono  e  per  la
delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri
da norme costituzionali; 
    che il conflitto e' inammissibile sotto il profilo soggettivo; 
    che,  secondo  quanto  affermato  da  questa  Corte,  «i  partiti
politici vanno considerati come organizzazioni proprie della societa'
civile, alle quali  sono  attribuite  dalle  leggi  ordinarie  talune
funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai  fini  dell'art.
134 Cost.; [...] pertanto,  ai  partiti  politici  non  e'  possibile
riconoscere   la   natura   di   organi   competenti   a   dichiarare
definitivamente  la  volonta'  di  un  potere  dello  Stato  per   la
delimitazione di una  sfera  di  attribuzioni  determinata  da  norme
costituzionali» (ordinanza n. 79 del 2006; in senso analogo, sentenza
n. 1 del  2014  e  ordinanza  n.  120  del  2009);  ne',  del  resto,
l'indubbia funzione di  «rappresentanza  di  interessi  politicamente
organizzati» (cosi' ancora ordinanza n.  79  del  2006),  svolta  dai
partiti politici, consente di riconoscere la legittimazione di questi
ultimi quali poteri dello Stato; 
    che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; 
    che la dichiarazione di  inammissibilita'  del  ricorso  preclude
l'esame di ogni altra domanda in  esso  articolata,  compresa  quindi
l'istanza cautelare (ordinanza n. 256 del 2016).