ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito dell'approvazione definitiva in data 8  ottobre  2019
da parte del Parlamento del testo di  legge  costituzionale,  recante
«Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione,  in  materia
di  riduzione  del  numero  dei  Parlamentari»   e   dell'inserimento
dell'art. 1-bis, comma 3, nel testo del decreto-legge 20 aprile 2020,
n. 26 recante  «Disposizioni  urgenti  in  materia  di  consultazioni
elettorali per l'anno 2020», operate dal Parlamento con la  legge  di
conversione 19 giugno 2020, n. 59 e della emanazione,  da  parte  del
Governo e del Presidente della Repubblica, del d.P.R. 17 luglio 2020,
promosso  dalla  Regione  Basilicata,  con  ricorso   depositato   in
cancelleria il 24 luglio 2020  ed  iscritto  al  n.  8  del  registro
conflitti tra poteri 2020, fase di ammissibilita'. 
    Udito il  Giudice  relatore  Giovanni  Amoroso  nella  camera  di
consiglio del 12 agosto 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 23 giugno 2020, punto 4); 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 agosto 2020. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato in data 24 luglio  2020,  la
Regione Basilicata ha promosso conflitto di attribuzione  fra  poteri
dello Stato nei confronti del Consiglio dei ministri, in persona  del
Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente  del  Consiglio
dei  ministri,  del  Ministro  dell'interno,   del   Ministro   della
giustizia, della Camera dei deputati, del  Senato  della  Repubblica,
nonche'   nei   confronti    della    Regione    autonoma    Trentino
Alto-Adige/Südtirol, in persona del Presidente della Giunta regionale
e delle Province autonome di Trento  e  di  Bolzano  in  persona  dei
Presidenti delle rispettive Giunte provinciali; 
    che   il   conflitto   e'   stato   promosso    in    riferimento
all'approvazione, in via definitiva e in  seconda  deliberazione,  da
parte della Camera dei deputati, nella  seduta  del  9  ottobre  2019
(recte: 8 ottobre 2019), del testo di  legge  costituzionale  recante
«Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di
riduzione del numero dei  parlamentari»,  al  conseguente  d.P.R.  28
gennaio 2020 (Indizione del referendum  popolare  confermativo  della
legge costituzionale, recante: «Modifiche agli articoli 56, 57  e  59
della  Costituzione  in  materia  di   riduzione   del   numero   dei
parlamentari», approvata dal Parlamento) con cui e' stato indetto  il
referendum  confermativo  della  citata  legge  costituzionale,   poi
revocato con d.P.R. 5 marzo 2020 (Revoca del decreto  del  Presidente
della  Repubblica  28  gennaio  2020,   concernente   indizione   del
referendum popolare confermativo della legge costituzionale  recante:
«Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di
riduzione del numero dei  parlamentari»)  e  nuovamente  indetto  con
d.P.R. 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo
relativo  all'approvazione  del  testo  della  legge   costituzionale
recante «modifiche agli articoli 56, 57 e 59  della  costituzione  in
materia di riduzione del  numero  dei  parlamentari»,  approvato  dal
Parlamento e pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica
italiana n. 240 del 12 ottobre 2019) e, infine, in  riferimento  agli
«atti normativi presupposti e applicativi»; 
    che la Regione ha domandato a questa Corte di dichiarare che  non
spettava «alle Camere, al popolo, rappresentato dal Corpo  elettorale
referendario, al potere esecutivo, ne'  alle  Provincie  Autonome  di
Trento  e  Bolzano  e  alla  Regione  Trentino  Alto  Adige/Sudtirol»
menomare    i    «poteri    di    rappresentativita'     parlamentare
costituzionalmente riconosciuti alla Regione Basilicata» e, pertanto,
ha chiesto l'annullamento degli atti  impugnati,  previa  sospensione
cautelare dei loro effetti; 
    che in particolare, la Regione ha lamentato la  violazione  degli
artt. 3, 6, 48, 51,  57,  commi  primo  e  terzo,  131  e  114  della
Costituzione  e  la  «compressione  e   invasione   dei   poteri   di
rappresentativita' parlamentare attribuiti  dalla  Costituzione  alla
Regione  Basilicata»,  nonche'  la  violazione  degli  artt.  72,  in
particolare commi primo e quarto, 77, secondo comma, 138 e 139 Cost.; 
    che, in particolare, per quanto riguarda i senatori, la riduzione
del loro numero e' stata realizzata attraverso la modifica  dell'art.
57 Cost. il cui secondo comma, evidenzia la ricorrente,  prevede  che
«il  numero  dei  senatori  elettivi  e'  di  duecento  (e  non  piu'
trecentoquindici), quattro (e non piu' sei) dei  quali  eletti  nella
circoscrizione Estero»; 
    che il terzo comma del medesimo  art.  57  Cost.  interviene  sul
numero minimo  dei  seggi  garantiti,  portandolo  da  sette  a  tre,
lasciando ferma la previsione secondo cui «il Molise ne  ha  due,  la
Valle d'Aosta uno» e inserendo tra i soggetti beneficiari del  numero
minimo di tre senatori anche le Province autonome; 
    che  la  Regione  assume  che  la  riduzione   del   numero   dei
parlamentari prevista dalla legge costituzionale in itinere non  solo
incide negativamente, di per se', sul sistema, menomando il potere di
rappresentativita' della Regione in Parlamento,  ma  risulta  viziata
anche per la disparita' di trattamento tra le Regioni; 
    che, infatti, raffrontando  in  termini  percentuali  l'incidenza
della riduzione del numero dei parlamentari in rapporto alle  singole
Regioni e tenendo conto della riduzione del numero  minimo  garantito
dei senatori e dell'inclusione delle Province autonome di Trento e di
Bolzano tra i soggetti beneficiari della  regola  prevista  dall'art.
57, terzo comma, Cost., emerge a suo avviso che la percentuale  media
della riduzione, che e' pari al 36,5 per cento riguarda  solo  alcune
Regioni, mentre per altre il sacrificio risulta, a seconda dei  casi,
piu' gravoso o piu' lieve; che, portando da sette  a  tre  il  numero
minimo dei senatori e includendo le Province autonome tra i  soggetti
garantiti, si ha che le Regioni che beneficiavano del  numero  minimo
finiscono per subire una elevata diminuzione derivante dal numero  di
seggi persi rispetto ai sette precedentemente  garantiti  e,  dunque,
non in linea con la percentuale nazionale del 36,5 per cento; 
    che, in particolare, la Regione Basilicata, passando da  sette  a
tre   senatori   finirebbe   per   subire   una   diminuzione   della
rappresentativita' pari al 57,13 per cento; 
    che risulterebbe leso, dunque, «il principio  di  eguaglianza  di
tutti i cittadini in punto di partecipazione alla  vita  politica  di
cui all'art. 51 Cost.», e si  determinerebbe  un  quadro  complessivo
fortemente   sbilanciato   quanto   all'attuazione    del    precetto
costituzionale dell'art. 57, primo comma, Cost.,  che  vuole  che  il
Senato della Repubblica sia eletto su base regionale; 
    che  tale  squilibrio  mal  si  concilia  con  il  riconoscimento
costituzionale del valore rappresentativo degli organi parlamentari e
contravviene  al  principio   della   «proporzionalita'   degressiva»
enunciato dall'art. 14, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione europea
(TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore  il
1° novembre 1993, che, a tutela  della  rappresentativita'  effettiva
dei Paesi piu' piccoli, prevede che la rappresentanza  dei  cittadini
e' garantita in modo degressivamente proporzionale; 
    che la Regione si duole poi, sotto altro e diverso profilo, della
scelta di concentrare in un'unica tornata elettorale la consultazione
referendaria,  le  votazioni  delle  elezioni  regionali   e   quelle
amministrative (cosiddetto election day); 
    che, al riguardo, richiama il d.P.R. 17 luglio 2020 con cui  sono
state indette le consultazioni referendarie del 20 e del 21 settembre
2020, assumendo che  tale  soluzione  sarebbe  incompatibile  con  un
referendum costituzionale (art. 138 Cost.); 
    che  l'illegittimita'  -  puntualizza  la  Regione  -   discende,
peraltro, dall'art. 1-bis, comma 1, del decreto-legge 20 aprile 2020,
n. 26 (Disposizioni urgenti in materia  di  consultazioni  elettorali
per l'anno 2020),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  19
giugno 2020,  n.  59,  ai  sensi  del  quale  «Per  le  consultazioni
elettorali di cui all'articolo 1 del presente decreto resta fermo  il
principio  di  concentrazione  delle  scadenze  elettorali   di   cui
all'articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,  convertito,
con modificazioni, dalla  legge  15  luglio  2011,  n.  111,  che  si
applica, altresi', al referendum  confermativo  del  testo  di  legge
costituzionale recante: "Modifiche agli articoli 56, 57  e  59  della
Costituzione in materia di riduzione del  numero  dei  parlamentari",
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019»; 
    che, secondo la ricorrente, l'adozione del decreto legge indicato
sarebbe avvenuta in assenza dei presupposti di necessita'  e  urgenza
richiesti dall'art. 77, secondo comma, Cost.; 
    che, inoltre, la  concentrazione  delle  scadenze  elettorali  e'
stata prevista solo dalla legge di conversione n. 59 del 2020, dunque
in assenza del «nesso di interrelazione funzionale» tra decreto-legge
e legge  di  conversione  che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
costantemente  ritenuto  necessario  ai   fini   della   legittimita'
costituzionale della legge (sentenza n. 32 del 2014); 
    che la disposizione si porrebbe poi in contrasto con  l'art.  72,
primo e quarto comma, Cost. in quanto l'articolo unico di conversione
«e' stato approvato dopo che il Governo ha  chiesto  ed  ottenuto  la
fiducia sull'articolo unico di conversione in  legge  in  due  sedute
confuse e convulse con una doppia  approvazione»  senza  il  rispetto
della procedura di approvazione articolo  per  articolo  prevista  in
particolare dall'art. 72, primo comma, Cost.; 
    che infine la  Regione  si  sofferma  sulle  esigenze  cautelari,
osservando  che  «[o]ccorre,  comunque  evitare,  che   prima   della
pronuncia della Corte Costituzionale entri in  vigore  una  norma  di
sospetta costituzionalita' per violazione di  principi  supremi  come
l'art. 3 Cost., coperti dall'art. 139  Cost.,  atteso  che  anche  le
norme di rango costituzionale soggette al controllo  di  legittimita'
costituzionale  in   caso   di   violazione   di   principi   supremi
dell'ordinamento costituzionale». 
    Considerato che la Regione Basilicata  ha  proposto  ricorso  per
conflitto  di  attribuzione,  ai  sensi   degli   artt.   134   della
Costituzione e 39 della legge 11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento  della  Corte  costituzionale),  con
contestuale istanza di sospensiva, in via  cautelare,  chiedendo  che
questa Corte voglia annullare: 
    a) l'avvenuta approvazione definitiva  in  data  9  ottobre  2019
(recte: 8 ottobre 2019) da parte del Parlamento del  testo  di  legge
costituzionale recante: «Modifiche agli articoli 56, 57  e  59  della
Costituzione in materia di riduzione del  numero  dei  parlamentari»,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12  ottobre  2019,  e  la
successiva  ammissione  del  referendum  con  ordinanza  dell'Ufficio
Centrale per referendum presso la Corte di cassazione del 23  gennaio
2020; 
    b) il conseguente decreto del Presidente della Repubblica del  28
gennaio 2020, su deliberazione del  Consiglio  dei  ministri  del  27
gennaio 2020, revocato con decreto del  Presidente  della  Repubblica
del 5 marzo 2020, su deliberazione del Consiglio dei Ministri in pari
data,  e  nuovamente  riemesso  con  decreto  del  Presidente   della
Repubblica del 17 luglio 2020, su  deliberazione  del  Consiglio  dei
Ministri del 14 luglio 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale,  serie
generale, n. 180 del 18 luglio 2020,  nonche'  degli  atti  normativi
presupposti e applicativi; 
    che l'atto di promovimento -  ancorche'  nella  sua  intestazione
faccia riferimento all'art. 39  della  legge  n.  87  del  1953,  che
disciplina i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni - e' stato
espressamente qualificato dalla stessa ricorrente, in particolare nel
petitum, come ricorso per conflitto tra poteri dello Stato,  proposto
nei confronti del Governo (e di altri), e che, in coerenza  con  tale
qualificazione, non e' stato notificato alle potenziali controparti; 
    che analoga qualificazione risulta dalla  delibera  della  Giunta
regionale di autorizzazione a proporre il  conflitto,  che  prefigura
finanche, quanto all'incarico professionale al  collegio  di  difesa,
l'eventuale fase di merito - propria di questo tipo di  conflitto  di
attribuzione - ove il ricorso fosse dichiarato ammissibile; 
    che   pertanto   va    valutata,    preliminarmente    e    senza
contraddittorio,  l'ammissibilita'  dell'atto  di  promovimento   del
presente giudizio secondo il regime processuale proprio dei conflitti
di attribuzione tra poteri dello Stato; 
    che puo' innanzi tutto rilevarsi che la richiamata delibera della
Giunta regionale e'  testualmente  e  inequivocabilmente  limitata  -
quanto  all'ambito   dell'autorizzazione   a   proporre   ricorso   e
all'oggetto della richiesta di annullamento, come specificazione  del
petitum dell'iniziativa giudiziaria -  solo  alla  impugnativa  della
richiamata delibera legislativa dell'8 ottobre 2019; 
    che  pertanto  il  ricorso,  nella  parte  in  cui  eccede  dalla
autorizzazione  assentita  con  la  indicata  delibera  della  Giunta
regionale,  e',  innanzi  tutto,  manifestamente  inammissibile   con
riferimento al decreto  presidenziale  di  indizione  del  referendum
confermativo della richiamata  delibera  legislativa  dell'8  ottobre
2019 e alle connesse censure relative alla fissazione della data  per
la sua celebrazione contestualmente  a  quella  per  le  elezioni  in
alcune Regioni e per  elezioni  amministrative  (cosiddetto  election
day, di cui sopra sub b); 
    che, per il resto (sopra, sub a), questa  Corte  e'  chiamata  in
questa   fase   a   stabilire   in   camera   di   consiglio,   senza
contraddittorio, se concorrano i requisiti  di  ordine  soggettivo  e
oggettivo prescritti dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del
1953, e cioe' se il  conflitto  risulti  essere  insorto  tra  organi
competenti a dichiarare definitivamente la volonta' del potere a  cui
appartengono e sia diretto a delimitare la sfera di attribuzioni  dei
poteri interessati, determinata da norme costituzionali (ordinanza n.
256 del 2016); 
    che a tal fine occorre verificare - prima facie e con riserva  di
cognizione piena  nell'eventuale  successiva  fase  a  seguito  della
rituale  instaurazione  del  contraddittorio  -   se   sussistano   i
presupposti soggettivi e oggettivi  di  ammissibilita'  del  proposto
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; 
    che,  sotto  il  profilo  soggettivo,  va  ribadito  che   «nella
giurisprudenza costituzionale la nozione di "potere dello  Stato"  ai
fini della legittimazione a sollevare conflitto di  attribuzione  (ex
art. 37 della legge n. 87 del 1953) abbraccia  tutti  gli  organi  ai
quali sia riconosciuta e garantita dalla Costituzione  una  quota  di
attribuzioni costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 87 e n. 88  del
2012)  o  sia  affidata  una  pubblica  funzione   costituzionalmente
rilevante e garantita (ordinanza n. 17 del 1978)»  (ordinanza  n.  17
del 2019); 
    che - come gia' ritenuto da questa Corte  (ordinanze  n.  11  del
2011 e n. 264 del 2010)  -  deve  negarsi  in  radice  che  gli  enti
territoriali  possano  qualificarsi   come   «potere   dello   Stato»
nell'accezione propria dell'art. 134  Cost.,  essendo  essi  distinti
dallo Stato, pur concorrendo tutti  a  formare  la  Repubblica  nella
declinazione risultante dall'art. 114, primo comma, Cost.; 
    che, quindi, con riferimento alla Provincia, si e' affermato  che
quest'ultima «non agisce come soggetto appartenente al  complesso  di
autorita' costituenti lo Stato, nell'accezione propria dell'art.  134
della Costituzione» (ordinanza n. 380 del 1993), sicche' essa non  e'
legittimata a promuovere ricorso per conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato, non diversamente dal Comune (ordinanza n. 84  del
2009) e dalla Regione (ordinanza n. 479 del 2005); 
    che, in particolare con riguardo alla Regione, la  giurisprudenza
costituzionale ha precisato «che, in ogni caso, in base alla  vigente
disciplina dei conflitti di attribuzione spettanti alla giurisdizione
di questa Corte, ne' la Regione ne' singoli organi  di  essa  possono
essere considerati "poteri dello Stato" ai quali sia riconoscibile la
legittimazione passiva nei giudizi regolati dagli artt. 37 e 38 della
legge n. 87 del 1953 e dall'art. 26 delle  norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale (ordinanza n. 82 del 1978 e
ordinanza n. 10 del 1967)» (ordinanza n. 479 del 2005); 
    che,  d'altra  parte,  «la  Regione,   quando   esercita   poteri
rientranti nello svolgimento di attribuzioni determinanti la  propria
sfera di autonomia costituzionale o di funzioni ad essa delegate, non
agisce  come  soggetto  appartenente  al   complesso   di   autorita'
costituenti lo Stato, nell'accezione  propria  dell'art.  134  Cost.»
(ordinanza 24 maggio 1990, senza numero); 
    che in ogni caso il presente ricorso  per  conflitto  tra  poteri
dello Stato non potrebbe convertirsi  in  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione tra la Regione e lo Stato, perche' sarebbe palese, al di
la' di ogni altro profilo, l'intervenuto  decorso,  gia'  al  momento
della proposizione del  ricorso  (24  luglio  2020),  del  prescritto
termine di decadenza di sessanta  giorni  (art.  39,  secondo  comma,
della legge n. 87  del  1953),  stante  che  la  menzionata  delibera
legislativa e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  240  del
12 ottobre 2019; 
    che, pertanto, il ricorso  e'  inammissibile  con  riferimento  a
tutti gli atti di cui la ricorrente chiede l'annullamento; 
    che  altresi'  e'  conseguentemente  assorbita  la  richiesta  di
sospensiva, in via cautelare, degli atti oggetto del conflitto.